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La Toscana centrosettentrionale nella fase di passaggio alla prima eta del Ferro, tra regionalismi e direttrici culturali interregionali ed europee

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Dipartimento di Filologia, Letteratura e Linguistica

D

OTTORATO DI

R

ICERCA

P

EGASO IN

S

CIENZE DELL

’A

NTICHITÀ E

A

RCHEOLOGIA

LA TOSCANA CENTROSETTENTRIONALE NELLA FASE DI

PASSAGGIO ALLA PRIMA ETÀ DEL

F

ERRO

TRA REGIONALISMI E DIRETTRICI CULTURALI INTERREGIONALI ED EUROPEE

Settore Scientifico Disciplinare L-ANT/01

Dottorando:

Alberto Agresti

Tutor:

Prof. Lucia Sarti

(2)
(3)

INDICE

Premessa. “Dal Bronzo al Ferro” venti anni dopo – p. 3

PARTE I L’UOMO E L’AMBIENTE NELLA PROTOSTORIA TOSCANA. IL MEDIO E BASSO

VALDARNO TRA SECONDO E PRIMO MILLENNIO A.C.

1. IL CONTESTO GEOGRAFICO E PALEOAMBIENTALE – p. 5 2. ALLE ORIGINI DEL CAMBIAMENTO. LA FORMAZIONE DELLE FACIES ARCHEOLOGICHE DELL’ETÀ DEL BRONZO NELLA TOSCANA SETTENTRIONALE, TRA REGIONALISMI ED APERTURE EUROPEE

– p. 20 3. IN TUSCORUM PAENE OMNIS ITALIA FUERAT. LA PRIMA ETÀ DEL FERRO (IX-VIII

SECOLO A. C.) TRA CONTINUITÀ E INNOVAZIONE. – p. 79 4. L’UOMO E L’AMBIENTE DAL BRONZO ANTICO ALLA PRIMA ETÀ DEL FERRO NEL

MEDIO E BASSO VALDARNO. BREVE CONTRIBUTO PER LA RICOSTRUZINE DEI PAESAGGI CULTURALI E DELL’ECONOMIA PRIMARIA SULLA BASE DEI NUOVI DATI DALLE RICERCHE SUL TERRITORIO

– p. 104

PARTE II –I CONTESTI

1. SESTO FIORENTINO

LA “LUNGA MEMORIA DELLA PIANA”: LE RICERCHE ARCHEOLOGICHE A SESTO

FIORENTINO

LE AREE C E D DEL CANTIERE DI LAZZERINI 3(CAMPAGNE DI SCAVO 2005-2006): NUOVI CONTRIBUTI PER L’ETÀ DEL BRONZO IN AREA FIORENTINA

Lazzerini 3 area C La sequenza stratigrafica Lo scavo Il contesto I materiali Catalogo materiali Tavole materiali

Caratteristiche tecniche e tipologiche Inquadramento culturale Lazzerini 3 area D La sequenza stratigrafica Lo scavo Il contesto I materiali Catalogo materiali Tavole materiali

Caratteristiche tecniche e tipologiche Inquadramento culturale – p. 121 – p. 129 – p. 133 – p. 229 2. CERTANO (SCANDICCI)

LE RICERCHE ARCHEOLOGICHE NEL COMUNE DI SCANDICCI

CERTANO E LA MEDIA ETÀ DEL BRONZO NEL BACINO DELL’ARNO Catalogo materiali

Tavole materiali

Caratteristiche tecniche e tipologiche Inquadramento culturale

– p. 305 – p. 309

3. VOLTERRA-PIAZZETTA DEI FORNELLI

VOLTERRA ETRUSCA E LA RICERCA DELLE ORIGINI DELLA CITTÀ

PIAZZETTA DEI FORNELLI: DATI PRELIMINARI PER UN CONTRIBUTO ALLA STORIA DELLE ORIGINI DELLA CITTÀ

I MATERIALI Catalogo materiali Tavole materiali – p. 331 – p. 337 – p. 353

(4)

PARTE III–CONCLUSIONI:IL BACINO DELL’ARNO.UN CONFINE LABILE E OSMOTICO

L’OSSERVAZIONE DEI FENOMENI: DAL DATO ALL’INTERPRETAZIONE. LA CULTURA MATERIALE COME STRUMENTO DI RICERCA STORICA.

I CONFINI IMMAGINARI E I CONFINI REALI: ALCUNE RIFLESSIONI PER UNA GEOGRAFIA DEGLI SPAZI SOCIALI E CULTURALI DEL BACINO DELL’ARNO DURANTE LA PROTOSTORIA. CONCLUSIONI – p. 413 – p. 440 – p. 451 BIBLIOGRAFIA – p. 455

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Premessa. “Dal Bronzo al Ferro” venti anni dopo.

“Dal Bronzo al Ferro” è stato il titolo della prima mostra dedicata nel 1997 al lungo periodo compreso dal Bronzo antico alla prima età del Ferro nella Toscana nord occidentale ed il cui catalogo, a cura di Alessandro Zanini1, è ancora oggi

una pietra miliare ed un punto di riferimento per l’inquadramento culturale di questo lungo periodo tra Valdarno inferiore e la costa pisana e livornese. Negli ultimi venti anni, le scoperte collegate ad interventi di archeologia preventiva coordinati dalla Soprintendenza Archeologica della Toscana hanno permesso di ampliare in parte il quadro delle nostre conoscenze, soprattutto in merito ai periodi centrali e finali dell’età del Bronzo e a quello iniziale dell’età del Ferro. Importanti novità provengono da tutto il bacino dell’Arno, dalla piana fiorentina e lucchese ai Monti Livornesi e al colle di Volterra, con dati inerenti sia alle fasi del Bronzo Finale che alla prima età del Ferro. Per il Bronzo antico e medio iniziale l’area della piana fiorentina si è rivelata particolarmente ricca, confermando un quadro culturale noto già alla fine degli anni novanta del Novecento.2 Inaspettate e importanti per il contribuito di novità che potranno apportare sono invece la grande necropoli del Bronzo finale del colle della Parrana di S. Martino3, sopra Colle Salvetti, e quella villanoviana di Pisa via Marche, la cui pubblicazione ancora in corso potrà consentire di meglio definire gli sviluppi della protostoria recente della Toscana centro settentrionale.

Altrettanto importarti sono i dati dei recenti scavi urbani della città di Volterra che permettono di meglio delineare la fase protourbana dell’abitato.

Il presente progetto di ricerca doveva inizialmente occuparsi di un periodo ben più ristretto, compreso tra l’ultima fase dell’età del Bronzo e gli inizi dell’età del Ferro, basandosi sull’apporto di alcuni siti inediti scoperti grazie a scavi e recuperi di emergenza, avvenuti nell’ultimo decennio tra il bacino dell’Arno e la Val di Cecina. Il progetto è stato poi ampliato in corso d’opera, estendendosi a contesti che abbracciano tutta l’età del Bronzo, intendendo così il secondo millennio a. C. come un lungo periodo di formazione e gestazione delle facies culturali della prima età del Ferro. La Toscana centro settentrionale, occupata pressoché nella sua totalità dal Bacino idrografico dell’Arno, si presenta come uno spazio relativamente omogeneo e geograficamente circoscritto dove, pur non

1 Z

ANINI 1997A. 2 S

ARTI 2014; SARTI-MARTINI 2015.

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abbondando la documentazione relativa alle fasi dell’età del Bronzo, è possibile cogliere nella loro complessità lo sviluppo di fenomeni culturali su scala regionale e sovraregionale. Per le fasi dell’antica e media età del Bronzo sono stati presi in esame alcuni materiali provenienti da recenti scavi del territorio di Sesto Fiorentino e da un recupero di emergenza effettuato a Certano, nella valle del Pesa, durante dei lavori agricoli per l’impianto di una vigna. Per il periodo più recente, compreso tra Bronzo finale e prima età del Ferro, il lavoro di ricerca si è concentrato sullo scavo urbano di Piazzetta dei Fornelli a Volterra, dove è stata portata alla luce una complessa sistemazione con spazi abitativi e produttivi di età villanoviana e tracce di sistemazioni della fine dell’età del Bronzo, con materiale di entrambe le fasi. Data la natura del campione dei reperti e lo stato ancora provvisorio dell’analisi dei contesti, la ricerca si è concentrata esclusivamente sullo studio tipologico dei manufatti in relazione ai singoli siti. Per il contesto volterrano, il più ricco di materiali, si è dovuto optare per un primo inquadramento del sito, con una selezione dei reperti più significativi, dato che tuttora in corso è la revisione del complesso stratigrafico. Gli stessi impianti produttivi sono stati trattati inquadrandoli all’interno della documentazione nota, ma al momento non è stato possibile condurre analisi archeometriche mirate sulle strutture, in quanto il sito è stato provvisoriamente ricoperto a fini conservativi in previsione di una sua musealizzazione.

