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Influenza di Body Condition Score, taglia ed età del soggetto nell'intervento di ovariectomia laparoscopica e laparotomica di cagna e gatta e relative complicanze

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Scienze Veterinarie

Corso di Laurea Magistrale in Medicina Veterinaria

Influenza di Body Condition Score, taglia ed età del

soggetto nell’intervento di ovariectomia laparoscopica e

laparotomica di cagna e gatta e relative complicanze

Candidata: Relatore:

Martina Tintorri Prof. Iacopo Vannozzi

Correlatore:

Dott. Marco Melosi

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A te, che mi sei sempre stato vicino nonostante tutte le difficoltà.

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INDICE

RIASSUNTO……….. 7 ABSTRACT………. 8 INTRODUZIONE………... 9 PARTE GENERALE……….. 10

CAPITOLO 1 – ANATOMIA DELL’APPARATO RIPRODUTTORE FEMMINILE……….……….. 10

1.1 Sviluppo embrionale………..………..10

1.1.1 Gonade……….………. 10

1.1.2 Vie genitali………...13

1.1.3 Seno urogenitale………...……….………….16

1.2 Apparecchio genitale della cagna e della gatta………. 17

1.2.1 Ovaie……….………… 18 1.2.2 Tube uterine……….………... 22 1.2.3 Utero……….……… 22 1.2.4 Vagina……….……….. 25 1.2.5 Vestibolo vaginale……….………. 25 1.2.6 Vulva e clitoride……….………. 26

CAPITOLO 2 – TECNICHE CHIRURGICHE DI STERILIZZAZIONE IN CAGNA E GATTA……….………. 28

2.1 Ovariectomia laparotomica……….……….. 28

2.1.1 Preparazione del paziente……….……….28

2.1.2 Incisione cutanea……….……… 29

2.1.3 Celiotomia……….………. 30

2.1.4 Ricerca dell’apparato genitale ed esteriorizzazione dell’ovaio….. 30

2.1.5 Emostasi dell’apporto sanguigno alle ovaie e loro asportazione... 31

2.1.6 Sintesi dei tessuti………. 31

2.2 Ovariectomia laparoscopica………... 32

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2.2.2 Preparazione dell’equipe……… 35

2.2.3 Colonna endoscopica……… 35

2.2.3.1 Sistema video……….. 36

2.2.3.2 Cavo a fibre ottiche……… 37

2.2.3.3 Fonte luminosa………37 2.2.3.4 Insufflatore……….. 38 2.2.4 Strumentario………. 39 2.2.4.1 Ago di Veress………... 39 2.2.4.2 Trocars……….. 40 2.2.4.3 Pinze da presa………. 41 2.2.4.4 Laparoscopio……… 41 2.2.4.5 Elettrobisturi………... 43 2.2.4.6 Dispositivi ad ultrasuoni……….. 44 2.2.4.7 Strumenti da sutura……….. 48

2.2.4.8 Strumenti da irrigazione e aspirazione………. 48

2.2.4.9 Altri strumenti……… 49

2.2.5 Tecnica chirurgica……… 49

2.3 Ovariectomia e ovarioisterectomia a confronto……….…………... 53

CAPITOLO 3 – OBESITÀ E BODY CONDITION SCORE……….. 55

3.1 Fattori di rischio dell’obesità……….55

3.1.1 Razza……….. 55 3.1.2 Fattori genetici………. 56 3.1.3 Età………... 56 3.1.4 Sesso……… 56 3.1.5 Sterilizzazione……….. 57 3.1.6 Trattamenti contraccettivi………. 57 3.1.7 Malattie endocrine………... 57 3.1.8 Trattamenti farmacologici………. 57

3.1.9 Sedentarietà e mancanza di esercizio………. 58

3.1.10 Tipo di cibo……….. 58

3.1.11 Aspetto sociale del cibo………. 59

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3.2.1 Riduzione della longevità………... 60

3.2.2 Affezioni osteoarticolari……….. 60

3.2.3 Intolleranza allo sforzo e problemi cardiorespiratori……….. 60

3.2.4 Diabete mellito………. 61

3.2.5 Riduzione dell’immunità……… 62

3.2.6 Iperlipemia e dislipemia………. 62

3.2.7 Incontinenza e calcoli urinari……… 62

3.3 Diagnosi e valutazione dell’obesità……….. 63

3.3.1 Peso corporeo……….63

3.3.2 Misure morfometriche……….63

3.3.3 Body condition score vs muscle condition score……… 69

3.4 Body condition score e difficoltà chirurgica………... 70

PARTE SPERIMENTALE……… 72

CAPITOLO 4 – SCOPO DEL LAVORO……….72

CAPITOLO 5 – MATERIALI E METODI………. 73

5.1 Pazienti……….. 73

5.2 Tecnica chirurgica………73

5.3 Preparazione dei pazienti……….. 74

5.4 Protocollo anestesiologico………...75

5.5 Analisi statistica……….. 75

CAPITOLO 6 – RISULTATI……… 82

6.1 Test in base al fattore SPECIE……….82

6.1.1 Tempo di accesso in addome……….. 82

6.1.2 Tempo di chirurgia……….. 82

6.1.3 Tempo di risveglio……… 83

6.2 Test in base al fattore BCS……… 84

6.2.1 Tempo di accesso in addome……….. 84

6.2.2 Tempo di pneumoperitoneo……….. 86

6.2.3 Tempo di chirurgia……….. 87

6.2.4 Tempo di risveglio……… 89

6.3 Test in base al fattore TAGLIA……… 91

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6.3.2 Tempo di pneumoperitoneo………93

6.3.3 Tempo di chirurgia……….. 94

6.3.4 Tempo di risveglio……… 96

6.4 Test in base al fattore FASCIA D’Età………. 98

6.4.1 Tempo di accesso in addome……….. 98

6.4.2 Tempo di pneumoperitoneo.……… 100

6.4.3 Tempo di chirurgia……… 101

6.4.4 Tempo di risveglio………. 103

6.5 Test in base al fattore TECNICA……….. 105

6.5.1 Tempo di accesso in addome……… 105

6.5.2 Tempo di chirurgia……… 106

6.5.3 Tempo di risveglio………. 107

6.6 Test in base alle COMPLICAZIONI INTRA OPERATORIE……….. 108

6.6.1 Tempo di accesso in addome……… 108

6.6.2 Tempo di pneumoperitoneo………. 110 6.6.3 Tempo di chirurgia……… 111 6.6.4 Tempo di risveglio………. 113 CAPITOLO 7 – DISCUSSIONE……… 116 CONCLUSIONI……… 118 BIBLIOGRAFIA……… 122 RINGRAZIAMENTI………. 137

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RIASSUNTO

Parole chiave: body condition score, taglia, età, ovariectomia, laparoscopia, laparotomia, cagna, gatta, complicanze.

Questo studio comprende 90 soggetti, di cui 60 cagne sottoposte a ovariectomia laparoscopica, 9 cagne e 21 gatte sottoposte a ovariectomia laparotomica. Il nostro obiettivo è stato quello di valutare se determinati fattori tra cui specie, body condition score, taglia, età del soggetto e tecnica chirurgica influenzano i seguenti parametri: tempo di accesso in addome da parte del chirurgo, tempo di pneumoperitoneo, tempo totale di chirurgia e tempo di risveglio del paziente. Siamo poi andati a verificare se i tempi chirurgici variano significativamente in funzione di quelli che hanno avuto complicanze intra operatorie. Dal nostro studio è risultato che esistono differenze significative dal punto di vista statistico tra cane e gatto. Il body condition score è risultato essere il fattore che influenza maggiormente i tempi di chirurgia e anestesia. Per quanto riguarda la taglia del soggetto, sembra che nelle grandi taglie i tempi operatori aumentino. Sono stati divisi i soggetti in tre fasce di età ed è stato notato che l’età non risulta un fattore che influenza i tempi chirurgici, ma solo quelli di anestesia. La laparotomia è risultata una tecnica più breve rispetto alla laparoscopia. Mentre l’insorgenza di complicanze intra operatorie influisce molto sui tempi di chirurgia e anestesia, aumentandoli.

Nonostante i risultati ottenuti, sarebbe stato utile avere più casi da studiare e utilizzare altri modi, più precisi e oggettivi, per valutare il punteggio di condizione corporea dei singoli soggetti. Purtroppo però, spesso capita che i proprietari non prendono sul serio il nostro lavoro e non si offrono di collaborare con noi, obbligandoci a non aspirare a certi obiettivi.

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ABSTRACT

Keywords: body condition score, size, age, ovariectomy, laparoscopy, laparotomy, bitch, cat, complications.

