DIPARTIMENTO DI
CIVILTÀ E FORME DEL SAPERE
CORSO DI LAUREA IN ARCHEOLOGIA
TESI DI LAUREA
Contesti archeologici e momento storico:
osservazioni sulle lastre Campana
CANDIDATO
Irene Sartori
RELATORE
Prof.ssa Lucia Faedo
CORRELATORE
Dott.ssa Anna Anguissola
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Indice
Introduzione ... 5
1. Le lastre Campana: analisi e problemi di studio... 13
1.1 Le scelte iconografiche ... 29
1.1.1 La Nike Tauroctona ... 30
1.1.2 Le fatiche di Eracle ... 37
1.1.2.1 Un problema di provenienza incerta: le lastre da Quadraro ... 42
1.1.3 I rilievi citaredici ... 44
1.1.4 Temi dionisiaci ... 46
1.1.5 Scene di vita quotidiana ... 49
1.2 I principali contesti di ritrovamento delle lastre Campana ... 52
1.2.1 I santuari di Cosa e Gabii ... 52
1.2.2 L’Acropoli di Cuma ... 56
1.2.3 Il Foro di Lavinium ... 59
1.2.4 La Villa di Punta Eolo a Ventotene ... 60
1.2.5 La Villa delle Grotte a Portoferraio ... 65
2. Perseo, Atena e la decapitazione della gorgone Medusa ... 69
2.1 Origini del mito e diffusione iconografica ... 69
2.2 Il mito sulle lastre Campana ... 73
2.3 I contesti: la circolazione del mito attraverso la decorazione fittile ... 80
2.3.1 Capua ... 80
2.3.2 I santuari di Cosa e Gabii ... 83
2.3.3 Lavinium ... 88
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2.3.5 Pietra Papa ... 94
2.3.6 Nola ... 96
2.4 Il santuario di Apollo Palatino: la propaganda augustea ... 97
2.4.1 Proposte di ricostruzione: a quale struttura era destinato il ciclo Campana? ... 101
2.4.2 Perseo, Atena e la Gorgone Medusa: l’ideologia alla base della propaganda augustea ... 109
3. Il mito di Teseo ... 122
3.1 Il ciclo nelle lastre Campana ... 126
3.2 La selezione iconografica e le attestazioni archeologiche ... 131
3.2.1 Le imprese di Teseo ... 131
3.2.2 L’abbandono di Arianna ... 143
3.2.3 Il riconoscimento di Teseo da parte del padre Egeo ... 145
3.2.4 Le problematiche di un contesto incerto ... 157
3.3 La riattualizzazione del mito da parte di Augusto ... 163
4. I temi Omerici ... 171
4.1 Il ritorno di Ulisse nelle lastre Campana... 172
4.1.1 Le testimonianze archeologiche ... 176
4.1.2 Penelope e Ulisse: i modelli originali e i confronti iconografici ... 188
4.1.3 I motivi ideologici alla base della selezione del ciclo odissiaco ... 203
4.2 Il riscatto del corpo di Ettore nelle lastre Campana: un caso problematico... 208
4.2.1 L’iconografia del riscatto di Ettore e il suo valore simbolico ... 218
4.2.2 Considerazioni sui frammenti attribuiti alla scena del riscatto: una possibile interpretazione alternativa? ... 228
4.3 Approfondimento: le tabulae iliacae ... 240
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Bibliografia ... 264
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Introduzione
Uno studio dettagliato e specifico sulle terrecotte “Campana” si è rivelato un compito del tutto nuovo, certo complesso e talvolta problematico: non tanto per ciò che concerne il corpus bibliografico, che in special modo nell’ultimo cinquantennio di studi è stato discretamente prolifico e si è spesso interessato alla questione, ma piuttosto per l’infelice carenza di dati archeologici contestuali che permettano una valutazione d’insieme chiara e inoppugnabile delle lastre e della loro storia.
Le lastre Campana hanno rappresentato una novità nella produzione fittile, sostituendosi alle tradizionali terrecotte da tetto etrusco-italiche nel corso del I secolo a.C. e determinando la decadenza definitiva di sistemi esclusivamente ornamentali, a favore di una prevalenza del campo figurato e narrativo, i cui motivi vennero ripresi essenzialmente dal mondo ellenistico. Il presente lavoro è finalizzato alla lettura interpretativa di alcune delle tematiche raffigurate sui rilievi (la decapitazione della gorgone Medusa, il mito di Teseo, il riconoscimento di Ulisse e temi omerici), procedendo all’analisi delle motivazioni alla base della loro elaborazione e diffusione, in un intervallo cronologico nel quale la caduta della secolare res publica e al contempo l’affermazione di un unico potere nella persona di Augusto dettero inizio ad una nuova epoca. Uno sconvolgimento storico-sociale che deve necessariamente essere stato recepito e documentato nella contemporanea cultura figurativa, in particolare in una produzione artistica che fa della raffigurazione narrativa il suo punto di forza e di rottura con la tradizione precedente e che proprio in quel periodo vede la sua fortuna crescere esponenzialmente fino a tutta la prima età imperiale.
La produzione delle lastre Campana, pur essendo variamente e da lungo tempo affrontata, non è mai stata forse esaminata in maniera del tutto completa: il suo primo “scopritore” moderno, il marchese Campana, si è limitato ad annoverare le varie tipologie di esemplari da lui collezionati e a darne – neppure di tutti – delle sommarie descrizioni stilistiche e interpretazioni figurative. La prima sostanziale opera analitica si deve a Von Rohden e Winnefeld (1911), che hanno pazientemente catalogato tutte le tipologie di lastre conosciute all’epoca suddividendole per i temi raffigurati; essi hanno trattato per sommi capi la produzione in generale, le tecniche di fabbricazione, la bibliografia del tempo e le collezioni museali esistenti, cercando di individuare una crolonogia e le varie fasi evolutive dello stile, mentre le questioni della destinazione e della diffusione sono stati accantonati. Altro lavoro magistrale è stato quello di Borbein (1968), che ha ripreso l’opera dei suoi predecessori,
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sviluppandone la trattazione introduttiva generale e soprattutto analizzando approfonditamente solo alcuni specifici temi tra quelli maggiormente diffusi, non solo dal punto di vista stilistico, ma ricercando il modello d’ispirazione originario e delineando l’evoluzione iconografica delle diverse varianti tipologiche. Un’indagine tuttavia di taglio esclusivamente storico-artistico. Tortorella ed altri si sono poi concentrati in special modo su quelle che erano state le problematiche meno affrontate fino ad allora, riguardanti vari aspetti della produzione Campana: ad esempio la definizione dei limiti cronologici e l’individuazione delle officine, la destinazione d’uso e la diffusione delle terrecotte sul territorio, basandosi sulle attestazioni archeologiche ed epigrafiche. La provenienza è stata tenuta finalmente in particolare considerazione da Maria Antonietta Rizzo, che ha analizzato gli esemplari rinvenuti in siti conosciuti, al fine sia di riconoscerne l’esatta collocazione spaziale nel contesto d’origine, sia di delinearne il profilo tipologico e stilistico.
Un grandissimo merito deve essere riconosciuto a Maria José Strazzulla, che dopo aver catalogato le lastre Campana provenienti dalla Venetia romana e aver descritto il processo di sostituzione delle nuove terrecotte nel programma decorativo dei santuari etrusco-italici, per prima ha affrontato i problemi di interpretazione storico-sociale delle tipologie di rilievi in relazione ad un determinato contesto, incoraggiata dall’eccezionale ritrovamento del ciclo fittile nel complesso augusteo del Palatino. Le sue indagini hanno dato un notevole impulso allo studio dei rilievi Campana, dando una lettura della produzione nel quadro della formazione di un linguaggio iconografico proprio dell’età augustea. Sebbene alcune delle sue ipotesi poi – in gran parte subito condivise dagli studiosi - siano state scardinate dalle più recenti scoperte archeologiche, il suo contributo rimane di fondamentale importanza.
