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Il vecchio sistema delle concessioni, che aveva disciplinato i rapporti tra Stati e Compagnie, o se si vuole usare una terminologia tecnica, tra locatore e locatario, negli anni settanta venne ritirato da tutti i governi dei paesi esportatori.

In realtà già in Iran la concessione, la prima in ordine temporale, fu ritirata nel 1951, con la conseguente nazionalizzazione del petrolio, in ottemperanza alle linee politiche del fervente nazionalista Mossadeq.

188 Il primo rapporto del Club di Roma fu intitolato “ I limiti della crescita”, per una

lettura approfondita sull’argomento, è consigliabile leggere: The limits to growth di Donatella H. Maedows, Universe book, New York, 1972.

111 Negli altri paesi del Golfo, si dovette aspettare ancora vent’anni perché

questo si realizzasse.

In Iraq, la gestione delle risorse petrolifere, era stata affidata fin dai tempi della prima concessione alla Turkish Petroleum Company, fondata dall’armeno Gulbenkian. Un primo tentativo di dare una connotazione nazionale al consorzio, fu la scelta di rinominarlo Iraq Petroleum Company189, nel 1935 a tre anni dalla fine del mandato sul paese della Gran Bretagna.

Grazie alla crescita degli introiti petroliferi incamerati dal governo iracheno, come conseguenza della serie di accordi succedutisi nel corso del tempo, e grazie alla scoperta febbrile di nuovi bacini soprattutto dagli anni settanta190, il paese riuscì ad imporsi, e nel 1972 annunciava la nazionalizzazione dell’IPC.

Il processo di nazionalizzazione fu lento e graduale. Iniziò nel 1972 con la dichiarazione di Saddam Hussein, allora vicepresidente del Consiglio del Comando Rivoluzionario, della nascita della National Iraq Oil Company, e si concluse definitivamente solo nel 1975.

Già nel 1958, dopo la fine della monarchia e l’istaurazione del regime repubblicano di Kassem, sulla scia dell’influenza nasseriana e degli

189 Anche se il consorzio cambiò nome, le consociate erano rimaste l’inglese BP, le

americane Exxon e Mobil, la Compagnie française des Petrole e il 5% assegnato a Gulbenkian.

190 Tra il 1973 e il 1980 vennero scoperti nuovi giacimenti di petrolio in Iraq. Tra

questi, quello di West Qurna, Halfaya, Maynoon, Nahr Umar. Chalabi, Oil policies, oil

112 eventi iraniani, il paese desiderava svincolarsi dall’ingerenza straniera

nei suoi affari interni.

Solo tre anni dopo, venne promulgata la legge n. 80 del 1961, la quale decretava di privare l’IPC delle aree non ancora sviluppate, che equivalevano alla maggior parte del territorio iracheno, il 99.5%. Al consorzio dunque non restava che il controllo di Kirkuk, il bacino principale scoperto nel lontano 1927, più il giacimento della Rumaila del nord a sud del paese.

Era il 17 luglio del 1968 quando, un colpo di Stato pose fine al regime militare filonasseriano di Aref.

Nel nuovo governo instauratosi con la guida di Aned Hasan Al Bakr, esponente del partito Baathista191, Saddam Hussein assunse il ruolo di vicepresidente192.

La nazionalizzazione da lui decretata nel 1972 non fu completa, in quanto restavano ancora operativi due consorzi, il BCP, e il MPC, oltre alla Compagnie Française des Petròles193.

La scelta di non intaccare la quota azionaria dei francesi può essere ricondotta alle buone relazioni con Parigi, ma dopo un contratto della durata di dieci anni col governo, infine venne nazionalizzata.

191W. Andrew Terril, Lesson of Iraqi de- Ba ‘athification program for Iraqi future and

Arab revolution, U.S army war college, Strategic Study Institute, pp. 4-10.

192

Lewis Bernard, La costruzione del Medio Oriente op.cit. pp. 81-82.

