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IFRS 9: Analisi empirica degli impatti sui Ratio Patrimoniali nelle Banche Italiane a seguito dell'introduzione della nuova classificazione dei crediti denominata "Stage 2"

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Academic year: 2021

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Corso di Laurea magistrale

(ordinamento ex D.M. 270/2004)

in Economia e Finanza

Tesi di Laurea

IFRS 9: Analisi empirica degli impatti

sui Ratio Patrimoniali nelle Banche

Italiane a seguito dell’introduzione

della nuova classificazione dei crediti

denominata "Stage 2"

Relatore:

Ch. prof. Simone MAZZONETTO

Correlatore:

Ch. prof. Ugo RIGONI

Laureando:

Luca BOTTEON

Matricola 838131

Anno Accademico

2016-2017

Typeset by LATEX2e

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"La mia barca è una conchiglia nella tua mano..."

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Abstract

L’elaborato ha lo scopo di valutare l’impatto dell’introduzione della nuova ca-tegoria di crediti denominata stage 2 a livello di ratios patrimoniali richiesti nel sistema bancario. L’introduzione dei crediti stage 2 è prevista dall’IFRS 9, che en-trerà in vigore a gennaio 2018 e il cui contenuto si articola in tre fasi: classificazione e misurazione, impairment e hedge accounting. Nella prima parte dell’elaborato si è presentato l’attuale quadro normativo in tema di impairment finanziario, così co-me definito dal principio contabile IAS 39 e, successivaco-mente, sono state illustrate le modifiche apportate dal principio contabile IFRS 9, che condurranno a maggiori svalutazioni. Nella seconda parte, dedicata alla vigilanza regolamentare, si è pre-sentata la classificazione di crediti prevista da Banca d’Italia e in seconda battuta la normativa relativa ai coefficienti patrimoniali. Nella terza parte è stato preso in considerazione un campione di Banche di classe 2 e 3 selezionate valutando la loro collocazione geografica in modo tale da ottenere una copertura omogenea dell’intero territorio nazionale. Muovendo dai dati del bilancio d’esercizio 2015, si è valutato il possibile impatto che potrebbe avere la nuova normativa sui ratios patrimoniali.

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Nota per il lettore

Typeset by LATEX

La tesi è stata redatta con LATEX2 (LATEX home page). Esso è un programma di

composizione tipografica open source e realizzato da Leslie Lamport, impiegando co-me motore tipografico TEX che fu concepito da Donald Ervin Knuth e distribuito negli anni ’90. Al giorno d’oggi, TEX è un marchio registrato dall’American Mathe-matical Society (AMS). Il programma utilizza numerose estensioni per ampliare le sue potenzialità ed esse vengono identificate con la simbologia AMS-LATEX, che sta

per "LATEX with AMS’s extensions".

L’utilizzo di LATEXè stato integrato con delle estensioni che hanno permesso di

inserire, all’interno della seguente tesi, riferimenti incrociati cliccabili. Attraverso il pacchetto, inoltre, è stato possibile produrre un indice generale, una lista delle figure e una lista delle tabelle con i relativi numeri di pagina. Con i pacchetti hyperref e url, si sono inseriti riferimenti ipertestuali come quelli utilizzati per rinviare alla homepage di LATEX o alla pagina delle funzionalità sviluppate dall’American

Mathe-matical Society.

Il presente lavoro mi ha, quindi, permesso di conoscere e approfondire l’uso di questo motore tipografico e far, così, comprendere al lettore le potenzialità, che qui sono solo accennate, del programma e l’impegno ad esso riservato dall’autore.

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Indice

Introduzione 1

1 La vigilanza bancaria 3

1.1 La classificazione del credito ai fini di vigilanza . . . 4

1.1.1 Le non performing exposures . . . 4

1.1.2 Le esposizioni forborne . . . 7

1.1.3 Le modalità di provisioning . . . 7

1.2 I fondi propri e i requisiti patrimoniali . . . 8

1.2.1 Lo SREP . . . 14

2 L’attuale quadro normativo: lo IAS 39 17 2.1 Le categorie di strumenti finanziari . . . 18

2.2 Rilevazione iniziale e valutazione successiva . . . 20

2.3 Le riclassificazioni . . . 22

2.4 L’impairment . . . 23

2.5 La valutazione delle perdite . . . 25

2.6 I derivati di copertura . . . 26

3 Il nuovo principio contabile: l’IFRS 9 29 3.1 Omologazione . . . 31

3.2 Fase I: Classificazione e misurazione . . . 32

3.2.1 Verifica SPPI e benchmark test . . . 35

3.2.2 Il modello di gestione . . . 36

3.3 Fase III: Hedge-accounting . . . 37

4 Fase II:Impairment 39 4.1 La rilevazione delle perdite attese . . . 40

4.2 La stage allocation . . . 46

4.2.1 La low risk exemption . . . 48

4.2.2 La more-than-30-days-past-due rebuttable presumption . . . . 48

4.3 L’approccio forward looking . . . 49

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x INDICE 5 Impatti organizzativi dell’IFRS 9 51

5.1 Il passaggio a stage 2 . . . 53

5.2 I metodi statistici . . . 53

5.2.1 Premesse . . . 53

5.2.2 La probabilità di default . . . 54

5.2.3 La loss given default . . . 58

6 Analisi empirica: simulazione degli impatti patrimoniali 61 6.1 Il campione di banche . . . 61

6.2 Analisi dei dati . . . 66

6.3 Risultati . . . 79 Conclusioni 81 Appendice A 89 Bibliografia 95 Elenco Bilanci 101 Ringraziamenti 107

(11)

Elenco delle tabelle

6.1 Campione Banche . . . 62

6.2 Fondi Propri . . . 68

6.3 Effetti sui Ratios . . . 76

6.4 Effetti sui Ratios . . . 77

6.5 Effetti sui Ratios . . . 78

6.6 Delta Medi dei Ratios . . . 79

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Elenco delle figure

2.1 IAS 39 Incurred Loss (Fonte: Federcasse) . . . 24

4.1 IFRS 9 Expected Loss (Fonte: Federcasse) . . . 41

5.1 Matrice di Migrazione (Fonte: Federcasse) . . . 57

6.1 Esempio Fondi Propri . . . 66

6.2 Esempio RWA . . . 67

6.3 Esempio Tabella A.1.2 . . . 74

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Introduzione

Questo lavoro mira a presentare gli impatti previsti conseguenti all’entrata in vigore del principio contabile IFRS 9 e in particolar modo ad analizzare come le banche italiane vedranno modificati i loro ratios patrimoniali ai fini di vigilanza alla luce delle riformate prescrizioni in tema di impairment sui crediti.

Il lavoro muove dalle disposizioni in tema di classificazione del credito ai fini della vigilanza bancaria. Vengono presentati i concetti di non performing exposures e di forborne exposures e le relative pratiche in tema di svalutazioni effettuate.

Il Capitolo1prosegue con la normativa comunitaria relativa al concetto di Fondi Propri, derivante dal Regolamento Europeo 575/2013. La richiesta per le banche è quella di detenere adeguate coperture a fronte dei rischi assunti tramite gli im-pegni effettuati e tale adeguatezza viene valutata tramite il rispetto di determinati coefficienti patrimoniali minimi. Inizialmente la normativa di Basilea indicava dei coefficienti standard, ma la recente introduzione del processo SREP ha fatto sì che alle banche, su base individuale, venga comunicato annualmente il livello di patrimo-nializzazione da rispettare. Gli istituti bancari valutano autonomamente il livello di rischio e di conseguenza il livello adeguato di Fondi Propri, ma all’autorità di vigi-lanza è demandato il compito di un controllo a posteriori e di correzione, servendosi dei coefficienti SREP.

Nel Capitolo 2viene esposto il contenuto dello IAS 39, il principio contabile che verrà sostituito a partire dall’1 gennaio 2018. Lo IAS 39 è scomponibile in 3 fasi. Nella Fase I: Classificazione e misurazione vengono categorizzate attività e passività finanziarie ai fini contabili. La Fase II: Impairment tratta la rilevazione delle perdi-te conseguenperdi-te al deperdi-terioramento delle esposizioni rispetto alla misurazione iniziale. L’impairment finanziario nello IAS 39 si fonda sul principio incurred loss, secondo il quale vanno rilevate solo le perdite manifeste. La Fase III: Hedge Accounting si occupa dell’utilizzo dei derivati come strumenti di copertura del rischio.

Il Capitolo 3 tratta il nuovo principio contabile IFRS 9 per quanto concerne le 1

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2 Introduzione Fase I e III. Viene dunque presentata la nuova classificazione degli strumenti finan-ziari e l’evoluzione della disciplina in tema di hedge accounting. Il nuovo standard contabile, redatto alla luce delle criticità emerse negli anni dall’applicazione dello IAS 39, si propone di essere maggiormente principle based.