This study includes 90 individuals, of which 60 bitches subjected to laparoscopic ovariectomy, 9 bitches e 21 cats subjected to laparotomic ovariectomy. Our purpose has been to evaluate if certain factors among which species, body condition score, size, age of the individual and surgical technique affect the following parameters: time of surgeon’s abdominal access, time of pneumoperitoneum, time of total surgery and time of awakening of the patient. Then we check if surgery times change significantly in those who had intra surgery complications. From our study is resulted that there are statistically significant differences between dog and cat. Body condition score has been the most influent factor on surgery and anesthesia times. As regards size, in great sizes surgery times increase. We have divided the individuals in three different age ranges and we observe that age doesn’t affect surgery times, but only anesthesia times. Laparotomy has resulted shorter than laparoscopy. While the onset of intra surgery complications greatly affects on surgery and anesthesia times, increasing them.

Despite our results, it would be useful to have more cases to study and use other more accurate and objective methods, for the evaluation of body condition score of the individuals. But unfortunately, the owners often don’t take serious our studies and they don’t offer to collaborate with us, forcing us not to aim to certain goals.

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INTRODUZIONE

L’ovariectomia è una pratica chirurgica considerata di routine per la sterilizzazione di cagne e gatte. Negli ultimi anni l’ovariectomia laparoscopica è stata considerata sempre più frequentemente una valida alternativa alla chirurgia convenzionale, più nella specie canina che in quella felina, in quanto in quest’ultima si predilige ancora la tecnica chirurgica classica. È noto come in medicina umana la presenza di tessuto adiposo eccessivo nel paziente possa compromettere spesso un intervento chirurgico oppure renderlo del tutto inesplicabile. In medicina veterinaria, invece, non solo la quantità di tessuto adiposo del paziente, ma anche altri fattori possono compromettere un intervento chirurgico, in quanto gli animali a differenza degli esseri umani presentano ad esempio differenze di specie e di taglia. Siamo andati quindi a valutare come diversi fattori, compreso il body condition score, possano influire sui tempi chirurgici e anestetici durante l’intervento che viene eseguito più frequentemente in campo veterinario.

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PARTE GENERALE

CAPITOLO 1 – ANATOMIA DELL’APPARATO

RIPRODUTTORE FEMMINILE

L’apparecchio genitale femminile comprende tre grandi parti:

1) la sezione ghiandolare, costituita dalle ovaie che, in certe specie, abbozzano una migrazione paragonabile a quella dei testicoli; tuttavia, esse restano sempre nella cavità addominale;

2) la sezione tubulare, che forma le vie genitali propriamente dette e presenta tre distretti molto diversi sia per la funzione che per la conformazione. Le tube uterine captano gli oociti e sono la sede della fecondazione. L’utero riceve l’uovo fecondato, portatogli dalle tube uterine, e ne permette l’impianto, protegge il feto e assicura la sua nutrizione durante la gravidanza. La vagina, impari nei mammiferi euteri, è separata dall’utero ad opera di un restringimento detto

cervice o collo uterino e caudalmente si mette in continuità con il seno

uro-genitale;

3) il seno uro-genitale, molto più breve e più largo di quello del maschio, comprende una parte profonda formante il vestibolo della vagina e una regione dell’orificio che costituisce la vulva. Completato dalla vagina, il seno uro-genitale riceve il pene durante l’accoppiamento e dà passaggio al feto al momento del parto (Barone, 2003).

1.1 Sviluppo embrionale

All’inizio del suo sviluppo, l’apparato genitale presenta la stessa costituzione sia nel maschio che nella femmina. La differenziazione incomincia verso la fine del periodo embrionale, un po’ più tardi nella femmina rispetto al maschio, e si accelera a partire dall’inizio del periodo fetale (Barone, 2003).

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La gonade, situata come nel maschio sul lato mediale del mesonefro, non instaura le stesse connessioni con questo, a causa della particolare evoluzione della sua struttura. Come nel maschio, l’epitelio superficiale o germinativo abbozza dapprima cordoni gonadici che poi si frammentano, e le cellule germinali o oogoni si disperdono, trascinando con sé le cellule più piccole e più numerose, con le quali formavano i cordoni. Derivate pure dall’epitelio superficiale, queste ultime si ammassano e si organizzano attorno a oogoni, per costituire con esse altrettanti follicoli primordiali

(Folliculi primordiales). Questi formano ben presto sotto l’epitelio

germinativo uno strato più o meno ispessito, detto corticale primaria, che circonda una massa di tessuto mesodermico, denominata midollare

primaria, in cui penetrano i follicoli midollari (Folliculi midollares).

Successivamente, le due parti presentano un’evoluzione distinta.

Quella della midollare è relativamente semplice. A livello dell’inserzione del legamento della gonade, una piccola massa di cellule mesoblastiche si differenzia come nel maschio ed assume una disposizione reticolata: è la rete

ovarii, omologa alla rete testis ma che non prende alcuna connessione né con

i tubuli mesonefrici né con i cordoni gonadici. Contemporaneamente, o poco dopo, i follicoli midollari degenerano e scompaiono, mentre i vasi provenienti dal legamento della gonade invadono la regione della rete ovarii e, poi, l’insieme di questa midollare secondaria, dove si sviluppa un abbondante tessuto connettivo.

La corticale si accresce verso la metà della gravidanza per la formazione di nuovi follicoli primordiali. Alcuni di questi derivano dalla moltiplicazione di quelli formatisi all’inizio, ma la maggior parte viene prodotta con una seconda generazione di cordoni gonadici generatisi a partire dall’epitelio superficiale. L’insieme di questi follicoli, formanti la corticale secondaria, è sostenuto da uno stroma poco abbondante di natura connettivale e nel quale si sviluppano, in molti mammiferi, ammassi di cellule interstiziali (Interstitiocyti ovarii), che sembrano formarsi per induzione dei follicoli su cellule mesoblastiche e che probabilmente esplicano un ruolo endocrino. La maggior parte dei follicoli degenera ulteriormente e scompare; ne rimane

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comunque un numero elevato, che rappresenta una riserva a spese della quale si svilupperanno, a partire dalla pubertà, i follicoli di cui più avanti descriveremo l’evoluzione. Sembra tuttavia che, in molti mammiferi, la riserva definitiva di follicoli venga raggiunta più tardi ancora, mediante una terza ondata germinativa nel periodo perinatale. È pure possibile che alcune specie possano presentare un’oogenesi tardiva, verso la pubertà o più tardi, a partire da un epitelio superficiale a potenzialità persistente. Quest’ultimo caso, però, è tuttora controverso e costituisce in ogni modo un’eccezione. La differenziazione dell’ovaio termina con lo sviluppo di un sottile involucro di tessuto connettivo addensato, impropriamente denominato tonaca albuginea (Tunica albuginea) e molto più sottile di quella del testicolo. La formazione del tessuto fibroso inizia nella regione della rete ovarii; travate discrete accompagnano i vasi nella midollare e si prolungano nella corticale fra gli ammassi di follicoli, seguendo le modalità dei setti del testicolo, ma sono molto più sottili e incomplete; esse raggiungono la superficie e si prolungano sotto l’epitelio, in un sottile strato addensato. Dal futuro ilo dell’organo, dove si inserisce il meso, un tessuto più fibroso si estende in superficie in alcune specie, isolando dalla corticale sottostante l’epitelio superficiale, il quale assume ormai la struttura del peritoneo. Così, l’estensione di questo epitelio si riduce, mentre il peritoneo e il suo supporto fibroso si estendono. Il limite tra i due campi rimane generalmente evidente sotto forma di una linea limitante che separa due parti di colore un po’ diverso. L’espansione dell’albuginea e del peritoneo varia molto con la specie: raggiunge il suo massimo negli equidi, il cui ovaio presenta una morfogenesi molto particolare.

