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L'industria petrolifera mediorientale: dal cartello delle "Sette sorelle" a quello dell'OPEC.

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Indice

Introduzione

p. 3

Capitolo 1.

1. L’Industria petrolifera statunitense: origine ed evoluzione

p. 5

1.1Il sistema delle concessioni

p.9

1.2 I consorzi

p.18

1.3 L’esperienza dei cartelli

p.22

1.4 Attori non protagonisti

p.25

2. Interessi Usa in Medio Oriente

p.28

3. Questioni e strategie della politica energetica americana

p.38

3.1 Il monopolio internazionale delle “ Sette Sorelle” e la politica dei prezzi

p. 41

3.2 Strategie e politiche di mercato

p.45

3.3La politica dei prezzi : dal sistema Gulf plus ai prezzi posted

p.48

Capitolo 2. Il vento dei nazionalismi: la minaccia degli anni ’50 p.51

1.Il caso dell’Arabia Saudita e la nascita dell’Aramco

p.54

2. L’Iran di Mossadeq

p.60

2.1 La crisi di Abadan

p.64

2.2 Il ruolo della Cia nell’ esautoramento di Mossadeq

p.66

2.3 La costituzione del consorzio iraniano

p.69

3.Il nazionalismo egiziano

p.72

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Capitolo 3. Anni settanta

1. Il tramonto della leadership delle grandi compagnie e il ruolo dell’OPEC

negli anni settanta

p.89

2. Gli accordi di Teheran e Tripoli del 1971

p.92

3. Cambiamento degli equilibri di mercato

p.98

4. La guerra del Kippur: cause e conseguenze

p.102

5. Il tramonto delle concessioni e la nazionalizzazione delle risorse

strategiche : il caso iracheno, libico, saudita e kuwaitiano.

P.109

6. Verso nuovi orizzonti

p.125

6.1 la scommessa del Nord Europa

p.126

6.2 l’Alaska

p.129

Capitolo 4: La fine di un’ epoca

1. I punti deboli dell’OPEC

2. La rivoluzione iraniana e il secondo shock petrolifero

p. 137

3. Il controshock: esclusivamente surplus petrolifero o congiura sovietica?

(3)

3 INTRODUZIONE

Da una mia curiosità personale nasce questo lavoro di ricerca, che si prefigge di ricostruire la nascita e l’evoluzione dell’industria petrolifera in Medio Oriente. È assodato che una materia prima come il petrolio ha plasmato le società moderne, sostituendosi proprio nel corso del’900 al carbone. Fin dal primo capitolo viene celebrata la maestria ingegneristica occidentale, nonché l’intuizione degli uomini di scienza e luminari di geologia che hanno individuato nelle terre remote della Mesopotamia e nei dintorni i bacini petroliferi che hanno messo in moto l’industria occidentale, plasmando di fatto stili di vita. Tutto nacque sulla base delle esperienze dei petrolieri statunitensi che importarono oltre oceano il loro know how, trasformando l’industria petrolifera americana in fenomeno internazionale.

La loro intraprendenza fu coadiuvata dal più fedele alleato, la Gran Bretagna, che ai tempi in cui il suo impero raggiungeva l’apogeo, necessitava di una fonte alternativa al carbone.

Nel primo capitolo vengono quindi esplicate le modalità attraverso le quali le compagnie petrolifere anglo-americane già affermatisi entrarono nell’area attraverso il sistema di concessioni, per lo sfruttamento delle risorse strategiche nonché il sistema dei prezzi che venne adottato e le politiche economiche che permettevano il corretto funzionamento dell’industria petrolifera, dalle fasi di downstreem a

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4 quelle di upstream. Il secondo capitolo introduce la messa in stato

d’accusa delle grandi compagnie su più fronti: sia su quello dei piccoli produttori americani, sia su quello dei paesi concessionari che, in nome del sentimento nazionalista diffusosi proprio negli anni cinquanta, rivendicavano il pieno possesso delle proprie risorse strategiche e liberarsi da quelle sfere di influenza che Stati Uniti e Gran Bretagna usavano talvolta in funzione antisovietica: emblematico è stato il caso dell’Iran dei Pahlavi.

È inequivocabile che le grandi compagnie esercitavano un regime di monopolio sulla più grande industria al mondo, grazie all’assenza di concorrenza e grazie alle alte barriere imposte all’ingresso.

Il loro sistema sarebbe durato per diversi decenni se i paesi produttori non si sarebbero svegliati da quel lungo sonno che garantiva ai grandi colossi prosperità. Le sette sorelle nei primissimi anni sessanta furono seriamente minacciate dall’istituzione dell’OPEC, un fronte unito di paesi esportatori che voleva svincolarsi dalle ingerenze occidentali, riuscendoci nei fatti, utilizzando il petrolio stesso come ricatto. L’Organizzazione si esplicò pienamente negli anni settanta precisamente dalla guerra del Kippur, in seguito alla quale i paesi produttori accumularono ingenti profitti, potendo dare il via ad un programma di sviluppo locale, manifestatosi in maniera più o meno blanda in diversi paesi. Sulla base dei nazionalismi degli anni cinquanta e sulla base delle motivazioni insite nella nascita dell’OPEC, i produttori iniziarono gradualmente a rivendicare la proprietà delle loro

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5 riserve, riuscendoci intorno alla metà degli anni settanta, in ogni paese

in modi differenti.

Elemento catalizzatore di questo processo senza dubbio fu la guerra del Kippur, in occasione della quale il petrolio fu usato per la prima volta come “arma” contro i grandi colossi occidentali. Il 1973 segnò l’inizio di un processo che a più tappe decretò la fine dell’era delle sette sorelle e conferì ai paesi produttori la piena proprietà di quella materia messa in moto dello sviluppo locale. È lapalissiano che l’andamento dell’industria petrolifera mediorientale dipende da una variabile da non sottovalutare: l’instabilità della regione. I conflitti che si sono consumati nella seconda metà del ‘900, hanno determinato l’andamento stesso dell’industria con la conseguente variazione di prezzo, raggiungendo massimi storici proprio con la guerra del Kippur, per poi passare alla rivoluzione iraniana, alla guerra Iran-Iraq.

L’ultima parte di questo lavoro dimostra come a dispetto delle previsioni che paventavano un terzo shock petrolifero, nella prima metà degli anni ottanta si verificò l’inaspettabile. Le politiche che inducevano al risparmio energetico, e la mole di petrolio non OPEC immessa sui mercati, generò un surplus nell’offerta da fare crollare i prezzi di listino mettendo in ginocchio alcune economie prime fra tutte quella sovietica. Questo rappresentava l’inizio della disgregazione dell’impero sovietico.

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CAPITOLO 1.

1.L’ industria petrolifera statunitense: origine ed evoluzione

L’olio minerale oggetto di contese internazionali è noto fin dall’antichità. Negli annali di storia si documenta la sua presenza nelle terre remote della Mesopotamia già databili nel 3000 a.C., in cui veniva descritto come un liquido scuro e maleodorante che fuoriusciva dalle viscere della terra. L’importanza di quello che poi sarà chiamato oro nero verrà alla ribalta solo nel 1859 con la scoperta di giacimenti di petrolio in Pennsylvania, a Titusville, negli Stati Uniti, grazie alla geniale intuizione del colonnello Edwin L. Drake1, che ne dimostrò la sua capacità illuminante e di combustione che avrebbe cambiato la vita delle società moderne.

L’odierno assetto dell’industria petrolifera internazionale, anche se nel corso del ‘900 ha subito considerevoli mutamenti, si deve però a colui che ha fatto del petrolio il suo impero: John Davidson Rockefeller, che nel 1865 a Cleveland diede vita alla prima multinazionale dell’età moderna: la Standard Oil2 . La prima azienda al mondo che ha basato la sua efficienza, e quindi il suo successo, sul triplice investimento della produzione, distribuzione e management, attuando di fatto un

1 Baer Robert, Dormire con il diavolo: come Washington ha venduto l’anima per il

petroio saudita, Piemme,2004, p. 118.

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7 regime di monopolio sull’industria petrolifera. Iniziando dal solo

processo di raffinazione, ben presto inglobò anche il sistema di trasporto ferroviario per poi comprendere tutte le fasi del processo produttivo, il tutto basato sulle economie di scala che consentivano un abbassamento dei costi, e quindi di neutralizzare la concorrenza. Intorno agli anni settanta dell’800 la scoperta di nuovi giacimenti fece inesorabilmente abbassare i prezzi trascinando i produttori nel vortice del fallimento.

