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Il Servizio Civile nel terzo settore: uno strumento di occupabilità per i giovani

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

Facoltà di Scienze Politiche

Laurea Magistrale in Comunicazione d’impresa e politica delle

Risorse umane

ANNO ACCADEMICO 2016/2017

Il servizio civile nel terzo settore: uno strumento di

occupabilità per i giovani

CANDIDATO

Federica Crapanzano

RELATORE

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2

INDICE

INTRODUZIONE ... 4

CAPITOLO 1: IL TERZO SETTORE IN ITALIA ... 6

Il concetto di Terzo Settore ... 6

Il valore del terzo settore in Italia ... 15

Il Terzo Settore prima della riforma ... 23

Il terzo settore dopo la riforma ... 28

CAPITOLO 2: IL VOLONTARIATO ... 35

Il volontariato in Italia ... 35

I numeri e organizzazione del volontariato italiano ... 39

Il volontariato in Europa... 45

CAPITOLO 3: IL SERVIZIO CIVILE IN ITALIA ... 48

La nascita del Servizio Civile in Italia ... 48

Il Servizio Civile Nazionale prima della riforma ... 50

Concetto e definizione di Servizio civile ... 52

Il Servizio civile dopo la Riforma ... 56

Il Servizio civile regionale in Toscana ... 59

Numeri del servizio civile in Italia ... 60

Il Servizio Civile Universale come strumento di occupabilità per i giovani ... 63

Lo strumento dello Youth work in Europa ... 68

CAPITOLO 4: IL PROCESSO DI ACCREDITAMENTO E L’IMPORTANZA DELLA FORMAZIONE NEL SCU ... 76

Il ruolo della formazione ... 76

Il procedimento di iscrizione all’ Albo degli enti del servizio civile universale . 77 Presentazione dei progetti di SCU ... 82

(3)

3

La formazione dei volontari ... 85

Monitoraggio sulla formazione ... 91

CAPITOLO 5: UN FOCUS SUI PROGETTI DI SERVIZIO CIVILE DEL MOVIMENTO CRISTIANO LAVORATORI ... 94

La realtà del servizio civile vista da vicino: Il caso del Movimento cristiano Lavoratori di Livorno ... 94

I progetti nazionali di SCU del MCL ... 95

I progetti all’estero di SCU del MCL ... 104

Il servizio civile visto da vicino: il caso del Movimento Cristiano Lavoratori della sede di Livorno ... 107

Un focus sulle competenze acquisibili dai volontari ... 114

CONCLUSIONE ... 118

BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA ... 120

Bibliografia ... 120

(4)

4

INTRODUZIONE

Il terzo settore, attraverso il Servizio Civile Nazionale, può contribuire all’occupazione giovanile, formare i ragazzi e diventare un mezzo per le politiche attive per il lavoro?

In questo mio lavoro ho cercato di rispondere a questa domanda partendo da un’analisi del Terzo Settore italiano per poi analizzare sempre più nel dettaglio i meccanismi del Servizio Civile e come questo possa rappresentare uno strumento di politica attiva.

L’importanza di questo settore risiede proprio nel tipo di valore che riesce a creare, non si tratta solamente di quello economico e dei posti di lavoro che può creare, ma del valore sociale e culturale che crea all’interno della società.

Per questo si presta come terreno fertile per le iniziative rivolte alla crescita dei giovani come il servizio civile e il volontariato.

Il Servizio Civile in Italia, nasce come alternativa alla leva militare per gli obiettori di coscienza. Dalla sua nascita ad oggi il suo ruolo è profondamente mutato, se inizialmente si identifica come strumento per la difesa e la diffusione del patrimonio culturale italiano in maniera pacifica e senza armi, adesso il suo ruolo è invece diventato quello di costituire una palestra di “cittadinanza attiva” e grazie alla maggiore attenzione riservata alla formazione, come mezzo per aumentare l’occupabilità giovanile.

La riforma del terzo settore ha contribuito a questo cambiamento, non solo regolarizzando l’intero settore, che per poter crescere aveva bisogno di una legislazione ad hoc, ma enfatizzando anche il ruolo della formazione nel SCU, quest’ultima ha acquisito un ruolo più centrale con la riforma. I volontari mettono in pratica le loro conoscenze e ne acquisiscono altre grazie all’apprendimento sul campo. Nelle regioni italiane più duramente colpite dalla crisi il numero delle

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domande ai bandi di partecipazione risulta essere più alto, perché per i giovani del Sud questo rappresenta uno dei pochi mezzi per avvicinarsi al mondo del lavoro. Non possiamo tralasciare, invece, le iniziative europee a favore dei giovani e volte a sviluppare la loro coscienza civica e le capacità nel mondo del lavoro, incentivando gli stati membri a sostenere iniziative a favore del volontariato giovanile.

L’Unione Europea ha quindi istituito progetti come il Servizio Volontario Europeo per dare la possibilità ai giovani di compiere un periodo di volontariato all’estero. Lo Youth Work invece rappresenta le strategie e le iniziative di lavoro giovanile nei vari stati membri.

Motivo per cui viene riconosciuto un ruolo strategico allo Youth Work, come pratica di lavoro con i giovani, l’obiettivo è quello di creare un tipo di economia che possa essere basata sulla conoscenza, sull’istruzione, su mercati del lavoro inclusivi e su cittadini coinvolti attivamente nella società.

Ho voluto analizzare dapprima i dati nazionali sul SCN e l’occupabilità per poi in seguito compiere un’analisi più approfondita su progetti specifici, come ad esempio quelli portati avanti dal Movimento Cristiano Lavoratori e in particolar modo dalla sede di Livorno, di cui ho avuto modo di riportare l’esperienza. Così ho potuto vedere quali sono nel concreto di una piccola realtà le opportunità o le criticità del servizio civile in azione, come si sviluppa il rapporto con i ragazzi e quanto incide il servizio civile sulla singola sede.

In questo modo ho potuto sviluppare il mio lavoro partendo da una prospettiva generica per poi scendere maggiormente nel dettaglio. Tramite l’analisi dei progetti, ho potuto vedere quali sono le abilita e le conoscenze acquisite realmente dei giovani grazie al servizio civile e confrontarle con quelle che sono le abilità più richieste nel mondo del lavoro.

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CAPITOLO 1: IL TERZO SETTORE IN ITALIA

Il concetto di Terzo Settore

L’espressione e il concetto del terzo settore nascono dalla consapevolezza che nel sistema economico e sociale esiste un primo settore che è rappresentato dallo Stato e un secondo settore che è rappresentato dal Mercato. In tal senso il terzo settore identifica quell’insieme di attività produttive che non fanno parte né della sfera dell’impresa capitalistica tradizionale, poiché non ricercano un profitto, e né rientrano nelle ordinarie amministrazioni pubbliche, poiché si tratta di attività di proprietà privata che concorrono alla gestione del welfare.

Come vedremo meglio più avanti il terzo settore, oltre ad essere un settore in crescita che offre posti di lavoro, è anche in sinergia con lo svolgimento del Servizio Civile Nazionale un mezzo ed uno strumento per i giovani per potersi formare e aumentare le competenze spendibili nel mondo del lavoro. Questo settore può essere analizzato anche dal punto di vista economico e sociale per capirne la sua rilevanza per il nostro paese. Nel corso del tempo queste due realtà si sono incrociate proprio perché per loro natura rappresentano palestre importanti della formazione. Infatti, nel 2016 è stata approvata la legge 106/2016 “Delega al

Governo per la riforma del Terzo settore, dell'impresa sociale e per la disciplina del servizio civile universale”.

Teorie sul terzo settore

Teoria della domanda

Fallimento dello statoinsoddisfazione degli utenti per i servizi standard offerti dallo Stato

Fallimento del mercato asimmetria informazionale tra venditori e acquirenti

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b) Organizzazioni che massimizzano obiettivi di tipo ideologico o sociale

Le teorie sulla nascita del concetto del terzo settore all'interno del sistema

economico e sociale sono tradizionalmente distinte in: “Teoria della domanda” e “Teoria dell'offerta”1.

La teoria della domanda può essere a sua volta suddivisa in “Teoria del fallimento dello Stato” e “Teoria del fallimento del mercato”.

