• Non ci sono risultati.

Il controllo di gestione nell'azienda pubblica: la contabilità per centri di costo in AMIA SpA

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Il controllo di gestione nell'azienda pubblica: la contabilità per centri di costo in AMIA SpA"

Copied!
127
0
0

Testo completo

(1)

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA

DIPARTIMENTO DI ECONOMIA E MANAGEMENT

Corso di Laurea Specialistica in

Strategia, Management e Controllo

Tesi di Laurea:

Il controllo di Gestione nell'azienda pubblica:

la contabilità per centri di costo in AMIA spa

Relatore:

Prof.ssa Lucia Talarico

Candidato:

Giulia Bologna

(2)
(3)

INDICE

Introduzione 7

Capitolo 1: L'evoluzione della Pubblica Amministrazione 9

1.1 Le riforme degli anni '90 9

1.2 Il ruolo svolto dalla Pubblica Amministrazione nel sistema socio-economico 21

1.3 Il modello burocratico 22

1.3.1 Le distorsioni del modello burocratico 23

1.4 Il mutamento di funzione della P.A. 24

1.5 Il modello aziendale 25

1.6 Le modalità di attuazione del modello aziendale: privatizzazione e aziendalizzazione 26

1.6.1 Privatizzazione 26

1.6.1.1 Le privatizzazioni in italia 27

1.6.2 L'aziendalizzazione 27

1.7 Il new public management 28

1.8 Il modello relazionale 29

1.9 Il ruolo dell’Information and Communication Technology 30

Capitolo 2: Il controllo di gestione: caratteristiche e fasi principali del processo di controllo 32

2.1 Introduzione 32

2.2 Controllo di gestione: nozione e caratteristiche 33

2.2.1 Le trasformazioni nel tempo del controllo di gestione 36

2.3 Le fasi del processo di controllo 38

2.3.1 Il ruolo del controllo di gestione 38

2.3.2 Il sistema di controllo e la contabilità finanziaria 40

2.3.3 Il controllo di gestione e il controllo interno 43

2.4 Le possibili conseguenze del controllo di gestione 46

2.5 Il ruolo degli indicatori 48

(4)

2.6.1 La classificazione dei costi 50

2.6.2 Contabilità gestionale versus contabilità analitica 53

2.6.3 I metodi di contabilità analitica 57

2.6.3.1 La contabilità per centri di costo 57

2.6.3.2 Il metodo ABC 62

Capitolo 3: Il controllo di gestione: AMIA S.p.A. 64

3.1 Introduzione all'azienda AMIA: un'identità dinamica protagonista della storia cittadina 65

3.1.1 La fisionomia giuridica aziendale nel dibattito sul servizio pubblico, note storiche 65

3.1.2 Organigramma 69

3.1.3 I serizi – parte generale 71

3.1.3.1 Igiene Urbana 71

3.1.3.2 Il servizio manutenzione impianti elettrici comunali e l'ufficio progetti 73

3.1.3.3 L'arredo Urbano e il verde pubblico 75

3.1.3.4 Servizi minori 76

3.1.3.4.1 Servizio progettazione e fognature bianche 77

3.1.3.4.2 Servizio tecnostrutture e energy manageriale 77

3.1.3.4.3 La gestione calore 77

3.1.3.4.4 Servizi spettacolistici 78

3.2 La struttura di AMIA S.p.A. 78

3.2.1 Architettura di contabilità analitica 78

3.2.1.1 Architettura della contabilità industriale: i progetti/commessa 84

3.2.2 Il flusso dei dati e l’ alimentazione della struttura 85

3.2.2.1 Fase 1: l’alimentazione diretta della struttura 87

3.2.2.2 Fase 2: l’alimentazione e la ripartizione dei centri di costo transitori 88 3.2.2.2.1 La rilevazione delle ore lavorate e le tariffe orarie 90

3.2.2.2.1.1 La rilevazione delle ore uomo e ore automezzi 90

3.2.2.2.1.2 Il calcolo della tariffa oraria 91

3.2.2.2.1.2.1 I centri di costo transitori del personale 91

3.2.2.2.1.2.2 I centri di costo transitori degli automezzi 92

(5)

3.2.2.3 Fase 3: la ripartizione dei centri di costo dei costi/ricavi comuni del

ramo 94

3.2.2.3.1 Il metodo di ribaltamento dei Costi Indiretti 95

3.2.2.3.1.1 Il livello 1 di ribaltamento 96

3.2.2.3.1.2 Il livello 2 di ribaltamento 97

3.2.2.3.1.3 Il livello 3 di ribaltamento 99

3.2.2.4 Fase 4: la ripartizione dei centri di costo dei servizi comuni 101

3.2.2.4.1 Il metodo di ribaltamento dei Costi Generali 103

3.2.2.4.1.1 Il livello 4 di ribaltamento 103

3.2.2.4.1.2 Il livello 5 e 6 di ribaltamento 104

3.2.2.4.1.3 Il livello 7 di ribaltamento 108

3.2.2.4.1.4 Il livello 8 di ribaltamento 109

3.2.2.4.2 L'incidenza dei Costi Generali 109

3.2.2.5 Fase 5: il report finale di periodo: il c.d. gestionale 110

3.3 La relazione sulla gestione del Bilancio chiuso al 31/12/2015 115

Conclusioni 125

(6)

Alla mia famiglia, ai miei nonni, al mio fidanzato, ai miei amici, GRAZIE.

(7)

Introduzione

Col presente lavoro si è voluto portare all'attenzione dei lettori come un'azienda pubblica, in questo caso AMIA Spa, gestisca tutti i suoi costi, come riesca a suddividere ogni singola voce di questi e a ripartirla nei vari centri di costo corrispondenti.

È stato da me approfontito questo aspetto, cioè la contabilità per centri di costo, perché è interessante riuscire a capire come i costi vengano ribaltati da un centro all'altro per poi essere, infine, messi all'interno delle voci corrispondenti.

Un ruolo fondamentale in questo processo è svolto dalla contabilità analitica, dove l'elemento centrale è costituito dal centro di costo o ricavo. Il centro di costo/ricavo è usato per definire quel ‘luogo’ fisico o virtuale che l’azienda ha interesse a monitorare puntualmente, per il raggiungimento dei propri obiettivi. Si tratta di un'unità elementare che riunisce un insieme di costi e ricavi omogenei rispetto all’attività svolta all’interno di essa, che garantisce il raggiungimento della conoscenza di dati e informazioni necessari all'elaborazione delle strategie che l’azienda si è posta.

Nel primo capitolo del lavoro viene spiegata l'evoluzione nel tempo delle aziende pubbliche, dalle prime riforme degli anni '90 fino ad oggi: si analizzano i cambiamenti subìti dalla struttura, dal personale e dall'attività, o organizzazione, in un confronto tra il passato e il presente; viene sottolineata l'importanza del ruolo della comunicazione interna ed esterna per poter ottenere risultati migliori, dettati spesso dal maggior coinvolgimento dei soggetti; infine, si spiega il ruolo svolto dall'Information and comunication tecnology, la cui applicazione alle transazioni tra cittadini e Pubbliche Amministrazioni ha il fine di renderle più rapide ed efficienti.

Nel secondo si dà spazio, invece, a quello che io ho ritenuto l'argomento più interessante studiato nell’arco dei due anni di specializzazione: l'analisi del processo di controllo. Ho pertanto svolto un'analisi puramente teorica del controllo di gestione che prevede nella prima parte la descrizione del controllo di

(8)

gestione nelle sue generalità, con particolare riferimento all'analisi dei costi, e successivamente mi sono soffermata sui diversi metodi di contabilità analitica: ovvero la contabilità per centri di costo e il metodo ABC, dei quali è stato studiato in modo dettagliato solo il primo.

Della curiosità, che mi ha spinto ad approfondire questo argomento, ho parlato nel terzo ed ultimo capitolo nel quale riconosco che, attraverso la collaborazione con AMIA s.p.a., società per il 99,49% pubblica, una multiservizi che si occupa di Igiene Urbana, Arredo Urbano e il verde pubblico, servizio manutenzione impianti elettrici comunali (MIEC), Ufficio progetti e servizi minori, ho avuto modo di rendermi conto del reale funzionamento del controllo di gestione all'interno di un'azienda. Durante il lavoro svolto presso AMIA, mi sono concentrata sul funzionamento della contabilità per centri di costo: l'azienda attraverso la contabilità analitica riesce a ripartire tutti i costi sostenuti ai singoli centri di costo finali, il tutto in modo molto efficiente ed efficace.