Rockefeller e Flagler, suo braccio destro, decisero di salvare l’azienda fondando una società per azioni: nel 1870 nasce la Standard Oil Company di cui Rockefeller era azionista di ¼.

Gli anni ’70 del diciannovesimo secolo, furono gli anni della Guerra del petrolio portata avanti dalle raffinerie statunitensi contro la Standard, che nel 1879 ebbe la meglio controllando il 90% della raffinazione e del trasporto negli Stati Uniti.

In violazione della Sherman Antitrust Act,3 ( 1890) la più antica legge

antitrust americana, la Corte Suprema, durante il governo di Theodore Roosevelt, ordinò lo scioglimento della Standard Oil of New Jersey con l’accusa di avere attuato con pratiche commerciali sleali,

3

Sherman Antitrust Act fu la prima legge antitrust americana varata nel 1890, al fine di evitare la costituzione di monopoli statali. Fu attuata per la prima volta nel 1911, quando Theodore Roosevelt affidò l’inchiesta al giudice della Corte Suprema James Garfield, convocando a giudizio i dirigenti della Standard Oil chiamati a rispondere del reato commesso, ivi , p.42;.Daniel Yergin, Il Premio, l’epica corsa al petrolio, al

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8 l’acquisto di azioni di oltre 70 società petrolifere al fine di attuare un

regime di monopolio.

Dallo smembramento della Standard Oil nacquero le compagnie petrolifere americane che hanno svolto un ruolo di primo piano nell’assetto petrolifero pre e post-bellico, costruendo un vero e proprio oligopolio e raggiungendo la loro massima egemonia negli anni cinquanta.

Dallo smembramento della “Old House” nacquero in ordine di importanza e di percentuale del valore patrimoniale:

• la Standard Oil Company of New Jersey poi rinominata Exxon

• Standard Oil of New York- Vacuum oil Company poi rinominatala Mobil Oil che poi fu assorbita nel 1999 dalla Exxon dando vita alla Exxon- Mobil, la più grande industria petrolifera statunitense.

• Standard Oil of California (Socal) rinominata Chevron nel 1984, destinata a diventare un vero colosso con l’acquisizione della Gulf Oil Corporation nel 1984 e Texaco nel 2000, che portò a cambiare il nome dell’impresa in ChevronTexaco fino al 2005, per poi tornare alla denominazione Chevron Corporation.

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9 • la Standard Oil of Ohio divenne Sohio e che poi fu assorbita dalla

propaggine americana della British Petroleum ( BP),

• la Gulf Oil Corporation, nata per volere della famiglia Mellon, per lo sfruttamento del giacimento di Spindletop, confluì nella Chevron nel 1984.

• la Texas Corporation ( Texaco) , che nacque in occasione dello sfruttamento dello stesso giacimento texano, poi confluì anch’essa nella Chevron nel 2001.

Al di fuori della compagine americana altre due big che hanno fatto la storia sono:

• la British Petroleum ( BP), sopra menzionata, interamente inglese, prima Anglo-Persian Oil Company costituita nel 1909 dal diplomatico William Knox D’Arcy. Nel 1914, proprio quando, durante il primo conflitto mondiale, la compagnia era diventata la maggior fornitrice di carburante della Marina Reale.

• la Royal Dutch Shell, nata nel 1907 dalla fusione della Royal Dutch Petroleum Company, costituita per lo sfruttamento di petrolio nelle Indie Olandesi, con la Shell Transport and Trading Company di origine inglese.

Esistono altre compagnie petrolifere minori, le cosiddette indipendenti, che per ragioni di estensione geografica e di ordine organizzativo

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10 interno non rientrano nel club delle cosiddette “maggiori”, rimanendo

fuori dal sistema internazionale. A causa delle alte barriere imposte dal regime oligopolistico instauratosi, si concentrano esclusivamente ad una dimensione meramente nazionale. Le indipendenti si suddividono in pubbliche e private. Fra le prime rientra l’italiana Eni di Enrico Mattei, quelle private sono quasi tutte americane. Tra le più importanti si ricordano la Phillips Petroleum, Conoco, Amoco, Sun oil e l’europea Petrofina.

1.1 Il sistema delle Concessioni

Sotto il profilo giuridico, le concessioni si configurano come un contratto privato tra due parti. Nel nostro caso tra il paese produttore e le imprese estere che sono autorizzate, dietro un compenso di carattere finanziario, allo sfruttamento delle risorse del sottosuolo. Per sfruttamento è da intendersi un lavoro che parte dall’esplorazione mettendo in campo la professionalità di geologi e ingegneri, fino all’estrazione, lavorazione finale, nonché distribuzione. Nel gergo settoriale si definiscono fasi di upstreem e downstreem.

La concessione prevedeva altresì la definizione della superficie interessata, che spesso comprendeva o la totalità della superficie statale o una parte dello Stato in questione. Scelte talvolta definite sia per ragioni politiche sia per constatazioni geofisiche.

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11 La durata della concessione, spesso comprendeva un lasso di tempo

più o meno lungo, dai sessanta ai settanta anni. Infine non per ordine di importanza, vi era una royalty, cioè il compenso economico che lo Stato concessionario percepiva in concessione delle proprie ricchezze del sottosuolo, royalty che veniva stabilita in base alla quantità di greggio venduta.

I fatti dimostrano come il sistema delle concessioni sia andato a detrimento della sovranità degli Stati produttori, il cui status si è ridotto a mero percettore di una rendita senza alcuna capacità decisionale. La concessione più che un negozio si materializzò come una imposizione delle compagnie straniere nei confronti dei paesi produttori del Golfo che non disponevano neppure , a causa della loro arretratezza, degli strumenti per pattuire un negoziato. Non solo, senza il know how e la capacità imprenditoriale occidentale forse non avrebbero mai potuto beneficiare delle ingenti risorse di cui è ricco il loro sottosuolo. È bene notare che all’epoca delle prime concessioni, il 1909 è l’anno in cui William Knox D’Arcy ottenne la prima concessione della maggior parte dell’Iran4

, gli Stati del Golfo vivevano nell’instabilità politica, nell’arretratezza e nella povertà più assoluta, questo non ha impedito nel tempo ai paesi produttori di istituire un’ organizzazione che garantisse loro di avere una voce in capitolo e di liberarsi finalmente dell’ingerenza americana nei loro affari commerciali interni. Anche se

4

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12 l’OPEC nasce nel 1960 la sua nascita ha ottemperato proprio a questo

compito.

L’Iran, conosciuto col nome di Persia fino al 1935, è stato il primo paese a negoziare una concessione con la Gran Bretagna, che la ottenne per una validità di sessant’anni e per tre quarti del paese. La superficie interessata ricopriva 1.300.000 chilometri quadrati, per 40.000 sterline di cui la metà sottoforma di titoli azionari, oltre al 16% degli utili complessivi ogni anno5; sono rimaste al di fuori cinque province territorialmente confinanti con la Russia ( l’Azerbaijan, Mazandaran, Gilan, Khurasan e Astabad) al fine di evitare le ostilità del Cremlino.6

È il 1901 quando William Know D’Arcy ottenne la concessione dal re di Persia Muzaffar al-Din Shah Qajar per l’esplorazione del territorio, effettuata sotto la supervisione del geologo Reynolds. Un lavoro che diede i suoi frutti sei anni dopo con la scoperta al largo dei monti Zagros, nel Kuziztan, del pozzo di Masijd Sulemain, a 1180 piedi di profondità, grazie anche all’intervento della Burmah Oil7 ,la compagnia

5 William Engdahl, A century of war, Anglo-american oil politics and the new world

order, Pluto Press, London, 2004, p.21.

6

La Russia aveva mire espansionistiche in Iran con cui confinava geograficamente. Ma il motivo principale risiedeva nell’ostilità nei confronti della Gran Bretagna, la quale cercava di limitare l’espansione sovietica che si diramava sempre più in Asia centrale, potendo coinvolgere anche l’India. La Russia infatti agì, cercando di sabotare il negoziato della concessione non riuscendoci nei fatti. Daniel Yergin, Il

Premio, op.cit. pp. 120-121.

