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Il gruppo contrattuale

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Academic year: 2021

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UNIVERSITA' DI PISA

DIPARTIMENTO DI GIURISPRUDENZA

Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza

Tesi di Laurea

IL GRUPPO CONTRATTUALE

Relatore:

Candidato:

Prof. Francesco Barachini Eleonora Ferrara

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Indice

I - L'ATTIVITA' DI DIREZIONE E COORDINAMENTO ALLA LUCE DELLA RIFORMA SOCIETARIA ATTUATA CON IL D.LGS 17 GENNAIO 2003, N.6

1.1. Introduzione………..3 1.2. Il controllo e la nozione di “influenza dominante”……….……..6 1.3. La responsabilità della capogruppo………...12 1.4. La legittimazione attiva e passiva: analisi dell'art. 2497, comma terzo, c.c. ………...18 1.5. L'interesse di gruppo e i vantaggi compensativi………23 1.6. Il recesso del socio esterno e l'ipotesi prevista all'art. 2497 quater lett. a)……….27 1.6.1. Le previsioni dell'art. 2497 quater lett. c)……….31 1.6.2. L'ultima ipotesi di recesso: l'art. 2497 quater lett. b)……..34 1.7. Altri aspetti della nuova normativa: il principio di trasparenza……….37 1.8. La disciplina dei finanziamenti infragruppo………...41

II - IL GRUPPO PARITETICO

2.1. Premessa. Il gruppo paritetico nell'esperienza italiana…………..43 2.2. Il contratto di collegamento paritario………45 2.2.1. Indispensabilità del contratto associativo come presupposto del gruppo paritetico………..47 2.2.2. Contratto di collegamento paritario e consorzio….49 2.3. La formazione della volontà nel gruppo paritetico……….……...52 2.4. L'organizzazione interna: il comitato di direzione……….55 2.5. Conflitto di interessi e vantaggi compensativi………...58 2.6. I possibili rimedi per la società pregiudicata e la responsabilità nel contratto di collegamento………..60 2.7. Mutualità e gruppi: la nuova figura del gruppo cooperativo

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paritetico………63

2.7.1. Il contratto istituivo del gruppo cooperativo paritetico………...66

2.7.2. La disciplina applicabile al gruppo cooperativo paritetico………...71

III - ARTICOLO 2497 SEPTIES C.C.: APERTURE VERSO IL GRUPPO CONTRATTUALE GERARCHICO 3.1. La dubbia interpretazione dell'articolo 2497 septies c.c………….74

3.2. L'ambito oggettivo della fattispecie ex art. 2497 septies c.c. e il controllo contrattuale ai sensi dell'art. 2359 c.c………...77

3.3. La disciplina tedesca: il Beherrschungsvertrag………79

3.4.I problemi e le difficoltà attuative del Beherrschungsvertrag……..83

3.5. Configurazione e limiti del contratto di dominio debole………...84

3.6. Il ruolo degli organi della società controllata………...….87

3.7. La tutela dell'interesse sociale………...89

3.8. I possibili contenuti del contratto di dominio debole………91

3.9. Il regolamento di gruppo………...94

Considerazioni conclusive ……….97

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CAPITOLO I

L'ATTIVITA' DI DIREZIONE E COORDINAMENTO ALLA LUCE DELLA RIFORMA SOCIETARIA ATTUATA CON IL D.LGS 17 GENNAIO 2003, N.6

Sommario: 1.1. Introduzione; 1.2. Il controllo e la nozione di

“influenza dominante”; 1.3. La responsabilità della capogruppo; 1.4. La legittimazione attiva e passiva: analisi dell'art. 2497, comma terzo, c.c. 1.5. L'interesse di gruppo e i vantaggi compensativi; 1.6. Il recesso del socio esterno e l'ipotesi prevista all'art. 2497 quater lett. a); 1.6.1. Le previsioni dell'art. 2497 quater lett. c); 1.6.2. L'ultima ipotesi di recesso: l'art. 2497 quater lett. b) 1.7. Altri aspetti della nuova normativa: il principio di trasparenza; 1.8. La disciplina dei finanziamenti infragruppo.

1.1. Introduzione

Il D.lgs. 17 gennaio 2003 n.6 – Riforma organica della disciplina delle società di capitali e società cooperative- in attuazione della legge delega n.366/2001, ha profondamente modificato il sistema normativo in materia societaria. Uno degli aspetti più rilevanti della riforma è senza dubbio l'introduzione di una specifica regolamentazione in tema di gruppi di società, attraverso l'inserimento del Capo IX, intitolato

Direzione e coordinamento di società, all'interno del Titolo V del

Codice civile, introduzione che si configura certamente come necessaria in quanto da sempre l'esperienza ha mostrato che l'originaria impostazione del codice civile risultasse insoddisfacente a disciplinare la moltitudine di forme assunte nella realtà dal fenomeno in questione. Prima di entrare nel vivo dell'analisi, è dato osservare che il legislatore della riforma si astiene dal fare menzione al “gruppo di società”, facendo invece esplicito riferimento soltanto all'attività di direzione e coordinamento, senza però approfondire il significato della locuzione

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utilizzata1. Le ragioni di opportunità di questa scelta risultano chiare alla lettura della Relazione al decreto legislativo, che precisa: «si è innanzi tutto ritenuto non opportuno dare o richiamare una qualunque nozione di gruppo o di controllo, e per due ragioni: è chiaro da un lato che le innumerevoli definizioni di gruppo esistenti nella normativa di ogni livello sono funzionali a problemi specifici; ed è altrettanto chiaro che qualunque nuova nozione si sarebbe dimostrata inadeguata all'incessante evoluzione della realtà sociale, economica e giuridica.»2 Il termine “direzione unitaria” è stato utilizzato per la prima volta dal legislatore tedesco (“einheitliche Leitung” § 18, Abs. 1, Aktiengesetz), ma non diversamente dal legislatore italiano, si è astenuto dal definirne il concetto. Anche nell'esperienza tedesca, dunque, il merito dell'elaborazione della nozione è da attribuire a dottrina e giurisprudenza, le quali sono giunte alla conclusione che essa si sostanzia “nell'esercizio effettivo del potere di una società o ente di

dirigere e coordinare altre società o enti secondo un progetto unitario”.

Ed è proprio alla ricostruzione effettuata dalla dottrina tedesca che i nostri interpreti hanno fatto riferimento nell'effettuare un inquadramento generale del concetto di “direzione unitaria”3. Dall'analisi dei risultati raggiunti è apparso evidente come non sia sufficiente a configurare un'attività di direzione e coordinamento il mero atto di “controllo” propriamente inteso, vale a dire un'influenza esplicata tramite l'esercizio del voto, esclusivamente a livello assembleare della società controllata. Si richiede piuttosto che “la società (...) in posizione di controllo ponga in essere un'attività di coordinamento e di indirizzo: attività che – pur presupponendoli – non si esaurisce nei singoli atti di esercizio dei diritti sociali inerenti alle diverse partecipazioni di controllo: non si risolve quindi nella mera gestione delle partecipazioni stesse, bensì esprime

1 L'espressione “direzione e coordinamento” era stata precedentemente utilizzata

nel nostro ordinamento dall'art. 61, comma 4, del Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (D. Lgs. n. 385 del 1993).

2 V. Relazione al decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 6. Riforma organica della

disciplina delle società di capitali e società cooperative, in attuazione della legge 3 ottobre 2001, n. 366.

