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PREVENZIONE DEGLI INFORTUNI PIÙ FREQUENTI NEI NUOTATORI DI ALTO LIVELLO

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale

Dipartimento di Patologia Chirurgica, Medica, Molecolare e dell'Area Critica Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in Medicina e

Chirurgia

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN SCIENZE E TECNICHE DELLE ATTIVITÀ MOTORIE PREVENTIVE E ADATTATE

“PREVENZIONE DEGLI INFORTUNI PIÙ FREQUENTI NEI

NUOTATORI DI ALTO LIVELLO”

RELATORE CHIAR.MO PROF. IDA NICOLINI

CANDIDATO

SIG.RA YAUHENIYA SERHIYEVICH

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2

ABSTRACT

Il nuoto non è uno sport di contatto però le caratteristiche particolari dell’ambiente acquatico, la tecnica di esecuzione e i notevoli carichi sulle articolazioni possono portare la spalla, il ginocchio e la schiena ad un trauma in qualsiasi momento. In questo elaborato di tesi sono stati analizzate varie ricerche scientifiche, blog professionali e manuali universitari riguardanti i traumi nei nuotatori di alto livello. Come frutto dell’analisi personale, sono stati sviluppati e proposti i protocolli preventivi da inserire negli allenamenti quotidiani dei nuotatori.

È stata quindi elaborata la rassegna degli esercizi migliori per l’allenamento dei tessuti molli, per la mobilizzazione e la forza dei muscoli meno coinvolti, ma comunque importantissimi per mantenere l’equilibrio armonico di un nuotatore.

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3

INDICE

INTRODUZIONE ... 5 1. PRINCIPI FISICI DELL’ACQUA ALLA BASE DEL NUOTO CON ED ELEMENTI DI BIOMECCANICA ... 8

1.1.

Pressione idrostatica

8

1.2.

Galleggiamento statico

9

1.3.

Resistenza dell’acqua

11

1.4.

Portanza

14

1.5.

Propulsione

18

2. SISTEMA MUSCOLO-SCHELETRICO NEI QUATTRO STILI DEL

NUOTO AGONISTICO ...21

2.1.

Stile libero

21

2.2.

Dorso

27

2.3.

Delfino

30

2.4.

Rana

33

I PROTOCOLLI PREVENTIVI DEI PRINCIPALI INFORTUNI ...36

3. LA SPALLA...37

3.1.

Anatomia della spalla

37

3.2.

La spalla del nuotatore

38

3.3.

Protocollo preventivo per la “spalla del nuotatore”

42

4. IL GINOCCHIO ...46

4.1.

Anatomia del ginocchio

46

4.2.

Ginocchio del ranista

48

4.3.

Protocollo preventivo per il “ginocchio del ranista”

51

5. LA SCHIENA ...59

5.1. Anatomia della schiena

59

5.2. La schiena del nuotatore

62

(4)

4

BIBLIOGRAFIA...69 CONCLUSIONI ...73 RINGRAZIAMENTI ...74

(5)

5

INTRODUZIONE

Il nuoto è da sempre considerato lo sport meno traumatico. In effetti, a livelli non agonistici e con il giusto approccio, il nuoto manifesta i suoi innumerevoli benefici. Ciò è dovuto senz’altro alla varietà di movimenti in scarico che si effettuano durante la pratica. A causa, però, dell’assenza di un punto d’appoggio fisso, quale sarebbe la terra ferma, è necessario un continuo sforzo coordinativo da parte del sistema muscolo-scheletrico per mantenere ogni parte del corpo sotto attento controllo, al fine di massimizzare l’efficienza del movimento in acqua. Per comprendere la necessità di una tale coordinazione, si può pensare al corpo come una lunga catena e ad ogni segmento corporeo come ad un anello della catena. Poiché tutti i segmenti sono collegati tra di loro, il movimento di uno di essi interessa, di conseguenza, tutti gli altri. L’insieme di questi collegamenti prende il nome di “catena cinetica” e consente alla propulsione generata dalle braccia di trasmettersi al torso e quindi alle gambe. Lo sport di catena cinetica aperta a differenza degli sport terresti. In questo sistema, la debolezza di uno degli anelli della catena causa una perdita di trasferimento di potenza, i movimenti corporei possono diventare scoordinati, ed il rischio di lesioni aumenta. La chiave per collegare il movimento delle estremità superiori e inferiori in acqua e, al tempo stesso, generare una solida base di appoggio, è garantire un core1 forte e stabile.

Si considera il core come le fondamenta sulle quali sono costruite le strutture muscolari delle parti superiore ed inferiore del corpo. Anche una casa ben progettata e con mura solide può crollare se le fondamenta cedono. In breve, quindi, benché il nuoto risulti essere uno degli sport più fluidi, esso richiede tuttavia un notevole impegno per poter essere praticato correttamente ricavandone i molti benefici limitando i rischi di subire traumi.

1La parola Core, "Centro" o, ancora meglio, nucleo in questo contesto, identifica tutta la fascia centrale del corpo umano che include il complesso coxo-lombo-pelvico; rappresenta un punto di reazione stabile per il resto del corpo o più semplicemente possiamo descriverlo come " il centrofunzionale del corpo".

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Ad alti livelli inoltre, capita spesso di voler sfidare i propri limiti anche a costo di compromettere la salute del proprio corpo pur raggiungere un obiettivo. L’insorgenza di problemi dovuti ad esecuzioni ripetitive o ad una tecnica errata sembra quindi insita nella avidità o nell’ignoranza dell’uomo. Nel nuoto, le strutture che più frequentemente sono colpite da danni di varia natura risultano essere la spalla, il ginocchio e la schiena; tuttavia, poiché il 90% della forza propulsiva è data dalle estremità superiori, gli infortuni alla spalla raggiungono una casistica che va dal 41% al 90% in ambito agonistico. I traumi al ginocchio risultano poi essere i più frequenti dopo quelli alla spalla.

Nel 1985, negli USA, gli ortopedici Rovere e Nichols hanno riportato nella loro indagine che, su 36 nuotatori a rana professionisti, il 75% ha avuto almeno tre episodi di dolore al ginocchio a stagione e il 47% di questi nuotatori con frequenza settimanale.

Secondo i scienziati japponesi K.Kaneoka e K.Shimizu i nuotatori di alto livello hanno una maggiore possibilità di avere ernie nel disco. Dalla risonanza magnetica risulta che il 68% dei 56 nuotatori d’èlite e il 29% dei 38 studenti universitari che praticano il nuoto a livello non agonistico hanno una degenerazione del disco. Ci sono state differenze significative nell’intensità, durata e la distanza dell’allenamento, il che indica che il nuoto agonistico amplifica la degenerazione lombare del disco intervertebrale.

L’obiettivo di questo elaborato è, in breve, di trovare il miglior modo per prevenire i traumi nei nuotatori di alto livello creando dei protocolli preventivi da poter inserire nel macrociclo degli allenamenti senza intaccare il processo principale. Capita frequentemente di incontrare allenatori che sostengono sia prioritario concentrare gli sforzi sul numero di vasche percorse, piuttosto che perfezionare il più possibile la tecnica. Dovrebbe invece essere chiaro a tutti che, per esprimere il massimo rendimento, occorre essere nel pieno della forma. I lunghi allenamenti verrebbero infatti vanificati in presenza di un problema fisico. Per questo motivo è indispensabile dedicare una piccola ma significativa porzione di tempo ad un’azione preventiva nei confronti dei principali traumi.

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Ai fini di realizzare il protocollo preventivo più efficace, come primo aspetto, sono stati analizzati gli elementi teorici di alcuni principi fisici dell’acqua e gli aspetti biomeccanici del comportamento tra acqua e nuotatore.

In secondo luogo sono stati studiati i muscoli coinvolti nei 4 stili durante la nuotata per prendere nota dei punti deboli dei nuotatori e poter progettare al meglio il programma di allenamento a secco. Infine, l’ultima parte di questo scritto è stata dedicata ai traumi più frequenti nel nuoto e ai relativi protocolli preventivi.