La Fase II dell’IFRS 9, quella di maggior rilevanza ai fini di questo lavoro, viene trattata separatamente nel Capitolo 4. Su questo tema si riscontra la maggiore di-scontinuità rispetto alla normativa dello IAS 39. La logica adottata nella rilevazione delle perdite viene radicalmente modificata. L’introduzione del concetto di expected loss prevede di incorporare nella valutazione anche fattori forward looking. In parti-colare è prevista una classificazione delle esposizioni in tre diversi stage; nello stage 2 confluiranno attività che pur non essendo deteriorate hanno subito un incremento del rischio considerevole e su queste attività andranno effettuate delle svalutazioni che considerino i possibili eventi di default di tutta la vita dello strumento.

L’entrata in vigore dell’IFRS 9 coinciderà con la necessità, per le banche, di ap-portare profondi cambiamenti ai processi di risk management. Il tema di maggiore rilevanza è relativo alla nuova categoria stage 2 e alla definizione di regole che sta-biliscano quando si dovrà configurare il passaggio a questa categoria. Nel Capitolo

5si affronta questo tema, legato inscindibilmente al concetto di porbabilità di default. Nell’analisi empirica si è considerato un campione di 153 banche tra le cosiddette banche less significant, ovvero quelle sottoposte alla vigilanza di Banca d’Italia e non alla vigilanza diretta della BCE. Le banche sono state scelte tenendo conto della loro presenza sul territorio italiano, cercando per quanto possibile di rappresentare ogni provincia del Paese.

Il primo passo è stato la raccolta dei dati, relativamente ai bilanci d’esercizio 2015, dei Fondi Propri detenuti, delle attività ponderate per il rischio e dei relativi ratios patrimoniali. Da questi dati, che sono per l’appunto esposti in Nota Integrativa, si è condotto uno stress test, ipotizzando l’applicazione dell’IFRS 9 e le conseguenti maggiori svalutazioni.

Prendendo in considerazione la categoria dei crediti verso clientela in bonis, si è aumentata la percentuale di svalutazione su questi, che ai sensi dello IAS 39 avviene forfetariamente. Si è infine valutato l’effetto di tale incremento delle svalutazioni sui Fondi Propri e conseguentemente sui ratios patrimoniali.

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Capitolo 1

La vigilanza bancaria

Trattando il tema delle attività finanziarie nell’ambito delle valutazioni fatte in sede di bilancio, è di primaria importanza ai fini di questo lavoro considerare l’aspetto della vigilanza bancaria. Diversamente da quanto accade per le imprese di altri settori, le aziende bancarie ricoprono un ruolo cruciale nel mercato, che necessita di una regolamentazione ad hoc; questa necessità sfocia nella richiesta di determinati requisiti prudenziali nello svolgere la propria attività.

È fondamentale comprendere la peculiarità dell’attività bancaria, il cui esercizio si districa tra principi e obiettivi diversi. Da una parte l’azienda bancaria è, al pari di altri enti, un soggetto che svolge attività imprenditoriale e in quanto tale risponde alle logiche aziendali di mercato, ha dei clienti, degli investitori, mira a creare ricchezza per questi ultimi ed è sottoposta a degli obblighi informativi che in ultima istanza si manifestano nella reportistica di bilancio; dall’altra parte, l’attività bancaria è un’attività riservata, per esercitare la quale è necessario essere in possesso di precise autorizzazioni, e ciò è dovuto al fatto che il corretto e regolare esercizio dell’attività è un aspetto di pubblico interesse. Come conseguenza di questo secondo punto sono quindi posti dei presidi al fine di vigilare sull’attività; l’azione di vigilanza viene comunque sempre esercitata avendo a riguardo la "sana e prudente gestione" degli enti vigilati, principio cui il legislatore si è ispirato richiamandolo in vari passaggi dell’attuale Testo Unico Bancario1.

La banca, riassumendo, rispetta regole riguardanti la contabilizzazione destinate a un eterogeneo gruppo di enti ma al tempo stesso è soggetta a misure di vigilanza che, perseguendo un diverso obiettivo, non sono sempre facilmente raffrontabili alle prime: i due binari della contabilizzazione e della vigilanza corrono spesso contigui ma non senza presentare punti di disallineamento e/o di non facile interpretazione.

Per quanto concerne la normativa in tema di vigilanza i più recenti e

fondamen-1Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, in acronimo TUB, emanato con il D.Lgs.

n. 385 del 1993.

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4 1. La vigilanza bancaria tali sviluppi riguardano l’entrata in vigore della Direttiva 2013/36/UE, la cosiddetta CRD IV (Capital Requirements Directive), e del Regolamento UE n. 575/2013, a sua volta conosciuto con il nome di CRR (Capital Requirements Regulation). La CRR, che detta a livello esecutivo quanto previsto dalla direttiva, è un documento che può essere definito rivoluzionario per il mondo bancario, vista la vastità dei temi trattati. In questo capitolo si tratterà in una prima parte della categorizzazione degli strumenti finanziari che le banche adottano a fini prudenziali; tale passaggio è pro-pedeutico alla comprensione del rapporto tra la classificazione di cui sopra e quella in stage prevista dall’IFRS 9 nel Capitolo4.

Nella seconda parte invece si entrerà nel merito della vigilanza regolamentare e si andrà a presentare la normativa riguardante i fondi propri e i coefficienti patrimoniali minimi da soddisfare.

1.1

La classificazione del credito ai fini di vigilanza

Nelle valutazioni riguardo i crediti in corpo alle banche, un passo fondamentale è stato la pubblicazione, facendo seguito a quella della CRR, il 24 giugno 2014, della versione definitiva del "FINAL draft Implementing Technical Standards" (d’ora in poi semplicemente ITS), che si è prefisso lo scopo di appianare i margini di discrezio-nalità esistenti in Europa nelle definizioni di natura contabile e prudenziale. Gli ITS introducono il concetto di esposizione forborne e dettano indicazioni per una clas-sificazione armonizzata delle cosiddette non performing exposures e, per l’appunto, delle esposizioni soggette a forbearances.

1.1.1 Le non performing exposures

La definizione di non performing exposure (NPE) ci è data dal Regolamento UE 575/2013 che ci dice che la situazione di default di un debitore si ha quando si verifica uno degli eventi di seguito riportati (o quando si verificano entrambi):

• la banca ritiene improbabile che, senza il ricorso ad azioni straordinarie, quale l’escussione delle garanzie, il debitore adempia integralmente alle sue obbli-gazioni creditizie verso l’ente stesso, la sua impresa madre o una delle sue filiazioni;

• il debitore è in arretrato da oltre 90 giorni su un’obbligazione creditizia rilevante verso l’ente, la sua impresa madre o una delle sue filiazioni; il termine di 90 giorni può essere sostituito da uno di 180 giorni nel caso le autorità competenti lo ritengano adeguato, alla luce della presenza di particolari garanzie [55].

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1.1 La classificazione del credito ai fini di vigilanza 5 L’EBA (European Banking Authority) nell’ITS, nel definire le non performing exposures, riporta al par. 145 le due condizioni di cui sopra ma aggiunge successiva-mente a questa fattispecie anche il caso in cui l’attività sia impaired, ovvero, come si vedrà più approfonditamente oltre, presenti, a una data di rilevazione successiva alla prima, evidenza di una perdita di valore. Gli ITS prescrivono infatti che devono sempre essere considerate esposizioni non performing (i) quelle per le quali si sia pre-sentato un default ai sensi dell’art. 178 del CRR e (ii) quelle giudicate impaired in conformità con l’accounting framework applicabile [38, parr. 146-147]. Gli ITS EBA non realizzano un allineamento diretto tra i concetti di NPE ma, di fatto, forniscono un’unica definizione di attività deteriorate a fini segnaletici, prudenziali, di bilancio e di centrale dei rischi [58, pag. 128].

Per rispondere alle linee guida tracciate con gli ITS dall’EBA, la Banca d’Italia ha aggiornato le categorie di attività deteriorate. Si è così giunti all’eliminazione delle vecchie categorie degli incagli e dei crediti ristrutturati, che sono confluite nella nuova categoria degli unlikely to pay. Banca d’Italia ha adeguato il quadro norma-tivo con la pubblicazione, il 20 gennaio 2015, del 7mo aggiornamento alla Circolare n. 272 del 30 luglio 2008; vi si legge che sono attività "deteriorate" le attività per cassa e fuori bilancio2verso debitori che ricadono nella categoria dei Non performing secondo quanto sopra riportato e reso esecutivo con il Regolamento UE n. 680/2014 e le successive modifiche e integrazioni (a cura dell’ITS).

Le categorie di attività deteriorate ai fini delle segnalazioni di vigilanza ora sono, in ordine di gravità decrescente:

• sofferenze;

• inadempienze probabili;

• esposizioni scadute e/o sconfinanti deteriorate.