(9)

CAPITOLO 1: L'evoluzione della Pubblica Amministrazione

1.1 Le riforme degli anni ’90. 1

L’ultimo decennio del secolo scorso ed i primi anni di quello corrente sono stati caratterizzati da un’intensissima produzione legislativa, con lo scopo ultimo di dare alla pubblica amministrazione una nuova immagine, più moderna ed efficiente.

Per troppo tempo, infatti, l’ente pubblico è stato considerato come sinonimo di burocrazia, di lentezza, di cavillosità, di supremazia nei confronti del cittadino. Le riforme degli anni ’90 hanno inteso incidere sulle varie componenti della pubblica amministrazione:

a) la struttura;

b) il personale, dirigente e non; c) l’attività svolta.

La struttura: l’organizzazione dell’apparato pubblico presentava un

carattere fortemente accentrato. La Costituzione Repubblicana statuisce che “La

Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento.”

Di fatto, però, la situazione era ben diversa. Per varie ragioni la concreta attivazione delle Regioni ha avuto luogo solo nel 1970, mentre l’attività degli enti locali subiva un’asfissiante controllo preventivo di tipo tutorio sui singoli atti, esercitato da parte dello Stato e delle sue articolazioni periferiche, quasi che

(10)

tali atti provenissero da soggetti incapaci.

Tale tipo di controllo si traduceva inevitabilmente in un ostacolo all’esercizio dell’attività amministrativa in tempi ragionevoli, in spregio al principio di buon andamento dell’attività amministrativa di cui all’art. 97 della Costituzione.

Come detto, nel 1990 il legislatore ha iniziato l’opera di rinnovamento, partendo proprio dagli enti locali. Con la legge 8/6/’90 n. 142 è stata introdotta la riforma della normativa sugli enti locali, precedentemente racchiusa in un testo unico datato 1934 e, quindi, antecedente all’entrata in vigore della Costituzione Repubblicana.

Tra le varie innovazioni introdotte dalla legge in questione occorre ricordare il riconoscimento in capo agli enti locali dell’autonomia statutaria; l’incentivazione delle fusioni e delle unioni dei comuni (per fronteggiare l’estrema frammentazione territoriale dei comuni, che dava origine ai c.d. “comuni polvere”, sovente in difficoltà nell’erogazione della pluralità di servizi alle rispettive comunità); la previsione delle aree metropolitane, solo per citarne alcune.

In particolare, con il proprio statuto l’ente locale è stato dotato di un mezzo per disciplinare (seppur “nell’ambito dei principi fissati da leggi generali della Repubblica che ne determinano le funzioni”, secondo la previsione del testo allora vigente dell’art. 128 della Costituzione) importanti materie, quali: le attribuzioni degli organi, i criteri generali in materia di ordinamento degli uffici e dei servizi, le forme di partecipazione popolare, le forme di garanzia e

partecipazione delle minoranze, e così via.2

Il personale3: negli anni ’90 una profonda riforma del pubblico impiego ha

preso avvio con il d.lgs. 29/’93. Principio cardine che si è perseguito è stato quello della distinzione tra attività di indirizzo e di gestione. La prima è stata riconosciuta di pertinenza degli organi politici; la seconda è stata riconosciuta di

2 Giorgio Sangiorgi, Management e Governance nella pubblica amministrazione, Ed. Franco Angeli, p. 37 e seguenti 3 Giorgio Sangiorgi, Management e Governance nella pubblica amministrazione, Ed. Franco Angeli, p. 185 e seguenti

(11)

competenza del ceto dirigente. Il principio in questione (rafforzato con il d.lgs. 80/’98 e trasfuso nel d.lgs. 165/’01 e nella legge 145/’02) è espressivo di un’evoluzione normativa che ha inteso sottrarre i dirigenti ad una preesistente situazione di soggezione rispetto alla classe politica, in pratica di subordinazione gerarchica, ridisegnando il rapporto in termini di direzione politica. In tal modo si è voluto perseguire l’obiettivo di aumentare i poteri dirigenziali e, nel contempo, le connesse responsabilità.

Relativamente a tutto il personale pubblico (dirigente e non) – fatta eccezione per alcune categorie tassativamente elencate (magistrati, professori universitari, ecc.) – si è introdotta la contrattualizzazione, cioè l’individuazione della fonte del rapporto di impiego nel contratto individuale stipulato tra l’amministrazione ed il singolo impiegato, con applicazione al medesimo rapporto delle norme definite nell’ambito della contrattazione collettiva nazionale e delle norme civilistiche, devolvendo le relative controversie al giudice ordinario (giudice del lavoro).

Dei moduli privatistici è stata recepita anche la metodologia di lavoro, con lo sforzo di passare da un’azione ispirata al rispetto della legittimità dei singoli atti ad un’azione che – senza trascurare il rispetto delle norme – è tesa essenzialmente al perseguimento di obiettivi, di risultati preventivamente fissati.

Va aggiunto che tale evoluzione ha trovato un’importante base di partenza nella legge 9/8/’90 n. 241 che - per la prima volta in Italia - ha introdotto una disciplina organica dell’azione amministrativa, inquadrata come procedimento, ovvero come serie di atti che si susseguono nel tempo, collegati in vista dell'emanazione del provvedimento finale, per la soddisfazione dei bisogni della collettività.

L’attività: proprio il riferimento alla legge sul procedimento amministrativo

introduce l’altra linea di intervento normativo riguardo alla pubblica amministrazione, quella concernente l’attività, il modus operandi.

(12)

modo di operare degli enti pubblici, tradizionalmente incentrato su procedure finalizzate all’emissione di singoli atti, con l’unica preoccupazione della garanzia del rispetto puntiglioso e fine a sé stesso delle norme di legge. Si è, invece, intrapreso lo sforzo di porre al centro dell’attenzione l’attività complessiva dell’ente pubblico.

L’impostazione tradizionale dava origine alla c.d. “cultura dell’adempimento” (le pubbliche amministrazioni emanavano un certo tipo di atti perché lo imponeva la legge). Ciò legittimava il sistema di controlli degli atti incentrato sul controllo preventivo avente ad oggetto i singoli provvedimenti.

La nuova impostazione, invece, in sintonia con l’evoluzione di cui si è detto in precedenza in materia di personale pubblico e con la valorizzazione dei principi di efficienza, efficacia ed economicità ad opera della legge 241/’90, ha perseguito l’obiettivo di introdurre nell’attività degli enti pubblici la c.d. “cultura

del risultato”. In altre parole, si è voluta focalizzare l’azione della pubblica

amministrazione verso la definizione di obiettivi da raggiungersi in tempi prestabiliti, con l’adozione del ciclo di pianificazione, programmazione e controllo, seguendo schemi operativi già collaudati nel mondo delle imprese private.

Naturalmente la nuova impostazione dell’operato della pubblica amministrazione non poteva non trovare riflesso in una radicale modifica del

sistema dei controlli4.

La modifica del modus operandi ha reso indispensabile anche un radicale cambiamento nel modo di porsi degli enti pubblici nei confronti dei cittadini. L’esigenza di colmare il senso di distacco tra apparati pubblici e utenti, di superare una sorta di autolegittimazione, autoreferenzialità che gli enti pubblici dimostravano di coltivare nell’ambito dei rapporti con l’utenza ha dato impulso ad una nuova prospettiva: i bisogni ed i desideri dei cittadini hanno assunto un ruolo di centralità.

Se le istituzioni pubbliche sono legate ai cittadini in virtù della

(13)

rappresentanza politica, è giocoforza che la loro attività debba essere ispirata ed indirizzata dall’esigenza di soddisfare i bisogni della collettività dei cittadini. Questi ultimi, pertanto, non devono più essere guardati dall’alto in basso o come una sorta di ostacolo all’esercizio di poteri di cui gli enti pubblici sarebbero dotati per il fatto stesso di esistere.

Nuovi paradigmi sono emersi nel rapporto tra pubblica amministrazione e cittadini, sintetizzabili in una sola parola: partecipazione.