Ciò che questa tesi si propone è uno studio sulle lastre Campana simile e parallelo, contestualizzato nell’ambito della storia e della cultura della nuova epoca augustea, nel tentativo però di procedere con una visione d’insieme più ampia. Nel lavoro compiuto da Strazzulla si potrebbero infatti trovare a mio parere due debolezze: nel caso del ciclo palatino (in particolare per quanto riguarda i rilievi con il mito di Perseo e Medusa, di mio interesse), la sua analisi sembra rimanere riferibile soltanto a quel singolo contesto, senza prendere in considerazione le altre evidenze archeologiche che avrebbero potuto attestare la diffusione e la ricezione di tali temi e avvalorare così l’ipotesi dell’uso delle terrecotte come veicoli di trasmissione dell’ideologia augustea. Nel caso del mito di Teseo poi, in cui giustamente ha individuato numerosi messaggi emblematici funzionali alla legittimazione del potere di Ottaviano, essa ha portato avanti una teoria che, seppur condivisibile, lascia poco spazio alle
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conferme di tipo archeologico, a favore invece di supposizioni che risultano sì logiche, ma fondate unicamente su basi ipotetiche.
Presupposto di questo lavoro invece è stata proprio la ricerca di attestazioni, che potessero non solo ricollegare la scelta di precise tematiche al programma ideologico promosso da Augusto e dalla famiglia imperiale, ma che documentassero anche la ricezione di questi messaggi ad un livello più ampio. L’intento iniziale era incentrato sullo studio di una sola tipologia di lastre Campana, quella raffigurante il riconoscimento di Ulisse da parte della nutrice Euriclea: un momento ben preciso della narrazione, rappresentato in abbinamento costante ad una scena con Penelope dolente. Una composizione del tutto nuova, mai attestata precedentemente in questi termini e che sicuramente doveva essere funzionale alla trasmissione di un messaggio. Tuttavia da subito si sono rivelate le criticità che lo studio delle lastre Campana spesso comporta, dato che tali manufatti si presentano soprattutto come pezzi da collezione, apprezzati dagli antiquari e dagli scavatori ma non tenuti nella giusta considerazione, o almeno non in considerazione sufficiente da documentarne nella maggior parte dei casi la provenienza. Per questi rilievi in particolare non è documentato nessun contesto sicuro; di due soltanto si hanno soltanto esigue e incerte informazioni su una possibile origine. Per questo motivo si è scelto di ampliare la ricerca a più temi attestati sulle lastre Campana, che avessero avuto particolare fortuna in età augustea o la cui ripresa risultasse in qualche modo insolita e significativa, per lo studio dei quali tuttavia si potesse avere un appoggio fondamentale nell’esistenza seppur limitata di evidenze archeologiche.
Prima di tutto si è agito letteralmente “scandagliando” tutti (o perlomeno quasi) i contesti in cui sono venuti alla luce esemplari o frammenti di rilievi Campana; dopo aver analizzato tutte le varie tipologie di cui si aveva un’attestazione di provenienza, sono stati selezionati alcuni temi: essi hanno immediatamente catturato l’attenzione per la particolarità della rappresentazione e delle scene figurate, che da subito potevano dimostrarsi piuttosto funzionali alla trasmissione di quelle concezioni fondamentali su cui gravitavano la propaganda e l’ideologia di Ottaviano Augusto. Altri criteri di selezione sono stati inoltre, nel caso di Perseo e Medusa, la notevole diffusione e popolarità dell’episodio all’interno della produzione Campana e soprattutto la sua presenza nella serie rinvenuta sul Palatino, sicuramente riconducibile ad Augusto; per il riscatto di Ettore ha influito più che altro il ritrovamento di un esemplare in un contesto chiave come quello della Villa di Livia a Prima Porta. Per quanto riguarda Teseo invece, la scelta è dovuta al fatto che il suo mito viene a costituire un vero e proprio ciclo sui rilievi Campana, come certamente anche il mito di Eracle, con la differenza che la fortuna di quest’ultimo non trova soluzione di continuità nel repertorio artistico, a
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differenza invece di quello dell’eroe attico, che era stato abbandonato in età ellenistica per essere ripreso proprio in età augustea; senza ovviamente dimenticare che la sua importanza nell’ambito della propaganda del princeps era già stata sottolineata da Ghedini e Strazzulla. Infine, nonostante la mancanza di attestazioni, si è deciso di analizzare ugualmente la coppia Penelope-Ulisse sfruttando ogni minima informazione a disposizione, sia per l’unicità dell’abbinamento di due sole lastre Campana, che vennero sempre utilizzate come pendant, sia per la singolarità delle composizioni.
Nell’affrontare ogni tema selezionato, si è proceduto innanzitutto a darne un inquadramento storico-artistico generale, guardando al percorso di popolarità o declino affrontato nel corso della storia dell’arte e specialmente in età romana, provando se possibile ad individuare il modello iconografico delle raffigurazioni presenti sui rilievi. Mediante confronti con attestazioni artistiche coeve si è stabilita non solo la fortuna del mito in epoca augustea, ma più approfonditamente è stato determinato il livello di diffusione iconografica di uno stesso episodio, cercando di rispondere poi a tutti gli interrogativi che sono scaturiti dalla questione. Il corpo principale della ricerca verte sull’analisi di tutti gli esemplari esistenti delle varie tipologie attestati in contesti archeologici più o meno conosciuti, esaminando i rilievi o i frammenti di questi dal punto di vista stilistico e riconoscendone il tipo di variante, cercando di ricostruire il contesto e la loro collocazione in esso o, in caso di esemplari rinvenuti in giacitura secondaria, di proporre un’ipotesi di provenienza attendibile. La volontà è stata quella di provare ad essere il più completi possibile nella ricerca di tutte le attestazioni: spero di esserci riuscita almeno in gran parte. In base a questi dati e al contesto storico-sociale generale, si è cercato infine di dare un’interpretazione simbolica delle raffigurazioni presenti sulle lastre, motivando la scelta di temi ben precisi con richiami a fonti storiche e letterarie e in base a confronti, valutando l’efficacia del messaggio e la ricezione da parte dei destinatari. Lo scopo era quello di provare a dimostrare che questa nuova produzione fittile potesse essere davvero servita come tramite per i numerosi concetti su cui si fondava l’ideologia proposta così fortemente dal Principato, i cui messaggi più significativi potrebbero essere chiaramente celati in alcuni dei temi mitologici raffigurati sulle lastre Campana. In alcuni casi è stato possibile, grazie a prove essenziali come i contesti che hanno restituito tali esemplari, grazie alle evidenze che hanno attestato la diffusione e la ricezione di questi e alla presenza della stessa rappresentazione in altri ambiti riconducibili all’età augustea. In altri casi, nonostante la forza espressiva di alcune raffigurazioni si accordi in maniera ottimale con i temi propagandistici più frequenti in età augustea, non si è trovato purtroppo alcun sostegno nell’archeologia.
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Il primo capitolo serve da introduzione generale all’intero lavoro. Dapprima vengono trattate le questioni di base riguardanti le terrecotte Campana: la genesi e le modalità tecniche produttive, le tipologie e le forme, la fortuna e la diffusione geografica, l’individuazione dei limiti cronologici e le problematiche associate allo studio di questi rilievi. Si passa poi alla discussione delle scelte iconografiche di maggiore fortuna all’interno della produzione Campana, ovvero le raffigurazioni delle Nikai tauroctone, delle fatiche di Eracle, di Apollo Citaredo e Nike libante, dei temi dionisiaci e infine delle scene di vita quotidiana; anche in questo caso sono stati affrontati i problemi dell’analisi stilistica e del riconoscimento delle diverse varianti, della derivazione da specifici modelli e dei motivi della diffusione nella prima età imperiale. Per ultimo sono stati passati in rassegna alcuni dei principali contesti di ritrovamento dei rilievi, per illustrare le varie destinazioni d’uso di questi e la loro fortuna in tutti i campi dell’edilizia, a partire da quella sacrale, fino a quella profana pubblica e privata.
Il secondo capitolo si concentra su un episodio del mito di Perseo, la decapitazione della gorgone Medusa e l’offerta della sua testa alla dea Atena. La raffigurazione delle terrecotte segue uno schema peculiare che non si ritrova in altri ambiti della produzione artistica e che, grazie all’analisi dei contesti di ritrovamento, quasi tutti sacrali, e in particolar modo a quello principe – l’area Apollinis del Palatino –, può essere interpretata in chiave pienamente ideologica. Le nuove scoperte archeologiche e diverse considerazioni logiche e storico-letterarie hanno permesso di confutare l’ipotesi di Strazzulla circa una traduzione della morte di Medusa come paradigma della sconfitta di Cleopatra e della vittoria aziaca e nel contempo ci hanno spinto a proporre una nuova lettura dell’episodio raffigurato, che potrebbe preludere all’importanza del Palladio nell’ideologia augustea, in quanto simbolo di discendenza da Enea e dai fondatori di Roma e attributo del garante e salvatore della città.
