UNIVERSITÀ DI PISA
FACOLTÀ DI MEDICINA E CHIRURGIA
CORSO DI LAUREA IN
SCIENZE E TECNICHE DI PSICOLOGIA DELLA SALUTE
“Tecniche di rilassamento in atleti apneisti d'elite :
studio psicometrico e psicofisiologico
degli effetti della meditazione”
-
“Relaxation techniques performed by elite divers:
a psychometric and psychophysiological study about the
effects of meditation”
RELATORE / SUPERVISOR
Angelo Gemignani, MD, PhD
CANDIDATO / EXAMINEE
Francesca Lami
1
INDICE / TABLE OF CONTENT
A) RIASSUNTO / pag. 3
ABSTRACT pag. 5
B) INTRODUZIONE AL LAVORO DI TESI / PREFACE pag. 7 C) REVISONE DELLA LETTERATURA / STATE OF ART pag. 7 D) VALUTAZIONE DEGLI EFFETTI DELLA MEDITAZIONE
SU ALCUNE FUNZIONI COGNITIVE/EMOTIVE (VALUTAZIONE
PSICOMETRICHE DI TRATTO E DI STATO), SULL’ATTIVITÀ CEREBRALE E AUTONOMICA (EEG, ECG E RESPIROGRAMMA) E SULLA FUNZIONE RESPIRATORIA IN ATLETI APNEISTI D’ELITE /
EVALUATION OF THE EFFECTS OF MEDITATION ON SOME COGNITIVE / EMOTIONAL FUNCTIONS ( TRAIT AND STATE PSYCHOMETRIC EVALUATION), ON CEREBRAL AND AUTONOMIC ACTIVITIES (EEG, ECG AND RESPIRATION) AND ON RESPIRATORY FUNCTIONING pag. 32 E) CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE / CONCLUDING REMARKS pag. 50 F) Appendice A – Tabella riassuntiva degli studi EEG in Meditazione /
Attachment A – Table summarizing studies on EEG changes during Meditation pag. 51 G) Appendice B - Tabella riassuntiva degli studi fMRI/PET in Meditazione /
Attachment B – Table summarizing studies on fMRI/PET metabolic changes
during Meditation pag. 56 H) Appendice C – DETTAGLI DELLE SCALE PSICOMETRICHE /
Attachment C – DETAILS OF THE PSYCHOMETRIC SCALES pag. 58 I) Appendice D - REPORTS E INTERVISTA SEMI-STRUTTURATA
SULL'ESPERIENZA FATTA DURANTE LA MEDITAZIONE /
Attachment D – DIVERS’ REPORTS AND SEMI-STRUCTURED INTERVIEW ON THE EXPERIENCE MADE DURING MEDITATION pag. 73 J) Appendicee E – METODI DI ANALISI DEI SEGNALI /
Attachment E – SIGNAL POSTPROCESSING pag. 77 K) Appendice F – RISULTATI ALLE SCALE PSICOLOGICHE SOGGETTO
PER SOGGETTO / Attachment F – PSYCHOMETRIC SCALES RESULTS FOR EACH VOLUNTEER pag. 82
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L) Appendice G – EFFETTI PSICOLOGICI E CLINICI /
Attachment G – PSYCHOLOGICAL AND CLINICAL EFFECTS
OF MEDITATION pag. 85 M) BIBLIOGRAFIA / REFERENCES pag. 89
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A) RIASSUNTO
Lo scopo principale di questo lavoro di tesi è stato quello di affrontare sia sul piano teorico che su
quello sperimentale lo studio degli effetti indotti dalle tecniche di meditazione sull'attività cerebrale, sull’attività del sistema nervoso autonomo e su aspetti di vissuto soggettivo quali l’emozione di ansia e la percezione dello stress.
Questo lavoro di tesi si suddivide in due parti: a) revisione dei principali studi presenti in letteratura;
b) fase sperimentale di valutazione degli effetti della meditazione su alcune funzioni cognitive/emotive (valutazione psicometriche di tratto e di stato) sull’attività cerebrale e autonomica (EEG, ECG e respirogramma) in atleti apneisti d’elite prima e dopo performance sportiva.
a) La revisione della letteratura ha evidenziato che l’uso prolungato nel tempo di tecniche meditative, si associ a cambiamenti cerebrali sia di tipo anatomico che funzionale. Queste
modificazioni sono consistenti tra i vari studi e in particolare tra le varie metodiche di registrazione
come EEG, PET e MRI (strutturale, funzionale, spettroscopica). A queste modificazioni si associano
sul piano comportamentale migliori performance attentive e gestione delle emozioni negative.
Tuttavia la caraterizzazione personologica e psicometriche dei soggetti utilizzati per questo genere
di studi è spesso insufficiente e poco rigorosa. Altro limite degli studi presenti in letteratura è
sicuramente rappresentato dalla non completa omogeneità dei campioni studiati.
Nella seconda parte della tesi (b) è descritto uno studio pilota, che, a partire dalle evidenze suddette
punta ad ottenere conoscenze più approfondite e specifiche in questo campo. In particolare lo studio
descrive l'utilizzo della meditazione come tecnica di rilassamento in atleti apneisti d'elite. Lo studio
prevedeva una caratterizzazione di tipo personologico e psicometrico ed una valutazione di stato degli effetti della meditazione sull’attività EEG, autonomica e sulla percezione dello stress e dell’ansia. Lo studio prevedeva inoltre l’identificazione di correlazioni tra il grado di compromissione della funzione respiratoria dopo performance sportiva e capacità meditativa
4 indicata dalla riduzione della percezione dell’ansia.
I dati preliminari della fase sperimentale indicano che la meditazione induce una riduzione dei
punteggi delle scale psicometriche che valutano la percezione dello stress e dei livelli d’ansia. Per quanto attiene l’analisi dell’EEG, lo stato meditativo confrontato con veglia rilassata ad occhi chiusi induce un incremento significativo di attività teta ed alfa nelle regioni fronto-centrali e di attività
gamma generalizzato. A queste modificazioni EEG si associa un incremento di attività
parasimpatica identificato mediante analisi spettrale del segnale di variabilità cardiaca.
Inoltre è stato osservato che nei soggetti apneisti le migliori capacità meditative si associano ad una
minore compromissione della funzione respiratoria dopo performance.
In conclusione i dati di questo lavoro di tesi indicano che le tecniche meditative sono in grado di modulare sia l’attività cerebrale che autonomica i cui correlati comportamentali sono la riduzione della percezione dello stress e il maggior controllo dei livelli d’ansia. L’utilizzo di queste tecniche in atleti estremi come gli apneisti permette non solo di controllare le emozioni negative legate alla
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ABSTRACT
The main aim of this thesis has been to study the effects of meditation techniques on cerebral and
autonomic activities and on anxiety and stress perception, both by reviewing the scientific literature
and by carrying on a pilot study.
This work has been divided in two sessions: a) the state of art of literature on meditation; b) a pilot
study on the effects of meditation on some cognitive and emotional functions (state and trait
psychometric evaluation), on the cerebral and autonomic activities (EEG, ECG and respiratory rate)
and on respiratory functioning, in elite apnea divers. Athletes have been studied before and after the
apnea sessions.
a) Literature revision highlighted that the long-term use of meditative techniques is associated with
structural and functional brain changes. These modifications are consistent across studies and across
different methods, such as EEG, PET and MRI (structural, functional and spectroscopy). A better
attentive performance and a more effective management of negative emotions have been observed.
These behavioral output are associated with neurobiological changes. Nevertheless some
psychometric features and specific type of personality of the subjects of the studies do not seem
quite correct from the methodological point of view. A further limitation of the reviewed studies is
the lack of homogeneity in the samples studied.
In the second part of the work (b) is described a pilot study, where I participated collecting
psychometric data. In particular, the study describes the use of meditation as relaxation technique in
elite apnea divers. In the study, an evaluation of the divers’ personality and an evaluation of the
effects of meditation on EEG activity, on autonomic response and on the perception of anxiety and
stress have been carried out.
In addition, we wanted to correlate the impairment of respiratory functioning after the apnea and the
ability of the diver to meditate before the practice. The ability to meditate was assessed considering
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Data obtained from statistical analysis have shown that meditation produces a reduction of the
scores in psychometric scales, which evaluate perceived stress and anxiety level.
