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sviluppo di un sistema d'immortalizzazione cellulare ex vivo

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Academic year: 2021

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Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali

Corso di Laurea Magistrale in Biotecnologie Molecolari e Industriali

SVILUPPO DI UN SISTEMA D’IMMORTALIZZAZIONE

CELLULARE EX VIVO”

Candidata

Relatore

Elena Tantillo Prof. Mauro Pistello

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INDICE

1 RIASSUNTO ... 5

2 ABSTRACT ... 7

3 INTRODUZIONE ... 8

3.1 SENESCENZA CELLULARE ... 8

3.1.1 SCOPERTA DELLA SENESCENZA: IL LIMITE DI HAYFLICK ... 8

3.1.2 REGOLAZIONE DELLA SENESCENZA CELLULARE... 8

3.1.2.1 LA PROTEINA RB ... 9

3.1.2.2 IL RUOLO DI P16INK4A ... 10

3.1.2.3 DANNO AL DNA: PATHWAY DI P53/P21... 11

3.1.2.4 ROS ... 13

3.1.2.5 miRNA ... 14

3.1.3 CARATTERISTICHE DELLA SENESCENZA CELLULARE ... 15

3.1.3.1 MORFOLOGIA ... 15

3.1.3.2 ARRESTO DELLA PROLIFERAZIONE CELLULARE ... 15

3.1.3.3 SENESCENZA REPLICATIVA: I TELOMERI... 17

3.1.4 SENESCENZA E CANCRO ... 19

3.1.5 COME LE CELLULE SFUGGONO ALLA SENESCENZA ... 19

3.2 IMMORTALIZZAZIONE CELLULARE ... 20

3.2.1 IDENTIFICAZIONE DI GENI E PATHWAY PER L’IMMORTALIZZAZIONE ... 21

3.2.2 PERCHé IMMORTALIZZARE LE CELLULE ... 24

3.2.3 METODI D’IMMORTALIZZAZIONE ... 24

3.2.3.1 IMMORTALIZZAZIONE SPONTANEA ... 25

3.2.3.2 ANTIGENI T DI SV40... 25

3.2.3.3 HTERT ... 29

3.2.3.4 IMMORTALIZZAZIONE CON ONCOGENI ... 30

3.2.4 IMMORTALIZZAZIONE E TRASFORMAZIONE TUMORALE ... 33

3.3 VETTORI VIRALI ... 35

(3)

3.3.2 VETTORI LENTIVIRALI ... 37

4 SCOPO DELLA TESI ... 38

5 MATERIALI E METODI ... 39

5.1 VETTORE LENTIVIRALE pLVX-CMV ... 39

5.1.1 SISTEMA TET-ON 3G TETRACYCLINE INDUCIBLE ... 40

5.2 COSTRUZIONE DEL VETTORE PLVX-LUC ... 43

5.2.1 DIGESTIONI ... 44

5.2.2 LIGATION ... 45

5.2.3 OTTIMIZZAZIONE DELLA LIGATION ... 45

5.2.4 TRASFORMAZIONE ... 46

5.2.4.1 CELLULE BATTERICHE MAX Efficiency®Stbl2™ ... 46

5.2.5 SCREENING ... 46

5.2.6 CRESCITA CLONI POSITIVI ED ESTRAZIONE DEL DNA PLASMIDICO ... 48

5.2.7 SEQUENZIAMENTO ... 48

5.2.7.1 HEK 293T ... 48

5.2.8 TRASFEZIONE ... 49

5.2.9 TRASDUZIONE ... 50

5.3 COSTRUZIONE DEI VETTORI LENTIVIRALI DEL SISTEMA D’IMMORTALIZZAZIONE ... 51

5.4 COLTURA PRIMARIA DI FIBROBLASTI UMANI ... 54

5.5 SYSTEM VALIDATION ASSAYS ... 56

5.5.1 LUCIFERASE ASSAY ... 56

5.5.2 RT-PCR ... 57

5.6 CELL CHARACTERIZATION ASSAYS ... 60

5.6.1 MORPHOLOGICAL ANALYSIS ... 61

5.6.2 SOFT AGAR ASSAY ... 61

5.6.3 WOUND HEALING ASSAY ... 63

5.6.4 CELL PROLIFERATION ASSAY WST-1 ... 64

5.6.5 METHYLATION ASSAY ... 67

5.6.6 MICROSATELLITE ANALYSIS ... 72

(4)

6 RISULTATI ... 75

6.1 COSTRUZIONE DEI VETTORI LENTIVIRALI ... 75

6.2 SEQUENZIAMENTO ... 76

6.3 SYSTEM VALIDATION ASSAYS ... 77

6.3.1 LUCIFERASE ASSAY ... 77

6.3.2 RT-PCR ... 79

6.4 CELL CHARACTERIZATION ASSAYS ... 79

6.4.1 MORPHOLOGICAL ANALYSIS ... 79

6.4.2 SOFT AGAR ASSAY ... 83

6.4.3 WOUND HEALING ASSAY ... 84

6.4.4 CELL PROLIFERATION ASSAY WST-1 ... 88

6.4.5 METHYLATION ASSAY ... 89 6.4.6 MICROSATELLITE ANALYSIS ... 90 6.4.7 CARIOTIPIZZAZIONE ... 92 7 DISCUSSIONE ... 93 8 PROSPETTIVE FUTURE ... 98 9 BIBLIOGRAFIA ... 99

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1 RIASSUNTO

Le cellule di colture primarie hanno una vita limitata e possono andare incontro a un numero finito di divisioni detto limite di Hayflick oltre il quale entrano in uno stato di senescenza. I meccanismi che controllano la durata della vita cellulare possono essere modificati in modo da prolungare la capacità replicativa, eludendo i controlli apoptotici, senza perdere le caratteristiche genotipiche e fenotipiche delle cellule primarie giovani. Questo processo, detto immortalizzazione, è uno degli aspetti critici della carcinogenesi.

Esistono molti metodi per l’immortalizzazione di cellule di mammifero in coltura tramite l’espressione di proteine. Il più utilizzato si basa sull’espressione degli antigeni T del virus SV40 e della Telomerase Reverse Transcriptase protein (Tert). Tuttavia, le proteine virali non sono sufficienti per l’immortalizzazione di molti tipi cellulari umani e possono interagire negativamente con proteine metaboliche. È stato, quindi, identificato un set alternativo di sei proteine in grado di promuovere l’immortalizzazione cellulare.

Questo lavoro di tesi ha come obiettivo l’allestimento di un sistema inducibile per l’espressione del set dei sei oncogeni ai fini di controllare e caratterizzare il processo d’immortalizzazione. Per il funzionamento del sistema è necessario fornire un transattivatore che, solo in presenza di Tetraciclina, è in grado di legarsi al promotore attivando la trascrizione genica. L’induzione permette di modulare reversibilmente l’espressione dei transgeni.

Gli oncogeni sono stati clonati a coppie in tre vettori lentivirali mentre un gene reporter, la luciferasi, è stato inserito in un vettore lentivirale distinto. Tramite il test della luciferasi su cellule 293T è stata confermata l’inducibilità in risposta all’incremento di Tetraciclina nel terreno di coltura.

Il sistema d’immortalizzazione è stato testato su fibroblasti primari umani ottenuti da biopsia di tessuto epidermico. Le cellule sono state trasdotte con diverse combinazioni virali in presenza e in assenza di Tetraciclina e l’espressione degli oncogeni è stata dimostrata con una RT-PCR.

La senescenza replicativa è caratterizzata da distinte alterazioni della morfologia cellulare, dell’espressione genica e del metabolismo.