Nel terzo capitolo ci siamo occupati della serie di raffigurazioni del mito di Teseo, tema riproposto proprio in età augustea nel monumentale frontone del Tempio di Apollo Sosiano: anche in questo caso i contesti che ci attestano la sua diffusione sono molteplici, sebbene purtroppo nessuno di essi abbia restituito il ciclo nella sua interezza. Gli esemplari sono stati rinvenuti, diversamente da quelli con Perseo e Medusa, per la maggior parte in contesti privati, residenze di lusso: fondamentali per la connessione con il programma politico augusteo si sono rivelati i ritrovamenti nelle ville di Prima Porta e di Aquileia, così come la possibile provenienza di parte di un ciclo dalla zona della villa della Farnesina, concordemente attribuita ad Agrippa. È stata quindi approfondita l’interpretazione proposta già in parte da Strazzulla, che aveva guardato a Teseo come modello della figura di Augusto, supportandola però maggiormente con i dati desumibili dalle evidenze archeologiche. Molto interessante risulta
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essere la possibile provenienza di un frammento, con il riconoscimento da parte di Egeo, dall’area dove sorgeva il tempio di Quirino, se si considera che questo dio, nient’altro che Romolo divinizzato (quindi progenitore di Augusto), trova profondi legami con Teseo, sottolineati anche dall’opera di Plutarco.
L’ultimo capitolo è stato dedicato ai temi omerici, di fondamentale importanza nell’intero arco della storia e della cultura antiche. Le lastre Campana ci offrono un’originale composizione del riconoscimento di Ulisse da parte della nutrice Euriclea e di Penelope in lutto per l’assenza del marito: scene che sono l’una preludio dell’altra e che dovevano trovarsi sempre e soltanto in abbinamento, se si considerano gli esemplari conservati in vari musei. Il momento del vero e proprio riconoscimento ci viene attestato per la prima volta nell’arte romana proprio nei rilievi Campana di età augustea. Nonostante lo sconforto iniziale per la mancanza di attestazioni da contesti conosciuti, dalle esigue informazioni sui ritrovamenti di due frammenti è stato possibile ricostruire un collegamento plausibile con siti importanti ai fini della nostra ricerca: gli horti Maecenatis, passati quasi da subito all’interno del demanio imperiale, e la città di Tuscolo, a cui Tiberio era profondamente legato. Questi due elementi, per quanto forse ancora deboli, ci hanno dato la possibilità di proporre un’interpretazione simbolica nel quadro della cultura augustea, che trova nei temi del riconoscimento e del sovvertimento della situazione corrente la sua chiave di lettura.
Le terrecotte analizzate con la raffigurazione del riscatto di Ettore, infine, si sono rivelate alquanto problematiche: esemplari recuperati in contesti fondamentali quali le ville di Prima Porta e di Aquileia, ma la cui interpretazione iconografica è apparsa da subito dubbia. La scena che Von Rohden e Winnefeld avevano giudicato come parte di un ciclo raffigurante il riscatto del cadavere dell’eroe troiano non sembra trovare confronti con nessuna iconografia attestata nel repertorio figurativo anteriore e posteriore, tanto meno con le attestazioni figurative coeve dell’episodio supposto dai due studiosi. Per quanto l’interpretazione suggerita per la scena si possa rivelare più che idonea e sensata per l’età augustea (periodo in cui il riscatto di Ettore si trova abbondantemente riproposto nell’arte figurativa), si è cercato di proporre una nuova lettura della raffigurazione, sempre inquadrata nell’ambito dell’epica omerica e coerente con i valori celebrati da Ottaviano Augusto – confutando la teoria di Strazzulla che la vedrebbe invece come parte delle figurazioni del ciclo di Teseo (precisamente come l’arrivo ad Atene con due compagni), a mio parere fondata su basi poco solide -. Ovviamente la mancanza ad oggi di un qualsiasi tipo di attestazione precisa nel repertorio artistico, e probabilmente anche letterario, lascia ogni teoria a livello di mera ipotesi e la problematica interpretativa ancora aperta.
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Come si vedrà, le lastre Campana, pur essendo manufatti seriali di officine laterizie – anche se di altissima qualità -, si dimostrano quindi una complessa ed essenziale testimonianza storica, da cui non si può prescindere, in quanto - proprio per la loro facile riproducibilità - capaci di raggiungere a larga scala un buona parte di quel popolo destinatario dei messaggi ideologici augustei.
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1. Le lastre Campana: analisi e problemi di studio
Le lastre cosiddette “Campana”1 si affermarono nella classe delle terrecotte architettoniche
durante la tarda età repubblicana: decorate a rilievo e in larga parte dipinte, devono il loro nome ad un grande collezionista romano, il marchese Giampietro Campana2, che nella prima metà dell'Ottocento ne aveva raccolta una ricca serie - di cui pubblicò il catalogo nel 18423 - , poi venduta nel 1861 e dispersa tra diversi musei. Non rappresentarono un genere del tutto nuovo, sviluppando bensì forme di decorazione fittile già documentate nel II a.C.4; difatti, in special modo agli inizi del secolo successivo, cominciò ad imporsi una reintroduzione massiccia dell’elemento figurato di natura mitologica-narrativa nell’apparato di rivestimento accessorio templare e non, con una composizione quindi in maggior misura a carattere metopale. Queste terrecotte si possono distinguere da quelle tradizionalmente definite «etrusco-italiche» per il passaggio graduale da un regime puramente decorativo ad uno dove a prevalere è la decorazione figurata della fascia centrale5. Riuniscono esemplari di varie forme, consone all’impiego specifico in differenti aree dell’edificio soggetto alla decorazione: lastre, sime, cimase6. In questo lavoro prenderemo in considerazione le forme architettoniche più significative, quelle di maggior impatto visivo per le loro dimensioni e per la loro ubicazione e aventi perciò la possibilità di fare da supporto a scene figurate complesse, le quali frequentemente potevano dar luogo – secondo la loro successione - a combinazioni seriali simmetriche o anche ad un vero e proprio fregio: le tipologie definite da Von Rohden7 e da
1 Sulle lastre Campana, cfr. H. von Rohden - H. Winnefeld, Die antiken Terrakotten, IV, 1-2.
Architektonische römische Tonreliefs der Kaiserzeit, Berlino-Stoccarda 1911, 318 p., CXLIII tav.; Α. Η.
Borbein, Campanareliefs. Typologische Und stilkritische Untersuchungen, Heidelberg, 1968, 216 p., 48 tav. 2 Giovanni Pietro Campana (Roma, 1808 – Roma, 10 ottobre 1880), creato marchese di Cavelli (1849). La sua collezione comprendeva bronzi e sculture in marmo, rilievi architettonici romani in terracotta, ceramiche, monete, medaglie; tutti oggetti acquisiti sul mercato e attraverso scavi nella sua proprietà e in altri siti, e finemente organizzati ed esposti alla Villa del Laterano. Collezionò anche pitture italiane, creando così una notevole collezione dei cosiddetti "primitivi" del XIV e del XV secolo. Cfr. S. Sarti, Giovanni Pietro
Campana 1808-1880: the man and his collection, DPhil, Oxford, Archaeopress Archaeology, 2001.
3 Antiche opere in plastica discoperte, raccolte, e dichiarate da Gio. Pietro Campana, Roma, Tipografia Salviucci, 1842.
4 Cfr. Borbein 1968, p. 20 ss.; M. J. Strazzulla, Le terrecotte architettoniche nell’Italia centrale, in Atti
dell’incontro di studi sui caratteri dell’ellenismo nelle urne etrusche (Università di Siena, 28-30 aprile 1976), Firenze, 1977, p. 45-47.
5 Cfr. S. Tortorella, Le lastre Campana. Problemi di produzione e di iconografia, in L’Art decoratif à Rome à
la fin de la République et au début du Principat. Table ronde de Rome (10-11 mai 1979), Rome: École
Française de Rome, 1981, p. 61 ss. [Da ora in poi Tortorella, Roma 1981]. 6 Sulla varietà e la destinazione delle terrecotte, si veda Borbein 1968, p. 14 ss. 7 Von Rohden 1911, pp. 31 ss., 40 ss.