Data from statistical analysis of the EEG parameters have shown that meditative state compared to
the resting state produces a specific increase of theta and alpha activities in fonto-central areas and
an overall increase of gamma activity. Together with these EEG modifications, it is associated an
increase in parasympathetic activity, that has been identified using the spectral analysis of the Heart
Rate Variability signal.
Furthermore, it has been observed that there is a correlation between the best meditative
performances before the apnea and the lowest impairment of respiratory functioning after the apnea.
To conclude, examining data from this thesis, we could declare that meditative techniques are able
to modulate both cerebral and autonomic activities and that the behavioral correlates of these results
are the reduction of stress perceived and a better control of anxiety level. Elite apnea divers, using
these techniques, are able to control the negative emotions, that could emerge because of the
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B) INTRODUZIONE AL LAVORO DI TESI
Gli stati meditativi sono frutto di tecniche atte a modulare l’attività fisica e mentale al fine di mettere in atto una risposta da rilassamento. La meditazione non è un fenomeno unitario ma
esistono differenti modelli e tecniche che inducono diversi stati di coscienza.
L’utilizzo delle moderne tecniche di esplorazione funzionale del cervello ha permesso di uscire da una dimensione solamente esperienziale e di descrivere i correlati psicobiologici associati agli
effetti della meditazione.
A questo riguardo, lo scopo principale di questo lavoro di tesi è duplice;
1. mediante un’ampia revisione dei dati della letteratura, è stato affrontato il problema della
identificazione dei correlati psicobiologici associati alle differenti tecniche meditative,
2. mediante uno studio pilota condotto su atleti apneisti d’elite sono stati identificati gli effetti
psicometrici e psicofisiologici della meditazione.
C) REVISIONE DELLA LETTERATURA C1) Descrizione delle tecniche meditative
La parola meditazione è usata per descrivere pratiche che autoregolano il corpo e la mente, tramite
l'utilizzo di uno specifico set attentivo. Queste pratiche sono un sottoinsieme di quelle usate per
indurre la classica risposta da rilassamento oppure stati alterati di coscienza, come l'ipnosi, il
rilassamento progressivo e le tecniche per l'induzione della trance (Vaitl et al., 2005).
Nonostante la modulazione dell'attenzione rappresenti il nucleo centrale tra le diverse pratiche
(Davidson & Goleman, 1977), gli stili meditativi possono essere classificati in due classi in base a dove l'attenzione sia diretta: “mindfulness” e quella “concentrativa”.
Le pratiche “mindfulness” richiedono di prendere in considerazione ogni pensiero, sentimento o sensazione che cresce, che si origina, mantenendo una specifica posizione attentiva: essere
8 analizza.
A questa categoria appartengono la meditazione Zen1, Vipassana2, e l'adattamento occidentale alla
meditazione Buddhista mindfulness (Kabat-Zinn, 2003).
Le tecniche meditative concentrative utilizzano, invece, la focalizzazione della propria attenzione su
specifiche attività mentali o sensoriali: un suono che viene ripetuto (il mantra3 ), un'immagine che
viene visualizzata mentalmente, o porre attenzione a sensazioni del corpo o al proprio respiro.
Gli esempi includono forme di meditazione yoga e la Meditazione Buddhista Samatha4.
La meditazione trascendentale (TM) assomiglia ad alcune forme di meditazione concentrativa,
perché la pratica consiste nella ripetizione di un mantra; tuttavia la pratica pone particolare enfasi
sul fatto che non si devono compiere sforzi di concentrazione e che si debba sviluppare un osservatore libero da pensieri, caratterizzato da una “consapevolezza trascendentale”. Il mantra, infatti, serve solo per occupare la consapevolezza in modo che non ci siano sforzi concentrativi,
distinguendo così la tecnica dalle altre pratiche concentrative (Mahesh Yogi, 1963; Travis et al.,
2002).
Sostanzialmente quindi la meditazione mindfulness richiede un mantenimento dell'attenzione con una percezione “aperta” verso la realtà esterna, mentre quella concentrativa richiede un restringimento del focus attentivo.
Le pratiche mindfulness cercano di supportare la continua attenzione sulla propria consapevolezza,
in un modo che il soggetto sia aperto e non giudicante verso la propria dimensione cognitiva e
sensoriale, e che includa la meta-consapevolezza o l'osservazione dei contenuti dei pensieri nel
momento presente.
1 Questa tecnica viene svolta seduti in una specifica posizione, e l'attenzione viene posta a vivere nel momento presente, senza cercare di far focalizzare l'attenzione su qualcosa di specifico, nonostante venga consigliato per accedere a questo stato di contare i respiri (Ospina et al., 2007).
2 É detta anche “meditazione basata sull' insight ”, in quanto mira a far aver un atteggiamento verso gli eventi della vita, caratterizzato dalla chiarezza e dalla precisione, e dal vedere ogni componente come distinta. In questo modo si percepisce la vera realtà delle cose (Ospina et al., 2007).
3 Un mantra è un suono, una parola, una frase, che viene recitato ripetutamente, di solito seguendo un tono che non varia. Può essere cantato oppure ripetuto in silenzio ( Ospina et al., 2007).
4 Nella pratica Yoga si mira a far aumentare la concentrazione e a raggiungere uno stato in cui l’attività mentale è stabile e focalizzata sulle sensazioni del momento presente. Per arrivare a questo stato, particolare enfasi viene posta sull'attenzione verso il proprio respiro (Ospina et al., 2007).
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Le tecniche concentrative permettono ai pensieri e alle sensazioni che si originano di restare nella
mente del soggetto, spostando però l'attenzione verso uno specifico oggetto in modo da sviluppare un “osservatore che osserva se stesso”. Il metodo usato per generare questo stato specifico differisce a seconda della pratica, ma i risultati sono simili e riguardano cambiamenti nell'esperienza del sé :
ad esempio l'esperienza di un sé dilatato, non centrato sullo schema corporeo dell'individuo e sui
propri contenuti mentali (Mahesh Yogi, 1963; Naranjo & Ornstein, 1971; Ornstein, 1972; West,
1987; Wallace, 1999).
Molte tecniche meditative collocano alcuni stati che avvengono durante la pratica su un continuum
tra le due classi (Shapiro & Walsh, 1984; Wallace, 1999; Andersen, 2000), senza provare a definirle
secondo lo schema classico, ponendo invece molta più enfasi ai benefici della pratica.
Infatti, si deve tenere presente che lo sviluppo della prospettiva di un “osservatore trascendentale” sui contenuti mentali è uno scopo implicito o esplicito della maggior parte delle tradizioni
meditative (Walsh, 1982; Kabat-Zinn, 1990; Goleman, 1996). I due stili si sovrappongono perché
hanno scopi simili: risulta quindi chiara la difficoltà a categorizzare una pratica meditativa come
puramente mindfulness o concentrativa.
C2) Aspetti di tratto e di stato
La misura dell'attività cerebrale nelle pratiche meditative è basata sul presupposto che differenti
stati di coscienza siano accompagnati a differenti correlati psicofisiologici. Lo stato5 per la
meditazione, si riferisce a una consapevolezza sensoriale, cognitiva e autoreferenziale alterata che
può modificarsi durante le pratiche meditative. Per tratto6, si intendono invece cambiamenti in
queste dimensioni, che rimangono nel meditatore indipendentemente dall'essere attivamente in uno
stato meditativo ( Shapiro & Walsh, 1984; West, 1987; Austin, 1998).
La regolare pratica meditativa può produrre sia specifici effetti di stato che cambiamenti a lungo
5 Caratteristica (cognitiva, affettiva, o psicomotoria) o costrutto psicologico la cui ampiezza varia in riferimento al momento in cui è misurata.