Contemporaneamente al differenziamento della sua struttura, l’ovaio acquista a poco a poco i suoi mezzi di fissità e la sua topografia definitiva. Dapprima possiede le stesse connessioni della gonade maschile e il legamento gonadico è una semplice dipendenza di quello del mesonefro. Al momento della regressione di quest’ultimo, il legamento diventa più ampio e forma un vero e proprio mesovario; si mette in diretta continuità con il legamento diaframmatico e, caudalmente, con il legamento urogenitale, di

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modo che l’insieme costituisce il legamento largo (Ligamentum latum uteri), che sostiene tutto il tratto genitale e del quale il mesovario ne è soltanto una parte. Tuttavia, a livello dell’ovaio, la parte del legamento uro-genitale che sostiene l’inizio del condotto paramesonefrico, da cui deriverà la tuba uterina, rimane distinta dal mesovario, benché prenda attacco in comune con quest’ultimo sulla regione lombare e si unisca ad esso cranialmente e caudalmente all’ovaio. Il legamento largo resta quindi sdoppiato a questo livello in una lamina mediale, formante il mesovario, e in una lamina laterale, o mesosalpinge, che porta la tuba uterina. La cavità che persiste fra le due lamine costituisce la borsa ovarica (Bursa ovarica), diversamente sviluppata a seconda della specie. In molti mammiferi, il mesosalpinge si estende al di là della tuba uterina per andare ad avvolgere più o meno l’ovaio; quest’espansione è massima nei carnivori, in cui il mesosalpinge, avvolgendo l’ovaio, si va ad attaccare con il suo margine libero sulla faccia mediale del mesovario, lasciando persistere soltanto una comunicazione sovente stretta (cagna) tra la borsa ovarica e la cavità generale del peritoneo. In alcune specie la borsa ovarica è persino completamente chiusa. Nel legamento largo si sviluppa, d’altra parte, un cordone connettivo-muscolare, che si estende dall’estremità uterina dell’ovaio fino alla regione inguinale e costituisce l’omologo del gubernaculum testis. Questo cordone dà origine al legamento proprio dell’ovaio e al legamento rotondo dell’utero, equivalente alla piega inguinale del maschio e che, come questa, si prolunga nello spazio inguinale. Nei carnivori si abbozza persino un processo vaginale del peritoneo, analogo a quello maschile. In molti mammiferi (equidi, carnivori, coniglia), queste formazioni non si evolvono e l’ovaio di solito non va incontro ad alcuna migrazione; rimane, così, vicino al polo caudale del rene. In altre specie, la gonade effettua in direzione della regione inguinale una discesa limitata, che la porta nella regione iliaca (donna) o in vicinanza del pube (ruminanti, suidi); essa rimane, tuttavia, sempre nell’addome e si impegna nello spazio inguinale soltanto come anomalia (Barone, 2003).

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Le vie genitali della femmina derivano dal condotto paramesonefrico, un tempo chiamato “canale di Müller”, di cui abbiamo già descritto la comparsa e la disposizione. Questo condotto coesiste dapprima con il condotto mesonefrico; la sua estremità craniale è larga, appesa lateralmente alla gonade per mezzo del legamento del mesonefro e si apre nella cavità celomatica mediante un orificio che si mantiene libero e beante. Più caudalmente, questo condotto si situa sul margine laterale del condotto mesonefrico e con questo forma il cordone genitale, portato dal legamento uro-genitale. Vicino alla sua estremità caudale, esso incrocia ventralmente quello mesonefrico, per andare a sboccare nel seno uro-genitale, proprio in vicinanza del suo omologo del lato opposto. Nella femmina il condotto mesonefrico regredisce e persistono soltanto delle vestigia esili e variabili. In alcune specie (pecora, donna), alcuni duttuli mesonefrici e la parte corrispondente del condotto persistono a livello dell’ovaio e costituiscono l’epooforon. Un po’ più cranialmente, possono persistere alcuni condotti aberranti e un’appendice vescicolosa, omologa dell’appendice dell’epididimo. Più caudalmente, un altro gruppo di tubuli mesonefrici può dare origine al

paraooforon. L’estremità caudale del condotto mesonefrico persiste in molte

specie (in particolare nella vacca) sotto forma del condotto longitudinale

dell’epooforon, o “condotto di Gartner”, che si apre nel seno uro-genitale un

po’ lateralmente all’ostio esterno dell’uretra.

I condotti paramesonefrici assumono dapprima rapidamente la loro disposizione caratteristica; poi, la loro evoluzione procede più lentamente e, dopo una certa attivazione nel periodo perinatale, termina soltanto alla pubertà. La parte craniale di questi condotti è la prima a comparire, ed inizialmente è la più larga, ma successivamente si modifica. L’estremità caudale, al contrario, è esile all’inizio e in seguito si unisce alla sua omologa del lato opposto nei mammiferi euteri. La parete del seno uro-genitale subisce a questo livello un rimodellamento, che porta la terminazione dei due condotti a fondersi dorsalmente all’uretra. Questo orificio mediano è situato sulla sommità di un rilievo che fa salienza nel seno, il tubercolo

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omologo del collicolo seminale del maschio. A partire da questo punto, la fusione procede in direzione craniale, di modo che l’insieme dei due condotti disegna ben presto una Y, la cui branca mediana costituisce il primordio della vagina. Questo dapprima non è cavitato, poiché l’epitelio paramesonefrico forma una colonna assiale piena, inguainata dal mesoblasto; un po’ più tardi, questa colonna si disgrega e le pareti della cavità in via di formazione sono rivestite da cellule d’origine endodermica, provenienti dal seno uro-genitale. L’epitelio vaginale in seguito andrà incontro alla stessa evoluzione di quello del seno uro-genitale e, come questo, diventerà pavimentoso stratificato. Il limite tra le due parti resterà tuttavia segnato da una cresta anulare o da un diaframma più o meno netto derivato dal tubercolo sinuale e formante l’imene.

I due condotti paramesonefrici possono restare indipendenti cranialmente alla vagina; in tal caso sono presenti due uteri che sboccano nella vagina ciascuno mediante una cervice distinta. L’utero duplice è tipico dei lagomorfi (coniglia), di alcuni chirotteri e, fra i carnivori, di certi viverridi. In quasi tutti gli euteri, l’unificazione si estende in direzione craniale al di là della vagina; si ha allora sempre un collo uterino unico e l’utero è semplice almeno nella sua parte caudale. In un primo grado d’estensione, questa parte unificata, o corpo dell’utero, è molto corta ed è prolungata da due corna uterine assai lunghe; un tale utero bipartito, ancora quasi duplice, è presente in moltissime specie, in particolare nei roditori, nei carnivori, nei suidi e nei ruminanti. Nell’utero bicorne, il corpo dell’organo è molto più sviluppato e lungo quasi quanto le corna; questo tipo si realizza nei perissodattili (in particolare nella cavalla), nei cetacei, nei sirenii e nei proboscidati. Infine, l’utero semplice è totalmente unificato; di norma breve e arrotondato, riceve una tuba uterina da ciascun lato; lo si rinviene negli sdentati e nella maggior parte dei primati, compresa la specie umana.

Come regola generale, l’utero non è subito distinto. Esiste dapprima un utero-vagina, che viene suddiviso in seguito dallo sviluppo del collo uterino e del fornice vaginale. L’utero non acquista che solo più tardi caratteri strutturali che gli sono propri. Dapprima si presenta come un tubo a parete

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sottile, formato da un epitelio semplice, cubico o prismatico, e da una guaina mesoblastica nella quale si differenziano la tonaca propria della mucosa, l’involucro connettivale sottoperitoneale e, tra questi due, una tonaca muscolare liscia. Quest’ultima forma un sistema continuo, dalle tube uterine alla vagina inclusa; tuttavia, a livello dell’utero, essa presenta uno sviluppo molto maggiore che negli altri segmenti e si rinforza in particolare nel collo uterino. Infine, verso la fine del periodo fetale, l’epitelio dell’utero invia nella tonaca propria numerose ghiandole che mancano nelle tube e nella vagina. Queste ghiandole rimangono strette, brevi e rettilinee fino all’epoca della pubertà, in cui si sviluppano poi completamente. La parte craniale dei condotti paramesonefrici non si unifica mai e forma da ciascun lato una tuba

uterina, la cui evoluzione comporta poche modificazioni. L’orificio iniziale di

tale parte rimane aperto a livello dell’ovaio, sulla faccia mediale del mesosalpinge e quindi nella borsa ovarica; esso si mostra frastagliato per la presenza di frange o fimbrie dovute alla proliferazione della mucosa del suo bordo, il quale è attaccato all’ovaio soltanto mediante una di esse, la fimbria

ovarica (Barone, 2003).

1.1.3 Seno uro-genitale

Questo seno va incontro, nella femmina, a modificazioni molto meno imponenti che nel maschio. La sua evoluzione è particolarmente semplice nelle specie domestiche, mentre è un po’ più complessa negli altri mammiferi. È un condotto dapprima stretto, all’estremità craniale del quale si aprono la vagina e l’uretra. Prolunga dapprima direttamente quest’ultima, essendo il limite tra il canale vescico-uretrale ed il seno uro-genitale segnato dal rilievo del tubercolo sinuale sulla parete dorsale. Poi, diventando lo sviluppo della vagina preponderante, questo si situa nel prolungamento del seno uro-genitale, la cui parte profonda diventa il suo

vestibolo (vaginale), mentre l’uretra viene spostata ventralmente.