È classificato come sofferenza il complesso delle esposizioni, sia per cassa che fuori bilancio, nei confronti di un soggetto che versa in stato di insolvenza, anche se non accertata giudizialmente, o comunque in situazioni equiparabili, indipendentemente da quanto la banca preveda di perdere effettivamente [10].

Sono definite inadempienze probabili (unlikely to pay ), quelle esposizioni per le quali è ragionevole ritenere un rimborso incompleto. La valutazione è data quin-di dall’improbabilità che, senza il ricorso a azioni quali l’escussione quin-di garanzie, il

2Le attività per cassa comprendono i finanziamenti e i titoli di debito. Le attività fuori bilancio

(20)

6 1. La vigilanza bancaria debitore adempia integralmente, in linea capitale e/o interessi alle sue obbligazioni creditizie. Si noti come tale valutazione, come è precisato nel testo della Circolare stesso, è indipendente dall’eventuale presenza di importi scaduti e/o non pagati; non è richiesto pertanto il manifestarsi del sintomo di anomalia, bensì è sufficiente che la situazione sia desumibile attendibilmente da validi elementi (un esempio riportato è una crisi del settore industriale in cui opera la controparte).

La classificazione ad inadempienza probabile coinvolge dunque il complesso delle esposizioni verso un debitore che versa nella suddetta situazione, salvo non ricorra-no i presupposti per la classificazione tra le sofferenze. Un’eccezione è data dalle esposizioni verso clienti retail ; per questi è consentito di classificare tra gli unlikely to pay solamente la singola transazione, salvo non vi sia evidenza che va coinvolto il complesso delle esposizioni nei confronti del medesimo debitore.

Le esposizioni scadute e/o sconfinate deteriorate sono quelle che risultano per l’appunto scadute o sconfinanti alla data della segnalazione da oltre 90 giorni; per essere considerate tali non devono esserci ovviamente le condizioni per la classifica-zione tra le sofferenze e le inadempienze probabili. Esse vengono determinate facendo riferimento, alternativamente, alla singola controparte o alla singola esposizione.

Nel caso si consideri il singolo debitore va classificata come scaduta e/o sconfi-nante l’intera esposizione verso un debitore se risulta maggiore della soglia del 5% dell’intera esposizione uno dei due seguenti importi: (i) la media delle quote scadute e/o sconfinanti rilevate su base giornaliera e relative all’ultimo trimestre o (ii) la quota scaduta e/o sconfinante da oltre 90 giorni sull’intera esposizione. È concessa la possibilità di compensare posizioni scadute e/o sconfinanti con margini disponibili su altre linee di credito del medesimo debitore. Nel caso invece la controparte sia un soggetto retail è possibile prendere in considerazione le esposizioni scadute e/o scon-finanti a livello di singola transazione. Si considerano scadute le transazioni scadute e/o sconfinanti da oltre 90 giorni. Rispetto a quanto previsto per il singolo debitore, è richiesto il solo requisito della continuità e non vengono ammesse né compensazioni né soglie di rilevanza; si ha dunque che l’esposizione va considerata scaduta qualsiasi sia l’importo scaduto. Questa categoria di crediti viene denominata anche in past due. È necessario precisare che si è parlato di "esposizioni scadute e/o sconfinanti deteriorate", in quanto la normativa effettua una distinzione tra esposizioni scadu-te e/o sconfinanti descadu-teriorascadu-te e non descadu-teriorascadu-te; nella voce "esposizioni scaduscadu-te e/o sconfinanti non deteriorate" sono ricomprese infatti (i) quelle esposizioni che sono sì scadute e/o sconfinanti da oltre 90 giorni ma che non hanno superato le soglie per singolo debitore di cui sopra e (ii) quelle esposizioni che sono scadute e/o sconfinanti da meno di 90 giorni [38, par. 156].

(21)

1.1 La classificazione del credito ai fini di vigilanza 7

Un’esposizione cessa di essere considerata non performing laddove:

• non si riscontrano situazioni di default o impairment e l’esposizione in virtù di questo rispetta i criteri di uscita dalla categoria previsti dalla banca;

• la situazione finanziaria del debitore fa presumere con attendibilità che il con-tratto verrà interamente onorato;

• non si rilevano scaduti e/o sconfini superiori a 90 giorni.

1.1.2 Le esposizioni forborne

Accanto alla categorizzazione vista nel precedente paragrafo è poi individuata dagli ITS EBA la categoria delle esposizioni oggetto delle cosiddette forbearance measures, ovvero di "concessioni". Le esposizioni in oggetto sono caratterizzate da misure di tolleranza riferibili a:

• modifica dei termini e delle condizioni contrattuali; • rifinanziamento totale o parziale del debito;

• clausole che permettono la variazione delle condizioni contrattuali esercitate discrezionalmente da un debitore, considerato incapace di adempiere agli ob-blighi contrattuali poiché versa in una situazione di "difficoltà finanziaria", o che si sarebbe trovato in tale situazione se non fossero state accordate le concessioni [58, pag. 130].

La situazione di difficoltà finanziaria è desunta da indicatori quali (i) lo status anagrafico di un debitore già presente in una categoria del credito deteriorato, (ii) rating interni, (iii) watch-list di monitoraggio.

Come detto sopra la categorizzazione delle esposizioni forborne e non forborne è frutto di una valutazione parallela a quella della qualità del credito che agisce dunque prescindendo da quest’ultima. Si potranno pertanto avere esposizioni forborne sia tra le esposizioni performing che tra quelle non non performing.

1.1.3 Le modalità di provisioning

Banca d’Italia prevede dunque l’utilizzo di cinque categorie di crediti, quattro delle quali sono riferite a una situazione di default e vanno quindi ad alimentare il macro-gruppo delle non performing exposures.

Le esposizioni cosiddette in bonis, ovvero quelle per cui si ritiene che il debitore farà fronte ai propri impegni, sono sottoposte a una svalutazione collettiva, come

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8 1. La vigilanza bancaria previsto dallo IAS 39. La valutazione collettiva è effettuata raggruppando categorie di crediti omogenee per rischio di credito (cfr. 2.5).

I crediti scaduti/sconfinati deteriorati, definiti anche crediti in past due, sono una categoria tipicamente alimentata automaticamente una volta verificatisi lo sconfino o lo scaduto da oltre 90 giorni. La svalutazione applicata è solitamente di tipo forfetario (a patto che l’esposizione non sia, considerata singolarmente, significativa).

Caratterizzati da maggiore gravità, come visto, sono i crediti per i quali si ritiene improbabile un adempimento in toto dell’obbligazione senza il ricorso all’escussione di garanzie o ad altre procedure; per i cosiddetti crediti unlikely to pay è richiesta l’attivazione di processi più strutturati. È richiesto infatti di determinare un valore di recupero avvalendosi di una serie di parametri:

• stima dei flussi di cassa;

• superamento dello stato di unlikely to pay; • valore delle garanzie;

• tipologia di esposizione [58, pag. 136].

Per quanto riguarda le sofferenze, la prima categoria di credito deteriorato in quanto a gravità, la valutazione si avvale solitamente di atti amministrativi ed at-tività di recupero del debito. Fra i parametri principali da tenere in considerazione possiamo nominare:

• il valore di mercato delle garanzie;

• la presenza e la tipologia di procedure concorsuali;

• la relazione del Commissario di concordato, se esistente [58, pag. 136].

1.2

I fondi propri e i requisiti patrimoniali

Il processo di controllo prudenziale definito inizialmente dall’entrata in vigore di Basilea 2 e recentemente modificato con l’entrata in vigore degli accordi di Basilea 3 a partire dall’1 gennaio 2014, detto SRP (Supervisory Review Process), si articola su due livelli:

• l’ICAAP (Internal Capotal Adequacy Assesment Process), ovvero il processo per il quale, alla luce di recenti modifiche, la banca è tenuta a determinare autonomamente il proprio livello di rischio e, sulla base di questo, fissare il grado di patrimonializzazione da soddisfare;

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1.2 I fondi propri e i requisiti patrimoniali 9 • lo SREP (Supervisory Review and Evaluation Process), ovvero il processo da

parte di Banca d’Italia che analizza l’adeguatezza dell’ICAAP e, eventualmen-te, richiede delle misure correttive all’ente.

Secondo l’attuale impostazione dell’ICAAP, il ruolo delle banche nella valutazio-ne circa l’adeguatezza patrimoniale è dunque di primissimo piano, poiché il controllo effettuato da Banca d’Italia è un controllo a valle, che deve esaminare se il proces-so istituito dalla banca per il riconoscimento dei rischio sia adeguato e intervenire attivamente richiedendo correzioni solo se ciò è ritenuto necessario. Il collegamen-to tra ICAAP e SREP si concretizza con l’invio, entro il 30 aprile di ogni anno, dell’informativa relativa al processo di autovalutazione.

l’ICAAP si compone di 4 fasi: • individuazione dei rischi rilevanti;

• misurazione e valutazione, effettuata per i singoli rischi, del relativo capitale interno;

• misurazione del capitale interno complessivo;

• determinazione del capitale interno complessivo e riconciliazione con il patri-monio di vigilanza.

