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Gli anni cinquanta sono stati definiti gli anni d’oro delle sette compagnie anglo-americane, grazie all’adozione di politiche economiche vincenti, come l’ organizzazione verticale, orizzontale e le economie di scala. Le Compagnie vantavano altresì una compattezza interna regolamentata da vincoli che impedivano di entrare in concorrenza tra loro, come il divieto di aumentare le loro fette di mercato, oppure il divieto di approfittare della messa in stato d’accusa di una compagnia da parte di un paese produttore, per sostituirsi a quest’ultima. La vicenda iraniana è emblematica, perché dimostra come di fronte alla difficoltà della British Petroleum BP, nata nel 1954 in seguito all’uscita di scena dell’antesignana Anglo-Iranian, le altre compagnie, aderirono all’embargo, e offrirono un’alternativa a questa di rifornirsi di greggio in Kuwait e Iraq. La vicenda iraniana inoltre dimostrò che ad un’azione decisa e congiunta delle compagnie non rispondeva un’azione congiunta dei governi mediorientali, che sembravano avere come comune denominatore, oltre all’esistenza di ingenti risorse strategiche, l’esigenza di liberarsi dal controllo delle compagnie petrolifere anglo- americane, ma nessuno di loro caldeggiava l’ipotesi di un intervento

80 congiunto e deciso, che sarebbe stato fatale per l’impianto

organizzativo messo in piedi, fino ad allora dai colossi petroliferi. In realtà questa ipotesi, era stata avanzata da Nasser, all’ora all’apice del suo successo, ma gli altri partner mediorientali non condividevano il ruolo egemone che egli avrebbe ricoperto in un fronte unito di paesi arabi produttori di petrolio. Le circostanze avrebbero soltanto ritardato, ma non impedito, la costituzione di questo fronte, che nacque nel 1960, noto con l’acronimo di OPEC116

(Organization of Exporting

Petroleum Countries), progettato un anno prima, nel 1959, in seno al

primo Congresso di petrolio arabo tenutosi al Cairo117.

Con la nascita dell’OPEC venne messo in discussione il controllo delle

big americane in Medio Oriente, apparentemente fino ad allora,

incontrastate. Non si è detto finora della febbrile corsa ai nuovi giacimenti, che proprio negli anni cinquanta, portò alla scoperta di importanti bacini in Algeria, in Libia, negli Emirati Arabi, in Nigeria e in Gabon, e fece crescere l’offerta a livello internazionale. Un altro attore a fare il suo reingresso nella scena petrolifera mondiale fu l’Unione Sovietica, che proprio a metà degli anni cinquanta iniziò ad esportare greggio a buon mercato, con prezzi decisamente più bassi

116

L. Maugeri, L’era del petrolio, op.cit. p. 108.

117 Il Congresso del petrolio arabo fu tenuto, per la prima volta, al Cairo nell’Aprile

del 1959, con l’obiettivo di gettare le basi per la costituzione dell’Opec che avverrà un anno dopo. Tutti gli Stati membri esportatori vi parteciparono, eccetto l’Iraq. L’Iran e il Venezuela che mantennero una posizione da osservatori. ( Joany Ali. D. The

myth of the Opec cartel: the role of Saudi Arabia, ,Daharan, 1982 University of

81 delle maggiori compagnie del 20% e in alcuni casi del 30%, registrando

una vendita del 30% in più ogni anno dal 1955 al 1960118 .

La spietata concorrenza russa, ricorreva anche all’ancestrale espediente del baratto pur di vendere il suo petrolio. Ovviamente in piena guerra fredda, Mosca utilizzava la sua risorsa strategica anche per attirare i suoi acquirenti nel blocco comunista.

In aggiunta alle fette di mercato che si accaparrò l’Unione Sovietica, un altro fattore che contribuì a catalizzare la destabilizzazione del mercato del petrolio mediorientale fu il varo del MIOQP negli Stati Uniti, che come anzidetto, limitava l’ingresso di greggio mediorientale e prodotti finiti per salvaguardare la produzione interna.

La simultaneità con cui questi eventi si manifestarono, non tralasciando l’ascesa nel mercato delle indipendenti americane, più comunemente conosciute come new comers, come l’Indiana, l’Occidental, la Continental, la Phillips e la Marathon che proprio in quegli anni approdarono nell’immensa miniera Sahariana con le concessioni libiche e nigeriane, generò un eccesso di offerta a livello mondiale, che ebbe come effetto inevitabile il crollo dei prezzi. Esisteva quindi un’ enorme produzione di petrolio, che incontrava serie difficoltà ad essere messa in circolo a causa della saturazione del mercato.