Relativamente lungo nei mammiferi domestici, il seno uro-genitale resta molto breve nella specie umana, di modo che il vestibolo è poco profondo e l’ostio esterno dell’uretra è quasi riportato nella regione degli orifici. La

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parte caudale del seno, che si apre all’esterno mediante l’ostio uro-genitale, forma la vulva, la quale è inquadrata come nel maschio dai due tubercoli labio-scrotali, che si uniscono ventralmente sul tubercolo genitale. Quest’ultimo si accresce molto poco in proporzione e costituisce il clitoride, omologo del pene ma molto più piccolo e privo di ogni connessione con l’uretra, almeno nelle specie di cui ci occupiamo. I margini del solco uro-genitale (pieghe uro-genitali) si sollevano e formano due labbra che circondano la fessura della vulva. In alcune specie (donna, coniglia), sono queste le piccole labbra, sottili e poco salienti, che lateralmente sono coperte da due grandi labbra, derivate dai tubercoli labio-scrotali. Negli ungulati, questi ultimi si fondono con la base delle pieghe uro-genitali e, pertanto, è presente un solo paio di labbra; quasi la stessa cosa si osserva nei carnivori, ma la cagna mostra una disposizione intermedia (Barone, 2003).

1.2 Apparecchio genitale della cagna e della gatta

La cagna e la gatta sono biestrali, con due stagioni sessuali di un solo ciclo ciascuna, il primo verso la fine dell’inverno e l’altro al termine dell’estate. Tuttavia, esistono variazioni individuali e di razza, soprattutto nella gatta, la quale può presentare un ciclo intermedio tra i due periodi oppure 2-3 cicli in una stessa stagione. La pubertà avviene tra i 6 e i 10 mesi di età. La durata dell’estro è maggiore che negli altri mammiferi domestici e le manifestazioni che gli sono associate durano anch’esse di più, perché cominciano fin dal proestro. Nella cagna, la durata di tale periodo si estende per 15-22 giorni, di cui 7-12 gg. spettano all’estro propriamente detto, caratterizzato dall’accettazione del maschio. In questa specie, l’ovulazione è spontanea e il numero dei cuccioli varia da 3 a 10 a seconda della razza e delle condizioni d’allevamento. Nella gatta, i calori durano una settimana circa, di cui 2-3 giorni spettano all’estro propriamente detto. L’ovulazione è indotta ed avviene circa 26 ore dopo l’accoppiamento. Il numero di piccoli varia da 3 a 5 (Barone, 2003).

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Figura 1.1 Apparato genitale femminile (Veterinary surgery small animal, Karen M. Tobias, Spencer A.

Johnston).

1.2.1 Ovaie

Nei giorni seguenti alla nascita e in entrambe le specie, esiste un’attiva formazione di cordoni genitali e di follicoli a partire dall’epitelio superficiale. Nella cagna, le cellule follicolari si moltiplicano sin dalla fine della seconda settimana di vita, ma i primi follicoli vescicolosi non sono visibili prima dei 6 mesi. Non avviene alcuna migrazione delle ovaie, che pertanto nell’adulto si trovano in vicinanza dell’estremità caudale dei reni.

Nella cagna adulta, le gonadi sono molto più lunghe che larghe e sono un po’ appiattite da un lato all’altro. In una cagna di taglia media, ogni ovaio è lungo da 15 a 20 mm, alto 10-15 mm e spesso 8-10 mm; il suo peso può variare da 1 a 3 g. È grigio-rosa, quasi liscio nei periodi di riposo sessuale, irregolare e bozzellato, per la presenza di numerosi follicoli, nella stagione d’attività. L’ilo è poco pronunciato e non viene oltrepassato dal peritoneo. Ogni ovaio è situato a breve distanza dal polo caudale del rene corrispondente, a livello della terza o quarta vertebra lombare. A causa della

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differente situazione dei reni, in animali di media taglia, l’ovaio sinistro si trova generalmente ad appena 1 cm dal rene, mentre il destro, di solito un po’ più craniale, ne dista 2-3 cm. Entrambe le ovaie sono situate 6-8 cm caudalmente all’ultima costa e ad appena 1 cm dall’estremità corrispondente del corno uterino. Completamente avvolto dalla borsa ovarica, ogni ovaio è applicato, a causa della pressione degli altri visceri, contro la parete lombare, vicino al margine laterale di questa e qui si imprime contro il peritoneo parietale infiltrato di grasso. A destra, la gonade è situata dorsalmente al pancreas e alla parte discendente del duodeno; a sinistra, è dorso-laterale rispetto al colon discendente e, in genere, un po’ più profonda, cioè più allontanata dalla parete del fianco. Occorre sottolineare che, dai due lati, l’ovaio è situato all’esterno dell’involucro che il grande omento costituisce per la maggior parte dell’intestino e che, d’altra parte, la sua situazione è più ventrale e un po’ più variabile nelle femmine che hanno avuto parecchie gravidanze.

Il mesovario prossimale è alto 3-4 cm, ma la sua inserzione parietale si prolunga lateralmente al rene fino al diaframma, sotto l’ultima o le ultime due coste; ne risulta che il legamento sospensore dell’ovaio, cilindroide e che occupa il suo margine libero cranialmente alla borsa ovarica, è lungo e quasi orizzontale. Il mesovario distale al contrario è cortissimo, ispessito e ricco di cellule muscolari lisce; è quasi ridotto ad una semplice aderenza dell’ovaio nella volta della borsa ovarica. Quest’ultima è relativamente vasta, lunga 2-3 cm ed alta 2-3-4 cm, ma è quasi completamente chiusa; la sua parete è formata da un mesosalpinge molto esteso, che si ribalta ventralmente alla gonade e a ciascuna delle estremità di questa, per andarsi ad inserire dorsalmente alla faccia mediale del mesovario, lasciando persistere soltanto una strettissima apertura, lunga in media 8-9 mm appena. Quest’orificio non consente mai l’esteriorizzazione dell’ovaio e, per avere accesso alla gonade, è necessario allargarlo. Abbondante tessuto adiposo occupa lo spessore del mesosalpinge, di modo che l’ovaio non è mai visibile attraverso la sua borsa, tranne che nei soggetti giovani per una piccola parte della sua parete laterale. Il legamento proprio dell’ovaio è in gran parte alloggiato

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nella borsa ovarica; solamente la sua parte caudale, molto breve e ispessita, è visibile tra quest’ultima e l’estremità adiacente del corno dell’utero. Infine, la fimbria ovarica è breve, larga e ispessita e l’epitelio tubarico si prolunga fin sull’ovaio, dove si unisce per transizione all’epitelio superficiale. La struttura è caratterizzata dalla grande estensione della zona vascolare, circondata da una zona parenchimatosa molto più sottile. L’epitelio superficiale è formato da cellule relativamente alte. I cordoni gonadici si frammentano spesso incompletamente, lasciando sussistere follicoli pluri-ovulari o, persino, una continuità fra follicoli primari adiacenti. Nel proestro, il numero di follicoli che entrano in maturazione varia con la razza: sono 5-8 nelle femmine di piccola taglia e 10-15 in quelle di grande taglia. I follicoli maturi raggiungono 4-5 mm di diametro e sporgono sulla superficie. Le modificazioni progestative della granulosa si manifestano anche prima della deiscenza follicolare, la quale non avviene contemporaneamente in tutti i follicoli, poiché le ovulazioni sono intervallate di parecchie decine d’ore e l’emissione dei polociti è particolarmente tardiva. I corpi lutei si sviluppano in circa una settimana e raggiungono 5-6 mm di diametro. Il periodo di piena attività dura una ventina di giorni. Di norma, non esistono follicoli cistici, ma talora si rinvengono follicoli emorragici. L’interstizio è diffuso e, spesso, difficile da distinguere. In corrispondenza dell’ilo, esiste una rete ovarii a maglie fitte.

