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La sociologia alla scoperta dell'infanzia:

un problema di ridefinizione

teorica

di Ornella Boggi

Premessa

Nel corso degli ultimi anni, in controtendenza rispetto ad ipotesi che tendono ad avvalorare l'idea di 'scomparsa dell'in-fanzia' 1, la sociologia sembra averla riscoperta come oggetto di studio. Cercando di focalizzare le ragioni di questa rinnovata attenzione e interesse nei confronti della questione infantile, nel corso di questo lavoro cercherò di effettuare una disamina delle modalità con cui la sociologia ha guardato all'infanzia, evidenziando da un lato i limiti degli approcci tradizionali e dall'altro le potenzialità che offrono le prospettive di studio più recenti 2.

* Presentato dall'Istituto di Sociologia.

1 Con il termine 'scomparsa dell'infanzia' si fa spesso riferimento a due fenomeni diversi: · da un lato si evidenzia come l'esperienza spazio-temporale dei bambini sia sempre più soggetta a norme rigide di comportamento;

dal-1' altro come, nelle società contemporanee, si assista ad una progressiva antici-pazione, verso le età più precoci, di quella linea di demarcazion che segna il confine fra età che richiedono cure principalmente fisiologiche, da una parte, e età che richiedono cure culturali, dall'altra (Chamboredon e Prévot, 1975, p. 158).

2 Le considerazioni che seguono fanno esplicito riferimento al percorso di studio da me intrapreso nell'ambito della ricerca di dottorato sul tema: 'L'au-tonomia del self: uno studio sociologico sull' uso del tempo e dello spazio nel-le routine di vita quotidiana di bambini d'età compresa tra i sei e i dieci anni' in corso di realizzazione presso l'Istituto di Sociologia dell'Università di Ur-bino.

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1. Infanzia: la costruzione di un problema sociale

Nella tradizione sociologica l'oggetto di ricerca 'infanzia' ap-pare in maniera discontinuo. Le ragioni di una così scarsa atten-zione sono complesse e meritano di essere esplorate. La condi-zione infantile è stata spesso indagata indirettamente privile-giando il punto di vista delle agenzie preposte alla sua socializ-zazione, quali la famiglia, la scuola, il gruppo dei pari. Come ha avuto modo di evidenziare in più occasioni Qvortrup, un indica-tore della maggiore attenzione che la sociologia ha rivolto in anni recenti all'infanzia è rappresentato dal fiorire di progetti di ricerca a livello internazionale 3

che focalizzano la propria atten-zione - in modo esclusivo - sulla condiatten-zione infantile. La pubbli-cazione di riviste specializzate, di libri e articoli, accanto alla scelta di inserire una voce specifica nell'ultima pubblicazione dell'Enciclopedia delle scienze sociali 4

, sono indicatori ulteriori di questa tendenza. A testimonianza di questo rinnovato inte-resse da parte della sociologia viene, altresì, considerato il fatto che «in ritardo di circa un secolo - rispetto a psicologi, psi-chiatri e educatori - i sociologi dell'infanzia convengono per la prima volta nel 1990 nel Congresso Mondiale di Sociologia»

3 Si pensi, a questo proposito, alla ricerca Childhood as a social

pheno-menon promossa a livello europeo dall'European Centre of Vienna.

4 Come osserva Sgritta, infatti, è indicativo che nell'Enciclopedia of the So-cial Science del 1930 non sia nemmeno riportata la voce 'childhood' (infanzia); compare la voce 'child' con alcune significative aggettivazioni che si riferiscono al benessere del bambino (welfare), all'igiene, alla psicologia e ad altri problemi della condizione infantile allora di grande interess,e come il lavoro minorile, l'infanzia abbandonata, la devianza, l'istituzionalizzazione e la legislazione so-ciale. Come dire che soggetto e contenuto di queste voci non sono l'infanzia o la condizione del bambino intese come componenti 'strutturali' o 'normali'

del-1' ordine sociale, ma piuttosto le situazioni patologiche che ne mettono a repen-taglio l'armonico sviluppo. Nell'edizione successiva (1968), prosegue Sgritta, ri-compare la specifica voce 'infancy' - nelle due versioni curate da autori diversi di 'infant development' e di 'effects of early experience' - a cui fanno da contorno altri aspetti che riguardano l'apprendimento, la socializzazione e lo sviluppo. Ma il maggior peso attribuito alla voce 'infanzia' si esaurisce pressoché esclusi-vamente in una trattazione svolta in chiave psicologica (o per meglio dire psico-logico-evolutiva) a tutto discapito di una prospettiva di tipo sociologico (Sgritta,

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(Qvortrup, 1995). L'infanzia viene definita, con sempre maggio-re fmaggio-requenza, come 'nuovo campo per la ricerca sociale'.

Qvortrup, tuttavia, sottolinea come questo modo di conside-rare l'infanzia nuovo campo per la ricerca sociale, in realtà, non interessi solo la sociologia, ma sia un fenomeno che coinvolge direttamente o indirettamente anche altri ambiti disciplinari come l'antropologia, la geografia, l'etnografia; e in modo meno accentuato la scienza politica, la giurisprudenza e la filosofia (Qvortrup, 1995). Attribuire centralità alla soggettività infantile, pone le scienze sociali di fronte a nuove sfide. L'interrogativo che nasce spontaneo a questo proposito è il seguente: che cosa si cela dietro questa nuova considerazione che gli scienziati so-ciali, ed in particolare i sociologi, sembrano nutrire nei con-fronti dell'infanzia 5? Perché, dunque, proprio a partire dalla metà degli anni '80 si assiste a questo crescente interesse nei confronti dell'infanzia? Qvortrup sostiene che una delle risposte più convincenti a questo proposito sia fornita da Ambert (1986) secondo la quale: «I sociologi si sono dedicati seriamente allo studio sistematico delle interazioni tra (infanzia) e società solo dal momento in cui (l'infanzia) è stata considerata nei termini di problema sociale».

