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IL SOVRAINDEBITAMENTO IN OTTICA PREVENTIVA: PRINCIPI GENERALI E ANALISI DI UN CASO AZIENDALE

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Academic year: 2021

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INDICE INTRODUZIONE ... 3 CAPITOLO I ... 6 1.1 CONSIDERAZIONI INTRODUTTIVE ... 6 1.2 LE FASI DELLA VITA AZIENDALE E LA DEFINIZIONE DI CRISI ... 8 1.3. CONTRIBUTI TEORICI ... 9 1.3.1 LA SCELTA DELLA STRUTTURA FINANZIARIA: TEORIA DI MODIGLIANI E MILLER ... 11 1.3.2. LA TRADE-OFF THEORY ... 14 1.3.3 LA TEORIA DEL PECKING-ORDER ... 16 1.4 PMI E IMPRESE INNOVATIVE ... 17 1.5 PMI E FABBISOGNI FINANZIARI ... 19 CAPITOLO II ... 23 2.1 CONSIDERAZIONI INTRODUTTIVE ... 23 2.2 EVOLUZIONE NORMATIVA SUL TEMA DEL SOVRAINDEBITAMENTO ... 26 2.3 DEFINIZIONE DI SOVRAINDEBITAMENTO ... 29 2.4 ORGANISMO DI COMPOSIZIONE DELLA CRISI ... 30 2.5 PROCEDURA DI GESTIONE DELLA CRISI DA SOVRAINDEBITAMENTO ... 32 2.5.1 L’AVVIO E L’APERTURA DEL PROCEDIMENTO ... 33 2.6 LA RISTRUTTURAZIONE DEL DEBITO ... 38 2.7 LA PROCEDURA DI LIQUIDAZIONE DEL PATRIMONIO ... 40 2.8 PROCEDURA DI ESDEBITAZIONE ... 42 2.9 LE CAUSE E TIPOLOGIE DI SOVRAINDEBITAMENTO ... 44 CAPITOLO III ... 46 3.1 CONSIDERAZIONI INTRODUTTIVE ... 46 3.2 FABBISOGNO FINANZIARIO IN OTTICA QUANTITATIVA ... 48 3.3 IL FABBISOGNO FINANZIARIO IN OTTICA QUALITATIVA ... 50 3.3.1 DAL MODELLO DELLA BANCA UNIVERSALE AI NUOVI MODELLI SOSTENIBILI ... 52 3.3.2 L’EQUITY CROWFUNDING ... 54 3.3.3. PRIVATE EQUITY E VENTURE CAPITAL ... 55 3.3.3.1 LE CAMBIALI FINANZIARIE ... 57 3.3.3.2 OBBLIGAZIONI PARTECIPATIVE SUBORDINATE ... 57 3.3.3.3 I MINI BOND ... 58 3.4 MODALITA’ DI APPAGAMENTO DEL FABBISOGNO FINANZIARIO ... 60 3.5 LE CAUSE DELLA CRISI ... 64 3.6 PERCEPIRE LA CRISI ... 69 CAPITOLO IV ... 73

4.1 GLI ACCORDI DI RISTRUTTURAZIONE DEL DEBITO: CONSIDERAZIONI INTRODUTTIVE ... 73 4.2 ACCORDI DI RISTRUTTAZIONE DEL DEBITO ... 75 4.3 RISTRUTTURAZIONE DEL DEBITO E PRINCIPIO CONTABILE OIC 6 ... 77 4.4 LA CONCESSIONE ACCORDATA AL CREDITORE ... 78 4.5 I DEBITI RISTRUTTURATI ... 79 4.6 ASPETTI CONTABILI DELLA RISTRUTTURAZIONE DEL DEBITO ... 79 4.6.1 MODIFICA DEI TERMINI ORIGINARI DEL DEBITO ... 80 4.6.2 ESTINZIONE DEL DEBITO CON CESSIONE DI ATTIVITA’ ... 81 4.6.3 ESTINZIONE DEL DEBITO MEDIANTE CONVERSIONE IN CAPITALE ... 81

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4.7 IL TRATTAMENTO CONTABILE DEI COSTI CONNESSI ALLE OPERAZIONI DI RISTRUTTURAZIONE ... 81 CAPITOLO V: ... 83 5.1 INTRODUZIONE ALL’ANALISI DI SETTORE ... 83 5.2 ANALISI DEL SETTORE ... 84 5.3 ANALISI DEL CASO AZIENDALE ... 92 5.4 IL MERCATO DI RIFERIMENTO E LA CRISI DEL SETTORE CONCIARIO ... 98

5.5 ANALISI DELLE PERFORMANCES STORICHE E CAUSE DELL’ATTUALE STATO DI DIFFICOLTA’ ... 99 5.6 IL PIANO DI RISTRUTTURAZIONE INDUSTRIALE E FINANZIARIA ... 102 5.7 LA MANOVRA ... 104 5.8 PIANO PROSPETTICO 2016-2021 ... 106 5.9 CONCLUSIONI ... 114 BIBLIOGRAFIA ... 117

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INTRODUZIONE

Il presente elaborato è incentrato sul tema del sovraindebitamento in ottica preventiva e, in particolar modo, alle procedure messe a disposizione dell’imprenditore al fine di prevenire tale situazione in cui l’eccessivo indebitamento, unito alle difficoltà finanziarie, possa paralizzare l’attività aziendale.

A seguito della crisi finanziaria del 2007-2008, molte imprese, soprattutto di piccole dimensioni, sono scomparse dal mercato; questo fenomeno ha messo in evidenza come non sia più possibile fare impresa senza avere delle competenze in tema di controllo di gestione e in tema di finanza aziendale.

Come verrà nelle pagine che seguiranno ampiamente analizzato, il nostro territorio è costituito da imprese aventi una dimensione media e piccola, caratterizzate dal fatto che a capo di esse non vi sia ancora un manager dotato di conoscenze e competenze tali da affrontare le difficoltà che sono insite nel sistema economico attuale, ma un capo azienda che conosce perfettamente il business da un punto di vista produttivo e, che preferisce mantenere il controllo totale della stessa avvalendosi della collaborazione dei proprio familiari.

Il passaggio da una fase di sviluppo ad una fase di crisi non è repentino, ma il più delle volte è accompagnato da segnali che sono in grado di rivelare l’approssimarsi di tali situazioni, in un primo momento in maniera tenue, per poi divenire sempre più intense e non lasciare altra via all’imprenditore che quella di avviare le procedure concorsuali di vario genere.

La letteratura negli ultimi anni, con riferimento alle imprese sia di piccole e medie dimensioni sia alle grandi imprese, ha modificato il significato della crisi. Si è passati da un concetto di gestione della crisi come momento episodico a uno dinamico, spostando quindi l’attenzione sulle capacità da parte del management di interpretare i segnali provenienti dall’interno e dall’esterno in maniera tale da prendere in considerazione l’eventualità di intraprendere azioni correttive finalizzate a garantire la continuità aziendale.

Lo stato di crisi porta all’incapacità di raggiungere o mantenere l’equilibrio economico-finanziario; in altre parole, l’impresa non ha la capacità di soddisfare le attese di tutti quei soggetti che hanno a che fare con essa partecipando alla vita aziendale.

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Tuttavia, difficilmente la crisi ha esclusivamente matrice finanziaria: qualora sia possibile ripristinare l’equilibrio finanziario tali condizioni vengono meno, al contrario, se le cause hanno matrice economica (ad esempio un mix di produzione inadeguato), la situazione si presenta come più complessa, il solo ripristino dell’equilibrio finanziario non sarà pertanto sufficiente a far ripartire l’azienda.

Da questo ne consegue che una crisi di matrice economica può generare uno squilibrio finanziario che porta l’impresa a una condizione di sovraindebitamento e, quindi, verso la chiusura.

Le domande di ricerca nel presente lavoro di tesi possono così sintetizzarsi: • Esiste una struttura finanziaria ottimale per una PMI?

• Cosa vuol dire crisi da sovraindebitamento? Cosa comporta? • Come prevenire tale situazione?

Il lavoro si prefigge l’obiettivo di analizzare i contributi teorici in materia di struttura finanziaria ottimale nel primo capitolo, nello specifico saranno analizzati contributi di Modigliani e Miller, e le teorie che nascono dalla critica a questa, quali la Trade-off Theory e la teoria del Pecking Order; nell’ultima parte del primo capitolo viene dato cenno ai fabbisogni finanziari delle PMI innovative con dei riferimenti all’attuale Impresa 4.0.