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Sono, quindi, stati fatti test per analizzare le differenze tra le cellule trattate. L’analisi della morfologia è stata svolta tramite osservazione al microscopio ottico. I cambiamenti nel metabolismo cellulare sono stati analizzati tramite due saggi: il wound healing assay e il saggio di proliferazione. È stato possibile valutare la capacità proliferativa dei fibroblasti. Tramite test di metilazione è stata monitorata la variazione dell’espressione genica a livello epigenetico. L’analisi dell’instabilità dei microsatelliti ha permesso di valutare la stabilità genomica delle cellule trattate. Mediante il saggio del soft agar, infine, è stato valutato il livello di tumorigenicità delle cellule trattate.

L’inattivazione dei meccanismi apoptotici può portare ad alterazioni cromosomiche che potrebbero non permettere la reversibilità dell’immortalizzazione cellulare, quindi, è stata fatta l’analisi del cariotipo.

Dai risultati dei test è possibile capire come l’espressione dei sei oncogeni influenzi la morfologia e il metabolismo cellulare determinando l’efficienza del sistema d’immortalizzazione in questione per la creazione di linee cellulari continue e per lo studio dei processi di carcinogenesi.

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2 ABSTRACT

Generation of cells with unlimited replication capacity yet maintaining their normal features is matter of intense research. An unlimited supply of normal cells is useful to produce biological tissues, study metabolic pathways, test drugs, produce biomolecules, etc. Strategies currently available transform rather than merely immortalize cells.

Immortalization and tumor transformation are two distinct, yet partly overlapping processes. Normal cells work on a biological clock that controls timing and number of replication cycles. Once the maximum number is reached, cells come to age and die.

During immortalization, cells undergo continuous replication but maintain morphology and metabolism of normal cells. Cells that replicate continuously has a higher probability to accumulate gene mutations and genomic alterations, therefore, immortalized cells may eventually acquire irreversible changes such as tumor features. As a result, tumor cells have little in common with normal cells and this makes transformed cells unusable for most of the studies.

During my dissertation internship I have developed a system to induce normal cells to replicate and live beyond physiological lifespan without altering their normal phenotype. The idea derives from previous observations showing that specific genes induced in normal cells and expressed constantly and at high levels transform at high efficiency. The system developed delivers the same group of genes but their expression is controlled by an inducible promoter activated by a doxicicline induced transactivator. Transient expression of these genes induces cells to replicate and cell cycling continues as long as these genes are expressed. The cells retain their normal phenotype and capacity to replicate in time. I’ve tested the immortalization system in human fibroblasts and I have found that replication can be induced in time. During treatment, cells tend to form cellular aggregates as tumor cells. These cells return to normal morphology within two days after removal of activator. The induced immortalization did not change genomic, morphological and metabolic features compared to normal cells.

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3 INTRODUZIONE

3.1 SENESCENZA CELLULARE

3.1.1 SCOPERTA DELLA SENESCENZA: IL LIMITE DI HAYFLICK

Il termine senescenza deriva dalla parola latina senex che significa vecchiaia. La senescenza cellulare è stata descritta per la prima volta da Leonard Hayflick durante la coltivazione di fibroblasti primari (Hayflick et al, 1961). Osservò che le cellule primarie erano in grado di dividersi in vitro circa 55 volte prima di raggiungere il “limite di Hayflick” che segna la fine della loro capacità proliferativa e l’entrata in uno stato irreversibile di arresto della crescita. Le cellule, una volta superato il limite, mostravano alterazioni cromosomiche come eteroploidia, ritenute un segnale d’invecchiamento a livello cellulare. La senescenza replicativa non è limitata solo ai fibroblasti primari, ma anche a tutte le cellule differenziate non tumorali in grado di dividersi. La natura e la funzione della senescenza sono ancora poco conosciuti dal momento che le cellule in questo stadio sono vive e metabolicamente attive ma incapaci di dividersi a differenza della più caratterizzata apoptosi in cui le cellule vanno in contro a morte cellulare programmata (Reddel et al, 2000).

Le cellule primarie sono state definite da Hayflick, quindi, come una popolazione di cellule derivate da un tessuto, subcoltivate in vitro per più di un passaggio preservando il cariotipo caratteristico del tessuto di origine ma mancanti della proprietà di propagazione indefinita. Al contrario, le linee cellulari sono state definite come popolazioni di cellule derivate da tessuti animali cresciute in vitro per subcoltivazioni seriali per un periodo di tempo indefinito con variazione del numero di cromosomi rispetto alla fonte di provenienza.

3.1.2 REGOLAZIONE DELLA SE NESCENZA CELLULARE

La senescenza è una fase della vita della cellula finemente regolata in cui numerosi pathway interagiscono tra loro per impedire la proliferazione incontrollata, caratteristica della carcinogenesi, portando la cellula a bloccare la divisione. Sono coinvolte numerose proteine dette oncosoppressori che permettono il controllo dell’integrità del genoma e del metabolismo cellulare per evitare l’accumulo di mutazioni ed errori che potrebbero portare le cellule a perdere il controllo del ciclo cellulare.

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3.1.2.1 LA PROTEINA RB

La proteina del retinoblastoma (pRB), codificata dal gene RB1, è considerata il principale blocco del ciclo cellulare perché la sua funzione è quella di agire da repressore del fattore di trascrizione E2F impedendogli di attivare geni essenziali per la replicazione del DNA e quindi, per la proliferazione (Weintraub et al, 1995); l’attivazione di pRB tramite ipofosforilazione porta, di conseguenza, all’arresto del ciclo cellulare. Durante la divisione cellulare sono prodotti i fattori di crescita, molecole che agiscono da ligandi su recettori specifici espressi sulla membrana cellulare, che attivano la via di segnale delle proteine chinasi (MAPK) e l’espressione di geni tra cui la ciclina D (Lavoie et al, 1996). I complessi Cdks (Cyclin Dependent Kinases) - cicline così attivati, fosforilano pRB impedendogli di interagire con E2F. Le proteine CDK4 e 6 iniziano la fosforilazione di pRB interagendo con la ciclina D e questo porta all’attivazione dei geni che regolano le prime fasi del ciclo cellulare tra cui la ciclina E. L’iperfosforilazione di pRB è completata dai complessi Cdk2-ciclina E permettendo la progressione del ciclo cellulare. La proteina RB è un importante tumor suppressor e alterazioni delle sue vie di regolazione ricorrono nel 90% dei casi di cancro come nel retinoblastoma infantile (Hanahan et al, 2000).

I principali inibitori del ciclo cellulare che interagiscono con pRB sono p16INK4a e p21Waf1. La proteina p16INK4a lega specificamente Cdk4 e Cdk6 staccando la ciclina D in modo da impedire l’inattivazione di pRB e arrestare la cellula in fase G1; p21Waf1, invece, inibisce le proteine Cdks in ogni fase del ciclo cellulare senza allontanare le cicline ma legando delle molecole inibenti le Cdks (Figura 1).

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Figura 1: il ciclo cellulare (www.intechopen.com).

Nelle cellule normali, il legame preferenziale di p16INK4a con Cdk4-6 permette una maggiore disponibilità e affinità di p21Waf1 verso Cdk2-1. Le funzioni regolatrici di pRB, p16INK4a e p21Waf1 sono essenziali per l’inizio della senescenza.

In sintesi, pRB ipofosforilata lega il fattore di trascrizione E2F reprimendone l’attività. I complessi Cdks-ciclina, come ad esempio Cdk4-ciclina D, fosforilano pRB che rilascia E2F per l’attivazione della trascrizione dei geni precoci per la duplicazione del DNA. La p16INK4a e p21Waf1, solitamente attivata da p53, inibiscono le Cdks permettendo a pRB di attivarsi e inibire il ciclo cellulare.

