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Does it pay to be green? Le Società Benefit in Italia e il caso GreenApes

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Economia e Management

Corso di Laurea Magistrale in

Marketing e Ricerche di Mercato

TESI DI LAUREA

Does it pay to be green?

Le Società Benefit in Italia e il caso GreenApes

RELATORE CANDIDATO

Dott.ssa Annamaria Tuan Mariangela Lentini

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A chi mi ha protetto dalla parte sbagliata del mondo.

“Citando Walt Whitman: O me, O vita, domande come queste mi perseguitano. Infiniti cortei di infedeli. Città gremite di stolti. Che v’è di nuovo in tutto questo? O me, O vita… Risposta: che tu sei qui, che la vita esiste e l’identità, che il potente spettacolo continua e che tu puoi contribuire con un verso.

Quale sarà il tuo verso?” Robbie Williams dal film “L’attimo fuggente”.

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INDICE

INTRODUZIONE 9

1 CAPITOLO: La CSR e la CSR communication 11

1.1 La Corporate Social Responsibility 11

1.1.1 Dalla CSR al CSV 14

1.1.2 L’impatto della responsabilità sociale delle imprese 17

1.2 La CSR communication 21

1.2.1 La CSR communication e le tre caratteristiche distintive: moralità,

autenticità e trasparenza 24

1.2.2 Strumenti per la corporate social responsibility communication: il bilancio

sociale e il codice etico 28

1.2.3 Tre tipi di strategie di CSR communication 29 1.2.4 Le tre fasi di sviluppo della CSR communication 33

2 CAPITOLO: Distinguersi attraverso il modello For-Benefit 37

2.1 Cenni introduttivi 37

2.1.1 Le Società Benefit in Italia 38

2.1.2 Aspetto giuridico delle Società Benefit 43 2.1.3 Processo di creazione di una Società Benefit 45 2.1.4 La realtà americana: le Benefit Corporation 49

2.2 New business model: B-Corp 51

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3 CAPITOLO: Metodologia ricerca 60

3.1 Le fasi della ricerca 60

3.1.1 Creazione dataset delle Società Benefit e delle B-Corps 61 3.1.2 Caso studio greenApes: analisi piattaforma come utente e intervista

semi-strutturata 64

3.1.3 Il questionario 65

4 CAPITOLO: Lo scenario delle Società benefit, delle B-Corp italiane e il

caso del social network GreenApes 79

4.1 B-Corp in Italia 79

4.1.1 Le Società Benefit in Italia 84

4.2 Caso studio: GreenApes 88

4.2.1 Analisi piattaforma come utente 91

4.2.2 Metodo di ricerca qualitativa: intervista semi-strutturata 94 4.2.3 Metodo di ricerca quantitativa: il questionario 96 4.2.4 Elaborazione dei dati del questionario 97

4.2.5 Conclusioni e suggerimenti 116

Conclusioni 119

Bibliografia 124

Sitografia 126

Appendice 1: questionario

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INDICE FIGURE:

FIGURA 1.CREATING SHARED VALUE... 14

FIGURA 2.BEN &JERRY’S ... 22

FIGURA 3. NATIVA LAB ... 40

FIGURA 4.COSTITUZIONE DI UNA SOCIETÀ BENEFIT. ... 45

FIGURA 5.MOTTO DELLE B-CORP ... 53

FIGURA 6.MAPPA DELLE B CORPS CERTIFICATE IN EUROPA. ... 55

FIGURA 7.BIMPACT REPORT DI NATIVA LAB. ... 59

FIGURA 8.BIMPACT REPORT.FONTE: WWW.BCORP.NET. ... 91

FIGURA 9.AZIONE CONDIVISA ALL’INTERNO DEL SOCIAL NETWORK GREENAPES .. 92

FIGURA 10.TEST ANOVA ONE WAY (PRIMA DOMANDA-ETÀ RISPONDENTI) ... 98

FIGURA 11.TEST ANOVA ONE WAY (SECONDA DOMANDA-ETÀ RISPONDENTI). .... 100

FIGURA 12.TEST ANOVA ONE WAY (TERZA DOMANDA-ETÀ RISPONDENTI). ... 101

FIGURA 13.TEST ANOVA ONE WAY (QUARTA DOMANDA-ETÀ RISPONDENTI). ... 102

FIGURA 14.TEST ANOVA ONE WAY (QUINTA DOMANDA-ETÀ RISPONDENTI). ... 104

FIGURA 15.TEST ANOVA ONE WAY (SESTA DOMANDA-ETÀ RISPONDENTI). ... 105

FIGURA 16.TEST ANOVA ONE WAY (SETTIMA DOMANDA-ETÀ RISPONDENTI). ... 107

FIGURA 17.TEST ANOVA ONE WAY (OTTAVA DOMANDA-ETÀ RISPONDENTI). ... 108

FIGURA 18.TEST ANOVA ONE WAY (NONA DOMANDA-ETÀ RISPONDENTI). ... 110

FIGURA 19.TEST ANOVA ONE WAY (UNDICESIMA DOMANDA-ETÀ RISPONDENTI).112 FIGURA 20.TEST ANOVA ONE WAY (DODICESIMA DOMANDA-ETÀ RISPONDENTI).113

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INDICE

TABELLE:

TABELLA 1. THREE CSR COMMUNICATION STRATEGIES (ADAPTED FROM MORSING AND SCHULTZ,2006). ... 32

TABELLA 2.THREE PHASES IN THE DEVEOLPMENT OF CSR COMMUNICATION (ADPTED FROM THE CSR FRAMEWORK BY SCHULTZ,CASTELLO AND MORSING,2013. .. 36

TABELLA 3. DIFFERENZA TRA UNA B-CORP CERTIFICATA E UNA BENEFIT

CORPORATION/SOCIETÀ BENEFIT. ... 50

TABELLA 4.ESEMPIO DATASET B-CORP. ... 62 TABELLA 5.ESEMPIO DATASET SOCIETÀ BENEFIT ... 63

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INDICE

GRAFICI:

GRAFICO 1.YEAR CERTIF B-CORP. ... 81

GRAFICO 2.ORDINAMENTI GIURIDICI B-CORP. ... 82

GRAFICO 3.REGIONI APPARTENENTI ALLE B-CORP. ... 83

GRAFICO 4.SETTORE RAGGRUPPATO DELLE B-CORP. ... 84

GRAFICO 5.ORDINAMENTI GIURIDICI DELLE SOCIETÀ BENEFIT. ... 86

GRAFICO 6.REGIONI APPARTENENTI ALLE SOCIETÀ BENEFIT. ... 87

GRAFICO 7.SETTORE RAGGRUPPATO DELLE SOCIETÀ BENEFIT. ... 88

GRAFICO 8.VALORI MEDI DELLA PRIMA DOMANDA. ... 98

GRAFICO 9.VALORI MEDI DELLA SECONDA DOMANDA. ... 99

GRAFICO 10.VALORI MEDI DELLA TERZA DOMANDA. ... 101

GRAFICO 11.VALORI MEDI DELLA QUARTA DOMANDA. ... 102

GRAFICO 12.VALORE MEDIO DELLA QUINTA DOMANDA. ... 103

GRAFICO 13.VALORE MEDIO DELLA SESTA DOMANDA. ... 105

GRAFICO 14.VALORE MEDIO DELLA SETTIMANA DOMANDA. ... 106

GRAFICO 15.VALORE MEDIO DELL’OTTAVA DOMANDA... 108

GRAFICO 16.VALORE MEDIO DELLA NONA DOMANDA. ... 109

GRAFICO 17.DOMANDA FILTRO. ... 111

GRAFICO 18.VALORE MEDIO DELL’UNDICESIMA DOMANDA. ... 111

GRAFICO 19.VALORE MEDIO DELLA DODICESIMA DOMANDA. ... 113

GRAFICO 20.ETÀ DEI RISPONDENTI. ... 115

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INTRODUZIONE

L’obiettivo della presente ricerca è quello di descrivere finalità e modelli operativi delle società benefit, anche in confronto con gli istituti giuridici affini.

Precisamente, nel primo capitolo è stata introdotta l’analisi delle pratiche della CSR, pratiche che vanno oltre il rispetto delle prescrizioni di legge e individuano i comportamenti che un’impresa adotta su base volontaria per conferire benefici a sé stessa e al contesto in cui opera.