113 Dopo la guerra del Kippur, Saddam Hussein procedette alla

nazionalizzazione delle partecipazioni americane e olandesi della Compagnia BPC, in ragione del sostegno americano e olandese ad Israele durante le ostilità, insieme al 5% della partecipazione di Gulbenkian, ridimensionando la proprietà della Compagnia del 43%. Si dovette aspettare il 1975 per la completa nazionalizzazione della BP e della CFP, e della partecipazione britannica della Dutch- Shell. A differenza della linea autoritaria e poco incline al negoziato del governo iracheno nei confronti delle Compagnie, che ha caratterizzato le prime fasi del processo di nazionalizzazione, questo accordo, l’ultimo in ordine temporale, si concluse col consenso delle Compagnie, che non opposero alcuna resistenza.

Baghdad, in questo modo ha potuto attuare senza essere ostacolata la legge n. 97 del 1967, la quale stabiliva l’acquisizione da parte della NIOC di tutti gli investimenti stranieri nell’industria petrolifera irachena.

Durante gli anni della nazionalizzazione, l’Iraq, non avendo uno sbocco diretto sul Mediterraneo, dovette fare i conti anche col sistema di trasporto del greggio fino ai mercati di destinazione. Il suo interlocutore era la Siria, dal cui porto il greggio giungeva al Mediterraneo, e da lì ai mercati finali.

114 La diatriba con i siriani iniziò dopo la dichiarazione del 1972.

Damasco da quel momento chiedeva una tassa sul trasporto del greggio iracheno raddoppiata, da 0.40 a 0.80 dollari al barile194.

Questo spinse Saddam alla decisione di costruire la Stategic Pipeline, un oleodotto che avrebbe trasportato il greggio dal nord, dove si trovava Kirkuk, al sud dell’Iraq, per raggiungere il Golfo Persico. La questione del trasporto e della posizione geografica era intrinsecamente connessa all’industria petrolifera e ne determinava la sua efficienza e il suo funzionamento. Questa variabile giocò a favore della Libia, in cui il processo di nazionalizzazione era in corso195. Anche se questo lavoro di ricerca mira a focalizzare l’attenzione sull’industria petrolifera mediorientale, non si può fare a meno di tracciare, seppur brevemente, il processo di nazionalizzazione dell’industria petrolifera libica, il cui ruolo all’interno dell’OPEC fu determinante, in quanto fu la prima nazione a decretare definitivamente il tramonto della leadership delle grandi Compagnie.

Come anzidetto, in Libia la produzione, avviata negli ultimi anni cinquanta, raggiunse e superò quella del Kuwait nel 1968196.

194

Corn, Petrolio e rivoluzione op.cit. p.51.

195 Chalabi, Oil policies, oil myths, op. cit. pp.72-94.

196 John Duke Anthony, The Middle East : Oil Politics, and Development, American

115 Il paese, come gli altri produttori, auspicava di incrementare le sue

entrate dalla vendita del petrolio e dall’inizio delle concessioni aprì la strada anche alle Compagnie indipendenti197, per cui già a metà degli anni sessanta, vantava 84 concessioni e 21 Compagnie operanti.

La diatriba tra il governo libico e le Compagnie, per quanto riguarda la questione dei prezzi, iniziò già alla fine degli anni sessanta, prima dell’arrivo di Gheddafi.

Il prezzo, fino ad allora stabilito dalle Compagnie, era lo stesso della varietà Arabian light, ma il petrolio vantava proprietà qualitative di gran lunga superiori, oltre ad essere estratto in Libia, con i vantaggi della sua collocazione geografica, che sono già tati sottolineati.

Sulla base di queste considerazioni, il governo libico intraprese una durissima pressione economica sulle Compagnie.