La revisione del dato storico-archeologico, assieme all’apporto dei nuovi siti presentati in questa sede, ha consentito di tracciare le linee generali della formazione delle culture archeologiche mostrando precoci fenomeni di aggregazione territoriale che, pur prediligendo forme di popolamento sparso e diffuso, rivelano un forte attaccamento al territorio da parte delle comunità locali, le quali sembrano occupare senza soluzione di continuità gli stessi areali almeno per tutto il secondo millennio a. C..

Venti anni dopo la prima sintesi territoriale è parso quindi opportuno e necessario riorganizzare le informazioni, dato l’aumento dei dati a nostra disposizione. L’analisi è stata estesa all’intero bacino dell’Arno medio ed inferiore, inteso come un’unica realtà macroregionale, compartecipe degli stessi sviluppi storico culturali, in una dimensione spaziale e culturale di limite e frontiera tra i territori padani e l’Italia centrale.

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P

ARTE

I

L’

UOMO E L

AMBIENTE NELLA PROTOSTORIA TOSCANA

.

IL MEDIO E BASSO VALDARNO TRA SECONDO E PRIMO MILLENNIO A.C.

1.

I

L CONTESTO GEOGRAFICO E PALEOAMBIENTALE

Il territorio preso in esame è circoscritto al settore della Toscana centro-settentrionale, corrispondente al medio e basso Bacino dell’Arno (fig. 1). Esso è delimitato a nord dalla catena degli Appennini, a sud dai rilievi del Chianti e delle Colline Metallifere e ad ovest dal mar Tirreno. Si considera parte di questo sistema idrografico anche il bacino del Serchio in quanto antico affluente dell’Arno.

Figura 1 – Principali caratteristiche strutturali nel Bacino dell'Arno. 1. Dorsali montuose principali. 2. Reticolo idrografico principale. 3. Bacino dell’ Arno (da NISI et alii 2008).

Si tratta di un’area caratterizzata da sensibili differenze per costituzione geologica e ordinamento orografico (fig. 2). Nell’estremo settore occidentale, corrispondente al distretto apuano, l’Appennino presenta formazioni rocciose carbonatiche di tipo metamorfico, caratterizzate da fenomeni carsici. Mentre il resto della dorsale è costituita da arenarie, marne, argille (spesso in alternanza tra loro e con calcari) e subordinatamente calcari, calcari selciferi, e diaspri. A tali formazioni si possono ricondurre anche le dorsali montuose dei Monti Pisani e del Monte Albano. A questi si aggiungono le formazioni metamorfiche del dominio

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ligure come i complessi ofiolitici del Monte Ferrato di Prato, dei Monti Livornesi e del Chianti.4

Il resto del territorio presenta formazioni plioceniche e pleistoceniche, caratterizzate nelle valli appenniniche da depositi continentali di tipo lacustre e fluviale, mentre nel settore meridionale da depositi marini di argille, sabbie e conglomerati.

Figura 2 – Carta geologica schematica della Toscana (CARMIGNANI-LAZZAROTTO 2004)

Il territorio settentrionale è caratterizzato da rilevi montani di notevoli dimensioni e dalla presenza di aree umide interne tra loro interconnesse, poste entro ampie pianure alluvionali e percorse da una fitta rete di fiumi e torrenti, la maggior parte dei quali affluenti dell’Arno. Ad esse appartengono la Val di Sieve, le pianure di Firenze, Pescia, Lucca e la Valle del Serchio. Questo sistema vallivo fa parte del complesso dei bacini pedemontani della Toscana settentrionale che dalla Lunigiana sino all’alta val Tiberina si dispongono parallelamente alla catena dell’Appennino.5 Si tratta di profonde depressioni intermontane originatesi in epoca plio-pleistocenica a seguito di fenomeni orogenetici della dorsale

4 P

ALLECCHI 2011.

5 A queste si aggiungono la valle del Magra, la Val di Chiana e l’alta val Tiberina. -

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appenninica e caratterizzate prevalentemente da sedimenti riconducibili a fasi fluvio-lacustri (fig. 3).6

Figura 3 – Fosse tettoniche e bacini plio-pleistocenici della Toscana nord occidentale (daCASSANI 1995).

A queste valli pedappenniniche si aggiungono, sempre nell’interno, il territorio del Valdarno inferiore tra la catena del Montalbano e i Monti Pisani e, immediatamente a nord di questo, le aree umide dei paduli di Fucecchio e Bientina corrispondenti rispettivamente alla parte più depressa del torrente Nievole e al paleoalveo dell’Auser, un antico ramo del Serchio. Quest’ultimo in età storica era occupato da un vasto specchio d’acqua, noto come lago di Sesto o di Bientina, ma della cui esistenza abbiamo le prove solo a partire dall’età tardo antica (fig. 4).7

Figura 4 – Il lago di Bientina e il Monte Pisano (cartografia Lorenese, 1850 ca.).

6 C

APECCHI et alii 1975.

(10)

Le ampie aree umide che caratterizzavano il bacino dell’Arno e la costa della Toscana centro settentrionale, costituivano un aspetto importante del paesaggio antico e condizionarono profondamente le scelte insediative. Questi bacini interni con un andamento stagionale delle acque dovevano essere in parte coperti da grandi boschi planiziali e per le loro caratteristiche ambientali si prestavano sia alla pastorizia, con facili pascoli invernali, che alle coltivazioni estensive dei cereali.8 Inoltre, non è da sottovalutare il peso all’interno delle comunità antiche delle attività di pesca e di caccia le quali dovevano rappresentare un importante integrazione alimentare, come è attestato fino al periodo antecedente alle loro bonifiche.

Figura 5 – Il corso medio ed inferiore dell’Arno ed i Paduli di Bientina e Fucecchio (disegno di Leonardo da

Vinci 1 Codice di Madrid II, 22v-23r. - Studi per la deviazione dell'Arno, 1503-1504 ca).

I bacini lacustri e palustri di Bientina e di Fucecchio costituirono fino all’epoca rinascimentale la più grande area umida della Toscana interna (figg. 5-6), alimentata dalle acque degli affluenti di destra del fiume Arno che non riuscivano a riversarsi in esso in quanto il livello della piana del Valdarno inferiore, si era sollevato rispetto alle epoche precedenti a causa dei depositi di sabbie e ghiaie apportati soprattutto dagli affluenti di sinistra, provenienti dalle colline dei

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territori di San Miniato, Castelfiorentino e Certaldo. I corsi d'acqua del fianco destro, al contrario, rilasciavano la maggior parte dei loro apporti detritici all interno degli sprofondamenti tettonici corrispondenti alle attuali pianure di Lucca, Pescia e Val di Nievole, senza essere pertanto in grado di colmare le depressioni poste più a valle dei due paduli del Bientina e di Fucecchio. Questi, infatti, presentando una quota più bassa rispetto alla piana dell’Arno sono naturalmente predisposti ad essere invasi dalle acque che non riuscivano così a defluire nel fiume.

Figura 6 – La Toscana centro settentrionale in età rinascimentale (disegno di Leonardo da Vinci , 1500 ca.)

La tendenza all’impaludamento di questa ampia area fu contrastata fino dal periodo etrusco e romano, come attestano le tracce di canalizzazioni e di insediamenti produttivi individuate dalle indagini archeologiche.9 In generale, l’impatto delle sistemazioni agrarie di età romana fu particolarmente consistente nelle pianure di Pisa, Lucca e Firenze, dove tutt’oggi si conservano tracce della centuriazione. In particolare nel settore pisano essa corrisponde anche ad importanti opere di canalizzazione per il drenaggio delle acque.10 Le aree umide

di Bientina e Fucecchio furono a lungo utilizzate come vie di comunicazione interna ed occuparono un ruolo centrale per le economie locali che ne sfruttarono

9 C

IAMPOLTRINI-GIANNONI 2014, 2009; CIAMPOLTRINI-ZECCHINI 2007; CIAMPOLTRINI

1993

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fino all’età moderna le risorse naturali come quelle ittiche e le erbe palustri. Le maggiori modifiche all’assetto idrografico di questo settore si ebbero comunque a partire dal basso medioevo, con importanti ricadute sulla riorganizzazione della foce dell’Arno. Al VI secolo d.C. si data la deviazione delle acque dell’Auser all’interno del ramo settentrionale del Serchio, l’Auserculus, facendo assumere al fiume il corso attuale, con il percorso che aggira il Monti Pisani a nord tra S. Piero a Vico e Ripafratta.11 Tuttavia, gli interventi che hanno cambiato in modo radicale questo paesaggio sono quelli delle bonifiche granducali che nel corso della metà del 1800 portarono al completo prosciugamento della piana di Bientina con la realizzazione di un canale scolmatore che, passando al di sotto del letto dell’Arno, permise di drenarne le acque riversandole nel canale dell’Arnaccio di Fornacette e quindi direttamente in mare.12 Sempre alle bonifiche granducali si

devono gli interventi più radicali nel padule di Fucecchio con la creazione del Canale di Usciana, il quale sembra ripercorrere un antico ramo secondario dell'Arno, che in origine drenava verso ovest le acque provenienti dai rilievi settentrionali.