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8

1. PRINCIPI FISICI DELL’ACQUA ALLA BASE DEL

NUOTO CON ED ELEMENTI DI BIOMECCANICA

Analizzare dal punto di vista fisico le proprietà fisiche dell'acqua è molto importante per avere una comprensione più profonda riguardo cosa sia il nuoto e su quali aspetti ci si debba concentrare per migliorare le proprie prestazioni. La biomeccanica nel nuoto si compone di cinematica, dinamica e meccanica dei fluidi. La cinematica interessa i movimenti, la dinamica l’applicazione delle forze e la meccanica dei fluidi la resistenza del mezzo. Nel nuoto, ridurre le resistenze è più importante che aumentare le forze propulsive e per diminuire le resistenze occorre migliorare la tecnica di nuotata.

1.1. Pressione idrostatica

Sott'acqua, la pressione aumenta di un'atmosfera (1 bar) ogni 10 metri di profondità. Il volume delle parti solide e liquide del corpo rimane identico, il volume dei gas, invece, si riduce all'aumentare della pressione. Quando ci si immerge, l'aria contenuta nei polmoni si riduce di volume, e i polmoni di conseguenza (1). Come conseguenza, la spinta idrostatica diminuisce (diminuisce il volume del corpo): per questo motivo, se vogliamo rimanere seduti, immobili, sul fondo della piscina, dobbiamo espellere parzialmente l'aria contenuta nei polmoni, e sempre per lo stesso motivo è più facile scivolare sott'acqua a 2 metri di profondità, piuttosto che appena sotto la superficie dell'acqua. È anche per questo motivo che, nella tecnica moderna di nuotata, dopo il tuffo e le virate i nuotatori si spingono molto in profondità, cosa controproducente all'apparenza, perché di fatto allungano il tragitto, ma consente loro di scivolare meglio durante la subacquea.

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1.2. Galleggiamento statico

Di seguito una breve spiegazione del principio fisico alla base del galleggiamento statico di un corpo immerso in acqua. Per galleggiamento statico s'intende il galleggiamento che è presente senza l'aiuto dell'azione propulsiva degli arti, ovvero stando completamente fermi.

Quando un corpo viene immerso in un fluido, ne sposta una quantità pari al suo volume. Ogni corpo immerso in un fluido è soggetto alla spinta di Archimede: una forza diretta verso l'alto uguale al peso del fluido spostato. Il corpo galleggia se la forza di Archimede è maggiore della forza di gravità che spinge il peso verso il basso, al contrario affonda.

La forza di gravità agisce in un punto preciso del corpo umano: il centro di gravità. La forza di Archimede agisce in un punto diverso, il centro di volume. A seconda di dove si trovano questi punti l'effetto delle due forze sarà molto diverso (Figura 1). Gli uomini tendono ad avere il centro di volume spostato più verso la testa, rispetto al centro di massa: l'effetto delle due forze combinate sarà quello di far affondare i piedi, e l'affondamento sarà tanto più pronunciato quando più distante sono i due punti di applicazione delle forze, visto che il punto di equilibrio si raggiunge quando sono allineate.

Figura 1- Momento di rotazione dell'allineamento orizzontale del nuotatore con conseguente aumento di area effettiva di impatto frontale

Un altro aspetto molto importante riguarda l'influenza delle parti del corpo che emergono dall'acqua. Qualunque parte del corpo non si trovi immersa, fa

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diminuire la spinta di Archimede, rendendo maggior le differenza tra la forza di gravità e la spinta idrostatica. Come conseguenza, il corpo tende ad affondare. Per questo motivo la posizione della testa è fondamentale durante la nuotata: iperestendendo la testa (guardando avanti invece di guardare il fondo) il corpo tende ad affondare (partendo dai piedi). Questo costringe il nuotatore ad utilizzare la gambata per generare la forza verticale necessaria al galleggiamento dei piedi. Ma si tratta evidentemente di uno spreco di energia. Purtroppo molti allenatori insegnano ancora a tenere la testa iperestesa, che guarda avanti, ma se osserviamo gli atleti di alto livello, si nota che tutti tengono la testa in posizione neutra, nascosta tra le spalle, nel naturale prolungamento della spina dorsale.

Un secondo aspetto interessante riguarda l'influenza della respirazione. Quando riempiamo i polmoni, aumentiamo il volume del tronco, senza aumentare il peso corporeo: come conseguenza, la forza di gravità rimane costante, ma la forza di galleggiamento aumenta. Ma aumenta in corrispondenza del tronco, e non dei piedi, dunque il centro di volume si sposterà verso la testa, aggravando la tendenza a far affondare i piedi. Di questo si può tenere conto per adottare diversi stili di respirazione, a seconda degli stili. Nello stile libero, dove cerchiamo di mantenere una posizione orizzontale in acqua, è opportuno iniziare subito l'espirazione, evitando di avere i polmoni pieni in nessuna fase della nuotata. Nel delfino al contrario, si ha un accentuato affondamento del petto immediatamente dopo la respirazione, causato dal movimento ondulatorio del corpo, che può giovare di una spinta idrostatica maggiore: in questo caso è opportuno trattenere il respiro ed eseguire l'espirazione violenta, immediatamente prima dell'inspirazione successiva.

Considerando il corpo completamente immerso nell’acqua possiamo osservare che il confronto tra le forze diventa un confronto tra densità: un corpo galleggia o meno se la sua densità è rispettivamente minore o maggiore di quella dell’acqua. Un corpo umano è costituito principalmente da acqua, si capisce quindi che la nostra densità è molto simile a quella dell'acqua ed è per questo che la tendenza del nostro corpo è quella di rimanere in equilibrio. Tuttavia ognuno è fatto diversamente e la densità media dipenderà dalla propria costituzione.

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11 Ci sono alcuni oggetti che si utilizzano durante gli allenamenti di nuoto, che sfruttano questo prinicipio. Il pull buoy (Figura 2) é un attrezzo che, essendo di materiale a bassa densità, ha una spinta di Archimede molto maggiore del suo peso, per

cui galleggia molto bene. Se messo in mezzo alle gambe permette di tenerle ferme e a galla, utilizzato se si vuol concentrare l'allenamento sulle braccia. Attrezzo analogo è la tavoletta è utile se si vuole allenare le gambe, tenendo le braccia ferme (Figura 3).

Figura 3

1.3. Resistenza dell’acqua

Imparare a gestire la forza di resistenza è la capacità più importante di un nuotatore. Senza la forza di resistenza dell'acqua, infatti, sarebbe impossibile generare le forze di propulsione, d'altro canto la stessa forza di resistenza è quella che limita la velocità del nuotatore, opponendosi all'avanzamento (1). La resistenza va dunque cercata e massimizzata per generare la propulsione, va evitata e minimizzata per ridurre le forze frenanti durante la nuotata. Questi due aspetti opposti costruiscono il valore del nuotatore.

Un oggetto che possiede una certa forma e che viaggia con una certa velocità attraversando un fluido come l'aria o come l'acqua, è sottoposto a due forze. Una è rivolta verticalmente, prende il nome di "Portanza" (lift); l'altra è rivolta orizzontalmente e si chiama "Resistenza" (drag) (Figura 4).

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Figura 4- Profilo del nuotatore in scivolamento passivo con scomposizione di forze (drag e lift)

L'acqua è un mezzo molto denso, per questo un corpo che si muove in acqua è soggetto ad una notevole resistenza, che varia con il quadrato della velocità. Questo significa che se vogliamo raddoppiare la velocità, ci si costrette a vincere una resistenza quattro volte superiore.

Le tipologie della resistenza idrodinamica del nuotatore sono due e dipendono dal movimento del soggetto. La prima è il drag passivo, ovvero la resistenza idrodinamica offerta al soggetto quando il suo corpo mantiene una posizione stabile (ad esempio la posizione di scivolamento successiva alla spinta di virata). Il secondo è il drag attivo, cioè la resistenza dell’acqua quando il soggetto nuota. Il drag attivo è einfluenzato sia dalla resistenza passiva del corpo che dalla resistenza che offrono gli arti durante il movimento di produzione di propulsione (2).

Le forze che agiscono perpendicolari all’avanzamento del nuotatore sono comunemente chiamati:

1. Resistenza frontale: è la resistenza che si oppone all’avanzamento, causata dall’ acqua che viene in contatto con la parte anteriore del nuotatore. Per ridurre la resistenza frontale, bisogna assumere una posizione piatta in acqua, in modo tale da occupare il cilindro più piccolo possibile nella direzione del movimento. Il modello di flusso intorno ad un oggetto immerso può essere rappresentato da delle linee di flusso. Quando l’oggetto immerso si inclina le linee di flusso si alterano indicando così la direzione del flusso e dallo spazio che si crea tra una linea e l’altra è possibile identificare la velocità di flusso. Questo tipo di resistenza va tenuta in considerazione quando si parla della tecnica di nuotata (Figura 5).