Qvortrup, tuttavia, non si limita ·a condividere tale afferma-zione, ma si propone di precisare il significato che egli attri-buisce alla tesi dell'infanzia come problema sociale individuando una serie di paradossi: «Gli adulti vogliono e amano i bambini, ma ne mettono al mondo sempre meno, mentre la società dedica sempre meno spazio e tempo a loro.

- Gli adulti credono che sia importante per i figli e genitori stare insieme, ma nella loro vita quotidiana essi trascorrono molto tempo separati.

- Gli adulti apprezzano la spontaneità infantile, ma la vita quotidiana dei bambini è sempre più organizzata.

- Gli adulti sostengono che deve essere assegnata la priorità

5 È possibile rintracciare il termine 'sociologia dell'infanzia' sin dal 1930, nonostante il numero di libri che riportano tale dicitura è molto limitato. Nella maggioranza dei casi, tuttavia, si tratta di testi nei quali il concetto chiave è

quello di 'processo di socializzazione', scelta quest'ultima messa in discussione da coloro che oggi si definiscono 'sociologi dell'infanzia'.

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ai bambini, ma la maggioranza delle decisioni di carattere econo-mico e politico è assunta senza prenderli in seria considèrazione.

- La maggior parte degli adulti credono che sia nell'interesse dei bambini che i genitori si assumano le maggiori responsabilità nei confronti dei figli, ma le condizioni strutturali che consentono ai genitori di svolgere tale ruolo sono sistematicamente erose.

- Gli adulti concordano nel sostenere che ai bambini deb-bano essere garantite sin dall'inizio le migliori condizioni di vita, tuttavia i bambini appartengono al gruppo sociale con mi-nori risorse economiche.

- Gli adulti concordano con il fatto che i bambini debbano essere educati alla libertà e alla democrazia, ma l'offerta educa-tiva da parte della società avviene principalmente attraverso il controllo, la disciplina e la direzione.

- Gli adulti considerano la scuola importante per la società, ma il contributo dei bambini alla conoscenza non è valorizzato.

- Sul piano materiale, l'infanzia è importante per la società più che per gli stessi genitori; tuttavia la società riversa il carico delle spese sui genitori e sui bambini» (Qvortrup, 1995).

2. Il paradigma dominante nei confronti dell'infanzia: l'idea di sviluppo

Questa attenzione crescente che la sociologia ha rivolto nel corso degli ultimi anni all'infanzia pone alla teoria sociologica nuovi interrogativi. In primo luogo chiede di mettere in discus-sione ciò che da più parti viene identificato come il paradigma dominante nello studio dell'infanzia: il concetto di 'sviluppo'. L'ipotesi che a questo proposito desidero sostenere è che questo modo di definire l'infanzia è comune a diverse discipline come ad esempio la psicologia e la pedagogia. Il tentativo della socio-logia dell'infanzia è quello di porre in evidenza i limiti che un utilizzo, 'unilaterale' ed 'esclusivo', del paradigma dello sviluppo comporta. 'Sviluppo' è sinonimo di crescita e di cambiamento: è

un concetto che definisce una 'realtà in trasformazione'. L'idea di sviluppo, riferita all'infanzia

6, consente di identificare

quei

6 Il termine infanzia dal latino infans indica un soggetto che non parla. Da un'analisi delle definizioni che del termine infanzia sono state elaborate nel

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cambiamenti di ordine biologico, psicologico, sociale e culturale che l'individuo vive nel suo processo di crescita.

Il riferimento, in primo luogo, è alle trasformazioni di ordine fisico e biologico: ad un corpo e a una mente che si modificano nel 'tempo' e nello 'spazio'. L'idea che si cela dietro questa rappresentazione è quella d'infanzia come 'fenomeno naturale'. In particolare nei primi anni di vita le trasformazioni che su-bisce l'essere umano, infatti, dal punto di vista fisico sono straordinarie. Il paradigma della sviluppo appare, tuttavia, cen-trale anche negli approcci di tipo psicologico: esemplificativo, a questo proposito, può essere considerato il concetto di 'sviluppo psichico' proposto da Piaget: «lo sviluppo è un progressivo equi-librarsi, un passaggio continuo da uno stato di minor equilibrio ad uno di equilibrio superiore: per quanto riguarda l'intelli-genza, è facile contrapporre l'instabilità e l'incoerenza relative delle idee infantili alla sistematizzazione della ragione adulta; nella sfera della vita affettiva, si è spesso notato come l' equili-brio dei sentimenti si accresca con l'età» (Piaget, 1976). L'in-fanzia è associata in questa definizione ad una instabilità di or-dine fisico, psicologico, emotivo e cognitivo. Il processo di cre-scita coincide con un'acquisizione graduale di livelli sempre più complessi di razionalità. Il costruttivismo di J. Piaget ipotizza che il bambino costruisca attivamente conoscenze e capacità at-traverso strategie innate di acquisizione di informazioni, e lo faccia interagendo con l'ambiente circostante basandosi su pochi schemi comportamentali già esistenti. Lo sviluppo si attue-rebbe attraverso parecchi stadi, ciascuno dei quali rappresenta il presupposto per il successivo (Eibl-Eibesfeldt, 1993).

Gli autori che più di altri hanno posto al centro delle loro riflessioni le modificazioni che il soggetto subisce durante lo

corso degli anni nelle diverse enciclopedie, appare da subito evidente la dif-ficoltà di individuare una definizione univoca. Infanzia per l'Enciclopedia Trec-cani del 1933 è il periodo della vita che va dalla nascita ai dodici-quindici anni. Ma l'infanzia vera e propria è il periodo in cui il nuovo essere cresce, sviluppa gli organi e i sensi, ma ancora non può comunicare perchè non sa parlare. Re-lativamente differente appare la definizione dell'infanzia in pubblicazioni enci-clopediche più vicine ai giorni nostri dove - come nel Grande Dizionario Enci-clopedico Utet, le chiavi di lettura privilegiate sono quello offerte dalla psico-logia dell'età evolutiva e dalla pedagogia.