3.1.2.2 IL RUOLO DI P16INK4A

La proteina 16INK4A (p16), prodotto del locus genico CDKN2A, è un oncosoppressore e regolatore positivo di pRB. È indotta da tipi di stress diversi tra cui l’overespressione di oncogeni come Ras e condizioni di coltura subottimali. Molte cellule silenziano o riducono l’espressione della proteina tramite la metilazione del promotore. Studi condotti su colture cellulari indicano che p16 previene la reversione della senescenza in caso d’inattivazione di p53. Quindi, p16 e probabilmente anche la via di pRB sono delle barriere alla proliferazione cellulare che non possono essere oltrepassate anche in caso di perdita di funzionalità di p53. L’oncosoppressore insieme a pRB, tramite

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meccanismi non ancora chiari, porta a una riorganizzazione della cromatina nelle cellule senescenti che sviluppano foci densi di eterocromatina per silenziare geni per la replicazione cellulare come le cicline (Beausejour et al, 2003). L’importanza di p16 è data dal fatto che impedisce la reversione dell’arresto della crescita cellulare in senescenza mantenendo i domini di eterocromatina condensati (Figura 2).

Figura 2: regolazione di p16INK4a (Campisi et al, 2005).

L’abilità di indurre la senescenza in risposta all’accumulo di danni genomici è probabilmente la funzione principale di p16. Infatti, l’espressione della proteina è repressa a livello cromatinico e trascrizionale sia in cellule giovani sia in cellule con indefinita capacità proliferativa come le staminali. Quando le cellule raggiungono il termine della loro attività replicativa, il promotore della proteina 16INK4a è attivato da complessi di rimodellamento che ne permettono l’espressione tramite fattori di trascrizione effettori della via delle MAP chinasi.

3.1.2.3 DANNO AL DNA: PATHWAY DI P53/P21

Il fattore di trascrizione p53, prodotto del gene TP53, è detto “guardiano del genoma” ed è uno dei principali oncosoppressori cellulari; mutazioni inattivanti sono osservate in circa la metà dei casi di cancro. La proteina p53 è un regolatore critico della sopravvivenza cellulare in risposta a stress come danno al DNA, ipossia e infezioni virali (Rubbi et al, 2003). In assenza di stimoli stressogeni, p53 è rapidamente ubiquitinilata da complessi come MDM2 e degradata dal proteasoma. Danni a livello genomico inducono modificazioni che non permettono la formazione del complesso p53-ubiquitina impedendone la degradazione. In condizioni di stress, il prodotto alternativo del locus CDKN2A, p14ARF, inibisce i complessi di regolazione negativa come MDM2. Sia p53 sia il suo

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effettore p21Waf1 (detto anche p21CIP1), svolgono un ruolo cruciale nella regolazione dell’arresto del ciclo cellulare dimostrato dalla precoce entrata in senescenza di cellule in cui p53 e p21Waf1 sono overespressi. In fibroblasti umani, la mancanza di p21Waf1 permette di bypassare la senescenza (Wang et al, 1998). Un’altra prova a supporto del loro ruolo di regolatori del ciclo cellulare è che l’inattivazione di p53 tramite anticorpi o oncoproteine, permette l’estensione della vita cellulare e può revertire l’arresto della proliferazione per senescenza in cellule umane(Gire et al, 1998). Nuove evidenze dimostrano, però, che l’arresto della senescenza fallisce in cellule dove il pathway p16INK4a/pRB è attivo. La via di p53 è importante anche per la senescenza indotta dall’overespressione di oncogeni come RAS che possono innescare una risposta al danno p53-dipendente, producendo alti livelli di specie reattive dell’ossigeno. Tuttavia, Ras può indurre p16INK4a che attiva la via di pRB, una seconda barriera alla proliferazione cellulare.

La via di p53 può essere attivata in risposta a disfunzioni dei telomeri, stress oncogenico o ossidativo, radiazioni ionizzanti e sostanze citotossiche (Figura 3). Quando il DNA va incontro a danneggiamenti eccessivi, sono attivate due grandi proteine chinasi ATM (Ataxia-Telengectasia Mutated) e ATR (Ataxia-Telengectasia and Rad3-related) che fosforilano e attivano l’istone H2AX. Le vie di segnale attivate portano alla fosforilazione e attivazione di p53 che attiva l’espressione del gene CDKN1A il cui prodotto proteico è p21Waf1.

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Figura 3: via di segnale di p53 in senescenza (www.intechopen.com).

P21Waf1 è un inibitore delle Cdks più generico di p16INK4a, in grado di interagire con pRB attivandola anche se in maniera diversa da quella di p16INK4a (Campisi et al, 2005).

3.1.2.4 ROS

Il genoma umano è costantemente esposto a stress genotossico come la luce ultravioletta, specie reattive dell’ossigeno (ROS) e mutageni chimici e biologici. Per mantenere l’integrità del genoma, si sono sviluppati dei sistemi che bloccano l’arresto del ciclo cellulare per permettere la riparazione. Il primo passo è il riconoscimento del danno da parte di complessi come MRN (Mre11/Rad50/NBS1) che agiscono da sensori e si dispongono in foci nucleari a lato della rottura a doppio filamento (Maser et al, 1997). Il complesso è in grado di riparare i filamenti liberi tramite attività endonucleasica ed esonucleasica. Il complesso MRN è coinvolto anche nell’attivazione di ATM e di ATR che a sua volta attivano le chinasi che fosforilano e stabilizzano proteine effettrici che controllano il ciclo cellulare, la riparazione del DNA e il rimodellamento della cromatina tra cui p53 e pRB. In caso di danni irreparabili, sono attivate le vie di apoptosi o senescenza (Figura 4).

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Figura 4: pathway del danno al DNA in senescenza (www.intechopen.com).

Come osservato in caso di disfunzioni mitocondriali dove sono prodotti grandi quantità di ROS, questi mediano la senescenza replicativa (Kamijo et al, 1999) e modulano la lunghezza dei telomeri; di conseguenza, proteine antiossidanti hanno un effetto opposto. Per questo, la superossido dismutasi extracellulare (SOD) aumenta la vita delle cellule primarie e l’overespressione degli enzimi antiossidanti catalasi nei mitocondri aumenta la vita delle cellule di topo (Hara et al, 1991).

3.1.2.5 miRNA

I miRNA sono piccoli RNA di circa 23 nucleotidi che svolgono un ruolo fondamentale nella regolazione genica. Legano la 3’UTR e in alcuni casi la 5’UTR del mRNA modulandone trasduzione e stabilità. Il ruolo dei miRNA nella senescenza è stato scoperto recentemente (Liu et al, 2011); studi del profilo di espressione hanno dimostrato un’alterazione dei miRNA durante la senescenza cellulare. Dal punto di vista funzionale, molti miRNA sono stati identificati come repressori, altri come attivatori della senescenza sia in cellule normali che tumorali.

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3.1.3 CARATTERISTICHE DELLA SENESCENZA CELLULARE

Le cellule senescenti hanno caratteristiche peculiari che le differenziano dallo stato di attiva proliferazione. Anche se sono ormai note le caratteristiche di senescenza di molti tipi cellulari, i fibroblasti sono quelli più caratterizzati in letteratura.