Nel secondo capitolo è stato osservato e descritto il movimento delle B-Corp e delle società benefit, presentando le differenze ed evidenziando le similarità. La B-Corp è la qualifica conseguita da un’impresa a seguito di una certificazione rilasciata da B-Lab. Le B-Corps non hanno una forma giuridica e non sono soggetti a nessun obbligo aggiuntivo richiesto dalla legge o dallo statuto, a differenza delle società benefit, anche se condividono molte somiglianze con esse. La società benefit è un nuovo modello societario introdotto con la legge n. 208 del 28/12/2015, entrata in vigore il primo gennaio del 2016 (legge di Stabilità 2016, articolo 1). L’Italia è il secondo paese, dopo gli Stati Uniti, ad aver introdotto questa forma di business e ciò è una grande trasformazione e innovazione tenendo conto che il contesto italiano risulta essere per certi aspetti inferiore ad altre nazioni. Tuttavia, i consumatori sono sempre più esigenti e sensibili alle questioni ambientali e sociali, quindi potersi presentare al mercato come società benefit potrebbe rappresentare un valore aggiunto per un’azienda.

Nel terzo e nel quarto capitolo è stato analizzato il movimento delle Benefit Corporation in Italia, con lo scopo di misurare, attraverso un’indagine qualitativa e quantitativa, l’attenzione verso la responsabilità sociale ed ambientale.

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Partendo dalla creazione del dataset delle società benefit, è stato possibile osservare la provenienza, il settore e i diversi ordinamenti giuridici di tutte le società. Inserendo anche tutte le B-Corps italiane è stato possibile analizzare l’anno di certificazione, l’ordinamento giuridico e il settore, mostrando come il numero delle stesse è cresciuto velocemente in pochi anni.

In seguito, è stata analizzata una specifica impresa, il social network GreenApes, basato sulla condivisione di contenuti “ecologici”. GreenApes oltre ad avere ottenuto la certificazione di B-Corp, si è anche trasformata in società benefit, secondo l’ordinamento giuridico italiano. È stata svolta una duplice analisi che riguarda il social network greenApes. La prima analisi è stata effettuata all’interno della piattaforma come utente e la seconda analisi riguarda un’intervista semi-strutturata, con lo scopo di descrivere una B-Corp e di evidenziare l’aspetto innovativo, tramite l’esperienza in questo caso di un’azienda. Questo caso studio ha permesso di capire in cosa consista il movimento delle B-Corp e quanto esso possa effettivamente aiutare per cambiare il mondo in senso positivo.

Nel quarto capitolo, infine, è stata svolta un’indagine con un duplice scopo, quello di misurare l’attenzione verso la responsabilità sociale ed ambientale per i Millennials e quello di esaminare il rapporto con il social network greenApes. La metodologia scelta per l’acquisizione di tali informazioni è stato il questionario. Attraverso la preparazione, la creazione e la somministrazione di un questionario è stato possibile elaborare i dati e trarre le conclusioni.

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1 CAPITOLO: La CSR e la CSR communication

1.1 La Corporate Social Responsibility

La Corporate Social Responsibility (CSR), nella letteratura italiana si definisce responsabilità sociale d’impresa, riguarda la responsabilità delle imprese attraverso la volontà di contribuire al benessere collettivo con lo scopo di iniziare e mantenere uno sviluppo sostenibile conciliato con un equilibrio sociale. La CSR è entrata nell’agenda dell’Unione Europea a partire dal Consiglio Europeo di Lisbona del marzo 2000, in occasione del quale è stata considerata come uno degli strumenti strategici per realizzare una società con valori sociali e per rafforzare il modello sociale-competitivo europeo. Nel giugno del 2001 si costituisce il Green Paper (Libro Verde) “for promoting a European framework to CSR”, un documento che specifica un approccio basato tra NGO, autorità locali, imprese, stakeholder e comunità. Nel Green Paper il concetto CSR viene definito un’attività volontaria delle imprese per contribuire ad un ambiente più pulito e una società migliore. Oggi, la CSR è un tema molto importante per le aziende. La particolarità della CSR è la sua duplice funzione, ovvero una funzione che riguarda la responsabilità economica e un’altra che riguarda la responsabilità sociale, ma entrambe con il fine di creare valore all’interno e all’esterno dell’azienda. Negli anni 70, si inizia ad affrontare questo tema ponendo importanza alla gestione dell’azienda in maniera etica e sostenibile ma con un particolare riferimento all’obiettivo delle aziende; tale obiettivo rimane lo stesso, ossia quello di ricavare il massimo utile nel più breve tempo possibile, spostando al secondo posto il benessere collettivo e le azioni sostenibili. Si evince da molti testi che con il tempo la CSR ha acquisito molta

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rilevanza nelle realtà aziendali, perché va oltre il rispetto delle prescrizioni di legge e individua pratiche e comportamenti volontari, nella convinzione di ottenere dei risultati che possano conferire benefici, vantaggi a sé stessa e al contesto in cui opera. Un concetto rilevante è lo sviluppo sostenibile che nasce dalla definizione data nel rapporto Brundland (documento rilasciato nel 1987 dalla Commissione mondiale sull’ambiente e lo sviluppo, WCED), definito “lo sviluppo che soddisfa i bisogni del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri bisogni”; questa definizione ci fa capire che già nel 1987, non si trascuravano i valori e le considerazioni sul benessere collettivo e sull’ambiente. Un’altra definizione che permette di avviare il cosiddetto valore sociale è la definizione di imprenditorialità sostenibile, definita da Pastore e Patzelt dove affermano che essa è incentrata sulla conservazione della natura e della comunità, con lo scopo di perseguire opportunità nell’esistenza di futuri prodotti, processi e servizi per il guadagno, ampiamente interpretato, in modo da includere guadagni economici e non economici, per la società, per l’economia e per gli individui. Quindi gli imprenditori sostenibili, non sono semplici imprenditori perché contribuiscono a risolvere problemi sociali e ambientali attraverso lo scopo del guadagno. Un aspetto rilevante riguarda il quadro delle mansioni dell’imprenditore, in cui gli obiettivi sostenibili, costituiscono il core dell’attività; questi obiettivi possiamo definirli il successo economico legato alla performance ambientale e sociale. Ciò si traduce nell’adozione di una politica aziendale che sappia combinare gli obiettivi economici con quelli sociali e ambientali del territorio di riferimento, in un’ottica di sostenibilità futura (Wendy Stubbs, 2016). Un argomento sostenuto da numerosi studiosi, sulle imprese socialmente responsabili, riguarda il legame, definito positivo, tra investimenti nella responsabilità sociale delle imprese e

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performance finanziarie di un’impresa (Orlitzky, Schmidt e Rynes 2003, Fouts 1997). Questo risultato è coerente con la ricerca che dimostra che la reputazione di una società per la responsabilità sociale tende a diminuire la sensibilità dei prezzi dei consumatori e aumentare la loro fedeltà al marchio. Quindi si può affermare che oltre a trasferire un effetto positivo sulla vita di ogni singola persona all’interno della comunità, un’impresa socialmente responsabile gode della fiducia del consumatore, quel consumatore non sensibile al prezzo ma attento al fine benefico di cui ne può beneficiare sia lui che la sua comunità. Sostenitori, sull’impatto della responsabilità sociale delle imprese sulla performance finanziaria e sull’immagine aziendale, affermano che un comportamento socialmente responsabile di un’azienda potrebbe aumentare le vendite motivando i consumatori a premiare l’azienda per il suo comportamento pro sociale, ossia quel comportamento a favore della società in termini di promozione della solidarietà o dell’integrazione tra le diverse componenti e dei vari rapporti che vi trovano nella realizzazione di un’iniziativa pro sociale (Mohr, Webb e Harris 2001 ). Si deve dare ai consumatori la possibilità di raggiungere quella soddisfazione morale che James Andreoni definisce “warm glow of giving”, ovvero l’utilità del soggetto sotto forma di caldo bagliore, che identifica la sensazione emotiva positiva che le persone ricevono aiutando gli altri (Andreoni 1990, Kahneman e Knetsch 1992).