L’ovaio è irrorato dall’arteria ovarica, che nasce dalla parte caudale dell’aorta addominale e si porta nel margine craniale del legamento largo. Verso la metà del suo decorso, emette un grosso ramo uterino (un tempo denominato “arteria tubo-uterina”, o “uterina craniale”), poi discende nel mesovario prossimale descrivendo delle ampie flessuosità, più numerose nelle femmine che hanno avuto più gravidanze. Prima di entrare nel mesovario distale, l’arteria ovarica origina un ramo tubarico più sottile, che costeggia la tuba uterina e va ad anastomizzarsi nel mesosalpinge, con un ramo (arteria tubarica media) del predetto ramo uterino. Passa in seguito nel mesovario distale e raggiunge l’ilo, attraverso il quale penetra nell’ovaio. L’arteria ovarica, poco flessuosa, termina triforcandosi un po’ dorsalmente

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alla borsa ovarica. Un ramo craniale accompagna il legamento sospensore dell’ovaio e si perde nell’estremità corrispondente del mesovario. Un ramo uterino, più grosso, si porta caudalmente nel legamento largo. Il ramo intermedio è la continuazione diretta dell’arteria ovarica; raggiunge l’ilo fornendo delle divisioni esili e numerose, che si fanno assai flessuose nella zona vascolare. Le vene ovariche confluiscono assai presto di modo che il plesso venoso ovarico è molto breve (Barone, 2003).

La vena dell’ovaio destro si riversa direttamente nella vena cava caudale, mentre quella dell’ovaio sinistro confluisce nella vena renale sinistra. Il sistema linfatico drena nei linfonodi lombari. I nervi che accompagnano i vasi ovarici, i follicoli ovarici e il tessuto interstiziale, derivano dalla branca parasimpatica del sistema nervoso autonomo, sono quindi pervasi dall’innervazione parasimpatica (Tobias, 2012).

L’ovaio della gatta è lungo 8-10 mm e alto 5-6 mm. È roseo e meno irregolare in superficie rispetto a quello della cagna. La sua posizione, paragonabile a quella riscontrata in questa specie, è tuttavia un po’ più profonda e più lontana dalla parete del fianco, ma sempre esterna rispetto al grande omento. Situato in contatto con il peritoneo parietale e impresso nell’abbondante tessuto adiposo della regione lombare, l’ovaio si trova ad appena 1 cm dall’estremità caudale del rene e a circa 5 mm dall’estremità corrispondente del corno uterino. Comparativamente all’ovaio della cagna, le differenze più consistenti riguardano i mezzi di fissità e la struttura. La borsa ovarica in effetti è largamente aperta e la gonade può essere esteriorizzata molto facilmente. Il mesosalpinge, ampio e lasso, è di solito sprovvisto di grasso e trasparente e, quindi, l’ovaio è facilmente visibile. L’organizzazione interna è caratterizzata dalla ridottissima estensione della zona vascolare, dall’assenza abituale di follicoli pluri-ovulari, dall’elevato numero di follicoli primordiali sotto l’albuginea e dal grande sviluppo dell’interstizio. Quest’ultimo è formato da ammassi, numerosi e compatti, di grosse cellule poliedriche e chiare, molti piccoli gruppi delle quali si trovano pure nella teca dei follicoli. Questi ultimi quando sono maturi misurano circa 2 mm di diametro; poiché in questa specie l’ovulazione è provocata, essi

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degenerano se non c’è stato l’accoppiamento. Quando quest’ultimo ha avuto luogo, l’ovulazione avviene 25-27 ore più tardi. I corpi lutei si sviluppano in 6 giorni circa ed il loro periodo di massima attività dura una dozzina di giorni (Barone, 2003).

1.2.2 Tube uterine

Ogni tuba uterina, quasi priva di flessuosità, è lunga da 6 a 10 cm nella cagna e da 4 a 6 cm nella gatta. Il suo calibro è quasi uniforme e, in entrambe le specie, è dell’ordine di 1,5 mm a livello dell’ampolla e di 1 mm in corrispondenza dell’istmo. La cavità mostra solo un numero ridotto di pieghe tubariche, poco elevate e poco complicate.

Nella cagna, l’infundibolo, a forma d’imbuto, ha un diametro di soli 5-8 mm; si apre medialmente all’ovaio, sul margine ventrale dello stretto orificio della borsa ovarica, attraverso la quale frequentemente traspaiono alcune delle sue fimbrie. L’ampolla si dirige dapprima in direzione craniale nella parete della borsa ovarica, poi in direzione ventrale, prima di risalire nella parete laterale per ritornare a livello dell’ovaio, dove le fa seguito l’istmo. La terminazione di quest’ultimo è segnata da un impianto netto sull’estremità del corno uterino, il quale accoglie una breve parte uterina. L’ostio uterino della tuba è stretto, aperto su un piccolo tubercolo, basso e incompletamente diviso in minuscole caruncole.

Nella gatta, l’infundibolo è molto più largo in proporzione ed è situato ventro-medialmente all’ovaio, che esso può ricoprire in gran parte. L’ostio addominale si trova a livello dell’estremità tubarica della gonade. L’ampolla si estende in proporzione per un tratto più lungo cranialmente all’ovaio, ma discende meno ventralmente. L’istmo e la parte uterina sono disposte come nella cagna (Barone, 2003).

1.2.3 Utero

I carnivori presentano un utero bipartito, con corna strette e lunghe. Queste, in una cagna di taglia media, misurano 12-16 cm di lunghezza per 8-9 mm di larghezza, mentre il corpo non supera 3-4 cm ed il collo 1,5-2 cm di

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lunghezza; queste due ultime parti hanno un diametro di 1 cm circa. Generalmente, il corno destro è un po’ più lungo di quello sinistro. Nella gatta, le dimensioni sono in media: 9-11 cm di lunghezza per 3-4 mm di larghezza per quanto riguarda le corna; 2 cm per il corpo; 5-8 mm per il collo uterino. Le corna uterine hanno un calibro uniforme e si estendono, descrivendo una lieve curva a concavità dorsale, dalle vicinanze dei reni alla faccia dorsale della vescica, cranialmente all’entrata del bacino; la loro curvatura è un po’ più marcata nelle femmine che hanno avuto gravidanze. L’apice è arrotondato all’estremità e la tuba uterina vi si impianta in maniera netta, un po’ obliquamente. La base delle due corna si unisce ad angolo acuto. Il corpo costituisce con la cervice un insieme cilindroide di calibro uniforme.

La cavità uterina è tappezzata da una mucosa ispessita, compatta, grigio-rossastra o bruna e, nella cagna, talora pigmentata a tratti. Questa mucosa si solleva in pieghe poco elevate, longitudinali, ondulate e irregolari nella cagna, e a disposizione spiralata nella gatta. Il velo uterino è breve e, nella cagna, non supera 1 cm di lunghezza. Il canale cervicale, lungo in questa specie 1,5 cm circa e provvisto soltanto di pieghe assai ridotte, si inizia vicino alla parete dorsale del corpo uterino mediante un ostio interno imbutiforme; è fortemente obliquo in direzione ventro-caudale, di modo che l’ostio esterno dell’utero è girato verso il pavimento della vagina. La porzione vaginale del collo è in effetti bordata da un fornice della vagina profondo ventralmente, ma interrotto dorsalmente da una piega ispessita, che mette la porzione stessa in continuità diretta con la parete dorsale della vagina. Questa porzione è arrotondata, sporgente per circa 1 cm e spessa 7-8 mm; il suo versante esterno è liscio nella cagna e finemente pieghettato nella gatta.

Di norma, le corna uterine sono applicate contro la parete del fianco, il più spesso con l’interposizione del grande omento. Il loro apice si trova vicino alla regione lombare a livello della quarta-quinta vertebra di questa regione. Le corna diventano in seguito più ventrali e più profonde, per incorniciare il colon discendente. Il corno sinistro costeggia d’altronde quest’ultimo, mentre

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il destro si trova vicino all’ileo e alla parte discendente del duodeno; entrambe, inoltre, sono in rapporto con le circonvoluzioni del digiuno. Il corpo e il collo presentano i soliti rapporti con la vescica e con la terminazione del colon discendente.

I legamenti larghi sono poveri di cellule muscolari lisce, ma infarciti di grasso nella cagna, mentre ne sono quasi sprovvisti nella gatta. La loro inserzione lombo-sacrale è assai lunga, come pure il margine ventrale. Quest’ultimo, caudalmente alla borsa ovarica, è attaccato sul margine dorsale del corno corrispondente, poi dorsalmente al corpo e al collo, dove i due legamenti quasi si uniscono. Il margine craniale è assai breve, avendosi l’altezza massima del legamento a livello della parte media del corno uterino. Dalla faccia laterale di ogni legamento largo si stacca un ampio meso secondario, anch’esso infarcito di grasso nella cagna, e il cui margine libero porta un robusto legamento rotondo dell’utero. Quest’ultimo si inizia sul corno uterino, vicinissimo all’apice, e si impegna con l’altra estremità nello spazio inguinale; è accompagnato fin là da un processo vaginale del peritoneo che, di solito, gli forma attorno una profonda fossetta o persino un piccolo canale. Nella cagna, il legamento rotondo dell’utero è circondato da una guaina di tessuto connettivo adiposo e frequentemente può venir seguito oltre la regione inguinale, fino nel labbro corrispondente della vulva. Dalla faccia laterale dei legamenti larghi si staccano pure i legamenti laterali della vescica, che circoscrivono un ampio e profondo fondo cieco vescico-uterino.