7

La Burmah Oil è stata una compagnia scozzese fondata a Glasgow nel 1890 per lo sfruttamento dei giacimenti petroliferi nel subcontinente indiano. Negli anni ’20 del ‘900, svolse un ruolo di primo piano nelle esplorazioni in Persia e divenne azionista

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13 scozzese a cui si rivolse D’Arcy quando nel 1904 le speranze di trovare

il greggio sembravano perse, situazione accentuata dagli ingenti costi. Dopo il 1909, D’Arcy e la Burmah Oil si organizzarono nell’Anglo-Persian Oil Company, che nel 1914 a causa del deficit finanziario e non solo, fu salvata da Churchill, allora primo Lord dell’ammiragliato del Regno Unito.

Dietro suo consiglio il governo britannico decise di diventare azionista di maggioranza dell’azienda, comprando il 51% della compagnia. Le motivazioni di Churchill, primo politico della storia del ‘900 a riconoscere l’importanza che avrebbe assunto il petrolio8

, vanno ricondotte alle strategie di sicurezza interna. Il petrolio era indispensabile per il mantenimento della Marina britannica, protagonista indiscussa dei mari. La stessa compagnia, ora per la maggior parte inglese, fu trasformata come anzidetto in Anglo- Iranian nel 1935, poi British Petroleum nel 1954 e poi BP nel 2000, nota purtroppo alla storia per il disastro ambientale nel golfo del Messico9.

del consorzio Anglo-Iranian Oil, il primo a segnalare affioramenti di petrolio nella regione. In ordine di percentuale la Burmah era secondo azionista dopo il governo britannico.( ivi , p.130

8

Eric Laurent, La verità nascosta sul petrolio: un’inchiesta esplosiva sul sangue del

mondo, edizioni Nuovi Media, 2006. Leonardo Maugeri, L’arma del petrolio, questione petrolifera globale, guerra fredda e politica italiana nella vicenda di Enrico Mattei, Loggia de’ Lanzi, Firenze,p.15.

9Nell’aprile 2010, al largo delle coste della Louisiana, vicino al Golfo del Messico,

una piattaforma Deep Water Horizon della compagnia inglese BP , esplose, generando un disastro ambientale senza precedenti. Dopo l'esplosione della piattaforma Bp è disastro ambientale nel Golfo del Messico , Il sole 24 ore, sezione

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14 Anche se il colosso inglese negli anni è stato privato dei ricchi

giacimenti iraniani, riuscì a sopravvivere agli shock petroliferi degli anni ’70, grazie alle acquisizioni in Alaska e nel mare del Nord. L’immagine della BP come una delle imprese leader nel settore energetico è stata poi offuscata dalla controversa questione dell'oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan10, in cui fu criticata per la violazione dei diritti umani e per non aver rispettato gli standard ambientali.

Il 1914 è la volta dell’Iraq, dove la neonata Turkish Petroleum Company capitanata dall’armeno Colouste Gulbenkian, iniziò le trattative per una concessione nello Stato Iracheno, trattative fortemente ostacolate dalle compagnie concorrenti. L’ Iraq, era un territorio comprendente tre province dell’ex impero ottomano, smembrato dopo la sconfitta nella prima guerra mondiale.

La concessione fu negoziata con il monarca iracheno re Faisal II , in cambio di una royalty di 4 scellini d’oro per ogni tonnellata di petrolio. Sotto protettorato britannico, grazie al lavoro della Royal Dutch / Shell, dell’Anglo Persian Oil Company, della Compagnie Française Des Petròles(CFP) e non per ultimo della Near East Development- che inglobava le due grandi americane entrate nel consorzio -si giunse alla

10

Michele Paolini, Breve storia dell’impero del petrolio, Manifesto Libri, Roma, 2003, pp.47-54.

(15)

15 scoperta nel 1927 di importanti giacimenti, tra cui quello gigantesco di

Kirkuk11 nella parte settentrionale del paese, e quello a sud vicino Basrah, al confine con il Kuwait. Già nel 1935 il petrolio attraverso un paio di oleodotti giungeva nel Mediterraneo, attraversando il Libano e la Palestina.

L’intuizione del neozelandese Frank Holmes, aprì la strada del

Bahrain, allora un emirato, appartenuto all’impero ottomano fino al

1917 , poi protettorato britannico fino al 1971.

Dopo avere trovato affioramenti di petrolio nella zona del Golfo, Holmes fondò una compagnia: la Eastern and General Syndacate, che nel 1925 ottenne la concessione dallo Sceicco della piccolissima isola del Golfo, situata tra il Qatar e l’Arabia Saudita, dopo avere dimostrato di saper trovare anche la risorsa indispensabile per queste zone remote della terra e fonte di vita: l’acqua12 .

La Eastern and General Sindacate, in difficoltà finanziarie dovute ad anni di ricerche infruttuose e alla mancata disponibilità del governo britannico di sostenere la missione, venne inglobata dall’americana

11

Eric Laurent,op.cit. pp..48-49. Kirkuk è la capitale dell’omonimo governatorato e

da il nome al giacimento più importante del paese scoperto nel 1927 quando l’Iraq era sotto il dominio britannico. Il primo pozzo è stato quello di Baba Gurgur scoperto il 15 ottobre del 1927.

12

Irvine H. Anderson Jr. Aramco, the United States, and Saudi Arabia: A Study of the

Dynamics of Foreign Oil Policy, 1933-1950, Princeton University press, 1981,

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16 Gulf Oil, nata per volere della famiglia texana Mellon, che acquista la

concessione nel Bahrain. Quest’ultima però vincolata dall’accordo della linea Rossa del 192813 dovette rinunciare alla concessione e cederla, dopo un negoziato, all’ americana Socal (Standard oil of California) che fondò la Bahrain Oil Company.

Il 1932 fu la volta dell’Arabia Saudita14, che nello stesso anno aveva proclamato il regno nel suo territorio che morfologicamente era affine all’Iran occidentale, al Bahrain e all’Iraq del sud. Dopo l’insuccesso della prima esplorazione, dovuta all’imperizia di geologi di formazione alpina più che desertica, come richiedevano le circostanze. La Socal15 inviò una squadra di ingegneri e geologi e già nel 1938 entrò in funzione il pozzo numero 7 a Damman, vicino a Dhahran16, oggi centro operativo della Saudi Aramco.

Le motivazioni che spinsero il Regno, unificato solo nel 1932 da Ibn Saud ad acconsentire alla concessione furono di ordine economico. L’economia del paese si reggeva solo sugli introiti provenienti dai pellegrinaggi delle città sante Mecca e Medina, centri dell’Islam, e

13 L’accordo della Linea Rossa o Red Line Agreement, stabiliva che i soci della

Turkish Petroleum Company ( TPC), non potevano intraprendere singole iniziative di esplorazione , estrazione e raffinazione, nella zona delimitata dallo stesso Gulbenkian, padre dell’TPC. In altre parole, ogni azione volta allo sfruttamento dell’area delimitata entro i confini della Linea Rossa, poteva essere intrapresa esclusivamente dal Consorzio ( G.De Rosa, R. Lizzul, op.cit., pp.98, Daniel Yergin, op.cit. ,

pp.181-183).

14

https://www.saudiembassy.net/about/country-information/energy/oil.aspx

15 Casertano Stefano, Sfida all’ultimo barile, Russia e Stati Uniti per il dominio dell’energia, Brioshi,

2009, p. 6.

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17 della vendita dei capi di bestiame. La società saudita era ancora di

stampo medievale, quindi pattuire con gli occidentali poteva essere la chiave per lo sviluppo del paese. Già nel 1923 un gruppo eminente di geologi della Eastern General and Sindacate aveva sondato la zona di Al Hasa, nella parte orientale dell’Arabia Saudita, senza risultati significativi. Fu anche questo il motivo per cui il consorzio Turkish Petroleum Company e in particolare l’Anglo-Persian non dimostravano interesse per una concessione nell’area, in ragione del fatto che possedevano una mole di risorse sufficienti da non avere ulteriori mire espansionistiche. Non da ultimo erano vincolate dall’accordo della linea Rossa del 1928. La concessione, negoziata dal ministro delle finanze saudita Abdullah Suleiman con i dirigenti della Socal, era valida per sessant’anni per una superficie complessiva di 800.000 kilometri quadrati. La Socal, secondo l’accordo, garantiva al paese un prestito immediato di 30.000 sterline, una rendita annuale di 5.000 sterline in oro e un anticipo sulle royalties di 50.000 sterline in oro e royalties, crescenti al crescere dell’industria17.