3.1.3.1 MORFOLOGIA

Le cellule senescenti sono caratterizzate dalla perdita della morfologia dello stato proliferativo sia per quanto riguarda le dimensioni sia per le caratteristiche citoplasmatiche e nucleari. Come osservato nei fibroblasti, le dimensioni sono maggiori e il citoplasma si presenta appiattito con numerosi vacuoli e filamenti citoplasmatici (Lipetz et al, 1972), il nucleo appare più grande con cromatina fibrillare oppure le cellule possono essere multinucleate (Mitsui et al, 1976) (Figura 5). Nel caso di cellule diploidi ottenute da un espianto di pelle, è stata osservata una graduale trasformazione dei lisosomi in corpi residui degenerati accompagnata da un aumento di particelle di glicogeno citoplasmatico che causano un rallentamento della proliferazione cellulare (Robbins et al, 1970).

Figura 5: analisi morfologica di fibroblasti umani proliferanti (a destra) e senescenti (a sinistra) (www.intechopen.com).

3.1.3.2 ARRESTO DELLA PROLIFERAZIONE CELLULARE

La caratteristica più evidente della senescenza cellulare è l’arresto della proliferazione. Le cellule vengono solitamente bloccate in fase G1 del ciclo cellulare (Di Leonardo et al, 1994) ma in alcuni casi mostrano un assetto cromosomico duplicato indicando il loro blocco in fase S, G2 o M (Wada et al, 2004). La progressione del ciclo cellulare è regolata dalla famiglia di proteine Cdks che crea complessi con le cicline (Malumbres et al, 2005). Questi complessi sono regolati dagli inibitori delle

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chinasi ciclina-dipendenti (CKIs) essenziali per l’arresto del ciclo cellulare in senescenza. I CKIs sono divisi in: CIP (CDK-interacting protein), KIP (cyclin-dependent kinase inhibitor protein) e p16INK4, inibitore della CDK4. I complessi Cdk-ciclina permettono la progressione della cellula dalla fase G1 alla fase S tramite l’iperfosforilazione dei membri della famiglia delle proteine RB (Gil et al, 2006) che, inattivate, non agiscono da repressori sui fattori di trascrizione. Normalmente, Il complesso Cdk4/6-ciclina D fosforila parzialmente pRB riducendone l’interazione con E2F, mentre il complesso CDK2-cilcina E la fosforila completamente. Tuttavia, durante la senescenza cellulare si verifica un aumento della proteina p16INK4a che inibisce la formazione del complesso Cdk4/6-ciclina D impedendo la fosforilazione di RB e l’inibizione dei fattori di trascrizione E2F. La maggiore disponibilità delle proteine KIP e CIP aumenta l’interazione con i complessi Cdk2-ciclina E bloccando l’iperfosforilazione di pRB attivandola (Figura 6).

Figura 6: arresto del ciclo cellulare (fase G1) associato alla senescenza cellulare (www.intechopen.com).

Quindi, nelle cellule in proliferazione i livelli di CKI sono bassi, i complessi Cdk-ciclina sono funzionanti e i membri della famiglia RB sono parzialmente fosforilati o iperfosforilati permettendo al fattore E2F la sintesi del DNA con l’entrata in fase S della cellula. Nelle cellule senescenti i livelli di CKI aumentano, i complessi Cdk-ciclina sono inibiti e le proteine RB sono attive permettendo l’arresto della cellula in fase G1.

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3.1.3.3 SENESCENZA REPLICATIVA: I TELOMERI

La senescenza replicativa è stata osservata per la prima volta negli anni 60 (Hayflick et al, 1961) ma sono trascorsi trenta anni prima di capirne i regolatori molecolari. È noto che tra i principali fattori di regolazione ci sono la lunghezza e la struttura dei telomeri. I telomeri sono strutture protettive che si trovano alla fine di tutti i cromosomi eucariotici. Sono sequenze a doppio filamento formate da ripetizioni TTAGGG orientate in direzione 5’-3’ (Figura 7)(Blasco et al, 2005).

Figura 7: I telomeri e la telomerasi. I telomeri, ripetizioni TTAGGG, orientati in direzione 5’-3’ in direzione dell’estremità del cromosoma sono regolati da sei proteine che formato lo shelterin complex. La lunghezza dei telomeri è mantenuta dalla telomerasi, complesso ribonucleotidico composto da uno stampo di DNA (TERC) e la subunità catalitica di retrotrascrizione (TERT) (www.intechopen.com).

I telomeri interagiscono con un complesso formato da sei proteine chiamato complesso shelterin costituito dal telomeric repeat binding factor 1 (TRF1), telomeric repeat binding factor 2 (TRF2), trascriptional repressor/activator protein (RAP1), TRF1-interacting nuclear factor 2 (TIN2), TIN2-interacring protein (TPP1) e protection of telomeres (POT1). Gli ultimi due componenti regolano l’accesso dei siti bersaglio per la telomerasi. La lunghezza dei telomeri è mantenuta dalla telomerasi (Figura 8), complesso ribonucleoproteico che include un filamento stampo di RNA, detto Terc e Tert.

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Figura 8: estensione del filamento telomerico dalla telomerasi. l'oloenzima telomerasi è formato da subunità proteiche tra cui una catalitica con attività di trascrittasi inversa e una molecola di RNA che agisce da stampo per l'aggiunta di ripetizioni TTAGGG ai telomeri (Reddel et al, 2000).

L’attività della telomerasi è determinata principalmente dall’espressione di Tert dato che Terc sembra essere espresso in modo ubiquitario (Cech et al, 2004). Nel 1990 è stata notata una diminuzione della lunghezza dei telomeri durante passaggi seriali nei fibroblasti umani primari ed è stata ipotizzata una loro implicazione con la senescenza replicativa agendo come degli orologi molecolari della vita di una cellula. Nelle cellule della maggior parte dei tessuti adulti la telomerasi non è attiva e questo porta a una diminuzione della lunghezza dei telomeri di 50-200 bp ad ogni replicazione. Il loro accorciamento sembra essere causato dall’incapacità dei complessi di riparazione del DNA di riempire il gap lasciato dopo la degradazione del primer a RNA all’estremità del telomero; sembra essere coinvolta anche l’attività di una esonucleasi che accorcia il filamento ricco di citosine creando un singolo filamento ricco di guanine.

Otto anni dopo è stato dimostrato che re-introducendo l’espressione della telomerasi in cellule normali primarie i telomeri subivano un allungamento, la vita cellulare era maggiore e la senescenza replicativa era ritardata (Bodnar et al, 1998). Dati gli esiti di questi esperimenti, l’espressione della telomerasi oppure di questa insieme ad altre alterazioni è stata associata all’immortalizzazione di vari tipi cellulari. La disfunzionalità dei telomeri può portare come conseguenza oltre alla senescenza, l’apoptosi e l’instabilità genomica (Campisi et al, 2005).

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3.1.4 SENESCENZA E CANCRO

Dopo la scoperta della senescenza replicativa, è stato proposto il suo ruolo nel blocco della progressione tumorale. Le cellule primarie sono dette “mortali” mentre le cellule tumorali sono dette “immortali”. Quindi, aggirare la senescenza replicativa è una fase critica e necessaria da superare per la progressione dei tumori. Per dimostrare l’importanza fisiologica di questo processo, sono stati fatti esperimenti su topi knock out per la componente a RNA della telomerasi (Terc-/-). La senescenza replicativa innescata dai telomeri non funzionali ha dimostrato la limitazione della progressione tumorale portando in alcuni casi anche alla regressione del tumore stesso (Feldser et al, 2007). In accordo con questi risultati, le successive generazioni di topi TERC-/- si sono dimostrati più resistenti alla formazione di tumori della pelle e di tumori caratteristici del topo. L’inattivazione di geni oncosoppressori regolatori della senescenza ha portato alla progressione dello sviluppo di tumori solidi; cellule pre-maligne hanno mostrato alti livelli di senescenza, assenti nelle fasi tardive della tumorigenesi. La senescenza cellulare non è soltanto una barriera contro l’inizio della carcinogenesi ma può portare all’eradicazione della massa tumorale riattivandosi in tumori già stabiliti (Nardella et al, 2011). In risposta a vari tipi di stress cellulari come telomeri danneggiati, attivazione di oncogeni, stress ossidativo e stress citotossici, le cellule normali acquisiscono alterazioni importanti e la senescenza cellulare ha lo scopo principale di bloccare l’accumulo catastrofico di mutazioni tenendo traccia del numero di divisioni cellulari. L’inattivazione di fondamentali oncosoppressori (p53, p16INK4a etc …) porta le cellule a evadere dalla senescenza e procedere verso l’immortalizzazione o la trasformazione tumorale.