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termine (effetto tratto). I cambiamenti di stato riportati da varie tradizioni meditative includono un
profondo senso di pace e calma, una cessazione o un rallentamento del dialogo mentale interno,
esperienze di chiarezza percettiva e consapevolezza conscia che emergono a pieno con la
meditazione, indipendentemente dalla tecnica usata (Brown, 1977; West, 1987; Wallace, 1999). Un’esperienza comune di molte pratiche meditative è uno spostamento meta-cognitivo nella relazione tra pensieri e sentimenti: essi vengono a essere osservati come fenomeni che insorgono,
invece che come fenomeni che occupano la piena attenzione (West, 1987; Wallace, 1999). Sono possibili anche “i picchi di esperienza” (o illuminazioni), caratterizzati da un beato assorbimento nel momento presente (es. gli stati di Samadhi, Nirvana, Oneness); le diverse tradizioni usano nomi
diversi per denominare questi stati indescrivibili (Mahesh Yogi, 1963; Wilber, 1977; Forman, 1990;
Goleman, 1996), e che si originano solo se si pratica per lungo tempo (Wallace, 1999; Travis et al.,
2002).
Nonostante questi “picchi di esperienza mistica”, siano interessanti da esplorare nel loro evolversi nel tempo, la ricerca si è concentrata sugli effetti di tratto (Kwon et al., 1996; Goleman, 1996; Dalai
Lama & Cutler, 1998; Goleman, 2003), in quanto le esperienze estreme possono emergere anche in
circostanze non strettamente correlate alla meditazione (James, 1902; Maslow, 1964).
I cambiamenti di tratto indotti dalla meditazione a lungo termine comprendono lo sviluppo di un
profondo senso di pace, un aumento del senso di benessere, una maggiore consapevolezza del
campo sensoriale, uno spostamento riguardo a pensieri, sentimenti e esperienze di sé. Un altro
cambiamento di tratto interessante da seguire nel tempo è il fare esperienza di stati di coscienza riferiti “a un osservatore”, o “di esperienza trascendentale”. Questa situazione, consiste in una consapevolezza costituita da un numero sempre minore di contenuti del pensiero, che è
indipendente dalle attività mentali, che può essere presente durante il sonno profondo, e produrre la
percezione di un alterato senso d'identità in cui la separazione percepita tra l'osservatore e
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via che si sviluppa la percezione della mancanza di separazione, il senso di sé sembra cambiare da
pensiero mentale centrato sul corpo a un’essenza impersonale. Questa consapevolezza è collegata
al vuoto essenziale di una identità del sé separata e isolata.
I primi studi non sono stati ben disegnati per valutare lo stato meditativo e gli effetti di tratto, sia per
la difficoltà a sviluppare un gruppo di controllo, sia per il sinergismo esistente tra stati e tratti
meditativi (Wilber, 1977; Walsh, 1980; Goleman, 1996; Travis et al., 2004).
I meditatori, attraverso la pratica meditativa, acquisiscono la consapevolezza di essere osservatori
dei loro campi emotivi e cognitivi, e perciò, non possono disancorare questo spostamento
meta-cognitivo7. D'altra parte, i soggetti che non meditano, che sono in generale il vero controllo
sperimentale negli studi di tratto, non possono restare fisicamente immobili per un lungo arco di
tempo; in questo modo un confronto con lo stato meditativo prolungato di un meditatore è praticamente impossibile. L’assenza di un controllo scientificamente adatto, ha indotto i ricercatori a disegnare protocolli sperimentali in cui venivano confrontate le condizioni di tratto e di stato solo
nei meditatori (Wallace, 1970; Hebert & Lehmann, 1977; Kwon et al., 1996; Aftanas &
Golocheikine, 2002), o confrontavano gli effetti di tratto tra meditatori e controlli in condizione di
riposo (Travis et al., 2000, 2002; Davidson et al., 2003).
La neurofenomenologia enfatizza la necessità di definire i correlati neurofisiologici sottostanti degli
stati di coscienza e delle esperienze interne (Varela, 1996; Delacour, 1997; Gallagher, 1997; Jack &
Shallice, 2001; McIntosh et al., 2001; Jack & Roepstorff, 2002; Lutz et al., 2002). Lo scopo è quello di usare l’esperienza soggettiva al fine di correlarla con l'attività cerebrale studiata mediante approccio psicometrico o strumentale (EEG o tecniche di neuro immagine). Per esempio, studi su
stati indotti da TM hanno utilizzato protocolli che integrano i dati neuropsicologici (approccio
psicometrico) con le descrizioni riportate dai meditatori (esperienza soggettiva), per ottenere una
correlazione neurofenomenologica tra eventi mentali e misure dell'attività cerebrale (Mason et al.,
7 Quindi uno stato di meditazione osservato in un meditatore può essere semplicemente un profondo riflesso della caratteristica di tratto. Ad esempio, una dimostrazione di questo è stata osservata in un meditatore che raccontava di tenere la mente occupata con pensieri, invece che in meditazione (Mahesh Yogi, 1963; Goleman, 1996).
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1997; Travis & Wallace, 1997; Travis & Pearson, 1999; Travis, 2001); operazioni simili sono state usate per l’EEG e il neuroimaging di stati di ipnosi (Gemignani et al., 2000, 2006; Rainville & Price, 2003).
L’aspetto peculiare della ricerca psicofisiologica nel campo della meditazione è rappresentato dalla stretta collaborazione tra i membri della tradizione meditativa (“cavie” della ricerca) e i ricercatori. Questa interazione ha condotto a definire i livelli dei cambiamenti fenomenologici indotti a lungo
termine dalla meditazione (Mason et al., 1997; Rapgay et al., 2000; Goleman, 2003; Travis et al.,
2004). Questo approccio è un passo necessario per evitare di confondere gli effetti dati da una
meditazione - scelta dal soggetto - (Schuman, 1980; West, 1980a; Shapiro & Walsh, 1984), con
misure di tratto, usando studi prospettici longitudinali di pratiche meditative, comparando questi
con controlli che non fanno meditazione (Davidson et al., 2003).
Un tipo comune di processo interno secondario a pratiche meditative è l'espansione dell'esperienza
di sé, che include l'azione, la memoria autobiografica referenziale, e i fenomeni di
depersonalizzazione (Vollenweider et al., 1997; Vollenweider, 1998; Mathew et al., 1999; Simeon et
al., 2000; Vollenweider & Geyer, 2001; Farrer & Frith, 2002; Sierra et al., 2002; Farrer et al., 2003;
Kircher & David, 2003; MacDonald & Paus, 2003).
Non ci sono studi neurofisiologici sulle esperienze di sé alterate da pratiche meditative per la
difficoltà a quantificarle. Sono state invece costruite misure psicometriche ad hoc per quantificare
gli effetti di stato e di tratto (Friedman, 1983; Friedman & MacDonald, 1997; Dittrich, 1998;
Lehmann et al., 2001; Travis et al., 2002, 2004; Vaitl et al., 2005).
C3) Un primo modello teorico per comprendere la psicofisiologia degli stati meditativi
Un primo modello teorico per comprendere la psicofisiologia degli stati meditativi, ipotizza la
presenza di un continuum dell’attività del sistema nervoso autonomo (SNA), da una dominanza
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cioè con un maggior consumo energetico ) (Fisher, 1971; Gellhorn & Kiely, 1972).
Un’iperattività del SNA ergotrofico condurrebbe a stati di coscienza alterati (tipo mistico) che sono simili a quelli di riscontro nei disturbi psichiatrici, nei rituali estatici e nelle allucinazioni indotte da sostanze psicoattive. Inoltre, l’iperergotrofismo potrebbe anche essere il frutto di un effetto rimbalzo, da una condizione protratta d’ipertrofotropismo indotta da pratiche meditative (Fisher, 1971). Lo sbilanciamento verso uno stato di elevato consumo energetico, potrebbe quindi
rappresentare la base della iper-attivazione che si prova nelle esperienze estreme di stati meditativi8,
rispetto al comune ipo-arousal osservato di norma nelle pratiche meditative (Davidson, 1976) .
C4) EEG e meditazione
C4.1) Studio degli effetti di tratto e stato mediante Elettroencefalografia (EEG): ruolo dell’attività alfa e teta
Anche se i correlati neuroelettrici degli stati di coscienza alterati in meditazione non sono ancora stati stabiliti in modo consistente, l’aumento della potenza del ritmo alfa e teta e la diminuzione di tutte le altre frequenze (con esclusione del ritmo gamma, vedi capitolo successivo) rappresenta un
dato comune nei vari studi in letteratura (per ulteriori approfondimenti, vedere: Woolfolk, 1975;
Davidson, 1976; West, 1979, 1980a; Schuman, 1980; Shapiro, 1980; Pagano & Warrenburg, 1983;
Delmonte, 1984b; Shapiro & Walsh, 1984; Fenwick, 1987; Shimokochi, 1996; Andresen, 2000).