Oggi l’Arabia Saudita è il primo produttore mondiale di greggio e il paese che detiene il più alto numero di riserve al mondo, tanto da guadagnarsi un posto di primo piano all’interno dell’OPEC che nascerà

17

Irvine H. Anderson Jr, Aramco, the United States and Saudi Arabia, op. cit. , p.25; Robert Baer, Dormire con il diavolo, op.cit. p.121.

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18 solo nel 1960. Inoltre, le probabilità della scoperta di nuovi giacimenti

sono altissime, situazione analoga si riscontra anche in Iraq. Non si può dire invece la stessa cosa di Iran e del Kuwait, le cui riserve sembrano esaurirsi inesorabilmente18.

Il piccolo Stato del Kuwait, la cui economia all’inizio del ‘900 si basava sul commercio di perle, attraversò una crisi economica senza precedenti intorno agli anni ’30 a causa della concorrenza sleale giapponese. Allora era già un protettorato britannico e dovette aspettare il 1961 per ottenere l’indipendenza19.

L’emiro Sheikh Ahmed accolse l’iniziativa dell’Anglo Persian, attore già affermato nella regione, i cui interessi nella zona erano già noti. Insieme alla Gulf Oil, nella misura del 50% ciascuno, diede vita alla Kuwait Oil Company, il consorzio titolare della concessione.

Anche se il neonato consorzio era per metà americano, emergeva sempre l’ombra della Union Jack, i cui interessi andavano aldilà della semplice scoperta di petrolio. I britannici erano azionisti di maggioranza dell’Anglo- Persian (51%) e non per ultimo, la Gran Bretagna si faceva garante delle relazioni esterne del Kuwait. Il suo intervento avrebbe neutralizzato le mire delle altre compagnie

18 Giacomo Luciani, L’OPEC nella economia internazionale, Einaudi, 1976, p.17. 19

Il 19 giugno del 1961 attraverso uno scambio di note tra lo sceicco e il governo inglese fu sancita l’indipendenza. L’accordo prevedeva : l’abrogazione dell’accordo segreto del 1899, un impegmoal conseguimento di relazioni amichevoli, consulazioni reciproche su questioni di mutuo interesse e l’impegno del governo inglese a fornire assistenza in caso di richiesta. Stefano Beltrame, Storia del Kuwait, Gli Arabi,

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19 concorrenti, come quelle americane, che nel Golfo stavano scrivendo la

loro storia.

L’accordo, che stabiliva rispettivamente una quota del 50% a entrambi i membri della joint- venture, fu rivisto nel 1934, rinegoziato a favore degli inglesi che ottennero delle quote di partecipazione aggiuntive. Il 1934 è l’anno in cui l’emiro Ahmad e la Kuwait Oil Company siglarono la concessione della durata di settantacinque anni20, dietro il corrispettivo di 35.700 sterline di anticipo e di 7.150 sterline annue come royalty. Come previsto nelle altre concessioni la royalty sarebbe aumentata nel caso in cui fossero aumentate le riserve21.

1.2. I Consorzi

Se le concessioni regolano il rapporto contrattuale tra Stato locatore e locatario nelle modalità anzidette, i consorzi, disciplinano le relazioni delle compagnie operanti nello stesso settore, prevenendo ogni forma di competizione e cooperando per garantire un adeguamento dell’offerta alla domanda al fine di mantenere l’equilibrio dei prezzi.

20

Ivi, p.194.

21

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20 La necessità della creazione dei consorzi nasce in ragione della

pluralità delle compagnie petrolifere, nate agli inizi del ‘900 in seguito alla disgregazione della Standard Oil, e al fine di regolamentare un mercato diventato ormai oligopolistico.

Proprio nei primi anni del ‘900 l’industria petrolifera da prettamente statunitense diventò mondiale, in concomitanza con lo sviluppo tecnologico, ma soprattutto grazie alla scoperta di nuovi giacimenti situati al di fuori del territorio americano, la cui entità più consistente si trovava proprio in Medio Oriente. Dalla Turkish Petroleum Company nacque il primo consorzio nel 1928. Si trattava dell’IPC, acronimo che sta per Iraq Petroleum Company costituito da quattro compagnie ad ognuna delle quali spettava il 23.75%. Tra queste la Royal Dutch Shell, la Compagnie Française des Petròles( nata nel 1924, per volere dell’allora primo ministro Poincarè, il suo nucleo principale fu l’associazione di piccole imprese private distributrici di prodotti petroliferi), l’Anglo-Persian Oil Company e la Near East Development, che faceva gli interessi delle americane Standard Oil of New Jersey e Mobil. Il restante 5% dei proventi andavano all’armeno Colouste Gulbenkian, padre fondatore della Turkish Petroleum Company. L’Istituzione dell’IPC segnò l’ingresso delle big americane in Medio Oriente. Attraverso il patto delle Linea Rossa dell’1 luglio 1928 siglato a Ostende, i soci si impegnavano a non agire in concorrenza tra loro e altresì non operare autonomamente al fine di ottenere concessioni o semplicemente condurre esplorazioni all’interno dell’area circoscritta

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21 dalla linea rossa, (fig.1), un territorio che comprendeva diversi paesi

con alto potenziale petrolifero: quindi Arabia Saudita, Iraq, Siria, Golfo Persico, Turchia, Libano, Giordania ad esclusione della Persia e del Kuwait. L’accordo, siglato a Ostende, ha rappresento una sorta di diplomazia segreta, in quanto è stato negoziato lasciando all’oscuro gli arabi, i paesi diretti interessati.

Se ci si sofferma sull’operato delle compagnie sorte in seguito alla disgregazione della Standard Oil, si nota come esse collaborino tra loro al fine di mantenere un livello alto dei prezzi, garantito solamente in assenza di conflitti tra le imprese che altrimenti avrebbero generato la guerra dei prezzi. Cosa accaduta proprio nel 1928 tra laRoyalDuch/ Shell e la Standard oil of New Jersey che aveva partorito la nascita dell’IPC.

La concorrenza spietata era quindi da evitare perché avrebbe avuto un esito darwiniano a stelle e strisce che avrebbe penalizzato in misura maggiore i britannici, che, oltre a essere in minoranza erano anche il simbolo dell’imperialismo, inviso nel mondo arabo. È inequivocabile che accordi e consorzi sono stati degli espedienti per soffocare la concorrenza e per limitare l’eccesso di potere, mantenendo un equilibrio che ha consentito lo sviluppo ordinato dell’industria petrolifera.

(22)

22 (fig.1.)Linea rossa

L’Aramco, acronimo che sta per Arabian-American Oil Company ,è un altro consorzio di matrice totalmente americana, istituito nel 1933 per volere dello stesso sovrano saudita quando firmò la concessione alla Standard Oil of California per 440.000 miglia quadrate per un periodo di 66 anni. Oltre alla Socal (30%), partecipavano nella stessa misura la Texaco, la Standad Oil of New Jersey e la Socony- Vacuum Oil per il 10%, queste ultime due entrate solo nel 1946 per esigenze di mercato.

In ordine di tempo nacque la Kuwait Oil Company, nel 1934, che ottenne una concessione per 75 anni e comprendeva l’Anglo- Iranian Oil Company (50%)e la Gulf Exploration Co.(50%).

Per ultimo, ma solo in ordine di tempo, il consorzio per l’Iran, sorto nel 1953, in seguito alla disgregazione Anglo-Iranian Oil Company a opera di Mossadeq, allora primo ministro iraniano. Il consorzio costituito nel 1953 comprendeva British Petroleum che controllava il 40%. A questa si aggiunsero la Shell con il 14%, Mobil, Gulf, Esso, Texaco e Socal

(23)

23 con il 7% ciascuna, la CFP con il 6% , mentre fu assegnato il 5%

all’Iricon, che comprendeva sette compagnie minori americane.