Le due aree umide di Bientina e Fucecchio sono divise dalle basse colline delle Cerbaie, le quali fanno parte di un più ampio sistema di sollevamento orografico a cui appartengono anche le alture di Montecarlo, Altopascio e Vinci. Si tratta di un complesso di formazione pleistocenica, caratterizzato dalla presenza di coltri conglomeratiche formatesi a seguito di una sequenza di eventi sedimentari alternati a momenti di pedogenesi di spinta e di relativa stabilità tettonica.13 Le caratteristiche di questi suoli, scarsamente fertili, rivelano l’antichità dei rilievi delle Cerbaie che sono una delle superfici geologiche più antiche della Toscana e rappresentano quanto oggi resta di una pianura alluvionale solcata dagli antenati del Serchio e del Pescia, le cui incisioni fluviali hanno separato il bacino di Lucca da quello della Val di Nievole.

Pur trattandosi di un rilievo di modesta altitudine (117 m. s.l.m. presso Montefalcone), costituiscono un punto di alto orografico che ha sempre consentito

11 Questo intervento ha probabilmente ripristinato in maniera artificiosa una situazione

preesistente in quanto rispecchia l’assetto idraulico dell’età̀ romana quando la pianura di Bientina non era completamente sommersa dalle acque del lago-padule. – CIAMPOLTRINI-GIANNONI 2014, 2009

12 C

RESTI 1989.

(13)

un facile attraversamento del territorio fin dalle fasi più antiche, attraverso percorsi di crinale che permettevano una buna visibilità sulle aree circostanti.

Figura 7 – Caratteristiche geomorfologiche della pianura alluvionale alla foce dell’Arno e del Serchio: 1.

pianura costiera esterna; 2. pianura costiera interna; 3. pianura alluvionale; 4. paleomeandri fluviali; 5. paleolitorale (ROSSI et alii 2014).

Alla foce dell’Arno si estende oggi la grande pianura alluviale di Pisa, la quale deve la sua conformazione attuale alle importanti opere di regimentazione delle acque dell’Arno e del Serchio e che in origine doveva avere un aspetto deltizio, con numerose aree umide comprese tra la moderna città e le pendici delle coline pisane e dei Monti Livornesi.14 La linea di costa dall’antichità ad oggi è avanzata notevolmente a causa del costante apporto sedimentario collegato all’intenso sfruttamento del territorio che, a partire dal periodo etrusco e romano, con il disboscamento e la messa a coltura di ampie aree, ha determinato l’aumento del carico solido dei corsi d’acqua che sfociavano lungo la costa (fig. 7). La presenza di paleoalvei sepolti e di dune fossili conferma la complessa articolazione della pianura costiera.15 Le indagini geologiche sui sedimenti e le ricerche storiche

14 Stando alle fonti classiche, lo stesso Serchio sarebbe confluito nell’Arno alle porte di

Pisa. – BRUNI-COSCI 2003; DELLA ROCCA et alii 1987.

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condotte sul territorio hanno permesso di ricostruire l’evoluzione della linea di riva nel corso dell’Olocene, dalla posizione più interna raggiunta durante la trasgressione versiliana a quella moderna, frutto delle modifiche antropiche del paesaggio.16 Nell’antichità essa risultava abbastanza arretrata ed ancora in età

romana si trovava all’altezza di S. Piero a Grado, a circa sei chilometri da quella attuale. Il mare e le lagune costiere dovevano lambire il territorio a sud della moderna città, descrivendo un ampio golfo, il Sinus Pisanus delle fonti classiche.17 In quest’area confluivano i tre bracci del delta dell’Arno a cui si congiungevano alcuni canali provenienti dal bacino dell’antico Serchio.18 Indagini archeologiche recenti hanno potuto portare alla luce importanti strutture portuali di età romana nella periferia nord di Livorno, dove doveva collocarsi il vero porto di Pisa.19

Figura 8 – il Valdarno inferiore e la foce dell’Arno alla metà del XVI secolo (disegno di Leonardo da Vinci,

Madrid Biblioteca Nacional, Codice di Madrid II, 52v-53r. - Carta dei dintorni di Pisa per i progetti di deviazione delle acque d'Arno, 1503 ca.).

16 P

RANZINI 1998, 1983.

17 B

RUNI 1998, 1993; BRUNI-COSCI 2003; PRANZINI 1983.

18 Nella descrizione dell’Etruria scritta da Plinio il Vecchio nella seconda metà del I

secolo d.C. viene fornita una rapida panoramica della zona, e si accenna alla città di Pisa come “inter amnes Auserem et Arnus” (Nat. Hist. III, 5, 50). L’immissione dell’Auser nell’Arno doveva costituire un problema per la rete di traffici che provenivano dalla foce del fiume, rendendo difficoltosa la navigazione che dalla costa si dirigeva verso la città. Inoltre Strabone (Strab. V, 2,5) ricorda come l’incontro tra le acque del Serchio con quelle dell’Arno avvenisse in modo così violento che “quelli che stanno sulle rive opposte non possono vedersi l’un l’altro”. La confluenza dei due fiumi dovette costituire un serio pericolo per la stessa sopravvivenza degli insediamenti: infatti gli apporti alluvionali dell’Arno hanno nel tempo allontanato la linea di costa determinando il progressivo impaludamento della zona, dovuto all’abbandono delle difese idriche legate al sistema delle centurie. – BRUNI-COSCI 2003, pp. 33-34; BRUNI 1999.

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Per le fasi più antiche, un’ulteriore riprova dell’esistenza di un’area lagunare proviene dai ritrovamenti archeologici di Isola di Coltano e Stagno che testimoniano per il territorio tra Pisa e Livorno la presenza fin dall’età del Bronzo di villaggi impiantati in aree retrodunali e perilacustri, connessi in parte anche con la produzione del sale.20

Il paesaggio alla foce è dominato ad ovest dalla mole del Monti Pisani che, pur non essendo molto estesi, raggiungono con la vetta del Monte Serra la considerevole altitudine di 917 m s.l.m.. L’assenza di rilievi maggiori immediatamente circostanti li ha da sempre resi un punto di riferimento orografico, in quanto ben riconoscibili a lunga distanza, sia dalle pendici dell’Appennino settentrionale e della media Valle dell’Arno che da quelle del Montalbano, dalle colline dell’alta Val d’Era e dalla sommità di quelle della bassa valle dell’Elsa.21 Conferma indiretta della loro importanza viene dall’antica

frequentazione delle pendici e delle cavità, che risulta ininterrotta fin dal Paleolitico medio.22

Il versante meridionale del Valdarno inferiore è invece caratterizzato dalla presenza di numerosi torrenti che dai monti del Chianti e dalle colline pisane e livornesi scorrono verso nord e si riversano nell’Arno, attraverso valli profonde disposte tutte parallele tra loro, con andamento sudest-nordovest. Le principali sono la valle del Pesa che nasce nei monti del Chianti, la valle dell’Elsa che penetra sino alle colline senesi e la Val d’Era che raccorda il Valdarno inferiore con le Colline Metallifere attraverso Volterra, quest’ultima posta sul crinale in testa alla valle e affacciata sul medio corso del Cecina. Si tratta di formazioni tettoniche caratterizzate dalla presenza di depositi marini pliocenici, con affioramenti calcarei e liguri nella zona di Colle di Val d’Elsa.23 L’ampiezza e la profondità di queste valli le ha rese da sempre facili vie di comunicazione tra il bacino dell’Arno e la Toscana centro meridionale e interna.

Apparentemente minore, ma ampiamente occupata in antico, è infine la valle del torrente Tora che dalla foce dell’Arno si addentra tra colline pisane e i Monti Livornesi. Questa mette in collegamento con il versante sud del promontorio di Livorno attraverso la valle del torrente Fine, il quale sfocia in mare nei pressi di

20 Z

ANINI 1997A; DI FRAIA-SECOLI 2002. 21 M

AZZANTI 1994.

22 G

RIFONI CREMONESI 1997.

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Rosignano. Entrambe le valli, come le precedenti, presentano suoli di formazione pliocenica frutto di trasgressioni marine. A sud del promontorio roccioso dei Monti Livornesi la costa doveva presentare aree umide e piccoli laghi costieri (figg. 9-10), anch’essi completamente bonificati soltanto a partire dall’età leopoldina assieme a buona parte del territorio maremmano, del quale doveva condividere parte delle caratteristiche ambientali.24

Figura 9 – La costa tra la foce del Fine e quella del Cecina agli inizi del XIX sec. (Roberto Bombici, 1825;

ASP, Camera Comunitativa, filza n. 112, pianta non numerata; da GALOPPINI 2012)

Figura 10 – Il territorio costiero alla foce del Cecina agli inizi del XVIII secolo, precedente alle opere di

sistemazione del Marchese Carlo Ginori (ASF, Consiglio di Reggenza, 710; da ZAGLI 1997).

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Di diversa formazione sono le valli interne del Mugello e della piana fiorentina che, appartenendo alla serie dei bacini pedappenninici, presentano suoli di formazione fluvio-lacustre.