Recentemente mediante un approccio combinato, EEG con risonanza magnetica funzionale (fMRI)
e/o tomografia ad emissione di positroni (PET) è stato dimostrato che un aumento della potenza alfa
si associava a una diminuzione del flusso ematico nelle cortecce frontali inferiori, cingolate,
temporali superiori e occipitali (Sadato et al., 1998; Goldman et al., 2002). Inoltre, utilizzando interferenze sensoriali (stimolazioni sensoriali) o mentali (focalizzazione dell’attenzione), è stato osservata una riduzione della potenza alfa anche dalle corrispondenti aree sensoriali o associative
8 Con esperienze estreme si intendono ad es. “i picchi di esperienza”, gli stati di unitarietà della coscienza, le esperienze religiose mistiche, che possono includere anche delle allucinazioni, tra cui udire o vedere delle presenze, vedere luci o figure, o provare sensazioni di forte paura o profonda gioia (Arzy et al., 2005).
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(Basar et al., 1997; Niedermeyer & Lopes da Silva, 1999; Schurmann & Basar, 2001). I risultati di
questi studi suggeriscono una correlazione positiva tra l'attività talamica e la potenza alfa loco
regionale (Schreckenberger et al., 2004). Anche se un modello integrato neuronale alla base del
ritmo alfa e delle altre frequenze non è stato ancora stabilito precisamente (Niedermeyer, 1997;
Basar et al., 2001), la frequenza alfa sembra essere un segnale dinamico con diverse proprietà (tra
cui anche quelle di connettività funzionale), sensibile alla presentazione e alla aspettativa di uno
stimolo (Steriade, 2000; Schurrmann & Basar, 2001).
L’incremento significativo della potenza del ritmo alfa è di riscontro comune in vari studi che hanno studiato l’effetto stato e tratto (stato: meditatori come controllo di se stessi, meditazione vs risposo; tratto: meditatori vs non-meditatori) (Anand et al., 1961; Wenger & Bagchi, 1961; Kasamatsu &
Hirai, 1966; Wallace, 1970; Wallace et al., 1971; Banquet, 1973; Ghista et al., 1976; Saletu, 1987;
Taneli & Krahne, 1987; Echenhofer et al., 1992; Deepak et al., 1994; Lee et al., 1997; Dunn et al.,
1999; Kamei et al., 2000; Khare & Nigam, 2000; Aftanas & Golocheikine, 2001; Arambula et al.,
2001; Litscher et al., 2001) e questa banda è più forte a riposo, nei meditatori rispetto ai controlli
non meditatori (Kasamatsu & Hirai, 1966; Elson et al., 1977; Corby et al., 1978; Travis, 1991;
Satyanarayana et al., 1992; Deepak et al., 1994; Khare & Nigam, 2000; Aftanas & Golocheikine,
2001, 2005; Travis et al., 2002 ).
Questo risultato è stato messo in relazione con ciò che è emerso dai primi studi sul biofeedback, in
cui livelli attività alfa erano correlati negativamente con i livelli di ansia (Kamiya, 1969; Brown,
1970a, 1970b; Hardt & Kamiya, 1978;).
Tuttavia studi successivi criticano che l’incremento del ritmo alfa possa essere considerato alla
stregua di marker della meditazione; alcuni AA suggeriscono, infatti, che questo incremento possa essere l’espressione della condizione di rilassamento piuttosto che dello stato meditativo (Morse et al., 1977) oppure un bias nella selezione, in quanto coloro che scelgono di meditare presentano
15 basalmente particolari caratteristiche di personalità.
Ciò che si deve comprendere è, se, e come le pratiche meditative producono un aumento specifico
del ritmo alfa, oltre a quello aspecifico ottenuto dalla riduzione generale dell'arousal tipica di ogni
forma di rilassamento. Alcuni studi, che usano condizioni di rilassamento come controllo
(rilassamento vs meditazione TM yogica), non hanno trovato l’incremento
alfa-meditazione-dipendente bensì una sua diminuzione (Tebecis, 1975; Hebert & Lehmann, 1977; Corby et al.,
1978; Lehrer et al., 1980; Lehrer et al., 1983; Pagano & Warrenburg, 1983; Jacobs & Lubar, 1989;
Lou et al., 1999; Travis & Wallace, 1999). Altre forme di meditazione, invece, possono aumentare
specificamente il ritmo alfa: è stato, infatti, riportato che un meditatore Kundalini yoga di elevato
livello, aumentava di circa cinque volte la potenza del suo ritmo alfa durante la meditazione, mentre
sono stati trovati solo moderati incrementi nel ritmo teta (Arambula et al., 2001). Inoltre, meditatori
Qigong, sempre di alto livello, aumentano la potenza alfa selettivamente sulla corteccia frontale
(Zhang et al., 1988).
Altri studi hanno inoltre osservato che l’effetto stato si associa a un rallentamento della banda alfa
(in particolare alfa lento) associato ad un aumento della sua potenza (Kasamatsu & Hirai, 1966;
Banquet, 1973; Hirai, 1974; Taneli & Krahne, 1987). Su questa linea è stato inoltre osservato che i
meditatori TM, rispetto ai controlli, producono attività EEGrafiche con una frequenza complessiva
media più bassa di 1 Hz (Stigsby et al., 1981); infine studiando gli effetti tratto in meditatori Sahaja
yoga è stata messa in evidenza una differenza di frequenza di 0.8-Hz, tra meditatori principianti e
meditatori di alto livello (Aftanas & Golocheikine, 2001).
Per quanto attiene il ritmo teta (4 – 8 Hz), alcuni studi hanno suggerito che durante la meditazione sia proprio l’incremento di questo ritmo, piuttosto che di quello alfa, l’espressione EEGgrafica specifica dell’effetto stato (Anand et al., 1961; Wallace et al., 1971; Banquet, 1973; Hirai, 1974; Elson et al., 1977; Fenwick et al., 1977; Hebert & Lehmann, 1977; Corby et al., 1978; Warrenburg
16
et al., 1980; Pagano & Warrenburg, 1983; Jacobs & Lubar, 1989; Aftanas & Golocheikine, 2001,
2002; Travis et al., 2002).
Alcuni studi della pratica yoga hanno trovano che un aumento nel ritmo teta può essere collegato
alla competenza nelle tecniche meditative (Kasamatsu & Hirai, 1966; Elson et al., 1977; Corby et
al., 1978; Aftanas & Golocheikine, 2001), e alcune tra le prime indagini con meditazione Zen
indicavano che l'aumento di teta è caratteristico solo dei praticanti più avanzati (Kasamatsu &
Hirai, 1966).
Meditatori che praticano da molto tempo, rispetto a non meditatori, mostrano una potenza teta e alfa
di tratto più alta (Woolfolk, 1975; Davidson, 1976; West, 1979, 1980a; Schuman, 1980; Delmonte,
1984a; Jevning et al., 1992; Andresen, 2000; Aftanas & Golocheikine, 2005).
Il ritmo teta è stato inoltre regionalizzato, studiando in modo selettivo le sue modificazioni sulla
linea mediana frontale. I risultati di questi studi indicano un suo significativo incremento in
condizione di meditazione (Hebert & Lehmann, 1977; Pan et al., 1994; Kubota et al., 2001; Aftanas
& Golocheikine, 2002), sebbene questo incremento non sia specifico in quanto presente anche in studi atti a valutare gli effetti legati all’attenzione sostenuta (Mizuki et al., 1980; Gevins et al, 1997; Asada et al., 1999; Ishii et al., 1999).
Per capire la relazione tra il ritmo teta della linea mediana frontale e la concentrazione nelle pratiche
meditative, sono stati studiati due gruppi di meditatori tipo Qigong9 . Un gruppo utilizzava una
pratica basata sulla concentrazione, e l'altro una basata sulla mindfulness (Pan et al. 1994). Anche se
il livello di esperienza nei due gruppi era uguale, la tecnica Qigong concentrativa si associava alla
presenza di teta sulla linea mediana frontale, mentre con l'altra forma non si osservava la presenza
di questa peculiare attività EEG.