Secondo la “Teoria del fallimento dello Stato”, la fornitura di beni e servizi da parte di un'organizzazione di terzo settore si genera dall'insoddisfazione sia quantitativa che qualitativa, di alcuni consumatori per la produzione di tipo standard da parte dello Stato, specialmente quando il bene oppure servizio offerto presenta gli attributi di “bene pubblico”. I servizi offerti dal no profit si configurano quindi come addizionali a quelli statali, finanziati quindi da donazioni volontarie degli utenti insoddisfatti e resi possibili dal vincolo di non distribuzione degli utili che serve ad incentivare e promuovere comportamenti di tipo altruistico.

Nella “Teoria del fallimento del mercato”, l’organizzazione no profit risponde al fallimento del rapporto tra consumatori e mercato, questo avviene quando si crea un’asimmetria informativa, tale da far sorgere crisi di fiducia tra venditori e acquirenti.

Questo caso è particolarmente diffuso nei mercati in cui chi acquista il bene non ne è il diretto beneficiario. In tal caso l'esistenza di un vincolo di non distribuzione degli utili rappresenterebbe un elemento di garanzia per l'acquirente, in quanto segnalerebbe che ogni eventuale surplus di gestione dell'ente verrà impiegato per aumentare la quantità o la qualità del servizio piuttosto che per fini speculativi. La teoria dell'offerta cerca invece di spiegare come mai esistono individui che, pur non potendo far leva sull'incentivo di un profitto, sono disposti a costituire un'attività non-profit.

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8

I motivi e le risposte date dalla letteratura in questo caso sono diversi. Secondo D.R. Young, una delle spiegazioni possibili riguarda il tipo di imprenditore che caratterizza il no profit. Questo tipo di imprenditore, non trarrebbe soddisfazione da ricompense di tipo materiale o dall’esercizio del potere. Secondo una teoria di E. James, le organizzazioni non profit si caratterizzano per la massimizzazione di obiettivi diversi dal profitto. Molto spesso si tratta di obiettivi di tipo sociale, ideologico o altruistico, quindi si privilegia questo tipo di obiettivi rispetto alla massimizzazione degli utili.

Secondo altre interpretazioni, come avremo anche modo di vedere in seguito, il terzo settore svolge un ruolo importante nello sviluppo del “capitale sociale”, ossia di beni immateriali quali la fiducia, lo spirito civico, la solidarietà, le buone norme e la propensione alla vita associativa, la cui presenza incide positivamente sui processi di sviluppo economico, specie su scala locale.

A causa della crisi del welfare state è stato necessario ristabilire le priorità e le modalità di erogazione dei servizi sociali, favorendo una riflessione su come favorire l’organizzazione di una rinnovata responsabilità civile, e incentivare forme di cittadinanza attiva tra i più giovani, che fossero in grado di rispondere alle domande e alle richieste a cui non sanno più rispondere, da soli, lo Stato e il Mercato. Da questa crisi nasce l’opportunità e l’esigenza di intervenire su questo terzo soggetto in grado invece di rispondere in maniera tempestiva e con maggiore efficacia a questi bisogni. Dal punto di vista economico invece “Con il termine Terzo

settore si intende quel complesso di enti privati che si pongono all’interno del sistema socio economico e si collocano tra Stato e mercato e che sono orientati alla produzione di beni e servizi di utilità sociale”2.

Questo tipo di enti vengono definiti anche no profit ricalcando la definizione di origine statunitense di not for profit organization. Il termine serve ad indicare quelli enti che non hanno come fine principale quello di creare profitto, in una accezione più estesa si intende che l’organizzazione abbia finalità solidaristiche e

2 L.BRUNI e S. ZAMAGNINI (a cura di), (2009), Dizionario di Economia Civile, Città Nuova, Roma.

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che l’utilità prodotta venga destinata a favore di terzi o per il conseguimento di scopi sociali. Possiamo distinguerne tre macro categorie3:

• non profit mutualistico e associativo, a livello numerico può essere considerato il gruppo più numeroso e significativo, è basato principalmente sull’auto-finanziamento dei soci attraverso le quote ed il volontariato. L’obiettivo principale è quello di perseguire l’interesse dei propri membri;

• non profit leggero, di questa categoria fanno parte le organizzazioni operanti nei servizi di ausilio al settore socio-sanitario e di assistenza sociale. Anche questi enti si basano essenzialmente sull’auto-finanziamento e il volontariato, ma in questo caso sono volti ad offrire un servizio a terzi. Questa tipologia è poco studiata in letteratura perché spesso ci si trova davanti ad associazioni senza forma giuridica di cui è difficile misurare l’entità dei servizi offerti;

• non profit professionale conta il minor numero di enti, ma è quello più rilevante per quanto riguarda fatturato e numero di dipendenti. Caratterizzato da un elevato numero di cooperative sociali e dalle grandi associazioni assistenziali, sia nel settore sanitario, sia in quello sociale. Rispetto agli altri gruppi ha una presenza limitata di volontari e una grossa dipendenza dai finanziamenti pubblici. Sulla carta è la categoria più trasparente del no profit perché gli enti sono organizzazioni giuridicamente definiti e quindi più attenti alla redazione dei bilanci.

Nonostante negli anni il settore abbia sviluppato la sua vena imprenditoriale, questa rimane solamente uno strumento per portare a termine la mission principale che rimane comunque l’erogazione di servizi sociali.

Per dare una definizione internazionalmente valida del terzo settore e quindi stabilire quali organizzazioni ed enti ne fanno parte a prescindere dai diversi sistemi fiscali e di welfare, è possibile basarsi sulle caratteristiche delineate da un

3 M. SANTILLO, “Il Terzo settore tra tradizione e innovazione”, Rivista economica del Mezzogiorno,

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progetto di ricerca della Johns Hopkins University di Baltimora curato da M. Salamon and Helmut K. Anheier 4 .

Questo lavoro ha prodotto una definizione di tipo strutturale-operativo che si basa su cinque parametri che si possono utilizzare per stabile se un ente appartiene a questo settore.

Per poter fare parte di questa categoria un’organizzazione deve essere:

• formale: essere formalmente costituita, quindi dotata di uno statuto o di un atto costitutivo

• privata: differenziata istituzionalmente dal settore pubblico

• auto-governante: con autonomia decisionale sulle proprie attività e il loro svolgimento

• senza distribuzione di profitto: il profitto ricavato non deve essere distribuito sotto nessuna forma ai suoi proprietari, membri o dipendenti ed eventuali surplus devono essere reinvestiti nella stessa attività

• con presenza di lavoro volontario: sul piano operativo, sia su quello dirigenziale e di indirizzo delle attività 5.

Lo sviluppo del no profit e l’evoluzione di quello che poi appunto costituirà il terzo settore in Italia, così come in altre parti del mondo, è il risultato di fenomeni ed azioni che nel corso del tempo hanno intrecciato azioni istituzionali ad azioni ad opera di privati. Si registrano già a partire dal Medioevo enti non lucrativi, spesso di origine religiosa, il cui scopo era di aiutare i più bisognosi e le classi meno abbienti. Nel tempo nascerà quindi l’esigenza di regolare ed amministrare al meglio il patrimonio di questi enti, con parsimonia, in modo da tener fede alla

mission caritatevole per cui erano nati.

Nel corso della storia si possono sostanzialmente identificare tre modalità di intervento con cui venivano concepiti e messi appunto gli interventi assistenziali:

4 L.M. SALAMON, H.K. ANHEIER, Defining the non-profit sector: a cross-national analysis,

Manchester 1997.

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• le attività caritatevoli, tipiche delle forme di organizzazione sociale più tradizionale che ha visto come protagoniste le Opere pie e le fondazioni di matrice religiosa

• le varie forme associazionistiche di self-help, come per esempio le società di mutuo soccorso, che ebbero origine dal contesto delle corporazioni di arti del primo periodo dell’industrializzazione

• gestione pubblica dell’assistenza, nelle società più avanzate che possiamo ulteriormente suddividere in due modalità, una caratterizzata da una fornitura pubblica diretta di servizi socio-assistenziali, la seconda caratterizzata dalla fornitura privata di servizi assistenziali, ma in presenza di regolamento pubblico secondo modelli di contracting-out e di

outsourcing6.

