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Le problematiche di un contesto incerto

3. Il mito di Teseo

3.2 La selezione iconografica e le attestazioni archeologiche

3.2.4 Le problematiche di un contesto incerto

L’esistenza di un vero e proprio ciclo unitario di lastre Campana raffiguranti il mito di Teseo ci è stata testimoniata da ritrovamenti occasionali a Roma, dovuti agli scavi in corso nel 1863 per la realizzazione delle fondamenta di un ponte in ferro, il cosiddetto Ponte dei Fiorentini, che aveva la funzione di collegare il nuovo quartiere in costruzione ai Prati di Castello con il centro storico. Riguardo il punto esatto della scoperta, Rutgers affermò che le terrecotte furono trovate «a Roma, nel far le fondamenta del nuovo ponte di ferro che di faccia

158 impiegati a coprire una piccola chiavica col rovescio per disotto, mentre le figure erano coperte di calce»759. Gli ingressi della struttura infatti erano posizionati sulle rive del Tevere,

rispettivamente all’altezza della chiesa di San Giovanni dei Fiorentini e in prossimità di Palazzo Salviati. Dalle parole del Rutgers si può ben capire come le lastre abbiano perso ogni legame con il contesto originario, essendo state spostate per essere reimpiegate in una fognatura. Questa scoperta dovette risultare tuttavia all’epoca molto rilevante, in quanto due delle tre tipologie di raffigurazioni rinvenute erano allora sconosciute e furono pubblicate per la prima volta: si tratta della scena della lotta fra Teseo e Scirone, attestata da due esemplari e qualche frammento760, e di quella dell’abbandono di Arianna, di cui fu rinvenuto soltanto qualche frammento761. La terza rappresentazione, con il riconoscimento di Teseo dal padre

Egeo762, individuabile in una lastra di rivestimento integra e in alcuni frammenti, era invece già conosciuta da altre repliche763. Quest’ultima composizione riprende quasi perfettamente il modello originario della prima età augustea: Egeo presenta sui capelli una benda regale, che lo contraddistingue come re; variazioni più rilevanti da evidenziare sono la mancanza di una minima indicazione del suolo, del lembo della veste di Teseo che ricade dietro la sedia su cui è seduto, delle cuciture sulle maniche del chitone di Egeo; la testa e la parte superiore della figura di Medea non sono ben riuscite, essendo essa stata anche privata degli elementi che la distinguono nettamente come barbara. Il lavoro appare non particolarmente significativo dal punto di vista della qualità, dato che i contorni in molti punti si presentano poco nitidi. L’esemplare con l’abbandono di Arianna764

invece sembra rispondere perfettamente al modello delle composizioni più antiche: è sempre presente l’albero che sovrasta la roccia su cui l’eroina è seduta e Teseo ha ancora in mano quello che sembra un bastone liscio, e che potrebbe essere identificato anche con un remo, data la presenza della nave ben visibile con il suo rostro tra i due personaggi. Sono conservati tre dei quattro fori per l’inchiodamento della lastra; il quarto, individuabile tra la figura seduta di Arianna e il rostro dell’imbarcazione, è stato tappato. L’esecuzione sembra corrispondere perfettamente a quella dell’esemplare precedente, anche

759 J. Rutgers, Due bassorilievi in terracotta, in AnnInst 1863, p. 459 ss; per le raffigurazioni si veda Mon. dell’Inst. VI-VII, tav. LXXXIII.

760 Uno di questi ora si trova a Parigi, prima nel Museo di Napoleone III: v. BullInst 1862, p. 10 ss. Cfr. Von Rohden 1911, tav. LI.

761 Berlino, Antiquarium n. 5888. Vedi Von Rohden 1911, tav. CX.

762 Una lastra rimasta quasi integra è conservata a Copenhagen, Antikensammlung; v. Von Rohden 1911, tav. CIX. Un frammento di lastra avente stessa provenienza e quindi di identico modello si trova a Berlino, Antiquarium, n. 5890.