Il secondo capitolo è interamente dedicato al tema della crisi da sovraindebitamento con l’analisi delle sue tipologie e le cause, l’analisi della procedura con tutte le sue implicazioni in tema di continuità aziendale e con le relative normative di riferimento.

Il terzo capitolo tratta del soddisfacimento del fabbisogno finanziario delle PMI, analizzandolo in ottica qualitativa e quantitativa. In aggiunta, si fa riferimento a forme di finanziamento innovative utilizzabili dalle PMI, alternative al tradizionale canale del sistema bancario.

Nello specifico saranno descritti sinteticamente strumenti sostenibili quali le cambiali finanziarie, le obbligazioni partecipative subordinate e i Minibond, strumenti questi che si differenziano per una maggiore o minore pervasività di chi presta denaro all’interno dell’organizzazione.

In conclusione, sono analizzati gli indicatori reddituali e finanziari da monitorare costantemente, al fine di prevenire una situazione di crisi

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Con il quarto capitolo si entra nella parte più operativa e centrale dell’elaborato, esso è strettamente collegato al caso aziendale analizzato nel capitolo successivo. Il tema affrontato è quello concernente la ristrutturazione del debito, con riferimento al principio contabile OIC 6, tale procedura, sarà affrontata in via teorica, analizzando i diversi step necessari affinché il Piano di ristrutturazione vada a buon fine.

In ultimo, con particolare riferimento al Decreto Legislativo 139/2015, saranno analizzate particolari poste di bilancio che nascono a seguito delle strategie adottate nel Piano, le quali possono essere: modifica dei termini originari del debito, estinzione del debito con cessione di attività ed estinzione del debito mediante conversione in capitale.

L’ultimo capitolo tratta di un caso aziendale concernente una conceria operante nel distretto di Santa Croce sull’Arno che, nel tentativo di uscire da una crisi ormai quasi al suo punto peggiore, ha deciso di ristrutturare il debito con fornitori e istituti di credito.

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CAPITOLO I

REVIEW DELLA LETTERATURA

Sommario: 1.1 Introduzione; 1.2 Le fasi della vita aziendale e la definizione di crisi;

1.3. Contributi teorici; 1.3.1 La scelta della struttura finanziaria: Teoria di Modigliani e Miller; 1.3.2. La trade-off Theory; 1.3.3 La Teoria del pecking-order; 1.4 PMI e Imprese innovative; 1.5 PMI e fabbisogni finanziari.

1.1 CONSIDERAZIONI INTRODUTTIVE

Il tessuto imprenditoriale italiano è costituito da una prevalenza di piccole e medie imprese (di seguito PMI), per lo più a carattere familiare, sorrette da una cultura imprenditoriale volta a “preservare” la piccola dimensione e la conservazione del potere decisionale nelle mani di un individuo o della sua famiglia.

Le PMI “indipendenti” rappresentano il tipo di impresa più diffusa sul nostro territorio e, seppur presenti in tutte le forme giuridiche consentite dal Legislatore, circa il 90% di esse è costituita sotto forma di S.r.l.. Le peculiarità di questo tipo di impresa sono, infatti, la presenza di un piccolo team al vertice, ambiti competitivi ristretti e, in ultimo ma non meno importante, la sovrapposizione tra famiglia e impresa.

Nel definire cosa sia effettivamente una piccola e media impresa si incontrano però sul piano qualitativo alcune difficoltà, mi spiego meglio, se da un punto di vista quantitativo si sono in qualche modo stabiliti dei parametri che ne permettono l’individuazione, la raccomandazione 2003/61/CE, infatti, stabilisce quali sono i driver da rispettare affinché una impresa sia qualificabile come PMI, nello specifico considera: il numero di

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dipendenti; il fatturato o l’attivo di bilancio. La media impresa deve avere un totale di dipendenti inferiore alle 250 unità, e alternativamente, un fatturato minore o uguale a € 50 milioni, o un totale di bilancio non superiore a € 43 milioni. La piccola impresa invece deve avere un numero massimo di collaboratori pari a 50 unità, un fatturato minore o uguale a € 10 milioni, o un totale di bilancio non superiore di €10 milioni. da un punto

di vista più qualitativo notiamo che sono sempre più frequenti rapporti di natura operativa, finanziaria e di governance che rendono ancora più difficile individuare il tipo di imprese e classificarla.

Questa introduzione appare necessaria al fine di analizzare le suddette realtà, le quali, pur essendo il motore dell’economia italiana1, spesso si trovano a confrontarsi con problemi non di poco conto che sono in grado di minare la “sopravvivenza” stessa dell’azienda. Non sono infrequenti, infatti, situazioni in cui l’eccessiva esposizione bancaria porta le piccole e medie imprese ad una “paralisi dell’attività svolta”, che se tante volte può essere solamente temporanea, molte altre ha conseguenze ben più gravi. In un contesto come quello moderno, in cui è richiesto un elevato grado di flessibilità e tempestività per rispondere alle esigenze del mercato, capita che gli imprenditori, anche quelli che non dispongono di una struttura finanziaria adeguata2, siano costretti ad affrontare sfide quotidiane finalizzate a migliorare la situazione desiderata per la propria organizzazione3, e lo fanno ricorrendo al capitale di debito, piuttosto che ad altre forme di finanziamento, portando involontariamente l’organizzazione a quella che viene definita la: crisi da sovraindebitamento.

1 “Le aziende di questo tipo in Italia sono molte, ed operano in quasi tutti i campi di attività

economica del Paese, le troviamo, infatti, sia nel campo industriale che in quello commerciale: la piccola fabbrica di subforniture per l’industria meccanica, il grande negozio di elettrodomestici, il

2La recente crisi economica ha aumentato le difficoltà di finanziamento dell’impresa. Fenomeni

quali la riduzione del fatturato, il calo degli ordini, l’ampliamento dei tempi di incasso e l’incremento del capitale circolante netto hanno indebolito la capacità delle organizzazioni di generare cassa; per le imprese che ricorrono al debito bancario come forma prevalente di finanziamento, questo condiziona seriamente la capacità di operare, e talvolta di rimanere sul mercato.

3 SILVIO BIANCHI MARTINI, Riflessioni sugli “Oggetti dell’analisi Strategica” e sul “core value system” , Edizioni Il Borghetto snc, 2016, parla di intento strategico per definire l’ idea

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Nel seguente capitolo saranno analizzati i contributi teorici relativi al tema dell’ indebitamento, il riferimento sarà a quella che è considerata la pietra miliare della finanza, ovvero il Teorema di Modigliani e Miller e ai modelli che sono scaturiti dalle critiche fatte all’opera dei due autori, rispettivamente, la Teoria del trade-off e la Teoria del pecking-order, in ultimo invece faremo riferimento a uno dei temi che in questi giorni sta assumendo un ruolo centrale per l’ economia italiana, ovvero come si possono interfacciare le PMI innovative al tema dell’indebitamento, in ultimo saranno analizzati le ragioni che hanno guidato gli studi sul tema dell’indebitamento direttamente collegato alle PMI.

1.2 LE FASI DELLA VITA AZIENDALE E LA DEFINIZIONE DI CRISI

La vita dell’azienda può essere distinta in diverse fasi logicamente correlate tra di loro4.

La prima è la cosiddetta fase pre-aziendale, in questa fase l’azienda ancora non esiste, ma comincia a prendere forma la “formula imprenditoriale”5 che dovrà delineare l’organizzazione.

La seconda è la fase costituzionale, è questo il momento in cui iniziano a definirsi i processi di scelta dell’organizzazione quali, ad esempio, la localizzazione, la forma giuridica e quelli relativi alla composizione del capitale, sia dal lato degli impieghi che dal lato delle fonti.

Successivamente, prenderà avvio la fase gestionale, la quale vede coinvolta l’azienda nell’esercizio del suo core-business, e nella ricerca di un miglioramento continuo delle performance economiche e finanziarie. Queste tre fasi si configurano come necessarie per lo sviluppo aziendale tuttavia, ad esse è possibile affiancarne un’altra, la cosiddetta fase terminale che, seppur non necessaria come le altre, si presenta come “probabile” sulla combinazione produttiva. La fase terminale tuttavia è sempre preceduta da una fase di crisi, che Bertini definisce “un fenomeno

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interfunzionale ad azione progressiva con capacità di crescita direttamente proporzionale al grado di sistematica della combinazione produttiva”6. Diciamo fin da subito che la crisi non è un fenomeno che si manifesta da un giorno all’altro, ma ha la sua prima manifestazione nello stato di insolvenza, la quale può essere definita come “il mancato o inesatto adempimento della prestazione da parte del debitore ovvero attraverso altri fatti esteriori in grado di dimostrare che l’imprenditore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni”7.