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sviluppo infantile - S. Freud 1905, J. Piaget 1947, E.H.1

Erikson 1950 e altri - hanno finalizzato la loro analisi alla definizione dei criteri per identificare i vari periodi della crescita. Questa concezione dell'infanzia nei termini di 'stadi evolutivi' può tut-tora considerarsi dominante. È implicita, in tale rappresenta-zione, una concezione del soggetto infantile come debole e limi-tato dal punto di vista delle competenze, che passa da una con-dizione di sostanziale dipendenza e immaturità ad una caratte-rizzata dalla acquisizione della razionalità, prerogativa esclusiva della condizione adulta.

Il concetto di processo di socializzazione 7

, dominante nell' a-nalisi sociologica, sembra fare esplicito riferimento a questa concezione 'evolutiva' dello sviluppo. Non è casuale il fatto che nell'affrontare il tema della socializzazione infantile, in ambito sociologico, si faccia spesso riferimento alle teorie generali dello sviluppo infantile, alla psicoanalisi ed alle teorie dello sviluppo cognitivo sopra menzionate. Una delle immagini più ricorrenti connesse all'idea di processo di socializzazione è quella del 'bambino selvaggio' 8

• La socializzazione, in altri termini, può

es-sere considerata la trasposizione, in chiave sociologica, della metafora della crescita.

La pervasività di questo paradigma è dimostrata altresì dalla forte influenza che esso ha avuto in ambiti disciplinari diversi e fra loro anche molto distanti; in ambito giuridico, ad esempio, il prevalere di una visione di carattere evolutivo-lineare è rappre-sentata dal passaggio dalla condizione di 'minore' - termine che

7 Il Gallino nel Dizionario di sociologia definisce la socializzazione nei ter-mini di: «insieme dei processi tramite i quali un individuo sviluppa lungo l'arco della vita, nel corso dell'interazione sociale con un numero indefinito di colletti-vità - di norma a partire dalla famiglia, o da una organizzazione che la so-stituisce nei primi anni di vita, quando il bambino è fisicamente e psichica-mente dipendente da altri - il grado minimo, e a certe condizioni gradi via via più elevati, di competenza comunicativa e di capacità di prestazione, compati-bile con le esigenze della sua sopravvivenza psicofisica entro una data cultura, in tapporto con tipi di variabili di gruppo e di organizzazione atti a fornirgliene i mezzi attraverso forme di scambio e commissurati con i suoi successivi stadi di età. In sintesi, la socializzazione trasforma il genotipo in fenotipo» (Gallino, 1975).

8 Si pensi, a questo proposito allo spazio che viene riservato in tutti i ma-nuali di sociologia al 'ragazzo selvaggio dell'Aveyron'.

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dal punto di vista simbolico assume anche una valenza di carat-tere negativo semanticamente affine al concetto di 'minorato' -ad una di 'maggiore età'. Il passaggio alla condizione di maggio-renne avviene attraverso l'acquisizione della 'capacità d'agire'.

Appare, dunque, evidente come nei diversi contesti discipli-nari la prospettiva dominante con cui si affronta il problema 'in-fanzia' sia di carattere anticipatorio e diacronico 9

Evidenziare i punti critici di questo paradigm·a dominante è

dunque un'impresa ardua non solo perché esso è profondamente radicato in tutte le discipline che si occupano a diverso titolo di infanzia, ma anche perché questa visione lineare della crescita ha subito un profondo processo di istituzionalizzazione nelle pratiche quotidiane degli operatori che si relazionano all'in-fanzia. Il riferimento, in questo caso è, ad esempio, al modo in cui un simile paradigma ha influenzato il lavoro pratico-opera-tivo di insegnanti, educatori, assistenti sociali. Un ulteriore ostaèolo che si frappone alla possibilità di individuare un nuovo approccio teorico all'infanzia è rappresentato dalla constata-zione che il discorso in ambito sociologico sull'infanzia sia stato da sempre subordinato allo studio della famiglia. Come osserva acutamente Leena Alanen: «La triangolazione infanzia, famiglia e socializzazione costituisce un'unità che non può essere divisa in parti ed assoggettata a considerazioni separate... limitando così anche solo la possibilità d'immaginare nuove relazioni tra queste tre componenti» (1988, 54).

3. Una nuova prospettiva teorica per guardare l 'infanzia

Il dibattito sviluppato dalla sociologia dell'infanzia parte, dunque, da una messa in discussione radicale del paradigma

9 Anticipatorio, nel senso che la condizione adulta è il punto di riferimento costante di queste analisi: o perchè l'infanzia è interpretata in funzione del si-gnificato che assume per l'età adulta o perchè è l'adulto ad essere interpretato alla luce della sua esperienza infantile. Diacronico, perchè fa riferimento al fatto che l'età infantile e quella adulta sono collegate tra loro in termini evolu-tivi, o, per meglio dire appartengono a due periodi cronologici distinti, il che assolve dal compito di confrontare tra loro la condizione del bambino con quella dell'adulto (Sgritta, 1994).

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dello sviluppo come chiave di lettura 'esclusiva' dell'infanzia. La riflessione sviluppata in ambito sociologico, tuttavia, non in-tende assumere i caratteri di un dibattito 'specialistico', rivolto in modo esclusivo ad ipotetici 'esperti', quanto piuttosto porre alcune questioni chiave che attraversano il dibattito sociologico generale.

Lo sforzo teorico richiesto, inoltre, non può limitarsi ad un tentativo di integrazione di prospettive differenti in un'ottica in-terdisciplinare: ad esempio cercando di accostare alla prospet-tiva psicologica - e la relaprospet-tiva attenzione da questa dedicata alla sfera dell'individualità - le prospettive di carattere sociologico che valorizzano le analisi di contesto. La discussione che si apre vuole essere interna alla riflessione sociologica, pur mantenendo viva un'attenzione particolare al modo in cui altre scienze umane hanno costruito i loro quadri teorici nei confronti dell'in-fanzia.