Per la Libia, il 1969, segnava una nuova pagina nella storia del paese. Con un colpo di Stato, organizzato dagli ufficiali militari, venne deposta la monarchia di re Idris, a favore del colonnello Gheddafi198. Il nuovo leader libico, fervente nazionalista, inizialmente filonasseriano, nel 1970 chiese una revisione degli accordi fifty-fifty. Gheddafi aveva molti interlocutori rispetto ai paesi del Golfo, avendo

197 Corn, Petrolio e rivoluzione, op.cit. p.52. 198

116 autorizzato ben 84 concessioni199, alle grandi Compagnie anglo-

americane e alle indipendenti.

Il primo tentativo del colonnello di negoziare con le grandi Compagnie Exxon200, la Mobil, la BP e la Texaco fallì, in quanto queste si rifiutarono di accettare le pretese di Tripoli, che chiedeva un aumento di 40 centesimi al barile201. Il Dipartimento di Stato americano, e soprattutto il massimo esperto petrolifero di questioni mediorientali, Jim Akins, ammoniva le Compagnie di convenire ai diktat di Gheddafi, ritenuti dallo stesso ragionevoli, ma queste si rifiutarono fermamente202.

Non restava quindi che fare leva sulle indipendenti, che avevano poco margine di manovra.

La motivazione che sta alla base di questa scelta, derivava dal fatto che le indipendenti, a differenza dei colossi già affermati come la Exxon, non avendo altre fonti da cui attingere petrolio, avevano pochissimo potere contrattuale, rappresentavano quindi l’anello più debole della catena, e le scelte del governo di Tripoli non avrebbero incontrato alcuna resistenza nel tentativo di innalzare i prezzi.

199

Ivi.

200

L’attività di esplorazione del sottosuolo libico, è stata inaugurata dal governo di Londra nel 1943, anno dell’occupazione militare inglese della Tripolitania e Cirenaica. Tuttavia la prima scoperta di petrolio nel deserto libico è da attribuire all’americana Exxon, che il 14 giugno del 1959, annunciò la scoperta del vastissimo giacimento di Bir Zelten, in Cirenaica. M. Cricco, Il petrolio dei Senussi, op.cit. p. 81- 82.

201

Anthony Sampson, Le sette sorelle, op.cit. p. 280.

117 Tra le compagnie indipendenti che operavano nel deserto libico,

l’Occidental Petroleum, era quella che vantava una produzione maggiore. L’Occidental aveva ottenuto due concessioni, una della quale appartenuta alla Mobil, e poi da questa abbandonata, in seguito all’ottenimento di risultati insoddisfacenti.

Nel 1969, produceva 800.000 barili al giorno di petrolio destinato al mercato europeo203,e per di più, era più propensa alle richieste libiche in quanto la Libia era l’unico paese in cui operava, a parte una produzione trascurabile in California, a Los Angeles (soltanto 100 barili al giorno). Un eventuale taglio alla produzione, l’avrebbe esposta al serio rischio di dovere interrompere la sua attività.

Si verificò esattamente quanto previsto dallo stesso Gheddafi. Infatti, dopo le richieste di revisione degli accordi degli anni cinquanta, ormai obsoleti, e la resistenza seppur minima, da parte dell’Occidental, venne imposto un taglio alla produzione, da 800.000 a 500.000 barili al giorno204.

Le difficoltà in cui versava l’Occidental, in seguito ai tagli sulla produzione205, spinsero Armand Hammer, presidente della Compagnia, a chiedere aiuto al presidente di allora della Exxon, Kenneth Jameison,

203 Leonardo Maugeri, L’era del petrolio, pp.123-124. 204 Ali D. Johany, The Myth of the O.P.E.C. Cartel, op. cit. p.9. 205

118 ma questi rifiutò di concedere la vendita di greggio a prezzi di costo,

secondo quanto richiesto dall’Occidental206

.

Il diniego della Exxon, nonché il rifiuto di Jameison di costruire un fonte unito in opposizione alle richieste del Consiglio Rivoluzionario, furono le condizioni che costrinsero Hammer a pervenire, il primo settembre del 1971, ad un accordo con il governo libico207.