L’ICAAP deve considerare obbligatoriamente, al minimo, i cosiddetti rischi di primo pilastro che sono:

• rischio di credito; • rischio di mercato; • rischio operativo.

Il secondo passaggio si configura, come anticipato, con la valutazione da parte di Banca d’Italia dell’ICAAP, avvalendosi di un "Sistema di analisi aziendale". Nel caso quanto dichiarato dalla banca nell’ICAAP sia considerato carente e/o inadeguato, Banca d’Italia provvede a fornire degli obiettivi correttivi nell’ottica di eliminare tali anomalie.

La ratio della normativa è di garantire agli enti autonomia operativa e anche a questo si deve il fatto che le regole non sono applicate uniformemente a tutte le banche, bensì in funzione della loro dimensione. Più nello specifico, le banche sono divise in tre categorie:

(24)

10 1. La vigilanza bancaria • le banche di classe 2 utilizzano lo standardised approach e hanno un attivo

superiore a 3,5 miliardi di euro;

• le banche di classe 3 utilizzano sempre il metodo standard ma hanno un attivo inferiore a 3,5 miliardi di euro.

Il principio comune è quello di assicurare un’adeguata copertura in termini di capitale ai rischi assunti. Tale capitale posto a presidio delle attività non coincide però con la definizione di patrimonio netto.

Una definizione di patrimonio netto è data dal principio contabile IAS 32, che lo individua come qualsiasi contratto che evidenzi un’interessenza residuale nelle attività dell’impresa al netto delle sue passività. È un dato che potremmo definire "neutrale" rispetto al valore di un’azienda; esso infatti è indice di quale sarebbe il valore residuo dell’azienda se, al momento della valutazione, essa liquidasse tutte le sue attività e passività.

La supervisione bancaria però ha uno scopo diverso dalla rappresentazione delle poste contabili che rinveniamo nei report finanziari. Essa infatti persegue un obietti-vo che non è quello informatiobietti-vo nei confronti dell’ampia platea del mercato, proprio dei dati finanziari presenti a bilancio, bensì quello di assicurare che le banche, e altri intermediari finanziari, siano dotati di stabilità finanziaria.

In virtù del ruolo critico di cui già si è parlato ricoperto da soggetti operanti in particolari settori di mercato, si rende necessario assicurare che questi abbiano a disposizione fondi propri sufficienti per assorbire eventuali perdite, coerentemente con il livello di rischio dato dalle attività assunte; tanto maggiore è la rischiosità del portafoglio di attività detenute, tanto più alto è il livello di patrimonializzazione richiesto per far fronte a tali rischi. Le logiche sottostanti alla supervisione bancaria rispondono dunque a esigenze diverse da quelle dei documenti di bilancio e il concetto di patrimonio netto dello IAS 32 viene superato, ai fini prudenziali, da quello di Fondi Propri. I Fondi Propri sono costituiti da quegli strumenti che, a diversi livelli, hanno lo scopo di certificare la solidità patrimoniale della banca in quanto a questi si attinge nell’assorbire eventuali perdite. I fondi propri totali sono dati dalla somma di tre categorie:

• capitale primario di classe I (Common Equity Tier 1 - CET 1); • capitale aggiunitvo di classe I (Additional Tier 1 - AT1); • capitale di classe II (Tier 2 ).

Ciascuno dei tre aggregati è contraddistinto da un diverso livello di fruibilità nell’eventuale necessità di coprire delle perdite. In via generale, più il rimborso

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1.2 I fondi propri e i requisiti patrimoniali 11 dello strumento preso in considerazione è subordinato, più esso viene ritenuto come capitale di maggiore "qualità". Seguendo questa logica, si accetta che concorrano al computo tra i fondi propri anche strumenti che non costituiscono patrimonio netto ai sensi dello IAS 32.

Il Regolamento Europeo 575/2013 dedica, tra le altre cose, ampio spazio a una serie di norme molto dettagliate in merito ai fondi propri, differenziando ovviamente le condizioni che vanno rispettate a seconda di quale categoria si tratti, ma fornisce anche indicazioni su quali detrazioni vadano effettuate e quali filtri prudenziali va-dano applicati per un corretto computo.

Andiamo a individuare le caratteristiche salienti delle diverse categorie.

• Capitale primario di classe 1: è costituito da quegli strumenti che soddi-sfano tutte le condizioni riportate all’art. 28 della CRR. Gli strumenti devono essere emessi e interamente versati; il loro acquisto non deve essere effettuato né finanziato dall’ente stesso, anche indirettamente; non devono essere oggetto di garanzie che aumentino il rango dei crediti da parte dell’ente. Carattere fondamentale è poi quello della perpetuità, oltre a una serie di prescrizioni che circoscrivono la loro possibilità di rimborso che, salvo rare eccezioni, è possi-bile solo in caso di liquidazione dell’ente. Essi devono essere classificati come patrimonio netto e sono indicati chiaramente e separatamente nello stato pa-trimoniale del bilancio. Assorbono la prima parte delle perdite, intervenendo prima di tutti gli altri strumenti di capitale emessi dall’ente e sono di categoria inferiore a tutti gli altri crediti in caso di insolvenza o liquidazione dell’ente. • Capitale aggiuntivo di classe 1: è costituito da strumenti di capitale e

sovrapprezzi di emissione relativi a tali strumenti quando sono rispettate le condizioni di cui all’art. 52 della CRR. Anche per questi strumenti è richiesto che siano emessi e versati, che non siano acquistati né finanziati dall’ente, che non siano presenti disposizioni che aumentino il rango di credito a loro titolo, che siano perpetui. Esclusi gli strumenti di capitale primario sono gli strumenti più subordinati del rimborso.

• Capitale di classe 2: è costituito non solo da strumenti di capitale ma anche da prestiti subordinati, laddove siano rispettate le condizioni elencate all’art. 63 del CRR. Sono inoltre ricompresi nella categoria anche (i) le rettifiche di va-lore su crediti generiche fino all’1,25% degli importi delle esposizioni ponderati per il rischio per gli enti che calcolano questi ultimi avvalendosi dello Standar-dised Approach e (ii) gli importi eccedenti fino allo 0,6% degli importi delle esposizioni ponderate per il rischio per gli enti che si avvalgono di un approccio

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12 1. La vigilanza bancaria Internal Rating Based3. Ritroviamo di nuovo l’impossibilità di computare nel-la categoria quegli strumenti il cui acquisto è effettuato o finanziato dall’ente stesso, direttamente o indirettamente. L’elemento di maggiore rilevanza nella distinzione con il capitale di classe 1 è l’aspetto temporale: gli strumenti di ca-pitale o i prestiti subordinati del caca-pitale di classe 2 devono avere una durata originaria di almeno 5 anni; sono ammessi al computo tra i fondi propri anche strumenti non perpetui, che ad ogni modo hanno medio-lunga durata.

Gli ammontari delle tre categorie devono essere tali da soddisfare un parametro numerico espresso in percentuale; tale parametro è calcolato rapportando l’importo delle diverse classi di fondi propri con il totale delle esposizioni ponderate per il ri-schio.

La ponderazione per il rischio è fondamentale per introdurre nella valutazione l’impatto sulle esposizioni del livello di rischio, chiaramente variabile a seconda della tipologia di controparte, della tipologia di strumento, della maturity, ecc. Il fattore rischio ricopre un ruolo di cruciale importanza per le banche e gli altri intermedia-ri finanziaintermedia-ri, poiché da una sana e prudente gestione deintermedia-riva la capacità reddituale dell’impresa e di conseguenza la generazione di profitto. A quest’ultima è poi ine-vitabilmente collegata la possibilità di patrimonializzare adeguatamente la banca, ovvero di fornire lo strumento necessario per fronteggiare i rischi assunti; se la red-ditività viene meno, cala la possibilità che la sottoscrizione di capitale vada a buon fine. I requisiti minimi patrimoniali sono posti dunque nell’ottica di garantire che sia presente uno scudo adeguatamente proporzionato al rischio assunto.

I coefficienti minimi obbligatori sono: • 4,5% per il CET 1;

• 6% per il Tier 1;

• 8% per il capitale totale.

La validità di questi coefficienti è stata però rivista a seguito dell’entrata in vigore del processo SREP, che ha fatto sì che di fatto le banche devono adeguare la propria dotazione patrimoniale a quanto comunicato da Banca d’Italia, ovvero a coefficienti che possono risultare anche di gran lunga maggiori di quelli di cui sopra.