Le PMI italiane ricorrono, come fonte di finanziamento prevalentemente, al credito bancario e, se da una parte le innovazioni portate da Basilea 2 sono finalizzate a migliorare l’informazione tra banche e imprese, dall’altra le stesse tendono ad “irrigidire” la situazione.

Per determinare la probabilità di default di chi riceve il prestito, gli istituiti di credito utilizzano un sistema “point in time”, che si sostanzia nella produzione di un giudizio di affidabilità, che però non è sempre lo stesso per l’azienda, ma tende a cambiare a seconda dei diversi scenari economici. Questa rigidità porta le imprese a trovarsi in difficoltà specialmente quando sono alla ricerca di capitale, in momenti di crisi come quelli che stiamo vivendo, l’applicazione del sistema di rating, aumenta la difficoltà di accesso al credito.

1.3. CONTRIBUTI TEORICI

Scegliere fino a che punto indebitarsi spesso per un’azienda costituisce una decisione nevralgica: da un punto di vista empirico possiamo vedere che tale decisione presenta un livello di complessità piuttosto elevato, che rende necessario il ricorso ad ipotesi esemplificatrici della realtà. Molte imprese, pur in presenza di una leva finanziaria positiva preferiscono

6 UMBERTO BERTINI, Scritti di politica aziendale, Giappichelli, Torino,1993 pag.97, l’Autore

utilizza la stessa definizione sia per definire il successo che per definire la crisi, la differenza consiste infatti che nel primo caso assume un significato virtuoso, nel secondo patologico.

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ricorrere all’autofinanziamento o addirittura all’indebitamento verso fornitori, anche se rappresenta una condizione economicamente svantaggiosa. Viceversa, altre imprese, pur essendo caratterizzate da una forte tensione finanziaria preferiscono continuare ad indebitarsi, anche se questa via spesso le porta al fallimento.

I canali di finanziamento delle imprese si dividono in due categorie, interni ed esterni, se i primi possono essere ricondotti all’ autofinanziamento, il più delle volte sono utili che l’impresa non distribuisce ma trattiene in azienda per finanziare le fasi di espansione del ciclo economico; le fonti esterne possono essere ulteriormente divise in capitale di rischio (equity) e capitale di debito. In Italia l’evidenza empirica ci dice che il sistema di finanziamento è incentrato sul prestito bancario, piuttosto che sul mercato. È interessante valutare tale scelta anche alla luce di Basilea 2, questa regolamentazione infatti induce le banche a “monitorare costantemente l’impresa affidata in termini di probabilità di default”8; le imprese dal canto loro possono trarre utilità da questa regolamentazione predisponendo gli strumenti necessari per monitorare il rischio finanziario derivate dalla scelta di ricorrere all’ indebitamento.

Porsi in un’ottica di monitoraggio e apprezzamento del rischio vuol dire, da un lato, considerare l’effettiva convenienza del ricorso a capitali di terzi, dall’altro, l’analisi e la valutazione interna in termini di capacità di rimborso del capitale.

Il rischio finanziario, inteso come rischio relativo al rapporto tra l’impresa e i diversi istituiti di credito (Garzella 2005), è condizionato dall’andamento e dalla qualità dei flussi di reddito e di cassa, e da come l’azienda si pone in relazione al rischio.

Secondo Antonio Del Pozzo le due variabili possono essere raggruppate in altrettante categorie che lo stesso definisce il perimetro interno ed esterno. In merito alla prima categoria possiamo dire che, in sede di pianificazione e programmazione, l’imprenditore deve essere in grado di formulare delle

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alternative strategiche che bilancino l’aleatorietà dei flussi di cassa con le aspettative di remunerazione e rimborso del capitale conferito a titolo di debito. Il perimetro esterno fa riferimento invece all’immagine che l’azienda dà di sé all’esterno; nello specifico, facciamo riferimento a fattori quali la fiducia verso il management, la presenza di una figura imprenditoriale di riferimento, ma anche a variabili che chi prende decisioni in azienda non può controllare.

Vista la crucialità del problema nelle dinamiche aziendali, molti studiosi hanno deciso di “dedicarsi” al problema dell’indebitamento; questi studi, seppur arrivino a risultati diversi hanno una caratteristica in comune, quella di adottare delle ipotesi semplificatrici che si rendono indispensabili quando ci si rapporta con una realtà eccessivamente complessa, ad oggi è questo il motivo per cui manca una teoria unificante sull’indebitamento.

1.3.1 LA SCELTA DELLA STRUTTURA FINANZIARIA: TEORIA DI MODIGLIANI E MILLER

Punto di partenza della Teoria di Modigliani e Miller è cercare di rispondere ad una domanda a cui nessuno prima aveva risposto con argomentazioni esaustive ovvero: c’è un legame tra la struttura finanziaria di un’impresa e la creazione di valore? Se questo legame esiste e la relazione è positiva allora potrà esistere una struttura finanziaria ottimale? Considerato l’ambito di applicazione molto vasto e non omogeneo, gli autori sono dovuti ricorrere a delle ipotesi semplificatrici:

• Assenza di imposizione fiscale societaria e personale; • I mercati dei capitali siano perfettamente efficienti9;

9 All’interno dell’ipotesi dei mercati perfettamente efficienti:

1) Le imprese emettono solo due tipi di titoli: debito risk free e capitale rischioso;

2) Non vi sono costi di transazione: la ricorsa al debito o al capitale azionario non genera costi addizionali sotto forma di spese legali, commissioni, ecc;

3) Non esistono costi del fallimento (diretti o indiretti): le aziende non possono fallire; 4) Non ci sono asimmetrie informative: insiders e outsiders dell’impresa hanno le stesse

informazioni;

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• L’impresa e i suoi azionisti possono indebitarsi alle medesime condizioni.

Modigliani e Miller dimostrano che date queste condizioni le decisioni di finanziamento sono irrilevanti, in altre parole il valore di un’impresa dipenderà dalle sue attività reali, e non dalla struttura finanziaria. Prendiamo, ad esempio, in considerazione due imprese identiche nella composizione delle attività, le quali generano lo stesso flusso di reddito operativo, ma che si differenziano solamente per la diversa composizione della struttura finanziaria, precisamente la prima, l’impresa U (unlevered) non è indebitata, mentre la seconda, impresa L (levered), si. Se dovessimo scegliere in quale delle due investire, la nostra scelta dipenderà dal grado di avversione al rischio. Se, infatti, optassimo per l’acquisto di una partecipazione del 5% dell’impresa non indebitata il nostro rendimento sarebbe pari al 5% dei suoi proventi, allo stesso modo però, se acquistassimo la stessa partecipazione della impresa indebitata, il rendimento sarebbe pari al 5% degli interessi più il 5% dei proventi al netto della quota di interessi passivi sul debito, se accettassimo l’ipotesi di un mercato perfetto due investimenti che offrono lo stesso rendimento devono avere lo stesso costo, questo non può che voler dire che il valore delle due imprese è uguale.

Dunque, secondo il cosiddetto Primo Teoria di Modigliani-Miller, le aziende dovrebbero dotarsi di una fonte di indebitamento causale e totalmente mutevole nel tempo, perché avere o non avere debito non porta alcun vantaggio. Infatti, come anticipato precedentemente, il valore dell’azienda indebitata o non indebitata è il medesimo, ciò che cambia è la distribuzione della ricchezza tra stakeholders e bondholder.

Nello stesso articolo del 1958 i due autori analizzano i rendimenti delle fonti di finanziamento dell’impresa, arrivando alla conclusione che il tasso di rendimento atteso dagli azionisti di un’impresa indebitata (re), aumenta

in modo proporzionale rispetto al rapporto D/E (rd).