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Borbein8 come lastre di rivestimento (Verkleidungsplatten) e lastre di coronamento (Aufsatzplatten). Le prime venivano utilizzate come protezione e decorazione per le testate delle deperibili travi lignee, funzione testimoniata dalla presenza di un numero variabile di fori (per lo più quattro) dei chiodi utilizzati per fissarle; il campo dell’immagine era delineato da una duplice banda ornamentale, solitamente una inferiore recante palmette di diversa foggia e una superiore a kyma ionico. Le lastre di coronamento invece non trovano modelli precursori e la loro destinazione era inizialmente dubbia: prive di fori per l’inchiodamento, presentano il fregio solo in alto, di norma una fascia di palmette diritte - di diverse forme e variamente collegate da tenie -, il cui andamento smerlato ne costituisce l’orlo superiore. Lungo il bordo inferiore si trova una semplice banda rilevata sotto cui corre un bordo arretrato, che si è sempre ipotizzato servisse a far agganciare la lastra da qualche struttura. Questo fu uno dei motivi che spinse Von Rohden e Winnefeld a considerarne diverse modalità di impiego, ma alla fine anche ad accantonarne il problema della destinazione9. Ben presto fu chiaro che queste lastre dovevano essere applicate su superfici murarie allo scopo di delimitare, “coronandola” appunto, la terminazione superiore di una decorazione parietale. Esclusa anche da Von Rohden l’ipotesi che il bordo inferiore a dente servisse ad incastrare la lastra nella scanalatura di una sima esterna, poiché lo stesso bordo sarebbe di spessore troppo modesto per sorreggerne il peso e resistere alle sollecitazioni del vento, Borbein pensò che potesse avere assolto la funzione di assicurare l’attacco fra la serie di lastre e lo stucco o l’intonaco dell’affresco della decorazione parietale di cui costituivano la terminazione.10 Calderone in seguito screditò questa teoria, per l’assenza a suo parere di una reale funzione tecnica della dentellatura una volta che le lastre fossero state murate sulla stessa parete: seguendo la sua dimostrazione, che reputo convincente, le lastre di coronamento potevano essere destinate anche alla decorazione del sistema strutturale e ornamentale proprio delle porte d’ingresso esterne o di comunicazione interna.11
La produzione delle Lastre Campana fu di tipo seriale, con fabbricazione tramite matrici d’argilla; i pezzi liberamente modellati sono oltremodo rari. Ovviamente, quanto più una stessa matrice veniva utilizzata, logorandosi, tanto più la stampa diveniva indistinta e difettosa e il rilievo finale risultava quindi di qualità inferiore; spesso si interveniva prima della cottura
8 Borbein 1968, pp. 14-16.
9 Vedi Von Rohden 1911, pp. 40 ss. 10 Cfr. Borbein 1968, p. 16.
11 A. Calderone, Sulle terrecotte Campana, in BdA LX, 1975, pp. 65-66. La lastra di coronamento avrebbe costituito la parte del fregio sovrastante la porta, l’hyperthyrum, presente nel genere dorico come in quello ionico (nei quali la porta stessa è costituita da due antepagmenta laterali su cui poggia il supercilium): secondo Vitruvio, essa deve comprendere anche un elemento decorativo al margine superiore e il bordo a dente inferiore della lastra, secondo lo studioso, servirebbe proprio a bloccare il fregio sul supercilium.
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conclusiva con un ritocco a stecca12. Vennero prodotte solo in Italia, in special modo a Roma e nei suoi stretti dintorni13; eccezionalmente non in officine specializzate nella fabbricazione di
terrecotte figurate, bensì in figlinae di laterizi, le quali come attività sussidiaria - assieme alle lastre Campana – potevano occuparsi allo stesso modo della produzione di dolia, mortaria, sarcofagi fittili14. Un elemento piuttosto significativo, se si pensa che fino ad allora le terrecotte architettoniche avevano rappresentato prodotti di un certo pregio artistico derivanti da un artigianato di alto livello: di fronte alle esigenze di una domanda che stava divenendo sempre più pressante, fu necessaria una riconversione in articoli standardizzati e di uso comune, la cui fabbricazione dovette essere affidata alla manifattura laterizia. L’origine di questa caratteristica produzione potrebbe essere ricercata in ambiente sud-etrusco e soprattutto ceretano15, anche se
– come vedremo - con il passare dei secoli e lo sviluppo della manifattura si formò una produzione romana con caratteristiche proprie16 (in particolare la prevalenza dei soggetti figurati mitologici o di genere su quelli puramente decorativi), che si distinse da quella precedente anche con firme e timbri di figuli, e la cui affermazione definitiva può essere attribuita all’ultimo secolo di vita della Res Publica.
Oltre a quella produttiva, anche l’area interessata dalla circolazione dei rilievi Campana fu piuttosto contenuta17 (fig. 1): comprende tutte le regioni dell’Italia centrale – escluso il San- nio -, anche se il massimo addensamento si localizza a Roma e nei suoi dintorni, dall’ager Cosanus fino al sinus Paestanus. In Magna Grecia e in Sicilia, dove i sistemi produttivi erano differenti, non vengono praticamente attestati né importanti ritrovamenti né fabbricazioni o imitazioni questo tipo di terrecotte18; diversamente invece al Nord, dove se ne trovano in Emilia e in alcune località della Liguria e della Transpadana, con la maggior concentrazione tuttavia nella regione orientale della Venetia e dell’Histria, fino al confine rappresentato dalla propaggine sud delle Alpi. I confini meridionali si individuano nell’area napoletana, che ha
12 Per una descrizione più dettagliata del processo produttivo si veda Borbein 1968, pp. 13-14. 13 Von Rohden 1911, pp.12 ss.
14 S. Tortorella, Le lastre Campana, in A. Giardina, A. Schiavone (a cura di), Società romana e produzione
schiavistica, 2. Merci, mercati e scambi nel Mediterraneo, Bari 1981, p. 224 ss. [Da ora in poi Tortorella,
Bari 1981].
15 Vedi G. Carettoni, Nuova serie di grande lastre fittili Campana, in BdA LVIII, 1973, pp. 80-81 [da ora in poi Carettoni 1973]. Sui rapporti delle lastre Campana con le terrecotte da tetto etrusche consiglio vivamente Borbein 1968, pp. 20-28.
16 Cfr. Von Rohden 1911, pp. 33 ss.; Borbein 1968, pp. 20 ss. 17 Si veda Tortorella, Bari 1981, pp. 219-235.
18 Generalmente si può parlare di rarissime presenze in Italia meridionale, Lucania e Apulia, con esportazioni di matrici o forse lastre. Cfr. Tortorella, Bari 1981, pp. 223-224. Soltanto un nuovo dato è emerso sulle fornaci romane di Gianicola, presso Brindisi, che hanno prodotto tegole bollate da una coppia di quattuorviri
quinquennales e terrecotte architettoniche raffiguranti un’aquila nell’atto di afferrare con gli artigli i fulmini
di Giove (forse destinati a un edificio pubblico). A questo proposito si veda S. Tortorella, Introduzione, in M. Angle – A. Germano (a cura di), Museo e Territorio. Atti del V convegno, Velletri 17-18 novembre 2006, Roma 2007, p. 15 [da qui in poi Museo e Territorio 2007].
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offerto rinvenimenti di alcune lastre Campana nei maggiori centri vesuviani, come Pompei, Ercolano, Santa Maria Capua Vetere19.
Fig. 1. Area di diffusione delle terrecotte architettoniche di età tardorepubblicana e imperiale in Italia. (da Tortorella, Roma 1981)
Le terrecotte vennero imitate e prodotte anche localmente, nell’Italia centro-settentrionale (escludendo la regione del Lazio e della costa tirrenica) e in particolar modo in Campania, ma si può dire che per quasi tutti i tipi tramandati è attestato il ritrovamento di almeno un
19 Si veda G. Pellino, Rilievi architettonici fittili d’età imperiale dalla Campania, Studi della Soprintendenza Archeologica di Pompei 13; Roma: L’Erma di Bretschneider, 2006 [da ora in poi Pellino 2006].
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esemplare nell’Urbs20
. Soprattutto a Roma, dove sono stati rinvenuti scarti di fornace, dovevano essere concentrate le officine; grazie però anche ai bolli presenti talvolta sulle lastre, sono state individuate altre località di produzione in Fidene, Tuscolo, Marino, Ostia. Alcune terrecotte bollate sono venute alla luce nei centri di Populonia, Cosa, Morlupo, Tivoli, Palestrina, Tellenae e Velletri, mentre sulla costa adriatica a Rimini e Cupramarittima21. Taluni dati di scavo poi suggerirebbero anche una produzione, con possibile esportazione o meno, nelle ville suburbane22.