La CRR prevede che le banche possano ricorrere alternativamente a due approc-ci per il calcolo degli importi delle esposizioni ponderati per il rischio, presentati

3

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1.2 I fondi propri e i requisiti patrimoniali 13 rispettivamente ai capi 2 e 3 del Regolamento. Si tratta del metodo basato sui rating interni (Internal Rating Based - IRB) e del metodo standardizzato.

Andiamo a presentare i caratteri salienti dei due metodi.

• Metodo basato sui rating interni: al fine di avvalersi di questo metodo è necessario essere autorizzati dall’autorità competente. È pertanto necessario provare che il sistema di rating produca delle stime quantitative del rischio precise e coerenti. All’ente autorizzato è concesso di stimare internamente i parametri per la determinazione delle perdite. Il metodo IRB concede agli enti maggiore flessibilità, favorendo almeno in linea di principio una rappresenta-zione maggiormente aderente alla realtà, ma richiede un considerevole sforzo in termini di procedure interne.

• Metodo standardizzato: prevede la classificazione delle esposizioni a secon-da della controparte coinvolta e successivamente, in funzione di questa classe di appartenenza e della qualità creditizia, l’applicazione alle esposizioni di dei fattori di ponderazione. Come detto, la somma di tutte le attività pondera-te è fondamentale in quanto base per il calcolo dei requisiti patrimoniali. Il principio è quello di evidenziare innanzitutto l’intrinseca diversità di rischio associato, ad esempio, ad un organismo del settore pubblico e a un’impresa, per poi individuare all’interno della categoria una classe di merito del credito. Il risultato del procedimento è che tanto maggiore è tanto maggiore è la rischio-sità dell’esposizione e tanto maggiore risulterà il suo fattore di ponderazione e di conseguenza la sua incidenza sulle attività ponderate; vi sono attività per le quali il coefficiente di ponderazione è nullo4, e che dunque non incidono sul totale delle RWA e attività per le quali il coefficiente di ponderazione è mag-giore del 100%. Nella determinazione del fattore di ponderazione del rischio di un’esposizione, la valutazione sul merito di credito di cui sopra deve essere fornita da un External Credit Assessment Institution (ECAI).

Andiamo a analizzare cosa prevede la normativa attuale distinguendo tra approc-cio internal rating based e approcapproc-cio standardizzato.

Per le banche che si affidano a un modello interno di rating, si discerne tra expec-ted losses e unexpecexpec-ted losses. Mentre le prime sono date da una stima di perdita che la banca si attende, le seconde individuano i possibili picchi eccedenti quest’ultima misura. Le perdite inattese sono potenzialmente, almeno in linea teorica, infinite; la normativa richiede di detenere capitale sufficiente a coprire tali perdite con un certo livello di confidenza. La misura di rischio adottata è quella del Value at Risk,

4

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14 1. La vigilanza bancaria comunemente noto come VaR, che indica appunto la perdita potenziale in un certo intervallo di tempo e dato un intervallo di confidenza.

Per le banche che adottano il metodo standardizzato, il CRR prevede per le rettifiche di valore su crediti la distinzione in rettifiche generiche e rettifiche specifiche. • Le rettifiche generiche sono identificate come riserve detenute a titolo di coper-tura di perdite che ancora non si sono manifestate; sono dunque destinate a perdite future, almeno per quanto concerne il loro palesarsi. Per queste rettifi-che è prevista la computazione nel Tier 2, con il vincolo rettifi-che esse non superino l’1,25% degli importi delle esposizioni ponderate per il rischio (risk weighted assets - RWA).

• Le rettifiche specifiche sono rettifiche apportate tenendo conto delle perdite manifeste. Per queste rettifiche è prevista la deduzione del loro importo dal valore lordo dell’esposizione.

1.2.1 Lo SREP

L’introduzione dello SREP ha fatto sì che il processo di vigilanza fosse ritagliato ad hoc per ciascun intermediario. Lo scopo di questo articolato processo di valuta-zione è infatti quello di stabilire se la banca sia dotata di idonei presidi a seconda dei rischi assunti considerando anche situazioni di stress. Lo SREP viene condotto con cadenza annuale e prende atto sia attraverso i dati di autovalutazione forniti dalle banche mediante l’ICAAP sia attraverso l’attività ispettiva, direttamente presso la sede dell’intermediario.

Gli eventuali interventi predisposti a seguito dello SREP da parte di BCE e Banca d’Italia sono generalmente riconducibili a queste fattispecie:

• richiesta di informazioni aggiuntive nonché obbligo di segnalazioni supplemen-tari o più frequenti, anche sul capitale e sulle posizioni di liquidità;

• obbligo di pubblicare le informazioni di cui alla Parte Otto CRR (informativa al pubblico) più di una volta l’anno, fissando altresì mezzi per la pubblicazio-ne delle informazioni diversi rispetto al bilancio. Alle banche capogruppo può essere imposto di pubblicare annualmente, anche in forma sintetica, la descri-zione della struttura giuridica, di governo e organizzativa del gruppo, al fine di valutare l’eventuale sussistenza nell’assetto proprietario, nei meccanismi di governance, nei dispositivi, processi e meccanismi interni, di condizioni ostative all’esercizio delle funzioni di vigilanza;

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1.2 I fondi propri e i requisiti patrimoniali 15 • rafforzamento dei sistemi, delle procedure e dei processi relativamente alla

gestione dei rischi, ai meccanismi di controllo e alla valutazione aziendale dell’adeguatezza patrimoniale;

• adozione e modifiche di piani per il riallineamento ai requisiti prudenziali, ivi inclusi i termini di attuazione;

• fissazione di limiti alla parte variabile delle remunerazioni;

• limiti alla distribuzione di utili o di altri elementi del patrimonio, nonché, con riferimento a strumenti finanziari computabili nei fondi propri, divieto di pagare interessi;

• contenimento del livello dei rischi, anche attraverso il divieto di effettuare determinate operazioni, anche di natura societaria;

• riduzione dei rischi anche attraverso restrizioni ad attività o alla struttura ter-ritoriale, compresa la dismissione quando non siano compatibili con il principio di sana e prudente gestione;

• detenzione di mezzi patrimoniali in misura superiore al livello regolamentare previsto per i rischi di credito, controparte, mercato e operativi, anche attraver-so l’applicazione agli aggregati di riferimento di un trattamento specifico con riferimento alle modalità di determinazione dei requisiti patrimoniali, nonché a copertura di rischi diversi da quelli coperti dai requisiti di Primo Pilastro; imposizione di specifici requisiti di liquidità, anche attraverso l’applicazione di vincoli al disallineamento tra le scadenze dell’attivo e del passivo.

L’effetto più rilevante è quello che tramite una comunicazione annuale vengono indicati alle banche quali sono i coefficienti patrimoniali che esse dovranno rispettare nell’esercizio successivo.

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(31)

Capitolo 2

L’attuale quadro normativo: lo

IAS 39

Il principio contabile IAS 39 - Financial instruments: recognition and measu-rement (d’ora in poi semplicemente IAS 39) è stato emanato nel 1998 ed è stato applicato a partire dal 2001. Il suo testo è stato oggetto nel corso degli anni di criti-che e rimaneggiamenti, in particolar modo a seguito della crisi finanziaria del 2008, che ha lasciato rilevanti strascichi sull’economia globale e ha fatto sì che ci si ponesse degli interrogativi su molte questioni inerenti ai processi adottati dagli operatori del mercato finanziari.

Alla luce degli effetti della crisi e, contestualmente, della riscontrata inadegua-tezza del principio contabile IAS 39 a fornire meccanismi solidi atti a rispondere alla situazione di downturn verificatasi, si è giunti al termine di vari anni di consultazioni alla redazione di un nuovo principio contabile. L’IFRS 9 - Financial Instruments (d’ora in poi semplicemente IFRS 9) andrà a sostituire quasi integralmente il sud-detto IAS 39, andando a modificare sensibilmente l’attuale quadro normativo, con ricadute, come vedremo più avanti, su più livelli.

La finalità dello IAS 39 è "stabilire principi per rilevare e valutare le attività e le passività finanziarie, e alcuni contratti per l’acquisto o la vendita di elementi non finanziari" [49, par. 1]. Esso è applicato da tutte le entità1 a tutti i tipi di strumenti finanziari, salvo alcune eccezioni, tra cui possiamo ricordare a titolo esemplificativo le obbligazioni sorte ai sensi di un contratto assicurativo, che sono regolate da un principio redatto appositamente, l’IFRS 4.

1Si intendono tutte le entità che, obbligatoriamente o per scelta, applicano i principi contabili

internazionali.