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1.1.1 Dalla CSR al CSV

Il concetto di creazione di valore condiviso (Creating Shared Value) ha acquisito una notevole attenzione grazie al professor Porter co-autore, con Mark R. Kramer, dell’articolo di Harvard Business Review nel 2011, “Creating Shared Value” che introduce il concetto di valore condiviso. Nell’articolo, insieme a Mark Kramer, Porter spiega come il valore condiviso sia una strategia gestionale focalizzata nel creare il valore all’interno del business, rivolgendosi a problemi sociali che si intersecano con il business aziendale. Una pratica che dovrebbe creare nuove opportunità per le aziende, per le istituzioni governative e per la società in generale. I due studiosi analizzarono le aziende e l’ambiente esterno della società in un unico concetto definito “Creating Shared Value”, attribuendo un particolare riferimento alle attività sociali collegandole all’obiettivo aziendale, così da ridefinire il capitalismo in una crescita non solo economica ma anche sociale. Così facendo, i due studiosi, hanno ampliato la nozione di CSR con il concetto della CSV, definito da loro come “politiche e pratiche operative che rafforzano la competitività di una società e contemporaneamente migliorano le condizioni economiche e sociali nella comunità in cui opera”.

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Questa definizione presenta il valore condiviso come delle azioni o prodotti della società conformi alle esigenze della società stessa e riguardanti l’interno e l’esterno delle attività aziendali. La nozione CSV riconosce il valore della sostenibilità aziendale con la salute della sua comunità e della società in generale, costruendo approcci innovativi per dare quel valore in più all’obiettivo che l’azienda dovrà raggiungere e per creare non solo profitti e opportunità per un’azienda ma soprattutto per affrontare le esigenze sociali. La maggior parte delle aziende non affrontano le questioni sociali nell’ottica della CSV ossia nella creazione di valore per l’azienda stessa e per l’intera società; quindi esse pur occupandosi dell’approccio sociale, non considerano l’approccio del valore e della collaborazione ma paragonano l’esborso monetario al successo dell’azienda. La letteratura sulla comunicazione dei modelli CSR propone interessanti prospettive per la creazione di valore condiviso in vari contesti organizzativi. La prospettiva comunicativa del CSV, contrariamente all’ambito della CSR, rimuove la concentrazione ristretta sul valore condiviso come risultato economico; l’approccio comunicativo ha una serie di effetti per la pratica se le aziende e i loro manager vogliono avere successo con lo scopo di una collaborazione comune. In sintesi, le aziende e i loro manager devono abbandonare l’idea di valore condiviso soltanto come risultato monetario. Piuttosto, devono considerare la co-costruzione del valore comune come un processo di negoziazione a cui attivamente contribuiscono molteplici interlocutori interni ed esterni, che possono essere anche i consumatori, con il fine della creazione di un plurimo valore. Ad oggi, questo scenario è sempre più concreto ed eseguito dalle aziende: il modello CSV è ormai, a tutti gli effetti, un business model. Bisogna precisare, che in questo ambito non troviamo il raggiungimento del profitto come primo obiettivo, ma sicuramente sarà un obiettivo

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secondario che l’azienda dovrà raggiungere per far fronte ai costi e per mantenersi all’interno del mercato. Le pratiche di CSV, riguardano l’aspetto socio-economico del territorio in cui intende intervenire, i dipendenti collaborano con gli stakeholders in un’ottica di sviluppo collaborativo; con la nascita e l’applicazione del concetto creating share value si ha un approccio ampio e completo, che abbraccia le questioni economiche, sociali ed ambientali al fine di garantire lo sviluppo sostenibile. È importante, non solo intraprendere la strada verso il CSV, ma anche operare in ottica definita “Collective Impact”: l’approccio CSV nasce anche per includere multi partnership rispetto al proprio business, collaborando con enti privati e pubblici. L’approccio collettivo richiede un approccio dalle organizzazioni o entità provenienti da settori diversi, in modo che abbandonino la propria agenda a favore di un programma che permette, con sforzi da parte delle organizzazioni, la creazione di un valore condiviso. L’approccio al collective impact ha una propria struttura centralizzata, con un proprio personale dedicato e soprattutto con un ruolo ben preciso, quello di aiutare le organizzazioni partecipanti. L’intero approccio si basa, totalmente, sulla convinzione che nessuna politica, dipartimento, organizzazione o programma di governo possa affrontare o risolvere i problemi sociali sempre più complessi che affrontiamo come società. John Kania e Mark Kramer hanno scritto, nella rivista “Stanford Social Innovation nel 2011”, che: non esista altra strada, la società otterrà progressi su larga scala nei confronti dei problemi urgenti e complessi del nostro tempo, a meno che un approccio collettivo non diventi il modo accettato di fare affari. Partendo da questo pensiero, dei due studiosi, si evince che l’elemento fondamentale che permette sia l’avvio dello sviluppo di molteplici settori, sia il continuo rigenerarsi delle risorse a noi disponibili è il cosiddetto collective impact, ossia il contributo collettivo di tutti noi.

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Tutti i partecipanti, le persone che si prestano al contributo o alla collaborazione, permettono la creazione di un programma comune per il cambiamento, una comprensione condivisa del problema e infine anche un approccio comune per risolverlo.

1.1.2 L’impatto della responsabilità sociale delle imprese

Oggi, le aspettative sociali delle organizzazioni stanno diventando concetti sempre più ampi, oltre l’aspetto meritevole parlando di prestazioni o azioni finanziarie, si sta considerando l’aspetto etico e sociale. L’obiettivo delle aziende, che percorrono una strategia di CSR verso i propri consumatori, è quello di raggiungere la cosiddetta “relazione verde”. La relazione verde riguarda le relazioni speciali di mercato e fa parte delle 30 relazioni che il marketing relazionale ci propone, affinché queste azioni diventino parte integrante del marketing e della pianificazione del business di un’impresa, convertendo queste azioni in relazioni tangibili (E. Gummesson). La relazione verde si riferisce al modo in cui l’impresa agisce e interagisce con l’ambiente, con i singoli individui e la comunità; si definisce marketing “pro-causa”, all’interno della relazione verde, quelle buone azioni che creano valore per la società ma ad oggi è principalmente un’azione di sponsorship che ha lo scopo di migliorare l’immagine pubblica. Oggi tutti noi siamo costantemente in relazione con l’ambiente e non ci accorgiamo che un’ampia quota della distruzione ambientale diviene da noi stessi, causato dalla produzione e dal consumo, precisando che a sua volta non solo siamo i colpevoli ma anche le vittime. Prendendo in considerazione l’alimentazione si può analizzare l’impatto che

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riceviamo dalla consumazione sbagliata; il volume della spesa sanitaria, ad esempio, è uno dei principali costi per la società ed è causato dal nostro stile di vita. Secondo una ricerca condotta dalla Nielsen Global Survey of Corporate Social Responsibility and Sustainability, su un campione di 30.000 individui in 60 Paesi, il 21 ottobre 2015, in Italia i consumatori disposti a pagare un premium price per brand sostenibili sono il 52%, un dato in crescita perché si passa dal 44% del 2013, al 45% del 2014 fino al 52% nel 2015. A livello globale il dato sale al 66%, con una crescita di 11 punti percentuali rispetto agli altri anni. Questa analisi è stata condotta su 1.319 brand di 13 categorie di prodotti diversi, su una media di 13 nazioni (Argentina, Australia, Brasile, Cile, Cina, Colombia, Germania, India, Italia, Filippine, Russia, Singapore, Corea del Sud, Thailandia, UK, US), nell’anno 2014, in media i brand selezionati rappresentano il 73% a valore delle vendite della categoria nella nazione, ad esclusione delle marche del distributore. Un dato importante viene rappresentato dalle aziende impegnate nella sostenibilità ambientale e sociale che hanno fatto registrare nel 2015 una crescita del fatturato pari al 4%, a differenza di quelle scoperte su questo versante, il cui giro d’affari è incrementato meno dell’1%. Il 65% delle vendite totali nel largo consumo provengono da marche impegnate con l’ambiente o il sociale. Questo ci dimostra, che chi attua una politica di CSR, oltre a sviluppare una comunicazione sia all’interno dell’azienda con i propri dipendenti che al di fuori attraverso azioni di sostenibilità ambientale, riesce a raggiungere un profitto considerevole grazie alla disponibilità dei consumatori a spendere di più per un prodotto sostenibile. Nell’analisi della tesi in questione, sono rilevanti le informazioni relative alle fasce d’età maggiormente propense a pagare di più per la sostenibilità nei 60 mercati presi in esame. Infatti, dalla ricerca si nota che i Millennials (21-34 anni) e la generazione