La teoria della strutturazione di Giddens, a mio parere, for-nisce importanti supporti a questo tentativo di riconcettualizzare in termini sociologici nuovi l'infanzia. Un primo importante contributo in questa direzione è rappresentato dal fatto che questa teoria esprime una critica radicale nei confronti di qual-siasi prospettiva teorica che si proponga di studiare il cambia-mento in termini 'evolutivi'. Ad essere messa in discussione, in particolare, è una spiegazione del mutamento sociale 10

di tipo evolutivo-lineare. Giddens non si limita ad auspicare una ridefi-nizione di tali approcci, ma afferma l'esigenza di lavorare espli-citamente ad una loro 'decostruzione'.

Per 'evoluzionismo' applicato alle scienze sociali Giddens in-tende, infatti, indicare la spiegazione del mutamento sociale at-traverso schemi che implichino una successione irreversibile di stadi dotati di 'direzionalità' rapportata a uno o più criteri dati (Giddens, 1990). L'analisi piagetiana si colloca chiaramente in una prospettiva che potremmo definire di tipo 'evolutivo'. Il pas-saggio dallo stadio senso- motorio a quello proprio delle opera-zioni concrete e formali simboleggia un processo di

cambia-10 Il concetto di cambiamento sociale in questo contesto fa riferimento al

processo di crescita e alle trasformazioni di ordine biologico, psicologico e rela-zionale che investono gli esseri umani nella prima fase della loro esistenza.

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mento lineare, attraverso stadi considerati universali, che si ca-ratterizzano per l'emergere di capacità cognitive sempre più complesse. È evidente, in questo tipo di approccio, una forte af-finità con le teorie biologiche dell'evoluzione.

Un secondo elemento che rende, a mio avviso, la teoria della strutturazione di Giddens un interessante punto di partenza per pensare teoricamente l'infanzia dal punto di vista sociologico, è

il modo in cui l'autore ridefinisce il rapporto tra l'oggetto (la so-cietà) e il soggetto (l'attore sociale) nell'analisi sociologica. Le teorie sociologiche, sia quelle che hanno focalizzato l'attenzione sulla società - in qualità di 'oggetto' dell'analisi sociale - che quelle che hanno attribuito maggiore importanza alla 'soggetti-vità' sembrano entrambe aver negato legittimità al soggetto in-fantile; le prime in quanto fortemente concentrate sull'idea di so-cietà e sul processo di socializzazione, le seconde in quanto hanno implicitamente fatto riferimento ad una soggettività 'adulta'. Ripercorrendo, seppur sommariamente, le modalità con cui parte del pensiero sociologico si è occupato di infanzia tro-viamo una conferma a questa ipotesi.

Tale percorso si riferisce al lavoro di Antonietta Censi (1994). L'autrice sottolinea come nell'analisi durkheimiana l'attenzione sia tutta rivolta alla socializzazione in quanto processo attra-verso cui la società è in grado di garantire il mantenimento e la riproduzione dell'ordine sociale. L'infanzia non viene vista come fase autonoma, ma come fase 'prospettica'. Nella visione durk-heimiana quindi si afferma la predominanza degli elementi so-cietari rispetto a quelli individuali: nella relazione educativa l' e-ducando è considerato un soggetto passivo da «plasmare» con-formemente al dettato normativo dell'ordine sociale vigente. Questa attenzione al processo di socializzazione, invece che al-l'individualità dei soggetti e alle loro interazioni, è presente anche nell'opera di Parsons. Il sottosistema famiglia, per Par-sons, da un lato risponde all'esigenza della socializzazione dei figli, dall'altro permette la stabilizzazione della personalità adulta. Al suo interno, ai ruoli materno e paterno, vengono rico-nosciute una leadership espressiva e strumentale. L'attenzione di Parsons, tuttavia, non si rivolge in modo esclusivo alla famiglia in quanto tale, ma si estende al modo in cui anche altri sottosi-stemi - come la scuola e il gruppo dei pari - favoriscono quel lento processo di acquisizione degli orientamenti di valore

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propri della società. L'obiettivo è puntato sulla interiorizzazione dei modelli di orientamento di valore indispensabili ai fini della strutturazione della personalità nelle diverse fasi del ciclo di vita. Scompare, dunque, la dimensione biologica per lasciare spazio al processo di interiorizzazione delle norme e dei valori (Parsons e Bales, 1955).

Il processo di socializzazione è finalizzato all'apprendimento dei ruoli che si realizza attraverso l'identificazione con «l'alter» rappresentato, in prima istanza, dalla figure genitoriali. Il bam-bino deve imparare a rispondere alle aspettative di ruolo che su di esso si dirigono, a partire da quelle espresse dalle figure geni-toriali. Il ruolo è, infatti, l'elemento di connessione tra il sistema della personalità e il più complesso sistema sociale: le diverse agenzie di socializzazione guidano il bambino nelle varie fasi di sviluppo affinché assuma un comportamento che sia il più «con-forme» possibile alle aspettative di gruppo.

Alla prospettiva funzionalista, orientata all'idea del processo di socializzazione come evoluzione costante e lineare di interio-rizzazione delle norme sociali, si contrappone la prospettiva del-1' interazionismo simbolico. Nell'ambito di questo approccio teo-rico apparentemente sembra esservi maggiore spazio per il sog-getto infantile. In realtà la definizione di attore sociale fa spesso riferimento ad un soggetto adulto in grado di effettuare scelte strategiche e intenzionali. Ciò che acquista valore è la capacità del soggetto di stabilire una «relazione sociale». La tesi fonda-mentale è che proprio a partire dall'interazione sociale l'indi-viduo sviluppa quella conoscenza di sé ed il sentimento della propria identità fondamentali per la propria esistenza.

In particolare Mead riserva, a questo proposito, molta atten-zione all'emergere del senso di sé. Il bambino arriva alla auto-consapevolezza quando impara a distinguere tre il «Me» e l' «Io». L'Io rappresenta il bambino non socializzato, un aggregato di bisogni e desideri spontanei. Il «Me» nella accezione di Mead rappresenta invece il 'sé socializzato'. Tale passaggio tra l'Io e il Me, tuttavia, se attentamente indagato riproduce una visione di carattere 'evolutivo'.