6) I mercati finanziari sono privi di frizioni

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In assenza di imposte, il rendimento atteso degli azionisti è data dalla seguente equazione:

𝑟! = 𝑟!+ 𝑟!− 𝑟! 𝐷/𝐸

𝑟! è il rendimento atteso dagli asset operativi dell’azienda, cioè il rendimento atteso del business. L’inclinazione della retta come dimostrato dal segno positivo di 𝑟!− 𝑟! , sta ad indicare che all’aumentare

dell’indebitamento (D/E) , gli azionisti si fanno carico anche di un rischio finanziario crescente e, dunque, richiedono una remunerazione maggiore. Tuttavia, questo può essere accettato se ci poniamo in una condizione di rischio nullo, infatti, se aumenta la leva finanziaria ricorrere al debito risulta più rischioso e, pertanto, diventerà più oneroso. In altri termini, gli obbligazionisti, avvertendo maggior rischio concederanno finanziamenti all’impresa ad un tasso medio di onerosità più alto. Il rischio operativo quindi verrebbe trasferito dagli azionisti (proprietari di partecipazioni aziendali), agli obbligazionisti, con il risultato di una minore crescita del tasso di rendimento atteso del capitale.

In presenza di imposte, la prima proposizione di Modigliani Miller con imposte prevede che il valore di un’impresa indebitata è uguale al suo valore senza debito con l’aggiunta dello scudo fiscale (“tax shield”).

L’equazione è la seguente:

𝑉! = 𝑉! + 𝑇! ∗ 𝐷

dove 𝑉! è il valore dell’impresa “levered” (indebitata), 𝑉! è il valore

dell’impresa “unlevered” (non indebitata), 𝑇! è il country tax rate e D è il debito. Lo scudo fiscale è dato dal debito moltiplicato per il country tax rate.

Dalla suddetta teoria risulta evidente che c’è un vantaggio fiscale nell’usare il debito: all’aumentare del valore del debito, aumenta il valore

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dell’impresa e questo perché c’è una riduzione delle tasse pagate con un aumento anche del valore degli azionisti. Dunque, secondo questa teoria indebitarsi è conveniente.

Nei paesi in cui il country tax rate è più alto, le aziende hanno un interesse maggiore a ricorrere al debito in quanto, come detto precedentemente, pagano più oneri fiscali ma li scaricano dal reddito imponibile e, di conseguenza, l’utile netto aumenta.

Nel 1963 MM modificano il loro modello originario, le proposizioni dei due autori erano, infatti, cosi forti da spingere altri autori a definire gli scenari proposti come “il mondo di Modigliani e Miller” ed affermano che il valore di mercato di un’impresa indebitata è pari alla somma del valore di un’impresa priva di debito e il valore dei benefici fiscali, dato che gli interessi sul debito, diversamente dai dividendi, generano un risparmio fiscale.

1.3.2. LA TRADE-OFF THEORY

Modigliani e Miller erano arrivati alla conclusione che il valore di mercato di un’impresa può aumentare in conseguenza all’indebitamento privo di rischio, considerato il vantaggio fiscale del debito rispetto al capitale proprio. Questo tuttavia rappresenterebbe una situazione difficilmente applicabile, in presenza di tali vantaggi, infatti, le imprese avrebbero convenienza ad indebitarsi totalmente.

La teoria del trade-off, o dei costi del dissesto, poggia sulla costatazione che esiste una categoria di costi strettamente legata alla componente del debito presente all’interno della struttura finanziaria di un’impresa in grado di portare l’organizzazione ad una situazione di dissesto, e ad un probabile fallimento.

I costi del debito nella realtà aumentano quando i soggetti terzi che svolgono il ruolo di finanziatori percepiscono il rischio di un possibile mancato rimborso del finanziamento derivante dalla crescita del livello di

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questo aumento della probabilità di dissesto è che i soggetti finanziatori vedendo il rimborso dei capitali prestati sempre più difficile, limitino i finanziamenti, aumentino il tasso di interesse, o chiedano garanzie più elevate.

I costi del fallimento possono essere divisi in diretti, ovvero quelli legati a spese legali o amministrative relative alla procedura concorsuale e indiretti, originati da problemi organizzativi e gestionali legati a comportamenti opportunistici dei diversi stakeholders10.

In altre parole, il valore dell’impresa sarà costituito dal valore della stessa come se fosse finanziata tramite Equity, dal valore attuale del beneficio fiscale dell’indebitamento (G) e dal valore attuale dei costi di dissesto (DC); in formule avremo:

𝑉! = 𝑉!+ 𝐺 − 𝐷𝐶

Tale meccanismo si rifletterà sul valore dell’impresa, si avrà cosi un trade-off tra risparmi fiscali e costi del dissesto.

In definitiva, diremo che per livelli di indebitamento contenuti il valore attuale dei risparmi fiscali è maggiore dei costi di dissesto, ma all’aumentare del rapporto debito/equity tale vantaggio si assottiglia fino ad annullarsi.

1.3.3 LA TEORIA DEL PECKING-ORDER

La teoria del pecking-order, o teoria dell’ordine delle scelte è una teoria alternativa alle scelte di struttura finanziaria nata dall’osservazione del comportamento di finanziamento delle grandi imprese americane.

Osservando le modalità di finanziamento delle grandi imprese amaricane Donalson, nel 1984, ha constatato che molte organizzazioni si pongono

10 “Gli stakeholder sono tutti coloro che, a vario titolo, sono portatori di interessi

– economici, sociali e ambientali – nei confronti dell’impresa. Fanno, ad esempio, parte di questo insieme i clienti, i fornitori, i finanziatori (banche e azionisti), i collaboratori, ma anche gruppi di interesse esterni, come i residenti di

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come obiettivo quello di mantenere un tasso di crescita in linea con la capacità dell’impresa di generare ricchezza internamente e che esiste, inoltre, un gruppo di società che applica criteri più rigorosi nella valutazione di progetti di investimento che richiedono capitale di debito. Tale teoria si basa sull’esistenza di asimmetrie informative tra azionisti e obbligazionisti a proposito dei vantaggi derivanti le diverse forme di finanziamento. Ciò porta alla definizione di un ordine di scelta secondo la seguente gerarchia:

• Autofinanziamento;

• Fissare un rapporto di distribuzione degli utili coerente con le proprie politiche di investimento;

• In caso di scostamenti, la scelta più oculata sarebbe rimborsare in prima istanza il debito precedente o in alternativa utilizzare la liquidità interna disponibile derivante dalla vendita di asset non strategici;

• Se il progetto richiede ulteriori capitali, prima ricorrere all’ emissione di nuovo debito, e in un secondo momento pensare a strumenti ibridi11 o ad aumenti di capitale.

Il “passo successivo” rispetto ai tradizionalisti12 è basato sull’abbandono dell’ipotesi di un mercato di capitali perfetto: esistono infatti asimmetrie informative tra management e il mercato finanziario, informazioni riguardanti valore dell’impresa, rischio imprenditoriale, sono note agli azionisti e all’eventuale management, ma sono sconosciute ai finanziatori. Non esisterà, diversamente da ciò che pensavano i tradizionalisti, un livello ottimale di indebitamento, ricorrere a fonti di finanziamento esterne, piuttosto che interne è una scelta che dipende dal fabbisogno di capitale necessario per effettuare investimenti e dalla capacità dell’azienda di rimborsare i prestiti tramite i flussi di cassa generati internamente.

11 Sul rapporto tra il PO e l’uso di forme “ibride” di debito/equity, anche relativamente all’effetto

“segnalazione”, si può leggere, tra i lavori pubblicati più recentemente, per esempio: BURLACU (2000); BANCEL e MITOO (2004); e SUCHARD e SINGH (2006).

12 prima di Modigliani e Miller si era imposta la scuola dei tradizionalisti, la quale includeva tra

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È evidente come questa impostazione metta in secondo piano i benefici fiscali derivanti dal debito, più importante in termini di scelta della struttura finanziaria ottimale è valutare se esiste o meno uno squilibrio tra il cash flow interno e le opportunità di investimento.

La teoria del packing order spiega quindi perché le imprese più redditizie fanno generalmente meno ricorso al debito, esse infatti, considerato il denaro che generano internamente, hanno bisogno di meno denaro rispetto a quelle organizzazioni che non avendo fondi proporzionali ai livelli di investimento desiderati, ricorrono al debito in misura maggiore.

1.4 PMI E IMPRESE INNOVATIVE

Nel settembre 2016 il Governo Renzi, sotto la guida del Ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda, ha introdotto il Piano Nazionale Industria 4.013, questo piano è finalizzato a fare in modo che le imprese italiane, in particolar modo le PMI, riescano ad allinearsi ai livelli di produttività europei.