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18 2. L’attuale quadro normativo: lo IAS 39

2.1

Le categorie di strumenti finanziari

Si rende doveroso prima di procedere con la categorizzazione degli strumenti fi-nanziari fare una premessa riguardo alla loro definizione. Le disposizioni dello IAS 39 trovano applicazione infatti esclusivamente per gli strumenti finanziari secondo la definizione che ne viene fornita nello IAS 32. Quest’ultimo definisce uno strumento finanziario come qualsiasi contratto che dia origine ad un’attività finanziaria o ad uno strumento rappresentativo di capitale per un’altra entità [48, par. 11]. La defini-zione è piuttosto ampia e lascia trasparire il carattere di bilateralità che accompagna uno strumento finanziario, in quanto ciò che costituisce un’attività finanziaria per un’entità trova a rigore di logica la propria controparte in una passività finanziaria (o in uno strumento rappresentativo di capitale) per un’altra entità.

La distinzione tra i vari strumenti finanziari effettuata dallo IAS 39 è basata sulla loro destinazione funzionale. Il processo di classificazione è fondamentale in quan-to va a influire sul processo di valutazione da adottare in seguiquan-to alla prima iscrizione. Ai fini di questo lavoro ci si concentrerà su quegli strumenti che vanno a costituire il gruppo delle Attività finanziarie, dedicandovi più ampio spazio anche considerando la maggiore complessità che li contraddistingue.

I principi contabili internazionali prevedono la classificazione delle attività finan-ziarie in quattro gruppi:

1. attività finanziarie valutate al fair value rilevato a conto economico; 2. investimenti posseduti fino alla scadenza;

3. finanziamenti e crediti;

4. attività finanziarie disponibili per la vendita. Analizziamo le quattro categorie singolarmente.

• Attività finanziarie valutate al fair value con impatti a conto econo-mico (fair value through profit and loss - FVTPL): gli strumenti finan-ziari ricompresi in questa categoria devono, alternativamente, essere classificati come attività HTF (held for trading ) oppure essere stati indicati dall’impresa in sede di rilevazione iniziale come "contabilizzati al fair value con impatti a conto economico". Scendendo nel dettaglio, un’attività finanziaria è classifica-bile come HTF se (i) acquisita o sostenuta principalmente al fine di venderla o riacquistarla a breve, (ii) parte di un portafoglio per il quale vi è l’evidenza di una strategia rivolta all’ottenimento di profitto nel breve periodo, (iii) è un de-rivato (a meno che la sua funzione non sia quella di copertura o di strumento di

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2.1 Le categorie di strumenti finanziari 19 garanzia). Dall’altra parte abbiamo la possibilità di esercitare la cosiddetta fair value option (FVO), applicabile solo (i) nel caso di alcuni derivati incorporati, (ii) laddove tale scelta permette di diminuire significativamente o eliminare il mismatch contabile, (iii) se si prende in esame un gruppo di strumenti valutati al fair value in virtù di documentata strategia di risk management [49, par. 9]. La FVO vede dunque possibilità di essere applicata solo nei casi in cui tale scelta consenta di semplificare l’applicazione dello IAS 39 o di ridurre delle asimmetrie.

• Investimenti posseduti fino alla scadenza (held to maturity - HTM): si tratta di strumenti non derivati di cui non si conoscono o si possono deter-minare i flussi che andranno a generare e di cui si conosce la scadenza. Oltre a possedere queste caratteristiche, come suggerisce il nome stesso della catego-ria, devono ovviamente essere detenuti con il chiaro intento e la possibilità di mantenerli fino alla loro maturity e non devono essere riconducibili a una delle altre categorie. È interessante sottolineare come sia possibile smobilitare delle attività appartenenti a questa categoria prima del dovuto ma solo restando entro certi limiti, superati i quali non è più concessa la contabilizzazione come HTM.

• Finanziamenti e crediti (loans and receivables - L&R): negli L&R con-fluiscono attività aventi flussi finanziari fissi o determinabili, a patto che non siano strumenti derivati, che non siano quotati su un mercato attivo e che non siano riconducibili alle categorie per cui è prevista la vendita dell’attività nel breve termine.

• Disponibili per la vendita (available for sale - AFS): è una categoria residuale, vi rientrano dunque tutte le attività finanziarie non inserite in uno dei tre precedenti aggregati o che siano designate come disponibili per la vendita. Per quanto riguarda le passività finanziarie è possibile individuare una distin-zione implicita nel testo dello IAS 39. Il principio infatti nella parte dedicata alla categorizzazione parla in generale di "strumenti finanziari", salvo poi individuare tre categorie che possono essere alimentate solo da attività finanziarie. Si parla di passività finanziarie solo tra gli strumenti valutati al fair value con impatti a conto economico e si evince da altre disposizioni che oltre a queste si individua il grup-po delle Altre passività finanziarie. Le passività finanziarie grup-possono essere quindi distinte in due categorie, qui di seguito brevemente analizzate.

• Passività finanziarie al fair value con impatti a conto economico: sono passività finanziarie con contropartita a conto economico. Vale quanto detto per le attività finanziarie al fair value.

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20 2. L’attuale quadro normativo: lo IAS 39 • Altre passività finanziarie: rientrano in questa categoria le passività non riconducibili alla precedente categoria come, a titolo esemplificativo, mutui, finanziamenti ottenuti, debiti verso fornitori.

2.2

Rilevazione iniziale e valutazione successiva

Lo IAS 39 prescrive che un’entità debba rilevare nel proprio bilancio un’attività o una passività finanziaria solamente nel momento in cui essa diventa parte nelle clausola contrattuali dello strumento [49, par. 9]. Vi è un’eccezione per i cosiddetti regular way, inerenti a strumenti finanziari negoziati in mercati regolamentati per i quali è prevista la consegna delle attività/passività finanziarie oggetto del contratto; per questi contratti è accordata la facoltà di decidere se effettuare la contabilizzazio-ne alla data di contabilizzazio-negoziaziocontabilizzazio-ne o a quella di regolamento [23, pag. 234].

Le attività e passività finanziarie vanno iscritte in sede di rilevazione iniziale al loro fair value2, che coincide in linea di massima con il corrispettivo pagato per l’acquisto dello strumento, sommandovi i costi e i proventi di transazione.

Nel testo si precisa, come appena detto, che vanno compresi nella valutazione eventuali costi/proventi di transazione. Di questi è data una definizione, nel testo dello IAS 39, come di costi marginali direttamente attribuibili alla transazione che non si sarebbero sostenuti se quest’ultima non avesse preso luogo [49, par. 9]. Si tratta dunque di costi direttamente collegabili all’acquisizione, all’emissione o al-la dismissione di un’attività/passività finanziaria. A titolo esemplificativo ma non esaustivo, la normativa nomina le commissioni pagate agli agenti, ai consulenti, ai broker, ai dealer, i contributi prelevati da organismi normativi o dalle Borse Valori e le tasse derivanti dal trasferimento, escludendo invece (i) premi o costi, (ii) costi di finanziamento, (iii) costi interni amministrativi o di gestione. La presenza dei costi di transazione ha l’effetto di modificare il tasso di interesse originario nel caso ci si trovi di fronte a strumenti valutati al costo ammortizzato. In questo caso tali costi vanno ripartiti lungo l’intera durata dello strumento.

A seguito della prima rilevazione invece si rende necessario effettuare un distinguo fondato sulla categorizzazione iniziale: si avranno categorie valutate al fair value e categorie valutate al costo ammortizzato.

Lo IAS 39 indica come l’esistenza di una quotazione ufficiale in un mercato attivo sia il primo criterio da seguire per valutare l’esistenza di un fair value. In assenza di esso, l’entità determina il fair value con una tecnica di valutazione; tale tecnica di valutazione deve basarsi per quanto possibile su fattori di mercato e evitare quei

2Il fair value è definito nel par. 9 dello IAS 39 come "il corrispettivo al quale un’attività potrebbe

(35)

2.2 Rilevazione iniziale e valutazione successiva 21 fattori specifici dell’entità [49, par. 48]. A tal riguardo è opportuno segnalare il risultato del lavoro coordinato di Banca d’Italia e Isvap, che ha prodotto nel 2010 delle linee guida per l’individuazione del fair value; le tre autorità hanno provveduto a individuare una gerarchia per i metodi di calcolo del fair value. Riassumendo, in mancanza di quotazioni, bisogna ricorrere a informazioni disponibili sul mercato e solo in ultima battuta, in mancanza di questi dati, è consentito anche sfruttare informazioni non presenti sul mercato3.