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(…) un valore ulteriore rispetto ad essi”4. A suffragio di quest'orientamento, merita di essere riportata una sentenza del Tribunale di Torino, nella quale si legge che “la società capogruppo pone in essere una pluralità sistematica e costante di atti di indirizzo idonei ad incidere sulle decisioni gestorie dell’impresa, cioè sulle scelte strategiche ed operative di carattere finanziario, industriale, commerciale che attengono alla conduzione degli affari sociali. Parimenti la direzione unitaria è ravvisabile ogni qualvolta si ravvisi una serie di atti teleologicamente diretti alla realizzazione dell’interesse alla produzione di nuova ricchezza (interesse imprenditoriale), appunto, della società o ente capogruppo che agisce (interesse proprio) e/o delle società che vengono gestite (interesse altrui).”5

Anche il Tribunale di Roma è intervenuto sul punto e sulla scorta delle ricostruzioni della prevalente dottrina, è giunto ad affermare che “la direzione unitaria consiste nell'imposizione agli organi direttivi della società controllata di decisioni provenienti dalla società dominante e si traduce in direttive impartite dalla holding. Essa si sostanzia in un flusso costante di istruzioni che la holding impartisce alla controllata su modalità gestionali, sul reperimento di mezzi finanziari, su politiche di bilancio, sulla scelta dei contraenti ecc.”6.

Effettuate queste considerazioni preliminari, si può concludere che il

corpus normativo contenuto negli artt. 2497 ss., c.c. si fonda su un

“principio di effettività” (l'attività di direzione e coordinamento) in virtù del quale «ciò che rileva non è la mera possibilità di esercitare un’influenza dominante su una o più società, ma l’esercizio effettivo di tale influenza attraverso un’attività di direzione e coordinamento.»7

4G. SCOGNAMIGLIO, Autonomia e coordinamento nella disciplina dei gruppi di

società, Torino, 1996, p. 39.

5 Trib. di Torino, sez. I, 21 dicembre 2012 in DeJure – Giuffrè. 6 Trib. di Roma, 17 luglio 2007, in Riv. dir. comm., 2008, II, 211.

7 ASSONIME, Direzione e coordinamento di società. Profili di organizzazione e

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1.2. Il controllo e la nozione di “influenza dominante”

Il legislatore della riforma – muovendo dal presupposto che il fenomeno disciplinato si fonda su un “principio di effettività”- per aggirare l'ostacolo derivante dalla ovvia difficoltà di fornire una prova riguardo all'effettivo esercizio di un'attività di direzione e coordinamento da parte di una società o un ente, ha fondato il sistema su un meccanismo di presunzioni: l'art. 2497-sexies c.c. introduce, infatti, una presunzione

relativa8, stabilendo che “ai fini di quanto previsto nel presente capo, si

presume salvo prova contraria che l'attività di direzione e coordinamento di società sia esercitata dalla società o ente tenuto al consolidamento dei loro bilanci o comunque le controllino ai sensi dell'art. 23599.”

In base all'attuale disciplina dunque il rapporto di controllo societario è indice presuntivo ma non sufficiente ad affermare l'esistenza di un gruppo di società10 in quanto il gruppo implica il controllo, ma

8 Analogamente è previsto nell'ordinamento tedesco, dove si stabilisce

nell'Aktiengesetz del 1965 ai sensi del §18, Abs.1, ultima parte «Von einem abhängigen Unternehmen wird vermutet, daß es mit dem herrschenden Unternehmen einen Konzern bildet.».

9 Si riporta l'art. 2359 c.c.

“Art. 2359. Società controllate o società collegate.

Sono considerate società controllate:

1) le società in cui un'altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell'assemblea ordinaria;

2) le società in cui un'altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un'influenza dominante nell'assemblea ordinaria;

3) le società che sono sotto influenza dominante di un'altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa.

Ai fini dell'applicazione dei numeri 1) e 2) del primo comma si computano anche i voti spettanti a società controllate, a società fiduciarie e a persona interposta: non si computano i voti spettanti per conto di terzi.

Sono considerate collegate le società sulle quali un'altra società esercita un'influenza notevole. L'influenza si presume quando nell'assemblea ordinaria può essere esercitato almeno un quinto dei voti ovvero un decimo se la società ha azioni quotate in mercati regolamentati.”

10 Come si preciserà nel secondo capitolo della presente trattazione, ai sensi

dell'art. 2497-septies “Le disposizioni del presente capo (i.e. Capo IX) si applicano altresì alla società o all'ente che, fuori dalle ipotesi di cui all'articolo 2497 sexies, esercita attività di direzione e coordinamento di società sulla base di un contratto con le società medesime o di clausole dei loro statuti.”. In altri termini, trovano applicazione anche ai gruppi in cui la direzione unitaria non trova la sua fonte in un rapporto di controllo, ma in un rapporto contrattuale con cui più società si impegnano in maniera stabile e duratura a conformarsi ad una direzione concertata, in una situazione di parità.

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l’esistenza del controllo, isolatamente considerato, non produce

un automatismo circa l’esistenza di un gruppo di società, rendendosi necessaria, in primis, la prova dell’effettivo esercizio del potere di direzione unitaria ed essendo ammessa, in secundis, la prova contraria del mancato esercizio della stessa, pur in presenza di una relazione di controllo. La stessa giurisprudenza è ben decisa nel distinguere nettamente l'attività di direzione e coordinamento e il controllo societario. Basti citare, fra le tante, la pronuncia del Tribunale di Palermo, che si esprime in questi termini: «Difatti, la direzione e il coordinamento si concreta in qualcosa di più intenso rispetto al mero controllo; ciò che rileva non è la mera possibilità di esercitare un’influenza dominante su una o più società, ma l’esercizio effettivo di tale influenza attraverso un’attività di direzione e coordinamento. Il rapporto tra le norme viene risolto, quindi, esaminando il binomio controllo – direzione. Tale presunzione non deve essere considerata esaustiva, ma al contrario esplicita una delle possibili ipotesi dell’attività di direzione e coordinamento, che potrebbe esistere anche al di fuori di una stretta nozione di controllo e, quindi, anche in presenza di partecipazioni minoritarie e/o indirette, con l’effetto che non può essere associata la direzione e coordinamento al solo concetto di controllo.»11

Un sistema così strutturato rende possibile l'applicazione al fenomeno in questione sia della disciplina ante riforma, regolante i rapporti tra società controllate e società controllante, sia delle norme introdotte dalla riforma del 2003 rivolte specificatamente alle società o enti che esercitano attività di direzione e coordinamento di altre società12. Si precisa che la disciplina contenuta negli artt. 2497 ss., c.c. si applica ad ogni “società di gruppo” a prescindere dal tipo societario prescelto, fondamentale differenza rispetto alla scelta operata dal legislatore tedesco, il quale ha previsto una disciplina specifica solo per le società per azioni ed in accomandita per azioni, rimettendo alla dottrina il

11 Trib. di Palermo, 15 giugno 2011, in Foro it., 2011, 3184.

12 G. F. CAMPOBASSO, Diritto commerciale 2. Diritto delle società, 8°ed.,Torino,

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compito di elaborare un diritto dei gruppi specifico per le società a responsabilità limitata e per le società di persone, nonché per gli enti non societari13. Le norme nazionali sull’attività di direzione e coordinamento sono perciò destinate a convivere con quelle di diritto comune delle società dando vita ad una regolamentazione complessa di cui può astrattamente essere destinataria ogni tipo di società e ogni impresa anche non societaria14.

Prescindendo dall'analisi del controllo di tipo contrattuale, di cui all'art. 2359, comma 1, n.3), c.c., che sarà oggetto di studio del terzo capitolo, l'attenzione in questa sede si concentrerà sul c.d. gruppo di società a

struttura gerarchica intendendo per tale “un insieme di società

controllate direttamente o indirettamente da un medesimo vertice, la c.d. società madre o capogruppo, e sottoposte per questa via ad una direzione unitaria”15. In particolare, il riferimento va ai gruppi fondati sul c.d. controllo di diritto – ipotesi in cui la società controllante dispone direttamente o indirettamente della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria – e sul c.d. controllo di fatto – che si verifica quando la società controllante dispone dei voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’organo deliberante – previsti all'art. 2359, comma 1, nn. 1) e 2), c.c.