Elio Catania, Presidente di Confindustria digitale, in un articolo sul Sole 24 ore, afferma che con questa manovra il contributo alla formazione del PIL del settore manifatturiero passerà dall’ attuale 15%, al 20%; vincere questa sfida non sarà facile, Catania infatti afferma che “Per l’Italia, secondo la Unione Europea, ci vogliono circa sei miliardi di Euro all’anno”, questo è un dato che a prima vista scoraggerebbe, ma appare più forte la consapevolezza che sia la strada giusta da seguire.

Le PMI innovative hanno un fabbisogno finanziario e un livello di rischio che dipende dal grado di sviluppo del progetto, il ricorso all’autofinanziamento, almeno nella fase early financing, non sembra probabile, sia per quanto riguarda le imprese che cercheranno di

13 L’industria 4.0 scaturisce da quella che viene ormai chiamata la quarta rivoluzione industriale,

essendo un progetto ancora in via embrionale non esiste una definizione comunemente accettata, possiamo però concordare sul fatto che essa sia un processo che porterà alla produzione

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http://www.economyup.it/innovazione/3713_cos-e-l-industria-riorganizzarsi per sfruttare al meglio le opportunità della quarta rivoluzione industriale, sia per quelle che si approcciano ora al mercato.

Molto spesso, le imprese innovative, essendo “giovani”, non sono in grado di apportare delle garanzie agli istituti di credito, visto che gli unici asset dei quali sono dotate sono di natura immateriale. Una prima soluzione quindi, potrebbe essere quella di ricorrere al mercato del private equity e, alla presenza dei venture capitalist che permettono all’impresa di svilupparsi in maniera molto più rapida ed efficiente in quanto, non solo sostengono l’impresa da un punto di vista finanziario, bensì spesso affiancano il management della stessa nella fase di start up.

Secondo Berger e Udell (1998), la teoria della gerarchia delle fonti di finanziamento nel caso specifico delle imprese innovative si inverte, esse possono ricorrere al credito bancario non subito, ma solo dopo aver aperto il capitale a terzi soggetti che svolgendo il ruolo di finanziatori sono in grado di assicurare un livello di garanzia maggiore.

Prescindendo dal livello di innovazione, in letteratura si è cercato di identificare quali potrebbero essere i principali fattori finanziari che ostacolano di fatto lo sviluppo delle imprese di medie e piccole dimensioni. Tali vincoli giocano un ruolo diverso a seconda della fase in cui si trova l’azienda.

Considerando poi il rapporto con i finanziatori nelle differenti fasi della vita aziendale vedremo che: nella fase di avvio, il fatto di non avere una reputazione solida alle spalle rende la raccolta scarsa di fondi esterni; le asimmetrie informative, inoltre, in questa fase sono parecchio evidenti e l’impresa oltre a non avere una reputazione sul mercato, poiché appena costituita, non può offrire garanzie a copertura del finanziamento.

Ne deriva, dunque, che in questa fase l’autofinanziamento sembra essere l’unica strada percorribile (Berger e Udell 1998, Bianco Ferri Finaldi Russo 1999, Elston 2002).

Nella fase di crescita i vincoli sono in ugual misura stringenti, considerato che man mano che i progetti di investimento aumentano, cresce anche il

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rischio ad essi connesso e, in questa fase, la soluzione migliore potrebbe essere quella di diversificare le fonti di finanziamento, considerando non solo il prestito bancario, ma anche il venture capital.

Nella fase di stabilità, invece, le asimmetrie informative tendono a ridursi, la reputazione dell’azienda sul mercato è conosciuta, e come conseguenza si può pensare di adottare forme di finanziamento più articolate quali debito obbligazionario, ed eventualmente emissione di azioni.

1.5 PMI E FABBISOGNI FINANZIARI

Come abbiamo avuto modo di vedere, in letteratura non sono mancati studi aventi ad oggetto la politica di finanziamento delle imprese, cerchiamo ora di restringere il raggio d’azione, focalizzando l’attenzione sulle PMI.

Tradizionalmente gli studi si sono concentrati su tre aspetti, in particolare: • Ruolo della funzione finanziaria nelle PMI;

• Le scelte di struttura finanziaria e della conseguente politica di finanziamento;

• Cosa influenza il livello di indebitamento.

In merito al primo punto la letteratura afferma che il “modus operandi” della funzione finanziaria non varia al variare delle dimensioni aziendali14, ma ciò che varia possono essere sia i tratti distintivi della funzione finanziaria, sia gli strumenti che l’azienda usa per affrontare le differenti problematiche finanziarie.

La causa di questa differenza possono essere sia gli obiettivi di fondo, sia la presenza di un insieme di vincoli che caratterizzano l’operare di una piccola e media impresa. In merito al primo punto, abbiamo visto nei paragrafi precedenti come nelle PMI vi sia una sovrapposizione tra la figura del manager e quella dell’imprenditore, quindi la massimizzazione

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dell’interesse ruota attorno ad una persona, nelle imprese di grandi dimensioni questo sarebbe impensabile.

In merito al secondo punto, invece, vediamo che le PMI possono avere differenti strutture organizzative, nelle quali difficilmente la struttura finanziaria si presenta come articolata; questo, unito al fatto che le problematiche da gestire sono di portata inferiore può comportare un livello di attenzione minore all’area finanza15.

Con riferimento alle scelte di struttura finanziaria e, della collegata politica di finanziamento, alcuni studi hanno evidenziato come le aziende di piccole e medie dimensioni sono caratterizzate da una relazione debole tra scelte di finanziamento e politiche di investimento, questo in ragione del fatto che l’imprenditore preferisce privilegiare l’aspetto produttivo piuttosto che finanziario.

Ciò comporta una attenzione più marcata agli aspetti tecnologici ed operativi rispetto ad una verifica formale sulla fattibilità economico-finanziaria di un investimento.

Non sempre pertanto, sarà facile verificare la connessione tra uno specifico investimento e il relativo finanziamento, poiché quest’ultimo è indirizzato all’intera organizzazione, in altre parole, sono le performance aziendali nel loro insieme ad influenzare la capacità di rimborso di un finanziamento relativo ad un investimento.16

L’ultimo aspetto fa riferimento alle determinanti che maggiormente influenzano il grado di indebitamento delle piccole e medie imprese.

In merito a quest’ultimo aspetto gli studiosi hanno evidenziato una pluralità di fattori: il primo è il fatturato, dal quale è emerso, infatti, che le aziende che fatturano meno sono quelle che fanno più ricorso al debito17, tale

15 H.J. Lv, “SME Financing difficulities and Countermeasures”, Central China Normal

University,Wuham, 2013

16 G. DE LAURENTIS, “Il finanziamento degli investimenti fissi” in R. Ruozzi (a cura di), “La gestione finanziaria delle piccole e medie imprese”, Egea, Milano, 1996. p. 119

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aspetto assume valenza ancora maggiore esaminando la quota di del Mol sugli oneri finanziari, che aumenta alla crescita del fatturato.

Il secondo fattore che è in grado di determinare il livello di debito aziendale è il settore di appartenenza, alcuni studi hanno messo in relazione il differente ricorso al debito delle aziende appartenenti al settore manifatturiero, rispetto a quello del commercio e dei servizi, anche se il risultato di tali studi non è univoco.

Secondo alcuni, infatti, aziende appartenenti allo stesso settore mostrano livelli di indebitamento, legato alle specificità del settore; secondo altri, invece, l’appartenenza allo stesso settore non è una variabile da prendere in considerazione, ma ogni azienda è diversa dalle altre e quindi è una realtà a se, pertanto bisogna considerare le risorse di ogni azienda.18

Altra determinante ancora è il flusso finanziario generato della gestione operativa, è stato evidenziato come, il reinvestimento degli utili generati dall’attività operativa sia la fonte di finanziamento preferita dagli imprenditori, questo in ragione del fatto che essi come evidenziato nei paragrafi precedenti non vogliano perdere il controllo dell’organizzazione, quando infatti il flusso finanziario dell’attività operativa non è sufficiente, l’unica alternativa possibile è il ricorso al debito bancario19.