Il costo ammortizzato è invece "il valore a cui è stata misurata al momento della rilevazione iniziale l’attività o passività finanziaria al netto dei rimborsi di capitale, aumentato o diminuito dall’ammortamento complessivo utilizzando il criterio del-l’interesse effettivo su qualsiasi differenza tra il valore iniziale e quello a scadenza, e dedotta qualsiasi riduzione a seguito di una riduzione di valore o irrecuperabili-tà" [49, par. 9]. Il metodo utilizzato, come detto sopra, è quello dell’interesse effetti-vo, più precisamente definito IRR (Internal Rate of Return); l’IRR è quel tasso che eguaglia il valore attuale dei flussi futuri dello strumento, per capitale e interesse, stimati nel periodo di vita atteso dello stesso al suo valore di prima iscrizione, per gli strumenti a tasso fisso, o al suo valore contabile a ciascuna data di riprezzamento, per gli strumenti a tasso indicizzato [49, par. 9]. Dalla lettura combinata delle definizioni di costo ammortizzato e IRR si può notare che la stima dei flussi finanziari considera tutte le cause contrattuali che possono influire sugli importi e sulle scadenze, senza però considerare le perdite attese sul credito [58, pag. 80].

Lo IAS 39 indica che dopo la rilevazione iniziale l’entità deve valutare le attività finanziarie al loro fair value ad eccezione dei seguenti casi:

• finanziamenti e crediti;

• investimenti detenuti fino a scadenza;

• investimenti in strumenti rappresentativi di capitale che non hanno un prezzo di mercato quotato in un mercato attivo e il cui fair value non può essere misurato attendibilmente (e derivati correlati) [49, par. 46].

A finanziamenti e crediti e a investimenti detenuti fino a scadenza si applica il criterio del costo ammortizzato utilizzando l’interesse effettivo, mentre per l’ultima categoria si ha una valutazione al costo4. Restano invece valutati al fair value gli strumenti inseriti nelle categorie delle attività valutate al fair value con contropartita

3

Per maggiori informazioni fare riferimento a [11].

4Ai paragrafi AG80 e AG81 dello IAS 39 vengono fornite delucidazioni su questo tipo di

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22 2. L’attuale quadro normativo: lo IAS 39 a conto economico (FVTPL) e le attività disponibili per la vendita (AFS). Per gli strumenti valutati al fair value si procede quindi con la rideterminazione di quest’ul-timo ad ogni data di riferimento del bilancio, fino alla loro eliminazione contabile; le variazioni osservate, sia positive che negative, vengono considerate variazioni di fair value, ma cambia, nelle due categorie, l’impatto di tali variazioni. Per le attività FVTPL, le fluttuazioni di valore impattano il conto economico e vanno di conseguen-za a influire sul risultato d’esercizio, pur non trattandosi di componenti reddituali realizzate. Per le attività AFS invece le differenze di fair value vanno considerate nel patrimonio netto nella parte di risultato economico complessivo successiva al red-dito d’esercizio, ovvero nell’other comprehensive income (OCI); queste fluttuazioni di valore non influenzano il risultato d’esercizio fintanto che sono detenute dall’entità. Per quanto concerne le passività finanziarie, esse vanno iscritte in sede di rileva-zione iniziale al loro fair value, sempre tenendo conto di eventuali costi di transarileva-zione. Dopo la rilevazione iniziale per le passività finanziarie FVTPL vale quanto detto ri-guardo le attività al fair value rilevato a conto economico. Per quanto riguarda le altre passività finanziarie esse vanno valutate in via generale al costo ammortizzato utilizzando il criterio dell’interesse effettivo, ma vi sono delle eccezioni per:

• le passività finanziarie che emergono quando il trasferimento di un’attività finanziaria non soddisfa tutte le condizioni per l’eliminazione contabile; • i contratti di garanzia finanziaria e gli impegni all’erogazione di finanziamenti

a un tasso inferiore a quello di mercato, valutati al valore maggiore tra quello iniziale e quello previsto dallo IAS 37 [52, pag. 94].

2.3

Le riclassificazioni

La questione della possibilità di riclassificazione ha assunto rilevanza notevole in occasione della crisi del 2008, tantoché l’attuale testo dello IAS 39 è frutto di modifiche apportate a seguito di essa. Nella versione dello IAS 39 antecedenti a quella attualmente in vigore, non erano consentite riclassificazioni; la ratio della scelta era di impedire un certo grado di discrezionalità nella contabilizzazione di utili/perdite, impedendo dunque con la semplice riclassificazione di modificare la presentazione a bilancio di uno strumento.

Lo IAS 39 prescrive in generale che un’entità non deve riclassificare uno strumento finanziario se è coinvolta la categoria del fair value rilevato a conto economico [49, par. 50]; è dunque esclusa sia la possibilità di trasferire uno strumento finanziario nella categoria FVTPL, sia quella di trasferire uno strumento dalla stessa categoria.

(37)

2.4 L’impairment 23 È accordata la possibilità di riclassificare uno strumento HTM qalora vengano meno la possibilità o la volontà di detenerlo fino alla scadenza. In tal caso lo stru-mento viene riclassificato tra gli AFS e viene rimisurato al fair value [49, par. 51]. Allo stesso modo, si impone uno spostamento nella categoria degli AFS per quegli strumenti residuati a seguito di vendite/riclassificazioni di un importo non irrilevante di investimenti posseduti fino alla scadenza. Tale misure è nota come tainting rule e consiste in una penalizzazione per evitare abusi di riclassificazione a fini prettamente contabili; essa prevede, seppur con delle eccezioni, oltre al trasferimento degli inve-stimenti residui, anche l’impossibilità in sede di classificazione iniziale di utilizzare la categoria HTM per due esercizi.

Vengono rimisurati al fair value, tenendo conto dello scarto tra valore contabile e fair value secondo quanto prescritto nel paragrafo 55, quegli strumenti per i quali si rende disponibile tale valore successivamente alla prima valutazione.

2.4

L’impairment

Alla data di chiusura di ciascun esercizio, l’entità deve valutare se vi sia una "qualche obiettiva evidenza che un’attività finanziaria o un gruppo di attività fi-nanziarie ha subito una riduzione di valore" [49, par. 58]. L’entità che redige il bilancio deve infatti valutare, in sede di rilevazione successiva alla prima, se si siano manifestati degli eventi che abbiano influenzato negativamente il valore dell’attività finanziaria. Lo IAS 39 indica di effettuare delle svalutazioni solo nel caso in cui vi sia oggettiva evidenza di una perdita. Ciò è di particolare importanza, in quanto è necessaria la presenza del cosiddetto trigger event, cioè di trovare riscontro nei fatti di uno più fattori che determinino lo stato di default. L’evento di perdita deve inoltre avere un impatto negativo quantificabile sui futuri flussi finanziari attesi. La conta-bilizzazione della perdita, di conseguenza, si ha quindi solamente quando questa è un’incurred loss, ovvero è certa e determinabile.

Come si vedrà approfonditamente, essendo questo il tema centrale di questo la-voro, è in questo campo che si è registrata la maggiore discontinuità tra IAS 39 e IFRS 9. Lo IAS 39 ribadisce infatti in più punti come "le perdite di valore sono so-stenute se, e soltanto se, vi è l’obiettiva evidenza di una riduzione di valore" [49, par. 59]. Si parla dunque di "obiettiva evidenza" e il concetto è rafforzato in virtù della prescrizione per cui "le perdite attese per eventi futuri, indipendentemente dalla loro probabilità, non sono rilevate" [49, par. 59]. Il quadro delineato è tale da esclude-re la rilevanza di quelle perdite che potesclude-rebbero manifestarsi in futuro, anche se le probabilità che tali perdite si verifichino effettivamente è molto alta.

L’evidenza di riduzione di valore viene riscontrata avvalendosi di dati osservabili la cui analisi porti al delineamento di una delle seguenti situazioni "di perdita":

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24 2. L’attuale quadro normativo: lo IAS 39 Figura 2.1: IAS 39 Incurred Loss (Fonte: Federcasse)

• il debitore versa in una situazione di rilevante difficoltà finanziaria; • uno o più accordi contrattuali sono stati violati;

• sono state accordate al debitore facilitazioni che non sarebbero state concesse se il debitore non si fosse trovato in difficoltà finanziaria;

• si rileva un’alta probabilità di fallimento del creditore;

• si riscontrano elementi oggettivi che indicano l’effettivo deterioramento dell’at-tività rispetto al suo status iniziale [58, pagg. 121-122].

Il principio contabile continua poi col tratteggiare una situazione piuttosto con-servativa riguardo la possibilità di riconoscere delle perdite, escludendo dai casi in cui si ha evidenza della riduzione di valore rispettivamente:

• la scomparsa di un mercato attivo in quanto lo strumento non vi è più quotato; • il declassamento del merito creditizio della controparte;

• la diminuzione del fair value dello strumento al di sotto del suo costo o costo ammortizzato.

Sono quelli appena menzionati elementi che non sono sufficienti di per sé ad indicare un deterioramento del merito creditizio della controparte e che possono essere considerati degli indicatori in tal senso solo alla luce di un quadro più ampio.