Il Mugello appare come un’ampia conca intermontana solcata da numerosi corsi d’acqua che costituiscono il Bacino della Sieve e che rendono questo torrente l’affluente dell’Arno con maggiore portata. La valle appare delimitata a nord e ad est dalla dorsale appenninica, le cui vette superano i mille metri di altitudine e raggiungono la loro massima quota sulla cima del monte Falterona (1654 m s.l.m.). A sud è chiusa invece dalla dorsale subappenninica dei monti Giovi, Senario e Morello. Il primo la separa dalla media valle della Sieve mentre gli altri due dalla pianura di Firenze. Il limite ovest è costituito dalle estreme propaggini settentrionali dei monti della Calvana e che la dividono dalla valle del torrente Bisenzio. La formazione della pianura intermontana è legata all’accumulo di detriti fluviali legati a processi di sedimentazione ed erosione che hanno portato alla formazione di diversi terrazzi alluvionali e fluviali sulle pendici della conca.25 La sua posizione strategica all’interno dell’Appennino e la presenza di facili passi montani sia in direzione dell’Emilia che della Romagna hanno favorito il suo popolamento in antico. Inoltre, la valle è facilmente accessibile sia a sudest, dal Valdarno superiore, seguendo il naturale percorso della Sieve, che da sudovest dalla pianura di Firenze attraverso il passo delle Croci di Calenzano e la valle del torrente Marina.26

La pianura di Firenze consiste in una profonda depressione originatasi intorno a due milioni di anni fa, nell’ultima fase geologica in cui ha prevalso una sedimentazione di subsidenza27, in seguito allo sprofondamento tettonico di retroarco connesso con il sollevamento della dorsale appenninica28. Si presenta come un’ampia valle, stretta tra l’Appennino a nord e ad est (con rilievi che in prossimità della piana si attestano tra i 700 ed i 900 m s.l.m.), e la bassa catena del Montalbano ad ovest (altitudine media 400 m s.l.m.), saldate tra loro all’altezza di Serravalle (200 m s.l.m.) per mezzo di contrafforti che la separano dalla val di Nievole e dal Padule di Fucecchio29. A sud è chiusa invece dalle prime propaggini 25 C APECCHI et alii2009. 26 C HELLINI 2012, pp. 16-19. 27 P RANZINI 2008. 28 M

AZZANTI 2008, p. 14; SARTI-MARTINI 1993, pp. 16-17; SALVINI 2007, p. 17.

29 I rilievi dell’Appennino prospicenti alla piana, come Monte Morello (892 m s.l.m.), la

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delle colline e dei monti del Chianti anch’esse inferiori ai 500 m30, che a loro volta a sud est la dividono dal Valdarno superiore (fig. 11).

Figura 11 – Bacino d Firenze-Prato-Pistoia e conoidi nei comuni di Calenzano e Sesto Fiorentino (da

CASSANI 1995).

Questa ampia depressione si estende in senso nordovest-sudest per oltre 40 km, con un’ampiezza media di 8 km, raggiungendo il suo massimo di 12 km tra Sesto Fiorentino e Lastra a Signa. Le quote interne, apparentemente uniformi, variano leggermente tra il settore pedemontano – con livelli compresi tra 40 e 60 m s.l.m.– e quello centrale, nel quale si scende tra i 30 e i 35 m s.l.m. (figg. 10-11). Si possono così distinguere una zona di alta pianura ed una di bassa. La prima, disposta a nord est lungo il margine pedecollinare ed estesa per tutta la lunghezza della piana, è caratterizzata dalla minore presenza di aree umide, concentrate per lo più negli avvallamenti tra i conoidi dei corsi d’acqua31. La seconda, corrispondente alla porzione centrale e sud occidentale, presenta invece ampi

superano i 950 m s.l.m., anche se all’interno, soprattutto nel settore nord occidentale al confine col modenese, raggiunge quote oltre i 2000 m (Monte Cimone, 2165 m s.l.m.). La catena del Montalbano, ad eccezione della vetta che raggiunge i 645 m (Monte Cupolino), presenta quote molto inferiori, soprattutto nella porzione meridionale.

30 I rilievi più alti sono costituiti dalle colline dietro Bagno a Ripoli (Poggio alle Travi,

593 m).

31 Si vedano i numerosi i toponimi quali canneto, stagno, palude, padule, pantano, che si

trovano anche a quote altimetriche più elevate ma sempre in prossimità di piccoli torrenti. – SIMILI 2000, p. 71; SHEPERD 2006, p. 15.

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settori nei quali si formano stagionalmente stagni ed acquitrini32. I numerosi corsi d’acqua hanno determinato la natura de suoli del bacino, creando in corrispondenza del loro sbocco conoidi di deiezione composti prevalentemente da ghiaie e ciottoli frammisti a sabbie, a differenza della parte centrale caratterizzata quasi esclusivamente da sedimenti fini di limi e sabbie (fig. 13).33

Figura 12 – Sezione geologica schematica della pianura di Firenze tra Calenzano e il corso dell’Arno (da

CAPECCHI et alii 1975).

Figura 13 – Sezione geologica Nord-Sud della Piana. 1: suolo agrario e terreno rimaneggiato. 2: ciottoli e

ghiaia. 3: argilla e limo. 4: detrito di versante. 5: rocce del substrato (Formazione Monte Morello) (PRANZINI

2008).

Il sistema idrografico risulta molto articolato per la presenza di numerosi corsi d’acqua che dalle pendici montane e collinari si riversano nella pianura alimentando l’Arno ed i suoi due maggiori affluenti: l’Ombrone e il Bisenzio (fig. 11). L’Arno entra nella piana a nordest di Firenze, nell’angolo sud orientale della pianura all’altezza del Girone (60 m s.l.m.), scorre lungo l’estremo margine meridionale per poi fuoriuscire nell’angolo sud occidentale attraverso la stretta della Gonfolina (40 m s.l.m.). Il Bisenzio sbocca nella piana all’altezza di Prato e

32 Si pensi alle zone come quella compresa tra Lecore e Signa, dove il piano di campagna

(30 m s.l.m.) è più basso del corso dell’Arno (40 m s.l.m.) e la stessa falda, già nella stagione asciutta a pochi metri di profondità, tende stagionalmente a risalire in superficie.

33 In alcuni punti come presso le Officine Galileo tra i comuni di Campi e Signa,

l’apporto detritico supera i 600 m di spessore. – CAPECCHI et alii 1975; BARTOLINI -PRANZINI 1984; SIMILI 2000; PRANZINI 2008, pp. 1-2.

(20)

la attraversa diagonalmente a metà, facendo da collettore per altri torrenti di media portata come la Marina, sino ad immettersi direttamente nell’Arno ad est dei Colli Alti. L’Ombrone, infine, nasce nel pistoiese, entra nella valle nella porzione nord occidentale e dopo essere scorso lungo il margine occidentale alle pendici del Montalbano, si getta in Arno ad ovest di Signa. A questi si devono aggiungere il Greve, l’Ema e il Vingone, che da sud, dopo un brevissimo percorso in pianura, si riversano direttamente in Arno. Il quadro idrografico attuale, tuttavia, non corrisponde pienamente a quello antico, anche di età storica, in quanto le costanti opere di regimentazione e bonifica hanno modificato l’andamento originario persino dei corsi principali.34

Figura 14– Il corso dell’Arno tra il Girone e la strettoia della Gonfolina (disegno di Leonardo da Vinci,

particolare dal Codice di Madrid II, 22v-23r. - Studi per la deviazione dell'Arno, c. 1503-1504)

Ancora nel XVI sec., stando ai disegni di Leonardo da Vinci, l’Arno a sud di Firenze aveva un andamento a meandri (fig. 14), solo successivamente rettificato in seguito a consistenti opere idrauliche che videro anche la deviazione dello stesso Bisenzio all’interno dell’ultimo dei suoi meandri35. I fiumi hanno

34 Dalle fonti medievali e rinascimentali apprendiamo come costante sia stata l’opera di

sistemazione de fiumi, al fine sia di regimentarne la portata, sia di mettere a coltura nuove terre. – RAUTY 1967; NUTI 1980.

35 L’Arno nell’ampia area compresa tra il Greve e Lecore si divideva in due rami

secondari, i Bisarni: tra il XIV e il XV sec. le fonti ricordano come il suo corso si sdoppiasse tra S. Colombano a Settimo e S. Donnino a Brozzi formando al centro un’isola (REPETTI 1883). Il Bisenzio in antico scorreva all’interno della piana distinto dai torrenti Marina e Marinella e confluiva a nord ovest dei Colli Alti direttamente nell’Ombrone, all’altezza prima di Poggio a Caiano e poi di Lecore (BARTOLINI

PRANZINI 1984;NUTI 1980; PRANZINI 2008). Ancora alla metà del XVI secolo in una violenta esondazione riprese l’antico corso attraversando i campi e giungendo sino alle pendici d Poggio a Caiano (NUTI 1980). Solo più tardi il suo alveo è stato spostato ulteriormente verso est intercettando così le acque dei torrenti Marina e Marinella e,

(21)

determinato fortemente il paesaggio della piana, caratterizzato inizialmente da boschi planiziali igrofili, con aree umide interne a carattere stagionale e piccole zone lacustri e palustri nei punti di massima depressione (Lastra a Signa e Lecore)36, o comunque dove la presenza di depositi di argilla rendeva il suolo

meno permeabile (ad es. nella zona tra Calenzano e Castello)37. Inoltre l’ampia

copertura boschiva doveva rendere i regimi fluviali più uniformi, limitando l’erosione e con essa l’apporto di detriti38. Le analisi palinologiche condotte sui siti preistorici di Sesto Fiorentino confermano almeno per un periodo compreso tra il IV e il III millennio a.C., una vegetazione da clima umido temperato con alberi di alto fusto e piante palustri39. La costante pressione umana a partire dal

Neolitico ha portato gradualmente ad una modifica sostanziale del paesaggio40, e

la messa a coltura delle fertili aree pianeggianti ha richiesto importanti opere di bonifica e canalizzazione, documentabili con certezza a partire dal VII sec. a. C.41.