In ultimo è stato evidenziato come anche le prospettive di crescita possono essere in qualche modo collegate al tema dell’indebitamento. Le aziende con dimensioni ridotte tendenzialmente non hanno le stesse opportunità di crescita rispetto ad un’impresa strutturata, la scarsità di risorse è, anche se solo in parte, colmabile con il ricorso agli strumenti di finanza agevolata.

18 In aggiunta è stato messo in evidenza come, nel settore industriale, anche se di poco, ci sia un

livello di indebitamento minore rispetto ad altri settori, mentre in esso è più presente l’autofinanziamento. NICOLA MIGLIETTA, “La struttura finanziaria obiettivo delle imprese”, cit. pag.79, Giappichelli, Torino, 2004

(22)

CAPITOLO II

NOZIONI GENERALI E NORMATIVE DI RIFERIMENTO

Sommario: 2.1 Considerazioni introduttive; 2.2. evoluzione normativa sul tema del sovraindebitamento; 2.3. definizione di sovraindebitamento; 2.4 Organismo di composizione della crisi; 2.5 Procedura di gestione della crisi da sovraindebitamento; 2.5.1 L’avvio e l’apertura del procedimento; 2.6 La ristrutturazione del debito; 2.7 La procedura di liquidazione del patrimonio; 2.8 La procedura di esdebitazione; 2.9 Cause e tipologie di sovraindebitamento.

2.1 CONSIDERAZIONI INTRODUTTIVE

Con la legge n. 3 del 2012, recante “disposizioni in materia di usura e di estorsione, nonché di composizione della crisi da sovraindebitamento”, successivamente modificata con il d.l. 18 Ottobre 2012 n.179 (c.d. decreto sviluppo bis), il legislatore italiano ha per la prima volta introdotto nel nostro ordinamento tre nuove procedure concorsuali riservate a quella platea di soggetti non assoggettabili alle procedure di concorsuali, di cui all’art 182 bis della legge fallimentare.

La materia fallimentare, infatti, veniva disciplinata dal r.d del 16 marzo 1942, emanato in un contesto economico, sociale e politico molto differente da quello attuale: le imprese infatti, avevano dimensioni contenute, operavano in un contesto meno ampio, e l’impresa era concepita come un qualcosa dell’imprenditore20.

Tale normativa, tra l’altro, qualche anno dopo, con l’entrata in vigore della Carta Costituzionale venne censurato dalla Consulta poiché conteneva una

20 Nel caso delle PMI, ma limitatamente anche al caso italiano, si può notare come seppur in

maniera diversa rispetto al passato, l’imprenditore rappresenti il punto di forza di queste realtà, questo se da una parte potrebbe portare indubbi vantaggi quali ad esempio un’attenzione alla qualità più marcata, dall’altro potrebbe rappresentare un limite poiché spesso questa figura accentratrice si configura come un freno all’innovazione e quindi allo sviluppo. Sul punto Cfr.

(23)

disciplina che privava il debitore fallito di alcuni diritti che poi furono garantiti, quali ad esempio il diritto al voto.

Tuttavia, negli anni 80 con il cambiamento degli scenari economici, si avvertiva l’esigenza di adeguare la disciplina fallimentare alla realtà socio - economica. Sulla scia di questa necessità, diversi furono i tentativi prima di arrivare ad una riforma organica che si ebbe per la prima volta nel 2005. Durante l’iter preparatorio della riforma della materia, la Commissione Trevisanato21, incaricata di eseguire i lavori, prese in considerazione l’idea che fosse necessaria una procedura che non si rivolgesse solo all’imprenditore commerciale22, ma includesse anche i debitori civili non fallibili e i piccoli imprenditori.

L’obiettivo era quello di arrivare a stabilire un accordo di ristrutturazione concordato con tutti i creditori, e, solo qualora questo accordo non fosse stato raggiunto, si arrivava alla applicazione di una liquidazione dei beni semplificata a carattere esdebitatorio, solo però per il debitore meritevole. Ne deriverà che l’imprenditore commerciale, non soggetto al fallimento e al concordato preventivo è individuato in base al livello di investimenti e di ricavi.

Nello specifico, dunque, ai sensi dell’art.1 l.fall. “sono soggetti alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo gli imprenditori che esercitano un attività commerciale, esclusi gli enti pubblici. Non sono soggetti alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo gli imprenditori di cui al primo comma, in quali dimostrino il possesso congiunto dei seguenti requisiti:

21 Cfr. Schema del ddl di riforma delle procedure concorsuali istituita con D.M. del 27 febbraio

2004 dal Ministero della Giustizia in concerto con il Ministero Economia e Finanza in Fall. Supplemento al n. 8 agosto 2004.

22

Art. 2195 c.c.: “È imprenditore commerciale chi esercita professionalmente una o più delle seguenti attività:

1 un'attività industriale diretta alla produzione di beni o di servizi; 2 un'attività intermediaria nella circolazione dei beni;

3 un'attività di trasporto per terra, o per acqua o per aria; 4 un'attività bancaria o assicurativa;

(24)

• Aver avuto, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell’istanza di fallimento o dall’ inizio dell’attività se di durata inferiore, un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore ad euro 300.000;

• Aver realizzato, in qualunque modo risulti, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell’istanza di fallimento o dall’ inizio dell’attività se di durata inferiore, ricavi lordi per un ammontare complessivo annuo non superiore ad euro 200.000;

• Avere un ammontare di debiti anche non scaduti non superiore ad euro 500.000”.

Prima dell’attuazione di una vera e propria riforma del diritto fallimentare, furono presentati due progetti legislativi in tema di insolvenza civile. Il primo fu quello depositato da Adiconsum presso il CNEL nel 2001, con l’obiettivo di risolvere il problema relativo alla contrazione di debiti per scopi di natura familiare, facendo riferimento ad un procedimento concordatario.

La particolarità di questa proposta stava anche nel fatto che veniva fornita una definizione di sovraindebitamento, inteso come “una situazione di difficoltà finanziaria, non temporanea, ad adempiere le obbligazioni assunte”.

Il secondo progetto fu avanzato nel d.d.l presentato dall’On. Fassino, il 20 luglio del 2004, n. C/5171 per la “delega al Governo per la riforma delle procedure della crisi di impresa”. Quest’ultimo provvedimento prevedeva la possibilità per i soggetti non aventi personalità giuridica di ottenere l’esdebitazione attraverso un sistema di regolazione del debito approvato dalla maggioranza dei creditori, oppure mediante la liquidazione del patrimonio del soggetto della persona, che veniva affidato ad un curatore di nomina giudiziale.

(25)

Terza e ultima via era quella di attivare una procedura stragiudiziale da promuovere con istanza rivolta ad una apposita commissione23.

Tuttavia, la crisi economica del 2008, ed il conseguente aumento dell’indebitamento, ha reso necessario un intervento volto a trovare una soluzione a questi grossi problemi, per cercare di evitare che i soggetti diversi dall’imprenditore commerciale venissero emarginati e, che per far fronte alle loro obbligazioni, ricorressero a forme di finanziamento dannose, quali l’usura.

Da qui sono scaturite una serie di iniziative focalizzate sull’esdebitazione e il sovraindebitamento del debitore civile.

Nello specifico saranno oggetto di analisi del presente capitolo: l’evoluzione dell’iter normativo in materia di sovraindebitamento, con l’inquadramento della nuova disciplina nella più generale cornice del tradizionale diverso trattamento dell’insolvenza civile e commerciale, evidenziando la volontà manifesta del legislatore italiano di sostenere il debitore meritevole nel processo di ristrutturazione del debito, e dell’esdebitazione; il ruolo e le funzioni dell’organo di composizione della crisi e infine, la procedura di liquidazione del patrimonio.

2.2 EVOLUZIONE NORMATIVA SUL TEMA DEL

SOVRAINDEBITAMENTO

La legge n. 3/12, anche detta Legge Centaro, dal nome del parlamentare proponente, nasce con l’obiettivo di rimediare a quelle situazioni di sovraindebitamento non soggette né al fallimento né alle procedure concorsuali, in altre parole, offre a qualsiasi debitore la possibilità di trovare un accordo con il creditore.

23 “A seguito della riforma della l. Fall. la dottrina rimproverava al legislatore di non aver

previsto un procedimento di allerta o di prevenzione della crisi e di non aver esteso la possibilità di fare ricorso a procedure di tipo concorsuale agli imprenditori agricoli, e, al debitore civile”. Sul punto Cfr. NICOLA VEZZANI, L’accordo di composizione della crisi e il piano del consumatore

(26)

Nella sua prima stesura, la soluzione proposta dalla norma, non riusciva a fornire delle soluzioni accettabili al problema, essenzialmente per due ragioni pratiche.