Approdati alla conclusione che la struttura di gruppo si basa sulla presenza di una situazione di controllo tra due o più società, ciò che adesso preme accertare è che cosa si intenda per “società controllante” e “società controllata”, analisi di non facile soluzione, difronte ad una situazione normativa, in prima battuta, tutt'altro che chiara16. Punto di partenza dell'indagine è certamente la constatazione che il “controllo” si

13 U. TOMBARI, Diritto dei gruppi di imprese, cit., p. 22.

14 A. ZOPPINI - U. TOMBARI, che definiscono la disciplina della direzione e

coordinamento di società, transtipica, Intestazione fiduciaria e nuova disciplina dei

gruppi di società, in Contratto e impresa, 2004, 3, 1105.

15 U. TOMBARI, Il gruppo di società, cit., p.1.

16 È quanto fa notare U.TOMBARI, Il gruppo di società, cit., p. 32, che scrive “Il

compito non si presenta, a prima vista, del tutto agevole. Nel nostro ordinamento manca, infatti, una definizione esplicita di società controllante e controllata; le nozioni di controllo, da quella di cui all'art. 2359 c.c. fino a quelle contenute nelle leggi speciali, si limitano ad enunciare una serie di ipotesi nelle quali esso viene considerato esistente, rinunziando ad ogni tentativo di definirlo nei suoi connotati essenziali, e demandando, quindi, all'interprete questo non facile compito.”

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identifica sempre con un “potere di influenza dominante”17. Per determinare dunque il concetto di influenza dominante risulta fondamentale lo studio delle presunzioni legali previste in tema di controllo, poiché, anche in questo caso, il nostro legislatore risulta consapevole circa la difficoltà di provare un fatto così facilmente equivocabile come l'influenza dominante18.

La prima presunzione in tema di controllo da cui partire è inevitabilmente l'art. 2359, primo comma, n.1), c.c., il quale stabilisce che «sono considerate società controllate le società in cui un'altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell'assemblea ordinaria»19. Dalla lettura di questa disposizione risulta chiaro che il legislatore abbia voluto rendere possibile l'individuazione del controllo societario, collegandolo ad un fatto facilmente constatabile – la detenzione della maggioranza dei voti esercitabili nell'assemblea ordinaria – invece che ancorare tale individuazione ad un fatto di difficile accertamento, quale l'influenza dominante20. La ragione di una tale scelta discende dal “presupposto – in linea di massima non controvertibile – secondo cui la disponibilità della maggioranza dei voti consente all'azionista di nominare o l'amministratore unico o l'intero consiglio di amministrazione, nonché l'organo di controllo della società” con l'ovvia conseguenza di consentire alla società controllante “di orientare l'attività della società controllata verso linee di programmazione economica e finanziaria da essa prestabilite”21.

Proseguendo nell'analisi dei dati di diritto positivo che il nostro ordinamento ci offre, dobbiamo adesso fare riferimento all'art. 26, comma secondo, del D. Lgs. n.127 del 199122, il quale prevede due

17 U.TOMBARI, Il gruppo di società, cit., p.34.

18 Vedi U.TOMBARI, Il gruppo di società, cit., nota 81, p.43.

19 Si tratta di una presunzione considerata ormai pressoché pacificamente assoluta,

non dissimile da quella prevista nell'ordinamento tedesco. Il riferimento è al § 17

Abs. 2 AktG, che stabilisce «Von einem in Mehrheitsbesitz stehenden

Unternehmen wird vermutet, daß es von dem an ihm mit Mehrheit beteiligten Unternehmen abhängig ist.».

20 U. TOMBARI, Il gruppo di società, cit., p.43. 21 AA.VV., Diritto commerciale, Bologna, p.621.

22 In attuazione delle Direttive n. 78/660/CEE e n. 83/349/CEE in materia societaria,

relative ai conti annuali e consolidati, ai sensi dell'art. 1, comma 1, della legge 26 marzo 1990, n. 69.

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ulteriori presunzioni assolute23. Si stabilisce, infatti, che « Agli stessi effetti sono in ogni caso considerate controllate:

a) le imprese su cui un'altra ha il diritto, in virtù di un contratto o di una clausola statutaria, di esercitare un'influenza dominante, quando la legge applicabile consenta tali contratti o clausole;

b) le imprese in cui un'altra, in base ad accordi con altri soci, controlla da sola la maggioranza dei diritti di voto.»

Anche nelle ipotesi ivi contemplate la disciplina del controllo societario è resa applicabile in virtù di elementi diversi dal controllo, ma più facilmente individuabili: nella fattispecie a) “un contratto o una clausola statutaria” che rendano possibile l'esercizio di un'influenza dominante – così ribadendo l'implicazione tra controllo e influenza dominante; nella fattispecie b) “accordi con altri soci” che consentano ad un'impresa il controllo della maggioranza dei diritti di voto in un'altra impresa24. Solo a titolo di completezza espositiva25 si ricordano tre ulteriori presunzioni, in questo caso relative, rinvenibili nel nostro ordinamento in materia di controllo societario. Si fa riferimento alla l. n. 416 del 198126 (Disciplina delle imprese editrici e provvidenze per l'editoria),

23 Di diverso avviso è M. LAMANDINI, Il “controllo”. Nozioni e “tipo” nella

legislazione economica, Milano, 1995, p. 76, il quale ritiene che le presunzioni in

esame siano da considerarsi relative perché “se l'art. 26 del d.lgs. 127/1991, ai fini della delimitazione dell'area di consolidamento, prevede individuazioni che si direbbero assolute di controllo” l'art. 28, secondo comma, lett. b) “esclude l'applicazione della disciplina del consolidato quando, al di là di una ricorrenza meramente nominalistica del controllo (potenziale), l'esercizio effettivo dei diritti della controllante è soggetto a gravi e durature restrizioni”.

24 U.TOMBARI, Il gruppo di società, cit., p.44.

25 Come osservato da U. TOMBARI, Il gruppo di società, cit., p.47, “le proposizioni

normative in questione sono, tuttavia, di scarsa utilità ai fini dell'individuazione dei connotati essenziali dell'influenza dominante”.

26 L'art. 1, comma 8, così come modificato dalla l.67/87 stabilisce che « Si ritiene

esistente, salvo prova contraria, l’influenza dominante prevista dal primo comma dell’articolo 2359 del codice civile quando ricorrano rapporti di carattere finanziario o organizzativo che consentono:

a) la comunicazione degli utili o delle perdite; ovvero

b) il coordinamento della gestione dell’impresa editrice con quella di altre imprese ai fini del perseguimento di uno scopo comune o ai fini di limitare la concorrenza tra le imprese stesse; ovvero

c) una distribuzione degli utili o delle perdite diversa, quanto ai soggetti o alla misura, da quella che sarebbe avvenuta in assenza dei rapporti stessi; ovvero d) l’attribuzione di poteri maggiori rispetto a quelli derivanti dal numero delle azioni o delle quote possedute; ovvero

e) l’attribuzione a soggetti diversi da quelli legittimati in base all’assetto proprietario di poteri nella scelta degli amministratori e dei dirigenti delle imprese editrici nonché dei direttori delle testate edite.»

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alla l. n.223 del 199027 (Disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e privato) ed infine al T.U.28 in materia bancaria.

Dal quadro normativo tracciato possiamo desumere il concetto di influenza dominante come coincidente “con il potere di una società di determinare l'attività di un'altra società”29.

È definibile dunque “società controllante” la società in grado di realizzare la situazione di potere sopra delineata, nei confronti di altra

27 Si riporta l'art. 37: «Ai fini della presente legge costituiscono controllo e

collegamento la sussistenza dei rapporti configurati come tali nell'articolo 2359 del codice civile, ancorché tali rapporti siano realizzati congiuntamente con altri soggetti tramite società direttamente o indirettamente controllate o tramite intestazione fiduciaria o mediante accordi parasociali. Si ritiene esistente, salvo prova contraria, l'influenza dominante prevista dal primo comma dell'articolo 2359 del codice civile quando ricorrano rapporti di carattere finanziario o organizzativo che consentano anche una sola delle seguenti attività.