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13 Figura 5

2. Attrito superficiale, è la resistenza causata dall’acqua che aderisce al corpo del nuotatore. Molti sono soliti radersi corpo, arti e qualcuno anche il capo per ridurre l’attrito superficiale. I costumi sono sempre più performanti e volti a ridurre l’attrito superficiale (il primo, vietati dal 2011 nelle competizioni internazionali. La rasatura della pelle diminuisce l'attrito ed è per questo che i nuotatori agonisti si depilano) (Figura 6).

3. Resistenza di vortice: l'acqua che viene messa in movimento scorre lungo il corpo del nuotatore, e può farlo in modo "tranquillo", o generando turbolenze (vortici) che generano grande resistenza e vanno quindi evitati, per quanto possibile. Un corpo che si muove sott'acqua genera minori turbolenze (e di onde, vedi paragrafo precedente), per questo i tratti di nuotata subacquea vengono sempre sfruttati fino al limite imposto dal regolamento. Una posizione allungata in acqua e movimenti coordinati di braccia e gambe favoriscono il fluire tranquillo dell'acqua lungo il corpo (Figura 6).

Resistenza di vortice, è causata dall’acqua che non riesce a scivolare in modo lineare dietro alle parti del corpo scarsamente idrodinamiche. Il tentativo di ridurre la resistenza frontale è teoricamente responsabile dell’aumento della resistenza di vortice. Un corpo disallineato in acqua può provocare un aumento sia della resistenza frontale che laterale. Se i fianchi e le gambe oscillano a destra e sinistra, sia la resistenza frontale che di vortice, aumentano.

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Figura 6- Rappresentazione comune della resistenza frontale, attrito superficiale e della resistenza di vortice.

1.4. Portanza

Il lift o portanza crea una linea della differenza di pressione tra la parte sottostante il corpo e quella sovrastante che produce un spinta ascensionale.

La fase di presa che è responsabile di questa situazione fluidodinamica si ha con uno scivolamento della mano in avanti e quindi con l’avanzamento.

Per spiegare questa differenza di pressione si possono impiegare diverse leggi fisiche fondamentali una delle quali il teorema di Bernoulli (3). Il concetto che sta alla base del principio di Bernouilli è che la pressione di un fluido diminuisce con l’aumentare della velocità di flusso; si potrebbe considerare applicato solo ai movimenti verso l’alto, ma in realtà, esso si applica ai movimenti in tutte le direzioni verso l’alto, il basso, in avanti, all’indietro e lateralmente – come avviene nel nuoto.

Esempi dell’utilizzo della resistenza idrodinamica ai fini della propulsione: - Sono i movimenti di traslazione con il remo timoniero delle gondoliere

veneziane, funzione delle eliche marine su navi.

- Balene, delfini, la maggior parte dei di mammiferi marini appartenenti all'ordine dei cetacei si muovono attraverso l'uso di resistenza idrodinamica. Essa sorge nei loro piani della pinna caudale durante la locomozione e nella parte posteriore del corpo.

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La spinta in avanti che si ottiene in questi casi è il risultato della differenza di pressione tra il lato posteriore del remo dove la pressione è elevata, e il lato anteriore dove si forma la scia e la pressione è bassa. In questo tipo di propulsione la scia è fondamentale, se il flusso fosse completamente lineare, la pressione totale sul remo sarebbe zero e il movimento non potrebbe aver luogo.

Se infatti consideriamo le mani di un nuotatore come delle eliche marine di una nave o il remo timoniero di una gondola, il contributo dell’effetto sostentamento risulta determinante. Il movimento dell’elica in questo caso è garantito dal movimento delle braccia che descrivono una “S” nella fase subacquea in tutti e quattro gli stili. Nello stile libero infatti si ritiene che ai fini di una propulsione efficace, sia richiesta una maggiore potenza e resistenza per vincere la resistenza opposta dall’acqua, piuttosto che l’effetto sostentamento. Negli anni ’60 James Counsilman, utilizzando delle riprese cinematografiche subacquee, evidenziò che i nuotatori di élite, nelle passate subacquee, utilizzavano delle traiettorie curvilinee (4). (Figura 7)

Figura 7- Traiettoria curvilinea di bracciate: A - butterfly, B – rana, C – dorso, D - crawl

È importante a tal fine comprendere che la pressione di un fluido diminuisce con l’aumento della velocità di flusso.

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I movimenti elicoidali permettono al nuotatore di ottenere un’efficienza maggiore in quanto consentono di spostare una grande quantità di acqua per un breve tratto piuttosto che una piccola quantità per un lungo tratto con i movimenti lineari. Se il nuotatore esegue la trazione con la mano in linea retta, spinge una piccola quantità d’acqua per un lungo tratto con una accelerazione elevata. Una volta che l’acqua attorno alla sua mano ha iniziato a spostarsi in direzione posteriore, a causa del movimento del braccio, il nuotatore può ricavarne una scarsa forza di trazione. Perciò dovrà muovere la sua mano seguendo una traiettoria elicoidale, o quantomeno curvilinea, per andare a prendere acqua sempre ferma.

Verso la metà degli anni ’70, J. Counsilman con altri ricercatori utilizzando una telecamera fissa e delle lampadine sulle mani dei nuotatori per evidenziare le traiettorie (Figura 8), notò che in tutte le nuotate agonistiche, gli arti si muovono principalmente in direzione laterale o trasversale rispetto a quella di avanzamento (4).

Figura 8- Cinematografia subacquea delle braccaiate: A- delfino B-stile libero, C-rana, D - dorso (vista frontale) Su foto: Mark Spitz2

Ciò venne giustificato con l’applicazione del principio di Bernouilli e con l’idea che nei fluidi, la forza debba essere applicata su superfici estese. Sulla mano, se

2 è un ex nuotatore statunitense, vincitore di sette medaglie d'oro alle Olimpiadi del 1972, un

risultato superato solo da Michael Phelps, che vinse otto medaglie d'oro alle Olimpiadi del 2008 a Pechino.

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ben posizionata, si genera un differenziale di pressione tra la superficie inferiore e quella superiore che favorisce la presa d’acqua.

Con esperimenti di laboratorio, si ottenne il diagramma della produzione della forza di sollevamento rispetto all’angolo di inclinazione della mano. Tale diagramma dimostrava che la forza di sollevamento dapprima cresce con l’aumentare dell’angolo di inclinazione della mano (angolo di attacco) riferito alla traiettoria di movimento, per poi diminuire e ridursi a zero quando la mano è perpendicolare a tale traiettoria.

L’attenzione dei tecnici si spostò così non solo sul movimento dei segmenti corporei, ma soprattutto su quello delle masse d’acqua, in conseguenza alle azioni che l’atleta compie nell’esecuzione del suo gesto. L’abilità tecnica del nuotatore consiste nel trasmettere all’acqua una significativa quantità di moto in qualunque fase della bracciata ricavandone spinte utili ai fini dell’avanzamento. Ciò significa che l’inclinazione della mano deve essere continuamente modificata a seconda della traiettoria della bracciata, in modo da mantenere sempre l’angolo d’attacco efficace per tutta la durata della fase subacquea della bracciata. Per ottenere la massima propulsione in avanti dalla trazione delle braccia, viene suggerita una posizione alta del gomito durante la prima parte di questa fase, reso possibile mediante una rotazione interna mediale del braccio. A metà trazione il gomito dovrebbe essere flesso a 90° circa. Questa posizione del gomito permette la differenza di pressione tra palmo della mano, dove la forza è maggiore e il dorso, dove la pressione è inferiore, di spingere il nuotatore orizzontalmente in avanti (5).