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Z (15-20 anni) sono propensi a pagare di più per la sostenibilità. La prima si posiziona al 73% nel 2015 (in crescita del 50% rispetto al 2014), la seconda al 72% (era il 55% nel 2014). Questi dati mostrano che i Millennials e la generazione Z permettono, ma soprattutto permetteranno in futuro, l’espansione del mercato che riguarda non solo il prodotto con un brand sostenibile ma anche una comunicazione sostenibile. In sintesi, se queste generazioni, che possiamo definirle generazioni del futuro, influiscono sul benessere e la sperimentazione di nuovi stili di vita consentendo l’estensione e l’espansione della propria impronta ecologica. Un fattore significativo che riguarda l’Italia è la presenza di ingredienti naturali/biologici e la freschezza dei prodotti che incide per il 61% nel comportamento dei consumatori davanti agli scaffali e il beneficio salutistico che influenza a sua volta con una percentuale del 53%. Oggi, in Italia, il tema della nutrizione rientra tra quelli più critici della nostra epoca. Infatti, vediamo crescere la rete di negozi specializzati Bio, soprattutto centro nord Italia. Il dato più rilevante che emerge è senz’altro quello di un nuovo approccio agli alimenti, caratterizzato da una sempre maggiore attenzione agli aspetti salutistici dei cibi, nella consapevolezza che una giusta alimentazione sia lo strumento più adeguato per prevenire e gestire disfunzioni fisiche come l’eccesso di colesterolo, il diabete ma soprattutto possa far diminuire il volume della spesa sanitaria, ad oggi uno dei principali costi per la società. A livello globale la scala dei fattori “sostenibili” che inducono all’acquisto è la seguente:

• Il 62% dichiara di preferire i prodotti di brand di fiducia, • Il 59% i prodotti che hanno aspetti salutistici,

• Il 57% sceglie in base alla freschezza e agli ingredienti naturali,

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• Il 43% le aziende impegnate nel sociale,

• Il 41% utilizza come parametro il packaging non inquinante,

• Il 41% il fatto che il produttore impatti positivamente sulla comunità locale, • Il 34% si fida dell’adv televisivo del prodotto contenente messaggi rivolti

alla società e all’ambiente (fonte Nielsen Italia).

Due percentuali rilevanti sono il 62% che riguarda la preferenza di brand di fiducia e il 59% che riguarda i prodotti che hanno aspetti salutistici. La prima può essere tradotta in elementi che compongono i benefici del marketing relazionale, dove troviamo un rapporto tra cliente e brand che soddisfa i valori della customer satisfaction e della customer retentetion. La fidelizzazione della clientela è quell’aspetto che possono usufruire le organizzazioni che si occupano di CSR, dimostrando un’ottima capacità di relazionarsi internamente con le attività di routine ed esternamente con le buone relazioni con i clienti che permettono una relazione positiva con il territorio di riferimento e con i consumatori finali. La fiducia che il consumatore assume si può tradurre in un rapporto tra i clienti e il brand, basandosi sempre sulla centralità del cliente e composto dalla creazione, lo sviluppo, il mantenimento e l’ottimizzazione delle relazioni. Invece, per quanto riguarda i prodotti che hanno aspetti salutistici, si possono evidenziare il 57% degli italiani che si considera in sovrappeso, mentre il 53% vorrebbe dimagrire (era il 46% nel 2011), ma solamente il 16% in media è fortemente propenso a spendere di più per prodotti salutistici e l’89% non è disposto a sacrificare il gusto della buona tavola.

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1.2 La CSR communication

Con l’attuazione della direttiva 2014/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 ottobre 2014, recante modifica della direttiva 2013/34/UE per quanto riguarda la comunicazione di informazioni di carattere non finanziario e di informazioni sulla diversità delle imprese e gruppi di grandi dimensioni, si riferisce a quelle aziende che presentano un numero minimo di dipendenti pari a 500 e che costituiscono enti di interesse pubblico (società quotate in mercati regolamentati, società emittenti strumenti finanziari diffusi tra il pubblico in maniera rilevante, banche e imprese di assicurazione, società di intermediazione mobiliare). La direttiva UE obbliga alle grandi imprese la comunicazione, di informazioni di carattere non finanziario e la relazione all’interno della gestione di corretti rapporti che possono essere sociali, ambientali, al rispetto dei diritti umani, attinenti al personale e alla lotta contro la corruzione. Tale dichiarazione deve riportare una descrizione del modello aziendale dell’impresa, una descrizione delle politiche che l’impresa deve applicare, il risultato di tali politiche e i principali rischi connessi a tali aspetti e gli indicatori di prestazione di carattere non finanziario pertinenti per l’attività specifica dell’impresa. Le imprese che redigono tale relazione, contenente le medesime informazioni, da inserire nella dichiarazione, si distinguono e possono essere esonerate dall’obbligo di preparare la dichiarazione a condizione che essa sia pubblicata contemporaneamente alla relazione sulla gestione; oppure che essa sia messa a disposizione del pubblico entro un termine, non superiore ai sei mesi successivi alla data del bilancio, nel sito web dell’impresa e sia menzionata nella relazione sulla gestione. Il rilevante aspetto della comunicazione CSR produce all’interno delle attività aziendali dei benefici all’azienda stessa, diventando agli

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occhi dei consumatori un marchio sostenibile, dove cambierà il comportamento del consumatore; esso aumenterà la sua fedeltà e la sua disponibilità ad un premium price, sviluppando la capacità dell’azienda ad una buona comunicazione con gli stakeholders e migliorando i rapporti interni ed esterni all’azienda raggiungendo una diminuzione di costi e un benessere collettivo. Con la globalizzazione, la comunicazione delle responsabilità sociale delle imprese è diventata un’importante area di studio del settore delle pubbliche relazioni; nascono nuove dinamiche e le relazioni diventano multi-relazioni in cui in la comunicazione assume un ruolo centrale. La CSR communication, sta acquisendo rilevanza in una realtà in continuo cambiamento per effetto della globalizzazione e dell’informatizzazione, diventando così una parte importante all’interno del campo di ricerca CSR. Tra le prime aziende che hanno intrapreso una comunicazione CSR troviamo l’azienda di Ben e Jerry’s, fondata nel 2000, acquisita dal conglomerato anglo-svedese Unilever. Un’azienda che si occupa della vendita di prodotti che vanno dal gelato, yogurt congelato a sorbetti.

Figura 2. Ben & Jerry’s

Ben e Jerry’s si distinguono dalle altre aziende per la loro responsabilità verso la comunità, l’ambiente e una responsabilità definita sociale-aziendale come l’assegnazione di sovvenzioni, per aiutare la comunità e l’ambiente. Inoltre,

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aumentano la propria crescita aziendale con la strategia della comunicazione aperta con i dipendenti dell’azienda, permettendo così di far nascere all’interno dell’azienda un modo di pensare aperto, facilitando la collaborazione tra dipendenti appartenenti ad aree diverse dell’azienda e migliorando il flusso di informazioni per raggiungere un risultato migliore. Con l’aumento della consapevolezza e della domanda pubblica di imprese socialmente responsabili, accrescono le aziende che abbracciano gli aspetti della responsabilità sociale delle imprese nella pianificazione delle attività future. Alla fine degli anni 90 e nei primi anni 2000, tali sforzi volontari hanno avuto ampio sostegno da parte delle organizzazioni intergovernative (ad esempio Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico), nonché iniziative regionali e globali, quali il Programma di Gestione Ambientale e Audit o l’iniziativa di Reporting Globale (GRI). Ad esempio, il GRI, sono linee guida internazionali per l’elaborazione di un bilancio di sostenibilità, un rapporto che ci fornisce elementi conoscitivi sull’organizzazione che lo realizza sotto il profilo economico, ambientale e sociale. Si tratta di un modello particolare perché presenta i tre aspetti della sostenibilità, che consente comunque di valutarne ognuno di questi in maniera autonoma attraverso indicatori di performance. Tuttavia, le linee guida per la segnalazione della sostenibilità del GRI, pubblicate per la prima volta nel 2000 e successivamente modificate più volte (es. nel 2002 e nel 2006), sono diventate ancora più rilevanti in termini di utilizzo nelle pratiche di reporting aziendale. Nel 2008, il Journal of Marketing Communications, pubblica il primo numero speciale sulla CSR Communication definendola un “processo di anticipazione delle aspettative delle parti interessate, articolazione della politica della CSR e gestione di diversi strumenti di comunicazione destinati a fornire informazioni vere e trasparenti sull’integrazione delle attività aziendali o di un

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brand” ( Podnar 2008 , Nielsen e Thomsen 2012 ). Questa definizione specifica le strategie di comunicazione e le attività che riguardano il ruolo della CSR communication, considerandolo un vero e proprio strumento di comunicazione che non solo sviluppa l’interazione con il consumatore ma aiuta l’azienda, grazie alla promozione e l’immagine del brand, nella sua attività di gestione. Quindi, l’attrazione dei clienti attraverso attività promozionali della CSR, o informazioni basate sulle relazioni pubbliche come strumento per rafforzare l’immagine del brand e la reputazione dello stesso, si può definire un’azione di persuasione. Con l’evoluzione della CSR communication si trasforma la comunicazione unidirezionale diventando interattiva attraverso il dialogo aperto con tutti i consumatori, con lo scopo finale non soltanto della promozione ma soprattutto della valorizzazione dell’immagine sociale.