Nonostante l’obiettivo ultimo e condiviso dell’insieme dei vari enti, sia quello di creare pubblica utilità, all’interno del settore possiamo differenziare le numerose realtà in base a diverse funzioni-obiettivo. È possibile, dunque, trovare sia organizzazioni che portano avanti attività che hanno principalmente una funzione produttiva, come per esempio, le cooperative sociali e le imprese sociali che producono, favoriscono lo scambio di beni o servizi di utilità sociale; altre realtà come le fondazioni hanno prevalentemente una funzione erogativa volta a sostenere la realizzazione di interventi di welfare a livello locale da parte di altre organizzazioni del terzo settore. Infine, gran parte di queste realtà invece porta avanti una funzione di Advocacy, ovvero di sostegno, di questa categoria fanno parte le organizzazioni di volontariato e le associazioni di promozione sociale. In questo caso l’azione dei soggetti va analizzata tenendo in considerazione i due obiettivi principali: a) da un lato, su quelli che sono identificati come decision

maker, agendo per modificare la sensibilità o la loro cognizione rispetto alla

questione da promuovere e per influenzarne il loro modo d’agire;

b) dall’altro, sui cittadini, organizzando, educando, stimolando alla responsabilità sociale dei consumatori, gli investitori e le aziende.

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Con il passare del tempo si è visto che c’è stato un orientamento più verso la produzione ed erogazione di servizi sociali, che ha affiancato la più tradizionale e antica funzione di Advocacy, questo sia grazie ad alcune leggi ad hoc, che al maggiore coinvolgimento da parte delle amministrazioni locali nel finanziamento delle attività7. Negli ultimi anni si è visto come anche a seguito dei cambiamenti

sociali ed economici, si sia sviluppata principalmente una vocazione imprenditoriale, lo sviluppo di questo nuovo aspetto pone l’attenzione su aspetti come l’implementazione di un’organizzazione efficace, che nel caso del terzo settore si traduce come creazione di benessere sociale, ed efficiente, cioè orientata alla massimizzazione delle risorse utilizzate, in modo tale da potere garantire la sostenibilità economica e temporale delle attività e dei servizi svolti. Tenendo conto di queste caratteristiche e della legislazione italiana gli enti del terzo settore possono assumere varie forme legali e istituzionali. Infatti secondo l’articolo 4 del decreto legge n. 117/2017 sono enti del terzo settore: le organizzazioni di volontariato, le associazioni di promozione sociale, gli enti filantropici, le imprese sociali, incluse le cooperative sociali, le reti associative, le società di mutuo soccorso, le associazioni, riconosciute o non riconosciute, le fondazioni e gli altri enti di carattere privato diversi dalle società costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale mediante lo svolgimento di una o più attività di interesse generale in forma di azione volontaria o di erogazione gratuita di denaro, beni o servizi, o di mutualità o di produzione o scambio di beni o servizi, ed iscritti nel registro unico nazionale del Terzo settore. Per quanto riguarda gli enti religiosi civilmente riconosciuti devono adottare un regolamento in forma di atto pubblico o scrittura privata autenticata, che deve essere depositato nel Registro unico nazionale del Terzo settore. Nella tabella sottostante possiamo vedere come sono variate del 2011 al 2015 le forme giuridiche delle varie associazioni italiane.

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13 Tabella 1. Istituzioni non profit per forma giuridica8.

Forme giuridiche 2015 v.a. % 2011 v.a. % Var. % 2015/2011 Associazione riconosciuta e non riconosciuta 286.942 85,3 269.354 89,4 6,5 Cooperativa sociale 16.125 4,8 11.264 3,7 43,2

Fondazione 6.451 1,9 6.220 2,1 3,7

Altro 26.765 8,0 14.354 4,8 86,4

TOTALE 336.275 100 301.191 100 11,6

Caratteristica che accomuna questi enti è la specificità del contratto societario che lega i soci all’azienda. Nello statuto si prevede un vincolo per la distribuzione degli utili al quale di solito è affiancata l’impossibilità di cedere la propria quota societaria a terzi. L’obiettivo del non profitto è quindi riferito al singolo socio e non alla associazione nel suo complesso, infatti nel caso in cui vengano realizzati dei profitti questi non verranno redistribuiti tra i soci, ma verranno reinvestiti nel proseguimento delle attività dell’ente.

Abbiamo visto quali sono le forme giuridiche che queste associazioni assumono e quali sono le specifiche contrattuali che le accomunano.

Per quanto riguarda le attività svolte nel terzo settore le aree della cultura, dello sport, e ricreazione sono le principali seguite poi dall’area dell’assistenza sociale. Per classificare gli enti in base alle attività svolte possiamo distinguere due funzioni o gruppi principali. Le funzioni “servizio” si riferiscono a quelle attività che principalmente forniscono servizi diretti come l’istruzione, la sanità, i servizi alla comunità, i servizi sociali etc. Le funzioni “espressive” richiamano quelle associazioni e quelle attività che favoriscono l’espressione di valori ed interessi artistici, culturali, religiosi, professionali, politici, ambientali etc.9

8 ISTAT. Censimento permanente delle Istituzioni non profit, dicembre 2017, p.5.

9 L. BERARDI, M. A. REA, Governance, accountability e management dei volontari nelle

organizzazioni non profit italiane ai tempi del secondo censimento Istat, Colloquio scientifico

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Tabella 2.Istituzioni non profit per settore di attività prevalente e forma giuridica10.

Forma giuridica

Settore di attività prevalente Associazione Cooperativa Sociale

Fondazione Altra forma

Totale

Valori assoluti

Cultura, sport, ricreazione 95,0 0,4 0,8 3,9 100

Istruzione e Ricerca 48,5 11,0 13,2 27,3 100 Sanità 85,2 9,4 3,1 2,3 100 Assistenza sociale e protezione civile 70,9 20,9 5,0 3,2 100 Ambiente 96,2 0,0 1,1 2,7 100 Sviluppo economico e coesione sociale 11,1 86,1 0,5 2,2 100

Tutela dei diritti e attività politica

96,4 0,0 1,3 2,3 100

Filantropia e promozione del volontariato 90,4 0,0 7,8 1,8 100 Cooperazione e solidarietà internazionale 86,7 0,0 6,6 6,7 100 Religione 13,5 0,0 1,8 84,7 100 10 ISTAT, op.cit., p.8. 85, 3 4, 8 1, 9 4,5 A S S O C I A Z I O N E C O O P E R A T I V A S O C I A L E F O N D A Z I O N E A L T R A F O R M A

ISTITUZIONI NO PROFIT PER FORMA

GIURIDICA

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15 Relazioni sindacali e rappresentanza di interessi 99,0 0,0 0,2 0,7 100 Altre attività 54,7 23,5 3,9 18,0 100 TOTALE 85,3 4,8 1,9 8,0 100

Il valore del terzo settore in Italia

Quanto vale il terzo settore in Italia?

Oggi la sfida principale che si trova ad affrontare il terzo settore italiano è quella di riuscire a delineare, affermare e rafforzare una propria identità e trovare soluzioni ai problemi che emergono in questa nuova fase di sviluppo. La crisi degli ultimi anni ha reso più difficile la condizione socio economica italiana mettendo in luce da una parte l’impossibilità di sostenere il tradizionale modello di welfare e dall’altra l’inappropriatezza del tradizionale paradigma economico di tipo capitalista che difficilmente riesce a far fronte alle nuove sfide economiche e sociali tra cui anche il problema dell’occupazione. A partire dal dopo guerra il

welfare state italiano a iniziato a mostrare le sue debolezze in risposta al Mercato.

Motivo per cui il compito principale di questo settore diventa quello di creare intenzionalmente un ammontare più elevato possibile di esternalità sociali, che servono a creare ed accumulare capitale sociale che va inteso come rete di relazioni interpersonali e legami fiduciari che permettono di perseguire più efficacemente gli obiettivi comuni11 dando vita a quella che possiamo chiamare

un’economia plurale12 che possa permettere la contaminazione dei vari attori

coinvolti e la condivisione delle buone prassi promuovendo un’economia più sostenibile e democratica.

11 UNICREDIT FOUNDATION, Ricerca sul valore economico del Terzo settore in Italia ,2012,

pp18-19.