Un aspetto importante della posizione della mano, se si vuole trarre il massimo vantaggio, è l’inclinazione: pur variando l’inclinazione nelle diverse fasi di trazione, si ritiene che l’angolo è di circa 30-40° rispetto al percorso della mano nell’acqua nello stile libero e nel delfino e 90° nel dorso (Figura 9). Un elemento importante in questo contesto è che il nuotatore mantenga l’inclinazione e l’angolazione critica anche quando affaticato, in modo da ricavarne il massimo vantaggio. Studi telemetrici e riprese subacquee hanno evidenziato che con l’affaticamento, il nuotatore perde l’inclinazione corretta. I nuotatori di successo sono quindi in grado di mantenere una corretta inclinazione.

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Figura 9- La componente di lift aumenta o diminuisce relativamente all’inclinazione della mano.

1.5. Propulsione

La propulsione è quel fenomeno fisico che permette lo spostamento in un fluido. Un fluido può essere liquido o aeriforme.

La propulsione avviene grazie al terzo principio della dinamica, famoso come “principio di azione e reazione” (Figura 10), il quale afferma che se un corpo esercita su un altro corpo una forza, il secondo esercita sul primo una forza uguale e contraria. Il terzo principio è quello per cui se tiriamo un cazzotto nel muro sentiamo male: noi esercitiamo una forza sul muro, quindi il muro esercita una forza uguale e contraria su di noi (6).

Nel caso della propulsione, si spinge il fluido in dietro per ottenere una spinta in avanti. Grazie alla propulsione gli aerei volano, i razzi vanno in orbita, le navi navigano: il mezzo spinge il fluido in dietro attraverso i motori per ottenere una spinta in avanti.

In acqua, attraverso il movimento degli arti, spingiamo l’acqua dietro di noi, quindi l’acqua risponde con una forza in avanti che ci fa avanzare. Ma rispetto agli animali, come ad esempio una foca o un delfino, l’uomo ha una minore

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superficie di contatto propulsiva con l’ acqua, in quanto limitata esclusivamente ai nostri arti che costituiscono un’area d’impatto decisamente inferiore rispetto alle pinne degli animali. È perciò importante limitare al massimo gli errori nella tecnica di nuotata e rendere il nostro corpo il più idrodinamico possibile, in modo che si disallinei il meno possibile durante la creazione del movimento propulsivo. Si può quindi definire il rapporto tra l’energia spesa nel giusto modo, ovvero quella che spediamo per andare in avanti, e l’energia spesa totale, che comprende quella spesa bene e quella spesa male. Questo rapporto prende il nome di rendimento. Tanto più è alto il rendimento, tanto minori saranno le perdite energetiche.

Esistono due interessanti leggi della propulsione:

1. Afferma che la spinta dipende sia dalla portata (quantità) di acqua spostata sia dall’incremento di velocità dell'acqua. Ovvero, più acqua sposto e più la sposto velocemente, maggiore sarà la spinta. 2. Afferma che il rendimento è inversamente proporzionale

all’incremento di velocità del fluido. Ovvero, spostare velocemente l'acqua genera perdite energetiche.

Ecco perchè se si vuole una nuotata con alto rendimento e si vuole andare velocemente è preferibile spingere più acqua possibile, piuttosto che concentrarsi sulla velocità di spinta.

La dimostrazione pratica di questi principi è la nuotata con palette: questo strumento, in funzione delle dimensioni, permette un aumento considerevole della superficie di contatto e di appoggio all’acqua nella fase iniziale della bracciata, aumentando quindi il carico al quale viene sottoposta l’articolazione della spalla all’inizio della fase di “passata” poiché il nuotatore si trova a muoversi con una leva molto svantaggiosa perché la ricerca della resistenza è lontana dal corpo. Inoltre permette l’aumentare della portata di acqua per tutta le fasi del movimento subacqueo del braccio (attacco/trazione/spinta) (Figura 11). E possibile rendersi conto quanto la nuotata sia più faticosa, perché la

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forza richiesta è maggiore, ma con migliore rendimento: se provassimo a spendere le stesse energie senza palette non andremmo così veloce.

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2. SISTEMA MUSCOLO-SCHELETRICO NEI QUATTRO STILI

DEL NUOTO AGONISTICO

In questo capitolo si presente una visione d’insieme dei principali distretti muscolari che intervengono nella tecnica delle diverse fasi relative ai quattro stile fondamentali: stile libero, dorso, delfino e rana. La tecnica correta è il primo passo per la prevenzione dei traumi nei nuotatori di competizione. Il sapere dei muscoli coinvolti nella tecnica permette prendere il via ai punti deboli della catena cinetica dei nuotatori e nella conseguenza poter progettare bene il programma di allenamento a secco.

2.1. Stile libero

Lo stile libero costituisce la tecnica di nuotata più conosciuta essendo la più efficace ed economica per avanzare nell'acqua.

In questo stile risulta fondamentale evitare un'eccessiva rotazione del corpo, seguire una traiettoria corretta nella fase subacquea, coordinare correttamente le gambe e le braccia e rispettare i tempi della respirazione. La posizione del corpo deve essere orizzontale in modo da offrire la minore resistenza possibile all'avanzamento. Il

movimento si svolge prevalentemente con la testa al di sotto del livello dell'acqua, mentre si effettuano torsioni del busto ad ogni ciclo di bracciata (il rollio3). Normalmente il rollio avviene di circa 45 gradi sul lato della respirazione e di 10 gradi sul lato opposto (Figura 12).

3Durante la nuotata a stile libero e a dorso si deve produrre movimento di rotazione del tronco e dei fianchi

lungo l’asse longitudinale del corpo, ovvero lungo la colonna vertebrale, definita “rollio”. Figura 12

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Grazie alla sua tecnica di esecuzione, lo stile libero consente di respirare semplicemente riportando il capo in asse rispetto alle spalle, migliorando così la fluidità e la continuità del gesto, e defaticando i muscoli del collo. L'azione del rollio garantisce inoltre un aumento di ampiezza nella bracciata, la riduzione della superficie in attrito con l'acqua (una spalla e parte del busto rompono la superficie) e un aiuto all'azione muscolare degli arti superiori portando il corpo in appoggio sugli stessi nella fase di presa.

Nella bracciata dello stile libero possiamo identificare diverse fasi fondamentali: la presa dell'acqua, la trazione, la spinta e il recupero (Figura 13).

Figura 13- Fasi della bracciata: 1. L’entrata del braccio in acqua; 2- La presa; 3- La trazione; 4- La spinta; 5- Il recupero

La presa: la mano con le dita entrano in acqua con un angolo acuto rispetto al piano dell'acqua, il polso e il gomito la accompagnano in sequenza e il braccio si estende per iniziare la fase propulsiva. La rotazione in alto della scapola permette al nuotatore di raggiungere una posizione di allungamneto in acqua. La mano si infila in acqua ad una profondità di alcuni centimetri, seguita dall'avambraccio. I movimenti iniziali sono generate dalla porzione clavicolare del grande pettorale. Quasi simultaneamente il grande dorsale entra in funzione per assistere il grande pettorale (Figura 14).

Sono questi due muscoli a svolgere la maggior parte del lavoro durante la fase subacquea di trazione, in particolar modo nella seconda metà della spinta. I flessori del polso lo mantengono in una posizione di leggera flessione per l’intera durata dell’azione propulsiva.

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A livello del gomito, il bicipite brachiale e il brachiale iniziano la contrazione nella fase iniziale della presa, portando il gomito dalla posizione di estensione alla flessione di circa 30˚. Al termine della propulsione, il tricipite brachiale estende il gomito portando la mano indietro e in alto verso la superficie dell’acqua, completando cosi il movimento. L’entità dell’estensione dipende dalla meccanica della bracciata e dal punto in cui si inserisce la fase di recupero. Il deltoide e la cuffia dei rotatori, complesso costituito da sopraspinato, infraspinato, piccolo rotondo e sottoscapolare, sono i gruppi muscolari con funzione dinamica durante la fase di recupero, perché determinano il sollevamento del braccio e

della mano fuori dall’acqua quando sono vicini all’anca e li portano oltre il capo, di nuovo in acqua. Per questo motivo gli esercizi specifici per il muscolo sottoscapolare giocano un ruolo determinante nella prevenzione degli infortuni (Figura 15).