Tuttavia le modifiche più profonde risalgono all’età romana, tanto che le tracce della centuriazione sono sopravvissute all’abbandono di età tardoantica-altomedievale42, e recuperate inconsapevolmente nelle nuove sistemazioni agrarie basso medievali e rinascimentali43. Altrettanto importanti dovettero essere le opere idrauliche di età Lorenese44 che intervennero nella porzione meridionale,

deviato entro l’ultimo tratto di un Bisarno, andando a sfociare direttamente in Arno. – CONDERA - ERCOLI 1973; NUTI 1980, p. 36; BARTOLINI - PRANZINI 1984; PRANZINI

2008; REPETTI 1883, pp. 327-328.

36 Doveva trattarsi probabilmente di lame e piccoli stagni dal basso fondale circondati da

fustaie come esistono ancora nella zona di Chiusi o nei paduli di Fucecchio e Bientina. Testimoni della copertura forestale sono anche i tronchi di quercia rinvenuti a circa 6,5 m di profondità e datati tra i 4000 e i 5000 anni b. p. - SARTI-MARTINI 1993, p. 17; SARTI

1997B, p. 17, nota 9; PIZZIOLO-SARTI 2004, pp. 39, 42.

37 Aree umide in corrispondenza di terreni argillosi sono diffuse in tutta la piana, dall’area

della Caserana nel pistoiese a quella del Pantano e delle Cascine di Tavola nel pratese sino al territorio fiorentino anche sulla riva sinistra dell’Arno, trai corsi del Greve e del Vingone. – SHEPERD 2006, p. 15; PRANZINI 2008, pp.1-2

38 M

AZZANTI 2008, pp. 103-104.

39 SARTI 1985; PIZZIOLO-SARTI 2004, p. 42.

40 La presenza di arbusti ed erbe infestanti, rivelata dalle analisi palinologiche, è

indicativa di un primo stadio di degrado ambientale connesso alla pressione antropica – SARTI 1985, PIZZIOLO -SARTI 2004, p. 42.

41 D

E MARINIS 1993, p. 610; MARTINI et alii1999, p. 10; RASTRELLI 2006, p. 125.

42 Le cronache e i documenti d’archivio ricordano la presenza di estesi boschi di pianura. 43 C

ASTAGNOLI 1948;LOPEZ PEGNA 1954;LOPEZ PEGNA 1974;BERTI 1985;DE SILVA -PIZZIOLO 2004;SHEPERD 2006;MILLOSCHI 2001,pp.39-49;MILLOSCHI 2008,pp.3-6.

44 In età lorenese si assiste in Toscana ad ingenti opere di bonifica a fini agricoli dei

bacini dell’Ombrone, dell’Arno e del Serchio, con il risanamento di grandi aree umide la realizzazione di importanti canali scolmatori (CRESTI 1989). Per la piana fiorentina sono

(22)

regimentando i corsi minori, operazioni che sono continuate sino ad oggi da parte dei vari consorzi di bonifica45.

2.

A

LLE ORIGINI DEL CAMBIAMENTO

.

LA FORMAZIONE DELLE FACIES ARCHEOLOGICHE DELL’ETÀ DEL BRONZO NELLA

TOSCANA SETTENTRIONALE, TRA REGIONALISMI ED APERTURE EUROPEE

LE PREMESSE

La definizione delle fasi più antiche dell’età del Bronzo in area mediotirrenica, pur alla luce dei numerosi ritrovamenti effettuati negli ultimi decenni, resta un ambito dove il dibattito scientifico è ancora in corso e dove sia l’approccio tradizionale, basato sull’analisi degli aspetti più caratteristici della cultura materiale, che l’apporto delle datazioni radiometriche disponibili46 lasciano ancora un margine di indeterminatezza.47 Anche se sono rimaste a lungo alcune incertezze sulla continuità delle facies culturali dell’età del Rame all’interno della fase iniziale dell’età del Bronzo48, le indagini degli ultimi due decenni, grazie all’individuazione di nuovi contesti pluristratificati e attraverso la revisione di vecchi dati di scavo, hanno permesso di cogliere questo aspetto sia nel settore meridionale della cultura di Rinaldone49 che in quello settentrionale. In quest’ultimo, grazie alle ricerche del territorio fiorentino, è stato possibile definire l’esistenza di una fase che pur mostrando ancora legami con la locale tradizione campaniforme se ne distacca progressivamente. Questa è stata pertanto definita

documentati rialzamenti del piano di campagna fin oltre due metri attraverso il sistema delle torbide (SHEPERD 2006, p.15).

45 L’ultima grande sistemazione idraulica si ebbe negli anni trenta del Novecento

(Decreto Ministeriale del 12 luglio 1930). –MILLOSCHI 2008,pp.3-6.

46 C

OCCHI GENICK 2017, 2013; PETITTI et alii 2012; MARTINELLI-VALZOGHER 2008.

47 Per una disamina dettagliata ed aggiornata sullo stato delle ricerche e sul dibattito in

corso e sulle varie scuole di pensiero cfr. DEL FATTORE 2006.

48 CARANCINI et alii 1996, p. 77.

49 L’esistenza di una fase culturale intermedia tra i due periodi è sempre stata sostenuta da

Renato Peroni, tanto da far ipotizzare una continuazione di aspetti della facies rinaldoniana all’interno del Bronzo antico. Più recentemente questa posizione è stata riproposta anche da Raffaele Carlo de Marinis sulla base di alcune associazioni di manufatti metallici. Tuttavia, Marco Pacciarelli nella sua proposta di sintesi sulla protostoria italiana ritiene ancora che non vi siano sufficienti elementi per poter comprovare tale prosecuzione degli aspetti tipicamente eneolitici fino agli inizi del Bronzo antico: PACCIARELLI 2000, p. 21; PERONI 1996A, 1996B.

(23)

epicampaniforme, su modello di quanto si è riscontrato anche nel sud est della

Francia agli inizi del Bronzo antico50.

L’impatto culturale ed antropico dell’età del Rame, pur frammentato in gruppi locali, appare legato anche allo sfruttamento delle risorse minerarie ampiamente diffuse sul territorio.51 Queste sono alla base del precoce sviluppo di attività

estrattive e metallurgiche documentate in siti dell’interno (Neto Via Verga e Querciola a Sesto Fiorentino; Ponte Pietrino II-II e Villa Poggi Banchieri a Prato)52 e della costa (Campiglia Marittima, San Carlo Cava Solvay)53. L’interesse per le risorse minerarie, inoltre, potrebbe essere alla base dei rapporti, seppur in questo periodo poco numerosi, tra arcipelago Toscano, Corsica e costa Tirrenica.54

Per questa fase, nella Toscana settentrionale si conoscono siti in grotta, soprattutto a carattere sepolcrale, posti in zona collinare e montana e rari contesti di abitato per lo più situati in zone di fondovalle, in prossimità di fiumi ed aree umide, secondo un modello che è possibile riscontrare fino all’alto Lazio55. I primi si concentrano nel territorio versiliese e pisano, e si collocano lungo percorsi di attraversamento dei crinali e delle valli, in collegamento con la costa e la bassa valle dell’Arno. I secondi sono stati individuati nel medio Valdarno, e si concentrano nella piana di Firenze con i siti di abitato di Sesto Fiorentino (Neto-Via Verga, Querciola)56 , Prato (tra il fiume Bisenzio e il torrente Bardena)57 e Ponte a Greve58.

50 S

ARTI 2012,2004;SARTI et alii 2001; LEMERCIER 2003; VITAL et alii 2012.

51 S

ARTI 2017, p. 346; GRIFONI CREMONESI et alii 2001, pp. 71-72; GRIFONI CREMONESI

1997, p. 17.

52 S

ARTI 2014, pp. 52-53; SARTI et alii cds.; MARTINI et alii 1999, p. 37; PERAZZI

-POGGESI 2011, pp. 285-289.