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Il valore del terzo settore

Valore aggiunto economico Ricchezza materiale e finanziaria

Valore aggiunto sociale Creazione di capitale sociale

Valore aggiunto culturale Diffusione di valori solidaristici

Quello che differenzia il terzo settore degli altri non è tanto in quello che fa, produrre/erogare beni e servizi quindi “cosa”, ma la modalità d’azione attraverso cui i soggetti no profit agisco e quindi il “come” creano un valore aggiunto dell’economia sociale:

• valore aggiunto economico, ossia quanto un’organizzazione incide in termini di accrescimento di ricchezza materiale, economica e finanziaria prodotta attraverso la sua attività. Data la significatività e il contributo del no profit, all’attività economica nel determinare il prodotto interno lordo si rende sempre più necessaria una rendicontazione chiara e univoca. Per misurare questo valore si fa riferimento al concetto dell’efficienza. In questo caso non si può misurare il valore basandoci sulla massimizzazione del profitto, ma all’uso corretto dei mezzi utilizzati come le risorse finanziarie, umane e organizzative 13;

• valore aggiunto sociale è il contributo per quanto riguarda la produzione di beni relazionali e la creazione di capitale sociale. Per effettuare l’analisi in questo campo viene misurata la capacità di relazionalità degli enti no profit. Questo tipo di indagine viene effettuata attraverso l’analisi del clima aziendale, che possa poi fornire un quadro di quelle che sono le relazioni aziendali tra la leadership e gli operatori (dipendenti e volontari) basate su fiducia, cooperazione, lealtà e della robustezza di tali rapporti. Queste misurazioni si possono rilevare analizzando elementi quali la collaborazione, la fiducia tra gli operatori, il senso di appartenenza all’organizzazione, lo spirito di squadra e disponibilità reciproca. Se misurare la relazionalità interna risulta relativamente facile, lo stesso non

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vale per la misura della relazionalità esterna, la difficoltà non è negli aspetti di tipo quantitativo delle relazioni con gli stakeholders quanto nella capacità e quindi nella qualità di queste relazioni e di come le organizzazioni riescano a produrre beni relazionali per alimentare la propria reputazione14.

• valore aggiunto culturale, va inteso come il contributo fornito in termini di diffusione di valori come equità, tolleranza, solidarietà, mutualità, coerenti sia con la mission dello specifico ente e anche con la comunità di cui fa parte. Per l’organizzazione questo si traduce in un’azione guidata dai principi che la originano e incide anche sulla sua capacità di trasmettere questi stessi principi anche all’esterno. I valori non solo sono contenuti all’interno degli statuti, ma rappresentano una guida, un modo d’agire che va tradotto nelle attività e nelle azioni concrete della quotidianità. Per misurare l’aderenza o no a questi principi base è necessario che innanzitutto le organizzazioni presentino una lista dei loro valori di riferimento per poi indagare se ci sia o meno discordanza tra quelli che sono i valori dichiarati e quelli percepiti dagli utenti o dai beneficiari15.

Per quanto riguarda l’occupazione il settore capitalistico è risaputo che in genere riesce ad offrire lavoro a non più del 70-75% della forza lavoro. Compito del

welfare state è stato quello, fino a che sono state disponibili risorse pubbliche,

principalmente di includere quella fascia di popolazione che necessita di ulteriori interventi distributivi perché fuori dal processo produttivo16. Ad oggi il terzo

settore non solo quindi fa da supporto a quella parte di popolazione in difficoltà ma rappresenta un settore in espansione e in crescita. Secondo i dati ISTAT le istituzioni non profit attive al 31 dicembre 2015 contano sul contributo di 5.528.760 volontari e 788.126 lavoratori dipendenti. In media, l’organico è composto da 16 volontari e 2 dipendenti ma la composizione interna delle diverse tipologie di risorse impiegate varia notevolmente in relazione alle attività svolte,

14 Ivi., p.27.

15 Ivi., p.28.

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ai settori d’intervento, alla struttura organizzativa adottata e alla localizzazione. In particolare, nei settori della Sanità e dello Sviluppo economico e coesione sociale si riscontra, in media, una presenza molto più elevata di dipendenti pari rispettivamente a 15 e 14 unità di personale17. Dalla tabella possiamo vedere la

distribuzione su tutto il territorio nazionale, risulta chiaramente una maggiore distribuzione di enti nel nord-ovest del paese rispetto alle isole in cui troviamo la percentuale più bassa.

Tabella 3. Dipendenti e volontari delle istituzioni non profit per regione/provincia autonoma e ripartizione geografica18 Regioni/province autonome e Ripartizioni Dipendenti Volontari v.a. Var.% 2015/2011 Per 10mila abitanti v.a. Var.% 2015/2011 Per 10mila abitanti Piemonte 68.517 16,0 155,6 439.839 5,5 998,8 Valle d’Aosta 1.943 -8,0 152,6 25.935 38,7 2.036,9 Lombardia 179.956 8,5 179,8 1.009.795 24,1 1.009,0 Liguria 21.495 13,7 136,8 186.554 18,9 1.187,4 NORD-OVEST 271.911 10,6 168,8 1.662.178 18,2 1.031,7 Bolzano 8.063 10,8 154,8 156.476 3,1 3.004,0 Trento 12.374 22,2 229,9 118.397 14,7 2.199,8

17 ISTAT, op. cit., p.4.

18 Ivi., p.6. 271. 911 181. 812 177. 339 94.5 31 62.5 33 1.66 2.17 8 1.44 2.08 9 1.22 6.46 1 768. 406 409. 625 N O R D - O V E S T N O R D - E S T C E N T R O S U D I S O L E

DIPENDENTI E VOLONTARI NEL NO

PROFIT

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19 Trentino Alto Adige 20.438 17,5 193,0 247.874 7,8 2.595,3 Veneto 71.652 12,0 146,5 505.239 8,4 1.027,9 Friuli Venezia Giulia 17.728 15,5 145,2 168.916 4,4 1.383,2 Emilia Romagna 71.652 11,3 161,1 473.060 10,4 1.063,5 NORD -EST 181.812 12,6 156,1 1.442.089 8,4 1.221,3 Toscana 46.048 15,1 123,0 469.495 8,6 1.253,9 Umbria 11.325 18,1 127,1 133.042 24,4 1.492,9 Marche 17.828 15,3 115,5 177.966 11,3 1.152,8 Lazio 102.139 24,0 173,5 485.958 24,2 825,3 CENTRO 177.339 20,3 147,0 1.266.461 16,2 1.049,5 Abruzzo 10.455 25,3 7,8 129.354 46,0 975,1 Molise 2.981 23,2 95,5 25.255 13,7 809,4 Campania 30.022 53,6 51,3 238.858 50,1 408,2 Puglia 34.037 28,7 83,5 218.695 22,7 536,4 Basilicata 6.395 50,7 111,5 58.527 22,8 1.020,2 Calabria 10.641 26,2 54,0 97.717 9,6 495,9 SUD 94.531 36,1 67,0 768.406 31,4 544,6 Sicilia 41.174 3,8 81,1 216.534 -3,6 426,7 Sardegna 21.359 25,8 128,8 193.091 37,2 1.164,5 ISOLE 62.533 10,4 92,9 409.625 12,1 608,4 ITALIA 788.126 15,8 129,9 5.528.760 16,2 911,4

Il terzo settore non è rilevante solo su base italiana, ma anche europea infatti ha un impatto considerevole sia dal punto di vista economico che umano. Impiega più di 11 milioni di persone, pari al 6,7% dei lavoratori dipendenti dell’UE. Vede coinvolti decine di milioni di cittadini in attività di volontariato, il cui operato è pari a circa 4,8 milioni di lavoratori full time19. La presenza contemporaneamente di

lavoro volontario e lavoro retribuito è caratterizzante e delinea una delle carat-teristiche principali del settore non profit. Questa convivenza può generare modelli organizzativi molto specifici rispetto alle attività svolte e agli organismi che

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ne sono protagonisti infatti i modelli organizzativi e gestionali del settore profit vanno riadattati. Si ritiene in genere che proprio la flessibilità di interazione tra le diverse modalità di impegno assicuri prestazioni personalizzate, ma anche adattabilità al cambiamento delle esigenze e risposte più efficaci.