Gli individui sviluppano autoconsapevolezza, sostiene Mead quando sono in grado di vedersi come li vedono gli altri. Prose-guendo in questo filone d'analisi Blumer accentua ulteriormente l'attenzione alle dinamiche soggettive della formazione del Sé,

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sottolineando in particolare le capacità interpretative degli indi-vidui ossia il significato che i soggetti attribuiscono alle diverse azioni reciproche. I condizionamenti sociali sono importanti, tuttavia il soggetto interpreta in modo originale ogni accadi-mento. Rispetto all'approccio funzionalista vengono rivalutate le potenzialità creative dell'attore, i gradi di libertà delle sue azioni e ridimensionato il potere dei condizionamenti sociali; in questo senso è possibile affermare che nell'ambito dell'interazionismo simbolico le relazioni fra attori prevalgano rispetto alle relazioni di ruolo.

A portare poi alle estreme conseguenze tali posizioni sono gli autori che si riconoscono nella sociologia fenomenologica. Con loro crolla definitivamente il mito del 'bambino naturale', così come viene messa in discussione l'idea di un processo di socia-lizzazione definito a priori che plasma il soggetto in formazione. Essi attribuiscono sempre maggiore valore al processo cognitivo attraverso il quale il bambino costruisce la propria identità: l'im-magine è quella di un bambino che procede nel suo sviluppo se-condo fasi ben determinate; il suo sviluppo sociale si definisce a partire dalla relazione di carattere bidirezionale con l'adulto.

Nell'ambito della prospettiva fenomenologica è il soggetto che attribuisce significato alle cose, che costruisce la propria personalità durante il processo di socializzazione. Un ruolo cen-trale viene attribuito alla comunicazione intersoggettiva attra-verso la quale si procede alla costruzione simbolica della realtà. L'immagine, dunque, di una società che tutto sovrasta e che tutto determina in modo aprioristico, si va via via sfumando a favore di un mondo della vita quotidiana inteso anche nel senso dell'insieme di conoscenze che orientano l'azione. La costru-zione dell'identità si va sempre più definendo come dimensione processuale «un divenire continuo in relazione alla propria e al-trui esperienza». Il bambino, attraverso l'interazione con altri at-tori sociali attribuisce valore, significato e senso alla realtà che lo circonda.

Per Berger e Berger, infatti, la socializzazione è il processo attraverso cui un individuo impara a diventare membro della so-cietà: in particolare attraverso il linguaggio vengono interioriz-zati i ruoli e si verificano delle identificazioni con il socializza-tore. Le forme tipizzate non sono altro che dei sedimenti cultu-rali derivanti dalle reciproche aspettative degli attori sociali,

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«ti-pificazioni» socialmente oggettivate che servono al bambino per costruire il senso del mondo intorno a lui. Ciò che acquista par-ticolare valore sono le relazioni che il bambino stabilisce con le persone con le quali viene in contatto, interiorizza i loro ruoli, vi si identifica e li fa propri. E da queste dinamiche che prende forma il mondo della vita quotidiana inteso come integrazione in un universo simbolico condiviso. La famiglia, in questa pro-spettiva teorica, è generatrice di specifiche strutture di coscienza umana: mentre per Durkheim l'ordine sociale e la coscienza mo-rale sono dei fatti esterni all'individuo, nell'ambito della teoria fenomenologica l'individuo collocato nella struttura familiare, sviluppa se stesso, la propria identità e così facendo dà signifi-cato al mondo, costruisce una propria dimensione etica e mo-rale (Censi, 1994).

L'ipotesi che a questo proposito intendo sostenere è che sia le tradizioni che privilegiano il punto di vista della società (oggetti-viste, come ad esempio nel funzionalismo) che in parte quelle che focalizzano in modo esclusivo l'attenzione sulla soggettività (soggettiviste, come nel caso dell'interazionismo simbolico e della fenomenologia) siano inadeguate, da sole, a fornire i sup-porti teorici idonei per pensare, in modo nuovo, l'infanzia in ambito sociologico.

La scelta compiuta da Giddens di considerare «il dominio fondamentale dello studio delle scienze sociali ... né l'esperienza dell'attore individuale né l'esistenza di una totalità sociale, ma le pratiche sociali ordinate nel tempo e nello spazio» (Giddens,

1990) apre, a mio parere, nuovi spazi per riconsiderare l'in-fanzia dal punto di vista teorico. È a partire da questa defini-zione dell'oggetto delle scienze sociali che l'autore afferma il

principio della 'dualità della struttura 111• Ad essere messo in evi-denza è il processo tramite il quale l'attore sociale ricrea, attra-verso le sue azioni, le pratiche sociali e le istituzioni che a loro volta pongono dei limiti all'esercizio dell'azione medesima.

'Azione' e 'istituzioni' interagiscono, condizionandosi

vicende-11 Come indicato nel glossario terminologico della teoria della struttura-zione, con il termine struttura Giddens indica l'insieme delle regole e risorse implicate ricorsivamente nella riproduzione dei sistemi sociali. La struttura esiste solo come traccia mnestica (la base organica della conoscenza-compe-tenza umana) ed in quanto esemplificata nell'azione. ( Giddens, 1990)

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volmente nelle pratiche quotidiane 12

• In tal modo la vita sociale viene formata e riformata nel corso delle azioni più normali e abitudinarie. Giddens esprime questa idea descrivendo l'azione umana come essenzialmente 'trasformativa' e sostiene che le proprietà strutturali dei sistemi sociali esistono solo fin tanto che le forme della condotta sociale sono riprodotte cronica-mente attraverso il tempo e lo spazio 13

(Wallace and Wolf, 1985, 336-337).

Tale prospettiva teorica apre nuove possibilità di concettua-lizzare il bambino nei termini di attore sociale che attraverso il suo agire quotidiano trasforma la realtà. Tale agire, tuttavia, deve necessariamente fare i conti con i vincoli e le risorse dei contesti istituzionali nei quali il bambino si viene a trovare.