Le testimonianze delle terrecotte Campana che presentano bolli sono davvero esigue, per la precisione soltanto trentuno lastre e tre antefisse; due si trovano impressi su tegole congiunte a sime23. Escludendo i bolli frammentari o di difficile e incerta lettura, è possibile osservare
che i nomi attestati sulle lastre sono presenti anche per lo più su mattoni o tegole; l’officinator, il cui patrono non raramente era un liberto, era a sua volta a capo di più schiavi e ciò molte volte assicurava la continuità dell’attività. L’esportazione, in maggior misura tramite via fluviale e lungo le coste rispetto a quella su terra, doveva essere limitata alle regioni centrali tirreniche dell’Italia, mentre gli altri centri sparsi nel restante territorio avranno avuto a disposizione matrici-tipo importate o cartoni per la produzione locale24.
Fino a non molti anni fa, si riteneva che l’assenza di ritrovamenti di lastre Campana al di fuori dell’Italia non sottolineasse altro che il loro carattere di merci mobili di uso corrente, estraneo al commercio marittimo. In realtà, le nuove acquisizioni e le scoperte di questi decenni hanno modificato il solido quadro d’insieme di cui si disponeva25
: numerosi rilievi Campana sono venuti alla luce a Tarragona e nella Tarraconense26; tre ateliers di età augustea sono stati individuati nella Narbonense27, attivi in una diversificata produzione di ceramica
italica e comune, anfore vinarie, materiali da costruzione e lastre Campana riproducenti cartoni e matrici importati dall’Italia; infine, un’officina produttrice di lastre Campana è stata
20 Cfr. Borbein 1968, p. 12 ss.
21 Sulla produzione nelle officine e la loro individuazione mediante i bolli, cfr. Tortorella, Bari 1981, pp. 224-226.
22 Da Rimini proviene un bollo di uno schiavo appartenente alla famiglia dei Galerii, che secondo Plinio (Nat. Hist. 10, 25) possedevano una villa in quel territorio nel 78 a.C e i quali bollarono con diversi cognomi anche tegole e mattoni. Cfr. Tortorella, Bari 1981, p. 224.
23 Per i bolli su lastre, si veda CIL X 8056, 118; XI 6709, 15-16; XV 2536, 2538-45, 2547-53, 2554-55, 2557, 6709,18; su antefisse CIL XV 2536; su tegole-sime CIL XV 970 a, 2 e 2354, 5. Cfr. Tortorella, Bari 1981, p. 227 ss., nn. 15-17.
24 Tortorella, Bari 1981, pp. 223-226.
25 Cfr. Tortorella, in Museo e Territorio 2007, pp. 15-16.
26 Si veda X. Dupré y Raventós, Tres Fragments de lastra Campana a Tarragona, in Butlletí Arqueològic, 5, 4, 1995, pp. 141-153; X. Dupré y Raventós – V. Revilla Calvo, Lastras Campana en Tarraco (Hispania
Citerior) y su Territorio, MM, 32, 1991, pp. 117-141; M. L. Ramos Sainz, Las Terracotas arquitéctonicas en la Hispania Romana: la Tarraconense, Madrid 1996.
27 Vedi I. Béraud – A. Dumont – Ch. Gébara, Plaques décoratives en terre cuite gallo-romaines, Archeologia Paris, 328, 1996, pp. 60-65.
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riconosciuta anche nel sito ellenistico di Dymé, nel Peloponneso28. Alla luce di queste rivelazioni, sarebbe assolutamente necessario un nuovo studio che aggiorni le carte di diffusione di questi rilievi, indagando secondo quali termini e modalità si è svolto un tale processo di esportazione e soprattutto quanto può essere considerato rilevante ai fini di uno stravolgimento del profilo della produzione Campana che si è caratterizzato fino ad ora.
Si deve riconoscere, nonostante le recenti scoperte, quanto l’area di circolazione di questi manufatti appaia in ogni caso modesta, almeno in Italia, quasi corrispondente al territorio che precedentemente si trovava sotto l’influsso etrusco: di conseguenza, risulterebbe quasi ovvio pensare che le lastre Campana abbiano proseguito la tradizione delle terrecotte da tetto cosiddette “etrusco-italiche”, in larga parte di produzione caeretana. A questo proposito, Borbein29 sostenne la teoria di una successione senza soluzione di continuità, nello spazio e nel tempo; le due forme sarebbero state impiegate per la decorazione degli stessi templi e non di rado contemporaneamente. Il processo di deterioramento delle lastre fittili, assai rapido, avrebbe richiesto necessariamente frequenti sostituzioni, tanto che la durata complessiva di un intero ciclo decorativo poteva essere di appena una ventina di anni: per il rinnovamento della decorazione, le vecchie matrici saranno state utilizzate solo in parte, a causa di una loro probabile perdita e soprattutto delle esigenze di ammodernamento. Questa graduale sostituzione delle arcaiche terrecotte etrusco-italiche con le più recenti lastre Campana, che poi ne presero definitivamente il posto allo scopo di restaurare e aggiornare le decorazioni fittili templari, si sarebbe svolta nel corso di tutto il I secolo a.C. In realtà, come ha ben dimostrato Calderone30, sarebbe una forzatura tentare di osservare innovazioni - presenti nell’ultimo periodo di vita dei rivestimenti arcaici - che in seguito sarebbero divenute tipiche delle terrecotte Campana, limitatamente poi alle Verkleidungsplatten, come aveva invece proposto Borbein: seguendo anche l’esemplare classificazione di Andrén31, è impossibile stabilirne una successione cronologica, per la mancanza evidentemente di dati archeologici ed il ricorrente intrecciarsi di innovazioni e persistenze tradizionali tecniche e stilistiche. È certo più chiaramente osservabile un incremento del gusto naturalistico negli ultimi tempi delle terrecotte etrusco-italiche, rispetto alla tipica decorazione stilizzata e schematica, così come pure un leggero orientamento classicheggiante, dovuto al diffondersi della corrente neoattica in Italia; ma risulta ancor più manifesto che, confrontandole dal punto di vista dello schema
28 Vedi A. Vassilogamvrou, Un atelier de plaques Campana dans le Péloponnèse, Bull. Instrumentum 9, Juin 1999, p. 16.
29 Cfr. Borbein 1968, pp. 13, 20 ss. 30 Calderone 1975, pp. 68-74.
31 A. Andrén, Architectural Terracottas from Etrusco-Italic Temples, Lund-Leipzig 1940, CCXI ss. Andrén classifica tipologicamente il materiale, ma senza darne una sistemazione cronologica. Cfr. Calderone 1975, p. 69 ss.
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compositivo, del gusto e dei principi stilistici, le lastre Campana rappresentino un vero e proprio definitivo salto di qualità artistica, difficilmente spiegabile soltanto con una naturale evoluzione o un perfezionamento di metodi: la novità nella prevalenza della decorazione della fascia centrale, che predilige l’elemento figurativo con scene tratte dalla mitologia o dalla vita “quotidiana”, ispirandosi a modelli scultorei classici, è la testimonianza della chiara volontà di contrapporsi alla tradizione ormai secolare dell’uso di apatici motivi decorativi stilizzati. Il fenomeno artistico delle lastre Campana deve essere inteso nella sua storicità, come nient’altro che il frutto di un cambiamento sviluppatosi nel gusto dei Romani, dopo la conquista dell’Oriente ellenistico nel II secolo a.C. e l’afflusso graduale di artisti e artigiani dalla Grecia e Magna Grecia assieme all’avvento di nuove tendenze stilistiche. Difatti, non solo si affermeranno i soggetti mitologici greci, ma anche i tipici fregi di limitazione delle lastre – superiore ad ovoli o più raramente con gorgoneia alternati a palmette e inferiore a palmette, fiori di loto, patere alternate a bucrani -, ovvero un genere di composizione metopale di chiara derivazione greca32. Di conseguenza, questo fenomeno potrà essere inquadrato nella tradizione
delle terrecotte architettoniche etrusco-italiche solo per quanto riguarda specifici e limitati attributi di esse, ovvero la forma generale, la struttura, la tecnica di produzione, che verranno asserviti alla nuova destinazione, non più coincidente con il tempio italico ligneo33. Pur rimanendo un prodotto seriale dell’industria fittile, la volontà nella scelta della nuova tipologia decorativa è la riproduzione degli attuali motivi, temi e stili ripresi dai modelli apportati dalla nuova generazione artistica, distaccandosi completamente dalla tradizione.