Sembra essere quindi necessaria una rielaborazione del modello economico classico in modo da creare un modello economico sostenibile, che tenga in conto le interdipendenze tra i vari sistemi e che possa essere un mezzo per il benessere e l’auto realizzazione dei cittadini20.

Il no profit per sua stessa natura ha un ruolo importante nel portare avanti una cultura del lavoro che abbia come obiettivo ultimo la persona. La vicinanza alla gente, conoscerne i problemi e le aspirazioni, conoscere i momenti e le forme di discriminazione, e il sostegno nel quotidiano alle persone, sono caratteristiche che rendono il terzo settore adatto per le proposte e i programmi sul lavoro proprio perché riescono a venire incontro alle vere esigenze dei lavoratori e con loro possono creare una rete assistenziale di protezione sociale. Il terzo settore in questo caso agisce su due versanti da un lato, considerando il cittadino come lavoratore riesce a connettere direttamente il diritto al lavoro e la promozione della persona, in questo modo il lavoratore concilia il proprio operato con le sue aspirazioni e attitudini evitando il senso di alienazione che provano molti lavoratori. Dall’altro lato troviamo la persona al centro delle attività svolte, come destinatario delle azioni del centro che provvede alla costruzione di beni relazionali importanti per la coesione sociale del nostro paese21.

Gli interlocutori del terzo settore sono diversi soggetti, sia pubblici che privati, che contribuiscono alla realizzazione di un paese democratico, l’importante e che queste relazioni si fondino su basi corrette in modo da generare esternalità positive, collaborazioni e non relazioni di dipendenza o sudditanza22. Grazie alla

sua capacità appunto di connettersi ed interloquire con vari soggetti il no profit sta diventando sempre più rilevante per l’economia del nostro paese, si evolvono

20 Ivi., pp.37-38.

21 Ivi., p. 38.

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i rapporti di collaborazione con le istituzioni e soggetti privati che parallelamente fanno crescere il volume delle iniziative svolte. Nonostante la crisi, di cui indubbiamente anche questo settore ha risentito, i dati raccolti negli anni hanno mostrato che si è mantenuto un buon equilibrio economico e patrimoniale, che si aggiunge ai già positivi dati di crescita e salvaguardia dell’occupazione, soprattutto quella femminile, che abbiamo già avuto modo di vedere23. Il terzo settore svolge

due ruoli a livello di economia sostenibile, uno di tipo pre-economico incentrato su aspetti culturali e volto alla creazione di capitale sociale. L’altro ruolo principalmente economico favorisce l’agire pro sociale e l’assunzione del principio di responsabilità fa sì che la sfera economica diventi uno strumento per il benessere della società. Nonostante al momento in cui scrivo non è stato possibile reperire dati aggiornati sulle entrate economiche del terzo settore italiano, i dati che vedremo ci danno un’idea di quanto questo settore sia in crescita e di quali sono le fonti d’entrata principali.

Analizzando in termini generali l’intero settore, con dati riferiti al 2010, possiamo considerare una media di entrate pari a 286.000 euro per un numero di istituzioni di 235.232, l’impatto economico in termini di entrate nel 2010 è di 67,276 miliardi di euro, pari a 4,3% del PIL24. Nella tabella sottostante i dati riportati sono stati

divisi in tre grandi gruppi che come abbiamo visto prima costituiscono le principali funzioni-obiettivi del terzo settore, e per fasce di valore.

Tabella 4. Entrate derivanti dalla gestione 2010 per fasce di valore25

Totale campione % Advocacy % Produttiva % Erogativa % Fino a 5.000 Euro 22,4 23,7 3,2 - Da 5.000 a 50.000 Euro 36,8 39,2 3,9 2,7 Da 50.000 a 150.000 Euro 18,3 18,4 12,1 29,4 Da 150.000 a 500.000 Euro 13,9 12,8 33,5 21,4 Da 500.000 a 1.000.000 Euro 3,8 2,9 20,3 6,7 Oltre 1.000.000 Euro 5 3 27 39,8

Valore medio delle entrate Euro

286.000 158.000 1.268.000 4.170.000

23 UNICREDIT FOUNDATION, op.cit., p73.

24 Ivi., p.75.

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Ognuno di questi tre grandi cluster differisce per la natura e le caratteristiche degli enti che lo compongono. Infatti, il valore economico generato può essere distinto in base alla fonte principale di entrata. Per quanto riguarda la funzione di Advocacy hanno un peso più rilevante i finanziamenti pubblici. Per la funzione produttiva, che è composta in larga parte da cooperative sociali possiamo vedere come una parte dei ricavi derivi dalle convenzioni stipulate con gli enti pubblici, ma una parte invece deriva proprio dai beni e servizi erogati a privati. La funzione di erogazione è invece rappresentata principalmente dalle fondazioni, che grazie alla loro notorietà, reputazione e grande capacità relazionale, riescono a far derivare buona parte delle loro entrate da attività di fund raising come donazioni da privati o il 5X1000. Nella tabella si possono vedere in maniera più dettagliate le fonti di entrata e quanto il peso di ognuna differisca in base alle diverse funzioni-obiettivo. Tabella 5. Composizione delle entrate26.

Totale campione % Advocacy % Produttiva % Erogativa % ENTRATE DAL SETTORE

PUBBLICO

36 41,8 53,4 12,3

Convenzioni 27,8 32,2 37,9 12

Finanziamenti a fondo perduto 8,2 9,6 15,4 0,3

DONAZIONI 30,2 20,9 13,5 59,3

Donazioni/ legati di individui (non soci)

17,9 9,4 7,4 41,1

Donazioni da fondazioni bancarie 2,3 3,6 0,8 0,9

Donazioni da imprese e altre fondazioni

2,6 1,9 0,9 5,1

5 per mille 3,4 3,6 0,8 4,8

8 per mille 0,2 0,4 0,1 0

Altre attività di raccolta fondi 0,8 0,9 1,5 0

Altre sovvenzioni dal settore non profit

0,7 0,6 1,9 0

Altri contributi/donazioni 2,3 0,4 - 7,3

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EROGAZIONE BENI E SERVIZI 18,7 22,5 29,5 4,2

Entrate per beni, servizi erogati a privati

13,3 15 23,8 2,8

Sponsorizzazioni 0,1 0,3 - -

Entrate per beni, servizi erogati a soci

3,9 5,8 4,6 0

Entrate per beni, servizi erogati (gen.) 1,3 1,4 1,1 1,4 Autofinanziamento 11,1 12,2 2 15,6 ALTRE FONTI DI FINANZIAMENTO 4,1 2,6 1,6 8,6 Proventi da capitale 3,1 1,9 1,4 6,7 Operazioni di bilancio 0,5 0,1 - 1,7

Altre fonti di finanziamento 0,4 0,5 0,3 0,3

Questi dati ci fanno capire quale sia l’impatto di questo settore sul nostro paese, sia per quanto riguarda le risorse umane impiegate e sia per il valore economico che riesce a venerare. Ci troviamo di fronte ad un fenomeno in crescita che opportunamente gestito e regolato può rappresentare una grossa risorsa ed opportunità per il paese.

Il Terzo Settore prima della riforma

Negli anni è emersa l’esigenza di riconoscere al terzo settore una soggettività ben delineata in modo da poter fare chiarezza in merito alla possibilità di fare impresa senza scopo di lucro. Ed è cambiato anche il ruolo del Servizio Civile. È stata necessaria quindi la riforma del codice civile per poter riordinare e riunificare le normative precedenti in modo da poter riconoscere e definire il ruolo e le funzioni esercitati da questo settore nella costruzione del bene comune e per poter conferire al Servizio Civile una funzione di formazione per i giovani. La sfida è stata quella appunto di creare un impianto generale di regolamentazioni sotto vari aspetti, in modo da offrire una disciplina generale senza però snaturare la natura