Se, per definizione, la politica consiste nell’adozione di decisioni, scelte da parte delle strutture pubbliche, tali scelte devono essere suffragate dalla partecipazione dei cittadini alla determinazione degli obiettivi verso cui l’azione è diretta.

Non a caso una componente importante della legge 241/’90 è costituita dagli istituti di partecipazione, attraverso i quali la voce dei cittadini trova spazio nell’ambito del processo decisionale dell’ente pubblico.

Riguardo alla struttura organizzativa di ciascun ente pubblico, si deve rilevare la necessità di un ripensamento costante della stessa. Gli elementi di incertezza e di mutevolezza dell’ambito sociale in cui le strutture pubbliche operano sono all’origine di tale necessità: sempre più frequentemente l’ente pubblico si trova ad affrontare problematiche nuove e ad ampliare la propria sfera di competenza. Ciò ha reso necessario modificare radicalmente la preesistente struttura organizzativa centrale (i ministeri, caratterizzati in ordine decrescente da direzioni generali, divisioni, sezioni ed uffici, hanno assunto come elementi centrali i dipartimenti).

Oltre a ciò, va riscontrata la tendenza delle compagini governative che si alternano alla guida del Paese a ricorrere a frequenti modifiche delle competenze attribuite ai singoli dicasteri, accompagnate da repentini accorpamenti e modifiche di denominazione degli stessi.

È possibile riscontrare analoghe linee di tendenza negli enti locali: dal momento che l’autonomia organizzativa di detti enti è una peculiarità degli stessi, sarebbe illogico pensare che ciascun ente non ne faccia uso, orientandosi

(14)

costantemente verso la ricerca della struttura ottimale per la soluzione dei mutevoli problemi che si presentano.

D’altra parte, la stessa introduzione del ciclo di pianificazione, programmazione e controllo rende necessaria una struttura organizzativa la più elastica possibile.

Naturalmente connessa con la variabilità (elasticità) della struttura organizzativa è la valorizzazione delle risorse umane, ad iniziare dai dirigenti.

Lo sforzo del legislatore degli anni ’90 di aumentare i poteri decisionali (e le connesse responsabilità) dirigenziali e l’impostazione dell’azione amministrativa in percorsi di pianificazione, programmazione e controllo hanno reso necessaria la creazione di una classe dirigente nuova, caratterizzata da connotati meno burocratici e più manageriali.

Le doti di un buon dirigente non si esauriscono nelle conoscenze tecniche specifiche: queste sono una condizione necessaria ma non sufficiente, se non accompagnata da altre caratteristiche, legate alla sfera delle relazioni (con i collaboratori, con l’utenza, con gli organi politici, con i mass-media, ecc.) ed alla consapevolezza della delicatezza del ruolo ricoperto.

Al dirigente viene chiesto di favorire la creazione di un clima positivo e propositivo nella struttura in cui opera, di saper coinvolgere i propri collaboratori soprattutto a livello emotivo, stimolandone l’interesse al lavoro e rendendoli partecipi degli obiettivi da perseguire, responsabilizzandoli e coordinandoli, ma senza far pesare la propria superiorità gerarchica.

Essenziale è, dunque, il fattore della motivazione del personale pubblico, che favorisce l’autostima ed il senso di appartenenza all’ente. Motivare il personale si può e si deve, stimolandone ed incentivandone gli atteggiamenti innovativi, frutto di quel potenziale che in ognuno di noi è presente, la creatività, da cui può derivare la proposizione di approcci e soluzioni nuove per affrontare le varie problematiche che si manifestano nell’ambito dell’attività pubblica.

(15)

Ma per perseguire tale risultato, si ripete, è fondamentale misurare il

benessere interno all’organizzazione e tendere al suo costante miglioramento.

A tale riguardo, non si può tralasciare di ricordare che il personale costituisce il cliente interno dell’ente pubblico ed il suo benessere è non meno importante di quello della collettività di riferimento dell’ente pubblico, il c.d. cliente esterno.

Opportuna è, quindi, la costante attenzione dell’ente alle mutevoli esigenze delle sue risorse umane, con la creazione di strumenti che facilitino i flussi di comunicazione interna (dall’amministrazione ai propri dipendenti e viceversa).

Ecco, dunque, un altro importante fattore di miglioramento della pubblica

amministrazione: la comunicazione.5

Il miglioramento dei processi comunicativi è vitale nell’odierna società dell’informazione, sia nel rapporto tra gli enti pubblici e le diverse componenti sociali con cui interagiscono (comunicazione esterna) che nel rapporto con i propri clienti interni, le proprie risorse umane (comunicazione interna).

La comunicazione interna va favorita con mezzi adeguati, consentendo la massima circolazione delle informazioni essenziali per il corretto espletamento delle funzioni istituzionali dell’ente. Spesso ci possono essere situazioni di difetto di comunicazione interna, realtà in cui uffici non hanno neppure un’idea seppur vaga dell’attività svolta da altri uffici dello stesso ente.

In questo c’è molta strada da percorrere, ma gli strumenti per migliorare esistono: le nuove tecnologie possono aiutare molto. Si può, ad esempio, utilizzare le reti informatiche interne (intranet) per informare i diversi soggetti che operano nell’ente (personale, dirigente e non, referenti politici) sulle iniziative di maggior rilievo nel funzionamento dell’ente. In alternativa, si può pensare alla creazione di newsgroup, cioè di spazi informativi virtuali in cui ciascuno dei soggetti di cui sopra può introdurre una discussione su un determinato argomento, alimentando interventi espressivi delle opinioni in merito

(16)

degli altri componenti del gruppo.

Gli strumenti, dunque, non mancano ed essenziale è il fine ultimo del loro utilizzo: favorire lo scambio di opinioni, di esperienze e, quindi, consentire la diffusione della conoscenza.

L’odierna società è caratterizzata da un enorme flusso di informazioni che investe quotidianamente ciascuno di noi. Ciò accade anche all’interno degli enti

pubblici e, come è stato chiaramente messo in luce6, è essenziale selezionare, tra

le tante, le informazioni più utili per svolgere l’attività decisionale con cognizione di causa.

Il miglioramento della comunicazione interna include anche la condivisione di quel basilare patrimonio immateriale degli enti pubblici dato dalle esperienze, dal vissuto dei diversi operatori. Questo patrimonio può e deve essere valorizzato, evitando che rimanga una dote del singolo soggetto, facendolo, invece, diventare un patrimonio di conoscenza comune.

Una funzione strategica è data dalla formazione del personale e dal suo costante aggiornamento (c.d. formazione continua).

L’importanza della formazione diviene sempre più evidente ed essa costituisce nel contempo un diritto ed un dovere del personale. Prova ne sia che la normativa vigente (legge 244/’07, legge finanziaria 2008) prevede la predisposizione e l’attuazione da parte della pubblica amministrazione di appositi Piani della formazione. Questi presuppongono una mappatura costante delle competenze possedute dai singoli dipendenti, individuando successivi percorsi di sviluppo atti alla valorizzazione, al miglioramento delle attitudini personali di ciascuno.

Da ultimo, il benessere del personale dell’ente pubblico deve essere salvaguardato non solo sotto l’aspetto cui si è fatto cenno (quello motivazionale e psicologico), ma anche sul piano materiale, cercando soluzioni logistiche decorose e funzionali, propedeutiche al miglioramento delle prestazioni di

(17)

ognuno.

L’esame del fattore risorse umane non può concludersi senza fare cenno ad un argomento di stretta attualità: la valutazione del merito delle persone.

Partendo dal vertice (dirigenza) e scendendo nella scala gerarchica del personale pubblico è essenziale sviluppare un processo di valutazione delle performance di ciascuno.

La retribuzione dirigenziale è composta da una parte fissa (retribuzione di posizione) e da una parte variabile (retribuzione di risultato). Quest’ultima è la risultanza finale di un procedimento valutativo dell’operato del dirigente.

In estrema sintesi7 il procedimento di pianificazione, programmazione e

controllo comporta l’individuazione di una serie di obiettivi che ogni dirigente è chiamato a raggiungere nel periodo di riferimento. A tal fine, l’attività gestionale viene suddivisa in varie fasi (azioni) alla cui conclusione avverrà il confronto tra i risultati effettivamente raggiunti e quelli previsti. Minori saranno gli scostamenti tra i due parametri e migliore sarà stata l’azione svolta dal dirigente e, di conseguenza, maggiore sarà la retribuzione di risultato.