1. la comunicazione degli utili o delle perdite;

2. il coordinamento della gestione dell'impresa radiotelevisiva con quella di altre imprese ai fini di limitare la concorrenza tra le imprese stesse;

3. una distribuzione degli utili o delle diversa, quando ai soggetti o alla misura, da quella che sarebbe avvenuta in assenza dei rapporti stessi;

4. l'attribuzione di poteri maggiori rispetto a quelli derivanti dal numero delle azioni o delle quote possedute;

5. l'attribuzione a soggetti diversi da quelli legittimati in base all'assetto proprietario di poteri nella scelta degli amministratori e dei dirigenti di imprese radiotelevisive, nonché dei direttori delle testate trasmesse.»

28 L'art. 23, comma secondo, stabilisce che «Il controllo si considera esistente nella

forma dell'influenza dominante, salvo prova contraria, allorché ricorra una delle seguenti situazioni:

1) esistenza di un soggetto che, sulla base di accordi, ha il diritto di

nominare o revocare la maggioranza degli amministratori o del consiglio di sorveglianza ovvero dispone da solo della maggioranza dei voti ai fini delle deliberazioni relative alle materie di cui agli articoli 2364 e 2364-bis del codice civile;

2) possesso di partecipazioni idonee a consentire la nomina o la revoca della maggioranza dei membri del consiglio di amministrazione o del consiglio di sorveglianza;

3) sussistenza di rapporti, anche tra soci, di carattere finanziario ed organizzativo idonei a conseguire uno dei seguenti effetti:

a) la trasmissione degli utili o delle perdite;

b) il coordinamento della gestione dell'impresa con quella di altre imprese ai fini del perseguimento di uno scopo comune;

c) l'attribuzione di poteri maggiori rispetto a quelli derivanti dalle partecipazioni possedute;

d) l'attribuzione, a soggetti diversi da quelli legittimati in base alla titolarità delle partecipazioni, di poteri nella scelta degli

amministratori o dei componenti del consiglio di sorveglianza o dei dirigenti delle imprese;

4) assoggettamento a direzione comune, in base alla composizione degli organi amministrativi o per altri concordanti elementi.»

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società, a prescindere dai mezzi con cui tale dominio si realizza, purché in capo ad essa siano accentrate una serie di funzioni (definibili finanziarie) quali la pianificazione degli investimenti e l'allocazione di risorse – in generale la gestione della tesoreria – che si configurano come presupposto di tutte le altre funzioni imprenditoriali30. Si può concludere, quindi, che il controllo in quanto fonte del potere di direzione unitaria, che costituisce l’essenza del fenomeno aggregativo dei gruppi di società, rileva sotto l’assetto potenziale, cioè come mera possibilità di esercitare l’influenza dominante su una o più società; mentre il gruppo è l’effetto dell’impiego di tale influenza, attraverso l’esercizio concreto dell’attività di direzione e coordinamento di società.31

1.3. La responsabilità della capogruppo

La nuova disciplina contenuta negli artt. 2497 ss., c.c., accorda preminente rilievo al profilo della responsabilità da direzione e coordinamento di società. Tale rilevanza risulta evidente dalla constatazione che il capo IX si apra proprio con un articolo (v. art. 2497 c.c.32) rubricato «Responsabilità». Come evidenziato dalla dottrina,

30 Così, G. SCOGNAMIGLIO, Autonomia e coordinamento nella disciplina dei

gruppi di società, cit., p.36. Sui limiti di tale “accentramento” in capo alla holding

delle funzioni gestionali si rinvia al paragrafo successivo.

31 ZOPPINI-TOMBARI, Intestazione fiduciaria e nuova disciplina dei gruppi di

società, cit., p. 1105.

32 «Art. 2497 c.c.: Le società o gli enti che, esercitando attività di direzione e

coordinamento di società, agiscono nell'interesse imprenditoriale proprio o altrui in violazione dei princìpi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società medesime, sono direttamente responsabili nei confronti dei soci di queste per il pregiudizio arrecato alla redditività ed al valore della partecipazione sociale, nonché nei confronti dei creditori sociali per la lesione cagionata all'integrità del patrimonio della società. Non vi è responsabilità quando il danno risulta mancante alla luce del risultato complessivo dell'attività di direzione e coordinamento ovvero integralmente eliminato anche a seguito di operazioni a ciò dirette. Risponde in solido chi abbia comunque preso parte al fatto lesivo e, nei limiti del vantaggio conseguito, chi ne abbia consapevolmente tratto beneficio.

Il socio ed il creditore sociale possono agire contro la società o l'ente che esercita l'attività di direzione e coordinamento, solo se non sono stati soddisfatti dalla società soggetta alla attività di direzione e coordinamento.

Nel caso di fallimento, liquidazione coatta amministrativa e amministrazione straordinaria di società soggetta ad altrui direzione e coordinamento, l'azione spettante ai creditori di questa è esercitata dal curatore o dal commissario liquidatore o dal commissario straordinario.»

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questa scelta legislativa non risultava essere sollecitata dalla legge delega n. 366 del 2001, che all'art. 1033 nulla diceva in merito al profilo della responsabilità34, enunciando piuttosto principi di trasparenza e forme di pubblicità dell'appartenenza al gruppo.

Ragioni storicamente sollevate dalla dottrina italiana hanno portato il legislatore delegato a discostarsi dall'impostazione della legge di delega. In particolare, è stato da sempre avvertito come problema cruciale del fenomeno dei gruppi la necessità di tutelare i soci esterni, intendendo per tali i soci estranei alla compagine di controllo, e i creditori delle società controllate35. Tuttavia, la soluzione normativa prospettata dal nostro ordinamento giuridico fino alla riforma del 2003 si poneva in linea con il generale sentimento di incertezza riguardo al fenomeno del gruppo, nell'assenza di una specifica disciplina, tanto che “invece di colpire direttamente il centro di interessi alla base della direzione unitaria foriera di danno, la reazione normativa ad essa (…) finiva per “degradare” l'eterodirezione a mera vicenda extrasociale: a referente, cioè, del conflitto di interessi rimproverato agli amministratori della controllata che, nell'assecondarla, l'avessero anteposta al perseguimento dell'isolato interesse sociale della società da essi gestita.”36 Evoluzioni normative che andassero nella direzione dell'attuale disciplina sono state compiute, prima, dalla l. n. 95 del 1979 (detta anche “legge Prodi”), poi, dal d.lgs. n. 270 del 1999 (comunemente chiamato “legge Prodi bis”, abrogativo della precedente disciplina), recante disposizioni in tema di amministrazione

33 L'art. 10 della l. n.366/2001 stabiliva «La riforma in materia di gruppi è ispirata

ai seguenti princìpi e criteri direttivi: a) prevedere una disciplina del gruppo secondo princìpi di trasparenza e tale da assicurare che l’attività di direzione e di coordinamento contemperi adeguatamente l’interesse del gruppo, delle società controllate e dei soci di minoranza di queste ultime; b) prevedere che le decisioni conseguenti ad una valutazione dell’interesse del gruppo siano motivate; c) prevedere forme di pubblicità dell’appartenenza al gruppo; d) individuare i casi nei quali riconoscere adeguate forme di tutela al socio al momento dell’ingresso e dell’uscita della società dal gruppo, ed eventualmente il diritto di recesso quando non sussistono le condizioni per l’obbligo di offerta pubblica di acquisto.»