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24

specifica delle varie identità27. Emerge l’esigenza quindi di un Testo Unico che

possa regolamentare l’intero settore, dai vari censimenti condotti negli anni dall’ISTAT infatti abbiamo potuto vedere come questo settore in continua crescita necessitasse di leggi dedicate e univoche per permetterne uno sviluppo ulteriore. Tramite un breve excursus storico vedremo quali sono state le leggi che hanno portato alla nascita del Servizio Civile Nazionale e alla definizione del terzo settore. Fin da subito la riforma, che tende alla semplificazione, riorganizzazione e promozione viene accolta positivamente, tramite questo processo sarà anche più facile prevedere un maggiore coinvolgimento nella progettazione delle politiche sociali28 , di modo che possa diventare un settore adatto non solo a creare

occupazione, ma anche a formare i giovani tramite il Servizio civile e a fornire loro competenze spendibili sul Mercato. Il tema della responsabilità sociale dell’impresa negli ultimi anni sta animando il dibattito pubblico, una spinta che viene dal basso e che la società civile sta imprimendo verso le imprese affinché queste si occupino e si prendano cura di cose che erano competenza esclusiva di Stato, Chiesa e Famiglia. I segnali che ci arrivano dalla società sono segnali forti, si sviluppano e crescono maggiormente i sistemi di rating etico e del social

accountability, questo sottolinea come i cittadini siano diventati sempre più

sensibili ai valori etici, al rispetto per l’ambiente e per il benessere sociale29. Il

percorso verso un Testo Unico per il Terzo settore che ha poi portato alla legge 6 giugno 2016, n. 106 “Delega al Governo per la riforma del Terzo settore, dell'impresa sociale e per la disciplina del servizio civile universale” e al decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117“Codice del terzo settore” e stato lungo e vedremo in un breve excursus quali erano i provvedimenti adottati precedentemente. Storicamente le istituzioni religiose e la chiesa hanno avuto un ruolo rilevante nella gestione dei servizi di tipo assistenziale sanitario ed educativo, col ‘’Concordato” del 1929 molti enti di natura cattolica che fino a quel momento si erano occupati

27 F. MANCINI et al., Processo di riforma del Terzo settore. Iter, questioni definitorie ed esigenze di

governance, Osservatorio Isfol, IV (2014), n. 3-4, pp. 81-96, p.82.

28 Ivi., pp. 84- 85.

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25

di pubblica assistenza divennero parte attiva e riconosciuta del sistema pubblico di sicurezza30. Come antenati dei moderni enti no profit ricordiamo le IPAB (Istituti

pubblici di assistenza e beneficenza) istituite nel 1923 e che nel corso degli anni hanno subito varie riforme. Create con il compito di prestare assistenza ai poveri, tanto in stato di sanità quanto di malattia; di procurarne l'educazione, l'istruzione, l'avviamento a qualche professione, arte o mestiere, od in qualsiasi altro modo il miglioramento morale ed economico. Fin da subito si può veder come non solo ci sia stata un’attenzione alla salute della persona, ma anche alla formazione, in questo modo si fornivano quelli che potevano essere strumenti utili nel mondo del lavoro, parafrasando si potrebbero considerare quasi delle prime forme di politiche attive per il lavoro.

Anche dopo la fine del ventennio fascista e fino agli anni ’80 l’attenzione della legislatura italiana in materia di welfare si sarebbe concentrata sul tema della sanità.

Nel 1947, infatti, fu istituito Istituto Nazionale per l'Assicurazione contro le Malattie, INAM, con il Decreto Legislativo del Capo Provvisorio dello Stato 13 maggio 1947 n. 435.

Nel 1977 l'ente è stato sciolto a seguito della nascita del Servizio sanitario nazionale e da allora i contributi obbligatori, pagati dai lavoratori e dai datori di lavoro, sono gestiti dall'INPS. Per un lungo periodo a partire dagli anni ’50, in Italia, si sarebbe diffusa una concezione atomistica del sistema di pubblica assistenza, dando vita ad un universo di enti mutualistici settoriali, in antitesi ai principi costituzionali dell’universalità dell’assistenza31.

Nel 1978 verrà istituito il “Servizio Sanitario nazionale” il cui obiettivo è quello di rompere col vecchio sistema delle “casse mutue” rendendo accessibili a tutti i cittadini una serie di servizi sanitari32. Con il Decreto legislativo 299/1999, “Norme

per la razionalizzazione del Servizio sanitario nazionale”, si registrano delle importanti novità che portano al riconoscimento del ruolo degli enti locali

30 Ivi., p. 651.

31 Ivi., p.653.

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26

nell’elaborazione del piano sanitario regionale, definendo il ruolo delle formazioni sociali private che facevano parte degli enti no profit33.Ed è in questo contesto

culturale che si è riaffermata a pieno titolo la centralità del mondo non profit, pur nella consapevolezza che il suo debba rimanere un ruolo complementare e non sostitutivo di quello pubblico.

Nel 1987 con la legge 49/1987 sulla "Nuova disciplina della cooperazione dell'Italia con i paesi in via di sviluppo” viene riconosciuto il ruolo delle ONG “Organizzazione non governativa” che rappresenta quegli enti che si occupano di volontariato internazionale e di cooperazione con i paesi in via di sviluppo, si occupano maggiormente di aiutare queste popolazioni nell’ambito della sanità, dell’agricoltura e anche in questo caso dell’istruzione professionale34. Per

accedere ai finanziamenti pubblici devono essere degli enti riconosciuti dal ministero degli esteri.

Nel 1991 con la legge 266/1991 “Legge quadro sul volontariato” viene riconosciuto il ruolo sociale del volontariato e delle ‘’Organizzazioni di Volontariato” ODV che dovranno operare e fine esclusivo di solidarietà e utilità pubblica.

Sempre nel 1991 viene approvata la legge 381/1991 sulla “Disciplina delle cooperative sociali”.

Le cooperative sociali hanno lo scopo di perseguire l'interesse generale della comunità alla promozione umana e all'integrazione sociale dei cittadini attraverso: a) la gestione di servizi socio-sanitari ed educativi; b) lo svolgimento di attività diverse - agricole, industriali, commerciali o di servizi - finalizzate

all'inserimento lavorativo di persone svantaggiate 35.

Nel 1997 con il decreto legislativo 460/1997 sul “Riordino della disciplina tributaria degli enti non commerciali e delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale” si chiarisce il ruolo delle ONLUS (Organizzazione non lucrativa di utilità sociale) un’associazione di carattere privato, con o senza personalità giuridica, avente un fine solidaristico, che svolge attività di utilità sociale, rivolte alla collettività nei settori dell’assistenza, della beneficenza, della cooperazione allo sviluppo o

33 Ibid.

34M. SANTILLO, art. cit, pp. 657- 658.

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27

dell’istruzione. È essenziale che l’attività di sostegno non venga svolta a favore degli stessi soci, ma di soggetti estranei36.

Tra gli enti che si pongono in maniera intermedia tra Stato e cittadino ricordiamo anche il ruolo delle Fondazioni e delle Fondazioni Bancarie, hanno un patrimonio vincolato al perseguimento di uno scopo istituzionale o comunque altruistico. Nel 2000 con la legge 383/2000 "Disciplina delle associazioni di promozione sociale" si stabilisce e si riconosce il valore sociale delle associazioni, che tipo di atto costitutivo e statuto devono avere, si regolamentano le entrate economiche e le donazioni, l’iscrizione a dei registri nazionali e i loro rapporti con le istituzioni pubbliche. Per quanto riguarda direttamente i rapporti tra Terzo settore e pubblica amministrazione, si stabiliscono il tipo di rapporti contrattuali e i servizi erogabili, possiamo ricordare due leggi varate nel 1990, ovvero la legge 142 e la legge 24137.

Nel 2006 con la legge 155/2006 “Disciplina dell'impresa sociale, a norma della legge 13 giugno 2005, n. 118” si stabilisce quali enti possono acquisire la qualifica di impresa sociale, quali sono i beni e i servizi ritenuti di utilità sociale come per esempio: assistenza sociale, assistenza sanitaria, educazione istruzione e formazione, tutela dell’ambiente, valorizzazione del patrimonio culturale. Si stabilisce anche che queste organizzazioni debbano svolgere la loro attività senza scopo di lucro e che tipi di contratti si applicano ai lavoratori e che la retribuzione deve essere pari a quella prevista dai contratti collettivi nazionali. Per quanto riguarda il terzo settore questo è il quadro legislativo e il contesto da cui avrà origine la legge delega 106/2016 del terzo settore.