Nella pratica, è opportuno che gli esiti concreti della gestione siano monitorati nel corso del periodo (annuale) di riferimento, ad intervalli di tempo prestabiliti, avvalendosi di un sistema di indicatori (di efficienza, efficacia, economicità, ecc.) che consentano di fare il punto “in corso d’opera” e, quindi, di adottare, se necessario, misure correttive dell’azione o di rimodulare gli obiettivi stessi.

Svariati possono esser i metodi su cui costruire il processo di valutazione del personale, ma unica è la finalità: individuare i più meritevoli ed i meno meritevoli, premiando i primi e stimolando i secondi a migliorare le performance in futuro.

Si parte dalla dirigenza, ma è essenziale che l’attività valutativa sia estesa a tutto il personale. Solo in tal modo le “correnti positive” scaturenti dall’azione del gruppo, sotto il coordinamento del dirigente, potranno propagarsi ed

(18)

ampliarsi all’interno dell’intera struttura burocratica di riferimento. Solo così, d’altra parte, potranno essere smorzate sul nascere posizioni conflittuali che possono insorgere tra il personale, minando il rendimento dell’intero gruppo.

Alla comunicazione interna ed al benessere interno si aggiungono la comunicazione ed il benessere esterni.

La comunicazione esterna, con gli interlocutori dell’ente pubblico (cittadini, associazioni dei consumatori, stakeholders) è uno strumento imprescindibile per la creazione di un circuito virtuoso che unisce, invece di contrapporre (come sovente accadeva in passato), il settore pubblico alla realtà sociale in cui esso opera.

Un primo strumento innovativo di comunicazione, introdotto dal d.lgs. 29/’93, è costituito dagli uffici relazione con il pubblico (U.R.P.). La previsione della costituzione di tali uffici da parte degli enti pubblici ha avuto luogo per favorire quel processo di trasparenza della cosa pubblica che si è sviluppato negli anni ’90 e, nel contempo, allo scopo di creare un elemento di raccordo tra le unità organizzative degli enti (i singoli uffici) e la cittadinanza.

Tra le varie funzioni svolte dagli U.R.P. va evidenziata quella di guida per il cittadino ad orientarsi nella individuazione della normativa che disciplina l’erogazione dei servizi pubblici, nell’individuazione delle modalità di accesso alla fruizione dei servizi, ma anche quella di percezione del grado di soddisfazione dell’utenza rispetto all’output dell’ente e, quindi, di trasmissione agli uffici competenti dei segnali negativi (reclami) che devono essere analizzati per un successivo sforzo di miglioramento .

Altra essenziale funzione degli U.R.P. è quella di struttura che può facilitare l’esercizio da parte dei cittadini del diritto di accesso alla documentazione amministrativa, previsto dall’art. 22 della legge 241/’90 e s.m.i..

A questo primo elemento chiave della comunicazione pubblica la legge

(19)

La presa di coscienza dell’importanza che assume nell’odierna società la comunicazione pubblica ha determinato la previsione da parte del suddetto atto legislativo di uno specifico strumento di programmazione delle attività comunicative che l’ente pubblico porrà in essere nel periodo di riferimento: il

Piano della comunicazione, la cui predisposizione è il frutto della cooperazione

del responsabile dell’U.R.P., del responsabile dell’ufficio stampa e del portavoce. Svariate sono le finalità perseguite dall’ente con l’attività di comunicazione esterna: far conoscere la propria organizzazione ed i progetti in itinere; facilitare l’accesso ai servizi e documenti dell’ente; acquisire informazioni sui bisogni dell’utenza e sull’evoluzione delle preferenze della stessa; sensibilizzare l’opinione pubblica su temi di rilevante importanza sociale, ecc..

Molteplici sono i mezzi attraverso i quali la comunicazione pubblica si realizza: scritti (lettere ai cittadini, opuscoli informativi, pubblicazioni sui quotidiani, invio di questionari, ecc.); verbali (conferenze stampa, interviste, ecc.); audiovisivi (messaggi televisivi o radiofonici; fotografie, ecc.) tecnologici (messaggi telefonici, e-mail, ecc.).

Tra questi ultimi, di fondamentale importanza è la costituzione di un

portale internet istituzionale dell’ente.

Negli ultimi anni i siti istituzionali degli enti pubblici hanno formato oggetto di attenzione da parte di un sempre più cospicuo numero di cittadini.

Le caratteristiche di tale strumento sono in costante evoluzione. Dopo una prima fase in cui prevaleva una funzione di “vetrina”, essendo i siti istituzionali strutturati per una comunicazione unidirezionale (=l’ente faceva conoscere al cittadino i propri servizi e la propria struttura), si è passati ad una seconda fase in cui si è realizzato un primo embrione di dialogo concreto con l’utenza, attraverso la possibilità di cittadini di inoltro all’ente di messaggi di posta elettronica. Un ulteriore sviluppo (il c.d. terzo livello) è stato rappresentato da l’”interazione a due vie”, ad es. con la compilazione di formulari da parte dell’utenza, la creazione di liste di discussione su specifici temi, ecc.

(20)

Il livello ulteriore è dato dall'erogazione direttamente on line di servizi all’utenza, cui si accompagna la possibilità per quest’ultima di effettuare pagamenti on line alla pubblica amministrazione, a fronte di servizi erogati dietro corrispettivo.

Come si vede, le potenzialità dell’uso del web sono molto vaste ed i benefici in termini di semplificazione della “vita amministrativa” del cittadino notevolissime.

Ma, oltre a questi, forse anche maggiori sono i benefici che l’ente pubblico può ricevere in relazione al grado di soddisfazione sia attesa che percepita dall’utenza rispetto ai servizi in concreto erogati.

In tal senso, la pubblica amministrazione viene a disporre di un formidabile strumento per un monitoraggio costante del grado di fiducia che gode da parte dell’utenza, utile ad orientarsi verso una sempre maggiore qualità dell’output e, nel caso delle amministrazioni più evolute, utile ad anticipare le tendenze dei bisogni dell’utenza e, talvolta, ad influenzarne i successivi sviluppi.

Date le potenzialità dei siti istituzionali, assume un carattere cruciale l’abilità nella loro costruzione e nel costante aggiornamento dei contenuti.

E a tal fine è indispensabile che l’home page – che costituisce il primo e fondamentale impatto che il navigatore in internet ha con il sito – sappia riassumere il contenuto, le tematiche poste all’attenzione dell’utente, indirizzandolo subito verso gli argomenti che più lo interessano.

A tal fine, è preferibile la massima concisione sull’oggetto della comunicazione, l’utilizzo di un linguaggio semplice ed accessibile a tutti (prescindendo, quindi, dal grado di istruzione) e l’osservanza di regole di impostazione grafica specifiche e differenti rispetto a quelle in uso nelle comunicazioni cartacee, anche in ragione del diverso grado di difficoltà di lettura che caratterizza il web rispetto alla tradizionale carta stampata.

Non meno importante è la cura costante dei contenuti del sito e, quindi, l’aggiornamento degli stessi. Una volta data una certa impostazione al sito, è essenziale seguirne i contenuti, le informazioni ed i messaggi offerti all’utenza.

(21)

La quantità di informazioni fornite non deve causare la perdita di controllo delle stesse: il contenuto di ogni pagina del sito deve sempre esser monitorato, pena il rischio di offrire informazioni non più attuali o, peggio ancora, fuorvianti per l’utenza. Ne va dell’immagine e della credibilità dell’ente, due valori che devono essere tenuti costantemente elevati.

La pubblica amministrazione costituisce un fattore importante dello sviluppo economico del Paese. Essa occupa una cospicua percentuale della forza-lavoro italiana, erogando beni e servizi di vario tipo, atti a far fronte ai bisogni dei privati cittadini, ma anche del settore produttivo.

Da diversi anni la presa di coscienza di tale realtà ha dato origine ad una nuova visione del settore pubblico e di ciò che produce, nella quale emerge la ricerca sempre maggiore di qualità dell’output.