Questo prevedeva un aumento del prezzo posted di 30 centesimi al barile, facendo quindi aumentare il prezzo da 2.23 dollari a 2.53 dollari, e un aumento della tassazione dal 50% al 58% dovuta a Tripoli.208 Gli stessi termini furono imposti ad un altro consorzio, l’Oasis, composto dalla Continental, dalla Marathon, dell’Amerada Hess e dalla Shell. Quest’ ultima però, che vantava una produzione che andava ben aldilà del deserto libico, venne meno ai termini imposti dal Consiglio Rivoluzionario e uscì dal Consorzio, interrompendo la produzione il 25 settembre del 1971.

La pressione esercitata dal leader libico sull’Occidental, e sull’Oasis, sostenuta dal governo algerino209 e iracheno, non andava interpretata soltanto come una mossa economica, che avrebbe avuto soltanto il

206

Antony Sampson, Le sette sorelle, op.cit. pp.. 281-292.

207 M. Cricco, Il Petrolio dei Senussi, op. cit. , p. 213. 208

Yergin, Il Premio, op. cit p.478. Ali D. Johani,The Myth of the O.P.E.C. Cartel op.

cit. p.9.

209 Anche l’Algeria in quegli anni assistette alla nazionalizzazione delle compagnie

petrolifere operanti nel paese. L’Algeria, cosi come la Libia, non agì con moderazione, ma con una politica di imposizione sulle compagnie operanti sul territorio, tra cui la Shell e la Phillips.

119 conseguente esito di incamerare maggiori introiti. Gheddafi puntava

sugli effetti a lungo termine, agendo con una strategia meramente politica, che avrebbe voluto, dopo l’allineamento delle indipendenti, la capitolazione anche degli altri colossi210.

La resa delle grandi Compagnie infatti non tardò ad arrivare, e avvenne in occasione degli accordi di Tripoli, in seguito ai quali il Consiglio Rivoluzionario, il primo settembre del 1971, dichiarò l’acquisizione del 51% dell’industria petrolifera, in occasione dell’anniversario dell’avvento al potere di Gheddafi211

.

Nel dicembre dello stesso anno, nazionalizzò le proprietà della BP212. Nel giugno del 1973 dichiarò la nazionalizzazione dell’americana Bunker Hunt, l’indipendente americana che nel 1961 aveva scoperto il giacimento di Sarir213,per poi completare la nazionalizzazione nel febbraio del 1974214.

210

Leonardo Maugeri, L’era del petrolio, op.cit. p. 124.

211

La strategia di Gheddafi e del suo braccio destro Jalloud, viene riassunta nelle posizioni di quest’ultimo da Eric Laurent ne La verità nascosta sul petrolio a p.97, :

“Se attacchiamo frontalmente tutte le compagnie sarà la fine, queste hanno i mezzi per fare a meno del greggio libico per parecchi mesi. Nazionalizzarle non ci servirà a niente: avremo sulle spalle navi vuote e pozzi inutilizzabili, mentre ciò che vogliamo sono i loro soldi. scegliamo una sola compagnia, costringiamola a firmare un nuovo contratto, aumetiamo il prezzo del greggio, non più di 50 centesimi il barile e sarà un trionfo. Tutte ci seguiranno”.

212

M. Cricco, Il Petrolio dei Senussi, op.cit. p. 218.

213

La nazionalizzazione della Bunker Hunt, una Indipendente texana che faceva parte della più grande H. L. Oil Company, fu resa nota il giorno del terzo anniversario dell’espulsione delle forze militari statunitensi dalla base aerea del giacimento Wheelus nel 1969. In quell’occasione, a cui parteciparono anche Sadat e il presidente dell’Uganda, Idi Amin, le parole di Gheddafi nei confronti degli Stati Uniti furono durissime. Egli motivò la nazionalizzazione con le seguenti parole:” The time

has come for Arab to face up to the United States, the time has come for Arab to seriously and dangerously threaten American interests in the ( Middle east) region.