La prima era quella di aver raggruppato in un unico contesto normativo le soluzioni sia per l’imprenditore commerciale che per il debitore non fallibile; la seconda ragione della debolezza della legge in prima battuta, era quella che la soluzione proposta si poneva in una via intermedia tra il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione del debito24.

Dunque, mettere insieme l’insolvenza civile e l’insolvenza commerciale presentava notevoli problemi, sostanzialmente legati al fatto che le figure prese in considerazione erano essenzialmente differenti tra di loro: l’insolvenza civile, infatti, è caratterizzata dal concetto statico di responsabilità patrimoniale ex art 2740 c.c.25.

L’intenzione del legislatore italiano, quindi, era probabilmente quella di regolare con un unico provvedimento tutti i fenomeni di insolvenza non regolamentati dalle procedure concorsuali, rischiando però di sacrificare la coerenza delle diverse fattispecie. Se, infatti, l’insolvenza del debitore civile è normata dall’art 2740 c.c, quella dell’imprenditore non fallibile riguarda la fattispecie in cui l’impeditore non riesce a pagare i propri debiti, ha in altre parole anche una matrice finanziaria.

24

M. FABIANI, La gestione del sovraindebitamento del debitore “non fallibile” (d.l. 212/2011), in Il Caso.it, 2012. L’opzione di fornire al debitore civile uno strumento di regolazione del suo indebitamento con forme più articolate del processo esecutivo individuale era decisamente opportuna, forse tardiva visto il panorama internazionale sia continentale sia anglosassone. Tuttavia la soluzione adottata nella prima versione della legge è stata declinata con modalità tali che facevano fin da subito dubitare riguardo un impatto positivo sul sistema, aldilà delle lodevoli intenzioni. Il vero handicap derivava da due contaminazioni: i) in un unico contesto era stata strutturata la procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento sia per l’imprenditore non fallibile che per il consumatore secondo modalità operative pienamente omogenee, quando è evidente che questa omogeneità non sussiste: basti considerare che nell’organizzazione di un’impresa, anche piccola, un fattore molto importante è costituito dal lavoro dipendente; ii) il procedimento configurato risultava essere una specie di compromesso fra il concordato e gli accordi di ristrutturazione, più con le reciproche debolezze che con le reciproche forze.

25Art. 2740 c.c.: “Il debitore risponde dell'adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni

(27)

Considerato, quindi, che qualcosa andava modificato, si arriva al decreto legge 18 ottobre 2012 n. 179, convertito con la legge 221/2012 che è entrata in vigore il 18 gennaio 2013.

L’obiettivo della disposizione in ultimo citata era appunto quello di far si che anche il debitore civile potesse godere delle innovazioni normative entrate in vigore nel nostro Paese.

La disciplina del sovraindebitamento, considerate le finalità che il legislatore intendeva raggiungere, è stata modificata; sono stati introdotti nuovi istituti e nuovi provvedimenti, ma la novità principale consisteva nella modifica della stesura del capo II, ora rubricato “Procedimenti di

composizione delle crisi da sovraindebitamento e liquidazione del patrimonio26”.

Dal nuovo assetto normativo, brevemente delineato, si evincono quindi quelle che sono state le scelte adottate dal legislatore il quale, di fronte alla crisi e l’insolvenza del debitore, ha predisposto due comparti normativi tra loro alternativi ma complementari: nella sostanza ha effettuato una distinzione tra le imprese commerciali che non superano le soglie previste dalla legge fallimentare da una parte, gli altri debitori, invece, le imprese agricole, quelle commerciali sotto soglia, le start up e i debitori civili dall’altra.

26

Tale capo è suddiviso in tre sezioni, la prima intitolata “Procedure di composizione della crisi

da sovraindebitamento” e ha ad oggetto le disposizioni generali; l’accordo di composizione della

crisi; il piano del consumatore; l’esecuzione e cessazione degli effetti dell’accordo di composizione della crisi e del piano del consumatore. La seconda sezione è invece rubricata “Liquidazione del patrimonio” e disciplina la liquidazione dei beni e l’esdebitazione; la terza sezione, infine, è intitolata “Disposizioni comuni” e tratta gli organismi di composizione della crisi e le sanzioni.

(28)

2.3 DEFINIZIONE DI SOVRAINDEBITAMENTO

La disciplina in commento, definisce all’art. 6, comma 2, lett.a) il sovraindebitamento come una “situazione di perdurante squilibrio tra le obbligazioni assunte e il patrimonio prontamente liquidabile per farvi fronte, ovvero la definitiva incapacità del debitore di adempiere alle proprie obbligazioni”.

Tale disposizione normativa prende dunque in considerazione due situazioni distinte: l’imprenditore che svolgendo la propria attività si trovi in una situazione di impossibilità ad onorare le proprie obbligazioni nei confronti dei creditori, e la persona fisica, che non dispone di un patrimonio liquidabile per fronteggiare i debiti contratti.

La prima situazione, la definitiva incapacità di adempiere, coincide con la nozione di insolvenza dell’imprenditore, come tale va tenuta distinta da condizioni diverse, comprensibili nella più ampia accezione di crisi: insolvenza reversibile, incapacità di adempimento temporanea, stress finanziario.

La seconda situazione potrebbe essere riferita all’imprenditore che una volta cessata l’attività caratteristica, sia stato posto in liquidazione.

A ben vedere, la norma in esame pone come condizione basilare per una sua applicazione, il perdurante squilibrio tra obbligazioni assunte e patrimonio, sarà pertanto necessario fare delle considerazioni sulla situazione di squilibrio in un’ottica futura.

Considerato l’elevato grado di soggettività nella valutazione di perdurante squilibrio, soprattutto in relazione al concetto di patrimonio prontamente liquidabile, sarà richiesta agli organi giudiziali una maggior cautela nel decidere se ammettere o meno il debitore alle differenti procedure.

(29)

2.4 ORGANISMO DI COMPOSIZIONE DELLA CRISI

L’organismo di composizione della crisi riveste un ruolo fondamentale nel raggiungimento dell’accordo e per il suo perfezionamento della gestione della crisi da sovraindebitamento.

La sua funzione e, la sua natura, sono disciplinate dall’art. 15 della legga 3/2012. Da una prima lettura della norma è possibile cogliere un parallelismo tra la figura dell’organismo e quella del Commissario giudiziale, anche se, a ben vedere l’organismo può assumere nelle diverse fasi di gestione della crisi anche il ruolo di professionista attestatore27. L’organismo di composizione della crisi, infatti, si manifesta in tutta la sua importanza sin dal momento in cui la procedura di gestione della crisi comincia, poiché come prescrive la norma “l’accordo può essere proposto con l’ausilio dell’organismo di composizione della crisi”, anche se, in questa, la sua funzione, come accennato sopra, non sarà quella del Commissario Giudiziale, ma quella di un professionista esterno, paragonabile appunto al professionista attestatore.

In un secondo momento, ovvero quando ci sarà l’omologazione dell’accordo, le sue funzioni saranno quelle di Commissario Giudiziale, attesterà infatti la fattibilità del piano che dovrà essere allegato alla proposta di accordo.

27 V. art. 67, co. 3, lett. d) l.Fall. « ... un professionista indipendente designato dal debitore, iscritto nel registro dei revisori legali ed in possesso dei requisiti previsti all’art. 28, lettere a) e b) deve attestare la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano; il professionista è indipendente quando non è legato all’impresa e a coloro che hanno interesse all’operazione di risanamento da rapporti di natura personale o professionale tali da comprometterne l’indipendenza di giudizio; in ogni caso, il professionista deve essere in possesso dei requisiti previsti all’art. 2399 del codice civile e non deve, neanche per il tramite di soggetti con i quali è unito in associazione professionale, avere prestato negli ultimi cinque anni attività di lavoro subordinato o autonomo in favore del debitore ovvero partecipato agli organi di amministrazione o di controllo; il piano può essere pubblicato nel registro delle imprese su richiesta del debitore ... »

(30)

In merito a quelli che sono i requisiti che un soggetto deve avere per essere considerato come organismo di composizione della crisi possiamo far riferimento al D.M. n. 202/2014.