3.1.5 COME LE CELLULE SFUGGONO ALLA SENESCENZA

Poiché la senescenza costituisce un blocco della crescita cellulare, potrebbe sembrare che l’accumulo di cellule senescenti durante l’invecchiamento porti a un decremento dell’incidenza del cancro, eppure è noto che l’incidenza aumenta con l’età. Questo può essere spiegato dal fatto che col tempo le cellule accumulano mutazioni che possono conferirgli una maggiore capacità di crescita, come in geni chiave della regolazione della senescenza. Le cellule, quindi, possono sfuggire alla senescenza e diventare immortali tramite l’alterazione di diversi meccanismi, molti dei quali già trattati nei paragrafi precedenti, tra cui l’instabilità genomica, la stabilità e la lunghezza dei telomeri, il silenziamento epigenetico tramite metilazione dei promotori, danno al DNA causato dai ROS, inattivazione di geni regolatori del ciclo cellulare come CDKN2A codificante

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p16INK4a, TP53 codificante p53, RB1 per pRB o CDKN1A per p21Waf1, la sovraespressione di proteine oncogeniche come C-MYC o BMI-1, o tramite l’espressione di proteine lentivirali.

Ci sono molti processi cellulari che sono regolati da modificazioni epigenetiche tramite la metilazione del DNA come l’imprinting, l’inattivazione del cromosoma X e l’espressione di geni tessuto-specifici. I dinucleotidi CpG sono tipicamente metilati mentre le isole CpG, ricche di sequenze CpG di 200-2000 bp localizzate nelle regioni di regolazione genica, sono generalmente non metilate. Il trasferimento del gruppo metile (-CH3) da S-adenosil metionina alla citosina del

CpG è catalizzata dall’enzima DNA-metiltrasferasi (DNMT)(Lopatina et al, 2002). Fino ad oggi sono state caratterizzate tre DNMTs (DNMT1, DNMT3 e DNMT3B); DNMT1 è il più abbondante ed è il principale responsabile nel mantenimento della metilazione mentre gli altri due la iniziano de novo. Nei tumori umani, il silenziamento dei geni oncosoppressori tramite metilazione aberrante delle isole CpG nei promotori, è una modifica epigenetica molto frequente. Ci sono molte vie di segnale che spesso sono silenziate per ipermetilazione nelle cellule cancerose come la riparazione del DNA, il controllo del ciclo cellulare, invasione e metastasi. I più frequenti oncosoppressori che solitamente vengono metilati sono BRCA1, CDKN2A (p16INK4a e p14ARF) anche se la frequenza delle metilazioni aberranti dipende dalla specificità del tumore. Sono stati fatti studi dimostrando la reversibilità dell’ipermetilazione utilizzando agenti chimici che inibiscono le DNMTs. L’inibitore usato è il 5-aza-deossicitidina (5-aza-dC), un analogo della citosina che è incorporato nel DNA durante la replicazione ma che non può essere metilato per la presenza di un atomo di azoto. Con le successive replicazioni cellulari il DNA è risultato ipometilato con la conseguente ripresa dell’espressione dei geni che erano stati silenziati (Takebayashi et al, 2001). La metilazione delle isole CpG è, quindi, un importante evento preneoplastico e un’ulteriore evidenza deriva da esperimenti fatti su fibroblasti immortalizzati derivati da pazienti affetti dalla sindrome di Li-Fraumeni (LFS), data da mutazioni a carico del gene di p53. Alle cellule è stato fornito l’inibitore 5-aza-dC che ha permesso il blocco della proliferazione e la loro entrata in senescenza ristabilendo l’espressione dei geni codificanti p16INK4a e p21Waf1 altrimenti silenziati.

3.2 IMMORTALIZZAZIONE CELLULARE

L’immortalizzazione cellulare è una fase critica e necessaria per la progressione del processo di carcinogenesi in cui le cellule sfuggono ai meccanismi di senescenza per acquisire un’infinita capacità proliferativa senza manifestare caratteristiche fenotipiche tumorali. L’alterazione della funzionalità dei geni oncosoppressori è un fattore chiave e necessario per questo processo. Un

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approccio per comprendere la senescenza e l’immortalizzazione è lo studio del profilo di espressione genica cellulare prima e dopo l’acquisizione della capacità di proliferare indefinitamente. Il confronto può essere fatto utilizzando le piattaforme geniche sperimentali disponibili che possono essere utili per l’identificazione di geni che regolano specifici processi della senescenza e dell’immortalizzazione. Le cellule immortalizzate, a differenza di quelle tumorali, hanno la caratteristica di dividersi per un numero di volte maggiore rispetto alle cellule normali, non perdendo la capacità di entrare in senescenza.

3.2.1 IDENTIFICAZIONE DI GENI E PATHWAY PER L’IMMORTALIZZAZIONE

Esiste una grande varietà di sistemi modello che sono stati utilizzati per identificare e studiare i geni e le vie di senescenza/immortalizzazione. Le cellule normali crescono in vitro per un finito numero di divisioni cellulari e queste possono essere considerate dei sistemi modello per lo studio della regolazione genica. Sono state usate cellule derivate da pazienti con sindrome di Werner, una malattia caratterizzata da invecchiamento prematuro e vita breve, fornendo un valido sistema genetico per lo studio della senescenza e dell’invecchiamento. Alternativamente sono stati usati sistemi modello formati da cellule immortalizzate indotte alla senescenza chimicamente con 5-aza-dC, H2O2 o 5-bromodeossiuridina (BrdU) (Fridman et al, 2006). Le cellule possono essere

immortalizzate tramite agenti chimici, virali e biologici oppure tramite la sovra espressione stabile di TERT, l’aggiunta di un mutagene come l’aflatossina B1 o tramite trasduzione con oncogeni virali esprimenti l’antigene T di SV40, le proteine E1a/E1b di adenovirus e E6-E7 di HPV16. Gli oncogeni virali agiscono inibendo le principali vie di segnale dell’oncosoppressione come quella di p53 e pRB in modo da bypassare la senescenza. Sono utilizzate anche cellule provenienti da pazienti con mutazioni spontanee, anche se rare, come LFS (Gollahon et al, 1998) o come la poliposi adenomatosa familiare con mutazioni di APC (Forsyth et al, 2004). Le cellule ottenute da pazienti con le sindromi menzionate hanno un genoma molto instabile fornendo, in pochi passaggi un modello ideale d’immortalizzazione spontanea. L’utilizzo di agenti chimici o virali è necessario per immortalizzare cellule che non presentano mutazioni importanti. L’immortalizzazione è uno step essenziale per la tumorigenesi e può essere revertita tramite l’espressione di geni chiave della senescenza che sono stati silenziati da meccanismi epigenetici, virus o da mutazioni. Quindi, la comprensione del processo usato dalle cellule per superare la senescenza e diventare immortali può fornire nuovi bersagli molecolari per il trattamento di lesioni neoplastiche e la prevenzione del cancro.