34 A. VALZER, La responsabilità da direzione e coordinamento di società, in

Diritto commerciale Interno e Internazionale diretto da P. Abbadessa, C. Angelici,

A. Mazzoni, Torino, 2011, p.2-3.

35 A. VALZER, La responsabilità da direzione e coordinamento di società, cit., p.5. 36 Così, A. VALZER, La responsabilità da direzione e coordinamento di società, cit.,

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straordinaria delle grandi imprese insolventi. All'art. 90, rubricato

“Responsabilità nei casi di direzione unitaria”, la legge Prodi bis

stabilisce che «nei casi di direzione unitaria delle imprese del gruppo, gli amministratori delle società che hanno abusato di tale direzione rispondono in solido con gli amministratori della società dichiarata insolvente dei danni da questi cagionati alla società stessa in conseguenza delle direttive impartite.» È solo però con la riforma del diritto societario, definita da alcuni “una vera e propria rivoluzione copernicana”,37 che si elimina ogni dubbio residuo sulla responsabilità della società controllante, responsabilità che sussiste in caso di «violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società medesime».38Dunque se, da un lato, la norma in questione – letta come regola “in positivo” – presuppone la legittimità dell'attività di direzione e coordinamento, dall'altro lato, vincola tale legittimità al rispetto dei “principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale” delle società controllate39, principi che risulterebbero violati nel momento in cui la società capogruppo abbia agito anteponendo l'interesse imprenditoriale proprio o altrui all'interesse della società figlia40. Passando ad una più dettagliata analisi dell'art. 2497 c.c., si nota chiaramente come la disciplina in questione sia ispirata ad una logica di compromesso, cercando di trovare il punto di equilibrio tra la visione economicamente unitaria del gruppo e la valorizzazione della distinta soggettività giuridica delle società che ne fanno parte. In virtù del

37 L'espressione è di P.ABBADESSA, La responsabilità della società capogruppo

verso la società abusata: spunti di riflessione, in Banca, borsa e titoli di credito,

fasc.3, 2008, p.279.

38 A. JORIO, I gruppi, in La riforma delle società. Profili della nuova disciplina, S.

AMBROSINI (diretto da), Torino, 2003, p. 200.

39 U. TOMBARI, Diritto dei gruppi di imprese, cit., p. 35-36.

40 A. VALZER, Il potere di direzione e coordinamento di società tra fatto e

contratto, in Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gian Franco Campobasso, diretto da P. Abbadessa e G.B. Portale, Torino, 2007, p. 851. Questa

è stata una delle prime interpretazioni della norma. Come fa però notare l'autore (nt.34), se autorevole dottrina concorda con questa linea interpretativa, altri autori hanno sostenuto diversamente. Il riferimento è a CARIELLO che sostiene che “se si assume che il perseguire un interesse immediato ovvero mediato di gruppo (…) non è agire di per sé giudicabile in violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale ecco che il semplice e isolato agire nell'interesse imprenditoriale proprio o altrui nell'esercizio dell'attività di direzione e coordinamento non è per ciò solo valutabile come integrante gli estremi della violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale”.

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principio di esclusività del potere degli amministratori di assumere le decisioni che incidano direttamente sulla conduzione della società (v. art. 2380 bis c.c.), le direttive strategiche che promanano dalla capogruppo non possono spingersi fino a sostituire l'attività degli amministratori delle singole società. Ed è in questa logica che si è posta la necessità di configurare forme di responsabilità a carico della capogruppo nell'ipotesi di un esercizio patologico dell'attività di direzione e coordinamento. Si presuppongono dunque come elementi essenziali ai fini dell'applicazione della fattispecie in questione:

1) l'attività di direzione e coordinamento esercitata dalla società capogruppo;

2) l'esercizio di tale attività “in funzione dell'interesse imprenditoriale proprio o altrui”;

3) la “violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale” nei confronti della società eterodiretta;

4) il pregiudizio nei confronti dei soci esterni e dei creditori delle società figlie rispettivamente “alla redditività e al valore della partecipazione sociale” e “all'integrità del patrimonio della società”. La domanda che adesso si pone all'interprete è se sia da annoverarsi fra gli elementi costitutivi della fattispecie anche l'elemento soggettivo del dopo o della colpa. Tale interrogativo potrà avere risposta solo a seguito di un'indagine circa la natura – contrattuale o extracontrattuale – della responsabilità di cui all'art. 2497 c.c.41.

Dottrina e giurisprudenza hanno a lungo dibattuto al riguardo, soprattutto in considerazione del fatto che, a seconda dell'orientamento adottato, si capovolgono le conseguenze in tema di onere della prova42. Volendo seguire le linee guida fornite dalla Relazione illustrativa al

41 Vedi U. TOMBARI, Diritto dei gruppi di imprese, cit., p. 38-39.

42 In particolare, in caso di responsabilità contrattuale, spetterà al creditore (nel caso

di specie la società figlia danneggiata) dimostrare la fonte legale dell'obbligazione (i.e. la direzione unitaria) e il danno subito, mentre sarà a carico del debitore (la società controllante) la dimostrazione della prova contraria (i.e. la dimostrazione che l'operazione posta in essere non abbia violato i principi di corretta gestione imprenditoriale e societaria o, comunque, l'assenza del danno in virtù del criterio dei vantaggi compensativi). Nell'ipotesi opposta, cioè aderendo alla tesi della responsabilità aquiliana, si porrà a carico dell'attore- società figlia, non solo la prova del pregiudizio subìto, ma l'ulteriore dimostrazione dell'elemento soggettivo, dolo o colpa, in capo alla società controllante.

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D.lgs. n.6/2003, dovremmo considerare la responsabilità in esame come extracontrattuale, in quanto si legge chiaramente che “la responsabilità (…) è di stampo aquiliano”.

Questa soluzione era già stata prospettata - ci si riferisce in particolare a Galgano43- prima ancora della riforma, sulla scorta dei principi generali, fondando la pretesa dei creditori delle società figlie, le cui ragioni di credito siano state danneggiate dalle direttive pregiudizievoli della controllante, sul presupposto che nel nostro ordinamento si considera produttiva di danno ingiusto ex art. 2043 c.c., non solo la lesione del credito in senso stretto, ma anche la lesione dell'aspettativa del creditore alla prestazione per fatto di terzo.44 A fortiori, sempre muovendo dall'art. 2043 c.c., risultava fondata la pretesa degli azionisti della controllata nei confronti della holding, in quanto saremmo di fronte alla lesione inferta ad un diritto assoluto (la lesione al bene-azione) e la giurisprudenza ha da sempre ammesso che è danno ingiusto il deprezzamento del bene causato dal fatto doloso o colposo altrui.45 Lo stesso autore scrive, successivamente alla riforma, che gli amministratori della società controllante autori dell'abuso sarebbero investiti di una vera e propria responsabilità aquiliana nei confronti della società controllata, estensibile alla controllante stessa in forza del rapporto organico o, se si preferisce ai sensi dell'art. 2049 c.c.46. A suffragio di tale orientamento è stata addotta anche la considerazione che ai soci e ai creditori delle società controllate sarebbe riconosciuto non un diritto all'adempimento di un obbligo di corretta gestione, bensì soltanto un diritto al risarcimento di un danno da illecito47. Infine il dato

43 Vedi, ad esempio, F.GALGANO, La società per azioni, in Trattato di diritto

commerciale e di diritto pubblico dell'economia Vol. II, Padova, 1988, p. 190.

44 Nel caso di specie sarebbe la holding a configurarsi come “terzo” rispetto alle obbligazioni contrattuali delle società figlie e che si esporrebbe dunque all'obbligo risarcitorio ai sensi dell'art. 2043 c.c., se a causa delle direttive pregiudizievoli, il patrimonio delle società controllate risulti depauperato, ponendole nell'impossibilità di adempiere agli obblighi contrattuali assunti.

45 F. GALGANO, La società per azioni, cit., pp.25-26.

46 F. GALGANO, Direzione e coordinamento di società, in Commentario

Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 2005, p.101 ss.