Il confronto tra tecniche mindfulness e concentrative trova che le prime producono una maggiore
9 Insieme di tecniche tradizionali cinesi fisiche e mentali, compiute al fine di imparare a autoregolarsi. Si attuano secondo per la regolazione del corpo (attraverso rilassamento e specifiche posizioni), del respiro (respirazione profonda), della mente (pensando e provando specifiche emozioni). Queste si presentano secondo due varianti: quella concentrativa e quella non concentrativa (Ospina et. al, 2007).
17 potenza teta frontale (Dunn et al.1999) .
Questo risultato si discosta dalla relazione inferenziale tra teta frontale e concentrazione focalizzata.
In generale, l'attività teta delle linea mediana frontale è generata dalla corteccia cingolata, dalla
corteccia prefrontale mediale o da quella dorso-laterale (Asada et al., 1999; Ishii et al., 1999).
Questa attività sembra essere correlata sia a compiti che richiedono sforzo attentivo (Mizuki et
al.,1980; Gevins et al., 1997) che a bassi punteggi di ansia di stato e di tratto (Inanaga, 1998).
Quindi, l'aumento del ritmo teta frontale (di stato e di tratto) potrebbe anche essere associato con
una diminuzione dei livelli d'ansia, come risultante della pratica stessa (Shapiro, 1980; West, 1987).
Anche gli stati ipnotici appaiono associati con un incremento del ritmo teta della linea mediana e
con l'attivazione della corteccia cingolata anteriore (Rainville et al., 1997; Rainville et al., 1999;
Rainville et al., 2002; Holroyd, 2003). Quest'ultima a sua volta è stata osservata durante
l'autoregolazione autonomica, stimata dalla risposta galvanica tramite biofeedback (Critchley et al.,
2001, 2002).
Altro parametro indagato negli stati meditativi è la coerenza EEG come indice dell'attività cerebrale
in fase10, cioè della sincronizzazione (Thatcher et al., 1986; Gevins, Bressler et al., 1989; Gevins,
Cutillo, et al., 1989; Nunez et al., 1997, 1999).
Alcuni AA hanno osservato incrementi stato-dipendenti della coerenza intra e transemisferica proprio nell’intervallo frequenziale alfa-teta (Dillbeck & Bronson, 1981; Farrow & Hebert, 1982; Badawi et al., 1984; Gaylord et al., 1989; Travis & Pearson, 1999; Travis & Wallace, 1999; Aftanas
& Golocheikine, 2001; Travis, 2001; Faber et al., 2004; Hebert & Tan, 2004). Un simile effetto, ma
di tratto, è stato trovato in meditatori da lungo tempo, a riposo o durante compiti cognitivi
(Orme-Johnson & Haynes, 1981; Dillbeck & Vesely, 1986; Travis, 1991; Travis et al., 2002; Hebert & Tan,
2004).
10 Si riferisce alla correlazione incrociata quadratica tra la potenza EEG da due localizzazioni sullo scalpo in una banda di frequenza e da un indice della covariazione funzionale dell'attività tra differenti aree corticali.
18
Studi di TM indicano che l’aumento della coerenza alfa si associa ad una marcata riduzione della frequenza respiratoria proprio durante episodi di consapevolezza senza pensiero o di esperienze
trascendentali (Farrow & Hebert, 1982; Badawi et al., 1984; Travis, 2001). Uno studio sulla
meditazione yogica trova che la marcata riduzione della frequenza respiratoria non si associa ad
alcun cambiamento EEGrafico (Corby et al., 1978). Queste discrepanze potrebbero originare dal
fatto che il principale correlato fenomenologico negli studi di TM è il focus sugli eventi della
coscienza, neutri dal punto di vista affettivo, e sulla consapevolezza senza pensiero, mentre gli stati
yoga esaminati erano caratterizzati da sentimenti di beatitudine e unitarietà della coscienza (Travis
& Pearson, 1999).
Nell’applicazione dell’EEG allo studio di correlati psicobiologici della meditazione, è stato osservato un effetto paradosso: l’esperienza soggettiva di meditazione “profonda” si associa a una de-sincronizzazione alfa ed incremento di attività beta (Das & Gastaut, 1955; Anand et al., 1961;
Banquet, 1973; Elson et al., 1977; Elson, 1979; Lo et al., 2003).
Altre misurazioni hanno trovato un aumento di attività nei lobi temporali per stati di estasi
meditativa (Persinger, 1983, 1984) simili a quelli delle epilessie del lobo temporale e a racconti di
profonda estasi e esperienze spirituali, mistiche o religiose da traumi (Dewhurst & Beard, 1970;
Cirignotta et al., 1980; Persinger, 1993; Foote-Smith & Smith, 1996; Asheim Hansen & Brodtkorb,
2003).
C4.1.1) Reazione d’arresto dell’attività alfa
E’ stato concettualizzato che gli effetti della meditazione mindfulness fossero indotti da una de-automatizzazione11, ovvero che il presentarsi di ogni stimolo fosse percepito come evento nuovo nell’ambito di uno stato di aperta consapevolezza rispetto alla condizione di riposo (Deikman, 1966;
19 Kasamatsu & Hirai, 1966).
Una possibile misura di questo processo è la reazione d'arresto alfa, cioè il decremento della sua
potenza dopo lo stimolo12. Il classico paradigma della reazione d’arresto è il brusco passaggio da occhi chiusi a occhi aperti, condizione che si caratterizza per una significativa riduzione dell’attività
alfa nelle regioni posteriori, indicando quindi che questa attività è connotabile come un ritmo “d’ozio” corticale (Basar et al., 1997; Niedermeyer, 1997). Il blocco alfa si osserva anche quando sono presentati una serie di stimoli discreti, in modo tale che si ottengono piccole diminuzioni della potenza alfa tra prima e dopo lo stimolo. Un altro fenomeno legato alla reazione d’arresto è la
habituation di questo effetto; quando si somministra un treno di 10-20 stimoli si osserva la
mancanza del decremento alfa (Morrell, 1966; Barlow, 1985).
Registrazioni EEG effettuate su yogi indiani in condizione di meditazione non trovano alcuna
reazione d'arresto in risposta sia a stimoli uditivi che fisici (come ad esempio fare immergere le loro
mani in una bacinella piena di acqua fredda) (Das & Gastaut, 1957; Anand et al., 1961; Wenger &
Bagchi, 1961). Altri studi successivi effettuati su monaci Zen giapponesi, riportano invece la
presenza della reazione d'arresto a seguito di stimoli uditivi, che non hanno subito il fenomeno della
habituation (Kasamatsu & Hirai, 1966; Hirai, 1974).
Un altro studio effettuato su meditatori TM esperti, istruiti a restare in una condizione di “rilassamento” e a occhi chiusi mentre erano sottoposti a stimolazione luminosa intermittente, ha messo in evidenza che : a) l'attività alfa durante l'intervallo prima dello stimolo era più ampia; b)
l'induzione alfa avveniva più precocemente e con più regolarità; c) il blocco alfa continua anche
durante il treno di stimoli (cioè è osservata una minore habituation) (Williams & West, 1975).
Questi dati possono essere interpretati alla luce della esperienza soggettiva in meditazione; i primi
studi dimostravano che la pratica yogica (cioè quella forma appartenente all'estremo delle pratiche
basate sulla concentrazione) era caratterizzata dall'assenza di blocco alfa, mentre le pratiche Zen
12 Il bloccaggio alpha è definito anche dal rapido passaggio da una condizione di sincronizzazione corticale a una di de-sincronizzazione
20
(cioè quelle forme appartenenti all'estremo delle pratiche mindfulness) erano caratterizzate da una
mancanza di habituation al blocco alfa. Questi risultati sono coerenti con la descrizione soggettiva
da parte dei meditatori di essere profondamente immersi e isolati dalle esperienze sensoriali durante
le pratiche yogiche.
C4.1.2) Lateralizzazione delle attività EEG
In linea con le teorie della specializzazione emisferica, è stata sviluppata un'ipotesi per cui le
pratiche meditative sono associate con l'attività dell'emisfero destro (Ornstein, 1972; West, 1987).