763 Precisamente un esemplare pubblicato da Campana, 1842, tav. LXVIII; un altro da Winckelmann, Mon.

Ined., cit., tav. 127, e da Inghirami, Gall. Omer. II, cit., tav. 119 (ritenuto la raffigurazione della guarigione di

Macaone da parte di Nestore); un terzo in Seroux d’Agincourt, Fragmens de sculpture en terrecuite, cit., tav. 4,1 (ancora male interpretato); infine l’esemplare del British Museum con la composizione ampliata da due donne sul lato sinistro (Combe, Terracottas in Brit. Mus., cit., tav. 12, 20).

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per le forme eccessivamente “allungate”, distese, poco a rilievo. La rappresentazione di Teseo e Scirone765 infine, conservataci da due frammenti ricomposti della metà sinistra, si presenta

come uno dei migliori esemplari della variante augustea, dove il dislivello del terreno sui cui sta cadendo Scirone è ben sottolineato e la clamide di Teseo impegnato nello sferrare il colpo mortale si muove alle sue spalle con pieghe ricche e corpose. In generale, il carattere complessivo delle composizioni, armoniche nell’occupazione del quadro figurativo, viene attribuito da Rutgers a modelli della scuola attica del IV a.C., forse mancante ancora di una forte espressione patetica, soprattutto nella scena di combattimento; il rilievo, mantenuto sempre basso e poco staccato dal fondo della lastra, e anche la composizione dell’argilla poco depurata hanno fatto sì che sfortunatamente si perdessero con facilità la freschezza e il modellato dei contorni, cosicché le forme sulla terracotta appaiono visibilmente sfumate.

Fig. 31. Riproduzioni in incisione delle lastre Campana con abbandono di Arianna e Teseo e Scirone (E. Brunn, Mon.Inst. 1863)

Non è purtroppo possibile stabilire tuttora a quale edificio potesse essere stato destinato questo ciclo figurativo: nessun scavo eseguito nella zona interessata ha restituito simile materiale fittile, che possa essere di concreto aiuto per accertarne l’origine. Sicuramente le lastre devono essere state recuperate in antico nelle vicinanze, presumibilmente durante sterri, spoliazioni o lavori edilizi o agricoli, e reimpiegate a pezzi per coprire l’apertura di una cloaca: concentrando quindi l’attenzione soltanto nell’area circostante il ritrovamento, avvenuto sul Lungotevere in prossimità di Palazzo Salviati, l’unica, forse ardita ipotesi che mi sia venuta in

765 Vedi Von Rohden 1911, tav. LI.

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mente è che le lastre possano essere pertinenti al programma decorativo di un ambiente della Villa della Farnesina766. È infatti proprio nella zona dei giardini della Farnesina, sotto cui sono

venuti alla luce i resti dell’abitazione, che Lanciani – purtroppo senza ulteriori specificazioni - cita il ritrovamento di «frammenti architettonici e figurati»767 e di altri frammenti in terracotta768. La stessa zona inoltre non sembra essere particolarmente ricca di edifici, privati o pubblici, che possano aver ospitato una tale decorazione, anche per affinità cronologica. Si deve ricordare che l’area transtiberina dell’odierno Lungotevere Gianicolense e Lungotevere Farnesina, all’interno dei quali corre Via della Lungara, in epoca tardo-repubblicana non era una zona propriamente urbana, tanto che pare che solo dall’età di Cesare il pomerio fosse stato allargato per problemi logistici fino all’altezza della Lungara769; vi si trovavano più che altro

attività artigianali, horrea e talvolta le sedi dei collegi, come quello successivo delle Celle vinarie Nova e Arrunziana770; inoltre nella stessa area è stato trovato intatto il sepolcro di C. Sulpicius Platorinus771, triumviro monetale all’epoca di Augusto, a dimostrazione che se era possibile la presenza di un edificio funerario, certamente la zona non poteva essere considerata parte del centro cittadino. Le stesse lettere di Cicerone ad Attico testimoniano il gran numero di ricchi possidenti che nella seconda metà del I a.C. avevano le loro ville suburbane in Trastevere. Ed è così che si qualifica la Villa della Farnesina, pur presentando tutti i caratteri di una lussuosa casa patrizia urbana.