Una volta raggiunto il punto di massima flessione l'avambraccio comincia a stendersi e a realizzare la fase di spinta. All’inizio della fase di spinta l'angolo dell’inclinazione del corpo e il carico viene spostato tra il muscolo grande pettorale e il tricipite. L’inclinazione del corpo avanti carica il muscolo grande pettorale, e la posizione eretta carica il tricipite (Figura 16). La mano, dopo la fase di trazione, deve uscire dall'acqua sotto all'anca con il gomito quasi teso e non eccessivamente piegato. Per ottimizzare la nuotata la mano

dovrebbe uscire all'altezza della coscia. Tutto il contributo all'avanzamento viene ora fornito dalla mano aperta con le dita chiuse ma non serrate e ben orientata secondo un piano perpendicolare alla direzione di avanzamento. La fase di spinta è la più efficace ai fini propulsivi. Molto importante, per la buona riuscita del gesto tecnico e che non ci siano pause tra la fase di spinta e il recupero aereo del braccio.

Figura 15 Figura 14

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Figura 16- L’inizio della fase di spinta

Molti gruppi muscolari funzionano come stabilizzatori sia durante la fase propulsiva che in quella di recupero. Fondamentali il gruppo degli stabilizzatori della scapola (piccolo pettorale, romboide, elevatore della scapola, fascio trasverso e fascio ascendente del trapezio e dentato anteriore) che insieme fungono fissatori della scapola: una funzione importantissima, dal momento che le forze propulsive che vengono generate dalle braccia e dalle mani, hanno nella scapola la principale base di supporto. A ciò va aggiunto che gli stabilizzatori della scapola lavorano in sinergia coi deltoidi e con la cuffia dei rotatori, nel riposizionameto del braccio durante la fase di recupero (Figura 17).

I movimenti del braccio durante lo stile libero sono alternati: mentre un braccio è impegnato nella fase propulsiva, l’altro è attivo nella fase di recupero (7).

Gli stabilizzatori dell’addome, il trasverso, il retto dell’addome, l’obliquo interno, l’obliquo esterno e gli erettori spinali, sono anch’essi essenziali per l’ottienimento di una bracciata efficace, poiché costituiscono il collegamento tra gli arti superiori ed inferiori, evidenziato dalla rotazione del corpo che si realizza durante la nuotata a stile libero (Figura 18).

Figura 18 Figura 17

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Come il movimento delle braccia, anche la gambata si sviluppa in una fase propulsiva e una di recupero, anche denominate battuta in basso e battuta in alto. L'utilizzo delle gambe nello stile libero, pur avendo un significato più stabilizzatore che propulsivo, dovrebbe essere regolare e continuo. La fase propulsiva, battuta in basso, inizia a livello dell’articolazione coxo-femorale con l’attivazione dell’ileopsoas e del retto femorale, che determina inoltre l’estensione del ginocchio conseguente all’inizio della flessione dell’anca (7).

Il quadricipite (il vasto laterale, il vasto intermedio, il vasto mediale e il retto femorale) per produrre una potente estensione del ginocchio (Figura 19).

Figura 19

Come la fase propulsiva, la fase di recupero inizia a livello dell’anca con la contrazione dei glutei, che riguarda principalmente grande e medio gluteo, ed è subito seguita dalla contrazione degli ischiocrurali: bicipite femorale, semitendinoso e semimembranoso.

Entrambi i gruppi muscolari funzionano come estensori dell’anca. Durante tutta la fase della gambata, il piede è mantenuto in flessioneplantare, in seguito all’attivazione del gastrocnemio e del soleo e grazie alla pressione esercitata dall’acqua durante la fase propulsiva delle gambe (battuta in basso).

La fase di respirazione che consente di sviluppare l’energia muscolare necessaria ai movimenti da eseguire durante tutta la nuotata e mantenere allo stesso tempo l’assetto giusto.

Il ritmo di respirazione nello stile libero è fondamentale dal momento che deve sincronizzarsi con la rotazione del corpo. La giusta coordinazione tra respirazione, bracciata e gambata, consentirà di apportare la giusta quantità di ossigeno al corpo e di conseguenza sostenere al meglio lo sforzo fisico anche durante l’allenamento. Allo stesso tempo consentirà di ottenere una nuotata efficacemente propulsiva consumando meno energia possibile, il che farà la differenza in gara.

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La respirazione può essere eseguita sia a destra che a sinistra. L'inspirazione si effettua con la bocca, iniziando a ruotare il capo

durante la fase di spinta e di allungamento del braccio opposto in acqua, facendo uscire metà faccia quando il braccio in acqua è ben disteso in modo da favorire comodamente la distribuzione del peso della testa sul braccio in immersione (Figura 20). Si può coordinare la

rotazione della testa anche con il braccio appena entrato in acqua per l'appoggio, girandola verso il lato "libero". La posizione "principe" quindi è con le braccia distese una in avanti e l'altra dietro e la testa ruotata dal lato del braccio con la mano in uscita dall'acqua. Al termine dell'ispirazione il capo con la bocca torna ad immergersi in acqua, precedendo l'ingresso della mano. L'espirazione avviene per tutta la durata della fase di immersione del capo e può essere effettuata sia con l'ausilio della bocca che del naso (ma soprattutto con la bocca). Nel nuoto agonistico si preferisce effettuare una espirazione esplosiva al termine della fase di spinta, tecnica questa che insorge spontaneamente in atleti di lungo corso. Non esistono regole ideali e generali ma una buona successione dei movimenti ed una distribuzione dei pesi in acqua si concretizza in una nuotata efficiente. A livello agonistico si effettuano fino a 6-10 gambate per ciclo di bracciata nelle gare veloci, che si riducono anche a 2 gambate nelle gare di mezzofondo. La respirazione si innesta in armonia con il movimento delle braccia e delle spalle: generalmente si effettua ogni due bracciate nelle gare di fondo e ogni quattro nelle gare veloci.

Generalmente le bracciate sono alternate in maniera quasi perfetta ("quando un braccio sale, l'altro scende"). Tendenzialmente il braccio disteso in acqua comincia a muoversi per la presa quando la mano del braccio emerso in recupero arriva circa all'altezza della spalla. Questa tempistica porta ad ottenere un braccio in entrata in acqua in allungamento e l'altro in inizio di spinta: una conformazione quasi ad "L". Alcuni atleti però, (tra cui l'australiano Grant Hackett4) effettuano dei movimenti leggermente disincronizzati (il cosiddetto "successivo" o anche

4 Ha vinto la gara dei 1500 m sl sia alle Olimpiadi di Sydney 2000 che di Atene 2004, diventando

così uno dei più noti fondisti australiani di tutti i tempi.

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"recupero in avanti"), in genere prolungando la fase di appoggio per ottenere maggiore idrodinamicità, ovvero incrementare la velocità.

2.2. Dorso

Il Dorso definito è l'unico stile del nuoto che si esegue con il capo rivolto verso l'alto, non potendo quindi vedere dove si procede. Oltre all'abilità natatoria sono importanti senso dell'orientamento, del tempismo e percezione del proprio corpo in movimento.

La posizione del corpo deve essere orizzontale e più idrodinamica possibile, con corpo e gambe distese e piedi in estensione. Il capo è appoggiato sull'acqua con le orecchie immerse e deve rimanere sempre ben

fermo durante la nuotata.

Anche nella bracciata del dorso possiamo identificare quattro fasi fondamentali: la presa, la trazione, la spinta e il recupero.

Attraverso il movimento di rotazione della spalla il nuotatore riesce ad ottenere il risultato di

entrare in acqua dapprima con il dito mignolo e a seguire con le altre dita della mano per trovarsi, in combinazione con l’estensione del gomito, in una posizione di allungamento da cui iniziare la fase subacquea di propulsione della bracciata (Figura 22).

Una prima importante differenza tra il dorso e lo stile libero è riscontrabile nella prima parte della fase di presa che è Figura 21

Figura 23

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determinata dal gran dorsale mentre il grande pettorale fornisce un minore contributo (Figura 21). Comunque, il grande dorsale e il grande pettorale sono i muscoli di movimenti principali e, sebbene con intensità operative diverse, la loro azione è presente in tutta la fase propulsiva. I flessori del polso sono sempre parte integrante della fase propulsiva; il polso è mantenuto in posizione neutra e leggermente esteso. Attraverso una combinazione tra la pressione dell’acqua e la forza prodotta dal bicipite brachiale e dal brachiale, il gomito è portato ad un angolo di circa 45˚ nella fase iniziale della presa, mentre nella fase finale si flette nuovamente a circa 90˚, proprio prima di passare alla fase successiva (Figura 23). Come anche nei momenti finali della fase subacquea del delfino, acquisisce importanza l’estensione dell’avambraccio sul gomito, determinando un forte impegno del tricipite brachiale, proprio al termine della fase propulsiva (Figura 24).