53 F

EDELI 1995; FEDELI-GALIBERTI 2016; DOLFINI 2010; DI FRAIA-GRIFONI CREMONESI

2007, pp. 265-266. – Riguardo alla circolazione del rame toscano durante l’Eneolitico si rimanda allo studio condotto recentemente dalle Università di Padova, Milano-Bicocca e Berna sull’ascia di rame rinvenuta tra gli oggetti dell’uomo del Similaun, il quale ha rivelato una provenienza toscana del minerale con cui è stata realizzata: ARTIOLI et alii

2017.

54 Durante la fase avanzata dell’età del Rame nel Mediterraneo occidentale si coglie la

presenza di un network complesso che oltra a mostrare una fitta relazione tra penisola Iberica, Isole Baleari, Sardegna e Sicilia, rivela anche contatti tra la Sardegna e il settore mediotirrenico della penisola Italiana. – SARTI 2017, p. 349; DI FRAIA-GRIFONI

CREMONESI 2007, p. 267; WEISS 1996.

55 C

OCCHI GENICK –GRIFONI CREMONESI 1989A; GRIFONI CREMONESI et alii 2001;

CHIARENZA-LAMBERTINI 2007.

56 SARTI 1997

(24)

Una documentazione quantitativamente maggiore esiste per il settore centro meridionale della regione dove i siti dell’età del Rame (per la maggior parte sepolcrali) sono distribuiti lungo i fiumi e le valli interne. Tra queste le più importanti sembrano essere già in questa fase la Val d’Orcia che collega l’area del monte Cetona con l’Umbria e con il Valdarno, e la valle dell’Ombrone che unisce il territorio senese con il distretto amiatino e grossetano. Ad esse si aggiunge anche la Valle del Cecina che, se pur breve, per la sua conformazione permette di raccordare, attraverso le colline di Volterra, le valli dell’Era59 e dell’Elsa con il settore costiero a sud di Livorno e con le colline metallifere.60

Per comprendere non solo il territorio fiorentino ma più in generale il quadro culturale della Toscana settentrionale e del Medio Valdarno, è importante considerare l’impatto del fenomeno campaniforme sulle comunità locali, soprattutto nelle sue forme evolute. Questa facies culturale eneolitica in Toscana è nota oltre che per le numerose tracce di abitato della piana fiorentina (concentrate per la maggior parte nel territorio del comune di Sesto Fiorentino61), anche per alcuni livelli abitativi in grotta, localizzati nel settore nord occidentale tra il Monte Pisano (Riparo della Romita di Asciano) e la Versilia (Riparo dell’Ambra).62 Materiali campaniformi provengono anche da sepolture collettive in grotta dell’area versiliese (Spacco delle Monete e Grotta della Scaletta), pisana (Riparo della Romita di Asciano) e grossetana (Grotta del Fontino).63

57 Si tratta dei siti di Ponte di Pietrino I e II, Villa Poggi Banchieri, Galcetello-Villa

Campolmi, Galcetello, Galceti-Casa Ciabatti, Galcetello-Villa Ristori, Galceti-Villa Fiorita, Casa La Sale e Coiano : PERAZZI-POGGESI 2011, p. 25.

58 A

RANGUREN-PERAZZI 2005; ARANGUREN-PERAZZI 2006; ARANGUREN-PERAZZI

2011; ARANGUREN et alii 2009.

59 Materiali eneolitici sono noti dalle località di Cava Erta (Pontedera), Le Selve di Cevoli

(Lari), S. Ermo (Casciana Terme) e Ceppano (Fauglia): BRUNI 1997, p. 132.

60 Lungo la valle del Cecina sono state ritrovate tre tombe eneolitiche nelle località di

Montebradoni, Guardistallo e Pomarance. Di queste, quella di Montebradoni, posta sul colle che divide la Val di Cecina con la Valle d’Era, era una tomba collettiva a grotticella con un ricco corredo di oggetti in metallo. Due tombe collettive a grotticella sono state rinvenute anche nella Valle dell’Elsa in località Le Lellere, presso Colle: CATENI 2007,

pp. 42-45; BONAMICI 2008, pp. 228-230; CALATTINI 1990A, 1990B; SARTI 1999. 61 S

ARTI et alii 2008; SARTI 2014, pp. 48-68. – Frammenti ceramici con decorazione

campaniforme nella piana Fiorentina sono stati rinvenuti anche nel territorio di Prato, sia in zona di pianura che di collina: PERAZZI-POGGESI 2011.

62 P

ERONI 1962-63; COCCHI GENICK 1986.

63 C

OCCHI GENICK-GRIFONI CREMONESI 1989B. – A questi si aggiunge anche un

frammento di armilla in lamina di rame rinvenuto nella grotta del Castello di Vecchiano e riconducibile a produzioni campaniformi del bacino danubiano: GRIFONI CREMONESI

(25)

Il territorio di Sesto Fiorentino ha restituito numerose testimonianze di questa facies, per lo più riferibili a tracce di almeno sei ampie aree insediative plurifase, la maggior parte delle quali inquadrabile nella fase evoluta (fig. 15). In quasi tutti questi contesti è stata riscontrata una continuità di frequentazione con le fasi del Bronzo antico.64 Ad essi si aggiungono due aree sepolcrali, costituite dal tumulo

di tradizione centroeuropea individuato in via Bruschi65 e dalla necropoli con oltre venti sepolture ad inumazione di Lazzerini 3.66

Figura 15 – Le unità insediative della tarda età del Rame con continuità nel Bronzo antico di Sesto

Fiorentino (rielaborato da SARTI et alii 2008): 1. Olmi; 2. Spazavento-Neto-Via Leopardi; 3. Volpaia-Podere della Gora; 4. Querciola-Semitella-Campo del Sorgo; 5. Lastruccia; 6. Sassaiola-via Bruschi-Frilli..(in arancio chiaro le aree con maggiori concentrazioni di attestazioni)

A Sesto Fiorentino grazie alla presenza di siti plurifase è stato possibile procedere ad un inquadramento cronoculturale della facies: le ricerche hanno così rivelato una fase iniziale (individuata nel sito di Neto –Via Verga) ben confrontabile con i coevi siti alto laziali di Quadrato di Torre spaccata e di Fosso Conicchio.67 A questa segue un’importante documentazione attribuibile ad un momento evoluto,

64 S

ARTI et alii 2008.

65 S

ARTI et alii 1987-88;

66 Il sepolcreto, ancora in corso di studio, è stato rinvenuto durante indagini di

archeologia preventiva nel 2006 – SARTI 2007, p. 129.

(26)

al quale sono stati ricondotti i siti di Querciola-Semitella, Volpaia e Sassaiola-Via Bruschi.68 Sul territorio sono attribuibili a questa stessa fase anche i ritrovamenti

provenienti dai siti de La Consuma 2 (Arezzo)69 e di Poggio La Croce (Radda in

Chianti) nel Chianti Senese70, oltre che da alcune sepolture collettive in grotta

della Versilia (Riparo della Romita di Asciano, Spacco delle Monete, Grotta della Scaletta)71 e del grossetano (Fontino)72.

Segue, infine, una fase terminale collocabile entro gli inizi del Bronzo antico, definita epicampaniforme e corrispondente in parte a quella già individuata da Renato Peroni nel 1961 e da lui definita inizialmente come facies di Asciano.73 Questa è presente a Sesto fiorentino nei siti di Lastruccia e Sassaiola-Frilli Est, e nel pisano all’interno dei livelli inferiori del Riparo della Romita di Asciano. Se sul piano culturale e nell’uso degli spazi non si coglie per questa fase una netta cesura con il Campaniforme evoluto, tuttavia, nella produzione vascolare la comparsa di morfologie nuove e la progressiva semplificazione e diminuzione della ricca ornamentazione della fase precedente, permettono di collocarla pienamente agli inizi del Bronzo antico.74

IL BRONZO ANTICO (XXIII-metà XVII sec. a.C. – 2300-1650 a.C.)

Con bronzo Antico si indica, convenzionalmente, un periodo storico compreso tra le culture dell’età del Rame e quelle della media età del Bronzo. La definizione di questa fase storico-culturale, risulta resa difficile in Italia centrale (e nella Toscana settentrionale in particolare) per i caratteri sfumati che assumono sia gli aspetti iniziali che quelli finali, e che fanno percepire una certa continuità nelle forme del popolamento del territorio. Le fasi iniziali, al pari di quanto avviene anche nel settore romagnolo75, appaiono fortemente caratterizzate dall’attardamento di alcuni aspetti della cultura campaniforme, con affinità anche con quello che viene tradizionalmente definito Stile della Tanaccia, nel quale, accanto al permanere di

68 S

ARTI 2012; Sarti et alii 2008; LEONINI-SARTI 2008.

69 M

ORONI 1991.

70 C

RESCI-ZANNONI 2001.

71 C

OCCHI GENICK-GRIFONI CREMONESI 1989B, pp. 343-346 con bibliografia precedente. 72V IGLIARDI 2002. 73 P ERONI 1962-63. 74 S ARTI et alii 2001. 75 SARTI-MARTINI 2016.