Una maggiore qualità potrà derivare da una nuova impostazione organizzativa: non più il ricorso a strutture di tipo piramidale, nelle quali l’uomo è considerato un qualsiasi fattore di produzione (=l’uomo in funzione dell’organizzazione), ma strutture in cui la persona faccia emergere e sviluppi le personali attitudini, diventando l’attività lavorativa uno strumento di autorealizzazione (=l’organizzazione in funzione dell’uomo).

1.2 Il ruolo svolto dalla Pubblica Amministrazione nel sistema

socio-economico8

Il ruolo svolto dalla Pubblica Amministrazione nel sistema socio-economico ha subìto nel tempo sostanziali trasformazioni che hanno riguardato numerosi aspetti della gestione; si sono, infatti, modificati i modelli organizzativi, il sistema contabile, gli strumenti finanziari, il rapporto di lavoro con i dipendenti, il rapporto con i cittadini.

Ipotizzando diversi stadi nell’evoluzione dei suddetti aspetti ed

(22)

aggregandoli tra loro, si possono individuare dei modelli comportamentali idealtipici della Pubblica Amministrazione:

• il modello burocratico;

• il modello aziendale;

• il modello relazionale.

Ad essi si possono far corrispondere dei sistemi di management, anch’essi idealtipici, presenti nelle diverse fasi:

• il management per procedure;

• il management per obiettivi;

• il management per processi.

1.3 Il modello burocratico9

Il modello burocratico trova le proprie origini nel pensiero di Weber secondo il quale il raggiungimento delle finalità che ci si è prefissati è tanto più semplice quanto più vengono eliminate le arbitrarietà e le occasioni di conflitto nelle relazioni interpersonali e nei rapporti tra gruppi sociali.

Secondo Weber è possibile controllare la struttura organizzativa mediante regole e procedure che favoriscano l’imparzialità, l’affidabilità e la prevedibilità

(23)

del comportamento.

Il modello idealtipico di burocrazia a piramide di Weber dispone che le finalità aziendali siano prestabilite dalla norma e dall’uso rigido che se ne fa (normativa prescrittiva). La pluralità di ruoli specialistici richiede, tuttavia, delle forti strutture di coordinamento, che costituiscono la premessa della gerarchizzazione, la quale aumenta in relazione diretta alla crescita dimensionale dell’organizzazione.

In un modello di questo tipo l’area del decidere è attribuita esclusivamente al livello apicale. Al middle management è affidato il compito di controllare l’esecuzione precisa delle mansioni che devono essere svolte dal personale esecutivo, ossia di verificare il rigido rispetto delle procedure.

1.3.1 Le distorsioni del modello burocratico

La predisposizione di procedure non è di per se stessa negativa, infatti, l’idea di standardizzare e di razionalizzare non è criticabile di per sé. Il problema sorge, però, nel momento in cui si assiste alla così detta trasposizione dei fini, ossia quando le procedure non vengono più considerate un mezzo, uno strumento per raggiungere delle performance, ma diventano esse stesse il fine dell’attività lavorativa.

Il sistema di controllo è strutturato per valutare gli atti piuttosto che i risultati. L’effetto distorsivo di tale meccanismo di controllo, dunque, è di premiare la correttezza formale a scapito di quella sostanziale, ottenendo la così detta “deresponsabilizzazione” del management rispetto ai risultati.

Inoltre, la logica del controllo burocratico produce un unico effetto di ritorno consistente nell’imposizione dell’osservanza degli schemi prefissati dalle norme codificate e non prevede il cambiamento delle procedure al fine di migliorare la capacità dell’azienda di rispondere alle necessità del sistema.

(24)

di problemi di alienazione e di rifiuto del lavoro, per svariate motivazioni tra cui le principali possono essere identificate:

• negli scarsi spazi discrezionali a disposizione;

• nella complessiva sottoutilizzazione rispetto a quelle che erano le proprie

possibilità.

Ciononostante, non è detto che un’organizzazione che si avvalga di un modello burocratico non possa essere soddisfattiva nei confronti dell’ambiente sia esterno che interno, ma affinché questo accada è necessario che questi ambienti siano sostanzialmente statici.

1.4 Il mutamento di funzione della pubblica amministrazione

Con l’affermazione dello Stato del Benessere, la funzione svolta dalle amministrazioni pubbliche non era più quella di garantire le condizioni formali di esercizio dei diritti, ma quella di garantire l’equità economica e sociale dando un contenuto sostanziale ai diritti formali e garantendo una risposta soddisfacente alle diverse esigenze della collettività, la cui realizzazione necessitava dell’introduzione di una razionalità economica e gestionale nella predisposizione delle proprie attività.

Questo cambiamento ha determinato un ampliamento delle aree di intervento pubblico, che ha prodotto una diversificazione dell’offerta pubblica caratterizzata dalla predisposizione di:

• interventi redistributivi della ricchezza;

• interventi finalizzati al corretto funzionamento dell’economia;

• produzione di beni a domanda individuale.

(25)

omogenei, ma richiedeva l’adozione di nuovi criteri in grado di garantire una maggiore flessibilità ed efficacia nel raggiungimento dei propri obiettivi.

1.5 Il modello aziendale10

Con il modello aziendale, è stato attivato un processo di cambiamento il cui obiettivo principale è stato quello di garantire la soddisfazione della collettività valutando l’ azione pubblica non più in termini di conformismo procedurale ma in termini di efficacia, realizzando cioè il passaggio dalla centralità della norma alla centralità del risultato.

Il modello aziendale è “l'insieme dei principi, dei criteri, dei metodi e degli strumenti di svolgimento delle attività che hanno lo scopo di realizzare un equilibrio tra bisogni e risorse, tra domanda di servizi e offerta degli stessi”, Elio Borgonovi.

Il passaggio verso una logica aziendale ha messo in risalto l’importanza della definizione più chiara degli obiettivi (che cosa), alimentando una riflessione strategica in merito alle modalità più adatte (come) per la loro realizzazione; in particolare, per realizzare tale processo di cambiamento si sono intraprese numerose iniziative come: la ricerca di una maggiore flessibilità attraverso l’introduzione di criteri di gestione simili a quelli delle aziende; il cambiamento della forma giuridica; l’adozione di nuove modalità di erogazione dei servizi di pubblica utilità, favorite dalla disponibilità delle tecnologie informatiche.

Però “tutto ciò richiede: la trasformazione della logica di valutazione delle scelte (che tenga conto di parametri economici e non economici finalizzati ad un equilibrio economico e finanziario); l’attuazione di una corretta separazione tra livelli decisionali che tenga distinti ruoli e responsabilità, nell’ambito di una maggiore autonomia decisionale; l’introduzione di strumenti e sistemi evoluti di misurazione e valutazione dei risultati (responsabilizzazione economica diffusa);

(26)

l’introduzione di processi di competizione sia all'interno dell’azienda, sia nei riguardi delle aspettative esterne”.

1.6 Le modalità di attuazione del modello aziendale: privatizzazione e aziendalizzazione

1.6.1 Privatizzazione11

Gli anni novanta hanno visto svariati Paesi europei, ed in genere Paesi economicamente più sviluppati, adottare linee molto meno interventistiche ed impostare politiche di privatizzazione.

Il ricorso ad una massiccia privatizzazione delle aziende pubbliche si è prospettato allo scopo di rispondere in maniera più conforme “all’evoluzione tecnologica, alla maggiore competitività, al mutato funzionamento dei mercati monetari e finanziari, alla nascita di nuovi bisogni della collettività (scenario esterno), nonché alla crisi politico-finanziaria dello Stato e dei singoli organismi pubblici (scenario interno)” che hanno reso inadeguata la preesistente gestione delle aziende pubbliche.

Esistono diverse tipologie di privatizzazione:

• privatizzazione sostanziale: passaggio di proprietà dal pubblico al privato;

• privatizzazione formale: trasformazione della natura giuridica, senza

trasferimento della proprietà ai privati;

• privatizzazione funzionale: cessione al privato – esternalizzazione o

terziarizzazione – di compiti che non è più conveniente svolgere all'interno della P.A.;

• deregolamentazione: provvedimento legislativo che pone fine al

riconoscimento dell'attività come servizio di pubblica utilità.