1.3L’esperienza dei cartelli

Se tramite le concessioni vengono stabilite le relazioni contrattuali tra Stato locatore e compagnie petrolifere e se i consorzi disciplinano le relazioni tra compagnie petrolifere per neutralizzare la concorrenza, i cartelli si prefiggono di regolamentare la politica dei prezzi. L’accordo di Achnacarry22 stipulato nel 1928, alla vigilia della grande crisi del ’29, nacque come un trattato per rimediare all’offerta crescente di petrolio, che faceva crollare i prezzi destabilizzando il mercato23. Soprattutto negli anni ’30, oltre all’entrata in scena dei paesi mediorientali, era il petrolio russo a inquietare gli animi dei magnati del petrolio occidentali.

Fu proprio Deterding, capo della Royal Duch/Shell che nell’agosto del 1928 ospitò nella sua sontuosa residenza scozzese24 i numeri uno delle compagnie petrolifere di allora: Walter Teagle per la Standard Oil of NJ, il rappresentante tedesco della stessa, Heinrich Riedemann, Sir Cadman capo dell’Anglo-Persian, William Mellon della Gulf Oil e il

22

Frankel . P.H. Enrico Mattei, La Nuova Italia, Firenze, 1970, p.83.

23

Eric Laurent, La verità nascosta sul petrolio op. cit. , pp. 50-51.

(24)

24 colonnello Steward della Standard Oil of Indiana. Le diciassette pagine

dell’accordo di Achnacarry che prende proprio il suo nome dal luogo in cui ebbe sede la riunione, includeva degli obiettivi, tra questi:

 accettare e congelare le quote di mercato detenute da ciascuna azienda al momento della formazione del cartello (da qui la definizione

as is agreement)25

 rendere disponibili le infrastrutture esistenti agli altri membri a condizioni favorevoli

 potenziare le infrastrutture quanto bastava per sostenere la domanda.

prevenire l’eventuale surplus di offerta26

.

L’esigenza di pervenire all’accordo di Achnacarry, maturò dalla diatriba consumatasi tra Shell e Standard Oil of NJ in merito alla

25

As Is “ letteralmente vuol dire “così com’è” e sta ad indicare l’ambizione dei

negoziatori di mantenere lo status quo delle concessioni in Medio Oriente, non si propone quindi nulla di nuovo.

26

Alberto Clò, Enciclopedia degli idrocarburi, Gli attori e l’assetto dell’industria petrolifera dalle origini, alla grande crisi degli anni settanta, sezione 5.1, p.284-285.

(25)

25 commercializzazione del petrolio russo, la cui entità aumentò

vertiginosamente27 .

L’accordo, stilato dal Senato americano, si articolava in sette punti e faceva chiarezza sulla struttura e il controllo del mercato petrolifero al di fuori degli Stati Uniti. Si trattava in pratica di mantenere lo status

quo delle rispettive sfere d’azione, quella inglese e quella americana in

Medio Oriente, da qui la nota formula “As Is”: così com’è.

A primo impatto può sembrare un paradosso il fatto che, mentre con la proposta del cartello si è solo generata instabilità nel mercato, dagli anni ’40 agli anni ’70 invece, anche in assenza di un cartello, non si è avvertita una benchè minima instabilità in ragione del monopolio internazionale delle grandi compagnie e le barriere all’entrata che imposero alle aspiranti tali.

La letteratura dimostra come l’esperienza del cartello si rivelò fallimentare a causa della mancata osservazione delle regole da parte delle piccole indipendenti, la cui azione vanificò gli sforzi delle grandi compagnie. L’accordo, che legittimava la spartizione del mercato petrolifero e la decisione dei prezzi, fu poi rivisto e riformato più volte.

27

Royal Dutch/ Shell e Standard Oil of New Jersey commerciavano petrolio russo per destinarlo al governo di New Delhi. In seguito alla decisione di Mosca di espropriare la Shell di alcune proprietà sovietiche, la compagnia anglo-olandese scelse di interrompere l’acquisto di petrolio russo, intimando la Standard Oil di fare lo stesso. Il diniego di quest’ultima scatenò una diatriba senza precedenti tra le due compagnie, inaugurando la prima guerra dei prezzi , ivi, p.284.

(26)

26 Prima nel 1930, col Memorandum of European Market, che come dice

lo stesso titolo intendeva regolamentare il mercato europeo, e di salvaguardarlo dalla penetrazione del petrolio russo a buon mercato, poi ancora nel 1932 con l’Head of Agreement for Distribution, si tentò di riformare l’intero mercato, non solo quindi quello europeo ma quello internazionale. Infine nel 1934 con l’introduzione del Memorandum dei

Principi,28che conferì una maggiore autorevolezza e credibilità ai propositi dell’accordo originario e che si resse fino alla vigilia della seconda guerra mondiale. A complicare la situazione contribuì anche l’ondata di nazionalismi che si diffuse a macchia d’olio negli anni trenta, vissuta dalle compagnie con molta insofferenza.

Notevole è stata anche l’incidenza delle politiche nazionali che ridimensionarono la sfera d’azione delle compagnie, imponendo una severa tassazione e un controllo dei prezzi oltre che le restrizioni con gli scambi con l’estero.

1.4Attori non protagonisti

Prima delle concessioni arabe qual era il centro nevralgico dell’industria petrolifera? Se è vero che questo lavoro di ricerca si prefigge di esaminare il ruolo delle compagnie petrolifere americane

28

(27)

27 nel corso del ‘900 in particolare nei paesi del Golfo, è bene, per una

migliore comprensione presentare gli attori del sistema prima delle scoperte in Medio Oriente. Come accennato sopra, il 1859 rappresenta una pietra miliare, segna la scoperta dei giacimenti in Pennsylvanya. Il 1930 fu la volta del Texas, ed è proprio lì che nacque la Gulf Oil. Ma al di fuori degli Stati Uniti sono stati il Messico, il Venezuela e la Russia a vantare quantità di greggio mai viste fino ad allora.

La Russia vanta la sua produzione di greggio fin dalle scoperte nella città di Baku nella seconda metà dell’80029. Per dare un’idea dell’inarrestabile produzione russa è stato stimato che dal 1879 al 1888 la produzione di cherosene russo quadruplicò, provocando le preoccupazioni della Standard Oil e guadagnandosi così fette di mercato nella vicina Europa.

Il decollo dell’industria petrolifera russa si deve proprio ai fratelli Nobel, che hanno saputo gestire la difficile commercializzazione del greggio russo dato che la rigidità climatica del paese ostacolava il trasporto del petrolio fino ai mercati di destinazione. Nei primi anni del ‘900 a causa dei disordini interni dovuti alla guerra russo- giapponese, alla rivoluzione bolscevica, ma anche alla carenza di tecnologia

29

Michele Paolini, Breve storia dell’impero del petrolio, Manifesto libri, Roma,2003, cit. pp.45-46; Yergin, D. Il Premio, op. cit. pp.46-50.

(28)

28 richiesta nelle fasi di esplorazione e raffinazione, si assistette ad un

crollo significativo della produzione. L’intera industria petrolifera fu infine nazionalizzata nel 1920.

L’industria petrolifera messicana prese piede nei primi anni del’900 grazie all’intuizione di Pearsons, che fece della sua Mexican Eagle una delle più grandi compagnie petrolifere del mondo, seconda solo alla Standard Oil di Rockefeller, e a Doherty che fondò la Mexican Petroleum Co. a cui si deve la scoperta del pozzo Casiano n.7, uno dei più importanti al mondo.

In Messico l’iniziativa privata ebbe vita brevissima, infatti già nel 1938 il governo Cardenas proclamò la nazionalizzazione dell’industria petrolifera30.

In Venezuela invece proprio nei primi anni del ‘900 la Shell aprì la strada dell’industria petrolifera del paese, che ha avuto un esordio singolare grazie alla stabilità politica garantita da Gòmez che avviò una politica volta all’attrazione di investimenti stranieri.

Fu proprio la Shell a vantare la scoperta del primo giacimento al largo di Maracaibo. Dopo il successo maturato dalla Shell fecero il loro ingresso le americane Standard Oil of NJ, Gulf e Standard Oil of Indiana. Dopo la morte di Gomez anche il Venezuela seguì la via della nazionalizzazione del petrolio, e come si vedrà i due esempi

30

Per una lettura più approfondita, leggere Paolo Sylos Labini L’industria petrolifera

(29)

29 dell’America centrale ispireranno le nazionalizzazioni mediorientali

(30)

30

2. Interessi Usa in Medio Oriente

(Fonte: www.flapane.com)

Gli interessi degli Stati Uniti in Medio Oriente si sono palesati con molta resistenza a causa dello scetticismo che dilagava nel Dipartimento di Stato circa la presenza significativa di fonti petrolifere.