47 M. MAGGIOLO, L’azione di danno contro la società o ente capogruppo, in

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letterale sembrerebbe pendere a favore della ricostruzione in chiave aquiliana della responsabilità ex art. 2497 c.c., in quanto viene utilizzato lo stesso schema degli elementi tipici previsto dall'art. 2043 c.c.: la “condotta illecita” (la violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale), “il danno ingiusto” e il “nesso causale” (il legislatore, infatti, utilizza il verbo “cagionare”).48

A parer di chi scrive sembra invece preferibile l'inquadramento della responsabilità in esame in termini di responsabilità contrattuale. Autorevole dottrina argomenta sostenendo che l'art. 2497 c.c. non pone un generale principio di neminem laedere, specificando invece quali obblighi si configurino a capo della società holding ( il rispetto dei principi di “corretta gestione societaria e imprenditoriale”), venendosi dunque a configurare una responsabilità contrattuale per violazione di “obblighi giuridici preesistenti”.49 Scrive infatti Abbadessa che “il quadro regolamentare disegnato dall'art. 2497 c.c. (…) sanziona la direzione unitaria abusiva intestando, in via principale, alla società capogruppo una responsabilità (per violazione del canone di correttezza e, pertanto) di natura contrattuale verso gli azionisti “esterni” ed i creditori della società abusata ed estendendo, in immediata successione, la stessa a “chi abbia comunque preso parte al fatto lesivo”, amministratori della capogruppo in primo luogo”.50 Come già osservato, infatti, l'articolo in esame delinea un potere legittimo e disciplinato dalla legge51, se letto in chiave “positiva”, ma è nel rispetto degli obblighi legali previsti che si configura il limite all'esercizio dell'attività di direzione e coordinamento. E l'art. 2497 c.c. nient'altro è che una disposizione a tutela dei soci di minoranza e dei creditori delle società

48 Vedi, ad esempio, G. Sbisà (a cura di), Direzione e coordinamento di società, in

Commentario alla riforma delle società, diretto da P. Marchetti - L. A. Bianchi - F.

Ghezzi - M. Notari, Milano, 2012, 81 ss.

49 In questo senso, A. PAVONE LA ROSA, Nuovi profili della disciplina dei gruppi

societari, in Rivista delle società, 2003, p. 770. O ancora, CARIELLO V., Direzione e coordinamento di società e responsabilità: spunti interpretativi iniziali per una riflessione generale, in Rivista delle società, 2003, p. 1243.

50 P. ABBADESSA, La responsabilità della società capogruppo verso la società

abusata: spunti di riflessione, cit., p.283.

51 M. CALLEGARI, I gruppi di società in Il nuovo diritto societario, nella dottrina

e nella giurisprudenza: 2003-2009 diretto da COTTINO- BONFANTE

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controllate nell'ipotesi di abuso di diritto da parte della società controllante52. Infine, a dissolvere ogni ulteriore dubbio circa la natura della responsabilità della capogruppo, si fa notare come l'art. 2497 c.c. effettui uno specifico rinvio alla clausola generale della correttezza53. Ed è proprio nei rapporti fra i soci che trova applicazione il principio generale di esecuzione del contratto secondo buona fede e correttezza. Infatti, “anche l'attività di direzione e coordinamento di società esercitata dalla holding (…) rappresenta un momento di esecuzione del contratto sociale, in relazione al quale la violazione dei principi di corretta gestione societaria ed imprenditoriale integra gli estremi della violazione della buona fede quale inadempimento contrattuale idoneo a fare sorgere l'obbligo di risarcimento del danno a carico sia della società sia del socio di maggioranza, oltre che degli amministratori”.54

1.4. La legittimazione attiva e passiva: analisi dell'art. 2497, comma terzo, c.c.

Uno degli aspetti più problematici della nuova disciplina in tema di responsabilità da attività di direzione e coordinamento è sicuramente la previsione del terzo comma dell'art. 2497 c.c., il quale prevede che «il socio ed il creditore sociale possono agire contro la società o l'ente che esercita l'attività di direzione e coordinamento, solo se non sono stati soddisfatti dalla società soggetta alla attività di direzione e coordinamento.»

52 Inoltre, come osserva R. WEIGMANN, I gruppi di società, in atti del convegno

La riforma del diritto societario, riferendosi ai creditori danneggiati espone la tesi

secondo cui se questi “lamentassero una lesione aquiliana del diritto di credito, non si giustificherebbe la legittimazione dell'organo del fallimento o delle procedure concorsuali costitutive”.

53 Scrive Abbadessa “L'art. 2497 c.c., privilegiando l'unitarietà dell'impresa di gruppo rispetto all'alterità soggettiva delle società partecipanti, non esita ad intestare alla società capogruppo un vincolo di correttezza che corre direttamente nei confronti dei soci “esterni” e dei creditori delle società eterodirette, su cui è destinata a radicarsi, in via principale, l'azione di responsabilità concessa a tutela degli interessi lesi da una direzione unitaria abusiva.”, in La responsabilità della

società capogruppo verso la società abusata: spunti di riflessione, cit., p.283.

54 Così, S. GIOVANNINI, La responsabilità per attività di direzione e

coordinamento nei gruppi di società, in Quaderni di giurisprudenza commerciale,

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Non pone particolari problemi l'esegesi dell'articolo nella parte in cui delimita l'area dei cc.dd. legittimati passivi: risponde in via principale la “società” o “ente”55 che ha esercitato illegittimamente l'attività di direzione e coordinamento e «risponde in solido chi abbia comunque preso parte al fatto lesivo e, nei limiti del vantaggio conseguito, chi ne abbia consapevolmente tratto beneficio.» (v. art. 2497, comma secondo, c.c.). La previsione del secondo comma dell'art. 2497 si può considerare una clausola generale, idonea ad attrarre nell'area dei soggetti responsabili un'eterogenea serie di soggetti56, non solo soggetti che continuativamente operano all'interno della compagine di controllo, ma, più in generale, qualsiasi soggetto, a prescindere dal ruolo rivestito e dalla posizione assunta.57 Potremmo pensare, innanzitutto, agli amministratori della società capogruppo, ai direttori generali che hanno elaborato la direttiva, ai componenti dell'organo di controllo della

holding (per la loro condotta omissiva in termini di “mancato controllo

nei termini imposti”), agli amministratori della società dipendente che hanno eseguito la direttiva, o ancora, al socio di controllo o alla holding persona fisica.58

Il problema che si pone all'interprete non riguarda dunque la sfera dei legittimati passivi, bensì la sfera dei cc.dd. legittimati attivi, in quanto il terzo comma dell'art. 2497 non solo non menziona la società eterodiretta danneggiata fra i soggetti legittimati ad esperire l'azione di responsabilità ma addirittura subordina l'azione dei soci e dei creditori esterni alla previa escussione della società diretta e coordinata, la quale finirebbe per presentarsi come coobbligata solidale della capogruppo59.

55 L'art. 19, comma 6, del d.lgs. n.78/2009, convertito in l. n. 102/2009 chiarisce che

«L'articolo 2497, primo comma, del codice civile, si interpreta nel senso che per enti si intendono i soggetti giuridici collettivi, diversi dallo Stato, che detengono la partecipazione sociale nell'ambito della propria attività imprenditoriale ovvero per finalità di natura economica o finanziaria.»

56 V. U.TOMBARI, Diritto dei gruppi di imprese, cit., p.46.

57 F. GALGANO, Direzione e coordinamento di società, cit., p. 117 ss.

58 Sul punto v. CARIELLO, Direzione e coordinamento di società e responsabilità:

spunti interpretativi iniziali per una riflessione generale, cit., p.1251;

GALGANO, I gruppi nella riforma delle società di capitali, in Contratto e

impresa, 2003, p.1043; o ancora, SACCHI R., Sulla responsabilità da direzione e coordinamento nella riforma delle società di capitali, in Giurisprudenza commerciale, 2003, I, p.661 ss.