1.2.1 La CSR communication e le tre caratteristiche distintive:

moralità, autenticità e trasparenza

Nel contesto della CSR communication definiamo marketing potenziale quell’azione che identifica i dipendenti attraverso le dichiarazioni sulle ambizioni di csr dell’azienda con notevoli sforzi e risultati. La comunicazione diventa più informale da parte di manager e dipendenti in rete, attraverso interviste e apparizioni mediatiche e commenti sul ruolo dell’azienda nella società che coinvolgono le dichiarazioni sull’ambito della corporate social responsibility. La partecipazione al processo comunicativo della CSR evoca non solo la buona visione ma anche la critica, da parte dei consumatori, politici, investitori e altre parti

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interessate perché diventano lettori critici di messaggi aziendali sulle buone azioni. Si tratta di una comunicazione con caratteristiche distintive perché non si tratta soltanto delle informazioni aziendali su questioni economiche ma definisce la “morale” di una società, ossia quell’insieme dei valori o principi ideali in base ai quali l’individuo e la collettività decidono liberamente la scelta del proprio comportamento. Oggi i consumatori sono disposti a pagare un premium price per l’impatto sociale e ambientale che racchiude il prodotto, associando cosi il concetto di CSR a beni e valori; anche i dirigenti e gli impiegati sono orgogliosi delle responsabilità sociali e ambientali della società e spesso sono invitati a spiegare e discutere della società per aumentare il social-engagement. Il fattore “morale” diventa lo specchio su cui l’azienda si specchierà e a sua volta rifletterà, dove troviamo le promesse mantenute della stessa nell’ambito del CSR, non tenendo conto della tipologia dell’impresa o delle dimensioni della stessa. La crescente attenzione all’organizzazione tende a far sviluppare alle aziende delle strategie di comunicazione di messaggi aziendali attuando tecniche di cause related marketing (CSRM) per aumentare sia le vendite che l’impatto sociale. Il cosiddetto CRM è un’azione che nasce da una partnership tra un’azienda e un’organizzazione non profit ed ha come scopo di promuovere un’immagine, un prodotto o un servizio, traendone vantaggio reciproco. Il direttore della Corporate Social Responsibility della società di gestione impianti Sodexo, Johan Friedman afferma che: “The companies are recognizing that consumers are not interested in buying responsible product from companies that are not know for being responsible themselves” (Friedman, 2015). Dalla definizione data, vediamo che le aziende stanno riconoscendo che i consumatori non sono interessati ad acquistare prodotti responsabili da aziende che non sanno essere responsabili; la comunicazione CSR

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richiama l’attenzione all’identità dell’azienda e sul modo in cui essa diventa responsabile, trasformando questi valori in fattori distintivi del brand per riconoscere l’azienda. Si potrebbe utilizzare l’esempio delle promesse di Ryanair che riguardano un’efficace organizzazione per garantire un prezzo contenuto o la promessa di Apple di decidere sui prodotti e su servizi per facilitare l’utilizzo dei consumatori, in questo caso la convenienza e la promessa diventano le caratteristiche distintive dei due brand portando subito il consumatore all’individuazione dello stesso. Invece riferendoci all’aspetto della CSR communication, sì può citare la promessa dell’azienda Volvo che aggiunge una dimensione morale in cui i dipendenti si aspettano di essere responsabili, prevedendo che l’azienda sia orientata verso la società e che gli impiegati siano sinceri a questo impegno. Volvo afferma: “il nostro impegno è di riesaminare la sostenibilità e migliorare il nostro funzionamento, le nostre auto e la società”; creando così un’aspettativa che si estende oltre il prodotto o servizi della società e che include anche aspettative di una mentalità morale tra i suoi manager e dipendenti. Un altro fattore determinate è l’essere visto autentico agli occhi dei consumatori, con il fine di migliorare la società. La comunicazione CSR dovrebbe riflettere un contributo allo sviluppo della società, bisogna far qualcosa per migliorare la società. Le campagne di comunicazione aziendale, le pubblicità gli sforzi di branding e le strategie di cause related marketing, dove le aziende promettono di lavorare per ridurre la povertà o le emissioni di CO2, di contribuire per migliorare la società, vengono spesso utilizzati come indicatori di un impegno verso il CSR. L’obiettivo principale è di farsi conoscere per la propria autenticità, non è sufficiente soltanto la comunicazione; è importante che la società dimostri il suo contributo positivo alle comunità locali e globali. I dirigenti e i dipendenti non

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solo hanno il compito di informare i consumatori dell’iniziativa ma soprattutto devono essere sinceri; essi devono trasmettere il messaggio dell’azienda credendo in esso e comunicando con coerenza e sincerità i valori autentici dell’azienda. L’ultima caratteristica è la trasparenza, l’essere trasparente con la società e non cercare di nascondere qualcosa. La trasparenza aziendale, si traduce nell’essere aperti e disposti ad impegnarsi in dialoghi su questioni potenzialmente critiche. L’azienda deve esporsi alla luce del sole mantenendosi continuamente in linea con il suo principale obiettivo. La trasparenza non riguarda soltanto le caratteristiche del prodotto ma anche il contesto e i processi in cui i prodotti si acquistano o si riciclano; da sottolineare che queste informazioni specifiche riguardanti il prodotto o le azioni sono abbastanza difficili da esporre. Lo sforzo di comunicazione CSR dell’azienda è quello di convincere il pubblico che l’azienda fa del suo meglio per fornire le informazioni sulla sua attività. Cercando di essere trasparenti attraverso la verità, la sincerità e l’essere in grado di giustificare le azioni e decisioni, per dimostrare il loro contributo allo sviluppo sostenibile. Un modo, per comunicare la trasparenza potrebbe essere l’uso di buone pratiche nel packaging, con riferimento alle scelte di consumo e all’attività di produzione, evidenziando soprattutto i materiali utilizzati per l’imballaggio. In molti casi le aziende usano questa comunicazione per delle strategie gestionali perché “fare CSR” permette di avvicinarsi a quel surplus che l’azienda aspira; è generalmente apprezzato come comportamento socialmente auspicabile ed inoltre è facile per la maggior parte della popolazione poco informata pensare che il miglioramento della comunicazione significa migliorare la società e l’impatto ambientale. Ad oggi, grazie alla molteplicità delle vie comunicative bisogna tenere in considerazione che non è più così, molte aziende hanno attirato critiche di disapprovazione, piuttosto

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che di sostegno pubblico perché i consumatori sono sempre più scettici, dubbiosi e diffidenti. È fondamentale capire che la comunicazione CSR non è l’esecuzione di una campagna da avviare o un programma da seguire, ma è uno stile di vita che l’azienda ha scelto di percorrere. I comportamenti aziendali, dopo un evento dove l’azienda è stata vista per contribuire negativamente alla società, possono tradursi in una critica immediata e in un’accusa di greenwashing. Si definisce greenwashing quando un’azienda, organizzazione o evento aziendale o pubblico, sostengono di “essere verdi” attraverso la pubblicità, e impegnano più risorse nell’affermazione che nell’attuare la pratica per minimizzare davvero l’impatto ambientale. Oggi, il web fornisce molteplici vie per tenere informati i consumatori così facendo migliora il potere d’acquisto delle famiglie italiane e il consumatore è sempre più esigente e informato; quindi con questi caratteri distintivi dei consumatori di oggi l’azienda deve impegnarsi in maniera trasparente e aperta per il raggiungimento dei suoi obiettivi.