(31)

31 Si ricorda, che le prime esplorazioni soprattutto nella zona di Al Hasa

ebbero dei risultati irrisori31.

Parte del Medio Oriente, dopo il crollo dell’impero ottomano, era stato assegnato secondo gli accordi di Sikes- Picot (1916) alle due potenze europee, Francia e Gran Bretagna. Fu proprio quest’ultima, potenza navale senza rivali e Impero che si estendeva fino alle Indie, che aveva impiantato la propria bandiera in questi territori, che rappresentavano un avamposto per raggiungere le colonie d’oltremare. Oltre ai protettorati su Iraq e Palestina il Foreign Office si era mosso, con l’ intermediazione di William Knox D’Arcy, a negoziare la concessione con la Persia. Per il governo britannico era indispensabile mantenere e allargare la sua presenza nell’area, ma oltre a ragioni di carattere politico e di sicurezza, il petrolio persiano, nuova fonte energetica alternativa al carbone32 britannico, le cui riserve erano precarie, rappresentava una garanzia per il mantenimento della Marina reale soprattutto in tempo di guerra. Dato che in quegli anni la Gran Bretagna occupava un ruolo egemone nell’arena internazionale, la

31

Irvine H. Anderson Jr, Aramco, the United States, and Saudi Arabia, op. cit. ,pp.22-29.

32

Giuliano Garavini, Dopo gli imperi, l’integrazione europea nello scontro nord-sud, Le Monnier, Padova, 2009, p.202

(32)

32 sicurezza energetica aveva anche il fine della conservazione del ruolo

stesso di garante del sistema.

Dai britannici l’attenzione americana nei confronti del Medio Oriente fu vissuta come una minaccia, chiamando in causa in più occasioni la clausola della nazionalità britannica, poi abolita nel 1932.

L’ingresso di capitali statunitensi era però necessario per lo sviluppo delle aree remote e arretrate del Medio Oriente. L’ingresso degli americani scaturì dalle scelte di governo, che in tempo di guerra, nutriva la necessità di cercare nuove fonti di approviggionamento per sostenere lo sforzo bellico.

La Casa Bianca, in nome della “Teoria della Conservazione”, incoraggiò le ricerche al di fuori degli Stati Uniti per ridurre lo sfruttamento delle riserve nazionali e quindi accumulare e conservare quelle interne. Proprio nei primi anni quaranta l’Arabia Saudita, il cui petrolio era già nelle mani degli americani, si apprestava ad attraversare il secondo periodo di crisi economica dalla costituzione del Regno33, avvenuta pochi anni prima a causa del rallentamento delle attività della California Arabian Standard Oil Company(CASOC), della chiusura di alcuni pozzi per scongiurare l’invasione tedesca, della siccità di quell’anno, ma anche a causa del rallentamento del flusso dei pellegrini alla Mecca, che generava un introito statale non indifferente. Ibn Saud poteva contare solo sulla Gran Bretagna e sugli Stati Uniti, i quali presero la palla al balzo. Grazie alla mediazione di Harold

(33)

33 Hickes, nel 1943 Roosevelt, dietro la richiesta della Socal e Texaco, le

compagnie americane che operavano in Arabia Saudita, consociate nel consorzio che aveva ottenuto la concessione nel ’32, concesse, dopo mesi di esitazione, l’applicazione della legge “Affitti e prestiti”34 al governo saudita, anche se non era un paese democratico, e motivò la sua scelta con le testuali parole: “ I hereby find that the defence of

Saudi Arabia is vital to the defence of the United States”35

La legge affitti e prestiti fu l’alibi che legittimò l’azione del governo statunitense a mettere le mani sulle risorse dello Stato saudita. In fondo Ibn Saud voleva solo un aiuto per risollevare le sue finanze, non aveva legittimato nessuno a mettere le mani nelle sue riserve. Il 10 giugno del 1943 il segretario agli interni Harold Hickes ammoniva Roosevelt di istituire un ente federale che controllasse le riserve di petrolio in Arabia Saudita. Nacque così la Petroleum Reserves Corporation(PRC), che

34

Legge degli affitti e prestiti, (11 marzo 1941) era una legge che autorizzava il presidente degli USA a vendere, trasferire, scambiare, affittare, prestare o adoperare materiali a beneficio di ogni paese la cui difesa fosse ritenuta vitale a quella degli USA. Si potevano così aiutare i paesi in guerra con l’Asse, senza violare formalmente la neutralità e senza allarmare, all’interno, i fautori dell’isolazionismo. Durante la neutralità e dopo l’entrata in guerra degli USA furono accordati aiuti a 41 Stati (tra cui in prima linea Impero britannico, URSS, Francia e Cina) per circa 0,7 miliardi di dollari. Gli USA ricevettero nello stesso periodo da 18 dei governi assistiti (soprattutto dall’Impero britannico) beni e servigi per 7,8 miliardi di dollari, a titolo di reverse lend-lease. James R. and Ralph Jr U.S. Middle East Oil: The Petroleum

Reserves Corporation. (1972) Usa research paper. Trade Department, p.4.

35

(34)

34 avrebbe avuto il compito di potenziare e sviluppare le nuove riserve

saudite, con l’obiettivo di nazionalizzarle36.

Nello stesso anno, nella sala ovale della Casa Bianca, Harold Hickes fu nominato da Roosevelt presidente del PRC37.

Tutto era pronto per essere negoziato? Come sarebbe andata? Quali erano le pretese britanniche e quali i punti di collisione col re?

I negoziati fra il Dipartimento di Stato e i presidenti di Socal e Texaco non ebbero i risultati sperati dal governo americano, che inizialmente avrebbe voluto acquisire la CASOC al 100%, nazionalizzandola ,poi si pervenne ad un accordo che prevedeva un’acquisizione del 70%, poi ancora giù al 51%, sul modello dell’Anglo-Iranian e infine al 33% per 40 milioni di dollari, che sarebbero serviti per la costruzione della più grande raffineria in Arabia Saudita, quella di Ras Tanura, che avrebbe dovuto produrre 100.000 barili al giorno di petrolio . La raffineria prese il nome dalla città che la ospitava, che da quel momento diventò lo snodo commerciale navale più grande del paese, fu costruita su una penisola che si protende verso il Golfo Persico, quindi nella parte orientale del paese per esigenze geofisiche e pratiche: per l’attracco delle petroliere erano necessari dei fondali profondi.

36 Stefano Casertano, Sfida all’ultimo barile, op. cit. p. 7.

37

Bruce R. Kuniholm ,American Oil Interests in the Near East," in, The Origins of the

Cold War in the Near East: Great Power Conflict and Diplomacy in Iran, Turkey, and Greece, Princeton: Princeton University Press, 1980, Chapter III, "The Iranian

Context," pp. 178-192.; James R. Ralph, Jr op. cit. , pp.6-16; Irvine H. Anderson Jr

(35)

35 Gli accordi sull’acquisizione da parte americana di una parte della

CASOC, che avrebbero dovuto essere segreti, in realtà furono noti prima ancora della pubblicazione sul Wall Street Journal il 21 ottobre dello stesso anno.

I negoziati, che sembravano essere accolti da entrambe le parti, in realtà si risolsero in un nulla di fatto, in quanto produssero significativi malumori sia tra alcune grandi compagnie americane, sia tra le indipendenti, che guardavano anch’esse al petrolio saudita. Harold Ickes, optò allora per un altro accordo che avrebbe previsto l’erogazione da parte del Tesoro americano di 120 milioni di dollari, che sarebbero serviti per la costruzione della Tapline, terminata nel 195038.

Il motivo che spinse gli Stati Uniti a sugellare una così fitta relazione con l’Arabia Saudita derivava dal timore della diminuzione delle riserve mondiali disponibili, essendo il petrolio una materia prima finita e non rinnovabile. Non solo, gli americani temevano che i sovietici si impadronissero del greggio mediorientale, e la loro presenza nella zona scongiurava questa evenienza. Si ricorda che gli Stati Uniti volevano preservare le riserve interne, perché è chiaro che senza di quelle non avrebbero potuto combattere un’altra guerra.