4. Alcune idee guida per guardare l'infanzia in modo nuovo L'infanzia come componente strutturale

In sintonia con questa impostazione teorica, il dibattito sviluppatosi nel corso degli ultimi anni nell'ambito della socio-logia dell'infanzia ha focalizzato la propria attenzione su due idee guida: la prima relativa alla possibilità di concettualizzare l'infanzia nei termini di componente strutturale di ogni società e la seconda relativa all'idea di bambino come 'attore sociale'.

L'infanzia come 'componente strutturale' di ogni società sug-gerisce l'idea di un aggregato di individui che, in un determina-to momendetermina-to sdetermina-torico e in un particolare contesdetermina-to geografico, pre-sentano caratteristiche comuni. Tale idea si contrappone netta-mente ad una rappresentazione dell'infanzia concettualizzata nei termini di 'fase di transizione'. L'infanzia, dunque, è vista come segmento della società accanto all'età adulta e alla vecchiaia che rappresentano altrettante 'componenti strutturali'. Se l'infanzia,

12 Uno degli aspetti originali che caratterizza l'analisi di Giddens è questo

tentativo di integrare la dimensione 'micro' e la dimensione 'macro' che ven-gono rappresentate nei termini di due realtà che si integrano a vicenda.

13 Il concetto di strutturazione, a questo proposito, sottolinea il processo

dello strutturarsi delle relazioni sociali attraverso il tempo e lo spazio in virtù della dualità della struttura.

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riferita al singolo soggetto, si caratterizza per una condizione di transitorietà (fase del ciclo di vita), dal punto di vista della strut-tura sociale essa si presenta come una componente stabile: «è abbastanza scontato affermare che i bambini raggiungono lo stato di adulti. Ma mentre i bambini lasciano l'infanzia, l'in-fanzia in quanto tale non scompare e rimane nei termini di forma sociale» (Qvortrup, 1990). Non è il singolo bambino, ma l'intera categoria, intesa come parte permanente della società che costituisce l'unità di osservazione «come componente strut-turale stabile e integrata nella vita sociale organizzata» (Sgritta,

1994).

L'infanzia, come fenomeno sociale, deve poter essere studiata e indagata privilegiando l'analisi di quegli aspetti di normalità che più di altri accomunano i soggetti che vi appartengono. La critica implicita in una simile scelta è nei confronti di quelle analisi che pongono in evidenza, in modo unilaterale, caratteri-stiche minoritarie e marginali dell'universo infantile. Si pensi, a titolo esemplificativo, alla priorità che in ambito sociologico è stata assegnata allo studio del comportamento deviante.

L'idea di infanzia come 'componente strutturale' implica un'analisi di tipo 'macro'. La domanda che ci si pone è la se-guente: Qual è la condizione dell'infanzia oggi? Per rispondere a questo interrogativo è necessario contestualizzare l'analisi in ri-ferimento a coordinate spazio-temporali puntuali. Non è neu-trale il fatto di studiare, ad esempio, l'infanzia in un contesto geografico particolare (Italia) e in un periodo storico determina-to (fine XX secolo). Qualsiasi riflessione di ordine teorico che si proponga di esplorare l'universo infantile non può prescindere da una chiara definizione dei vincoli di ordine strutturale con i quali la condizione infantile deve oggi fare i conti. Per 'vincoli strutturali' s'intende quell'insieme di fattori di ordine demogra-fico, economico, politico, sociale e culturale, che a livello macro condizionano e strutturano l'agire sociale.

A titolo esemplificativo riporterò qui di seguito una serie di considerazioni in merito ai fattori che caratterizzano l'infanzia nei termini di 'componente strutturale'. Un primo importante vincolo è rappresentato dal persistere di un accentuato processo di denatalità: il nostro Paese si caratterizza per avere uno dei tassi di natalità più bassi a livello europeo. La numerosità della popolazione infantile, infatti, tende costantemente a diminuire, a

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fronte di un progressivo aumento della componente anziana della popolazione. Tale processo, al centro di numerosi dibattiti, innesca inevitabilmente nuovi conflitti in relazione al problema della redistribuzione delle risorse tra le generazioni, oltre che modificare radicalmente l'esperienza di vita quotidiana dei bam-bini stessi che condividono sempre più raramente tempi e spazi con i coetanei.

Il bambino, nella nostra società, è sempre più oggetto di 'scelta': le pratiche contraccettive, infatti, consentono ai genitori di programmare adeguatamente la nascita di un figlio in rela-zione al loro percorso di vita individuale e professionale. In al-cuni casi, e questo è vero soprattutto per le donne, la scelta pro-creativa si pone in antitesi con la possibilità di realizzazione professionale. Parallelamente, il miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie e le scoperte di carattere scientifico hanno consentito una riduzione progressiva del fenomeno della morta-lità infantile e hanno offerto garanzie sempre maggiori nei con-fronti della salute del bambino sin dalla fase del concepimento. L'affermarsi di 'saperi esperti' che seguono il bambino nelle sue diverse fasi di sviluppo è ciò che ha prodotto un miglioramento complessivo delle condizioni di vita infantile.

La condizione infantile, inoltre, è influenzata dalle profonde trasformazioni che nel corso degli ultimi anni hanno investito le strutture e i comportamenti familiari. Si assiste, infatti, ad un incremento significativo dei tassi dei divorzi che producono li-velli più elevati di instabilità familiare. Tale accentuata instabi-lità rende la struttura familiare sempre più debole, sia dal punto di vista strettamente economico, che da quello relazionale. Le fa-miglie monogenitoriali, in particolare, sembrano essere più esposte rispetto ad altre tipologie familiari ad un rischio di po-vertà.

La struttura familiare nella quale i bambini oggi sono inse-riti, avverte con sempre maggiore drammaticità gli effetti di una recessione economica che produce livelli di disoccupazione sempre più elevati, difficoltà abitative maggiori e redditi più contenuti. La famiglia, per poter sostenere i costi sempre più onerosi connessi all' eduèazione dei figli, si vede spesso costretta ad attivare le reti familiari allargate, laddove queste esistano, at-traverso forme di supporto sia diretto che indiretto.