Alcuni studi di stato (meditazione vs riposo) hanno osservato una diminuzione di attività alfa
nell'emisfero destro rispetto al sinistro (Ehrlichman & Wiener, 1980; Fenwick, 1987).
Sono stati osservati anche effetti tratto, che suggeriscono che, i meditatori, rispetto ai non meditatori, mostrano una maggiore lateralizzazione nell’emisfero destro del ritmo alfa (Bennett & Trinder, 1977).
In un altro studio su meditatori Sahaja yoga, che valutava la lateralizzazione come differenza di
tratto, è stato osservato che i praticanti esperti rispetto ai controlli non mostravano alcuna
lateralizzazione emisferica frontale. Per contro, il gruppo meditatori presentava a livello della
corteccia temporale e parietale una potenza EEG più elevata a destra, mentre il gruppo di controllo
una maggiore lateralizzazione a sinistra (Aftanas & Golocheikine, 2005).
C4.2) Studio degli effetti di tratto e stato mediante Elettroenecefalografia (EEG): ruolo dell’attività gamma
La specificità delle misure EEGrafiche in meditazione è stata ampliata grazie alla valutazione della
coerenza del tracciato EEG e alla banda gamma ad alta frequenza (30-80 Hz). Queste due parametri
giocano un ruolo nel sottendere i meccanismi della consapevolezza conscia e di binding percettivo
21
2001; Sewards & Sewards, 2001; Croft et al., 2002; Meador et al., 2002).
Utilizzando il metodo LORETA 13 è stato studiato, mediante un disegno sperimentale tipo caso
singolo, un meditatore di alto livello in quattro stadi meditativi: durante la visualizzazione, il
mantra, l' auto-dissoluzione e l'auto-ricostruzione (Lehmann et al., 2001). L'attività gamma era
l'unica banda che mostrava una distribuzione spaziale differenziale durante gli stadi di meditazione;
la potenza gamma aumentava durante le meditazioni in visualizzazione e in verbalizzazione nelle
regioni centrali-temporali destre e occipitali posteriori sinistre, rispettivamente. Un aumento
dell'attività gamma è stato osservato anche durante la meditazione in auto-dissoluzione nel giro
frontale superiore (area corticale legata alla percezione del sé alterato nella depersonalizzazione
indotta da cannabinoidi e nell'auto-distacco cognitivo indotto da lesioni) (Mathew et al., 1999;
Miller et al., 2001).
Meditatori Buddisthi Tibetani di alto livello e principianti (che praticavano solo da una settimana) sono stati confrontati durante l’esecuzione di tre tecniche distinte: concentrazione su un punto di un oggetto, attenzione senza oggetto, e stati di amore non referenziale e compassione (Lutz et al.,
2003; Lutz et al., 2004). Anche in questo studio è stato osservato, nello stato meditativo rispetto allo
stato di riposo, un incremento significativo della potenza del ritmo gamma a 40 Hz.
Un altro studio su meditatori Buddisthi Tibetani esperti, che utilizzava stimoli visivi ambigui
bistabili, trovava effetti diversi per la meditazione concentrativa rispetto alla meditazione in
compassione o in amore non referenziale (Carter et al., 2005). Alcuni meditatori hanno mostrato un
maggior incremento di potenza gamma, rispetto alla attività alfa, nelle aree frontali durante la
meditazione in compassione o in amore non referenziale. Inoltre, solo nei meditatori e in condizione
di meditazione aumentava sia il rapporto gamma/teta che la sincronizzazione in banda gamma.
Questi dati indicano che, almeno per quelle pratiche meditative che coinvolgono la regolazione
affettiva, l'attività gamma giochi un ruolo predominante.
13 La bassa risoluzione elettromagnetica dell'algoritmo della tomografia dei segnali EEG (LORETA) seleziona tra le distribuzioni di correnti nelle tre dimensioni, le più chiare tra tutte quelle possibili, per localizzare i segnali nello scalpo in un modo compatibile con quella fatta dal fMRI (Pascual-Marqui et al., 1994; Lantz et al., 1997; Vitacco et al., 2002).
22
Infine ciò che differenziava i meditatori Sahaja Yoga dai controlli, come caratteristica di tratto, era
la mancanza di aumento di potenza gamma frontale verso stimoli emozionalmente avversivi
presentati sottoforma di filmati (Aftanas & Golocheikine, 2005) .
C4.3) Sonno e meditazione
L’incremento di attività teta nella meditazione ha fatto ritenere lo stato meditativo come una condizione fisiologica di transizione tra la veglia e il sonno (Younger et al., 1975; Pagano et al.,
1976).
La capacità di stare sospesi tra il sonno e la veglia ha influenzato inevitabilmente la valutazione dello stato di meditazione. A questo riguardo alcuni studi sono stati focalizzati nell’identificazione di differenze EEG tra meditazione, veglia (in condizione di riposo) e sonno (Williams & West,
1975; Elson et al., 1977; Corby et al., 1978; Stigsby et al., 1981).
I risultati di questi studi suggeriscono la prospettiva che la meditazione abbia un'influenza a livello
della consapevolezza conscia simile a quella dello stadio I del sonno NREM verosimilmente legata al “simile” incremento di potenza alfa-teta (Tebecis, 1975; Fenwick et al., 1977; Schuman, 1980; Stigsby et al., 1981; Fenwick, 1987; Young & Taylor, 1998). I meditatori sembrano quindi sospesi
in uno stato fisiologico simile al periodo di stadio I del sonno NREM, in cui il ritmo di fondo
dominante è quello teta (Elson et al., 1977).
Altri studi hanno cercato invece di distinguere gli stati meditativi dallo stadio I del sonno NREM:
ad esempio la condizione di meditazione si caratterizza per un incremento del ritmo teta che è
accompagnato da una potenza alfa stabile o aumentata (Lou et al., 1999), mentre durante lo stadio I
del sonno NREM l'aumento di potenza teta è accompagnato da un decremento della potenza alfa
(Rechtschaffen & Kales, 1968). Inoltre durante la meditazione è stato osservato, mediante tecniche
di neuro immagine, un globale incremento del flusso ematico cerebrale a fronte di una sua riduzione
23
Altri studi hanno confrontato la meditazione con la sonnolenza, indicando che la meditazione è
fortemente caratterizzata da un incremento della coerenza alfa (Travis, 1991; Cantero et al., 1999;
Travis & Wallace, 1999; Travis et al., 2002; Aftanas & Golocheikine, 2003; Faber et al., 2004).
Questi risultati supportano le descrizioni soggettive dei praticanti che indicano che la meditazione e
il sonno non sono stati equivalenti (Banquet & Sailhan, 1974; Hebert & Lehmann, 1977; Corby et
al., 1978; Paty et al., 1978; Stigsby et al., 1981; Delmonte, 1984b; Ikemi, 1988; Aftanas &
Golocheikine, 2001; Naveen & Telles, 2003;).
C4.3.1) Effetti della meditazione sul sonno.
Confrontando il sonno nei meditatori TM con quello di controlli, il dato più rilevante che emerge è
che i meditatori presentano livelli più alti di attività alfa durante il sonno ad onde lente (stadi 3 e 4
del sonno NREM) (Banquet & Sailhan, 1974). Inoltre, meditatori TM di alto livello, capaci quindi di mantenere una “coscienza come osservatori” in tutti i loro cicli di sonno, mostravano, rispetto ai controlli, una maggiore potenza teta veloce e alfa lento durante il sonno ad onde lente (quando
questa attività è al suo nadir). Questi dati sono confermati anche da un altro studio in cui
ugualmente si osservava nel sonno ad onde lente di meditatori che praticavano da lungo tempo un
incremento di attività alfa e teta senza che i soggetti riportassero alcuna consapevolezza del loro
stato (Mason et al., 1997).
Questi dati hanno fatto ipotizzare uno sviluppo di consapevolezza trascendentale che persiste
durante la veglia, il sonno REM, e il N-REM. L'esperienza meditativa può perciò produrre
cambiamenti neurofisiologici durante il sonno che corrispondono a una progressione lungo un
continuum che va dall'essere totalmente inconsci all'essere totalmente consci (Varela, 1997).