Leggi sul terzo settore 1947 Istituzione INAM

1978 Nascita servizio sanitario nazionale 1987 Nascita delle ONG

1991 Legge quadro sul volontariato – Disciplina delle cooperative sociali 1997 si chiarisce il ruolo delle ONLUS

36 M. SANTILLO, art. cit., p. 658.

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2000 Disciplina delle associazioni di promozione sociale 2006 Disciplina dell’impresa sociale

2016 - Riforma del terzo settore e del Servizio Civile

Il terzo settore dopo la riforma

Il terzo settore rappresenta una galassia di enti ed associazioni, che necessitava di un riconoscimento formale, per poter rappresentare accanto allo Stato un nuovo strumento di intervento e diventare un settore economico in espansione.

La “Riforma del Terzo settore, dell’impresa sociale e per la disciplina del Servizio

civile universale” è stata annunciata dal presidente del Consiglio Renzi, il 12 aprile

2014, in occasione della Festa del volontariato. Da tempo era atteso un disegno di legge che potesse affrontare in modo organico e sistematico la complessità del sistema38. Lo scopo del decreto legislativo è stato quello di rilanciare, riprendere e

approfondire le tematiche che già la legge del 2006 sulla disciplina dell’impresa sociale aveva cominciato a trattare e a regolamentare.

“Lo chiamano Terzo Settore, ma in realtà è il primo” questo è lo slogan che ha successivamente accompagnato l’iniziativa del governo di raccogliere le opinioni dei cittadini che operano nel settore, degli stakeholders, e degli utenti del no profit39. Si tratta del così detto metodo della “porta aperta”, secondo il quale non

viene richiesto l’intervento di coloro che sono accreditatati sulla materia, ma, sulla base del principio di affectdness, l’invito è esteso a tutti coloro che come individui, o in rappresentanza di specifici gruppi sociali, percepiscono un interesse sull’oggetto della decisione. Processo di difficile realizzazione nella pratica dove si concretizza sistematicamente un processo di autoselezione dei partecipanti tale per cui intervengono cittadini già esperienti, competenti o già appartenenti a qualche associazione o movimento sociale. L’interesse da parte del mondo del

38F. MANCINI et al., op. cit., p. 82.

39M. CAMPEDELLI, G.B. SGRITTA, “Il non profit: conoscenza e cambiamento”, Politiche Sociali,

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“non-profit” alla consultazione viene attestato dalla numerosità degli interventi pervenuti alla consultazione: complessivamente rispondono 1.016 soggetti40.

Dopo la conclusione delle consultazioni il 22 agosto 2014 viene presentato il disegno di legge “Delega al Governo per la riforma del Terzo settore, dell’impresa

sociale e per la disciplina del Servizio civile universale”.

La riforma ha seguito delle linee guida lungo l’iter che ha portato all’approvazione definitiva, che rispecchiano quelle che erano le aree che necessitavano di maggior intervento. Possiamo parlare di cinque aree principali:

• le fondamenta giuridiche

• la valorizzazione del principio di sussidiarietà orizzontale e verticale • l’impresa sociale

• il servizio civile universale

• il sostegno economico pubblico e privato degli enti del terzo settore. Gli obiettivi invece che la riforma si pone li possiamo sintetizzare come segue. Primo, una strategia per costruire un nuovo welfare partecipativo, che possa valorizzare il potenziale di crescita e di occupazione, che come hanno mostrato i dati, è già insito nell’ economia sociale e nel valore aggiunto creato dalle attività del terzo settore. In questo modo si cerca di premiare i comportamenti donativi o pro-sociali sia dei cittadini che delle imprese.

Secondo, ricostruire i confini giuridici e le fondamenta introducendo elementi penalizzanti dei comportamenti opportunistici, far decollare l’impresa sociale, ed offrire ai giovani attraverso il servizio civile una formazione utile al loro futuro. Terzo, articolare i suddetti obiettivi in azioni di rilevanza tali da giustificare per ognuno delle normative ad hoc41.

Il testo definitivo della riforma è stato approvato dalla Camera il 9 aprile 2015.

Cosa prevede la riforma?

Nella tabella sottostante possiamo vedere i punti principali che poi verranno approfonditi meglio punto per punto, in questo modo sarà più facile intuire come

40 F. MANCINI et al., op. cit., p. 83.

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questo tipo di riforma dovrebbe incentivare la crescita e aiutare il settore nel suo sviluppo.

Registro unico Fondazione Italia

Sociale Impresa sociale Rapporti con la PA

ONLUS Enti del Terzo Settore Social bonus Volontariato

Reti

associative 5 x1000 Raccolta fondi Fondi per gli ETS

Titoli di solidarietà Organizzazioni di volontariato Associazioni di promozione sociale

Agevolazioni fiscali per i donatori

Centri di servizio per il volontariato Personalità giuridica

Servizio Civile Universale

Con la riforma si vuole dare una definizione dal punto di vista giuridico, indicando chiaramente quali enti faranno parte del settore e quali no. Da questo momento cambia la procedura per acquisire la personalità giuridica, sarà il notaio a verificarne i requisiti e a trasmetterli al registro unico nazionale del terzo settore. Gli enti del terzo settore si potranno ritenere tali, non solo in base alle forme giuridiche stabilite per legge, che quindi non faranno più riferimento a formule di tipo sociologico, ma in base alla loro iscrizione al Registro Unico. Il registro nasce con la riforma ed è uno strumento pubblico, online e accessibile a tutti, che permette la conoscenza degli enti no profit. Lo scopo del registro unico del terzo settore è quello di unificare i vari albi, elenchi e registri già esistenti in uno strumento online, pubblico e accessibile a tutti. I dati riportati su questo registro saranno informazioni base sui vari enti. L’iscrizione al registro unico è obbligatoria, pena il mancato accesso alle agevolazioni fiscali e della legislazione a favore. Secondo la nuova legislatura come Enti del terzo settore si possono considerare gli enti iscritti al Registro quindi: organizzazioni di volontariato, associazioni di promozione sociale, enti filantropici, imprese sociale, reti associative, società di mutuo soccorso, associazioni riconosciute e non, fondazioni e altri enti di carattere privato, ne fanno parte parzialmente alcuni enti religiosi. Con il codice del terzo

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settore vengono abrogatele normative sulle Onlus, gli enti con questa qualifica dovranno avviare al più presto l’iter di iscrizione al Registro unico. A sostegno di questi enti nasce Fondazione Italia Sociale. Lo scopo è quello, tramite l’associazione di sostenere, con l’apporto di risorse finanziarie e di competenze gestionali la realizzazione di interventi innovati, soprattutto nei territori svantaggiati. Oltre alla definizione di quali enti fanno parte o no del no profit, la riforma riprende la normativa del 2006 riguardante l’Impresa Sociale. Vengono definite imprese sociali gli enti privati, incluse le società, che esercitano in forma stabile e principale una o più attività di interesse generale in forma d’impresa, senza scopo di lucro e per finalità civiche e solidaristiche. Con la riforma anche le cooperative sociali e i consorzi acquisiscono di diritto la qualifica di imprese sociali. Aumentano i campi di attività di interesse generale, includendo: micro credito housing sociale, commercio equo e solidale, agricoltura sociale. Con le nuove regole del codice del terzo settore, viene ammessa, seppur limitatamente, la possibilità di ripartire gli utili e gli avanzi di gestione. Come ricordato più volte il terzo settore costituisce una galassia di grandi e piccole associazioni e in questo caso è stato necessario stabilire e delimitare i confini delle reti associative, sono ETS composti da almeno 100 enti associati oppure da 20 fondazioni che abbiano sedi in almeno 5 regioni o province autonome. Le reti nascono per svolgere attività di coordinamento, tutela, rappresentanza, promozione o supporto degli ETS. Per quanto riguarda le associazioni di promozione sociale, APS, posso essere associate agli altri ETS a condizione il loro numero non super il 50% delle APS. Per quanto riguarda gli enti di promozione sportiva riconosciuti dal CONI, che associano un numero non inferiore a 500 associazioni di promozione sociale, questa previsione non si applica.