120 La concessione che venne ritirata per ultima fu quella saudita, che da

sola rappresentava ¼ delle riserve mondiali di petrolio215. Dal rapporto tra Ryad e l’ARAMCO, fin dalla sua costituzione, è sempre emersa una fitta collaborazione.

Le scelte dell’ARAMCO, totalmente americana, fin dalle sue origini, sono state intraprese facendo gli interessi di entrambe le parti.

Per le quattro consociate, era fondamentale trattenere i diritti concessionari più di ogni altra cosa, per cui non opposero mai una strenua resistenza nei confronti delle richieste del Regno, che a sua volta, cercava di compiacere Washington, in ogni sua manovra.

Tutto va compreso tenendo conto della relazione granitica tra gli Stati Uniti e l’Arabia Saudita, che rimase ben salda nonostante le posizioni diametralmente opposte in merito alla questione israeliana.

La linea politica morbida seguita dall’Arabia Saudita, fin dalle origini della sua industria petrolifera nei confronti degli Stati Uniti, può essere motivata dal fatto che il paese, a differenza degli altri paesi OPEC, non aveva mai vissuto l’esperienza della colonizzazione, che aveva plasmato in qualche modo un sentimento antioccidentale, diffusosi a

The United States is threatening us with spyplanes. With naval carrier ships. The United States is challenging our freedom”. Queste sono le parole che motivano le

scelte di Gheddafi, pubblicate nel Bangor Daily News, a p.22 del 12 giugno del 1973.

214 M.Cricco, Il Petrolio dei Senussi op.cit. p. 219. 215

121 macchia l’olio, oltre che negli altri Stati del Golfo, nei paesi dell’Africa

mediterranea.

La concessione saudita, oltre ad essere la più importante in termini quantitativi216, era anche la più redditizia al mondo.

Proprio nel 1970, a causa del fabbisogno mondiale, ma anche per effetto dell’embargo, la produzione crebbe inesorabilmente tanto da fare registrare una crescita vertiginosa nelle entrate saudite del petrolio: dal 1973 gli introiti, che ammontavano a 4,3 miliardi di dollari, passarono a 33,5 nel 1976, e 116,2 nel 1981217.

Va precisato che nel corso degli anni settanta, l’Arabia Saudita, in virtù delle sue potenzialità petrolifere, ha assunto una posizione chiave in seno all’OPEC, guadagnandosi l’appellativo di price leader, in quanto monitorava l’andamento del prezzo218

, aumentando o diminuendo la sua produzione219.

Lo stesso Yamani, nel 1970, sosteneva che sarebbe stato opportuno aumentare la produzione almeno di 20 mila barili al giorno, in vista di un imminente innalzamento dei prezzi.

216

Nonostante ammontino a 80 i giacimenti sfruttati di petrolio, il 12,5% di tutto il petrolio mondiale conosciuto è concentrato in otto giacimenti sauditi. Il Regno vanta inoltre i due più grandi giacimenti onshore e offshore del mondo, in ordine quello di Ghawar e quello di Safaniya. Robert Baer, Dormire con il diavolo op. cit. p. 17.

217

Pascal Ménoret, Sull’orlo del vulcano, Il caso dell’Arabia Saudita, Feltrinelli, 2004, p.110.

218 Robert Baer, Dormire con il diavolo, op. cit. p. 23. 219

122 Le riserve saudite, quindi, hanno assunto un ruolo deterrente contro

le forsennate richieste soprattutto del governo iraniano, fervente sostenitore del rialzo dei prezzi, grazie al quale lo Scià avrebbe voluto fare dell’Iran un paese ricco e moderno, alla stregua delle più importanti economie occidentali220.