(27)

elementi della tradizione precedente, si assiste alla comparsa di altri derivati dalla cultura di Polada sviluppatasi a nord del Po tra Lombardia e Veneto.76 Queste

aperture culturali, già evidenziate in parte da Peroni nello studio della così detta facies di Asciano77, sono un indicatore di una maggiore circolazione di modelli su

scala interregionale, per un periodo nel quale al contempo si assiste ad un rafforzamento degli aspetti locali.78

Il peso degli elementi poladiani nelle produzioni ceramiche dell’Italia centrale tirrenica è stato nei decenni variamente interpretato, ma rivela sicuramente l’importanza culturale che riveste nell’antica età del Bronzo il settore settentrionale della pianura Padana, dove i grandi abitati perilacustri dell’area lombarda e veneta intrattengono rapporti sia con i gruppi del settore alpino nord occidentale che con quelli delle regioni nord orientali, facendosi tramite per la trasmissione di oggetti e modelli nord alpini all’interno della penisola italiana.79

Non è un caso se anche oggetti prettamente di tradizione poladiana come le così dette “tavolette enigmatiche” si ritrovano, seppur in numero limitato, persino in contesti a sud dell’Appennino80 con due esemplari documentati anche nella piana fiorentina.81

In seguito ad una revisione sistematica dei dati, condotta una ventina di anni fa da parte di Daniela Cocchi Genick, è stato possibile isolare per la Toscana centro settentrionale cinque aree culturali tra loro collegate anche se geograficamente distinte (fig. 16): il gruppo emiliano-romagnolo (detto anche della Tanaccia) nel settore nord orientale, quello epicampaniforme di Sesto Fiorentino nel medio Valdarno, e di Asciano nel settore nord occidentale (ben documentato nel pisano e nel versiliese). A questi si aggiungono nella Toscana centro meridionale il gruppo dello Scoglietto tra Rosignano nel Livornese ed il territorio grossetano ed il

76 BARFIELD 1987; BERMOND MONTANARI et alii. 1996; COCCHI GENICK 1998 A;

FERRARI-STEFFÈ 2008; FERRARI 2009; CATTANI-MIARI cds..

77 P

ERONI 1971.

78 C

OCCHI GENICK 1998A, p. 394. 79

DE MARINIS et alii 1996; DE MARINIS 2007.

80 Per l’Italia centrale si ricordano gli esemplari di Grotta dei Cocci di Narni (Tr) e di

Vallone nella Caldera di Latera (Vt). – DE ANGELIS 1998; PETITTI 2000, pp. 141-142, p.

147, fig. 1; ROSSI 2012, p. 99.

81 MARTINI et alii 1999, p. 59; SIDOLI 2003; BAIONI 2011

(28)

gruppo del Beato Benincasa esteso tra il senese (dove è ben documentato sul Monte Cetona) e l’Umbria.82

Il dibattito sulla periodizzazione di questa fase e sui relativi gruppi culturali è ancora aperto, tanto che, accanto a ricerche di dettaglio rivolte alla definizione di particolari aspetti locali, si è proceduto a proposte di sintesi non sempre del tutto coincidenti.83

Figura 16 – Gruppi del Bronzo antico della Toscana.

In linea di massima rimane valido e generalmente accettato il quadro tracciato da Daniela Cocchi Genick nel 1996 con una suddivisione interna del periodo in due fasi (BA1A-B, BA2) con una sottofase intermedia non sempre ben individuabile in

tutti i contesti.84 Il momento terminale è invece indiziato dalla comparsa di elementi ascrivibili alla facies di Grotta Nuova, ma in alcuni casi risulta non

82 A questi si aggiunge quello di Torre Crognola-Mezzano nell’area del Fiora tra bassa

Toscana ed alto Lazio – COCCHI GENICK 1998A, pp. 307-333; COCCHI GENICK-SARTI

2001, p. 98.

83 C

ARANCINI et alii 1996; COCCHI GENICK 1996B; COCCHI GENICK-SARTI 2001;

PACCIARELLI 2000, pp. 19-26; BIETTI SESTIERI 2010, pp. 85-88.

84 COCCHI GENICK 1996

(29)

sempre facile la sua individuazione, dato il perdurare dei modelli del periodo più antico nelle fasi iniziali di quello successivo.85

Per quanto riguarda i caratteri generali di questa macro fase, a livello regionale si assiste alla comparsa del fenomeno dei ripostigli di manufatti in lega di rame (fig. 17), con una particolare concentrazione attorno al distretto minerario delle Colline Metallifere, tra il senese, il grossetano e il livornese.86

Figura 17 – Ripostigli (˜) e bronzi isolati (˜) del Bronzo antico: 1. Puglianella di Camporgiano; 2. S. Maria del Giudice; 3. Verruca; 4. Calci; 5. Vicopisano; 6. Castagnolo; 7. Volterra; 8. Montemaggio (Monteriggioni); 9 Castelnuovo Berardenga; 10. Sovicille; 11. Torre Nuova (S. Vincenzo); 12. San Michele (Campiglia Marittima); 13. Vetulonia; 14. Campiglia d’Orcia; 15. Santa Fiora; 16. Scansano; 17. Saturnia; 18. Montemerano; 19. Capalbio.

A questi si aggiunge un gruppo di ripostigli e bronzi isolati rinvenuti per la maggior parte sulle pendici sud occidentali del Monte Pisano.87 Il ripostiglio di Puglianella di Camporgiano in alta Garfagnana è invece riconducibile al gruppo

85 BALDUCCI et alii 2007.

86 Basso livornese: Torrenuova (San Vincenzo) e San Michele (Campiglia Marittima).

Territorio senese: Montemaggio (Poggibonsi), Castelnuovo Berardenga, Sovicille; area amiatina: Campiglia d’Orcia, Santa Fiora, Montemerano, Saturnia e Scansano. Maremma Toscana ed alto viterbese: Capalbio, Cervara Alfinia. – CARANCINI 1993, 1996; CARANCINI-PERONI 1999, pp. 9-11, tav. 2; GIARDINO 2008 p. 83.

87 Verruca, Calci e Vico Pisano sul Monte Pisano; Volterra: B

ALDUCCI-LEONINI 2005, p. 124. – A questi si devono aggiungere i ritrovamenti di asce isolate da S. Maria del Giudice ancora dal Monte Pisano, Castagnolo (Pisa) da Volterra: CATENI 1997B, pp. 193;

BRUNI 1997C;BONAMICI 2008, pp. 229-231; CARANCINI 1996, p. 45; ZANINI 1997B, pp.

(30)

dei ripostigli dell’Appennino tosco emiliano, come rivela la morfologia delle asce a margini rialzati che rimanda a tipi diffusi in ambiente settentrionale.88 Inoltre, la

sua collocazione nell’alta valle del Serchio è indiziaria dello sfruttamento delle risorse minerarie dell’Appennino, ben note sul versante emiliano lungo le valle dei torrenti Dolo e Dragone.89

Tra questi ripostigli, quello di asce proveniente dal territorio volterrano90 assieme ad un’altra ascia sporadica recuperata dal colle di Volterra91, possono essere invece intesi come un indicatore per l’interesse verso il settore minerario immediatamente a sud della valle del Cecina, dato indiziato già nella fase precedente dai corredi della tomba eneolitica di Montebradoni92 e nel passaggio

tra età del rame e Bronzo antico dall’alabarda tipo Calvatone di Pomarance e dai due pugnali tipo Guardistallo dal sito omonimo.93

Il rinvenimento nel settore centro meridionale della regione di manufatti in bronzo di foggia transalpina ci permette inoltre di cogliere già in questa fase un rapporto tra l’area più ricca di risorse minerarie della penisola e le culture dell’Europa centro occidentale, molto probabilmente mediato anche dai gruppi del territorio padano, dove questi oggetti sono stati ugualmente ritrovati.94

In un quadro di popolamento diffuso ma ancora a maglia larga ed apparentemente non strutturato su base territoriale, questi depositi di oggetti metallici risultano particolarmente importanti sia per ciò che contengono (nella maggior parte dei casi asce finite)95 che per i luoghi in cui sono stati deposti, corrispondenti a punti

88 Dal territorio è noto anche il ritrovamento di un ascia conservata nelle collezioni

storiche del Museo Archeologico di Perugia e data come proveniente dalla Garfagnana: CIAMPOLTRINI 2013, pp. 11-15; TIRABASSI-ZANINI1999; CARDARELLI 2009, p. 34;

CARANCINI 1996; TIRABASSI 2006; DE MARINIS 2006.

89 T

IRABASSI-ZANINI 1999; TIRABASSI 2006, p. 458; LABATE 2006, p. 33; CATTANI -MONTI 1997; CARDARELLI -MALNATI 2006, p. 212.

90 C ATENI 1997B, pp. 193-195. 91 C ATENI 2007B, p. 41. 92 C ATENI 2007B, pp. 42-45. 93 B

ONAMICI 2008, pp. 229-231; BIANCO PERONI 1994, p. 15, n. 89 (per l’esemplare di Pomarance), p. 16, nn. 90-91 (per i pugnali di Guardistallo);CARANCINI 1996, pp. 41-45, fig. 4, n 22; CARANCINI 1984 p. 143, tipi 29, 31, 34 E 36, figg. 5-6.