Figura 24

La funzione dei muscoli stabilizzatori nella nuotata a dorso è corrispondente a quella che si realizza nello stile libero, perché si registrano le stesse analogie di reciprocità nel movimento delle braccia, che si integra nel rollio del corpo (8). La prima parte del recupero si svolge sott'acqua l'uscita del braccio è favorita dal rollio delle spalle; il braccio deve essere teso e rilassato e la spalla deve uscire dall'acqua con un leggero anticipo rispetto al resto del braccio. La traiettoria della mano è perpendicolare rispetto alla superficie dell'acqua, per poi ruotare in fuori ed entrare con il mignolo in acqua. Il braccio per tutta la durata di questa fase rimane sempre disteso, non appena la mano esce dall'acqua, si effettua una sua rotazione di 180 gradi che deve far posizionare il palmo verso l'esterno per poter iniziare un nuovo ciclo.

Le bracciate non sono perfettamente alternate, ma tendono a sovrapporsi la fase finale di spinta con quella iniziale di presa. Ovviamente il fenomeno è via via meno apprezzabile all'aumentare della velocità con cui si effettua la nuotata stessa.

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Il movimento delle gambe è molto importante in questo stile perchè stabilizza la nuotata. I piedi devono essere distesi come se fossero dei prolungamenti delle gambe e non vanno tenuti a martello; inoltre la gamba deve essere retta senza piegare il ginocchio. Inoltre al culmine della frustata della gamba il ginocchio (che mai deve uscire dall'acqua durante l'esecuzione del movimento) deve essere completamente esteso (Figura 25). Generalmente si eseguono sei battute di gambe per ogni ciclo di bracciata. Le fasi della gambata, come nello stile libero, sono due, la discendente e l’ascendente. La differenza sta nel fatto che la propulsione avviene in maniera opposta, con la fase di spinta che corrisponde alla fase ascendente mentre la fase discendente viene considerata come fase di recupero, anche se una leggera spinta avviene sempre.

Nella fase discendente: la gamba si immerge all'altezza del bacino, quasi completamente distesa; quando è immersa ad una profondità di 20-30 centimetri, inizia la fase successiva.

Nella fase ascendente: la gamba sale verso la superficie con un movimento che parte dal bacino, distendendo la gamba nella parte finale con l'intento di far uscire solo le dita del piede, che deve rimanere sempre disteso. Le ginocchia devono sempre rimanere immerse.

A livello agonistico si effettuano fino a 8-10 gambate per ciclo di bracciata nelle gare veloci, che si riducono anche a 2 gambate nelle gare dei 200 metri. La respirazione a livello agonistico si segue il ritmo delle bracciate: inspirazione-bracciata col destro, espirazione-inspirazione-bracciata col sinistro, o viceversa, a preferenza dell'atleta, senza escludere che in alcune situazioni di affaticamento (prima dell'apnea della virata o subito dopo) spesso si preferisce raddoppiarne il ritmo, effettuando un intero ciclo respiratorio per bracciata.

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2.3. Delfino

Il nome di questo stile deriva dal

caratteristico movimento ondulatorio che ricorda appunto il modo di nuotare di un delfino (Figura 26). Il movimento ondulatorio non deve comunque essere eseguito in modo cosciente, ma deve evolversi come naturale conseguenza del corretto movimento delle braccia e delle gambe.

La principale differenza tra stile libero e delfino è legata al fatto che le braccia si muovono non più in modo alternato, come nello stile libero, ma all’unisono. Dal momento che stile libero e delfino hanno gli stessi schemi motori nella fase sommersa, il reclutamento delle unità motorie è pressoché identico. Come nello stile libero, anche nel delfino le braccia iniziano la fase propulsiva della bracciata partendo dal massimo allungamento. I muscoli attivi durante l’intera fase propulsiva sono il grande pettorale e il grande dorsale, che hanno la funzione di principali generatori del movimento (Figura 27 tratta da “Swimming anatomy”). Poi i flessori del polso, che hanno la funzione di mantenere il polso in una posizione neutra o lievamente flessa. Il bicipite brachiale e il brachiale sono i principali promotori dei movimenti del gomito, partendo dalla sua massima estensione nel momento della presa, fino ad un angolo di circa 40˚ tra braccio e avambraccio nella fase intermedia della trazione subacquea. Diversamente dallo stile libero, nel delfino è richiesta una potente estensione del gomito durante la fase finale della bracciata subacquea, con richiesta da parte dei tricipiti brachiali di un considerovole lavoro muscolare. Come nello stile libero, i muscoli della cuffia dei rotatori e il deltoide sono responsabili del movimento delle braccia

Figura 26

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durante la fase di recupero (Figura 28), anche se le sequenze meccaniche sono diverse.

Nel delfino non è possibile sfruttare la rotazione del tronco per facilitare la fase di recupero come nello stile libero, ed è quindi necessario produrre un movimento ondulatorio del dorso, che consenta di elevare le spalle fuori dall’acqua in appoggio per aiutare il recupero delle braccia.

Per conto, i muscoli stabilizzatori della scapola sono estremamente importanti perchè forniscono una solida base di ancorraggio per le forze generate dalle braccia, e consentono anche il riposizionamento delle stesse durante le fasi di recupero (8).

Sebbene il delfino non presenti il rollio del busto tipico dello stile libero, gli stabilizzatori della regione

lombare-sacrale-addominale sono importanti per la funzione di collegamento tra gli arti inferiori con quelli superiori. Hanno inoltre il fondamentale compito di creare il movimento ondulatorio caratteristico dello

stile, che permette al nuotatore di sollevare le spalle oltre il livello dell’acqua, e cosi eseguire efficacemente la bracciata.

Il movimento ondulatorio (Figura 29) inizia con la contrazione dei muscoli paraspinali e prosegue con più gruppi muscolari che vanno dalla regione lombo-sacrale alla base della nuca. Questa attivazione determina l’inarcamento della sciena, a cui corrisponde un coordinato movimento di recupero delle

Figura 30

Figura 29 Figura 28

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braccia. La contrazione degli addominali avviene in immediato ordine sequenziale e prepara la parte superiore del corpo a seguire l’entrata in acqua delle mani e quindi la fase propulsiva della bracciata.

La fase propulsiva della gambata verso il basso inizia con la contrazione degli ileopsoas e dei retti femorali che agiscono come flessori delle anche. Il retto femorale contribuisce anche alla fase iniziale dell’estensione del ginocchio che riceverà poi un potente impulso dall’entrata in funzione degli altri capi del quadricipite, i quali potenziano l’estensione del ginocchio.

Il gruppo muscolare gluteale determina l’azione di recupero durante la gambata (Figura 30). In concomitanza con la contrazione degli ischiocrurali i glutei lavorano all’estensione dell’anca. Il piede è mantenuto in flessione plantare, resistendo alla spinta dell’acqua, dall’attivazione del gastrocnemio

e del soleo. Oltre che ai movimenti prodotti a livello dell’anca e del ginocchio, la gambata del delfino si collega inseparabilmente ai movimenti ondulatori del torso, attraverso la stabilizzazione dell’addome e della muscolatura paraspinale.

Per ogni bracciata si effettuano due gambate, una in fase di appoggio (nel momento in cui le mani entrano in acqua), e una in fase di spinta avanzata (circa a metà della fase subacquea della bracciata). La respirazione non va effettuata contemporaneamente ai colpi di gambe e deve terminare prima che le braccia finiscono la fase di recupero. La respirazione può essere indifferentemente effettuata frontalmente (Figura 32) o lateralmente (Figura 31), anche se questa versione è effettuata da atleti agonisti molto esperti.

Figura 32

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2.4. Rana

Questo tipo di nuotata ha caratteristiche completamente diverse rispetto alle altre e non è consigliabile a tutti in quanto provoca un sovraccarico elevato della zona lombare e dell'articolazione del ginocchio. Tra tutte e quattro le nuotate è la più lenta. Per dare un’idea: la velocità media per percorrere la distanza a di 15% inferiore che al delfino e del 20% inferiore che allo stile libero. Questo stile differisce dagli altri anche per i rapporti propulsivi, che nella Rana si spostano a favore delle gambe (il 70 % della propulsione dipende dalle gambe e il rimanente 30 % dalle braccia).