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Sono stati studiati sistemi modello usando approcci genomici funzionali come analisi seriali di espressione genica (SAGE) e microarray. Queste tecniche combinate con i metodi tradizionali come l’overespressione di geni coinvolti nei meccanismi di senescenza/immortalizzazione, hanno portato alla scoperta dell’implicazione di sei pathway cellulari distinti ma interagenti: le vie del ciclo cellulare, geni del citoscheletro, la via dell’interferone INF, la via dei geni insulin growth factor (IGF) - related, la via delle MAP chinasi e quella dello stress ossidativo (Figura 9).

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Figura 9: vie di senescenza/immortalizzazione. questa figura è stata disegnata con GeneMAPP 2 (Tainsky et al, 2008).

Sono stati analizzati fibroblasti di linee cellulari LFS immortalizzati e a uno stadio di pre-immortalizzazione per identificare la natura dei cambiamenti genetici responsabili dell’acquisizione di requisiti vantaggiosi per diventare immortali (Fridman et al, 2006). Da studi precedenti è noto che molti geni silenziati epigeneticamente tramite metilazione in cellule immortalizzate sono geni chiave nella regolazione della senescenza. Usando quattro linee cellulari di fibroblasti LFS, sono stati identificati 149 geni sovraespressi e 187 sottoespressi rispetto a cellule normali, 14 dei quali silenziati epigeneticamente. L’analisi dei dati di espressione con software bioinformatici ha rilevato un contributo statisticamente significativo di 8 dei 14 geni che possono essere classificati in uno dei sei pathway di senescenza/immortalizzazione.

3.2.2 PERCHÉ IMMORTALIZZARE LE CELLULE

Le cellule in coltura primaria raggiungono la senescenza dopo un limitato numero di divisioni cellulari per cui è necessario ristabilire colture fresche da espianti di tessuto impiegando molto tempo e aggiungendo variazioni significative fra una coltura e l’altra. Per avere una consistente quantità di materiale sufficiente per l’allestimento di un progetto di ricerca, sarebbe necessario avere a disposizione cellule con una capacità replicativa maggiore, dette immortalizzate, rispetto a quelle delle colture primarie. Le cellule immortalizzate ideali non hanno solo la caratteristica di proliferare in definitivamente ma mantengono un genotipo e un fenotipo indistinguibile rispetto al tessuto parentale a differenza delle cellule tumorali che sono sì capaci di proliferare indefinitamente ma manifestano una condizione di eteroploidia invece della diploidia necessaria. L’utilizzo di cellule tumorali ha molte limitazioni per numerosi studi biologici perché l’eteroploidia conferisce numerose instabilità delle cellule maligne (Hayflick et al, 1961).

3.2.3 METODI D’IMMORTALIZZAZIONE

Sulla base delle osservazioni in vitro le cellule primarie sono state classificate in due tipi principali:

 Cellule primarie che vanno incontro a 20-50 divisioni prima della senescenza come i fibroblasti e i retinoblasti;

 Cellule primarie che vanno incontro a meno di 10 divisioni prima della senescenza come le cellule epiteliali, cellule ovariche e di mammella.

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Negli anni sono stati allestiti molti metodi d’immortalizzazione scelti rispetto alle caratteristiche del tipo cellulare da trattare costituiti da proteine, agenti fisici e chimici, sequenze a RNA che vanno a interferire con i pathway cellulari che regolano la vita della cellula. Nei paragrafi successivi sono trattati i sistemi più usati per l’immortalizzazione di cellule di mammifero.

3.2.3.1 IMMORTALIZZAZIONE SPONTANEA

L’immortalizzazione “spontanea” è la capacità di cellule diploidi di superare la senescenza in assenza dell’utilizzo di agenti esogeni. I criteri per definire i fattori che immortalizzano le cellule rimangono empirici. Nel caso dei fibroblasti umani, che raggiungono la senescenza dopo circa 55 divisioni cellulari, una coltura in grado di dividersi 150 volte può considerarsi immortale. Mentre la maggior parte delle cellule murine ha la capacità di immortalizzarsi spontaneamente, per le cellule umane è un evento molto raro. Sono sporadiche le descrizioni di immortalizzazioni di questo tipo e le condizioni per riprodurre l’evento non sono ben descritte. Gli eventi ambientali ed endogeni di danneggiamento del DNA possono essere sufficienti per immortalizzare le cellule di roditore ma non per quelle umane per la presenza di più efficienti meccanismi di controllo: sono dotate di un sistema di replicazione che introduce un minor numero di errori, di sistemi di riparazione migliori, di molecole più resistenti all’azione dei radicali liberi e di una minore capacità di depurinizzazione. Per questo, le cellule umane sono immortalizzate con altri sistemi più mirati alla modifica dei pathway cellulari (Jerry et al, 1991).

3.2.3.2 ANTIGENI T DI SV40

Uno dei metodi maggiormente usati per l’immortalizzazione di cellule umane e di topo è l’utilizzo del virus SV40. L’espressione genica di due antigeni T grande (LT) e t piccolo (ST) di SV40 è stata largamente usata come sistema modello per la replicazione di cellule di mammifero e per l’espressione genica oltre che per comprendere la trasformazione cellulare e la carcinogenesi. Il Simian virus 40 (SV40) è un membro della famiglia dei Polyomaviridae, caratterizzata da piccoli virioni di forma icosaedrica con un genoma a DNA circolare a doppio filamento di circa 5 kb. Il suo genoma codifica per tre proteine strutturali del virione VP1, VP2 e VP3 e due proteine non strutturali chiamate antigene T grande (LT) e antigene t piccolo (ST). Gli antigeni T, insieme ad altre proteine specifiche, sono espressi nelle prime fasi dell’infezione virale e sono necessari per l’espressione delle proteine VP, agendo anche nella replicazione del DNA virale e nell’assemblaggio del virione. Gli antigeni T cooperano per guidare la cellula in fase S per fornire

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materiale per la formazione di nuove particelle virali, neutralizzando il sistema di difesa cellulare. Le analisi genetiche hanno mostrato che l’espressione dell’antigene LT è necessaria e spesso sufficiente per l’immortalizzazione anche se in alcune circostanze è richiesto l’antigene ST. come per tutti i virus, il successo dell’infezione è determinato da numerosi fattori. Prima di tutto sulla superficie cellulare devono essere esposti i recettori appropriati riconosciuti dal virus. Quindi, cellule mancanti della loro produzione non possono essere infettate dai virioni. Una volta che il virus è riuscito ad oltrepassare la membrana cellulare, il suo genoma deve essere trasportato nel nucleo, la cromatina va incontro a rilassamento e la trascrizione dei geni precoci come gli antigeni T può iniziare guidando la cellula in fase S. L’antigene T grande agisce anche da iniziatore della replicazione del DNA e della sua trascrizione. Da studi condotti su cellule di diversi tipi di animali, è stato visto che il virus nell’uomo e nel topo non è in grado di replicarsi e quindi non si ha la produzione di virioni. Il motivo di questa restrizione non è ben chiaro. In questi tipi cellulari, il virus entra nella cellula e inizia la produzione degli antigeni T stimolando la cellula alla divisione senza indurla alla morte. In alcuni casi, come è stato osservato nei MEF (mouse embryo fibroblasts) il genoma virale può rimanere in forma episomale causando una maggiore proliferazione nelle cellule trasdotte ma diluendosi nelle generazioni successive che riacquisiscono un fenotipo normale. Il genoma virale può integrarsi tramite ricombinazione non omologa e dare origine a cellule stabilmente trasformate. L’integrazione avviene in maniera casuale permettendo alle generazioni successive di mantenere la capacità proliferativa. L’effetto di SV40 sulle cellule dipende molto dal tipo di animale di provenienza dal momento che nel topo, le cellule trasdotte possono andare incontro a trasformazione tumorale con l’acquisizione delle caratteristiche di crescita a basse concentrazioni di siero, indipendenza dall’ancoraggio, formazione di aggregati cellulari multistrato detti foci, e la non inibizione da contatto.