118

Giacomo Luciani, L’Opec nella economia internazionale, op. cit. p.32; Daniel Yergin, Il Premio, op.cit. pp.435-436.

82 Oltre al cambiamento dello scenario economico, con l’ingresso di altri

produttori, persisteva l’insoddisfazione dei paesi produttori che volevano svincolarsi dall’ingerenza straniera ed esercitare autonomamente il controllo sulla loro produzione, nonché prendere parte attiva nel processo decisionale dei prezzi. La leadership delle grandi compagnie, ora era appesa ad un filo che si sarebbe rotto in concomitanza con la comune decisione di adottare una politica dei prezzi, che contemplava l’applicazione della politica degli sconti sul prezzo posted per rimediare all’eccesso di offerta generatosi dal

surplus.119

Le compagnie optarono, non per un abbassamento dei prezzi di mercato, che avrebbe danneggiato solamente le loro finanze, ma andarono a modificare, abbassandolo, il prezzo di listino o posted, , senza un avviso preventivo ai paesi esportatori, suscitando un’ovvia reazione di disapprovazione e malcontento tra questi. Furono soprattutto lo sceicco saudita Tariki e Juan Pablo Perez Alfonso120, ministro del petrolio venezuelano, il quale era fortemente scosso dal

119

Gli sconti sul posted price, (dove per posted price si intende il prezzo del petrolio mediorientale, e nella fattispecie dell’Arabian light, istituito nel 1950 per volere della Texas e della Gulf) andarono diminuendo di un punto percentuale circa dal 1964. La percentuale per quell’anno era dell’8,5%, nel 1965 del 7,5%, 6,5% nel 1966 e ancora 5,5% nel ’68, 4,5% nel ’69, 3,5% nel 1970, 2 nel 1971 per poi esaurirsi nel 1972 , Giacomo Luciani, L’OPEC nella economia internazionale, op.cit. p.37.

120

Juan Pablo Perez Alfonso è conosciuto come il cofondatore dell’OPEC insieme allo sceicco saudita Tariki. Le sue aspettative però furono presto deluse in quanto l’Organizzazione durante i suoi primi anni di attività non raggiunse gli obiettivi prefissati e ciò spinse Alfonso a dimettersi. Daniel Yergin, Il Premio, op.cit. pp.439- 442.

83 fatto che proprio in quegli anni la produzione sovietica aveva scalzato

quella venezuelana, che spinsero la comunità dei paesi esportatori a rimettere in discussione le regole del mercato petrolifero, con l’obiettivo di esercitare un controllo esclusivo sulle riserve e sui prezzi, ponendo fine alla sudditanza anglo-americana.

L’OPEC nacque proprio con questo proposito con la Conferenza di Baghdad il 14 settembre 1960. Aderirono inizialmente cinque paesi membri, l’Arabia Saudita, il Venezuela, l’ Iran, l’ Iraq e il Kuwait, a cui si unirono negli anni seguenti il Qatar (1961),l’ Indonesia, la Libia(1962), gli Emirati Arabi Uniti(1967), l’ Algeria(1969), la Nigeria il Gabon(1971), l’Ecuador e l’Indonesia(1973)e l’Angola( 2007)121. Fig.4. Nella mappa sottostante, sono evidenziati in giallo i paesi membri attuali.

Il Gabon non è evidenziato, in quanto uscì dall’Organizzazione nel 1995 a causa di una vertenza interna e l’Indonesia, anche se evidenziata, dal 2008 non ne fece più parte a causa del fatto che il paese da esportatore netto, a causa del boom economico, è diventato importatore netto di greggio122.

121 Giancarlo Elia Valori, Petrolio, op.cit. p.11 122

L’indonesia, membro Opec dal 1962 esce dall’organizzazione, in seguito alla decisione dell’allora ministro indonesiano dell'Energia, Purnomo Yusgiantoro, che motivò la scelta governativa in ragione del calo della produzione interna: si passò da 1,5 milioni di barili al giorno a meno di un milione. Archivio storico del Corriere della sera, 28 maggio2008.

84 (Fig.4.) fonte: www.sweetcrudereports.com

L’organizzazione in principio ebbe sede a Ginevra, in Svizzera, poi fu spostata in Austria, a Vienna, dove risiede tutt’oggi. Dal punto di vista istituzionale, è composta da un Segretariato che esercita un potere esecutivo, e un Consiglio dei governatori con incarico biennale, composto da un rappresentante per ogni singolo paese, ha la funzione di dettare l’indirizzo politico ed è responsabile del bilancio.