La fase propulsiva delle braccia inizia dalla posizione di massimo allungamento oltre il capo delle spalle e delle braccia. La parte clavicolare del grande pettorale anticipa il movimento e il grande dorsale, come immediata conseguenza, si aggiunge alla contrazione (Figura 33).

Nella seconda metà della trazione, la potente contrazione del grande pettorale e del grande dorsale porta le bracciae le mani oltre la linea trasversale del corpo, completando così la fase di spinta. Le forze prodotte nella fase finale vengono impiegate a spingere il tronco in avanti, possibilità concessa dalla contrazione dei muscoli

paraspinali. Questo movimento consente alla testa e alle spalle del nuotatore di emergere dall’acqua (Figura 34).

La flessione e la rotazione del gomito congiungono le mani sulla linea mediana (linea immaginaria parallela allo sterno) del corpo, e segnano la transizione alla fase di recupero delle braccia. La retropulsione degli arti superiori coincide, nella nuotata tecnica, con l'adduzione delle scapole alla colonna che consente di imprimere maggior forza sull'acqua. Questo gesto, in connessione all'inarcamento posteriore del rachide e alla pressione dell'acqua sottostante, consente al nuotatore

Figura 33

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34

di rompere la superficie dalla testa fino alla zona lombare (Figura 35). Da qui le braccia tornano nella posizione iniziale, riposizionandosi sotto il petto. Questo movimento chiama in causa il grande pettorale, il deltoide anteriore e il capo lungo del bicipite brachiale, che insieme consentono la flessione della spalla. Simultaneamente l’estensione del gomito prodotta dalla contrazione del tricipite brachiale, risulta come completamento della fase di recupero e le braccia ritornano nella loro posizione estesa ed allungata in avanti (7).

Come anche negli altri stili, la muscolatura che stabilizza le scapole è determinante al fine di disporre di una solida base di supporto per i movimenti di spinta generati dalle braccia. Anche in questo caso la muscolatura che stabilizza la regione lombare e addominale è fondamentale per ottenere un efficiente collegamento tra gli schemi di movimento degli arti superiori con gli arti inferiori. Nella fase passiva il nuotatore cerca di sfruttare l'altezza raggiunta rispetto all'acqua per spingersi più avanti possibile anteponendo le scapole e flettendo la colonna. Conseguentemente, al termine del recupero della bracciata, il gluteo affiora dalla superficie riducendo l'attrito col fluido.

Inoltre, in questa sorta di sforbiciata, il piede da flesso si ridistende gradualmente seguendo la direzione della gambata (sintomo di un'elevata percezione dell'acqua da parte del nuotatore). Ne consegue che il piede tornerà "a martello" solo alla fine del recupero, diminuendo così anche l'attrito nella fase passiva. L'efficacia della gambata dipende anche dalla mobilità delle articolazioni del nuotatore, infatti maggiore mobilità permette di spingere più acqua e pertanto di andare più veloce.

L'utilizzo delle gambe nella Rana assume un'importanza maggiore che negli altri stili. La tecnica che attualmente viene adottata è quella del colpo “a frusta”. La meccanica della gambata può essere suddivisa in una fase propulsiva, consistente in un gesto verso l’esterno e uno verso l’interno, e di una fase di recupero (8). La fase propulsiva inizia con i piedi flessi dorsalmente ed estraruotati e le ginocchia e le anche in posizione di flessione (Figura 35).

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Il movimento verso l’esterno inizia con una rotazione interna del piede, che è completata da una combinazione di movimenti dell’anca, del ginocchio e della caviglia. Dopo che il piede ha ruotato verso l’interno, il movimento di gambata verso l’esterno prosegue attraverso l’estensione dell’anca, il retto femorale e gli arti capi del quadricipite agiscono nell’estensione del ginocchio. Nel momento di transizione della gambata dall’esterno verso l’interno, il ginocchio e l’anca non sono ancora completamente estesi, così che i rispettivi gruppi muscolari continuano la loro azione di gambata interna fintanto che il ginocchio e l’anca non raggiungono la completa estensione (Figura 36). All’inizio della fase relativa al colpo di gambe verso l’interno, esse si trovano in posizione di abduzione, in modo da poter fornire energia propulsiva nella successiva adduzione. Le gambe quindi sono spinte

indietro e addotte attraverso la contrazione degli adduttori che si trovano nel margine interno della coscia. Al fine di minimizzare l’attritto durante la fase finale del colpo di gambe, durante l’adduzione, i muscoli del polpaccio vengono attivati per estendere il piede e la caviglia, e il

recupero avviene attraverso l’inetrvento del retto femorale e dell’ileo-psoas, che insieme flettono l’anca, e grazie all’intervento degli ischiocrurali, che flettono il ginocchio.

Nella rana avviene una respirazione ad ogni ciclo di bracciata ma bisogna ricordare che la testa non va sollevata ma deve rimanere in asse con il busto (Figura 37). Nella nuotata tecnica l'oscillazione del capo guida un movimento ondulatorio progressivo dal tronco fino al bacino detto "beccheggio", come avviene nel delfino. Bisogna però fare attenzione a non attuare dei colpi a delfino durante la gambata perché nelle competizioni si rischia di essere squalificato.

Figura 36

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I PROTOCOLLI PREVENTIVI DEI PRINCIPALI INFORTUNI

Ogni sport prevede il rischio di infortuni, differenti a seconda delle attività svolte. In queste pagine verranno quindi analizzati i principali traumi ed i migliori metodi per prevenirli.

Durante tutti i miei studi e le ricerche fatte e tenendo a mente anche la mia esperienza da nuotatrice professionista nonchè i vari anni da allenatrice, ho raccolto un insieme di nozioni che ritengo sia fondamentale tenere a mente quando si preparano dei nuovi atleti.

1. Ogni qual volta ci si prende carico della responsabilità di addestrare una persona, è opportuno indagare a fondo sulle sue caratteristiche individuali dell’apparato muscolo-scheletrico e la relativa preparazione fisica, per assicurarsi che fisico e mente siano pronti per sostenere un determinato allenamento. A volte la carriera dei grandi nuotatori è iniziata con il corso di nuoto a cui i genitori li hanno portati da bambini per risolvere problemi alla schiena, rinforzare i muscoli o altri motivi analoghi. Questo è quindi un periodo critico durante il quale è compito dell’allenatore assicurarsi della salute del bambino per evitare di peggiorare eventuali difetti già presenti.

2. Durante gli allenamenti, il desiderio principale dell’allenatore così come dell’atleta è quello di migliorare le prestazioni. Pur di raggiungere questo obiettivo, si può tendere a trascurare la prudenza ed ignorare i segnali di allarme che il corpo del nuotatore lancia. I dolori alle principali articolazioni sforzate durante il nuoto possono essere indice di traumi in sviluppo. Non bisogna mai quindi anteporre i risultati al benessere dell’atleta. Occorre sempre perfezionare la tecnica adeguandola al singolo atleta.

3. Un altro rischio per il benessere del nuotatore è l’eccessivo esercizio: praticare gli stessi movimenti per un tempo eccessivo può indubbiamente causare danni anche gravi, portando poi alla necessità di interrompere completamente gli allenamenti.

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3. LA SPALLA

3.1. Anatomia della spalla

La spalla è una articolazione che, per natura anatomica, risulta essere molto mobile e permette movimenti di elevazione e abbassamento, oltre a movimenti di rotazione interna ed esterna. Tale quantità di movimenti è assicurata dal buon funzionamento di una serie di muscoli che, contraendosi simultaneamente o parzialmente, riescono a far compiere all’omero dei movimenti complessi di intra ed extra rotazione (9).

Per causare una lesione ad uno o a tutti i tendini che compongono la cuffia dei rotatori, bastano forze applicate in maniera non adeguata, o sovraccarichi dovuti alla ripetizione costante di un gesto atletico.