La principale differenza e l’innovazione sostanziale nell’impiego delle lastre Campana rispetto ai loro predecessori, tuttavia, risiedono nella tipologia di struttura a cui esse erano destinate. Infatti le terrecotte etrusco-italiche da cui derivano erano rivolte quasi senza eccezione all’apparato ornamentale dei templi e degli edifici sacri in genere, applicate prevalentemente sulla facciata per proteggere le travature lignee dagli agenti atmosferici. Le nuove terrecotte andarono sì gradualmente a sostituire le precedenti sulle strutture templari, ma in crescente quantità vennero impiegate anche nell’architettura profana, pubblica e non, ridimensionando la loro originaria e mera funzione protettiva a favore di quella decorativa. Molte di esse vennero appunto incastrate sulle stesse pareti alla stregua di fregi e un discreto numero di pezzi conserva resti di malta sulla parte posteriore. Già dalla fine del II secolo a.C., a causa della forza crescente di Roma e dell’arrivo di artisti e architetti greci, il vecchio tempio ligneo etrusco-italico comincia ad essere progressivamente sostituito con costruzioni
32 Cfr. Carettoni 1973, p. 80 ss. 33 Cfr. Calderone 1975, p. 72.
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completamente in pietra o marmo e la tecnica laterizia viene ulteriormente perfezionata; coerentemente, anche le terrecotte da tetto sopravvivranno nell’edilizia sacrale, bensì soltanto come oggetto di una chiara e incontestabile decadenza che neppure una forte tendenza conservativa poté arrestare34. Scarse difatti sono le testimonianze relative a questa destinazione35 (fig. 2a): in diverse occasioni le lastre Campana vennero utilizzate nel corso di restauri solo per rimpiazzare alcuni pezzi, coesistendo con le terrecotte tradizionali; talvolta invece subentrarono a queste per costituire un nuovo unitario ciclo decorativo. Potrebbe considerarsi questo il caso del Capitolium di Cosa, del tempio dell’Ara della Regina a Tarquinia e di quello dei Sassi Caduti a Falerii Veteres in Etruria, e nel Lazio del tempio di Juno Sospita a Lanuvio e dei due templi di Ardea, santuari dove si susseguono diverse fasi decorative tra la fine del II e il I secolo a.C.
Fig 2a. Area di diffusione delle lastre Campana provenienti da edifici pubblici sacrali in Italia. (da Tortorella, Roma 1981)
34 Cfr. Borbein 1968, pp. 17-19.
35 Per l’elenco dei principali contesti templari che hanno restituito lastre Campana e la relativa bibliografia, v. Tortorella, Roma 1981, p. 62 ss., nota 10.
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Roma e le città del suo territorio aspiravano ad emulare l’immagine architettonica imponente delle grandi metropoli ellenistiche e fu per questo che la maggior parte delle volte, nella nuova architettura sacrale, la decorazione fittile fu riservata agli edifici secondari e meno importanti. A partire dall’età augustea, si affermò al contrario sempre più negli edifici pubblici laici, nelle abitazioni private, negli edifici funerari come elemento decorativo di lusso: in special modo dopo l’eccezionale esempio del famoso ciclo decorativo dell’area Apollinis sul Palatino36, di cui parleremo ampiamente in seguito, si dimostrò maggiormente valida l’ambivalenza nell’impiego sacro e profano delle lastre Campana, che portò ad una vera e propria divaricazione successiva nel loro uso tra edifici pubblici e privati, esiti comunque allo stesso modo di una medesima forma di adesione e consenso alle direttive politico-religiose del
princeps37.
Fig. 2b. Area di diffusione delle lastre Campana provenienti da edifici pubblici non sacrali. (da Tortorella, Roma 1981)
36 Si vedano gli articoli di G. Carettoni, Terrecotte «Campana» dallo scavo del tempio di Apollo Palatino, in RendPontAcc XLIV, 1971/72, pp. 123-139; id., 1973, pp. 75-87; M. J. Strazzulla, Il Principato di Apollo, L’Erma di Bretschneider: Roma 1990.
37 Cfr. M. J. Strazzulla, L’ultima fase decorativa dei santuari etrusco-italici: le lastre «Campana», in E. Rystedt – C. Wikander – O. Wikander (a cura di), Deliciae fictiles, Proceedings of the First International
Conference on Central Italic Architectural Terracottas at the Swedish Institute in Rome, 10-12 december 1990; Stockholm 1993, pp. 229-306. [da ora in poi Strazzulla, 1993]
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Un discreto numero di testimonianze provengono da scavi di terme, basiliche, teatri, fori, persino dai resti di navi da parata (fig. 2b): secondo Tortorella38, ciò potrebbe essere dovuto
anche alla necessità di disporre di una vasta gamma di materiali edilizi con prodotti di serie adatti a una grande diffusione, in seguito alla costituzione di comunità amministrative autonome - dopo la guerra sociale e il bellum civile - e al conseguente slancio di attività costruttive.
Un certo numero di rinvenimenti provengono da edifici funerari, in particolare colombari e tombe a camera, ma limitatamente a Roma e alle sue vicinanze39: qui le lastre potevano essere impiegate anche in pezzi singoli; rivestivano e decoravano sia le pareti esterne che quelle interne del monumento, collocate sotto la volta o anche in corrispondenza degli architravi delle edicole aggettanti.
La presenza delle terrecotte in qualsiasi edificio a carattere pubblico è ben più contenuta rispetto all’ampia diffusione che riscontrarono negli edifici privati40
(fig. 3): prevalente è la destinazione in domus e villae, per lo più concentrate nel Lazio e in Etruria. Dai resti sembrerebbe trattarsi principalmente di ville medio-grandi, spesso articolate in pars urbana e
pars rustica, la cui datazione nella maggior parte dei casi sembra riconducibile all’età
tardo-repubblicana ed augustea almeno per ciò che riguarda il primo impianto, che può subire modifiche e ampliamenti nei due secoli successivi. Purtroppo i dati di scavo in queste circostanze appaiono frequentemente alquanto insufficienti al fine di ottenere un quadro chiaro e pienamente comprensibile della situazione: il più delle volte non è possibile determinare neppure la tipologia dell’edificio in questione, né quali altri prodotti dell’artigianato artistico venissero utilizzati insieme alle terrecotte, tantomeno se sia esistito o quale fosse il programma decorativo scelto dal committente e secondo quali criteri. Tortorella ha immaginato che almeno in alcuni casi, come nella villa di Q. Voconio Pollione a Marino e quella di Forte Antenne, dove sono state rinvenute tipologie di lastre non attestate altrove41, potesse esistere un’attività artigianale produttiva privata, avente funzione di provvedere alle sole necessità della villa e al suo complesso decorativo fittile42.
38 Cfr. Tortorella, Roma 1981, pp. 62-65. Ead., p. 63, nota 14, per l’elenco delle località di ritrovamento e la relativa bibliografia.
39 Cfr. Tortorella, Roma 1981, p. 65, nota 18.
40 Cfr. Tortorella, Roma 1981, p. 64 ss., nota 16 (si veda l’elenco dei principali siti di ritrovamento con rela-tiva bibliografia).
41 M. A. Rizzo, Su alcuni nuclei di lastre «Campana» di provenienza nota, in RIA 23-24, 1976-77, p. 63 [da ora in poi Rizzo 1976-77].
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Fig. 3. Area di diffusione delle lastre Campana provenienti da edifici privati in Italia. (da Tortorella, Roma 1981)
Emerge a questo punto forse una delle problematiche principali e più ardue nello studio delle lastre Campana: l’insufficienza, e talvolta addirittura la totale assenza, di dati di scavo e contesti archeologici certi e affidabili. La maggior parte delle terrecotte conservate nei musei di tutto il mondo manca di una qualsiasi informazione circa il sito e le modalità di ritrovamento: in gran numero infatti provengono da raccolte antiquarie di collezionisti (come appunto fu quella del Marchese Campana), il cui unico interesse spesso era soltanto quello di accumulare la maggior quantità di pezzi senza nessun criterio sistematico. Come purtroppo ben sappiamo, questi personaggi - o chi per loro conto - si dedicavano a compiere veri e propri sterri tra gli edifici in rovina o nei monumenti sepolcrali rinvenuti, volti esclusivamente al recupero di preziosi oggetti di antichità, senza poi lasciare alcuna annotazione sulle loro attività e distruggendo nel contempo l’intero contesto. Anche lo stesso Campana, studioso
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appassionato e desideroso di lasciare testimonianze approfondite circa i pezzi della sua collezione43, sfortunatamente ci ha fornito dettagli davvero modesti riguardo alle condizioni di
ritrovamento delle lastre, concentrandosi invece a fare osservazioni e descrizioni solo su ciò che all’epoca poteva essere considerato importante, cioè i soggetti rappresentati sulle terrecotte. Allo stesso modo esistono pochissimi scritti o diari che documentano e descrivono lo svolgimento delle attività di scavo che si sono svolte nei secoli scorsi: fino all’inizio del Novecento non si concepiva l’importanza del “contesto archeologico” e persino numerosi periodici votati alla scientificità dei metodi di scavo (ad esempio gli annuali Bullettini della
Commissione Archeologica Comunale di Roma, come ho potuto io stessa constatare),
presentano informazioni veramente riduttive e superficiali circa le contemporanee scoperte e i rinvenimenti.