C4.4) EEG e meditazione: conclusioni
24
sono che la meditazione influenza l'attività teta, alfa e gamma sia come effetto stato che tratto.
Inoltre anche altre misure dell’EEG sono modulate dalla meditazione, quali la lateralizzazione e la
coerenza, sia intra che transemisferica (in appendice A sono sintetizzati i risultati scaturiti dagli
studi EEG in meditazione).
Un aspetto interessante che emerge da questa rassegna sui correlati EEGgrafici nella meditazione, è
che le differenti tecniche meditative utilizzate possono associarsi a differenti risposte e quindi
spiegare la varianza tra i vari studi. Infatti:
1- la parola meditazione include molte tecniche differenti, e pratiche specifiche che possono portare
a differenti cambiamenti di stato e di tratto.
2- all'interno di una stessa pratica meditativa, gli individui possono variare per il loro grado di
competenza.
3- si deve anche considerare che alcune differenze EEGrafiche possono essere legate a variabili
come lo stato affettivo, l'introversione rispetto all'estroversione, i livello d'ansia che i vari studi non
hanno controllato.
4- I marker neurofisiologici degli stati meditativi possono alterare il pattern EEG di base, in altri
termini non può esistere una netta distinzione tra tratto e stato.
5- Non è ancora chiaro come le misure EEG possano essere influenzate dall'età dei meditatori,
malgrado ci siano cambiamenti neuroelettrici che avvengono nella transizione dall'età
post-adolescenziale alla età adulta (Polich, 1997).
6- Ci sono difficoltà metodologiche che limitano la generalizzazione dei risultati scaturiti dai primi
studi.
C5) Tecniche di neuroimmagine e meditazione C5.1) Tomografia ad Emissione di positroni (PET)
25
inferenziali di attività sinaptica: il metabolismo di glucosio mediante 18FDG e il flusso ematico
mediante 15O-H2O.
Uno dei primi studi PET ha valutato il metabolismo del glucosio (rCMRGlc) durante una
condizione di meditazione yogica rispetto a una condizione di controllo in cui i partecipanti erano
istruiti a pensare a momenti della vita quotidiana (Herzog et al., 1990). Pur essendo l’esperienza
soggettiva della meditazione caratterizzata da sentimenti di rilassamento, pace e distacco in tutti i
soggetti, i risultati di questo studio indicano che la metà dei meditatori mostrava un complessivo
aumento di rCMRGlc mentre l'altra metà, una generale diminuzione. Per quanto attiene gli effetti
regionali della meditazione, è stato osservato un significativo decremento del rCMRGlc a livello
delle cortecce parietali superiori e occipitali. Inoltre l'analisi del rapporto rCMRGlc tra attività
metabolica in condizione di meditazione e di controllo fa emergere tre importanti risultati: a)
incremento del rapporto fronto-occipitale; b) incremento dell’attività fronto-temporo-occipitale; c) incremento dell’attività fronto-parietale superiore. Questi dati nel loro insieme suggeriscono che il decremento occipitale possa riflettere un'inibizione dell’elaborazione visiva durante la meditazione yogica, mentre il relativo incremento nella corteccia frontale può riflettere l'utilizzo di attenzione
sostenuta richiesta per la pratica. A tal proposito, tecniche combinate di EEG e PET hanno
dimostrato un'associazione tra l'aumento di consumo di glucosio nella corteccia del cingolo
anteriore e corteccia prefrontale dorso laterale e incremento sulla linea mediana frontale di attività
teta (Pizzagalli et al., 2003).
Più recentemente uno studio PET con 15O-H2O è stato condotto in meditatori yoga mentre
ascoltavano indicazioni per eseguire le varie fasi della pratica meditativa rispetto a una condizione
di controllo caratterizzata solo dall’ascolto passivo delle istruzioni (Lou et al., 1999). Da un punto
di vista esperienziale tutti i soggetti in condizione di meditazione hanno riportato sentimenti di
distacco emozionale e volitivo. In tutte le fasi meditative, rispetto a quelle di controllo, è stato
26
associative e sensoriali parietali e occipitali, cui si associava una riduzione nelle cortecce prefrontali
orbitofrontali e dorsolaterali, nella corteccia del cingolo anteriore, nelle cortecce temporali e
parietali inferiori, nel caudato, nel ponte, nel talamo e nel cervelletto. Inoltre, ogni singola fase
meditativa era caratterizzata da attivazioni regionali differenti: le sensazioni corporee correlavano
con incrementi di attivazione parietale e frontale superiore (inclusa l'area supplementare motoria);
sensazioni astratte di gioia avevano il loro correlato neuro-metabolico nell’attivazione parietale
destra e temporale superiore (inclusa l'area di Wernicke); l'immaginazione visiva produceva una
forte attivazione del lobo occipitale (con esclusione dell'area V1); le rappresentazioni simboliche
del sé erano associate con l'attivazione bilaterale dei lobi parietali. In sintesi, si ottengono
attivazioni specifiche per diverse condizioni meditative, anche se è difficile differenziare questa
condizione da quella indotta da uno stato ipnotico, vista la natura guidata della pratica.
Le sensazioni corporee in meditazione e l'attivazione di aree motorie supplementari possono essere
dovute a pianificazioni motorie inconsce, nonostante i partecipanti riportino di aver esperito la
perdita di attività volitiva durante lo studio. La sensazione di gioia e la corrispondente attivazione a
destra può originare dalla natura verbale e astratta delle istruzioni o in alternativa dall'associazione
tra l'attività frontale destra e con una valenza positivo emozionale dello stimolo percepito (Davidson
& Irwin, 1999). L'immaginazione visiva in meditazione produce attivazioni simili
all'immaginazione volontaria visiva. I partecipanti possono aver avuto meno controllo volitivo e
contenuti emotivi rispetto a quando sono protagonisti nell'immaginazione di normali scene visive.
Simili pattern sono stati osservati per il sonno REM, con l'eccezione che il cingolo anteriore non è
attivato (Lou et al., 1999). La mancanza dell'attivazione di V1 durante la visualizzazione in
meditazione si aggiunge a un considerevole corpus di evidenze che suggeriscono che essa non fa
parte del substrato neurale necessario della consapevolezza visiva (Koch, 2004). La
rappresentazione simbolica di sé rappresentata nell'attività parietale bilaterale, implica anche
27
l'intera sessione di meditazione rispetto alla condizione di controllo, potrebbe sottostare
all'incremento di attività teta, dato che questo aumento non è collegato all'attivazione prefrontale
(Kahana et al., 2001). Per contro, le aree più attive nella condizione di controllo includono quelle
zone che sottendono l'attenzione esecutiva, cioè la corteccia prefrontale dorsolaterale. L'attivazione
della corteccia cingolata nella condizione di controllo probabilmente è legata a un coinvolgimento
dei circuiti emozionali e delle funzioni esecutive. Inoltre, lo stato relativo di controllo di attivazione
striatale può indicare una più bassa predisposizione per l'azione durante la meditazione. Il
cervelletto può partecipare nell'attenzione, nei circuiti di feedback motori, e come predittore per gli
eventi futuri (Allen et al., 1997). Questa struttura era attivata meno in meditazione.
In sintesi, gli stati meditativi producono attività nel sistema ippocampale e nei sistemi posteriori
sensoriali associativi collegati all'immaginazione, mentre le condizioni di controllo sono
caratterizzate da aumenti di attività a carico dei sistemi attenzionali-esecutivi e del cervelletto.
Uno studio PET utlizzando un marcante dei recettori dopaminergici (11C-raclopride14) ha
identificato che cambiamenti nei sistemi dopaminergici erano associati con diminuzioni nell'attività
striatale, supportando l'ipotesi che il rilascio endogeno di dopamina possa aumentare durante la
perdita di controllo esecutivo in meditazione (Kjaer et al., 2002). I dati mostrano una diminuzione
del 7,9% di legami formati nello striato ventrale durante la meditazione, che corrisponde a un
aumento approssimato del 65%, di rilascio di dopamina15. Gli aumenti del tono di dopamina
sottolineano come l'esperienza meditativa possa essere guidata da una natura di autorinforzo, una
volta che si è preso competenza con la pratica (o più precisamente lo si può dimostrare per almeno
per questa forma di meditazione).