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È chiaro che un'interpretazione in questo senso dell'art. 2497, comma terzo, c.c. risulti essere paradossale per due ordini di motivi. Il primo è senz'altro la constatazione che risulta priva di logicità la situazione che si verrebbe a creare, configurando la società eterodiretta (danneggiata) come principale obbligata e la società controllante (autrice del danno) solo come obbligata sussidiaria. Il secondo motivo è di natura sistematica, in quanto una disciplina così strutturata si porrebbe in controtendenza rispetto agli obiettivi del nuovo corpus normativo, teso a delineare una responsabilità della capogruppo per un'attività di direzione e coordinamento abusiva. Sono state prospettate dunque dalla dottrina una serie di teorie volte ad interpretare la disposizione in esame in maniera conforme alle finalità generali della riforma del 2003. Innanzitutto, si deve evidenziare che l'originario 3o comma dell'art. 2497 c.c. prevedeva espressamente che «l’azione di cui ai commi precedenti non pregiudica il diritto della società al risarcimento del danno ad essa cagionato e non è pregiudicata dalla rinuncia o transazione da parte della società»60. Nonostante in sede di approvazione definitiva dell'articolo sia stata omessa tale indicazione e il dato legislativo porti oggi dunque ad escludere chiaramente un'azione diretta in capo alla società abusata, parte della dottrina ha ritenuto comunque di trovare altrove il fondamento giuridico dell'azione, sulla considerazione che non è possibile immaginare un sistema nel quale chi subisce un abuso sia tutelato in maniera inferiore a chi risulta danneggiato solo di riflesso (i.e. i soci esterni ed i creditori sociali).61 Ancor prima della riforma non era mancato chi aveva ipotizzato un'azione diretta di responsabilità

SCOGNAMIGLIO, Danno sociale e azione individuale nella disciplina della

responsabilità da direzione e coordinamento, in Il nuovo diritto delle società, Liber amicorum G.F. Campobasso, diretto da P. Abbadessa e G. B. Portale, III,

2007, p. 955.

60 Questo è quanto prevedeva lo schema di decreto legislativo del 2002, pubblicato

in Riv. Soc., 2002, p. 1346 ss. Per un'accurata analisi v. ABBADESSA, La

responsabilità della società capogruppo verso la società abusata: spunti di riflessione, cit., p. 279 ss.

61 V., ad esempio, CARIELLO, Primi appunti sulla c.d. responsabilità da attività di

direzione e coordinamento di società, in Riv. Dir. Civ., 2003, II, p. 339; Id., Direzione e coordinamento di società e responsabilità: spunti interpretativi iniziali per una riflessione generale, cit., p. 1256; WEIGMANN, I gruppi di società, cit., p.210.

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della società controllata in forza di obblighi di protezione già ritenuti esistenti in capo alla holding nei confronti della società figlie62. Ed oggi, sulla scorta dell'art. 2497 c.c. (che sancisce il dovere della capogruppo di agire in conformità dei principi di corretta gestione societaria ed imprenditoriale), in conseguenza della violazione della regola di condotta prevista, sarebbe a fortiori assolutamente legittimo che la società diretta e coordinata agisse autonomamente nei confronti della capogruppo.

Una siffatta soluzione non appare però convincente, soprattutto in considerazione delle scelte che hanno portato alla modifica dell'originario terzo comma dell'art. 2497 c.c. E' stato giustamente osservato63 come la previsione di una legittimazione attiva in capo alla società abusata rischiasse di rimanere lettera morta, in quanto solo in astratto la società figlia sarebbe in grado di agire nei confronti del soggetto che la controlla. Risulta infatti altamente inverosimile in concreto che il soggetto in grado di orientare l'attività della società controllata, dunque la volontà dell'assemblea, possa far approvare un'azione di responsabilità contro se stesso.

Altra dottrina, risolvendo comunque in senso affermativo la legittimazione attiva in capo alla società abusata, ha interpretato l'art. 2497, comma terzo, c.c., nel senso di una configurazione di un vincolo di solidarietà dal lato attivo dell'azione: in sostanza, ammessa la proponibilità di un'azione contro la capogruppo, la società eterodiretta avrebbe poi l'onere di ripartire tra soci e creditori danneggiati quanto eventualmente ottenuto. Così facendo, il peso del risarcimento graverebbe effettivamente sul patrimonio della società autrice dell'abuso.64 Anche questa tesi, per quanto suggestiva, non risulta essere supportata dal dato legislativo, in quanto non c'è nessun indice all'interno dell'art. 2497 c.c. che possa suffragare la configurazione di

62 Il riferimento è a TOMBARI, Il gruppo di società, cit., p. 209 ss.

63 GALGANO, Direzione e coordinamento di società, cit., p. 2497; CARIELLO,

Primi appunti sulla c.d. responsabilità da attività di direzione e coordinamento di società, cit., p. 339

64 Vedi sul punto MAGGIOLO, L’azione di danno contro società o ente

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una coobbligazione solidale attiva.

La soluzione deve essere quindi ricercata sulla base della ratio ispiratrice della nuova disciplina. Come osserva Abbadessa, nel nuovo

corpus normativo sparisce l'idea di “gruppo inteso nella sua dimensione

pluralistica di società distinte soggette ad una direzione comune” e viene sostituta dalla considerazione del gruppo “nella sua dimensione unitaria di impresa organica. In coerenza, la tutela dei soci “esterni” e dei creditori della società abusata non è più ricercata, come nella legislazione precedente, attraverso una estensione verso l'alto della responsabilità degli amministratori della società eterodiretta (…), bensì stabilendo un rapporto diretto fra soggetti sensibili alle eventuali conseguenze “perverse” della direzione unitaria e società autrice di tale direzione”.65 In altre parole, mentre i danni subiti dalla società eterodiretta possono essere compensati per altre vie, tramite la mera partecipazione al gruppo, il danno prodottosi nei confronti dei soci “esterni” e dei creditori è destinato a restare nella sfera giuridica di questi. Conseguentemente è più che legittimo attribuire solo a questi un'azione diretta di responsabilità nei confronti della capogruppo. Pertanto, a mio avviso, la ricostruzione più soddisfacente, sulla scorta del dato letterale dell'art. 2497, 3° comma, c.c., è quella che vede nella società eterodiretta il mero “canale di transito” tra la pretesa dei soci e dei creditori e la società capogruppo. Partendo dalla constatazione che il socio e il creditore possono pretendere dalla capogruppo il risarcimento di quello che nei loro confronti si configura come un “danno riflesso”, anche il ristoro della lesione dovrà configurarsi a sua volta come un “danno riflesso” per la holding. Come scrive Valzer, “nel momento in cui la norma in commento obbliga il socio esterno a far valere la sua pretesa anzitutto nei confronti della società eterodiretta, essa non sta facendo altro che consentire che questi possa riprendersi quanto, in via riflessa, gli è stato sottratto dalla capogruppo, appunto mediante un'ulteriore depressione patrimoniale della società, che a sua volta si ripercuota in un “danno riflesso” uguale e contrario, per la stessa

65 ABBADESSA, La responsabilità della società capogruppo verso la società

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holding. Come il pregiudizio, allora, anche la soddisfazione del socio

passerà attraverso il fondo comune e (…) verrà a gravare sulla holding in via simmetrica, indiretta e riflessa”.66

1.5. L'interesse di gruppo e i vantaggi compensativi

Il primo comma dell'art. 2497 c.c. si chiude sancendo che ««non vi è responsabilità quando il danno risulta mancante alla luce del risultato complessivo dell’attività di direzione e coordinamento ovvero integralmente eliminato anche a seguito di operazioni a ciò dirette». Questa disposizione cristallizza la prospettiva attuale in tema di gruppi in virtù della quale si superano gli interessi delle società monadi per abbracciare definitivamente una visione globale, in cui emergono tre interessi diversi: l'interesse della controllante, l'interesse delle controllate e l'interesse di gruppo. E proprio quest'ultimo si configura come il punto di equilibrio e l'asse di coordinamento tra l'interesse della controllante e quello delle altre società del gruppo67. Il problema cruciale da risolvere è dunque capire entro quali limiti la capogruppo ha il potere di impartire direttive alle controllate, allo scopo di perseguire un interesse di gruppo. In altre parole il perseguimento dell'interesse di gruppo presuppone necessariamente una limitazione dell'interesse delle singole controllate e “il compito del giurista è proprio quello di tracciare una linea di demarcazione tra imperio legittimo ed abuso del dominio”68.