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attività di cura verso i figli, è in parte legato anche alle profonde trasformazioni che sembrano aver investito il soggetto femmi-nile, per secoli perno attorno al quale hanno ruotato le attività di cura. Livelli di scolarità più elevati hanno consentito alla donna di esprimere nuove aspettative nei confronti del 'lavoro'. Sempre più frequentemente le giovani donne permangono nella famiglia d'origine più a lungo per poter portare a termine l'università, rinviando notevolmente l'accesso al mercato del lavoro, l'età del matrimonio e dell'eventuale primo figlio. Queste profonde tra-sformazioni che hanno investito il ruolo e le aspettative che le donne adulte esprimono rispetto al sé e al contesto familiare, hanno evidentemente profonde ricadute sulla condizione infan-tile intesa nei termini di 'componente strutturale'. Una prima conseguenza immediata di tali fenomeni è rappresentata dalla ri-duzione del tempo e dello spazio che le donne condividono quo-tidianamente con i loro figli.

L'attenzione crescente nei confronti del benessere dei figli ha portato ad una drastica riduzione di fenomeni quali l'abbandono fisico, l'istituzionalizzazione, lo sfruttamento minorile, l'anal-fabetismo che, tuttavia, permangono come fenomeni marginali fortemente sanzionati socialmente. Si assiste ad un progressivo ampliamento della definizione sociale dei bisogni del bambino: alle cure materiali si vanno sempre più _sommando bisogni im-materiali e relazionali che rendono il rapporto educativo sempre più oneroso. In questo senso l'istanza 'educativa' che il mondo degli adulti esprime nei confronti dell'infanzia sembra essere sempre più pervasiva: la tendenza dominante è quella di antici-pare e prolungare sempre più i percorsi di formazione istituzio-nalizzati 14, sia in riferimento al percorso scolastico obbligatorio che alla organizzazione del tempo libero dei bambini 15• Questo maggiore investimento nell'educazione dei figli richiede risorse economiche e di tempo sempre maggiori. La pervasività dell'i-stanza educativa ha favorito, altresì, la nascita di agenzie

appo-14 È di questi giorni la proposta del Ministro della pubblica istruzione di

anticipare a cinque anni e prolungare fino a quindici la scuola dell'obbligo in Italia.

15 Il riferimento qui è alla tendenza da parte dei genitori a strutturare la

giornata del bambino con attività sportive, corsi per l'apprendimento di una lingua straniera, corsi di computer e così via.

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site che si prendono cura del bambino strutturandogli il tempo libero 16

• Il bambino, dunque, come capitale sociale, in grado di acquisire sempre più precocemente competenze e abilità che gli consentano un accesso facilitato nel 'mondo degli adulti'.

Dal punto di vista strettamente economico, il bambino e i suoi bisogni, sono sempre più al centro delle politiche di marke-ting delle imprese; il sistema economico-produttivo ha prestato sempre maggiore attenzione al soggetto infantile in qualità di potenziale 'consumatore'. Come osserva De Lilla al riguardo «mai come in questi ultimi anni si è avuto lo sviluppo di un ap-parato industriale che si fonda su bisogni e prodotti speciali per la prima infanzia» (De Lilla, 1990). Indicative di questa cre-scente visibilità, che anche in ambito economico il soggetto in-fantile è andato acquisendo, sono le ricerche che nel corso degli ultimi anni importanti imprese hanno svolto per esplorare l'uni-verso infantile 17• Si potrebbe forse affermare che, mentre la so-ciologia persiste nelle sue remore a considerare il soggetto in-fantile 'attore sociale' a pieno titolo, le strategie di marketing ab-biano già da tempo fatto proprio questo principio.

Se da un lato il bambino rappresenta un costo sempre più elevato per la famiglia, dall'altro l'assenza di politiche sociali si-gnificative, finalizzate alla redistribuzione delle responsabilità connesse alle cure familiari, ha accentuato notevolmente i disagi e i problemi che la struttura familiare si trova - da sola - a dover affrontare. Per la società il bambino continua a rappresen-tare un 'bene economico' e una 'risorsa per il futuro'.

Sul piano culturale, inoltre, la questione infantile è andata acquisendo sempre maggiore visibilità. Si assiste, in particolare ad una crescente attenzione nei confronti dei fenomeni di abuso,

16 Deve far riflettere il fatto che nelle grandi città si diffonde l'abitudine di

organizzare il compleanno dei bambini presso i locali di Burghy o Mac Do-nalds. Ciò che colpisce è il fatto che ogni compleanno avviene in un orario pre-ciso (c'è un'ora di inizio e un'ora di fine), terminata l'ora i bambini devono lasciare il locale per il compleanno successivo. Il modello sembra quasi quello di una catena di montaggio. Ogni compleanno avviene secondo riti prestabiliti e uniformi in tutte le feste. Ciò che regala la felicità ai bambini sarebbe un pic-colo peluche con il nome della catena dove il compleanno ha avuto luogo.

17 Il riferimento, a titolo esemplificativo, è alla ricerca 'Dico di me'

com-missionata dal Centro Studi Prénatal e coordinata dal Prof. Charmet per l'Uni-versità degli Studi di Milano.

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violenze nei confronti dei quali si solleva con sempre maggiore frequenza l'indignazione collettiva 18

• Tale aumento di sensibilità, che Elias avrebbe forse descritto nei termini di 'processo di civi-lizzazione', trova conferma in ambito giuridico dove a partire dalla fine degli anni '80 si è avviato un acceso dibattito in occa-sione della promulgazione della Convenzione internazionale sui diritti del bambino delle Nazioni Unite; dibattito, quest'ultimo, non privo di contraddizioni come ben evidenziato da Ronfani (1995), ma che tuttavia è di per sé indicativo della visibilità cre-scente assegnata alla condizione infantile. Anche in ambito acca-demico e politico si assiste ad un parallelo moltiplicarsi delle oc-casioni di incontri seminariali e di formazione che focalizzano la propria attenzione sulla condizione infantile.