La villa fu rinvenuta casualmente durante gli scavi del 1879-1880 per la costruzione e il consolidamento degli argini del Tevere, catturando immediatamente l’attenzione dell’epoca per gli ambienti meravigliosamente e riccamente decorati da affreschi, mosaici e stucchi, che furono prontamente trasferiti; sfortunatamente i suoi resti poterono essere esplorati solo in parte e una discreta quantità degli alzati finì per essere distrutta. L’impianto architettonico di conseguenza non è mai stato pubblicato in modo compiuto; l’edificio è stato datato all’epoca

766 Strazzulla (1999, p. 586) parlando delle lastre in questione afferma che la località del ritrovamento deve essere ritenuta significativa, perché prossima al luogo in cui dovrebbe essere ubicato – secondo La Rocca (v. E. La Rocca, La riva a Mezzaluna: culti, agoni, monumenti funerari presso il Tevere nel Campo Marzio

Occidentale, Roma 1984, p. 87 ss.) - l’heroon o cenotafio di Agrippa, localizzato in alcuni resti rinvenuti nel

Campo Marzio Nord-Occidentale. In realtà mi sembra che la studiosa abbia totalmente frainteso il punto del ritrovamento delle lastre, dato che lo riconosce presso la Chiesa di San Giovanni dei Fiorentini, quando invece la scoperta è avvenuta costruendo le fondamenta per il ponte sull’altra riva del Tevere, come ribadisce anche Visconti in BCAR 1877, p. 74 ss. «nel cavarsi le fondamenta della testa del ponte di ferro alla

Longara, dalla parte del Palazzo Salviati». Sulla villa si vedano L. Gigli, Appunti sulla Casa Romana della Farnesina, in L’Urbe, XV (6), p. 3 ss.; M. R. Sanzi di Mino, Museo Nazionale Romano. La villa della Farnesina in Palazzo Massimo alle Terme, Roma 1998.

767 R. Lanciani, in NSA 1880, p. 32. 768 Ead., p. 53.

769 Vedi R. Lanciani, in NSA 1880, p. 127 ss., e in BCAR 1896, p. 246. Degli allargamenti pomeriali eseguiti da Cesare e poi Augusto non abbiamo precise indicazioni topografiche.

770 NSA 1879, p. 68 ss.; NSA 1880, p. 127 ss. 771 Vedi R. Lanciani 1880, p. 134 ss.

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augustea, per le murature realizzate in opera reticolata, caratterizzate da legamenti e spigoli in piccoli cubi tufacei ma senza mistura di opera laterizia772. È allo stesso periodo, più

precisamente nel 30-20 a.C., che sono state datate le pitture, per il loro stile classico773. Ed è seguendo questa cronologia che Beyen, appoggiato in seguito dagli altri studiosi, ipotizzò che la villa della Farnesina fosse stata costruita in occasione delle prime nozze di Giulia con il cugino Marco Claudio Marcello (25 a.C.) e poi decorata in un secondo momento per ospitare dal 19 a.C. i nuovi sposi Agrippa e Giulia, sottolineando anche la somiglianza delle pitture con quelle della Casa di Livia e della Casa di Augusto sul Palatino774. E se davvero Agrippa fosse il proprietario della villa, certo potremmo spiegarci la presenza e la scelta di un tema figurativo che vedremo essere così caro all’ideologia augustea. Ma in ogni eventualità, chiunque possa essere stato l’effettivo proprietario775  sicuramente un ricco patrizio vicino alla politica e alla

cultura dell’imperatore (basti pensare alle raffinatissime pitture presenti776) -, non ci si dovrebbe stupire, come in tutti gli altri casi che abbiamo precedentemente visto, della ripresa da parte dell’aristocrazia di temi diffusi dalla propaganda del princeps. L’edificio presentava numerosi ambienti che potrebbero aver ospitato le terrecotte Campana, come l’avancorpo

772 Vedi R. Lanciani, 1880, p. 127 ss.; E. B. Van Deman, Methods of Determining the Date of Roman

Concrete Monuments, in AJA 1912, p. 248 ss., nota 5, e p. 251.