I fibroblasti umani non sono in grado di immortalizzarsi spontaneamente anche se hanno una vita molto lunga di 50-60 duplicazioni. L’espressione continua dei due antigeni T di SV40 permette alle cellule di superare il limite massimo di duplicazioni ritardando la loro entrata in senescenza senza trasformarle (Neufeld et al, 1987) (Figura 10).

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Figura 10: generazioni di fibroblasti normali e immortalizzati con SV40. I fibroblasti normali (cerchio nero) o dopo la trasduzione con SV40 non infettivo (cerchi bianchi), come indicato dalle frecce, sono stati coltivati con passaggi 1:5 quando la coltura era a confluenza. i dati rappresentano il numero di generazioni cellulari basate sulla duplicazione della popolazione della coltura. Le cellule sopravvissute alla crisi sono in grado di crescere ulteriormente. Per convenzione, le cellule sono definite immortali dopo un totale di 100 generazioni (Krishna et al, 1998).

Quindi, il termine immortale si riferisce a una proprietà ulteriore invece che al generale processo di trasformazione tumorale. Da studi fatti sia utilizzando il genoma virale completo replicazione-deficiente, sia solo i due antigeni T, è stata scoperta l’estrema importanza dell’antigene T grande per l’immortalizzazione; una sua inattivazione reverte il fenotipo cellulare acquisito a quello normale permettendo la progressione verso la senescenza in base al numero di duplicazioni fatte. LT ha il ruolo d’interagire con i principali tumor suppressor pRB e p53 bloccandone le vie di segnale: tramite un dominio specifico lega il complesso pRB-E2F portando alla loro dissociazione mentre p53 è legata da un dominio all’estremità carbossilica che contiene anche una regione antiapoptotica (Figura 11). L’antigene t piccolo o ST interagisce con la fosfatasi cellulare pp2A. Il legame di ST alla fosfatasi porta a una sua inibizione bloccando le vie in cui essa è coinvolta ovvero le vie di MEK, Raf e AKT. Anche se da solo non è capace di immortalizzare le cellule, in alcuni tipi cellulari può aumentare l’efficacia di LT se co-espressi.

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Figura 11: pathway della proliferazione cellulare. Bloccando le risposte pRB e p53 dipendenti, l’antigene T grande è in grado di guidare le cellule quiescenti in fase S sfuggendo all’apoptosi(Deepika Ahuja et al, 2005).

Queste alterazioni permettono ai fibroblasti di proliferare per circa 20-30 duplicazioni in più rispetto alle cellule non trattate (Figura 10) senza impedirne la senescenza. L’invecchiamento delle cellule immortalizzate è provocato dall’accorciamento progressivo dei telomeri perché la telomerasi non è normalmente attiva e LT non va a interagire con questa. L’incapacità di SV40 di estendere indefinitamente la vita cellulare è data dal fatto che gli antigeni T non sono in grado di bloccare i checkpoint p53-indipendenti. Alternativamente, si possono verificare fusioni delle estremità telomeriche danneggiate che promuovono la morte cellulare. Per ovviare a questi problemi, è possibile far esprimere la subunità hTert nei fibroblasti insieme agli antigeni T di SV40 anche se molti tipi cellulari sembrano non rispondere adeguatamente al trattamento, molto probabilmente per il coinvolgimento di numerosi fattori coinvolti nell’allungamento dei telomeri (Krishna et al, 1998). Tra questi tipi cellulari ci sono le cellule dell’epitelio respiratorio che necessitano non solo dell’espressione dell’antigene T grande e t piccolo ma anche di hTert e dell’oncogene RAS (Ante S Lundberg et al, 2002).

Dati i limiti descritti nell’uso di SV40 per l’immortalizzazione, sono state identificate combinazioni di proteine virali e cellulari in grado di rimpiazzare funzionalmente l’effetto degli antigeni T come

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la sovraespressione della ciclina D, CDK4 mutato resistente a p16INK4a, le proteine E7 ed E6 del papilloma virus umano e molti altri.

Una delle linee cellulari immortalizzate con questo sistema e con il DNA dell’adenovirus 5 è quella delle HEK293T, cellule embrionali umane renali, molto utilizzate nei laboratori di biologia cellulare e a livello industriale per la produzione di proteine terapeutiche e virus per la terapia genica.

3.2.3.3 HTERT

Come trattato nel paragrafo 3.1.3.3, l’accorciamento dei telomeri rappresenta un orologio che misura le divisioni della cellula. I telomeri si accorciano progressivamente durante le duplicazioni in cellule normali. In coltura, le cellule bloccano il loro ciclo cellulare quando le estremità telomeriche diventano troppo corte in modo da impedire eventuali alterazioni cromosomiche. Nell’uomo la maggior parte delle cellule non mostra un’attività della telomerasi, presente nelle cellule derivate dalla maggior parte dei tumori. I tessuti che hanno questa attività enzimatica sono pochi come la linea linfoide e la mucosa intestinale che contengono cellule in grado di dividersi continuamente. Da queste evidenze è possibile dedurre che l’attività della telomerasi è un requisito fondamentale per ottenere l’immortalità replicativa. Per investigare il ruolo della telomerasi e dei telomeri nella senescenza, in molti tipi cellulari è stata fatta esprimere la subunità catalitica hTert permettendo di mantenere le cellule in coltura più a lungo senza presentare instabilità genomica o altre alterazioni nel ciclo cellulare. L’espressione ectopica di hTert può, quindi, essere utilizzata come metodo per l’immortalizzazione anche se in alcuni tipi cellulari è necessario bloccare le vie del ciclo cellulare tramite l’utilizzo di altre componenti. Questo sistema è utilizzato per il trattamento di cheratinociti, cellule dell’epitelio mammario e cellule dell’epitelio polmonare. È stato osservato che, mentre le cellule non trattate entrano in senescenza, quelle esprimenti la subunità enzimatica vanno in contro a un rallentamento della proliferazione. In colture di questo tipo è possibile osservare la comparsa di cloni in attiva replicazione e dalle analisi molecolari è stata osservata una loro alterazione di vie di segnale come quella di Cdk4 suggerendo l’importanza dell’inattivazione del pathway di pRB per l’immortalizzazione oltre che all’espressione di hTert. Sulla base di questi risultati, l’espressione di hTert insieme alla proteina E7 di HPV che blocca pRB ha permesso un’immortalizzazione più rapida ed efficiente di cheratinociti e cellule mammarie (Hahn et al, 2001). In cellule come i fibroblasti umani, l’espressione di hTert è sufficiente per aumentare a 280 le duplicazioni della popolazione. Le cellule così immortalizzate non hanno sviluppato le caratteristiche proprie delle cellule tumorali come l’inibizione da contatto

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e l’indipendenza dal siero rimanendo dipendenti dall’ancoraggio a un supporto solido. Dall’analisi del metabolismo cellulare in risposta a stimoli di stress è stata osservata un’attività delle vie di segnale fondamentali della cellula come quella di pRB e p53 paragonabili alle cellule non trattate indicando che l’espressione ectopica della telomerasi non interferisce con la corretta funzionalità dei checkpoint. Da analisi citogenetiche è stato osservato anche un cariotipo paragonabile a quello di fibroblasti normali indicando che hTert non porta ad aberrazioni cromosomiche caratteristiche delle cellule tumorali. L’espressione di hTert, quindi, stabilizza il genoma e previene l’accumulo di anormalità citogenetiche (Morales et al, 1999). Per ottenere la trasformazione tumorale è necessario esprimere insieme a hTert oncogeni come RAS e proteine virali come E6 ed E7 di HPV che vanno ad alterare i checkpoint di rilevazione dei danni cellulari.