Nel periodo ante riforma la dottrina ha lungamente dibattuto al riguardo e, traendo le fila dei vari dibattiti, si possono individuare due principali correnti di pensiero. In primo luogo alcuni autori hanno ritenuto di

66 VALZER, La responsabilità da direzione e coordinamento di società, cit.,

p.48-49.

67 Così, A. GAMBINO, Responsabilità amministrativa nei gruppi societari, in Giur.

Comm., 1993, I, p.841.

68 Il virgolettato è di P. MONTALENTI, Conflitto di interesse nei gruppi di società e

teoria dei “vantaggi compensativi”, in AA. VV., I gruppi di società, Atti del

convegno internazionale di studi, organizzato dalla Rivista delle società, Venezia 16-17-18 novembre 1995, Milano, 1996, p. 1637. Sul punto v. anche GALGANO,

Il punto sulla giurisprudenza in materia di gruppi di società, in Contratto e impresa, 1991, p. 897 ss.

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configurare un vero e proprio obbligo risarcitorio a carico della capogruppo prevedendo un indennizzo a favore della società danneggiata dall'operazione dannosa, ma giustificata dal perseguimento della politica di gruppo69. Quest'impostazione, definita da alcuni “ristretta e ragionieristica”70, prevedeva una compensazione per equivalente, proporzionata al pregiudizio subito; in altre parole, prevedeva un meccanismo in cui la valutazione della legittimità dell'operazione si estrinseca in un giudizio rigidamente quantitativo, valutabile solo ex post, cioè successivamente al conseguimento del vantaggio poiché solo un vantaggio effettivamente conseguito è suscettibile di una quantificazione meramente aritmetica, attraverso una ponderata operazione di bilanciamento tra beneficio e pregiudizio. Una logica risarcitoria di questo tipo potrebbe trovare applicazione a specifiche controversie, ma non appare idonea a configurarsi come la soluzione di questa “annosa questione”71 in tema di direzione e coordinamento. La soluzione che si è rivelata più interessante è infatti quella che ha portato alla elaborazione della c.d. teoria dei vantaggi compensativi, in forza della quale la correttezza o meno di un'operazione non può più essere valutata in maniera unidirezionale, ma alla luce di una politica di gruppo i cui risultati saranno valutabili solo in un'ottica globale.

Questo è l'orientamento proposto da Montalenti, il quale precisa che “la teoria dei vantaggi compensativi non è teoria dell'indennizzo”72 perché diversi sono i procedimenti valutativi compiuti: mentre nella teoria dell'indennizzo si impone una quantificazione ex-post del pregiudizio (e conseguente risarcimento in denaro), la teoria dei vantaggi compensativi prevede una “necessaria caratterizzazione ex ante del giudizio di non extrasocialità dell'interesse di gruppo”73.

69 F. BONELLI, Conflitto di interesse nei gruppi di società, in Giur. Comm,1992, p. 226. SPADA, L’amministrazione della società per azioni tra interesse sociale e

interesse di gruppo, in Riv. dir. civ., 1989, I, p. 240 e ss.

70 FERRO LUZZI, Riflessioni sul gruppo (non creditizio), in Riv. dir. Comm., 2001,

I, p. 24

71 Così definita da MONTALENTI, Conflitto di interesse nei gruppi di società e

teoria dei “vantaggi compensativi, cit.

72 MONTALENTI, cit., p. 1643. 73 MONTALENTI, cit., p. 1642.

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L'autore sottolinea l'esigenza di un giudizio di tipo economico funzionale e non rigidamente quantitativo, al termine del quale il vantaggio compensativo risulti probabile, senza una necessaria coincidenza tra il momento del sacrificio e il momento dell'operazione di segno inverso e purché ci sia coerenza e razionalità economica rispetto alla strategia di gruppo. Questi sono, in sintesi, i tratti essenziali della teoria compensativa, così come proposta da Montalenti. Ed è ormai pacifico che la riforma del 2003, con l'introduzione dell'ultima parte del primo comma dell'art. 2497 c.c., abbia accolto e codificato tale teoria come metodo di risoluzione del principale nodo da sciogliere in tema di gruppi: il limite all'ingerenza della capogruppo. Ma se, da un lato, è opinione diffusa che la teoria compensativa abbia assunto carattere normativo, dall'altro lato si pone il problema di capire in quale declinazione farne uso. In altre parole, ci si chiede se il legislatore abbia inteso tale compensazione in termini più rigidi (ritenendo necessaria una comparazione strettamente “aritmetica” fra pregiudizio e vantaggio) o se sia stata accolta una visione più elastica, in forza della quale sarebbe ammissibile una compensazione anche non immediatamente conseguita, ma meramente prevedibile.

A favore dell'impostazione più rigida si pone la giurisprudenza di legittimità che in più pronunce afferma chiaramente che all'interno delle logiche di gruppo è necessario considerare tanto "l'effetto patrimoniale immediatamente negativo di un determinato atto di gestione", quanto "gli eventuali riflessi positivi che ne siano eventualmente derivati in conseguenza della partecipazione della singola società ai vantaggi che quell'atto abbia arrecato al gruppo di appartenenza"74. Ma tale eventualità, a parere della Suprema Corte, non può prospettarsi in termini meramente ipotetici né essere considerata in re ipsa all'appartenenza al gruppo. Tuttavia, non è questo l'aspetto che lascia più perplessi dell'opinione della Corte, quanto invece le modalità concrete con cui il vantaggio compensativo dovrebbe essere conseguito dalla società danneggiata. In una serie di pronunce infatti si legge che la

74 Cass. Civ., 24 agosto 2004, n. 16707. Per un'analisi più accurata della sent., v.

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Suprema corte ritiene che l'effetto compensativo non debba derivare da una generica serie di atti causali, bensì dallo specifico atto che ha cagionato il danno, sostenendo in conclusione che il vantaggio compensativo debba essere valutato non solo sotto il profilo quantitativo, ma anche sotto il profilo qualitativo, nel senso che deve trattarsi di effetti della stessa natura, ossia provenienti dalla medesima operazione che ha occasionato il danno75. In altre parole, i Supremi giudici arrivano a sostenere una teoria dei vantaggi compensativi più rigida di quella prospettata dalla dottrina più austera, la quale, pur affermando la necessità di una “compensazione specifica”, non si spinge fino a ritenere doveroso che pregiudizio e beneficio derivino dallo stesso atto76. Un giudizio così rigido, come richiesto dalla Corte, circa la sussistenza o meno del vantaggio compensativo risulta essere di difficile applicazione pratica. A ben guardare, infatti, il vantaggio conseguibile in una dimensione globale di gruppo non risulta essere di facile quantificazione, potendo configurarsi in forme più eterogenee rispetto al danno subito e riflettendosi il più delle volte sul piano organizzativo, produttivo, commerciale e finanziario77.

Ed è lo stesso tenore letterale dell'articolo a farci approdare a questo risultato: nella locuzione “danno mancante alla luce del risultato complessivo dell'attività di direzione e coordinamento” il termine su cui il legislatore pone l'accento, nella valutazione del danno, è sicuramente il risultato dell'attività considerata nel suo complesso, e non il risultato dell'attività della singola società danneggiata. Ciò che si impone di valutare, quindi, è il positivo andamento dell'attività del gruppo, non rilevando invece i riflessi che quest'attività comporta nei confronti della società danneggiata singolarmente considerata78.

75 S. GIOVANNINI, La responsabilità per attività di direzione e coordinamento nei

gruppi di società, Milano, 2007, p. 160.

76 Si legga al riguardo la nota di CIAMPOLI alla sent. Cass., 24 agosto 2004,

n.16707

77 G. SBISÀ, Responsabilità della capogruppo e vantaggi compensativi, in Contr. Impr., 2003, p.

596.

78 In questo senso GIOVANNINI, La responsabilità per attività di direzione e

coordinamento nei gruppi di società, cit., p. 161; SCOGNAMIGLIO, Poteri e doveri degli amministratori nei gruppi di società dopo la riforma del 2003,

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