L’intensificazione delle relazioni commerciali tra Arabia Saudita e Stati Uniti, risale agli anni quaranta , quando, come detto sopra, la crisi saudita causata dall’ interruzione del lavoro di estrazione nel periodo

(36)

36 bellico e dal calo dei pellegrini nella città Santa della Mecca, cagionò la

crisi del Regno e Ibn Saud si rivolse ai partner occidentali che

disponevano delle risorse necessarie per dare una boccata d’ossigeno alle finanze del governo.

Ora il “baule” era completamente vuoto39.

Il Petroleum Reserves Agreement come si è visto, è stato il tentativo- fallito- degli americani di appropriarsi del greggio saudita, adesso più necessario che mai con il boom dell’industria automobilistica e della petrolchimica. Nello stesso tempo anche l’Aramco attraversava un periodo non molto produttivo. Le due americane consociate, la Socal ( Standard Oil of California) e Texaco, nonostante non lamentassero la mancanza di giacimenti, erano a corto di capitali e necessitavano di nuovi sbocchi commerciali.

L’unico espediente per superare la crisi del Regno, fu la scelta di ampliare l’Aramco purchè restasse interamente americana, secondo la volontà dello stesso monarca. Le candidate ad entrare nel consorzio non potevano essere che due, la Standard Oil of New Jersey e la Socony- Vacuum, che senza dubbio avevano acquisito fette di mercato

39

L’espressione, fa riferimento alla narrazione delle vicende delle finanze interne saudite narrate da Daniel Yergin nel libro Il Premio, l’epica corsa al petrolio, al potere

e al denaro, Sperling & Krupfer editori, 1991. Il baule, era la fonte da cui attingeva

(37)

37 considerevoli. Questo significava quindi aumentare produzione, riserve

e introiti nelle casse del Regno.

Entrambe entrarono così nel consorzio, le cui quote azionarie furono così ripartite: le originarie Socal e Texaco con il 30% ciascuna, la stessa percentuale fu attribuita alla anche alla Standard Oil of New Jersey poi rinominata Exxon e alla Socony- Vacuum il 10%40 .

La tabella ( fig 2. )dimostra l’andamento della produzione petrolifera saudita negli anni quaranta presentando un’ascesa verticale proprio dal 1944 in poi. È evidente dalle cifre in tabella che anche quella iraniana e americana registrano un significativo aumento.

40

Irvine H. Anderson Jr, Aramco, the United States, and Saudi Arabia op. cit., , pp.140-159. Daniel Yergin, Il Premio, op.cit., pp.352-354.

(38)

38 Year Saudi Arabia Iran United States World

1938 65,618 10,195,371 170,795,350 270,000,000 1939 52,214 9,583,286 177,913,080 278,000,000 1940 672,154 8,626,639 190,325,450 289,000,000 1941 570,046 6,605,320 197,219,120 300,000,000 1942 600,351 9,399,231 195,027.420 282,000,000 1943 645,860 9,705,769 211,759,910 313,000,000 1944 1,034,603 13,274,243 235,992,120 348,000,000 1945 2,825,990 16,839,490 241,020,390 356,000,000 1946 7,889,675 19,189,551 243,796,610 371,000,000 1947 11,813,668 20,194,836 261,179,600 415,000,000

Fig.2( Bruce R. Kuniholm, American oil interest in the Near East, Princeton University Press 1980).

Bisogna anche ricordare che la ricchezza di un paese non è data dalla quantità di risorse che esso possiede bensì dal modo in cui le impiega. Possedere enormi quantitativi di greggio senza avere conoscenze geologiche e ingegneristiche necessarie per rintracciarlo, lavorarlo e infine, non per ordine di importanza, non avere un mercato a cui destinarlo, ovviamente non può generare ricchezza.

(39)

39 Il 1946 fu l’anno decisivo per l’Aramco, che accolse al suo interno

altre due compagnie americane che avrebbero rilanciato l’attività del consorzio. Ma prima delle negoziazioni, era necessario sciogliere un nodo: l’appartenenza della Socony e della Standard oil of New Jersey all’ accordo della Linea Rossa del 1928, che vincolava i propri membri, secondo la clausola numero 10, a non agire all’interno della suddetta area autonomamente, in cui rientrava anche l’Arabia Saudita, se non coinvolgendo tutti gli altri membri. In altre parole, vincolava le parti a non intraprendere autonomamente operazioni di prospezione, estrazione e lavorazione, nonché distribuzione di petrolio41 .

3. Questioni e strategie della politica energetica americana

La politica estera energetica americana poggia su tre pilastri principali: la dipendenza del petrolio come principale fonte di energia della nazione; in secondo luogo, una dipendenza crescente dal petrolio importato soprattutto dal Medio Oriente per i rifornimenti necessari, manifestatasi soprattutto nella seconda metà degli anni quaranta; in terzo luogo, uno spostamento del centro di gravità della produzione petrolifera mondiale dall’America centrale, e nella fattispecie dall’area

41

Irvine H. Anderson Jr Aramco, the United States, and Saudi Arabia,op. cit. pp.140-159.

(40)

40 caraibica, al Medio Oriente42. Relativamente al primo punto, come già

accennato, la necessità crescente di petrolio fu dovuta alla concomitanza tra sviluppo del settore industriale e boom automobilistico e petrolchimico americano negli anni immediatamente successivi alla seconda guerra mondiale. Secondo il Dipartimento di Energia( DoE), il consumo di petrolio complessivo è schizzato da 6,5 milioni di barili al giorno nel 1950 a 9,8 milioni nel 1960, a 14,7 milioni nel 1970 e a 17,1 milioni nel 198043. Per non parlare dell’immenso arsenale militare dislocato in ogni angolo del pianeta, peraltro unico esempio, che fanno degli Stati Uniti il maggiore consumatore al mondo di greggio.

Da queste considerazioni non si può prescindere per capire appieno la politica portata avanti dal Dipartimento di Stato nella ricerca continua di greggio in ogni angolo della terra. In risposta a queste esigenze, ancora prima della fine del secondo conflitto mondiale, la politica americana agì difendendo i suoi interessi strategici e quindi intessendo una fitta relazione con l’Arabia Saudita, che in cambio di un ombrello militare forniva greggio a fiumi. L’elargizione di aiuti militari e protezione si era altresì estesa anche ai paesi del Golfo vicini e neonati

42 Stefano Casertano, Sfida all’ultimo barile, op.cit. p.7.

43

Klare Michael T. La politica estera energetica degli Stati Uniti,2008 www.cartografare il presente.org

(41)

41 giganti petroliferi, come il Kuwait. Senza trascurare la funzione di

scudo per una eventuale penetrazione comunista che si affermò proprio in quegli anni, per poi protrarsi fino alla vigilia degli anni novanta. Altro espediente per ovviare alla carenza di greggio fu proprio la politica di diversificazione, alla base del secondo pilastro. Avere più fonti di approviggionamento riduce il rischio di restare a corto di greggio nel caso in cui cessino per motivi puramente logistici o per un contenzioso bilaterale o ancora internazionale, i rifornimenti dallo Stato fornitore. Questo è quello che può accadere in concomitanza di un embargo. Inoltre, la corsa al petrolio straniero era da attribuire ai risultati delle statistiche che all’epoca, si parla sempre degli anni quaranta, rivelavano un imminente picco della produzione statunitense che avrebbe lasciato il posto ad un calo decrescente in caduta libera della produzione, in ragione del fatto che nei giacimenti noti, come quelli in Pennsylvanya, in Texas e in Okhlaoma, si estraeva greggio già da un po’ di tempo, mentre i pozzi mediorientali erano ancora immacolati, vergini, di recente scoperta, delle miniere da cui attingere ancora per molti anni dato il loro esordio produttivo. Questo dimostra come proprio negli anni quaranta si spostò il baricentro della produzione petrolifera, dall’area caraibica dell’America centrale a quella mediorientale, pur insidiata da conflitti interni, che però non fermavano gli investitori occidentali, pur sottoponendoli a rischiare ingenti capitali.

(42)

42 Al di fuori dell’area mediorientale, nell’immediato dopoguerra furono

fatte anche delle scoperte di giacimenti, patrocinati dall’Imperial, una consociata della Standard oil of New Jersey ad Alberta, nel vicinissimo Canada 44.

Negli stessi anni altri attori si affacciavano nel palcoscenico petrolifero, tra questi l’Algeria, la Nigeria e il Qatar.