Il miometrio è relativamente sottile e l’endometrio ispessito. Le ghiandole uterine sono meno ramificate e più sparse che negli ungulati. Nella cagna esistono inoltre, tra le precedenti, ghiandole molto brevi limitate alla parte più superficiale dell’endometrio, denominate “cripte”. Nella gatta sono presenti cripte uterine anfrattuose, separate da pieghe strette che, durante l’estro, diventano alte, complicate e come frangiate; d’altra parte, questa specie possiede delle ghiandole cervicali, che mancano nella cagna.

La vascolarizzazione arteriosa viene assicurata, da ciascun lato, da una lunghissima arcata, formata dal ramo uterino dell’arteria ovarica, qui

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voluminosa, e dall’arteria “uterina”, emessa dall’arteria vaginale; da questa vasta arcata anastomotica, alloggiata nel quarto ventrale del legamento largo, si staccano in maniera irregolare esili rami ascendenti per questo legamento e rami discendenti molto più voluminosi, in numero di 6-8, che pervengono in vicinanza dell’utero e formano a questo livello una serie di arcate anastomotiche secondarie e sottili, dalle quali derivano gli ultimi rami uterini. Le vene ripetono abbastanza fedelmente la disposizione delle arterie: una voluminosissima arcata venosa fa capo cranialmente alla vena ovarica e caudalmente alla vena vaginale (Barone, 2003).

1.2.4 Vagina

La vagina è molto lunga, soprattutto nella cagna, in cui misura 12-15 cm nei soggetti di taglia media; nella gatta, la lunghezza è di 2-3 cm. La cavità vaginale è nettamente più stretta nella parte craniale che vicino al vestibolo. La sua mucosa si presenta pallida, con pieghe che non scompaiono e che sono numerose, sinuose e prevalentemente longitudinali. Il fornice è semilunare e incompleto dorsalmente, ma profondo, in media, una quindicina di millimetri nella sua parte ventrale. L’imene è generalmente rudimentale e sembra un po’ meglio abbozzato nelle razze di piccola mole. L’uretra femminile, assai lunga, determina un rilievo longitudinale sul pavimento vaginale. Il peritoneo ricopre quasi la metà craniale dell’organo (Barone, 2003).

1.2.5 Vestibolo vaginale

Lungo 5-6 cm nella cagna e 10-15 mm nella gatta, questo condotto è rivestito da una mucosa liscia, rosso-bluastra e molto più scura di quella della vagina; numerosi noduli linfatici sollevano la superficie di tale rivestimento. L’ostio esterno dell’uretra ha la forma di una breve fessura longitudinale; nella cagna è portato da un grosso tubercolo uretrale, il quale si prolunga in un ispessito rilievo medio-ventrale, che si attenua rapidamente in direzione caudale. Da una parte e dall’altra di questo rilievo, sono situati in una larga depressione longitudinale, gli orifici di numerose ghiandole vestibolari

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minori, che sono lunghe e si insinuano fino tra i fasci del muscolo costrittore del vestibolo. Inoltre, da ciascun lato dell’ostio uretrale si osserva una piccola depressione allungata, che occupa il sito del condotto longitudinale dell’epooforon, il quale manca. Nella gatta, il tubercolo uretrale è poco distinto e un profondo solco prolunga caudalmente l’ostio esterno dell’uretra. Le ghiandole vestibolari maggiori non esistono nella cagna, ma sono presenti nella gatta, nella quale ognuna è lunga circa 5 mm e possiede un condotto che sbocca a metà lunghezza del vestibolo, vicino al piano ventrale di questo. La cagna possiede un bulbo del vestibolo ben delimitato ed alto 10-15 mm, nonché un ricco plesso venoso su tutta l’estensione della mucosa vestibolare. Nella gatta, il bulbo non è distinto, ma il plesso venoso è più sviluppato e più fitto (Barone, 2003).

1.2.6 Vulva e clitoride

Le labbra della vulva sono grosse. Nella cagna si uniscono in corrispondenza di una commessura dorsale un po’ arrotondata, spesso sormontata da una piega cutanea trasversale, situata nel prolungamento della sinfisi pelvica; la commessura ventrale è appuntita e portata da un’appendice conica, diretta ventro-caudalmente. Nella gatta, la commessura dorsale è meno acuta e quella ventrale più arrotondata. In entrambe le specie, ogni labbro è costeggiato, lateralmente alla sua base, da un rilievo cutaneo ispessito e poco saliente, che forse equivale alle grandi labbra della coniglia e della donna. La pelle della faccia laterale, di norma pigmentata, è ricoperta da fitti peli, di solito corti nella cagna, e particolarmente lunghi nella gatta. Infine, occorre rilevare che il processo vaginale del peritoneo si prolunga in certi soggetti fin dentro la base delle labbra della vulva. Il clitoride è molto sviluppato. Nella cagna, i suoi pilastri sono esili, ma lunghi 2-3 cm; il corpo ha una lunghezza di 4 cm circa. Quest’ultimo è relativamente largo e porta un rilievo mediano sulla sua faccia ventrale. Il glande è ben sviluppato, ma è quasi invisibile in condizioni di riposo, perché si ritira sotto il fondo della fossa del clitoride, dove sporge solo durante l’erezione. La struttura è caratterizzata dallo stato rudimentale del setto e dall’abbondanza di tessuto

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adiposo nelle trabecole, le quali, nelle sezioni occupano più spazio del tessuto erettile. La fossa del clitoride, profonda circa 2 cm, mostra sul pavimento numerose piccole pieghe della mucosa, delimitanti alcune areole; la sua parete dorsale, alta un po’ di più di 1 cm, forma sul piano mediano un piccolo tubercolo, che non deve essere confuso con il glande del clitoride. Nella gatta, i pilastri sono lunghi 8-10 mm; il corpo del clitoride misura 1 cm circa di lunghezza e 2 mm di spessore. Il glande è quasi assente ed è formato da un piccolo strato di tessuto fibro-elastico. Il setto è meglio sviluppato che nella cagna e in esso si differenzia un nucleo cartilagineo di alcuni millimetri il quale ricorda l’osso penieno del maschio. La fossa del clitoride è stretta ma relativamente profonda e, nel suo fondo, sporge il rilievo conico del rudimento del glande (Barone, 2003).

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CAPITOLO 2 – TECNICHE CHIRURGICHE DI

STERILIZZAZIONE IN CAGNA E GATTA

La chirurgia dell’apparato riproduttore femminile comprende una varietà di tecniche messe in atto per la soppressione dei calori ed il controllo delle nascite, o per trattare o prevenire determinate malattie degli organi riproduttivi. L’indicazione primaria per la chirurgia del tratto riproduttivo è limitare la riproduzione, ma può anche essere fatta per soccorrere un parto distocico, prevenire o trattare tumori influenzati dagli ormoni riproduttivi (ad esempio i tumori mammari), controllare certe malattie del tratto riproduttivo (piometra, metrite) ed aiutare a stabilizzare malattie sistemiche (come diabete ed epilessia). La sterilizzazione è eseguita negli animali anche per evitare o alterare anormalità legate al comportamento e per ricostruire tessuti traumatizzati, ammalati o malformati (Fossum, 2012).

Per gonadectomia chirurgica si intende la rimozione delle gonadi sotto anestesia generale. Viene eseguita rimuovendo entrambe le ovaie (ovariectomia) o entrambe le ovaie più l’utero (ovarioisterectomia), attraverso un accesso addominale mediano o paramediano. Queste tecniche possono essere eseguite anche per via laparoscopica (Langley-Hobbs et al., 2013).

2.1 Ovariectomia laparotomica

L’ovariectomia consiste nell’asportazione chirurgica delle ovaie (gonadi femminili), che sono localizzate in addome nella regione lombare, caudalmente ai reni. Prima di procedere alla loro asportazione, le ovaie devono essere isolate e deve essere interrotto l’apporto sanguigno. Dopo l’asportazione, si procede alla sutura della parete addominale e della cute.