94 Da Chiusi e da Cetona provengono due pugnali in bronzo con ribattini a capocchia

composita del tipo Ring-nieten, la cui produzione è caratteristica della valle del Rodano, mentre nella Buca di Spaccasasso presso Alberese (Gr) sono stati trovati una coppia di spilloni del tipo Straubing ed uno spillone con testa ad anello ingrossato, un tipo quest’ultimo ben documentato soprattutto nella pianura padana centro occidentale tra il lago di Garda e il mantovano. – DE MARINIS 2001, pp. 266-275; PELLEGRINI 2007.

95 I ripostigli che hanno restituito esclusivamente panelle di metallo semilavorato sono

quelli di Torrenuova presso S. Vincenzo, S. Michele di Campiglia Marittima e Saturnia: GIARDINO 2008.

(31)

particolari del territorio. Il loro rinvenimento soprattutto in località d’altura isolate potrebbe portare ad interpretarli non tanto come semplici ripostigli di artigiani, come sarà per alcuni delle fasi più tarde dell’età del Bronzo, quanto come depositi rituali volti a contrassegnare il controllo del territorio da parte delle comunità oltre che a sancire relazioni tra i gruppi limitrofi.96

Figura 18 – Siti di abitato del Bronzo Antico 1-2: 1. Candalla (Riparo delle Felci, Riparo dell’Ambra); 2.

Pieve a Nievole-via Matteotti; 3. Prato (Galcetello, Galcetello Villa Campolmi, Galcetello-Villa Ristori); 4. Sesto Fiorentino (Campo del Sorgo, Frilli, Lastruccia, Madonna del piano, Querciola, Termine Est 1-2, Volpaia); 5. Fiesole; 6. S. Lorenzo a Greve; 7. Casa Paesante; 8. Pontedera-Area Piaggio; 9. Grotta del Leone; 10. Grotta della Romita di Asciano; 11. Pisa-via Buonarroti; 12. Castagnolo; 13. Podere Solarolo; 14. Livorno-via Lazzeretto; 15. Rosignano-Casa Saracino; 16. Volterra.

La maggior parte dei siti noti per questa fase nella Toscana settentrionale è costituita da abitati per lo più all’aperto97 la cui concentrazione maggiore è nella pianura di Firenze con i siti di Sesto Fiorentino98, Prato99 e San Lorenzo a Greve100. A questi si aggiungono alcuni ritrovamenti sempre in area alluvionale lungo il Valdarno inferiore, alla confluenza dell’Era101 e nella piana di Pisa.102 In

96 C

OCCHI GENICK-SARTI 2001, p. 110; CARANCINI 1996, pp. 50-52.

97 Continua anche in questa la fase la frequentazione delle grotte e dei ripari del pisano

(Romita di Asciano) e della Versilia (Riparo le Felci, Riparo dell’Ambra), a cui si aggiunge una frequentazione forse cultuale della Grotta del Leone sul Monte Pisano.

98 Campo del Sorgo, Frilli, Lastruccia, Madonna del Piano, Querciola, Termine Est 1-2,

Volpaia: SARTI et alii 2001; ROMOLI 2015.

99 Galcetello, Galcetello-Villa Campolmi; Galcetello-Villa Ristori: P

ERAZZI-POGGESI

2011.

100 A

RANGUREN-PERAZZI 2005.

(32)

posizione pedecollinare si trovano, oltre ai contesti pratesi sopra menzionati, anche altri due siti abitativi: uno ancora allo sbocco della Val d’Era (Casa Paesante presso San Miniato)103 nella valle dell’Arno e l’altro a Pieve a Nievole

(viale Marconi)104 a nord dell’area umida del Padule di Fucecchio. Infine si

segnalano sporadici ritrovamenti sulle sommità dei colli di Fiesole105 e di

Volterra106 e per le coline a sud est di Livorno il sito di altura di via Lazzaretto e quello di Case Saracino presso Rosignano Marittimo, posto entro una valle fluviale.107

Per quanto concerne il riesame delle fasi interne del periodo, per la Toscana centro settentrionale gli unici contesti pluristratificati editi che consentono di osservarne gli sviluppi all’interno delle loro serie stratigrafiche restano ancora oggi il Riparo dell’Ambra presso Candalla in Versilia108, l’abitato all’aperto di

Lastruccia a Sesto Fiorentino109 ed il sito in grotta di S. Maria in Belverde sul

Monte Cetona110. Da questi contesti è possibile seguire un’evoluzione delle fasi senza soluzione di continuità, dal Bronzo antico fino agli inizi del Bronzo medio.111

Durante la prima fase, definita Bronzo antico 1A e corrispondente in parte alla prima fase del Bronzo antico dell’area fiorentina,112 è possibile individuare aggregazioni territoriali di contesti archeologici che, pur rivelando forti caratteristiche autonome, mostrano d’altro canto una serie di importanti corrispondenze interne e di elementi in comune nel repertorio tipologico e decorativo nelle produzioni materiali.113

102 Pisa-Ghezzano/via Buonarroti, Pisa-Castagnolo, Podere Solarolo: S

AMMARTINO

1997A; RADI-ZANINI 1997;DI FRAIA 1997, pp. 57, 75; BAGNOLI-PANICUCCI 1993. 103 C

IAMPOLTRINI 1995, p. 71; TORELLI 1992, p. 91.

104 Il sito ha restituito soprattutto materiale relativo alla fase di passaggio dal Bronzo

antico al Bronzo medio iniziale. Il riesame della documentazione non esclude una frequentazione nella fase terminale del Bronzo antico. – PERAZZI 2010, pp. 60, 277-283.

105 SALVINI 1990. 106 B ONAMICI 2009. 107 SAMMARTINO 1997 B, p. 43. 108 C OCCHI GENICK 1986. 109 S ARTI 1995-1996. 110 C UDA-SARTI 1992, 1996.

111 Più lacunosi paiono per il territorio settentrionale i dati dal Riparo della Romita di

Asciano e per il settore meridionale quelli dal sito di Scarceta: COCCHI GENICK-SARTI

2001, p. 90; POGGIANI KELLER 1999.

112 S

ARTI-MARTINI 2000, pp. 179, 181-187.

113 COCCHI GENICK 1998

(33)

I caratteri di questa fase per la Toscana settentrionale sono ben riconoscibili nel sito della Romita di Asciano (livelli 7-8) e nella sequenza stratigrafica di Lastruccia a Sesto Fiorentino (Lastruccia 1 strato N, Lastruccia 2 strato C 2-3, Lastruccia 3 strato 8).114 La produzione ceramica di questo periodo si connota per

la presenza di scodelle con orlo ingrossato e bordo piatto, ben note già nella fase campaniforme ma che da questa si discostano per l’assenza della decorazione. Nella prima fase del Bronzo antico di Sesto Fiorentino si nota inoltre il perdurare degli stilemi decorativi della fase campaniforme, anche se realizzati con una sintassi più trascurata, impiegati sia su forme vascolari proprie del Campaniforme evoluto che su tipologie nuove, tra cui forme semplici globulari e composte.115

Questo mutamento dello stile decorativo lo si coglie anche in altri siti del territorio toscano come nel grossetano, dove nella grotta del Fontino compaiono in questo momento nuove forme vascolari e il tipo di decorazione appare rinnovata negli schemi formali e nelle tecniche rispetto a quella prettamente campaniforme. I dati provenienti dalle ricerche in area fiorentina hanno permesso di integrare notevolmente il campione tipologico delle forme vascolari relativamente alle produzioni non decorate, definite in letteratura “ceramica accompagnante”, permettendo così di notare la presenza di un eclettismo culturale latente, con contatti diretti o mediati con i territori sia a sud del bacino dell’Arno che immediatamente a nord dell’Appennino nell’area emiliano romagnola.116 A questa prima fase seguono poi le altre due distinte da Daniela Cocchi Genick come Bronzo antico 1B e Bronzo antico 2, ed in parte corrispondenti alla seconda

e terza fase del Bronzo antico dell’area fiorentina.117

Si tratta di due momenti distinti, nei quali la componente della tradizione campaniforme nelle morfologie vascolari e nella sintassi decorativa tende progressivamente a ridursi e ad accompagnarsi, durante la fase terminale, ad aspetti che saranno più prettamente propri del Bronzo Medio iniziale.118

Alla prima (BA1B/seconda fase del BA fiorentino) sono riferibili delle tipologie

vascolari ben attestate all’interno delle serie stratigrafiche dei vari siti di Candalla,

114 P

ERONI 1962-63; COCCHI GENICK-SARTI 2001, pp. 92, 98-99; SARTI et alii 2001; SARTI 1995-1996; SARTI 2014, pp. 65-69.

115 C

OCCHI GENICK-SARTI 2001, pp. 92, 98-99; ROMOLI 2015.

116 C

ARDARELLI-MALNATI 2006, p. 42; CATTANI-MIARI cds..

117 C

OCCHI GENICK-SARTI 2001, p. 100; SARTI et alii 2001; SARTI-MARTINI 2000, pp.

179, 188-194.

118 SARTI 2000

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