(27)

1.6.1.1 Le privatizzazioni in Italia12

➢ D.l. 309/91 – Trasformazione della natura giuridica degli Enti Pubblici

Economici e delle Partecipazioni Statali

➢ L. 35/92 – Conversione in legge del D.L. 309/91

➢ D.L. 333/92 – Trasformazione ad effetto immediato di ENI, INA, IRI ed

ENEL

➢ L.359/92 (legge Amato) – Conversione in legge del D.L. 333/92

➢ L. 474/94 – Quadro normativo di riferimento delle privatizzazioni

Modalità di alienazione:

• Offerta pubblica;

• Trattativa diretta.

Poteri speciali dello stato:

• Golden share;

• Autority.

1.6.2 L’aziendalizzazione13

Con l’aziendalizzazione14 si è voluto perseguire l’obiettivo di rendere più

efficiente ed efficace il processo di erogazione dei servizi pubblici razionalizzando l’impiego delle risorse e offrendo maggiori possibilità di scelta al cittadino in base alle sue esigenze ed aspettative.

In tal senso, gli obiettivi perseguiti attraverso l’aziendalizzazione appaiono per vari versi simili a quelli che ispirano il processo di privatizzazione rispetto al quale, tuttavia, è possibile cogliere delle differenze. Più precisamente,

12 http://www.dt.tesoro.it/it/attivita_istituzionali/privatizzazioni/procedimenti_corso.html

13 Gianclaudio Festa, Contabilità degli enti locali e contrattualistica pubblica, Ed. Giuffrè, p.294 e seguenti

(28)

l’aziendalizzazione può essere considerata una sorta di privatizzazione “fredda”, ossia una privatizzazione realizzata senza modificare la natura giuridica degli organismi pubblici, ma introducendo nell’ambito di questi ultimi le metodiche di gestione tipiche delle aziende private, con enormi vantaggi per i cittadini utilizzatori e per la collettività nel suo insieme.

Infine, si osserva che per perseguire, attraverso il processo di aziendalizzazione, gli obiettivi sopra ricordati è necessario che nell’ambito delle aziende pubbliche si affermino due valori quali l’autonomia nelle scelte e la responsabilità concernente i risultati che si conseguono.

1.7 Il New Public Management15

Con l’espressione New Public Management si individua una filosofia

gestionale che, a partire dagli anni ‘70, ha determinato nei paesi OCSE16 un

processo di riforma della Pubblica Amministrazione finalizzato ad incrementarne le prestazioni in termini di efficienza, efficacia ed economicità, trasferendo nel settore pubblico le logiche di gestione tipiche del settore privato.

Tale filosofia si è concretizzata, in periodi diversi e/o in Paesi diversi, in modelli di gestione differenti, che vanno dalla privatizzazione dei servizi pubblici, e dalla liberalizzazione di alcuni settori (riservando allo Stato il solo ruolo di regolazione dei mercati), all’adozione da parte delle aziende pubbliche di logiche di gestione mutuate dal settore privato.

Con la globalizzazione dei mercati, i governi nazionali, da un lato, non erano in grado, con i loro apparati burocratici, di fornire risposte adeguate alle esigenze delle imprese, dall’altro non avevano più il potere di regolamentare i

15 Luca Anselmi, Percorsi aziendali per le pubbliche amministrazioni, Ed. G.Giappichelli, p. 6-8

16 Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico: organizzazione internazionale di studi economici per i paesi membri , paesi sviluppati aventi in comune un sistema di governo di tipo democratico ed un'economia di mercato. L'organizzazione svolge prevalentemente un ruolo di assemblea consultiva che consente un'occasione di confronto delle esperienze politiche, per la risoluzione dei problemi comuni, l'identificazione di pratiche commerciali ed il coordinamento delle politiche locali ed

(29)

mercati; in questo contesto il vero ruolo di regolazione dei sistemi pubblici era svolto dai mercati finanziari e da una serie di organismi sopranazionali (OCSE, UE, FMI, Banca Mondiale, …) che elaboravano e proponevano a livello internazionale modelli di gestione della Pubblica Amministrazione e sistemi di regolazione omogenei e coerenti con le esigenze delle imprese multinazionali.

Nella sua accezione originaria, infatti, il NPM si proponeva di “make the public sector more business-like“.

I concetti ed i principi organizzativi, le soluzioni, gli slogan del NPM, ricorrono nelle discussioni in tema di riforma dello Stato e dell’amministrazione un pò ovunque, ma se si guarda alle riforme dei singoli Paesi si riscontra una grande varietà nei loro contenuti, nei ritmi, nel grado di innovatività e radicalità rispetto all’assetto preesistente.

1.8 Il modello relazionale

Il nuovo quadro politico-istituzionale ha sancito il principio della qualità nella soddisfazione dei bisogni della collettività. In questa prospettiva, è stato ridefinito il rapporto tra il “centro” e la “periferia”, riconoscendo la rilevanza strategica del livello istituzionale più vicino alla comunità locale.

Il riposizionamento strategico della “periferia” , implica il passaggio da una “logica di government“, espressione del modello finora vigente di poteri e funzioni formali attribuite ad un ente sovraordinato ad altri, ad una “logica di governance” in cui le azioni di governo si caratterizzano nel coordinamento di decisioni autonome e nella capacità di fare sistema, mettendo insieme il contributo dei diversi attori.

Questi cambiamenti hanno fatto emergere il paradigma della public

governance, le cui caratteristiche sono riassumibili in tre punti:

(30)

contesto politico e sociale;

• governo e coordinamento di network e reti;

• orientamento all’esterno in particolare verso l’ambiente economico e

sociale.

1.9 Il ruolo dell’Information and Communication Technology17

Le caratteristiche dell’economia digitale richiedono un intervento e conferiscono un ruolo fondamentale alla Pubblica Amministrazione, alla quale però si richiede uno sforzo organizzativo, prima ancora che tecnologico, per essere in grado di gestire l’innovazione al proprio interno e nelle relazioni con il settore privato ed i cittadini.

Oggi l’E-Government sta diventato il tema centrale del dibattito sull’innovazione nella Pubblica Amministrazione.

In realtà l’E-Government rappresenta solo uno degli aspetti legati all’applicazione delle nuove tecnologie alla macchina statale, cioè l’applicazione delle Information Technology alle transazioni tra cittadini e Pubbliche Amministrazioni con il fine di renderle più rapide ed efficienti.

L’utilizzo delle tecnologie della comunicazione e dell’informazione per migliorare le performance dei servizi pubblici ha rappresentato un supporto importante per il miglioramento del rapporto fra Stato e cittadino e il circuito virtuoso messo in atto con le politiche di e-government sta producendo una profonda ristrutturazione dei processi organizzativi.

C’è, purtuttavia, un ruolo dell’ICT ancora tutto da esplorare, che riguarda l’interazione sociale e la partecipazione politica.

L’ICT rende possibile “la trasformazione stessa del modo di essere dell’Autorità Pubblica”: da un lato (E-Governance) attraverso la condivisione delle informazioni fra una vasta platea di soggetti (pubblici e privati) e la

(31)

diffusione del potere politico; dall’altro (E-Democracy) attraverso il pieno coinvolgimento dei cittadini nella formulazione delle politiche pubbliche.

L’E-Governance rappresenta, dunque, il punto di transizione attraverso cui giungere ad un obiettivo più ambizioso: un progressivo e reale avvicinamento fra cittadini ed Istituzioni e ad una partecipazione diretta (non più attraverso l’elezione di rappresentanti) al governo (E-Democracy). Anzi, è proprio l’E-Democracy che rappresenta la piena attuazione dei principi cardine dell’apertura, partecipazione e trasparenza posti alla base di una “good” governance.

E-government, e-governance, e-democracy:

Istituzioni Attori socio-politici Cittadini Cittadini Attori socio-politici Istituzioni Attori socio-politici Istituzioni Cittadini

E- government E-governance E-democracy

(32)

CAPITOLO 2: IL CONTROLLO DI GESTIONE

2.1 Introduzione

È indiscutibile che affinché una realtà produttiva sia redditizia e duratura nel tempo è necessario programmare le fasi in cui si articola l’attività d’impresa in modo da ottenere il massimo risultato da un impiego ottimale del tempo e delle altre risorse a disposizione, cercando al contempo di prevenire e attenuare l’impatto di circostanze sfavorevoli che sfuggono al diretto controllo del management; ciò può essere realizzato attraverso l’adozione dei metodi, dei sistemi e delle tecniche di pianificazione e controllo. Tale attività si rivolge sia all’interno che all’esterno dell’azienda, contemperando la funzione di coordinamento dei comportamenti individuali verso gli obiettivi prefissati con l’esigenza di assicurare il necessario grado di coerenza con l’ambiente esterno, e in particolare, con le aspettative dei diversi portatori di interesse.