3.1.Il monopolio internazionale delle sette sorelle e la politica dei

prezzi

Già a metà degli anni quaranta, dopo la partecipazione di altre due americane nell’Aramco, si era paventata l’ipotesi che le grandi compagnie petrolifere stavano monopolizzando il mercato petrolifero, neutralizzando la concorrenza.

Il Dipartimento della Giustizia americano, spinto dalle imprese che operavano solo in territorio statunitense, le cosiddette indipendenti, avviò un’attenta indagine volta ad indagare sull’esistenza di un cartello segreto messo in piedi dalle grandi compagnie petrolifere.

La storia si ripete. Si ripetè esattamente quello che successe nel 1911, quando la Standard Oil di Rockefeller violò la Sherman Act, la legge antitrust americana.

(43)

43 Il cartello delle sette sorelle, termine coniato solo più tardi da Enrico

Mattei, dirigente dell’Agip dal 1950 al 1962, era un trust.

L’accusa venne resa nota dalla relazione “ Il cartello internazionale del petrolio”, nel 1952. Le sette sorelle sul finire degli anni 40 dominavano l’82% del petrolio mondiale45

.

Fra gli elementi che hanno destato maggiore sospetto vi fu un serie di fusioni e contrattazioni tra le Compagnie: tra queste il contratto tra Gulf e Royal Ducht /Shell, per rispondere a esigenze di mercato per la prima, e di riserve per la seconda. Il motivo della fusione non fu altro che la loro complementarietà. Altro accordo determinante fu quello tra l’Anglo-Iranian e le due americane Standard oil of NJ e Socony (1946) per scongiurare le mire espansionistiche di Stalin in Iran nei primissimi anni della guerra fredda.

Una contrattazione economica in ottemperanza di quella politica che prenderà il nome di “Politica di Contenimento” sotto il presidente Truman46. Le Indipendenti americane che, pur volendo, non potevano entrare nei mercati a causa delle alte barriere imposte all’ingresso.

45

Leonardo Maugeri, L’arma del petrolio, questione petrolifera globale, guerra

fredda e politica italiana nella vicenda di Enrico Mattei, Loggia de’ Lanzi, Firenze,

p.39.

46

Giuseppe Mammarella, Destini incrociati, Europa e Stati Uniti 1900-2003, Roma, Laterza, 2005, p. 148.

(44)

44 Furono proprio le indipendenti, in ragione del fatto che avevano una

voce in capitolo maggiore rispetto alle sette sorelle nel Senato americano, a boicottare il tentativo delle grandi compagnie di istituire un altro accordo dopo il PRC, che avrebbe legittimato la loro sfera d’azione. L’accordo, noto come Anglo-American Petroleum

Agreement,47 constava di 8 articoli e fu siglato da Emanuel Shinwell per Regno Unito e Irlanda del nord e da Harold Hickes, rappresentante del governo americano nel 1944, e avrebbe avuto il fine di imporre ad entrambe le parti dei limiti alle quote di produzione per evitare un pericoloso abbassamento dei prezzi48

Proprio a metà degli anni quaranta, specificatamente il 14 febbraio del 194549, ebbe luogo l’incontro tra Roosevelt e Ibn Saud sull’incrociatore Quincy, ancorato all’imbocco del canale del Nilo. L’ incontro avrebbe palesato la propensione del monarca saudita a preferire la protezione americana a quella britannica, quest’ultima simbolo di una feroce politica imperialistica.

47

James R. Ralph, Jr, op.cit. , p.31.; Irvine H. Anderson Jr Aramco, the United States,

and Saudi Arabia A Study of the Dynamics of Foreign Oil Policy, 1933-1950, Princeton

University 1981, nella parte finale del libro in appendiceB, si trova il testo integrale dell’accordo.

48

Stefano Casertano Sfida all’ultimo barile, op.cit. p. 14.

(45)

45 I punti del patto erano chiari: “l’America avrebbe avuto accesso ai

porti sauditi e avrebbe potuto costruire basi aeree militari sul suolo

saudita, sia pure per un periodo limitato di cinque anni. L’Aramco,

dalla Socal e dalle altre tre compagnie americane, avrebbe

provveduto alla costruzione dell’oleodotto transarabico verso il Mediterraneo, il cosiddetto Tapline. Roosevelt si impegnò a garantire

di non invadere il suolo saudita come avevano fatto i britannici nelle

terre vicine. Come previsto, Roosevelt non ottenne da Ibn Saud

l’appoggio sperato nella creazione di uno stato di Israele in Palestina, in nome dell’ antisionismo acceso del leader saudita”50

. Con la firma di questo patto Ibn Saud sarebbe diventato l’alleato fedele degli Stati Uniti durante la guerra fredda. I numeri rivelano che proprio dopo il Patto bilaterale la produzione di greggio saudita aumentò vertiginosamente, come si può notare dalla tabella (fig.2.).

Gli avvenimenti degli ultimi anni quaranta porteranno a dei cambiamenti all’interno dell’industria petrolifera internazionale, che determineranno la messa in stato d’accusa del governo americano, nonché la reazione dei produttori mediorientali.

Nel frattempo si risvegliava la brama di rivalsa dei produttori mediorientali, che ora in una posizione di forza, rispetto agli anni trenta, in cui si erano accontentati di una fetta piuttosto piccola di torta pur di rinvigorire le finanze dello Stato, lamentavano una notevole discrepanza tra le loro entrate e quelle delle Compagnie.

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3.2Strategie politiche e di mercato

Andando a rintracciare le chiavi del successo delle grandi

compagnie petrolifere non si può ignorare la constatazione che dagli anni quaranta fino agli anni settanta si registrò un inspiegabile equilibrio di prezzi, che i cartelli e gli accordi degli anni trenta non erano riusciti a garantire51. Fanno eccezione brevi intermezzi in concomitanza della seconda guerra mondiale 1939-1945, crisi di Suez 1956-1957 e guerra dei Sei giorni nel 1967. Venendo alle strategie di mercato utilizzate, è senza dubbio la sinergia tra l’integrazione verticale, orizzontale e le economie di scala che hanno fatto il successo e la grandezza delle sette sorelle52.

Per integrazione verticale si intende un controllo dell’intera filiera di produzione di un prodotto, dalla sua scoperta, nel caso del petrolio, alla lavorazione finale e distribuzione.

L’impianto organizzativo di tal tipo presenta dei vantaggi considerevoli come la diminuzione dei costi di transazione, un controllo sui prezzi e la prerogativa di poter fare delle previsioni anche se a breve termine. Questo tipo di apparato rende molto vicine le fasi

51 Alberto Clò, Enciclopedia degli idrocarburi, op.cit. p. 285. 52

Leonardo Maugeri, L’arma del petrolio, op.cit. pp.42-44; Alberto Clò,Enciclopedia degli idrocarburi op.cit. pp.287-288.

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47 del processo produttivo, interconnettendole fra loro, è proprio questa

la chiave del successo. Un ‘impresa estrattrice che investe ingenti capitali, quindi esponendosi a dei costi che solo grandi compagnie possono permettersi, deve necessariamente avere la sicurezza oltre allo sbocco in un mercato, che dopo l’estrazione il prodotto sia raffinato ed trasportato. Come detto sopra, il petrolio nudo e crudo non genera da solo ricchezza.

Anche il re del petrolio J.D. Rockefeller aveva fondato un’ industria con una organizzazione tripartita che si occupasse di estrazione si, ma anche di lavorazione e distribuzione, intessendo fitte relazioni con il trasporto ferroviario dell’epoca. L’ integrazione verticale quindi rappresentò una sorta di garanzia per i grandi produttori, che in virtù della loro capacità imprenditoriale riuscirono a monitorare tutta la filiera produttiva, collegando ogni anello del processo produttivo fino alla distribuzione finale. Questo significava anche non dover negoziare con altri interlocutori nel settore produttivo, che avrebbero in ogni modo cercato di imporre le proprie regole. In un mercato incerto come quello petrolifero poi i costi di negoziazione con terzi sarebbero più considerevoli degli effettivi ricavi, per cui la contrattazione con terzi poteva essere molto rischiosa e poteva inficiare l’equilibrio stesso dell’azienda, mettendola potenzialmente a repentaglio.

È deducibile, che le imprese che adottano questo sistema organizzativo hanno più probabilità di sopravvivenza rispetto alle altre. Dal punto di vista meramente economico poi, un’azienda di enormi dimensioni, che

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