1.2.2 Strumenti per la corporate social responsibility

communication: il bilancio sociale e il codice etico

Con l’evoluzione del concetto corporate social responsibility, le imprese hanno iniziato ad adottare un comportamento sostenibile instaurando un corretto rapporto con l’ambiente e attraverso le politiche rispettose verso il contesto economico e sociale. Così facendo l’azienda non ha come unico obiettivo il profitto ma la creazione di un clima di collaborazione, all’interno dell’impresa, integrando il fine economico con valori sociali ed ambientali. A differenza del report di natura

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finanziaria, che è obbligatorio, le imprese iniziano a redigere, volontariamente, il bilancio sociale e il codice etico. Il bilancio sociale e il codice etico misurano ciò che le rendicontazioni tradizionali non mostrano, ovvero l’effetto che l’azienda ha prodotto sugli stakeholder. Il concetto, “triple botton line”, venne introdotto per la prima volta dal sociologo ed economista inglese John Elkington. Con questo concetto nacque un approccio, che riguardano l’azienda, che si basa al perseguimento di tre obiettivi: l’equità sociale, qualità ambientale, prosperità economica. Quindi la misurazione dei dati, grazie a questo approccio, avviene sulla base dei criteri economici ma anche ambientali e sociali. Il bilancio sociale e il codice etico sono due documenti in grado di specificare l’impegno etico nelle attività esterne e interne dell’azienda. Il bilancio sociale è documento consuntivo periodico, che coinvolge le politiche dell’impresa riguardanti il rapporto con l’ambiente in cui opera. Con questo documento si definisce l’identità dell’azienda, i risultati degli obiettivi in ambito sociale e si informa gli stakeholder dell’operato dell’azienda. Il codice etico, invece, riguarda il monitoraggio dei comportamenti aziendali, dove all’interno dello stesso ogni membro trova le regole e i principi da seguire e rispettare contemporaneamente allo svolgimento dell’attività aziendale.

1.2.3 Tre tipi di strategie di CSR communication

L’evoluzione della corporate social responsibility communication diventa un’area di analisi dove la partecipazione, il dialogo e il coinvolgimento diventano fattori essenziali per l’azienda. L’azienda, che applica la CSR communication, inizia a collaborare con i suoi stakeholders, aprendo una comunicazione sia interna che

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esterna. Come afferma Johnson-Cramer et al. (2003): “L’essenza del dialogo degli stakeholders è la co-creazione di una comprensione condivisa da parte dell’impresa e degli stakeholders”. Questa definizione evidenzia l’aspetto del dialogo ma soprattutto ci fa capire che la fonte di evoluzione dell’azienda è la partecipazione degli stakeholders, essi creano valore all’azienda con le loro auto-presentazioni aziendali. Con ciò aumentano le competenze e gli studi da parte delle relazioni degli stakeholders da parte delle pubbliche relazioni e dai responsabili di marketing che praticano le proprie competenze di comunicazione per relazionarsi a più stakeholders. Sfruttando le teorie dei rapporti pubblici, è stato suggerito che la comunicazione CSR si verifica sia come processo one way, da un mittente per ricevere, o come processo bidirezionale, uno scambio tra un ricevitore e un mittente (Morsing e Schultz, 2006). La struttura delle tre tipologie di strategie nella comunicazione di CSR, presentata da Morsign e Schultz’s, è composta da tre strategie che spiegano come le aziende comunicano i loro sforzi al pubblico interno ed esterno.

➢ La prima “stakeholder information strategy”:

La comunicazione è sempre unica, definita unidirezionale. Il messaggio parte dall’azienda e arriva agli stakeholders (“telling, not listening”). La comunicazione è considerata come un racconto che ha lo scopo di diffondere informazioni, non con intenti persuasivi, ma piuttosto ha la funzione informativa. Il modello di informazioni degli stakeholders presuppone che gli stakeholders siano influenti in quanto possono dare supporto in termini di abitudini di acquisto, dimostrando fedeltà ed elogiando l’azienda, oppure possono mostrare opposizione in termini di dimostrazione, colpi o boicottaggio della società. Lo scopo è quello d’informare soprattutto gli stakeholders esterni sull’azione aziendale e pertanto l’attività di

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comunicazione aziendale è quella di disegnare messaggi oggettivi e attraenti sul contributo della società allo sviluppo sociale. In questo caso i dirigenti sono sicuri che la società sta facendo la cosa giusta, e ritengono che l’azienda abbia solo bisogno di informare in modo efficiente l’opinione pubblica su ciò che sta facendo per costruire e mantenere un supporto positivo delle parti interessate. Quindi informa le parti interessate delle sue decisioni, azioni, per informare gli stakeholders, in quanto crede che sia moralmente la cosa giusta da fare per migliorare le condizioni sociali nella comunità locale o globale. Questa strategia di comunicazione è tipicamente visibile in campagne pubblicitarie e campagne di branding aziendali.

➢ La seconda strategia “stakeholder response strategy”:

Questa strategia si basa su un modello di comunicazione bilaterale, definita “two-ways asymmetric”, in contrapposizione al modello simmetrico bidirezionale della strategia di coinvolgimento degli stakeholders. In entrambi i modelli, la comunicazione parte dall’azienda rivolgendosi agli stakeholders, ma a differenza del primo modello il messaggio viaggia anche nella parte opposta. L’azienda, inoltre, deve impegnarsi attraverso sondaggi di opinione o indagini di mercato per capire dove può migliorare la sua attività di CSR. Quindi si definisce la comunicazione come un feedback, per scoprire che cosa il pubblico accetterà. L’azienda si impegna nel dialogo, ascoltando i propri stakeholders per comprendere la loro preoccupazione. Sulla base di questo, i responsabili del progetto definiscono il messaggio CSR aziendale che sarà probabilmente approvato dalle parti interessate. Questa strategia di comunicazione è tipicamente vista nella relazione CSR in risposta alle indagini e ai sondaggi di opinione, in cui le aziende rispondono alla valutazione e alle critiche pubbliche.

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➢ La terza strategia, “stakeholder involvement strategy”:

Si basa sul coinvolgimento degli stakeholders, quindi non si tratta soltanto di informare ma di assumere un dialogo con i propri stakeholders. In questo caso ci possono essere scopi di persuasioni, ma provengono dalle parti interessate e dall’organizzazione stessa, ognuno cerca di convincere l’altro a cambiare. L’azienda e le sue parti interessate cambieranno grazie al coinvolgimento di un modello di comunicazione simmetrica, ovvero attraverso le interazioni progressive dei processi di sensibilizzazione. Poiché la strategia di coinvolgimento degli stakeholders assume la nozione di relazione degli stakeholders, le aziende non dovrebbero soltanto influenzare gli stessi ma anche cercare di essere influenzate dalle parti interessate e, quindi, cambiare quando necessario. In questo caso non si impone una particolare iniziativa CSR sulle parti interessate, ma si attua una strategia di coinvolgimento degli stakeholders per individuare le loro preoccupazioni nei confronti della società, accettando anche cambiamenti quando sono necessari.

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1.2.4 Le tre fasi di sviluppo della CSR communication

Per conoscere le fasi dello sviluppo del corporate social responsibility communication dobbiamo far riferimento, non solo ai tre tipi di strategie citate nel paragrafo precedente, ma anche alle tre fasi successive, analizzate da Schultz, Castello e Morsing nel 2013, perché hanno contributo a dare un ulteriore valore. La prima fase riguarda la parte strumentale della comunicazione che si basa sulla responsabilità primaria delle aziende, ossia quella di massimizzare i loro profitti. La CSR communication si definisce un mezzo per valorizzare e aumentare il profilo socio-economico dell’azienda; attraverso essa l’azienda intraprende l’attività di comunicazione pubblicando le buone attività aziendali ai soggetti interessati, con lo scopo di influenzare la loro percezione della società. Con l’introduzione dei social media la comunicazione si espande consentendo all’azienda di migliorare la sua efficienza ed efficacia del messaggio, raggiungendo gli stakeholders geograficamente dispersi. La visione strumentale, della communication CSR, è fondamentale nella ricerca sul marketing, sul marchio, sulla relazione pubblica e più in generale nella comunicazione aziendale. È considerato uno strumento strategico con una prospettiva centrata sulla società, in cui le attività vengono valutate principalmente sulla base della loro influenza positiva per l’azienda. In questa fase strumentale i tentativi strategici aziendali di produrre una percezione positiva tra gli stakeholders, si trasformano in un’azione decisiva e concreta su come l’azienda aggiunge un contributo positivo alla società. La seconda fase riguarda la fase politica, dove la comunicazione CSR si basa su una premessa ideologica “le aziende esercitano un’influenza massiccia sulla società”, non solo in termini di influenza economica ma soprattutto nella definizione di norme e valori