I requisiti e le modalità di iscrizione sono tenute in un registro presso il Ministero, tale registro è diviso in due sezioni: sezione A e sezione B. Nella prima sono iscritti di diritto, presentando semplice domanda, gli organismi di composizione costituiti presso le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, e gli appartenenti agli ordini professionali degli Avvocati, Dottori Commercialisti ed esperti contabili e Notai, anche quando svolgono l’attività professionale in forma associata. Nella sezione B invece sono iscritti gli organismi costituiti da Comuni, Provincie, Citta Metropolitane, Regioni e istituzioni universitarie pubbliche.

È compito del responsabile del registro verificare che sia nella sezione A che nella B, sussistano i seguenti requisiti:

• La presenza di un referente dell’organismo al quale sia garantito un adeguato grado di indipendenza;

• Il rilascio di una polizza assicurativa con massimale non inferiore a un milione di euro, per le conseguenze patrimoniale derivanti dallo svolgimento del servizio di gestione della crisi;

• La conformità del regolamento dell’organismo alla disposizione del D.M. n. 202/2014.

Inoltre, soltanto per gli organismi tenuti all’iscrizione nella sezione B, sono previsti i seguenti ulteriori requisiti:

• L’organismo deve essere costituito quale organizzazione interna di uno degli enti pubblici sopra citati;

• Il numero di gestori della crisi, che non deve essere inferiore a cinque, che abbiano dichiarato la disponibilità a svolgere le funzioni di gestione della crisi in via esclusiva per l’organismo, e la sede dell’organismo.

(31)

È evidente che la finalità del decreto n. 202/2014 è quella di assicurare, all’impresa o alla persona fisica, la gestione ottimale della situazione di crisi da sovraindebitamento, per questo vengono prontamente specificati quelli che sono i requisiti professionali dei gestori.

Precisamente, si fa riferimento innanzitutto al possesso di una laurea magistrale in materie economiche o giuridiche, al possesso di una specifica formazione acquisita tramite la partecipazione a corsi di perfezionamento di durata non inferiore a duecento ore nell’ambito della gestione della crisi, allo svolgimento presso uno o più organismi, curatori, commissari giudiziali, professionisti indipendenti di un periodo di tirocinio non inferiore a sei mesi ed, in ultimo, la partecipazione a corsi di aggiornamento biennale di durata non inferiore a quaranta ore.

2.5 PROCEDURA DI GESTIONE DELLA CRISI DA

SOVRAINDEBITAMENTO

La procedura di gestione della crisi da sovraindebitamento non si presenta come una procedura concorsuale parallela al fallimento, bensì come un atto volontario del debitore.

La legge 3/2012 prevede non una sola procedura di composizione della crisi, ma contempla tre differenti procedimenti, disposti in una sorta di schema a ipsilon28, indipendentemente dalla natura del soggetto in analisi, sia esso, quindi, una persona fisica o giuridica.

In base alla Relazione Illustrativa del D.L. n.179 del 18.12.2012, si evince che:

1) il consumatore può accedere alternativamente a:

28

PACIELLO, Prime riflessioni (inevitabilmente) critiche sulla composizione della crisi da

(32)

• Al piano del consumatore (rif. norm. art 6, “il consumatore può anche proporre un piano fondato sulle previsioni di cui l’ articolo 7, comma 1, ed avente come contenuto l’ articolo 8”);

• All’accordo da sovraindebitamento (rif. norm. art. 7, c 1- bis: “fermo restando il diritto di proporre ai creditori un accordo ai sensi del comma 1, il consumatore in caso di sovraindebitamento […]”);

• Alla liquidazione dei beni con possibile “esdebitazione”, soluzione possibile solo se il debitore è una persona fisica (rif. norm. art 14- terdecies “il debitore persona fisica è ammesso al beneficio della liberazione dei debiti residui […]).

2) per quanto riguarda gli altri soggetti diversi dal consumatore, quindi gli imprenditori sotto soglia, i liberi professionisti gli imprenditori agricoli, possono accedere alternativamente:

• All’accordo di sovraindebitamento;

• Alla liquidazione dei beni con possibile esdebitazione.

2.5.1 L’AVVIO E L’APERTURA DEL PROCEDIMENTO

Il procedimento di composizione della crisi da sovraindebitamento è disciplinato dagli artt. da 6 a 20 della legge del 27 gennaio 2012, n. 3 ed è articolato in quattro fasi che, salvo eventi in grado di far cessare la procedura in via anticipata, si susseguono logicamente:

1) Fase di avvio;

2) Fase di raccolta dei consensi; 3) Fase di omologazione;

4) Fase di esecuzione dell’accordo.

Nella fase di avvio avviene il deposito della “proposta di accordo”, quest’ultima è di primaria importanza, poiché è in questo momento che si

(33)

instaura un primo rapporto tra debitore e giudice. Solo in un secondo, infatti, il debitore inizierà a rapportarsi con i suoi creditori, nello specifico l’inizio di tale rapporto sarà subordinato al positivo vaglio della commissione giudiziale.

La domanda allora per far si che questo avvenga dovrà contenere una serie di documenti volti ad indurre il giudice prendere la sua decisione avendo una visione completa della situazione in cui versa il debitore.

Accanto alla suddetta proposta devono, inoltre, essere inseriti dati relativi a:

• Competenza territoriale del tribunale;

• Assistenza di un organismo di composizione delle crisi che deve essere iscritto nell’apposito registro e deve avere sede nello stesso circondario del tribunale di riferimento;

• La qualificazione del debitore come soggetto in stato di sovraindebitamento, non assoggettabile a procedure concorsuali.

Inoltre, devono essere inseriti, e depositati assieme alla proposta, un elenco dei creditori e dei rispettivi crediti, un elenco dei beni del debitore che potrebbero essere volti a soddisfare tali crediti, un elenco di tutti gli atti di disposizione patrimoniale compiuti negli ultimi cinque anni dal debitore, le dichiarazione dei redditi degli ultimi tre anni, le scritture contabili sempre degli ultimi tre anni, una attestazione, fatta dall’imprenditore stesso, o meglio ancora dal professionista incaricato che assiste il debitore.

La completezza e la precisione nel fornire tutta questa documentazione richiesta sono dei requisiti essenziali per diversi motivi: il primo risiede nel fatto dalla completezza dipende l’ammissibilità al piano, il secondo che la precisione nella descrizione contribuisce a provare l’esistenza di presupposti di ammissibilità alle procedure di gestione della crisi, in ultimo alcuni documenti hanno una natura selettiva, stabiliscono cioè chi sono quei debitori che possiedono il requisito della “meritevolezza”.

(34)

La fase di raccolta dei consensi consiste nella proposta di accordo al creditore, ad oggi le modalità di perfezionamento dell’accordo sono disciplinate senza la previsione di specifici intervalli temporali.

L’art. 11 della legge 2/2012 al primo comma, dispone che il creditore deve far pervenire agli organi di composizione della crisi una dichiarazione sottoscritta del proprio consenso. La dichiarazione ha una valenza determinante, poiché nel caso in cui il creditore non presenti nulla nei giorni precedenti l’udienza fissata dal tribunale, aderisce automaticamente alla proposta di accordo. Quindi, anche se il legislatore parla esplicitamente di “consenso”, si presume che il creditore dissenziente, entro dieci giorni prima dell’udienza esprima il proprio parere motivato.

Il ruolo del creditore, nel processo di crisi aziendale può essere determinante, spesso infatti succede che alcune organizzazioni economiche siano sostenute senza particolari problemi dagli istituti di credito, ma anche con la stessa prontezza abbandonate quando si presentano situazioni di crisi.

L’ipotesi da ultimo richiamata, non si presenta come meramente teorica, possiamo infatti considerare gli eventi borsistici che hanno caratterizzato l’inizio del nuovo millennio, quando aziende molto note si trovarono sull’orlo del fallimento, con il valore dei titoli crollato e con enormi difficoltà nel riuscire ad riattivare il clima di fiducia29.

Sono molto frequenti, infatti, in situazioni di crisi fenomeni quali fuga di capitali e richieste di rientro dei fidi mosse dai creditori.

In una situazione di crisi aziendale, come scrive Umberto Bertini, “a mio modesto parere i fattori di successo sono cinque e possono essere cosi individuati:

• la lungimiranza del soggetto economico; • la vitalità del capitale di rischio;

• la qualità del management;

• la sistematicità e flessibilità dell’organizzazione

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