Il controllo di gestione viene, infatti, definito come l’attività di guida svolta dai manager per assicurare il conseguimento degli obiettivi prefissati tramite un’efficace, efficiente e responsabile acquisizione e impiego delle risorse, o anche come l’insieme dei meccanismi e dei processi messi in atto per ridurre lo scostamento tra gli andamenti gestionali desiderati e quelle effettivi, adattando questi ultimi ai cambiamenti in atto nell’ambiente esterno.

La turbolenza del contesto, in termini di frequenza e di imprevedibilità dei cambiamenti, rende sempre più difficile distinguere tra aspetti di breve periodo e aspetti di lungo periodo; in altri termini diviene problematico definire un piano strategico sufficientemente stabile da permettere una sua chiara disaggregazione in piani operativi.

Accanto alla turbolenza, e in modo ad essa sinergico, agisce la complessità ambientale. La maggiore complessità competitiva si traduce in un aumento delle

(33)

complessità delle organizzazioni, che devono essere in grado di gestire una molteplicità di mercati e di attività.

Se la turbolenza e la complessità rendono più problematico il compito di un sistema di controllo di gestione, un terzo elemento di cambiamento, l’innovazione tecnologica, può agevolare la riprogettazione dei sistemi di controllo di gestione. Le potenzialità e la diffusione dell’information technology aumentano senza soluzione di continuità l’insieme delle informazioni di cui è economicamente possibile disporre, nonché la tempestività con cui queste possono essere rilevate.

Il mutamento del contesto competitivo impone nuovi requisiti a tutte le fasi del ciclo di controllo, mettendo in crisi modelli usati tradizionalmente. Nella pianificazione, in particolare, diviene difficile, riuscire a distinguere tra aspetti strategici e aspetti meramente operativi.

Anche l’analisi degli scostamenti viene messa in crisi dal mutamento del contesto ambientale: l’insieme dei fattori esogeni che influenzano il comportamento dell’impresa non può essere limitato a quantità e prezzi, ma deve includere anche aspetti meno facilmente definibili in modo oggettivo, come la qualità, il servizio, o la tempestività; in un contesto turbolento, poi, l’efficienza statica perde importanza rispetto alla capacità di disporre di un’infrastruttura strategica adeguata, in grado di assicurare all’impresa la capacità di generare prodotti con prestazioni (costo, qualità, servizio) complessivamente rispondenti alle esigenze del cittadino. Infine particolarmente critica è la fase di introduzione delle azioni correttive.

2.2 Controllo di gestione: nozione e caratteristiche18

Il controllo di gestione è “la procedura diretta a verificare lo stato di attuazione degli obiettivi programmati e, attraverso l’analisi delle risorse

18 Claudia Salvatore, Il processo di trasformazione dei sistemi di controllo contabile e gestionale nelle aziende pubbliche, Ed. Franco Angeli

(34)

acquisite e della comparazione tra i costi e la quantità e la qualità dei servizi offerti, la funzionalità dell’organizzazione dell’ente, l’efficacia, l’efficienza e l’economicità nell’attività di realizzazione degli obiettivi”.

Questo è il modo in cui il controllo di gestione viene definito nell’art. 39, comma 2, del D. Lgs. n. 77/1995, meglio noto come “Bassanini 1”, che ha visto, poi, la sua attuazione nell’importantissimo D.Lgs. 286/1999. Questo articolo ripercorre le tappe che hanno portato alla nascita del controllo di gestione, spiegando il significato della definizione sopra riportata e precisando quali sono le scelte progettuali che un’amministrazione pubblica deve affrontare per mettere in piedi un sistema di controllo di gestione adeguato alle proprie esigenze.

Il controllo di gestione è uno dei controlli interni alla Pubblica Amministrazione italiana. L’evoluzione dei sistemi di controllo interni ha una storia lunga e, come sempre in materia di amministrazione pubblica, affonda le sue radici nella fine dell’Ottocento. L’ultima tappa di questo processo, lento ma costante nel tempo, è recentissimo: è il già citato Decreto Legislativo 286 del 1999. Val la pena ripercorrere questo processo normativo nelle sue tappe fondamentali che si possono così schematizzare:

• Legge 5026/1869: Legge di contabilità e nascita del controllo interno

(Ragioneria generale dello Stato);

• Legge 2440/1923: Si attribuisce al tesoro il controllo di legittimità, il

controllo contabile ed il controllo di proficuità della spesa;

• DPR 748/1923: Riforma dirigenza statale;

• Legge 833/1978: Riforma sanitaria;

• Legge 468/1978: Riforma del bilancio;

• Legge 241/1990: Disciplina del procedimento amministrativo;

• Legge 142/1990: Riforma dei poteri degli Enti Locali;

• Legge 20/1994: Riforma dei controlli della Corte dei Conti;

• D. Lgs. 29/1993: Introduzione del controllo interno nelle Pubbliche

(35)

• D. Lgs. 286/1999: Attuazione della legge 59/97 ed ulteriore individuazione del sistema dei controlli interni.

L’utilità del controllo risiede nelle sue interessanti potenzialità nello stimolare comportamenti individuali e organizzativi in linea con il perseguimento degli obiettivi aziendali. Il controllo consente, inoltre, la diffusione all’interno dell’unità economica della cultura dei risultati e del linguaggio economico-finanziario, elementi indispensabili del bagaglio cognitivo di qualsiasi amministrazione. Il meccanismo operativo non va visto come un asettico insieme di tecniche contabili, ma come una pratica aziendale, in grado di rappresentare un importante veicolo per il trasferimento di valori nel tempo e nello spazio.

I sistemi di controllo di gestione sono caratterizzati da tre elementi centrali:

• Centri di responsabilità ovvero le differenti tipologie di unità

organizzative cui sono assegnate le responsabilità per i risultati economico-finanziari raggiunti all’interno dell’azienda.

• Il processo nel quale si articola l’operatività del sistema di controllo, in

altri termini le fasi attuative di esso, che comprendono l’individuazione preventiva degli obiettivi annuali in linea con quelli di lungo termine, la preparazione del budget, la sua articolazione, negoziazione e revisione, la verifica dei risultati intermedi e finali, l’apprezzamento del feedback e la messa in atto delle iniziative che ne conseguono.

• La struttura tecnico-contabile di supporto, che si sostanzia in strumenti di

rilevazione delle prestazioni e in modelli di reporting ed analisi che nel loro complesso costituiscono la contabilità direzionale. Vi rientrano il budget, gli indicatori di performance, la contabilità analitica, gli schemi di presentazione dei risultati raggiunti, l’analisi degli scostamenti ed i meccanismi formali che legano i risultati raggiunti a sanzioni individuali positive o negative.

(36)

2.2.1 Le trasformazioni nel tempo del controllo di gestione

Le trasformazioni più significative sono quelle che hanno visto la luce a partire dagli anni novanta:

• la Legge n. 241/1990, nota come la legge sulla trasparenza, che ha

obbligato le amministrazioni a individuare, al proprio interno, le unità organizzative e i soggetti responsabili dei risultati da conseguire;

• la Legge n. 142/1990, che ha introdotto, per la prima volta, il principio

della separazione fra poteri e responsabilità relativi, rispettivamente, all’indirizzo politico-amministrativo ed ai risultati della gestione amministrativa;

• il D.Lgs. n. 29/1993, che, introducendo i controlli interni in tutte le

amministrazioni, ha imposto alle amministrazioni stesse di costituire uffici di controllo interno, capaci non solo di valutare, ma anche di indirizzare e correggere l’azione degli uffici, in funzione degli obiettivi e delle responsabilità assegnate;

• la Legge n. 20/1994, nota come la legge di riforma della Corte dei Conti,

che ha potenziato i controlli, 31 Tina Magnotti Customer Value Coverage Leader, IBM Global Services sia esterni sia interni, sui risultati dell’azione amministrativa, sulla congruenza di questa con i programmi politici, sul costo e sulla performance dei servizi, sulla soddisfazione degli utenti;

• il D.Lgs 286/199919 in attuazione alla Legge 59/1997, la cosiddetta

“Bassanini 1”.