Ciò ha comportato, e comporta tuttora, non poche complicazioni nello studio delle lastre Campana: una delle più rilevanti è sicuramente la determinazione della loro cronologia. Questa era stata stabilita nei suoi sviluppi principali da Von Rohden e Winnefeld44, che si sono basati
sui pochi dati di rinvenimento, su dati epigrafici e criteri stilistici: le nuove terrecotte iniziarono a circolare probabilmente dopo le guerre sociali e quella civile tra Mario e Silla, anni caratterizzati dall’intensificarsi delle attività edilizie e dalla richiesta costante di materiali da costruzione45, affermandosi pienamente all’incirca alla metà del I secolo a.C. Alcune
terrecotte architettoniche rinvenute a Pietrabbondante, Schiavi d’Abruzzo, Colle San Giorgio hanno mostrato che diversi motivi simili a quelli tipici delle lastre Campana erano presenti già tra la fine del II e gli inizi del I a.C.46; nonostante ciò, l’inizio della loro produzione può essere attribuito quasi con certezza all’età sillana: vengono già utilizzate al di fuori di Roma nella Villa di Settefinestre dell’ager Cosanus (secondo quarto del I a.C.)47 e nella quinta fase decorativa del Capitolium di Cosa (secondo Richardson, circa 50 a.C.)48. Nella stessa città di Roma alcune lastre sono state reimpiegate nel contropodio del tempio rotondo B di Largo Argentina - databile al 30 a.C.- e sono quindi anteriori ad esso, contemporanee secondo Tortorella all’adiacente portico di Pompeo del 55 a.C.49 La massima fioritura e diffusione delle
43 Si pensi alla sua monografia sulle lastre Campana (Antiche opere in plastica, 1842, cit. a nota 1) e ai cataloghi redatti su tutti i pezzi collezionati: Cataloghi del Museo Campana, Roma 1858.
44 Von Rohden 1911, pp. 12 ss.
45 Nelle nuove comunità amministrativamente autonome, creatisi dopo le guerre, le funzioni legate alla vita politica ed economica necessitarono della realizzazioni di impianti urbani ed edifici pubblici. Cfr. Tortorella, Bari 1981, p. 219 ss.
46 Cfr. Tortorella, Bari 1981, p. 223.
47 Sullo scavo si veda A. Carandini – S. Settis, Schiavi e padroni nell’Etruria romana. La villa di
Settefinestre dallo scavo alla mostra, Bari 1979.
48 F. E. Brown – L. Richardson – E. Hill Richardson, Cosa II. The Temples of the Arx, in «MAAR» 26, 1960, pp. 269 ss.
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terrecotte Campana si può collocare in età augustea, con un notevole incremento tipologico nel corso del primo quarto del I d.C.; la loro produzione seguitò ancora durante tutto il I secolo, mantenendo un discreto livello qualitativo, e si prolungò nel successivo con certezza fino all’epoca di Adriano50
. Indubbiamente si trattò di una moda purtroppo fiorita in un momento storico in cui a Roma fu alquanto profonda la trasformazione dei materiali usati in architettura: questa classe di manufatti risentì del progresso tecnico, essendo propria in origine dell’architettura lignea e a mattoni crudi, poi della pietra intonacata o stuccata. Le terrecotte architettoniche non sopravvivranno a lungo, sostituite nell’edilizia pubblica romana da materiali come il marmo, sull’esempio della Grecia e dell’Asia Minore; rimarranno in uso, ormai con minori dimensioni e prodotte su scala industriale di minor qualità, più che altro nelle abitazioni private che non potevano permettersi decorazioni troppo lussuose. Anche la componente figurativa si modificò nei particolari, con la sostituzione degli elementi centrali e cambiando spesso formato e destinazione51. In seguito, sembra che la fortuna dei rilievi Campana sia andata incontro ad un forte declino: solo qualche esemplare è stato attribuito, e non sempre con certezza, all’età antonina52
. La crisi sembrerebbe coincidere con quella delle antefisse e di tutte le produzioni destinate all’esportazione dell’artigianato italico; potrebbe essere riconducibile alla decadenza delle figlinae private e alla conseguente comparsa di un monopolio di tipo imperiale, oltre che allo sviluppo di un’edilizia intensiva con insulae multipiano organizzate attorno ad un unico cortile centrale: è l’abbandono definitivo della
domus tradizionale rappresentata dalla successione di atrio e peristilio porticati, caratteristica
del paesaggio urbano italico fino agli anni a cavallo tra il I e il II secolo d.C.53
Come già detto precedentemente, le attestazioni di Lastre Campana recanti bolli sono piuttosto esigue: alcune di queste si possono datare, per i caratteri epigrafici, tra il 50 a.C. e i primi anni del secolo successivo; la maggior parte appartiene al I d.C., ai decenni non oltre il periodo giulio-claudio (soltanto due sono più tardi, uno della fine del I secolo e uno di età adrianea)54. Ma essi rappresentano solamente una piccola parte del materiale e ovviamente non ne permettono una completa e affidabile cronologia. Anche l’analisi di Calderone sul repertorio figurativo, nel tentativo di trarvi elementi cronologici che potessero essere validi, non ha portato a risultati consistenti, poiché esso è derivato nella maggior parte dei casi da
50 Si hanno dei riferimenti grazie a dati di scavo riguardanti Roma, Tuscolo, Gabii; ancora incerto è un bollo attestato su una lastra di rivestimento e su mattoni databile agli anni 123-128; vedi Tortorella, Bari 1981, p. 223.
51 Cfr. Carettoni 1973, pp. 81-82; vedi anche Von Rohden 1911, pp. 14 ss. 52 Von Rohden 1911, pp. 28 ss.
53 Cfr. Tortorella, Bari 1981, p. 223.
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modelli d’ispirazione molto antichi55
. Davvero poche raffigurazioni possono essere ricollegate a periodi storici ben precisi, come ad esempio ludi circensi o trasporti di prigionieri e bottini di guerra delle cosiddette «scene romane», presenti essenzialmente soltanto nelle lastre databili tra la fine dell’età repubblicana e l’epoca giulio-claudia56
. Molti temi inoltre, esistenti da tempo nel repertorio delle terrecotte Campana, solo successivamente potrebbero esser stati caricati di significati ideologici politici, nonostante talvolta vi si possa riconoscere allusioni a fatti realmente accaduti57; in ogni caso, la maggior parte dei motivi ricorre senza significative variazioni lungo tutto il periodo di circolazione delle lastre. Interessante osservazione ancora di Calderone è il fatto che spesso fasce decorative simili o addirittura identiche possano essere presenti su lastre differenti per tipologia e raffigurazione: le fasce infatti venivano prodotte separatamente dal campo centrale e poi applicate alla lastra in un secondo tempo; ciò potrebbe indicare che lastre con fasce decorative affini possano essere state fabbricate da una stessa officina e quindi verrebbero fatte risalire ad uno stesso intervallo di tempo circoscritto58. Ma anche in questa occasione purtroppo l’esito spesso non è nient’altro che una datazione cronologica relativa, così come quello del confronto analitico tra diversi esemplari di uno stesso tipo, cercando di tener conto della riduzione progressiva delle dimensioni per cause tecniche o dei ritocchi necessari a causa dell’usura delle matrici. Per concludere pertanto la questione della cronologia, si può affermare che - escludendo i rarissimi casi in cui i dati archeologici contestuali o quelli epigrafici possono essere determinanti per dare una saldezza cronologica concreta agli esemplari o alle serie di lastre Campana – purtroppo è necessario accontentarsi di dati statistici e affidarsi talvolta alla soggettività dell’interpretazione stilistica.