John R. Gillis, prendendo spunto da un'affermazione di Neil Postman nella quale si afferma che «i figli sono i messaggi vi-venti che noi inviamo ad un tempo che non vedremo» (Postman,

1984), in un recente convegno sottolineava come nelle culture contemporanee occidentali il figlio acquista sempre più un 'va-lore simbolico'. Al decrescere dell'importanza che il figlio as-sume sul piano strettamente economico, esso assume un valore decisivo per l'identità degli adulti: «man mano che i genitori sono diventati meno dipendenti dai figli in termini materiali, la loro identità di adulti è diventata sempre più dipendente da que-st'ultimi... gli adulti esaltano i loro figli, proiettano su di essi le loro più grandi paure, nonché le loro più grandi speranze» (Gillis, 1996). Questo processo d'idealizzazione del figlio - Gillis parla a questo proposito di 'icona ~ulturale' - non è un att.eggia-mento privo di costi: «per i bambini il prezzo da pagare consiste in una perdita dell'autonomia» (Gillis, 1996).

I bambini come attori sociali

La seconda idea chiave al centro del dibattito sollevato dalla sociologia dell'infanzia è la possibilità di pensare i bambini nei

18 Come osserva Chiara Saraceno non è chiaro se ad essere aumentato sia

stato il fenomeno dell'abuso all'infanzia o la, possibilità di farlo emergere; op-pure se si sia modificata la sua definizione sociale (Saraceno, 1990).

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termini di attori sociali, ossia soggetti in grado di trasformare creativamente la realtà attraverso le pratiche quotidiane localiz-zate nel tempo e nello spazio.

L'affermazione dell'idea di bambino come 'attore sociale' non deve, tuttavia, essere confusa con una presa di posizione di ca-rattere ideologico che affermi una condizione di 'autosufficienza' del bambino. Riconoscere la condizione di dipendenza in cui si trova il bambino nei confronti dell'adulto, non è in contraddi-zione con la possibilità di attribuire al bambino la capacità di modificare creativamente i vincoli strutturali nei quali si trova collocato. In altri termini essere 'soggetto attivo di cambia-mento'.

Questo modo .di rappresentarsi il soggetto infantile, tuttavia, comporta sul piano teorico e della · ricerca empirica numerose conseguenze: la prima, la più significativa, implica la possibilità di considerare i bambini nei termini di 'unità di osservazione' e la seconda, più problematica, 'come mediatori delle informa-zioni'. Le ricerche sociologiche fanno spesso riferimento ai bam-bini in modo indiretto, in quanto le unità di analisi privilegiate sono la famiglia, i genitori, la madre e così via. L'universo infan-tile è spesso indagato come appendice a queste diverse unità di analisi, porlo al centro, significa in altri termini attribuirgli una nuova visibilità.

La possibilità di considerare i bambini come mediatori delle informazioni che vengono raccolte nel contesto della ricerca so-ciologica solleva non pochi problemi. Come osserva Qvortrup: «Le vere difficoltà emergono quando si devono interpretare le informazioni raccolte, di qualunque natura esse siano. Nella ri-cerca relativa all'infanzia i problemi della oggettività e validità sono ancora più pregnanti che in qualsiasi altro campo delle scienze sociali, poiché i bambini sono l'unico gruppo d'età che non è in grado di condurre ricerche autonomamente. Essi de-vono affidare l'interpretazione del loro agire ad un gruppo d'età differente i cui interessi sono potenzialmente in contraddizione con i propri. Nella sociologia della conoscenza questo aspetto è

rimasto fino ad ora quasi completamente inesplorato» (Qvor-trup, 1995, p. 11). Interpretare e comprendere le informazioni fornite dai bambini è una questione che pone a livello metodolo-gico nuovi interrogativi. Gli strumenti classici della ricerca em-pirica - quali ad esempio il questionario e l'intervista - sono

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stati pensati per attori sociali dotati di particolari competenze. Il sociologo che scelga di fare ricerca con i bambini, deve fare i conti dal punto di vista metodologico con strumenti di ricerca pensati per gli adulti.

Conclusioni

In questo saggio ho cercato di porre in evidenza gli elementi chiave al centro del recente dibattito sollevato dalla sociologia dell'infanzia. Lo sforzo maggiore è stato teso ad evidenziare come la ridefinizione della questione 'infanzia' in ambito socio-logico, richieda, in primo luogo, di ripensare al modo in cui sino ad ora la teoria sociologica si è relazionata a questo tema. Tale rinnovato interesse nei confronti dell'infanzia costringe il sociologo a ripensare ai riferimenti teorici generali che esso uti-lizza per definire il proprio dominio di studio.

Qvortrup ha proposto uno schema che ha il pregio di consen-tirci di riepilogare e confrontare tra loro le diverse prospettive che studiano l'infanzia. Questo autore suggerisce di utilizzare una freccia obliqua diretta verso l'alto per descrivere la classica visione psicologica del bambino: essa indica nel tempo una traiettoria che va dal bambino all'adulto. In effetti questa visione considera il bambino in una prospettiva individualistica e bio-grafica, e soprattutto si basa su un orientamento di tipo antici-patorio, rivolto più al divenire che all'essere. La freccia rivolta verso il basso esemplifica, invece, una prospettiva di tipo psicoa-nalitico; di nuovo l'approccio è di tipo individualistico e biogra-fico e interessato alla personalità del bambino, ma con la diffe-renza rispetto al precedente, che in questo caso l'orientamento va dall'adulto al bambino e non viceversa; vale a dire che per comprendere la personalità dell'adulto occorre prendere in esame la condizione psichica infantile. La freccia orientata verso l'alto rappresenta, inoltre, la concezione di senso comune condi-visa a livello politico, giuridico e pedagogico (Sgritta, 1994).

Utilizzando un'immagine proposta da Melucci (1996) per simbolizzare l'esperienza della temporalità, se la freccia può es-sere assunta come simbolo del divenire, del cambiamento e di un progetto rivolto al futuro - si potrebbe affiancare ad essa un'altra rappresentazione che descriva l'infanzia in termini

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'pun-tuali', privilegiando la dimensione del 'qui ed ora'. L'infanzia simbolicamente rappresentata dunque non solo da una freccia,

II1a anche da un punto. Una condizione indagata 'in sé' e non

solo nel suo 'divenire'.

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