(39)

2.5 La valutazione delle perdite 25

2.5

La valutazione delle perdite

Nel caso l’evidenza di riduzione di valore vi sia, si distinguono tre possibili scenari distinti a seconda che le attività finanziarie siano iscritte al costo ammortizzato, al costo o come disponibili per la vendita.

Lo IAS 39 per quanto concerne gli strumenti valutati al costo ammortizzato indica che "se sussistono evidenze obiettive che è stata sostenuta una perdita per riduzione di valore su finanziamenti e crediti o investimenti posseduti fino alla scadenza iscritti al costo ammortizzato, l’importo della perdita viene misurato come la differenza tra il valore contabile dell’attività e il valore attuale dei flussi finanziari stimati [. . . ] scontato al tasso di interesse effettivo originale dell’attività finanziaria" [49, par. 63]. Per quanto riguarda questa categoria, ovvero quella degli strumenti valutati al costo ammortizzato, si attua una distinzione tra impairment analitico e collettivo. Infatti, il principio prescrive che, nel caso non si sia rilevata la suddetta obiettiva evidenza di riduzione del valore, l’entità deve includere l’attività finanziaria analiz-zata in un gruppo di attività omogeneo allo scopo di effettuare una svalutazione collettiva [49, par. 64]. Per quelle attività che invece hanno visto un significativo peggioramento la svalutazione andrà effettuata valutando singolarmente ogni sin-gola attività, conducendo dunque un’analisi dettagliata su ciascuna. È altresì da sottolineare che vanno tenuti in considerazione eventuali miglioramenti nello stato dell’esposizione; se l’ammontare della perdita diminuisce, la perdita per riduzione di valore rilevata precedentemente deve essere stornata [49, par. 65].

Per le attività finanziarie valutate al costo, ovvero per quegli strumenti rappre-sentativi di capitale non aventi un’attendibile valutazione al fair value, l’importo della perdita è dato dal valore contabile dell’attività a cui si sottrae il valore attuale dei futuri flussi stimati, attualizzati al tasso di rendimento corrente di mercato ri-scontrato per un’attività finanziaria similare [49, par. 66]. Come si può notare in questo caso il tasso di interesse utilizzato è un tasso di mercato. La motivazione dell’utilizzo del tasso originario nel caso degli strumenti valutati costo ammortizzato risiede nel fatto che tale scelta è coerente con la valutazione; l’adozione di un tasso di mercato comporterebbe infatti l’introduzione di un elemento di fair value nella valutazione di un’attività che non deve essere valutata al fair value.

La terza e ultima metodologia di impairment coinvolge le attività finanziarie di-sponibili per la vendita, che sono valutate al fair value. Per queste, qualora si fossero già rilevate perdite nel prospetto delle altre componenti di conto economico com-plessivo, è necessario riclassificare, a seguito della riscontrata riduzione di valore, la

(40)

26 2. L’attuale quadro normativo: lo IAS 39 perdita cumulativa dal patrimonio netto all’utile (o perdita) d’esercizio come rettifica da riclassificazione [49, par. 67].

2.6

I derivati di copertura

La definizione di derivato è contenuta nello IAS 39, che afferma che affinché uno strumento sia considerato un derivato devono valere per esso contemporaneamente le seguenti condizioni:

• il suo valore varia al variare di una specifico fattore denominato sottostante, che può essere un tasso di interesse, un tasso di cambio, un prezzo di una merce, ecc.;

• l’investimento iniziale è nullo o comunque minore rispetto ad altri tipi di con-tratto che prevedono una risposta simile a oscillazioni di valore di un sotto-stante;

• la regolazione si ha a una data futura.

Uno strumento derivato non è pertanto uno strumento "autonomo", ma per sua natura presenta un valore che è funzione del valore di un’altra grandezza individuata, finanziaria o non. Risulta dunque fondamentale riconoscere il legame tra il derivato e il sottostante, ovvero sapere in che misura le modificazioni nel valore del secondo si riflettano sul valore del derivato. Per fare ciò si individua inizialmente il cosiddet-to valore nozionale, ovvero la quantità di merce, di denaro, di valuta alla base del contratto. Tale quantità potrà, alla scadenza, venire effettivamente scambiata tra le controparti oppure venire più semplicemente utilizzata come riferimento per il calco-lo dei flussi finanziari nel periodo di validità del contratto. In caso di regolamento del contratto mediante consegna del sottostante si parla di physical settlement, mentre se vengono scambiati solo i differenziali di valore si parla di net cash settlement.

I derivati sono normalmente classificati nella categoria held for trading ma, laddo-ve siano soddisfatti una serie di requisiti previsti dallo IAS 39, è consentito procedere alla contabilizzazione prevista dall’hedge accounting.

• Un derivato classificato come strumento di negoziazione viene ricondotto alla categoria fair value through profit and loss/held for trading.

• Un derivato che soddisfa le regole dell’hedge accounting viene considerato uno strumento di copertura e viene contabilizzato secondo le strategie di copertura perseguite.

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2.6 I derivati di copertura 27 Un derivato di negoziazione è quindi uno strumento detenuto a scopi speculativi o di arbitraggio mentre, dall’altra parte, un derivato di copertura è uno strumento finanziario sottoscritto con lo scopo di coprirsi da un determinato rischio. I derivati di copertura contemplati dallo IAS 39 sono tripartiti nelle categorie di cui sotto a seconda del loro scopo. Gli obiettivi perseguiti con l’utilizzo di strumenti di copertura sono:

• fair value hedge (copertura del fair value); • cash flow edge (copertura dei flussi di cassa);

• net investment in a foreign entity hedge (copertura degli investimenti esteri) [49, par. 86].

Le coperture del fair value proteggono il valore di un’attività/passività finanziaria al variare di uno specifico fattore di rischio. Il caso più frequente di strumenti per i quali si sceglie di avvalersi di questo tipo di coperture si ha con gli strumenti a tasso fisso, il cui valore quindi oscilla al variare del tasso di interesse.

Le coperture di cash flow hanno invece l’obiettivo di stabilizzare i flussi di cassa futuri di attività/passività finanziarie. L’esempio tipico di applicazione di queste coperture è relativo agli strumenti a tasso variabile, in cui la variazione del tasso comporta entrate/uscite differenti.

Gli strumenti ammessi a fungere da strumento di copertura sono in linea di mas-sima tutti gli strumenti derivati e non ci si soffermerà ad analizzare le pur presenti eccezioni.

La contabilizzazione di uno strumento derivato come derivato di copertura è così articolata:

• laddove il fair value del derivato sia positivo, va iscritto tale valore nella voce 80 dell’attivo di stato patrimoniale Derivati di Copertura;

• laddove invece il fair value sia negativo, il derivato viene contabilizzato per un valore pari al fair value negativo nella voce 60 del passivo di stato patrimoniale Derivati di copertura.

I derivati vanno sempre rilevati in sede di bilancio al loro fair value. L’hedge accounting compensa la rilevazione del fair value dei derivati con quella delle poste coperte [58, pag. 160]. Il vantaggio sta dunque nel poter evitare di riportare a conto economico tutti i cambiamenti di fair value dello strumento. Per poter applicare l’hedge accounting i requisiti sono i seguenti:

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28 2. L’attuale quadro normativo: lo IAS 39 • la relazione di copertura deve essere altamente efficace nel realizzare la compen-sazione tra le variazioni dello strumento coperto e le variazioni dello strumento di copertura;

• l’efficacia della copertura deve essere attendibilmente valutata; • l’efficacia della copertura deve rispettare il criterio della continuità.

L’efficacia della copertura è data dalla capacità dello strumento derivato di ge-nerare flussi finanziari o di modificare il proprio fair value per valori proporziona-li/uguali e contrari a quelli generati dallo strumento coperto. Lo IAS 39 concede l’applicazione dell’hedge accounting solo nel caso in cui gli scostamenti siano conti-nuativamente compreso entro il range 80%-125%; solo restando entro questi para-metri è consentito mantenere la contabilizzazione prevista dall’hedge accounting. Le variazioni non pareggiate tra le poste coperte e lo strumento di copertura, consentite nei limiti quantitativi riportati, vanno registrate a conto economico.

L’applicazione delle regole dell’hedge accounting necessita di soddisfare requisiti piuttosto stringenti in termini di efficacia, che va valutata sia retrospettivamente che prospetticamente. Ad ogni data di valutazione bisogna procedere con la misurazione dell’efficacia della copertura. Seppur lo IAS 39 preveda l’obbligatorietà di valutare l’efficacia del processo di copertura, non indica una metodologia specifica da adottare per farlo. Nella prassi il metodo più utilizzato è quello del dollar offset method : esso prevede di rapportare in termini assoluti le variazioni di valore dell’elemento coperto con quelle dello strumento di copertura. Questo test di efficacia si contraddistingue per la grande semplicità nella sua applicazione ma tende a risultare poco affidabile nei periodi di instabilità dei mercati.

Riferimenti

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