C5.2) Risonanza Magnetica Funzionale (fMRI)
14 Il marcatore radioattivo 11C-raclopride radioattivo si lega selettivamente e competitivamente ai recettori D2 così la quantità di legami formati dall'isotopo correla inversamente con il livello di dopamina endogena.
15 Questi risultati si sono basati su studi in microdialisi di ratti sulla dinamica di legame del 11C-raclopride, in relazione ai livelli di dopamina.
28
La fMRI è una tecnica semi-invasiva che utilizza le proprietà magnetiche dell’emoglobina (ossiemoglobina diamagnetica e deossiemoglobina paramagnetica). Durante un’attivazione neuronale si osserva il fenomeno dell’accoppiamento neuro-vascolare, cioè l’aumento di attività di scarica dei neuroni è associato ad un incremento del flusso ematico che conduce ad un incremento di ossiemoglobina e quindi al diamagnetismo intravascolare. Quest’ultimo fenomeno conduce a una minore distorsione del segnale di risonanza generando il cosiddetto effetto BOLD. In altri termini l’incremento del segnale BOLD corrisponde ad un incremento di attività neuronale.
In uno studio fMRI sono stati valutati gli effetti di una forma di yoga Kundalini che richiede
l'utilizzo di un mantra combinato con un aumento della consapevolezza del proprio respiro (Lazar et
al., 2000). Lo stato meditativo è stato confrontato con la costruzione mentale del nome di un
animale. I risultati di questo studio indicano che la meditazione, rispetto alla condizione di
controllo, induce aumenti di attività nel putamen, nel mesencefalo, nella corteccia cingolata
anteriore subgenuale e nella formazione ippocampale e paraippocampale, così come nelle cortecce
frontali e parietali. La stratificazione temporale degli effetti della meditazione (fasi precoci vs fasi
tardive) faceva emergere non solo una maggiore attivazione delle aree su descritte, ma anche il
coinvolgimento di altre regioni, ampi cambiamenti di segnale, e ampia variabilità intersoggetto
durante gli stati meditativi finali. Questi risultati suggeriscono che, aumentando il tempo in
meditazione, gli individui producono stati cerebrali alterati che possono riflettere alterazioni degli
stati di coscienza. Infatti le aree con un maggior aumento di attività sono proprio quelle che
supportano l'attenzione (le cortecce frontali e parietali, in particolare la corteccia prefrontale
dorsolaterale) e quelle che supportano il controllo autonomico e l'arousal (il sistema limbico, il
mesencefalo, e la corteccia cingolata anteriore subgenuale).
In un altro studio fMRI sono stati comparati soggetti che praticavano meditazione Kundalini (basata
sul mantra) e Vipassana (basata sulla mindfulness). Lo studio prevedeva la valutazione delle risposte
29
una lista di numeri e respirazione a bassa frequenza) (Lazar et al., 2003).
I risultati di questo studio indicavano che ogni stile di meditazione era associato a differenti pattern
di attività cerebrale. Nei due gruppi di meditatori, in modo simile, ma non sovrapponibile erano
implicate le cortecce frontali, parietali e le strutture sottocorticali; questi pattern differivano da
quelli osservati durante compiti di controllo. La principale area di attivazione comune era la corteccia cingolata dorsale. Nei partecipanti “Vipassana” c'era una diminuzione minore o nessuna diminuzione dell'indice respiratorio, mentre nei “Kundalini” c'era un decremento tipico di 4 respiri al minuto durante la meditazione rispetto alla condizione basale. Da questo studio emerge che
forme diverse di meditazione coinvolgono differenti reti e regioni cerebrali (Dunn et al., 1999; Lou
et al., 1999; Lehmann et al., 2001; Lutz et al., 2003).
Praticanti Zen sono stati valutati usando la fMRI con un disegno sperimentale del tipo on-off, a 45-s
blocks. Nell'esperimento i meditatori contavano i loro respiri, come nella pratica normale durante le
tre fasi di meditazione e facevano pensieri casuali durante il periodo intermedio di riposo.
Confrontando la meditazione con il riposo si rivelava un aumento di attività nella corteccia
dorsolaterale prefrontale e ancora più forte nei gangli della base. Una diminuzione di attività è stata
identificata nel giro occipitale superiore anteriore destro e nella corteccia cingolata anteriore
(Ritskes et al., 2003).
In un altro studio su 5 praticanti di meditazione mindfulness sono state osservate attivazioni
nell'ipocampo (bilateralmente), nella corteccia frontale sinistra, temporale destra, e nel cingolo
anteriore, e deattivazioni nella corteccia visiva e nel lobo frontale sinistro.
Questi due studi fMRI di tecniche Zen trovano pattern di attivazione opposti per il cingolo
anteriore. Il significativo aumento di attivazione nella corteccia cingolata e nella corteccia
prefrontale e orbitofrontale è stato trovato nella maggior parte di studi di meditazione non guidata
(Herzog et al., 1990; Khushu et al., 2000; Lazar et al., 2000, 2003).
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focus attentivo negli stati di meditazione, questa struttura sembra essere collegata a sentimenti di
amore (Bartels & Zeki, 2000, 2004).
Infatti alcuni meditatori riportano di esperire questo tipo di sentimento durante la meditazione
(Mahesh Yogi, 1963), anche se queste esperienze non sono lo scopo principale della maggior parte
delle tecniche più comunemente usate (Goleman, 1996; Wallace, 1999).
Le aree prefrontali sono attivate sia nei compiti di attenzione focalizzata così come in meditazione, a causa dell’elevato carico intenzionale della pratica, elemento comune alle due attività (cf. Frith, 1991; Pardo et al., 1991). L'aumento di attività della corteccia prefrontale dorsolaterale può
contribuire all'autoregolazione del funzionamento cerebrale, in quanto, è stato mostrato che la
riduzione della sua attività contribuisca a reazioni di autoregolazione emozionale (Beauregard et al.,
2001; Levesque et al., 2003) e che la pratica meditativa si associ ad una minore reattività
emozionale (Wallace, 2000; Goleman, 2003).
Per quanto attiene il lobo parietale superiore sinistro, il suo coinvolgimento durante compiti di
orientamento visuo-spaziale e la diminuzione della sua attività in corrispondenza dell'aumento di
quella della corteccia prefrontale dorsolaterale sinistra, verosimilmente sottende l’esperienza
dell'alterato senso della consapevolezza dello spazio tipica dello stato meditativo (Cohen et al., 1996; D’Esposito et al., 1998). Infatti, alcuni studi riportano una netta correlazione tra la diminuzione di attività nel lobo parietale (superiore e posteriore) con una alterata esperienza dei limiti tra sé e non sé (d’Aquili & Newberg, 1993, 1998, 2000).
C5.3) Tecniche di neuroimmagine e meditazione: conclusioni
La revisione dei dati della letteratura emersi dagli studi mediante le tecniche di neuroimmagine
mette in evidenza la mancanza di omogeneità dei risultati (vedi Appendice B). Questo aspetto è sicuramente legato all’assenza di disegni sperimentali standardizzati, alla difficoltà di meditare all’interno del set-up sperimentale (ad es. il rumore della fMRI) ed infine sempre all’annoso
31 problema della condizione di controllo.
Se tra gli studi EEG possiamo individuare dei risultati coerenti che riguardano aumenti di potenza
nelle bande alfa, teta e gamma, gli unici risultati più o meno consistenti tra i vari studi riguardano il
coinvolgimento delle aree frontali e prefrontali nelle pratiche meditative. Questi risultati sembrano
essere un indice dell'aumento di attenzione richiesta per i compiti meditativi e delle alterazioni della
coscienza di sé.
Comunque, nessuno di questi approcci ha ancora isolato o caratterizzato il correlato neurofisiologico dell’alterata esperienza di sé in meditazione. Per spiegare questo effetto di stato sono necessari studi sull'esperienza assortiva intensa, cioè quella condizione in cui si fonde il sé con
il mondo esterno.
Sono inoltre necessarie valutazioni longitudinali per stabilire gli effetti di tratto, che inevitabilmente
riguardano fini modificazioni neuronali, al di fuori della sensibilità spaziale e temporale delle attuali