La mancanza di informazioni circa i contesti di provenienza dei rilievi Campana genera poi non poche complessità nell’analisi interpretativa delle scelte iconografiche e dei messaggi che tramite queste dovevano veicolati. Ogni singolo elemento decorativo doveva essere accuratamente selezionato entro un vasto repertorio di modelli dai quali attingere: ogni scelta
55 Calderone 1975, pp. 66-68.
56 Von Rohden 1911, p. 22 ss., pp. 135-142; Tortorella, Roma 1981, p. 73 ss.
57 Borbein 1968, p. 31, nota 45, ricorda che la Nike tauroctona compare già nella produzione della tarda età repubblicana, mentre soltanto dall’età augustea in poi assume un forte significato politico (come vedremo a breve); E. Simon, Latomus 21, 1962, p. 775 ss. interpretava invece le scene con barbari e Amazzoni come allegorie politiche di età proto-imperiale. Cfr. Calderone 1975, p. 67, note 16-17. Alcune lastre con corse di quadrighe nel Circo Massimo (v. Von Rohden 1911, pp. 136-137) si possono eccezionalmente datare in modo preciso grazie alla ricca ornamentazione delle mete rappresentate, che trova riscontro nella notizia di Svetonio (Claud., XXI, 7) secondo cui Claudio le fece rivestire di oro. Cfr. Tortorella, Roma 1981, pp. 73-74.
58 Von Rohden 1911, pp. 48 ss., tentò di raggruppare tutto il materiale disponibile proprio su questa base. L’esame dei bolli porterebbe inoltre ad affermare che non sia esistita una specializzazione delle officine in rapporto ai soggetti figurati. Cfr. Tortorella, Roma 1981, pp. 67-68.
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artistica non era lasciata al caso, in quanto rappresentativa di un significato ben preciso che il committente voleva esprimere. Si può ben immaginare quanto possa essere complicato cercare di comprenderne il valore intrinseco e il senso del contenuto senza nessun dato sulla destinazione originaria della lastra, ignorando se sia stata fabbricata per un edificio pubblico o privato, sacro o profano, all’oscuro di una qualsiasi indicazione su chi possa esserne stato l’acquirente. In questi casi, il reperto archeologico potrebbe essere paragonato ad un involucro vuoto, privo del suo contenuto, della sua memoria, e analizzabile soltanto nel suo aspetto e valore estetico. Al contrario, quando si sono riscontrati ritrovamenti e notizie di nuclei di lastre provenienti da un determinato edificio o specifici ambienti, è stato possibile innanzitutto desumere i criteri adottati per la loro composizione: esse potevano andare a costituire fregi concepiti come ripetizione di tipi identici o come successione di varianti diverse di un medesimo soggetto (ad esempio, i molteplici tipi della Nike tauroctona59), oppure ancora accostando due o tre soggetti diversi connessi da un tema ispiratore unitario – come può essere quello dionisiaco60 -, infine formando un ciclo o persino una rappresentazione continua61.
Restano comunque non di rado poco comprensibili, a causa di lacune contestuali, i criteri messi in atto nella scelta di una serie di lastre per la decorazione globale di una struttura, qualunque essa sia; non sembra che la tipologia di edifici sia stata determinante nella selezione di una certa tipologia di terrecotte, ma piuttosto risulterebbe che un determinato tema iconografico potesse assumere uno specifico significato in rapporto a contesti diversi62.
Borbein ha analizzato la questione delle origini e del significato della composizione simmetrica o araldica nell’arte tardorepubblicana in relazione alle lastre Campana e alle scelte iconografiche su di esse operate63. Proprio mediante il principio compositivo simmetrico, gli
artigiani operarono una trasformazione sui temi derivati dall’arte neoattica, temi di cui si riappropriarono appunto per la nuova classe di terrecotte. Essi si servirono di raccoglitori di modelli utilizzati comunemente dai vari ateliers, un processo produttivo consueto per la realizzazione di monumenti ufficiali, nelle pitture parietali e anche nei generi dell’artigianato minore64. Il significato originario viene trasfigurato, con la conseguente creazione di fregi di
puro gusto decorativo o spesso di nuove composizioni finalizzate alla rappresentazione di temi
59 Borbein 1968, pp. 43-116. 60 Von Rohden 1911, pp. 30-82.
61 Si pensi ai cicli con le fatiche di Eracle o le avventure di Teseo. Von Rohden, pp. 93-105; Borbein 1968, pp. 157-176.
62 Cfr. Tortorella, Roma 1981, pp. 65-66.
63 A. H. Borbein, Zur Bedeutung symmetrischer Kompositionem in der hellenistich-italischen und
spät-republikanisch-römischen Reliefplastik, in Hellenismus in Mittelitalien, Göttingen 1976, pp. 502-538; id.
1968, pp. 43 ss., 80 ss., 104 ss., 123 ss., 142 ss., 187 ss. 64 Tortorella, Roma 1981, pp. 68-70.
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romani di attualità (ad esempio le lastre con i Galli prigionieri ai lati di un trofeo65); l’acmé si raggiunge con combinazioni che possono diventare veri e propri manifesti di propaganda politica: esemplare il caso del ciclo rinvenuto nell’area Apollinis. Basti affermare che il repertorio decorativo che era stato coniato per il complesso augusteo del Palatino diverrà uno dei modelli vincenti, capace di imporsi per il suo valore ideologico aldilà delle valenze religiose. Sarà un modello culturale a cui ci si ispirerà per la ripresa di temi iconografici sia in area urbana che periferica, sia in ambito pubblico che privato. Tramite questo processo, le lastre Campana si sono affermate come prodotti depositari di tematiche civili e religiose, diffondendosi gradualmente anche in tutte le grandi residenze suburbane, palesi manifesti di un consenso politico ed ideologico verso il nuovo principato di Augusto.
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1.1
Le scelte iconografiche
Vorrei dedicare un breve excursus a quelli che ritengo siano i temi più significativi offertici dai rilievi Campana: le scelte iconografiche privilegiate e maggiormente diffuse, che ben dimostrano le finalità a cui queste lastre dovevano rispondere ed eventualmente quali tipologie di messaggi potevano essere veicolati attraverso di esse. Ho già illustrato come, nonostante la derivazione da un prodotto ormai tipico della tradizione italica, le lastre Campana si presentino in realtà come un manufatto fortemente innovativo dal punto di vista dell’iconografia e della composizione: la novità è fondata sulla scelta di reiterare infinitamente un unico soggetto o un gruppo di soggetti figurativi, differenziandosi dalle formule narrative del mondo italico, che generalmente si attenevano o alla reiterazione di un unico modulo geometrico o floreale (non figurativo quindi) oppure alla scelta di un fregio continuo figurato, narrativo, che corresse lungo il perimetro dell’edificio. L’unica eccezione a questa regola ci viene presentata proprio da alcuni prodotti della decorazione fittile, i fregi figurati di età arcaica, dove - accanto alla selezione di motivi che ben si prestano ad una composizione ripetitiva - appaiono occasionalmente anche lievi riferimenti ad episodi mitici66.
Nel corso degli studi, è stata rilevata l’importanza della ceramica aretina e dei rilievi neoattici67 (manufatti che spesso sono stati richiamati per i temi e i motivi iconografici utilizzati sulle terrecotte Campana), come testimoni del gusto eclettico dell’arte romana. Il problema storico-artistico di questa produzione romana venne affrontato per la prima volta da Borbein68, che cercò di individuare i precedenti di alcune delle scene più rappresentative delle lastre, al fine di comprendere in che modo differenti esperienze artistiche abbiano potuto unirsi ed integrarsi nel fenomeno dell’eclettismo artistico di Roma; allo stesso tempo la ricerca è stata volta anche all’individuazione di quei principi che nel processo creativo delle terrecotte hanno guidato l’artigiano: egli riprese sì le opere più antiche e importanti della tradizione artistica, ma senza mai copiarle passivamente, decontestualizzandone invece i motivi e trasformandoli con apporti personali.
66 Per approfondimenti sulle tipologie e i luoghi di ritrovamento, v. M. J. Strazzulla, Il mito greco in età
augustea. Le lastre Campana e il caso di Teseo, in Le mythe grec dans l’Italie antique. Fonction et image, Actes du colloque international (Rome, 14-16 novembre 1996), École Française de Rome 1999, pp. 556-557.
67 H. Dragendorff – C. Watzinger, Arretinischer Reliefkeramik mit Beschreibung der Sammlung in Tübingen, Reutlingen 1948, e W. Fuchs, Die Vorbilder der neuattischen Reliefs, in JDAI, XX Ergänz, Berlin 1959. Vedi Rizzo 1976-77, pp. 5-7.