Il movimento della spalla è uno dei più complessi dell’interno apparato osteo-articolare. Le articolazioni che consentono l’ampio arco di movimento dell’arto superiore nella regione della spalla sono cinque, divise in articolazioni primarie (sternoclavicolare, acromionclavicolare e gleno-omerale) e articolazioni secondarie (benchè chiamate così non prevedono un movimento):

 spazio sottoacromiale. Un cuscinetto costituito da due borse mucose, situato tra l’arco coracoacromiale e la cuffia dei rotatori.

 articolazione scapolotoracica. È costituita da un cuscinetto di tessuto connetivo lasso, situato tra la faccia anteriore della scapola con il relativo muscolo (sottoscapolare) e la gabbia toracica (rivestita dal muscolo dentato anteriore) (10).

La prima e principale di queste articolazioni, quella gleno-omerale o scapolo-omerale, ha la funzione di consentire i movimenti del braccio rispetto al torace attraverso la testa dell’omero da un lato e la cavità glenoidea della scapola dall’altro. Le altre articolazioni principali, invece, hanno il compito di consentire un svincolo tra il cingolo toracico e la spalla, permettendole così un’ampia libertà di movimenti nello spazio.

L’articolazione scapolo-omerale ha una stabilità geometrica modesta, dovuta alla scarsa profondità della cavità glenoidea che accoglie solo un terzo della testa

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omerale. La stabilità complessiva è affidata agli stabilizzatori statici (cercine glenoideo e capsula articolare) e dinamici, cioè i muscoli propri della spalla. Sul cercine si inseriscono i legamenti gleno-omerali e dal tendine del muscolo sottoscapolare, è uno stabilizzatore molto importante. Il suo ruolo è di opporsi ad eventuali dislocazioni (lussazioni) della testa omerale, che tende a lussarsi sopratutto in avanti, a causa della forma della cavità glenoidea e della particolare inclinazione della scapola (11). Gli stabilizzatori dinamici sono rappresentati dalla cuffia dei rotatori (Figura 38).

I muscoli che compongono la rotazione sono tre: sovraspinato, sottospinato e piccolo rotondo. Tali importanti muscoli sono provvisti di una serie di tendini, molto resistenti, ma che per natura hanno un decorso un pò tortuoso all’interno di strutture strette.

3.2. La spalla del nuotatore

Nel nuoto in generale e, in particolare a livello professionistico, lo stile più praticato è lo stile libero e, dal momento che circa il 90% della forza propulsiva è generata dalle estremità superiori, questo causa un incidenza che va dal 41% al 90% di traumi alla spalla nei nuotatori.

Il termine “spalla del nuotatore” venne utilizzato per la prima volta nel 1978 per descrivere il dolore nella parte anteriore della spalla durante o dopo gli allenamenti. Da quel momento, la spalla del nuotatore è tratta come un insieme di

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sintomi e non è una specifica diagnosi poichè la sua eziologia è multifattoriale (12).

Dal punto di vista di un allenatore, quando ci si approccia a dei nuovi atleti, è importante tenere a mente che alcune delle difficoltà che riscontreranno, potrebbero avere avuto origine in un allenamento errato durante i primi anni in piscina.

Gli errori più frequenti durante l’allenamento che portano a provare dolore nella spalla sono:

 La rotazione eccesiva interna durante la presa: il dito medio dovrebbe entrare acqua prima delle altre dita.

 L’adduzione eccessiva nella fase di trazione (la mano non dovrebbe attraversare la linea mediana).

 La respirazione solo da un lato durante lo stile libero è spesso associata ad un rollio insufficiente, richiedendo l’abduzione aggiuntiva con un rischio di impingement nella spalla controlaterale (13).

 Il sovrallenamento con tempo di recupero insufficiente. Ed anche con tempi tra ogni singola gara molto stretti, che spesso non permettono una corretta organizzazione e tempistica di preparazione (14)

Questi errori possono essere causati anche da un eccessivo affaticamento muscolare.

Un’anomalia nello sviluppo muscolare può altresì causare dolore:

 Il sovrasviluppo dei muscoli pettorali e sottosviluppo di romboidi, trapezeio medio e superiore, di elevatore della scapola e di dorsali superiori porta ad una instabilità di spalla.

 La debolezza dei muscoli della cuffia dei rotatori.

 La caduta del gomito si verifica se i rotatori interni e adduttori (pettorali, dorsali) non sono abbastanza forti.

L’atleta, spesso tende a sottovalutare la sua sofferenza, continuando a nuotare col dolore, che spesso a “caldo” tende a diminuire, oppure cerca di usare il meno

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possibile la spalla colpita, riduce il tono ed il trofismo dei muscoli della cuffia, inducendo uno squillibrio tra questi ed il deltoide. Tale situazione provoca un’infiammazione cronica della cuffia e della borsa con “ispessimento” delle strutture: lo spazio a disposizione si restringe ulteriormente con conseguente aumento dell’attrito e dei sintomi, andando a creare una tendinite, cioè un processo cronico molto difficile da curare.

I principali traumi che causano dolori alla spalla, analizzate dal Dott. Rodeo5, sono:

 La tendinite del sovraspinoso. Una patologia della spalla caratterizzata da infiammazione e degenerazione di questo tendine. L'utilizzo di pallette da mano aumenta ulteriormente il carico e, quindi, muscolare squilibrio e dolore alla spalla (15).

 L’instabilità della spalla. Si intende una situazione nella quale la testa omerale ha una mobilità anomala, esagerata rispetto alla cavità glenoidea, che facilita il verificarsi di sublussazioni anche in assenza di traumi e, a lungo andare, finisce per compromettere la funzionalità articolare. (16).  La sindrome da attrito o conflitto acromion-clavicolare detta “sindrome da

impingment” (Figura 39).

Figura 39

Quest’ultima è causata dalla compressione dei tendini della cuffia dei rotatori contro la superficie inferiore dell’arco acromion-coracoideo.

5 co-direttore dell'Istituto di Medicina Sportiva e Servizio spalla a Hospital for Special Surgery e

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In condizioni normali, lo spazio a disposizione dei tendini in questa zona è appena sufficiente al loro scorrimento, ma, quando si verifica questa sindrome, esso può restringersi, con aumento della pressione sulla cuffia dei rotatori, creando attrito tra i tendini e le strutture ossee articolari, cosa che può causare lesioni croniche o rottura dei tendini.

I casi principali che portano al manifestarsi della sindrome da impingment Analizzo i problemi concreti che possono sviluppare e causare il sindrome da conflitto sono:

 Nello specifico, il nuotatore, durante la spinta in avanti (sopratutto nello stile libero), appoggia la mano nell’acqua per dare una spinta. Il braccio si trova in massima abduzione e ruotato esternamente (Figura 40 braccio destro). Tale condizione determina una situazione anomala, in cui l’acqua crea una forza contraria diretta verso l’articolazione gleno-omerale. Tale condizione forza la testa dell’omero ad anteriorizzarsi creando una serie di tensioni alla capsula articolare e alle strutture tendinee anteriori, come il capo lungo del bicipite. Inoltre il dolore che provoca questa condizione porta a far risalire la testa omerale, determinando una riduzione dello scorrimento del sovraspinato, con conseguente usura, e infiammazione.  La sindrome da impingment può verificarsi anche durante la fase di

recupero a causa di abduzioni ripetute, cioè quando il braccio viene in abduzione ed esternamente ruotata (Figura 41 braccio sinistro) (17).

(42)

42 Figura 41

3.3. Protocollo preventivo per la “spalla del nuotatore”

Dopo aver analizzato articoli, diversi blog professionali di allenatori di nuoto, si possono evidenziare gli aspetti principali del protocollo preventivo per la “spalla del nuotatore”:

1. Corregere la postura, sia in piscina che fuori. Per fare ciò non è sufficiente eseguire esercizi in scarico, ma occorre imparare a muoversi in armonia ed equilibrio anche al di fuori dell’acqua. Questo può essere fatto tramite la mobilizzazione dei tessuti molli, esercizi di potenziamento, stabilizzazione dei rettratori scapolari e dei flessori cervicali profondi, prestando attenzione ad evitare pressioni eccessive della capsula anteriore. Allungare la cassa toracica anteriore senza eccessiva sollecitazione della capsula anteriore. Applicando un piccolo carico sulla parte anteriore della spalla utilizzando dei pesi mentre l’atleta sta in posizione supina su un tubo di gomma, si può ottenere l’effetto desiderato (18). Questo posizione permette alle scapole di focalizzarsi sull’estensione del petto (Figura 42).

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