2.1.1 Preparazione del paziente

Prima di una chirurgia elettiva, gli adulti devono essere tenuti a digiuno da 12 a 18 ore e i pazienti pediatrici da 4 a 8 ore. L’animale viene posizionato in

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decubito dorsale con i quattro arti legati al tavolo operatorio e l’addome viene tosato dal processo xifoideo dello sterno fino al pube, la vescica urinaria viene svuotata oppure viene inserito un catetere urinario e il campo operatorio preparato in modo asettico. Occorre sottolineare che i tessuti del giovane sono più fragili dei tessuti dell’adulto e quindi devono essere manipolati delicatamente (Fossum, 2012).

Nella mia esperienza presso la clinica Melosi ho notato che gatte soggette a ovariectomia per via laparotomica generalmente non vengono intubate, poiché la rapidità della tecnica non lo richiede, a differenza delle cagne in cui i tempi di chirurgia risultano maggiori.

Foto personale eseguita presso Clinica Veterinaria Melosi.

2.1.2 Incisione cutanea

Una volta eseguito il drappeggio, viene identificato l’ombelico ed effettuata l’incisione chirurgica caudalmente a questo, a livello del terzo craniale dell’addome caudale. In cagne con torace ampio o in quelle con un grande utero, estendere l’incisione cranialmente o caudalmente per permettere l’esteriorizzazione del tratto senza eccessiva trazione. L’incisione chirurgica deve comprendere cute e sottocute, per mettere in evidenza la linea alba. Eventualmente aiutarsi con delle forbici da dissezione Metzenbaum per scollare i tessuti (Fossum, 2012).

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2.1.3 Celiotomia

Una volta individuata la linea alba, fare un’incisione con bisturi impugnato “a lama evertente” per accedere alla cavità addominale. A questo punto estendere la linea di incisione cranialmente e caudalmente con forbici Mayo. Applicare delle pinze Allis da entrambi i lati della breccia operatoria per sollevare i tessuti (Fossum, 2012).

2.1.4 Ricerca dell’apparato genitale ed esteriorizzazione dell’ovaio

La ricerca dell’utero può essere effettuata sia manualmente inserendo le dita lungo la parete addominale che tramite un uncino da ovariectomia. Inserire il dito indice o l’uncino attraverso la breccia operatoria e percorrere la parete addominale del proprio lato, allontanando i visceri dalla parete, fino alla loggia lombare. Estendere il dito verso la linea mediana e fletterlo, fino a percepire l’utero come un cilindro di consistenza duro-elastica e diametro variabile da soggetto a soggetto. Portare l’utero verso la breccia operatoria e, tramite una trazione caudo-mediale del corno uterino, identificare il legamento sospensore dell’ovaio palpando il tessuto fibroso a livello del margine prossimale del peduncolo ovarico. Rompere il legamento sospensore attaccato al rene senza lacerare i vasi ovarici per permettere l’esteriorizzazione dell’ovaio. Per compiere questa manualità, usare il dito indice per applicare trazione caudo-laterale sul legamento sospensore mentre viene mantenuta una trazione caudo-mediale del corno uterino (Fossum, 2012).

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2.1.5 Emostasi dell’apporto sanguigno alle ovaie e loro asportazione

Fare un buco nel legamento largo caudalmente al peduncolo ovarico. Posizionare una pinza emostatica prossimalmente all’ovaio. A questo punto effettuare una legatura dei vasi ovarici a livello della tuba uterina con filo da sutura riassorbibile (Monocryl, Maxon, Vicryl o PDS) facendolo passare attraverso il buco. Tagliare tra pinza e legatura. Effettuare la stessa operazione a livello del legamento sospensore dell’ovaio. Dopo la rimozione dell’ovaia, visualizzare se ci sono eventuali emorragie. Aprire poi la borsa ovarica per verificare se l’ovaio è stato rimosso e la sua integrità. Afferrare l’altro corno uterino ed effettuare la medesima operazione per l’ovaio controlaterale. Applicare una legatura a livello del legamento largo se il paziente è in estro o se il legamento è fortemente infiltrato di vasi o grasso. Riposizionare l’utero in cavità addominale (Fossum, 2012).

Foto personale eseguita presso Clinica Veterinaria Melosi.

2.1.6 Sintesi dei tessuti

A questo punto chiudere la parete addominale in tre strati: sutura continua semplice della linea alba, con filo riassorbibile; sutura continua del sottocute con eventuali punti a X di rinforzo; sutura a punti staccati, a materassaio o intradermica per la cute (Fossum, 2012).

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Foto personale eseguita presso Clinica Veterinaria Melosi.

2.2 Ovariectomia laparoscopica

È una tecnica endoscopica che permette l’esame visivo della cavità addominale e degli organi in essa contenuti, nonché attività di tipo chirurgico. La laparoscopia è nata a scopo diagnostico e per eseguire prelievi bioptici, ma oggi è utilizzata per eseguire procedure chirurgiche. La sua storia risale ai primi dell’Ottocento. Il termine “Laparoscopia” significa “osservazione della cavità addominale” e deriva dal greco “lapàra” (addome) e “skopein” (osservare). Il primo tentativo documentato di endoscopia in un essere umano è da riferirsi al medico Philipp Bozzini di Francoforte, che nel 1806 riuscì a convergere, mediante uno specchio concavo, la luce prodotta da una candela all’interno di un tubo rigido di latta. Con tale strumento, noto come “Lichtleiter”, primo antenato dei moderni endoscopi, si intravide per la prima volta l’interno di alcuni organi cavi. Tuttavia, solo nel 1853 fu utilizzato tale strumento per la prima volta su un malato, da parte del chirurgo francese Antonin Jean Dèsormeaux. Da quel momento Antonin fu considerato il padre dell’endoscopia. Nel 1876 a Berlino, l’urologo Maximilian Nitze pose la fonte luminosa all’interno della vescica munendo l’estremità distale dello strumento di fili di platino incandescenti e raffreddandoli con acqua fredda a pressione, adeguando il dispositivo ottico. Si ottenne così un sistema di lenti che permetteva un ingrandimento dell’immagine ed una posizione di osservazione più comoda. Così nacque il

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primo cistoscopio. Il primo vero esame della cavità peritoneale avvenne nel 1901, quando George Kelling esaminò la cavità addominale di un cane, usando il cistoscopio ideato da Nietze ed insufflando aria in cavità. Jacobeus esaminò per la prima volta tutte le grandi cavità sierose nell’uomo, senza però utilizzare la tecnica dello pneumoperitoneo di Kelling. Nel 1924 Kalk praticò un secondo accesso alla cavità peritoneale per eseguire in sicurezza le biopsie del fegato e visionare anche gli strumenti introdotti in cavità peritoneale. Nel 1934 lo svizzero Zollikofer introdusse la CO2 come gas per realizzare lo pneumoperitoneo, in sostituzione dell’aria filtrata usata fino a quel momento, col vantaggio di ridurre fortemente i rischi di embolia gassosa. Maggior sicurezza nell’introduzione dello pneumoperitoneo fu raggiunta applicando alla laparoscopia l’ago ideato, nel 1938, dall’ungherese Janas Veress, un ago caricato a molla utilizzato per creare pneumotorace terapeutico in patologie come la tubercolosi polmonare. Nel 1980, per la prima volta, Patrick Steptoe in Inghilterra eseguì tutte le procedure laparoscopiche in una sala operatoria ed in completa sterilità. Nel 1982 per la prima volta l’ottica laparoscopica venne collegata ad una telecamera. Nel 1987, Philippe Mouret eseguì a Lione la prima video-laparo-colecistectomia. Nel giro di pochi anni la laparoscopia raggiunse una tale affidabilità da spingere molti chirurghi ad intraprendere uno svariato numero di interventi per via laparoscopica (Basso et al., 2007).

In medicina umana, la chirurgia laparoscopica è ormai diventata l’approccio preferenziale per un grande numero di procedure chirurgiche, tra cui colecistectomia, ovariectomia e appendicectomia. Allo stesso modo, la laparoscopia ormai sta prendendo sempre più spazio anche nella pratica veterinaria. I più significativi vantaggi di questa tecnica sono rappresentati dalle ridotte dimensioni del taglio con una convalescenza breve, meno dolore peri e postoperatorio del paziente, minor danno tissutale, rischio di infezione minimizzato in quanto la cavità addominale viene esposta solo in minima parte, minor formazione di adesioni postoperatorie, eccellente visione degli organi che sono ingranditi grazie all’ottica, ridotto stress fisico indotto dalla chirurgia, minori perdite ematiche intra operatorie e minima risposta

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infiammatoria della ferita chirurgica. Ci sono comunque anche degli svantaggi con l’utilizzo della laparoscopia che riguardano gli elevati costi dell’attrezzatura, la sua difficile attuazione in animali con disfunzioni cardiopolmonari, spese maggiori per il proprietario, ma soprattutto la chirurgia laparoscopica richiede tempi molto lunghi per l’apprendimento di queste tecniche e un lungo allenamento perché il chirurgo possa arrivare a muoversi con naturalezza e disinvoltura tra gli organi addominali. In medicina veterinaria, la laparoscopia può essere impiegata a scopi esplorativi (ad esempio per osservare determinati organi addominali), per la biopsia di organi addominali, per interventi come ovariectomia, ovarioisterectomia, criptorchidectomia, salpingectomia, ricerca del residuo ovarico, deferentectomia, ernioplastica inguinale, linfadenectomia, gastropessi, colonpessi (Klaiber, 1993; Langley-Hobbs et al., 2013).