Il Codice del Terzo settore disciplina inoltre i rapporti con la Pubblica Amministrazione. Prevede il coinvolgimento degli ETS, come organizzazioni di volontariato e associazioni di promozione sociale, nella programmazione delle pubbliche amministrazioni nella gestione di servizi sociali e nella realizzazione di servizi nei settori di attività di interesse generale. Prevede la possibilità di stipulare

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convenzioni con le associazioni di volontariato e di promozione sociale per lo svolgimento di servizi purché a condizioni più favorevoli rispetto al ricorso al mercato. Infine, lo Stato, le Regioni e Province autonome e gli Enti locali possono concedere in comodato beni mobili ed immobili di loro proprietà, non utilizzati, agli enti del Terzo Settore, per lo svolgimento delle loro attività istituzionali. Queste collaborazioni sono possibili solo se gli enti sono iscritti nel Registro unico del terzo settore da almeno 6 mesi.

Il Codice definisce la qualifica di volontario, e ne disciplina l’attività, l’eventuale rimborso spese; stabilisce l’incompatibilità con qualsiasi forma di rapporto di lavoro subordinato o autonomo con l’ente di cui è socio o associato o per il quale svolge la propria attività.

Si dà una definizione unica della figura del volontario e del volontariato, valida per tutti gli ETS, sottolineando il punto più importante ossia, la gratuità delle attività di volontariato.

Le organizzazioni di Volontariato possono associarsi ad altri ETS o senza scopo di lucro a patto che il loro numero non sia superiore al cinquanta per cento del numero delle organizzazioni di volontariato. Anche in questo caso gli attuali registri confluiranno nel registro unico del terzo settore. Inoltre, queste associazioni dovranno pubblicare online il loro bilancio che quindi verrà reso pubblico. Come centri di sevizio per il volontariato possono accreditarsi gli enti costituiti come associazione del terzo settore, le organizzazioni di volontariato e altri enti stabiliti dal codice. Al fine di garantire un finanziamento stabile dei CSV è stato istituito il FUN, Fondo unico nazionale. In aggiunta, per i CSV sono previsti nuovi compiti e nuova governance.

Gli Enti del Terzo Settore sono tenuti al rispetto di vari obblighi riguardanti la democrazia interna, la trasparenza nei bilanci, i rapporti di lavoro e i relativi stipendi, l’assicurazione dei volontari, la destinazione degli eventuali utili. Qualora esercitino le attività di interesse generale con modalità non commerciali, potranno godere di agevolazioni tributarie e contributi economici (ad esempio, di incentivi fiscali per i donatori e per gli investitori nelle imprese sociali, di risorse del nuovo

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Fondo progetti innovativi, “Social bonus” e dei “Titoli di solidarietà”) per lo svolgimento delle loro attività istituzionali. Il Social bonus è il credito d’imposta per aziende o persone fisiche, per permettere il recupero da parte di ETS di immobili pubblici inutilizzati o di beni confiscati alla criminalità organizzata. Gli immobili potranno essere utilizzati per svolgere attività di interesse generale e non con modalità commerciali.

Il codice prevede delle agevolazioni fiscali per i donatori per incentivare la solidarietà. Per quanto riguarda le donazioni da parte di persone fisiche si potrà arrivare anche ad un 30% di detrazione per ogni periodo contributivo fino ad un massimo di 30.000 euro. Per gli enti o aziende le donazioni in denaro o in natura posso essere deducibili fino al 10% del reddito complessivo dichiarato e viene rimosso il limite di 70.000 euro/annui imposto dalla normativa precedente. Oltre ad incentivare le donazioni è stato istituito un fondo per il finanziamento, per sostenere lo svolgimento di attività di interesse generale anche attraverso le reti associative e le diverse tipologie di enti iscritte la registro unico. Gli obiettivi, le aree di intervento e le linee di attività finanziabili sono definiti dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Se non bastassero le agevolazioni fiscali per i donatori la legge prevede anche dei titoli di solidarietà, un tipo di obbligazioni e altri titoli di debito non subordinati, non convertibili e non scambiabili, e certificati di deposito, la cui raccolta deve essere destinata dagli istituti di credito emittenti a favore degli ETS per quelle iniziative che sono previste dal decreto legislativo. Per il 5 per mille sono previste nuove modalità di riparto per quanto riguarda le scelte non espresse e l’importo minimo erogabile. Ed infine un’ultima novità riguarda la raccolta fondi, gli enti la potranno realizzare anche in maniera continuativa ed organizzata. Quest’ultima può essere realizzata anche tramite una sollecitazione al pubblico o attraverso la concessione o fornitura di beni e servizi di modico valore.

Gli interventi previsti dalla riforma hanno il compito di semplificare la normativa dell’intero settore e di contribuire alla crescita di uno dei settori più rilevanti della

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nostra economia, in modo che questo possa costituire una nuova fonte di posti di lavoro anche per i più giovani.

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CAPITOLO 2: IL VOLONTARIATO

Il volontariato in Italia

“Il volontario è una persona che, per sua libera scelta, svolge attività in favore della comunità e del bene comune, anche per il tramite di un ente del Terzo settore, mettendo a disposizione il proprio tempo e le proprie capacità per promuovere risposte ai bisogni delle persone e delle comunità beneficiarie della sua azione, in modo personale, spontaneo e gratuito, senza fini di lucro, neanche indiretti, ed esclusivamente per fini di solidarietà. L'attività del volontario non può essere retribuita in alcun modo nemmeno dal beneficiario” 42.

Il terzo settore deve gran parte della sua produttività al lavoro dei volontari, come si può evincere dal nostro ordinamento, il volontariato è segnato prevalentemente dal concetto di gratuità dell’attività, mentre nella prospettiva europea ci si focalizza maggiormente sull’adesione volontaria43. I principi e fini del volontariato

non sono molto dissimili da quelli del Servizio Civile Nazionale, anche questo si basa sulla solidarietà, sulla partecipazione all’utilità sociale dei servizi resi nel settore ambientale, in quello dell’assistenza, della promozione culturale, della tutela del patrimonio artistico e protezione civile, una forma per servire la propria nazione, nata come alternativa alla leva militare. Come vedremo più avanti i due mondi si incrociano proprio perché spesso il Servizio Civile viene svolto presso enti non profit o di volontariato che possono quindi da una parte usufruire di un ulteriore capitale umano rappresentato dai giovani del servizio civile e dall’altro posso invece offrire loro un modo per accrescere le loro competenze.

42 GAZZETTA UFFICIALE, Decreto legislativo 3 luglio 2017 n. 117, art.17.

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Nel dibattito corrente sono due le concezioni legate al volontariato e al suo ruolo nella nostra società. La prima concezione viene definita “additivista”, vede il volontariato come un settore societario che si aggiunge agli altri già esistenti, tanto da essere avanzata l’ipotesi di parlare di un “quarto settore”, che si distingue dal primo, il Mercato, sia dal secondo, cioè lo Stato, e anche dal terzo, come cooperative sociali o fondazioni. I volontari andrebbero così ad occupare una nicchia ben circoscritta della società, una nicchia che manterrebbe bensì rapporti di buon vicinato con gli altri tre settori, ma da essi separata.

La seconda concezione, è quella “emergentista”, secondo cui il volontariato è una forma di agire che, una volta raggiunto il suo punto massimo, è in grado di modificare anche le relazioni già esistenti tra le altre sfere della società. Il paragone più appropriato è quello con il lievito, che una volta aggiunto nell’impasto fa fermentare tutta la massa e non solo la parte con cui viene a contatto. Per la concezione emergentista la missione fondamentale del volontariato è quella di costituire una forza trainante per la società tale da modificare le istituzioni sia politiche che economiche44.

Ma cosa spinge una persona a dedicare parte del suo tempo libero gratuitamente agli altri?

Uno dei motivi è legato al desiderio di socializzazione e ad aspirazioni di autorealizzazione in un’attività a contatto con altri. Un altro, soprattutto per i giovani, è rappresentato dall’esigenza di acquisire competenze che potranno essere utilizzate anche nella ricerca di lavoro, non mancano infatti gli studi e le statistiche che dimostrano che far parte o aver fatto parte di un’associazione di volontariato aiutano nella ricerca del lavoro. Infatti, mettono in luce alcune delle soft skills utili sul posto di lavoro come per esempio la predisposizione al lavoro di gruppo. Il prevalere di un aspetto o dell’altro, come di un più ampio insieme di variabili relative ai valori o alle forme organizzative permette di distinguere tra “stili” di attività volontaria. L’orientamento al bene comune e la dimensione

44 S. ZAMAGNI, Del volontariato organizzato, Psicologia sociale, fascicolo III, settembre- dicembre,

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