Va detto che questa trasformazione legislativa, come d’altronde tutte, è necessaria ma non è sufficiente per perseguire l’obiettivo di migliorare il sistema dei controlli interni alle Pubbliche Amministrazioni.

L’obiettivo si raggiunge solo grazie a trasformazioni organizzative, aumento

(37)

delle competenze professionali, ridefinizione dei processi che implicano un’azione quotidiana da parte di manager e amministratori capaci e motivati.

Tornando al D.Lgs. 286/1999, più volte citato, esso individua quattro tipi di controllo:

• il controllo di regolarità amministrativo-contabile, che deve garantire la

legittimità, la regolarità e la correttezza dell’azione amministrativa;

• il controllo di gestione, che deve verificare l’efficacia, l’efficienza e

l’economicità (le famose tre E, quattro con equità), per consentire ai dirigenti di ottimizzare, anche mediante tempestivi interventi di correzione, il rapporto tra costi e risultati;

• la valutazione dei dirigenti, necessaria, fra l’altro, ad attivare la

responsabilità dirigenziale;

• il controllo strategico, che è un controllo a lungo termine e deve sempre

necessariamente essere integrato al controllo di gestione, che è, invece, a breve termine; ha come scopo quello di verificare, ai vari livelli, l'efficacia dell'attivazione delle strategie aziendali; opera anche un controllo qualitativo ed utilizza sensori esterni all’azienda/ente; nasce dalla necessità di aggiornare continuamente e costantemente i vari progetti. Come si può ben capire, si tratta di forme di controllo molto diverse tra loro, per il tipo di funzione esercitata e, quindi, per gli obiettivi che si propongono di raggiungere.

Nonostante la loro diversità, però, i compiti di controllo interno debbono essere esercitati “in modo integrato”, per garantire il buon funzionamento dell’organizzazione amministrativa.

Il controllo di gestione è il principale strumento a supporto delle diverse fasi del ciclo di pianificazione e controllo.

(38)

2.3 Fasi del processo di controllo

Il sistema di controllo di gestione costituisce il principale strumento a supporto delle diverse fasi del ciclo di pianificazione e controllo, ovvero del processo attraverso il quale il responsabile di una struttura “guida” la propria organizzazione.

Le fasi fondamentali di tale processo sono le seguenti:20

1) la pianificazione in cui, per ogni unità organizzativa della struttura, viene definito un insieme coerente di obiettivi da raggiungere e viene definito un piano per raggiungerli che, tenuto conto dei vincoli interni ed esterni all’organizzazione stessa, fissa una sequenza logica di azioni che dovrebbero condurre ai risultati voluti. Gli obiettivi sono risultati specifici attesi e devono avere le seguenti caratteristiche: chiari, misurabili (per ampiezza e tempi), raggiungibili, coerenti tra loro, coerenti con missione, risorse e contesto esterno, condivisi all’interno;

2) la verifica dei risultati in cui si misura se ciascuna unità organizzativa ha conseguito o meno gli obiettivi assegnati;

3) l’analisi degli scostamenti in cui si individuano le cause degli eventuali scostamenti tra obiettivi e risultati, separando in particolare gli effetti di fenomeni esterni, non controllabili dall'unità, da quelli derivanti da una gestione inadeguata delle risorse;

4) l’attuazione degli interventi correttivi per allineare i comportamenti delle unità rispetto agli obiettivi.

2.3.1 Il ruolo del controllo di gestione21

In relazione alle fasi appena illustrate, il controllo di gestione deve:

20 Paola Morigi, Il controllo di gestione nella pubblica amministrazione locale, V Edizione, Ed. Maggioli 21 Marcello D'Onofrio, Come fare il controllo di gestione degli enti pubblici, Ed. Franco Angeli, p. 11 e seguenti

(39)

in fase di pianificazione, aiutare il responsabile della struttura a verificare la coerenza tra gli obiettivi assegnati ed i piani d'azione, nonché tra le risorse disponibili;

in fase di misura dei risultati, rilevare se gli obiettivi sono stati

effettivamente raggiunti;

in fase di analisi degli scostamenti, mettere in relazione i risultati ottenuti

con l'evoluzione del contesto di riferimento, per identificare i motivi di eventuali scostamenti.

Questi tre ruoli del sistema di controllo di gestione corrispondono alle seguenti componenti:

sistema di budgeting che verifica la coerenza tra gli obiettivi assegnati alle

diverse unità organizzative e le risorse ad esse attribuite;

sistema di controllo che ha il compito di rilevare il costo delle risorse

utilizzate da ciascuna unità organizzativa, di suddividere tale costo tra i singoli oggetti di costo (attività, prodotti, progetti), di integrare le informazioni contabili sul costo delle risorse con indicazioni extracontabili (volume di attività, livello di servizio, tempi di risposta) per costruire indicatori di efficacia, efficienza ed economicità;

sistema di reporting che evidenzia i risultati delle diverse unità

organizzative e supporta l’analisi degli scostamenti. Tornando al D. Lgs. 286/1999, va sottolineato come l’art. 4 fissi con precisione il “disegno” del controllo di gestione, cioè cosa ciascuna amministrazione deve definire.

In particolare:

• l’ufficio o gli uffici responsabili del controllo, cioè della sua progettazione

e del suo esercizio;

• la determinazione degli obiettivi gestionali e dei soggetti responsabili;

(40)

e le modalità di individuazione degli obiettivi per cui i costi sono stati sostenuti;

• gli indicatori specifici per misurare efficienza, efficacia ed economicità;

• la frequenza di rilevazione delle informazioni.

Il controllo di gestione esercita il governo su ciascuna delle precedenti fasi, infatti:

• fornisce una guida a coloro che sono a capo di un’area o di un centro di

responsabilità;

• non può prescindere dalle scelte fatte in fase di pianificazione ed è

un’analisi di breve termine;

• è composto di un elemento contabile (attraverso una contabilità per centri

di costo) e di un elemento organizzativo che si sostanzia in analisi dei comportamenti e dei risultati;

• è un controllo di tipo analitico teso ad accertare l’adeguatezza della

struttura organizzativa e la coerenza nel comportamento.

2.3.2 Il sistema di controllo e la contabilità finanziaria22

Il sistema di controllo, in particolare, costituisce il “fulcro” del controllo di gestione e si occupa di:

rilevare il costo delle risorse utilizzate da ciascuna unità organizzativa; in

particolare, analizza il costo sia delle risorse controllate direttamente da ciascuna unità, ad esempio il personale proprio, sia di quelle che, pur essendo gestite da altri, consentono l'effettivo funzionamento dell'unità, ad esempio la manutenzione dei locali, i servizi generali;

suddividere il costo delle risorse impiegate dall'unità organizzativa tra i singoli “oggetti di costo”, cioè tra gli oggetti a cui sono stati associati

22 Massimo Anzalone, Indra Macrì, Stefano Siragusa, La nuova contabilità delle pubbliche amministrazioni, Wolters Kluwer, Leggi d'Italia, IPSOA

Riferimenti

Documenti correlati

Avremo allora che se si impiega la capacità produttiva consuntiva (ossia il livello di attività effettivamente realizzato) per determinare la base di riparto dei centri di

Ogni obiettivo operativo è corredato da uno o più indicatori di misurazione (quantitativi, di risultato…) che, insieme al progresso temporale della realizzazione

29 obiettivi di PEG o di miglioramento dei servizi assegnati ad ogni ufficio per i quali non sono state previste fasi intermedie di monitoraggio, ma indicatori di

Condividere le esperienze per conoscere meglio le domande e i bisogni dei nostri figli e capire che fare. 28

b) promuovere il trasferimento della conoscenza e l’innovazione nel comparto dell’olivicoltura pugliese, attraverso: lo stimolo dell’innovazione, della cooperazione e dello

[r]

L'evento vuole raccontare attraverso le esperienze dei relatori e non solo, i diversi contesti di cambiamento vissuti per rispondere ai quesiti e lanciare il messaggio che

A volte, la scelta dell'impostazione ottimale che sembra più semplice non corrisponde alla più economica e viceversa. Occorre valutare tutti i fattori in gioco in quanto una