La politica dei prezzi moderati di Ryad poggiava su due elementi: il primo consisteva nel timore che un aumento del prezzo ritenuto proibitivo per l’Occidente avrebbe spinto i consumatori a cercare fonti alternative, con la nefasta conseguenza di accumulare riserve saudite invendute, o addirittura il crollo in caduta libera dei prezzi.

L’altro elemento che stava alla base delle scelte del Regno, era dovuto alla scelta di compiacere il suo più grande alleato occidentale: Washington.

La crescita della produzione in quegli anni, oltre a dipendere anche da una maggiore domanda, era stata fortemente portata avanti dalle quattro consociate dell’ARAMCO, la Exxon, la Mobil, la Socal e la Texaco. Secondo quanto affermato da due autorevoli giornalisti americani, Anderson e Hersh, le quattro americane paventavano già da tempo l’ipotesi della nazionalizzazione.

Per questo motivo esse cercarono fino all’ultimo di incamerare maggiori introiti, grazie anche all’aumento dei prezzi ( fig.4), e

123 sfruttare il più possibile quell’occasione che di lì a poco non avrebbero

più avuto221. anno Prezzo Arabian light 1970 1,800 1971 2,214 1972 2,298 1973 4,124 1974 7,763 1975 7,813 1976 7,458 1977 7,389

( Fig.4.) Giovanni Spantigati, Petrolio, gli anni della crisi e le ingiunture future, Universale Etas, Milano, 1979. p.63.

Venendo ora al processo di nazionalizzazione, il Regno non optò per una totale nazionalizzazione delle Compagnie, ma preferì un percorso

221 Pare che l’ipersfruttamento dei bacini petroliferi abbia danneggiato il sottosuolo,

per questo motivo, furono chiamate in causa dal Congresso Americano a rispondere del danno commesso, Eric Laurent, La verità nascosta sul petrolio, op. cit. p.126.

124 graduale, che poi sarebbe sfociato inevitabilmente nell’assumere il

pieno controllo della sua industria.

Yamani, è stato definito il padre delle “Partecipazioni”. Infatti fu lui stesso a proporre questa nuova forma di ingresso degli Stati nella proprietà delle Compagnie, proponendo delle quote azionarie definite ragionevoli per queste ultime.

Si può definire il sistema delle partecipazioni cucito su misura del Regno, in quanto fu soltanto da questo accettato senza indugi, considerando la trascurabile produzione di Abu Dhabi. L’accordo prevedeva un ingresso dello Stato nella proprietà delle Compagnie nella misura del 25%, una percentuale che sarebbe aumentata gradualmente del 5% ogni anno. Dopo il ritiro dell’embargo, l’8 marzo del 1974, la quota azionaria del governo ammontava al 60%, e soltanto nel 1976 si pervenne ad un accordo definivo.

Questo prevedeva l’assorbimento saudita dell’intero consorzio, e a differenza delle altre nazionalizzazioni, i rapporti tra lo Stato e le Compagnie rimasero quasi immutati, tanto che la produzione continuò con lo stesso ritmo, se non più veloce, e gli accordi saranno firmati soltanto nel 1990, in ragione della fiducia reciproca.

L’ effetto più visibile del negoziato, fu il ridimensionamento del ruolo delle Compagnie, in quanto non erano più nella posizione di dettare la politica dei prezzi e l’andamento della produzione.

125 La loro attività non fu interrotta ma fu monitorata e gestita dal governo

attraverso un contratto di partecipazione, secondo il quale, avrebbero percepito un corrispettivo di 21 centesimi al barile222.

Il processo di nazionalizzazione, in questo modo, sembrò quasi naturale, un’ espressione della fine di un’epoca e l’inizio di una nuova. Un processo condotto senza intimidazioni alle Compagnie, che iniziò dalle “partecipazioni” volute da Yamani nel 1972, per concludersi nel 1975, allineandosi con gli altri partner regionali.