Gli obiettivi che l’organizzazione si prefiggeva di raggiungere possono essere così sintetizzati:

85 • eliminazione delle “ market allowances”o spese forfettarie di vendita,

in verità nulle, in quanto il petrolio dalle raffineria veniva prelevato dalle compagnie, senza intermediari.

• ripristino dei prezzi anteriori al 1960, con l’eliminazione progressiva degli sconti applicati dalle compagnie, raggiunta solo nel 1972.123

• unificazione e coordinazione delle politiche petrolifere dei paesi produttori, per la salvaguardia degli interessi individuali e collettivi. Un’ utopia allora, forse raggiunta dopo il 1970, considerando il fatto che non si rispettavano delle quote di produzione, ma ciascun paese, primi fra tutti la Libia e l’Arabia Saudita, aumentavano la loro produzione, noncuranti del mantenimento dell’equilibrio della domanda e dell’offerta mondiale124

, ma soddisfacendo egoisticamente la sete di petrodollari125.

L’OPEC, così com’era concepita nei primi anni sessanta, non riuscì a svolgere quella funzione contemplata nel proprio statuto, in ragione dell’impianto politico-istituzionale radicato nei paesi aderenti.

123

Giacomo Luciani, L’OPEC nella economia internazionale, op. cit. 35-36 .

124 Ivi , pp. 38-39; Giovanni Spantigati, Petrolio, gli anni della crisi e le ingiunture

future, Universale Etas, Milano, 1979, .p.8.

125

L'espressione "petrodollaro" (o "petroldollaro") è stata coniata nel 1973 da Ibrahim Oweiss, professore di economia alla Georgetown University, per descrivere la situazione che si è venuta a stabilire in quegli anni nei paesi dell'OPEC – dal primo shock petrolifero nel 1973, quando, con l’aumento dei prezzi del greggio, i paesi esportatori accumularono un’ingente quantità di riserve in dollari i petrodollari spesso vennero investiti per la costruzione delle infrastrutture dei paesi esportatori, nonché di scuole, ospedali e servizi in genere.

86 L’attività dell’organizzazione intergovernativa a carattere permanente

nei primi anni non fu incisiva, ma piuttosto sommaria e improduttiva. Dalla metà degli anni sessanta, nacquero i presupposti perché essa potesse realizzare gli obiettivi prefissati. Tra i più decisivi, il cambiamento di leadership in Arabia Saudita, con la morte del re Abd –al-Aziz, e la successione nel 1964, del fratellastro Faisal, la cui politica finanziaria, rinvigorì le casse del governo, dopo la voragine lasciata dal suo predecessore nonostante la crescita esponenziale di quegli anni.

Anche in Libia, travolta dagli eventi rivoluzionari del 1969, si assistette all’esautoramento del monarca a favore del Colonnello Gheddafi, fervente nazionalista il quale, in osservanza del suo disegno politico, proprio in quegli anni portò avanti il suo obiettivo di nazionalizzare la distribuzione interna di petrolio, riuscendo ad aumentare gli introiti. Gli effetti della sua manovra politica furono determinanti solo negli anni ’70 di cui parleremo più avanti126

. Infine, ma non per ordine di importanza, sulla scia della filosofia nasseriana, nel 1968 l’OPEC ha adottato la nota “Dichiarazione dichiarativa della politica del petrolio” dei paesi membri, che sottolineava il diritto inalienabile di tutti i paesi esportatori nell’esercitare la sovranità

87 permanente sulle loro riserve nazionali, nell’interesse dello sviluppo

della nazione127.

Ben presto, la nazionalizzazione delle riserve petrolifere fu una pratica che si diffuse a macchia d’olio nei paesi produttori, con l’esito prevedibile di accrescere gli introiti statali a detrimento delle compagnie, ora in una posizione subalterna rispetto ai governi dei paesi produttori, ma pur sempre condizione imprescindibile e anello di congiunzione tra produttori e consumatori. L’elemento catalizzatore del rovesciamento delle dinamiche relazionali tra produttori e compagnie, fu senza dubbio, la guerra dei Sei giorni del giugno del 1967128, che fece chiarezza sul mutamento in corso degli equilibri mediorientali. La guerra, vide contrapposti da un lato, la coalizione araba di Egitto, Siria e Giordania129, sostenuti dall’Unione Sovietica130, e dall’altro lo Stato di Israele, appoggiato dagli Stati Uniti. Il conflitto, si risolse in maniera molto rapida, con la vittoria di Israele, che riuscì ad impossessarsi dei territori contesi, tra cui la penisola del Sinai strappata all’Egitto, tra l’altro molto ricca di petrolio, la striscia di Gaza e la Cisgiordania, contesa con la Giordania e le alture del Golan con la Siria.