773 H. G. Beyen, Les domini de la villa romana de la Farnesine, in Studia varia Carolo Guilielmo Vollgraff a

discipulis oblata, Amsterdam 1948, p. 3 ss.

774 Beyen, cit., 1948.

775 La Rocca contrasta con l’ipotesi di Beyen, appoggiando l’ipotesi di G. Lugli (La pianta dell’antica casa

della Farnesina, in MEFRA LV, 1938, p. 5 ss., che attribuiva la proprietà della villa a Clodia, la Lesbia

amata da Catullo) e rialzando la datazione della villa agli inizi della seconda metà del I a.C. Cfr. E. La Rocca,

Gli affreschi della casa di Augusto e della villa della Farnesina: una revisione cronologica, in E. La Rocca -

P. Léon - C. Parisi Presicce (a cura di), Le due patrie acquisite. Studi di archeologia dedicati a Walter

Trillmich, Roma 2008, pp. 223-242. Se si volesse ritenere probabile questa ipotesi, è altrettanto possibile che

la seconda generazione dei proprietari abbiano rinnovato o completato la decorazione della villa in un secondo momento con il ciclo delle terrecotte Campana. In realtà anche Krause aveva ripreso con nuovi argomenti le ipotesi che anche su base topografica attribuivano la proprietà della villa ad Agrippa (C. Krause, Hemizyklen in frühkai-serzeitlichen Villenbau, in RM CVII, 2000, pp. 37-78); in ogni caso il livello della committenza risulta confermato dalla ripresa di alcune fondamentali innovazioni architettoniche della villa della Farnesina nella villa Jovis di Tiberio (S. Foresta, La villa della Farnesina: un punto di vista

privato. Ricezione e rielaborazione di modelli ellenistici a Roma, in Incidenza dell’antico 2, 2004, pp. 113-

135). Cfr. I. Bragantini – R. Pirelli, Osservazioni sul fregio della villa romana della Farnesina, in Annali di

Archeologia e Storia antica n. 13-14, Napoli 2006-2007, p. 221 ss.

776 I. Bragantini – M. de Vos, Museo Nazionale Romano. Le pitture. II, 1. Le decorazioni della Villa romana

della Farnesina, Roma 1982. Dalla villa della Farnesina provengono due frammenti di pitture da giardino

poco posteriori agli affreschi del ninfeo sotterraneo della Villa di Prima Porta; alcuni cubicoli hanno restituito motivi di paesaggi idilliaci, Eroti, grifi, arimaspi, candelabri, girali (frequenti nell’arte augustea). Altri quadri pittorici raffigurano scene di gineceo, episodi dell’infanzia di Dioniso e del mito di Ino-Leucotea, cortei bacchici, altre scene mitologiche, sacrali o di iniziazione, inquadrati da decorazioni accessorie neoattiche (Vittorie alate, racemi, genietti). Degno di nota il fregio del cd. salone nero, con scene egiziane di difficile interpretazione, attribuibili all’ambiente artistico alessandrino: interpretato come “saga” della proverbiale giustizia di un sovrano (Bocchoris?), è stato più recentemente letto come la caratterizzazione colta e raffinata di un Egitto popolare, la raffigurazione di vicende avventurose di due o tre figure maschili (v. Bragantini- Pirelli, art. cit. a nota precedente). Pregiati anche gli stucchi conservatisi nei cubicoli, che nei riquadri minori presentano motivi arcaistici o grotteschi, in quelli maggiori invece paesaggi idilliaci, scene dionisiache e il mito di Fetonte.

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orientale verso il Tevere realizzato a finto porticato con esedra o il lungo corridoio realizzato a criptoportico, senza dimenticare in particolare che buona parte dell’edificio si trova ancora sconosciuto sotto le costruzioni di via della Lungara e che una parte dell’estremità settentrionale della casa, scavata da Lanciani777, si presentava ai suoi occhi come un fabbricato perfettamente simmetrico alla metà meridionale, ma assolutamente mal conservato e senza pitture: è possibile che proprio in questa zona ridotta a rudere, precedentemente, fossero venute alla luce le lastre Campana.

777 R. Lanciani in NSA 1885, p. 224 ss.

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