2.2.1 Preparazione del paziente

Il proprietario deve sempre essere informato sul fatto che se l’accesso laparoscopico fosse limitato, o se ci fossero difficoltà o complicazioni impreviste, l’intervento possa essere convertito in laparotomia. La preparazione del paziente non differisce da quella di un intervento laparotomico. L’animale viene posizionato in decubito dorsale, la tosatura è un po’ più ampia rispetto a quella eseguita per la laparotomia in quanto, nonostante le ferite chirurgiche siano di ridotte dimensioni, si deve rendere sterile anche parte della parete laterale dell’addome per permettere l’attacco temporaneo delle ovaie a questa in condizioni di sterilità. La vescica urinaria viene svuotata oppure viene inserito un catetere urinario e successivamente il campo operatorio è preparato in modo asettico (Fossum, 2012).

La specie sottoposta prevalentemente a ovariectomia laparoscopica è il cane, in quanto nella gatta solitamente si preferisce la laparotomia, essendo una tecnica molto veloce e avendo come risultato una ferita piccola paragonabile alle due brecce eseguite in laparoscopia.

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2.2.2 Preparazione dell’equipe

Idealmente, il chirurgo, il tavolo operatorio e il monitor devono essere contenuti in una linea retta. Questa impostazione cosiddetta “coassiale” massimizza la consapevolezza dello spazio e la coordinazione occhio-mano. Deviazioni da questa linea aumentano la distorsione percettiva e rendono le operazioni più difficili. Cambiamenti di posizione del chirurgo o del tavolo operatorio dovrebbero essere accompagnati dal cambiamento di posizione della colonna endoscopica. L’uso di un secondo o anche un terzo monitor può migliorare certe circostanze in varie procedure chirurgiche. Un assistente o aiuto-chirurgo deve tenere l’ottica mentre il chirurgo usa entrambe le mani per manipolare gli strumenti da laparoscopia. L’assistente dovrebbe anche essere posizionato in una linea più o meno retta con il monitor. I trocar devono essere inclinati idealmente di 30-60° rispetto al tavolo chirurgico. Se l’angolo è troppo piccolo, gli strumenti possono oscurare la visione all’interno dell’addome e la contemporanea breve distanza tra le cannule può ridurre la libertà di manipolazione degli strumenti all’esterno della cavità addominale. Con un angolo maggiore di 60°, la percezione della profondità è alterata e i movimenti delicati sono più difficili (Langley-Hobbs et al., 2013).

2.2.3 Colonna endoscopica

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36 La colonna laparoscopica è costituita da:

 un sistema video, dotato di monitor e telecamera

 cavo a fibre ottiche

 fonte luminosa

 insufflatore

2.2.3.1 Sistema video

Figura 2.2 Telecamera HD (Feline soft tissue and general surgery, Langley-Hobbs, Demetriou, Ladlow).

La telecamera deve possedere elevata sensibilità alla luce ed un elevato potere risolutivo espresso in pixel o in numero di linee di risoluzione. Quelle più moderne inoltre possono essere dotate del controllo automatico dell’esposizione e di lenti a zoom. Sono consigliabili i modelli digitali (3 CCD) per la miglior definizione delle immagini e dei colori. Ancora migliori si rivelano le telecamere ad alta definizione.

È presente un adattatore per connettere la videocamera all’oculare del laparoscopio e

trasmettere l’immagine al monitor che deve essere ad uso medicale in modo da non

risentire delle interferenze di altri generatori presenti nella sala chirurgica. Il monitor deve essere posizionato in maniera tale da consentire una visione ottimale sia al chirurgo che al video-operatore come pure all’assistente e ciò comporta una disposizione diversa delle altre apparecchiature rispetto ad

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una sala operatoria adibita ad interventi con tecnica open (Bottero et al., 2011).

2.2.3.2 Cavo a fibre ottiche

Le fibre ottiche conducono la luce dalla fonte al laparoscopio. Le dimensioni del cavo a

fibre ottiche rappresentano un fattore importante nella trasmissione dell’irradiazione

luminosa. Infatti maggiori sono le dimensioni del cavo, maggiore sarà la quantità di fibre ottiche in esso contenute e quindi la quantità di luce trasportata. Nella chirurgia laparoscopica del cane un diametro di 5 mm è sufficiente ad ottenere una buona illuminazione della cavità addominale. È opportuno adottare estrema attenzione nel maneggiare i cavi a fibre ottiche, vista la loro delicatezza. L’integrità delle fibre può essere valutata illuminando un’estremità del cavo con una fonte di luce: le fibre danneggiate si presentano come puntini neri; quando arrivano ad essere più del 20% del totale il cavo deve essere sostituito, poichè le fibre danneggiate producono aree d’ombra sull’immagine (Bottero et al., 2011).

2.2.3.3 Fonte luminosa

La fonte luminosa può essere di vario tipo. I modelli più utilizzati sono dotati di lampade alogene al mercurio o allo xenon ad alta intensità ed elevata potenza (250-400 watt). È importante avere un’illuminazione della cavità addominale tale da non alterare i colori degli organi e capace di evidenziare anche particolari anatomici. La luce viene condotta al laparoscopio mediante il cavo a fibre ottiche. Altro fattore da considerare è il possibile annebbiamento del fronte del laparoscopio, a causa dell’escursione termica che si ha entrando in addome, più caldo rispetto all’esterno. Tale inconveniente può essere ovviato preriscaldando l’ottica in soluzione fisiologica tiepida o passando l’estremità con soluzione specifica (FRED® Anti-Fog Solution, Dexide, Inc, Fort Worth, Texas). Se durante l’intervento l’inconveniente continua a presentarsi, possiamo provare a pulire l’ottica

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passandola delicatamente sulla superficie di un organo, altrimenti è necessario estrarla e pulirla con una garza sterile imbevuta di soluzione fisiologica tiepida o con una specifica soluzione antiappannamento (Ultrastop® Antifog). Anche il contatto con alcune superfici interne, come ad esempio quelle ricoperte da materiale lipidico, può sporcare l’ottica alterando la visione (Freeman, 1999).

2.2.3.4 Insufflatore

La creazione dello pneumoperitoneo è un’operazione di fondamentale importanza per lo svolgimento di un intervento laparoscopico. Permette una migliore visualizzazione della cavità addominale ed una maggiore libertà di movimento per le manualità chirurgiche. Esistono sul mercato insufflatori meccanici, più economici, ed insufflatori elettronici, più pratici e sicuri. Questi ultimi infatti permettono di reimpostare la pressione intra-addominale desiderata (in mmHg) e sono in grado di mantenerla costante nel corso dell’intervento chirurgico attivandosi e disattivandosi automaticamente. Gli apparecchi più moderni sono anche dotati di allarme acustico che segnala quando la pressione per qualche motivo diviene eccessiva; superato un certo limite interrompono automaticamente l’erogazione. Lo pneumoperitoneo viene indotto grazie all’introduzione di un ago a punta smussa, l’ago da insufflazione di Veress, che sarà descritto più avanti. Il biossido di carbonio (CO2) è il gas più comunemente utilizzato per lo pneumoperitoneo perché è meno costoso, altamente solubile, chimicamente stabile, eliminato rapidamente, inerte dal punto di vista fisico e a livelli fisiologici non è tossico. L’assorbimento transperitoneale del biossido di carbonio causerà un aumento della pressione parziale arteriosa della CO2 (PaCO2), che richiederà una ventilazione meccanica del paziente per facilitare l’espulsione di CO2. L’evento più importante durante la laparoscopia che può influenzare le funzioni cardiovascolare e respiratoria è l’aumento della pressione intra-addominale, causato dall’insufflazione dell’addome. Quest’ultima crea una pressione sul diaframma e nei vasi sanguigni addominali, e conseguentemente un aumento della pressione

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