127

John Duke, The Middle east: oil, politics and development, American enterprise institute for public policy research, Washington DC, 1975, pp.44-47.

128 Per una narrazione dettagliata degli eventi, vedi Ennio Di Nolfo, pp. 1093-1102. 129

R. Baer, Dormire con il diavolo, op. cit. p. 136.

88 La rapidità delle operazioni militari non scongiurò le nefaste

conseguenze nel mercato petrolifero, in particolare intaccando la sua rete di trasporto. L’esito diretto della guerra fu la chiusura del Canale di Suez per l’occupazione israeliana, che fece lievitare i prezzi dei trasporti, costringendo le petroliere alla circumnavigazione del continente africano passando dal Capo di Buona Speranza. Un altro canale di primaria importanza a venire interdetto qualche anno dopo nel 1969 fu la famosa Tapline, che trasportava il petrolio dalla raffineria di Ras Tanura e dalla più grande raffineria kuwaitiana fino al Mediterraneo, attraverso la Siria e il Libano.

Il mondo arabo, scosso dalla sconfitta israeliana e consapevole dell’appoggio americano a Israele, si adoperò per imporre un embargo sul petrolio agli Stati Uniti, alla Germania Ovest e Regno Unito. L’embargo però, non produsse gli effetti sperati dai paesi esportatori, in quanto gli Stati colpiti dalla sanzione, riuscirono ad ottenere greggio dal Venezuela e dall’Iran. La sanzione economica intrapresa tra l’atro, ebbe poca eco a livello internazionale, in quanto l’embargo stesso fu ritirato nell’agosto successivo in seguito al vertice di Karthum 131

,

131

Il vertice di Karthum, si tenne nella città omonima a fine Agosto nel 1967 e ha rappresentato il quarto Vertice di capi di Stato arabi, in seno al quale, Nasser, reduce della sconfitta nella guerra dei Sei giorni, e alla conseguente crisi della sinistra araba, di fronte alle tendenze conservatrici, fece prevalere le posizioni saudite favorevoli alle potenze occidentali. Per questo l’embargo, deciso il 7 giugno del 1967 da sette Stati produttori, l’Iraq, l’Algeria, il Kuwait, l’Arabia Saudita Libia Bahrein e Qatar fu ritirato in questa occasione.( Geoges Corn, Petrolio e Rivoluzione, il Vicino Oriente negli anni d’oro, editoriale Jca book Milano2005, op.cit. pp.27-28). Il fallimento dell’embargo va ricondotto al fatto che i paesi colpiti dallo stesso, riuscivano, grazie all’intermediazione delle compagnie petrolifere a rifornirsi di greggio presso altri paesi e in particolare per gli Stati Uniti ebbe poca rilevanza in quanto fino al 1967 essi producevano più petrolio di quanto ne consumavano, una

89 nell’agosto del 1967, che accolse le posizioni dei paesi arabi moderati,

prima tra tutti l’Arabia Saudita, che non volevano entrare in rotta di collisione con i partner occidentali.

Bisogna leggere il trionfo dei moderati con una lente che fa trasparire ormai la posizione incontrastata delle due monarchie più influenti del Golfo, il Kuwait e l’Arabia Saudita, che ottennero, anche se tacitamente, l’accondiscendenza dei paesi vicini, in ragione della politica di “Solidarietà” adottata da questi ultimi e dalla Libia, per risanare la situazione politica ed economica di Egitto, Siria e Giordania, usciti sconfitti dalla guerra dei Sei giorni132.

Nonostante l’Organizzazione non contemplasse un paese leader, l’Arabia Saudita ha rivestito un ruolo di primo piano in seno all’Organizzazione, in ragione della grandezza imparagonabile delle proprie riserve, che avrebbe rappresentato un deterrente contro eventuali minacce di riduzione della produzione dei concorrenti, e presumibilmente grazie alla relazione granitica con gli Stati Uniti. Il ruolo dell’Arabia Saudita richiama, se si vuole fare un parallelismo, quello che la Standard Oil of New Jersey rivestiva in seno al cartello delle sette sorelle, visto che era la prima compagnia, la più grande e quindi la più propensa ad investire capitali.

tendenza che sarebbe cambiata da li a pochi anni. Le misure dell’embargo quindi colpirono gli stessi paesi che l’avevano istituito, dovendo rinunciare a considerevoli entrare senza ottenere alcun risultato. Daniel Yergin, Il Premio, op.cit., p.460.

90

CAPITOLO 3

1. Il tramonto della leadership delle grandi Compagnie e il ruolo