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che servono per lo sviluppo e la crescita della società. La struttura delle norme aziendali e dei valori CSR si confronta con il tradizionale ruolo dell’impresa nella società come generatore di profitto depoliticizzato che consegna il prodotto e il luogo di lavoro politicamente naturali, cosicché le aziende si stanno impegnando in questioni sociali ed ambientali di interesse pubblico, influenzano non solo i consumatori, ma anche i politici, le ONG e la società. L’ultima fase riguarda i network, un modello dove la rete è incorporata nella società e il sistema di rete influenza lo sviluppo sociale. In questo contesto l’osservazione dei linguaggi usati in rete per comunicare ha un ruolo fondamentale per modificare la realtà sociale. Non si tratta soltanto di un meccanismo usato per trasmette i messaggi ma di un valore aggiunto attraverso il quale gli utenti in rete esplorano, costruiscono, trattano e modificano ciò che si definisce organizzazione socialmente responsabile. In questa fase non solo i dirigenti ma anche i partecipanti esprimono le loro idee per incrementare e far crescere una società legata ai valori della CSR. La prospettiva sulla comunicazione in rete si basa su un modello costruttivista consolidato con una teoria descrittiva, in cui la comunicazione è definita come il processo in corso di realizzazione delle circostanze in cui si trovano collettivamente gli eventi che li riguardano (Taylor and van Every, 2000). Ad oggi, online, la maggior parte degli utenti stimolano le critiche perché si sentono liberi di esprimere la propria opinione o meglio la propria critica, dato che non sono obbligatoriamente tenuti a firmare i loro pensieri. Molti studiosi hanno sostenuto che spesso i dirigenti apprezzano il dissenso e spesso invitano le critiche e le contestazioni, perché questo può servire come strumento per lo sviluppo e il miglioramento organizzativo anziché concentrarsi sulle definizioni passate. Il consenso, può essere definito come una chiusura discorsiva in cui le decisioni passate regolano l’azione futura e dove

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l’assunzione affermata viene definita “ovvia” e non viene contestata. Il dissenso, al contrario, serve a mantenere viva la conversazione concentrandosi sull’alternativa. Con l’introduzione delle nuove tecnologie, aumentano sempre di più le persone in rete ma soprattutto è aumentato il livello di impegno nelle discussioni critiche on-line sulle responsabilità sociali delle imprese. I social media, ad oggi, dimostrano che non basta la comunicazione tra un’azienda e le sue parti interessate; la comunicazione si estende con i social network, quali Facebook, Instagram, Twitter, perché consentono un’interazione veloce e diretta tra più utenti, ma non solo perché permettono anche la pubblicazione di articoli e news. La particolarità di questa forma comunicativa è che invitano al dialogo e alla partecipazione le persone geograficamente disperse, in misura tale da non essere stati testimoni, ma soprattutto si trovano delle relazioni fluide e non gerarchiche. La comunicazione è documentata per aumentare in modo fondamentale la connettività degli individui e delle organizzazioni (schultz, utz e Goritz 2011). Gli studiosi hanno suggerito come questo sviluppo si traduca in un pubblico molto più aperto, riflessivo, organizzato e fluido, ma anche in aumento l’attivismo di rete e nuovi movimenti sociali, che possono influenzare drammaticamente l’organizzazione.

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Tabella 2. Three phases in the deveolpment of csr communication (adpted from the csr framework by Schultz, Castello and Morsing, 2013.

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2 CAPITOLO: Distinguersi attraverso il modello For-Benefit

2.1 Cenni introduttivi

Il profitto rappresenta la giusta caratteristica per la buona riuscita di un business; non si può affermare il contrario ma negli anni la visione dei consumatori ha trasformato la semplice forma di acquisto in un tema di valore per la società e per sé stessi. Oggi i consumatori si chiedono se i lavoratori sono felici, se si rispettano le norme sull’ambiente, se si è seguito un corretto approccio per il processo di distribuzione dei propri prodotti e se l’azienda applica le iniziative di carattere sociale. Alcuni consumatori non guardano soltanto il prezzo del prodotto quando devono acquistare ma investono sempre di più sulla qualità e sulla storia dei prodotti, privilegiando aspetti quali la sostenibilità del prodotto e dell’azienda produttrice. Una delle riposte da parte delle aziende è stata data con l’introduzione della forma giuridica delle Società Benefit, in Italia, e con le certificazioni B-Corp, in tutto il mondo. L’obiettivo delle aziende, con la nascita delle Società Benefit e delle B-Corp, non riguarda soltanto il fine economico ma anche il benessere collettivo. Non si tratta di azioni intangibili ma di risultati che sono misurabili attraverso l’adozione di standard riconosciuti a livello internazionale. Essere un’azienda sostenibile con le giuste caratteristiche affermate significa controllare nel tempo il proprio impatto e impegnarsi sempre di più in un percorso di miglioramento; un movimento globale che ritiene di poter usare il business come forza positiva per creare una prosperità durevole e condivisa per la società. Due studiosi, Suntae Kim e Todd Schifeling, hanno condotto una ricerca per costruire una comprensione della nascita delle B-Corp; essi hanno analizzato in modo

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qualitativo i motivi interni delle imprese nel processo di divenire una B-Borp e testando quantitativamente i fattori chiave nell’ambiente esterno di queste imprese, inclusi i comportamenti da parte degli azionisti e dei soggetti interessati dei loro concorrenti aziendali, hanno scoperto che esistono dei motivi per cui le imprese scelgono la strada verso una certificazione B-Corporation. Il motivo principale riguarda le piccole imprese che da tempo sono state impegnate in cause sociali e ambientali, e vogliono dimostrare di essere autentici sostenitori dei vantaggi degli stakeholders rispetto alle azioni delle grandi imprese. La certificazione, quindi, li aiuta a distinguersi in mezzo a una rivoluzione di greenwashing tra le grandi aziende, aiutando i consumatori ad ordinare attraverso il marketing hype, le vere aziende e i veri prodotti sociali e responsabili. Certo ci sono maggiori oneri da sostenere, ma anche maggiori rendimenti economici, sociali e ambientali; ma soprattutto per le imprese mission-driven, è un’opportunità in più per comunicare meglio il loro impegno verso la società e l’ambiente naturale in un mondo in cui tutti affermano di essere “sostenibili”.

2.1.1 Le Società Benefit in Italia

L’Italia è il secondo paese, dopo gli Stati Uniti, ad avere introdotto il nuovo modello imprenditoriale “for benefit” mediante l’istituzione delle Società Benefit. Con la nascita delle Società Benefit siamo testimoni di una trasformazione dell’organizzazione produttiva: l’impresa viene orientata non alla massimizzazione del profitto bensì alla massimizzazione del welfare. Le Società Benefit nascono nel 2015 con l’accettazione di un disegno di legge, inserito nella legge di stabilità del

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2016, che riconosce anche in Italia la qualifica di imprese for benefit, che perseguono un duplice scopo ovvero di lucro e beneficio comune; l’Italia è il primo paese dell’UE che assegna dignità giuridica alle imprese for benefit (nonostante B-Lab abbia già concesso l’utilizzo del marchio B Corp). Prima di proseguire, è fondamentale specificare e distinguere gli altri due modelli ossia le Bcorp e Benefit Corporation; per avere una corretta visione, del capitolo, si deve spiegare la differenza delle due nomenclature per ottenere un corretto approccio con l’argomento in questione. La B-Corp è la qualifica conseguita da un’impresa a seguito di una certificazione rilasciata da un Ente terzo (B-Lab). Una B-Corp (anche detta Certified B Corporation) è, infatti, una società che si è sottoposta volontariamente alla valutazione di B-Impact promossa dal B-Lab e ne ha ottenuto la certificazione. Le B-Corp non hanno una forma giuridica e non sono soggetti a nessun obbligo aggiuntivo richiesto dalla legge o dallo statuto, a differenza delle Società Benefit, anche se condividono molte somiglianze con esse. La Società Benefit pur prendendo spunto dall’esperienza americana e mondiale delle Benefit Corporation e delle B-Corp, delinea le caratteristiche di questo tipo di società all’interno dell’ordinamento civilistico italiano. La Benefit Corporation è una forma giuridica innovativa, sinora riconosciuta in alcuni stati federali degli Stati Uniti d’America, che si propone di rispettare alti standard di scopo, responsabilità e trasparenza. La disciplina delle Società Benefit ha consentito all’Italia di diventare il primo Paese UE e l’unico Paese sovrano al mondo, assieme ad alcuni Stati federali USA, che abbia assegnato una dignità giuridica a questa forma di impresa. La nuova disciplina delle Società Benefit non dispone di alcun particolare vantaggio, come benefici fiscali o agevolazioni finanziarie, e nemmeno deroghe espresse all’ordinaria disciplina del diritto societario disposta dal codice e da altre

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leggi. Qualora un’azienda voglia qualificarsi come una Società Benefit dovrà indicare nell’oggetto sociale di avere, in aggiunta alle normali finalità di lucro, finalità di beneficio comune e operare in modo responsabile e sostenibile. In seguito, indicherà l’obiettivo di beneficio comune, nel proprio statuto, se ambientale o sociale, lo deciderà l’azienda stessa. Inoltre, la SB (società benefit) si differenzia dall’impresa sociale di cui al D. Lgs. 24 marzo 2006 n. 155: per quest’ultima infatti è obbligatorio destinare gli utili e gli avanzi di gestione agli scopi statutari o all’incremento del patrimonio ed è vietata la distribuzione degli utili; mentre per la SB lo scopo lucrativo è previsto insieme allo scopo di beneficio comune. La SB non costituisce un nuovo tipo sociale, possono perseguire una o più finalità di beneficio comune sia le società di persone (società semplice, società in nome collettivo, società in accomandita semplice) che le società di capitali (società per azioni, in accomandita per azioni, società a responsabilità limitata, società a responsabilità limitata semplificata, società cooperative e mutue assicuratrici). In sostanza la particolarità delle SB, rispetto ai tipi sociali già diffusi, è rappresentata dalla integrazione dello scopo sociale tradizionale di natura lucrativa con lo scopo (una o più finalità) di beneficio comune.

La prima azienda Benefit Corporation in Italia, e nel mondo, è stata Nativa.

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Nativa è stata la prima azienda che ha creato un’evoluzione nel mondo. Il suo obiettivo, ancora oggi, è l’evoluzione delle attività economiche, affinché queste abbiano un impatto positivo e rigeneratore sulle persone e sul pianeta. Nativa è stata fondata nel 2012, dopo che il suo statuto è stato respinto per quattro volte dalla camera di commercio di Milano, perché non era possibile includere una finalità diversa da quella del profitto. Nativa, non potendo inserirsi all’interno della legge italiana, decide di lanciare un progetto per l’introduzione di una legge ispirata alla Benefit Corporation. Nel 2015, grazie al Senatore Mauro Del Barba, è stato presentato il disegno di legge sulle Società Benefit e successivamente accettato con la legge di Stabilità, di cui nel paragrafo precedente, in maniera sintetica, troviamo l’evoluzione storica della norma stessa. Insieme a Nativa, le prime aziende a diventare società benefit sono state:

• D-Orbit che tratta i sistemi per la sicurezza spaziale; • Dermophisiologique per i cosmetici;

• Croqqer.it che riguarda un marketplace per lo scambio di servizi di lavoro a impatto sociale positivo;

• Mailwork, una piattaforma per la riqualificazione energetica e sostenibile degli edifici.

Un’impresa sociale può diventare una società benefit soltanto trasformando il suo statuto o atto costitutivo, di seguito alla classificazione dell’ente come Società Benefit e non come impresa sociale. Al contrario delle B-Corps, che ne parleremo nel paragrafo seguente, in cui basta soltanto superare il B Impact Assessment per ottenere la certificazione. Per poter diventare Società Benefit si deve inserire nell’oggetto sociale un obbligo sociale/ambientale, per chi la gestirà anche in futuro (nuovi azionisti o manager) e rafforzare cosi attraverso la ragione sociale il

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perseguimento di uno scopo di lungo termine, sia per l’impatto su persone e ambiente sia per l’aspetto economico, che identifica la società. Tale fenomeno ci aiuta a raffigurare l’ambiente sociale dell’azienda presa in considerazione, mettendo in rilievo le imprese di capitali che intendono superare il tradizionale modello della responsabilità sociale d’impresa. Quella creata dalla Società Benefit si può definire una terza via, con il fine di trasferire vantaggi sia all’ecosistema che alla società stessa. Oggi, le Società Benefit, generano sviluppo attraverso la produzione di valore economico e quella di valore sociale che vanno necessariamente tenute insieme; un’operazione che permette di migliorare e accrescere il campo dell’imprenditoria sociale puntando sulle forme di arricchimento reciproco, al fine di costruire valori efficaci ed efficienti all’impatto sociale mediante una crescita dei territori e delle comunità. Per questa ragione sono sempre più numerosi gli esempi di forme di impresa che con molteplici modalità e diversi gradi di intensità affiancano attività di natura commerciale ad altre di natura sociale (processo di convergenza dei soggetti for profit verso la sfera no profit); oppure, viceversa, imprese che assumono mission sociale ma producono al contempo un reddito da attività commerciale per poter perseguire le proprie finalità identificandosi in un processo di ibridazione di soggetti no profit verso la sfera for profit (Paolo Venturi e Sara Rago, 2015). Le Società Benefit, ad oggi, si possono definire l’evoluzione del futuro delle società, dell’ambiente lavorativo e dell’aspetto sociale sia all’interno dell’ambito organizzativo con i dipendenti che all’esterno costruendo un rapporto con i propri stakeholders. Un’azienda sana è quella che ha dipendenti felici e a sua volta produttivi, aumentando l’impegno e le opportunità di imparare gli uni dagli altri, perché il benessere delle persone è il benessere della società, dei dipendenti, dell’azienda. Quindi l’imprenditore si

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occuperà di un modello di business condiviso con gli stakeholders con una maggiore attenzione ai collaboratori, dipendenti, clienti ma soprattutto a quel modello di business che ha come finalità principale il benessere collettivo. Per quanto riguarda invece l’impatto con i consumatori, o meglio dei portatori di interesse, facendo riferimento all’andamento delle aziende SB attuali in aumento, si evince un apprezzamento da parte del dal mercato.

2.1.2 Aspetto giuridico delle Società Benefit

Il 22 dicembre del 2015, come già accennato nel primo paragrafo, il parlamento ha approvato la legge relativa a “disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello stato”, cosiddetta legge di stabilità grazie alla quale è stata introdotta nel diritto societario italiano una nuova forma d’impresa: la Società Benefit o come viene chiamata negli Stati Uniti, “Benefit corporation”. La Società Benefit viene definita una terza via, la cosiddetta via del benefit, attraverso la quale il sociale entra nella produzione della ricchezza condizionandola, con l’intento di associare allo scopo lucrativo, uno o più scopi sociali e ambientali perseguendo sia obiettivi profit, concomitanti con quelli no profit. In tal modo si viene a creare il cosiddetto modello ibrido; il modello ibrido consiste in un duplice valore che comprende uno scopo profit, quindi di guadagno per permettere il funzionamento e la gestione dell’azienda, e un altro no profit, la cosiddetta via del benefit perché comprende tutte le azioni con finalità benefiche sia ambientali che sociali. L’Italia, è stato il primo paese dell’Unione Europea e il primo fuori dagli U.S.A., a creare una nuova forma legale che identifica le aziende che adottano comportamenti

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socialmente responsabili, all’interno della propria attività principale, e consente ad esse di porre le basi per un successo futuro senza arrecare danno all’ambiente. L’Italia e 31 stati USA, tra cui il Delaware e il District of Columbia hanno già approvato la legislazione sulle Benefit Corporation. In Italia la normativa sulle Società Benefit è stata approvata con il supporto di tutte le principali forze politiche e negli USA 12 Stati hanno approvato il disegno di legge completamente all’unanimità. La legge del 28 dicembre 2015, n. 208, articolo unico, commi 376-384 ed entrata in vigore il primo gennaio del 2016 (legge di stabilità 2016) definisce Società Benefit quelle società che nell’esercizio di una attività economica, oltre allo scopo di dividerne gli utili, perseguono una o più finalità di beneficio comune e operano in modo responsabile, sostenibile e trasparente nei confronti di persone, comunità, territori e ambiente, beni ed attività culturali e sociali, enti e associazioni ed altri portatori di interesse. Un concetto rivoluzionario che garantisce l’intenzione di trasmettere i valori di un nuovo modo di fare impresa, piuttosto innovativo e rivoluzionario, dando più libertà alle imprese. Rispetto ad altre forme societarie, la nuova legislazione tenta di aiutare persone, istituzioni, investitori e consumatori a distinguere tra attori buoni e cattivi e diminuisce le probabilità di greenwashing da parte delle aziende poco oneste; questo nuovo modello crea una solida base per allineare la missione della corporate social responsibility e far nascere quel valore condiviso, all’interno dell’azienda, nel lungo termine. La scelta di assumere la forma di una Società Benefit è una scelta significativa che implica una trasformazione nella gestione ordinaria e delle priorità all’interno di una società.

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