In commercio sono disponibili numerosi tipi cellulari immortalizzati con hTert tra cui cellule epiteliali bronchiali, condrociti, cellule epiteliali dermiche microvascolari, cellule epiteliali mammarie, fibroblasti dermici e renali.

3.2.3.4 IMMORTALIZZAZIONE CON ONCOGENI

La maggior parte delle tecniche di immortalizzazione e trasformazione sono basate sull’utilizzo di virus o proteine virali come di SV40, HPV e Adenovirus di tipo 5 insieme alla co-espressione di proteine oncogeniche come Myc e Ras o Tert. Lo studio dei meccanismi d’azione di questi metodi ha permesso di raggiungere numerosi progressi nell’identificazione e nella caratterizzazione delle combinazioni geniche coinvolte nelle fasi di pre-cancerogenesi nell’uomo. A questo scopo è stato allestito nel 2005 da S. Kendall e collaboratori un sistema basato sull’espressione di proteine esclusivamente cellulari per ricreare le alterazioni delle vie che permettono alle cellule di sfuggire alla senescenza e procedere verso l’immortalizzazione e, in caso di continua espressione, alla trasformazione tumorale. Le proteine scelte inattivano i tumor suppressor pRB e p53, stimolano la proliferazione cellulare e la stabilità telomerica. L’innovazione del mix proteico consiste nell’essere universale e, quindi, utilizzabile per quei tipi cellulari umani non immortalizzabili con le metodiche precedentemente descritte. L’espressione costitutiva delle proteine ha dimostrato la capacità di indurre le cellule a sviluppare un fenotipo tumorale caratterizzato dall’abilità di proliferare in maniera incontrollata senza rispondere a segnali apoptotici e antiproliferativi, dall’angiogenesi, invasione e capacità di formare metastasi in vivo (Hanahan et al, 2000). Molte informazioni sono note sui processi molecolari delle cellule tumorali ma poco è conosciuto su come i pathway guidano collettivamente il processo di trasformazione. È stato dimostrato che numerose cellule

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umane sia di derivazione epiteliale (prostata, reni, ovaio e ghiandola mammaria) sia mesenchimali (fibroblasti e mioblasti) possono essere trasformate tramite l’espressione degli antigeni T di SV40 e le proteine RasG12V e hTert (O’Hayer et al, 2005). Sia hTert sia Ras sono chiaramente coinvolte nella tumorigenesi umana favorendo una maggiore stabilità genomica, la proliferazione cellulare, l’invasione e la capacità metastatica. È stato identificato un set di proteine che, se co-espresse con hTert e Ras, sono in grado di rimpiazzare le oncoproteine virali di SV40 promuovendo la tumorigenicità. Alcune delle oncoproteine sono state modificate tramite mutazioni per essere rese più attive e per sfuggire ai sistemi di degradazione cellulari. Le proteine utilizzate sono c-MycT58A, hRasG12V, Cdk4R24C, ciclina D1, hTert e p53DD.

C-MYC è un proto-oncogene solitamente sovraespresso in molti tipi di tumore umano dove è noto

svolgere un ruolo di primaria importanza. È un fattore di trascrizione pleiotropico coinvolto in molte funzioni cellulari come la proliferazione, la crescita cellulare, il differenziamento, stabilità genomica e morte cellulare. La tumorigenesi indotta da c-Myc è caratterizzata dall’attivazione di pathway di oncosoppressori intrinseci coinvolti dei checkpoint cellulari e nell’apoptosi. L’attivazione di queste vie di segnale porta le cellule normali alla morte ma non quelle tumorali dove i meccanismi di sicurezza sono bypassati. Per mantenere le normali funzioni cellulari, l’espressione di c-Myc è strettamente controllata sia a livello trascrizionale sia traduzionale. La mutazione T58A è stata scelta per la sua maggiore stabilità rispetto alla wild-type. Normalmente i livelli della proteina sono regolati dagli effettori della via di Ras e il residuo amminoacidico Thr58 è fosforilato e riconosciuto dall’ubiquitina ligasi Fbw7 che permette la sua degradazione. La sostituzione amminoacidica permette un aumento dei livelli proteici citoplasmatici, riducendo l’apoptosi e incrementando l’attività proliferativa (Yeh et al, 2004). La mutazione T58A permette una diminuzione dell’apoptosi approssimativamente del 50% rispetto al wild-type non mutato. La proteina permette anche un aumento dell’emivita di RasG12V.

Ras è una proteina codificata dal proto-oncogene RAS (Harvey rat sarcoma viral oncogene

homolog). E’ un piccolo enzima ad attività GTPasica della superfamiglia di Ras coinvolto nella via delle MAP chinasi. H-Ras è implicato nella regolazione del ciclo cellulare in risposta a stimolazione da parte di fattori di crescita. Quando i fattori di crescita si legano ai recettori di membrana, attivano la trasduzione del segnale mediata da secondi messaggeri che porta la cellula a dividersi. La proteina h-Ras è tipicamente associata alla membrana cellulare attraverso un gruppo isoprenile ed è coinvolta nei primi passaggi della trasduzione. Si attiva legando il GTP permettendo la

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propagazione del segnale proveniente dai recettori di membrana e si disattiva quando il GTP è convertito a GDP. Essendo un proto-oncogene, alcune mutazioni a carico del gene HRAS possono convertire cellule normali a cancerose. Alcune mutazioni non ereditarie, dette somatiche, sono accumulate normalmente durante la vita cellulare e sono state associate al cancro alla vescica. Una delle più frequenti è la mutazione Gly12Val in cui la glicina in posizione 12 è sostituita dalla valina. Questa proteina alterata è permanentemente attiva a livello citoplasmatico portando la cellula a una crescita non dipendente da fattori esterni.

Cdk4 è una proteina chinasi ciclina dipendente che regola la fosforilazione iniziale di pRB

promuovendone il rilascio del fattore di trascrizione E2F come trattato nel paragrafo 3.1.2.1. Da studi condotti su melanomi, la mutazione Arg24Cys (R24C) impedisce il legame dell’inibitore specifico di Cdk4, p16INK4a, predisponendo le cellule umane a una tumorigenicità ereditaria. Queste osservazioni suggeriscono il ruolo di oncogene dominante di CDK4 mutato la cui proteina è resistente alla fisiologica inibizione da parte di p16INK4a. La verifica di queste ipotesi è stata ottenuta con un la tecnologia knock-in Cre-loxP mediata in cellule della linea germinale. La presenza della proteina mutata ha dimostrato una iperfosforilazione delle proteine della famiglia RB in fibroblasti murini derivati da topi CDK4R24C omozigoti (Sushil et al, 2002).

Il ruolo della ciclina D è stato trattato nel paragrafo 3.1.2.1. È stato scelto il tipo D1 perché è stata dimostrata la sua iper-espressione in tutti i casi di cellule di linfoma e per questo è associata a molti dei fenotipi tumorali.

L’espressione di hTERT è necessario per la stabilità genomica e l’allungamento dei telomeri in modo da impedire alla cellula l’entrata in senescenza o l’apoptosi. È espressa solo la subunità catalitica perché la componente a RNA Terc sembra essere ubiquitaria. L’attività enzimatica è quindi determinata dall’espressione solo in alcuni tipi cellulari della parte proteica Tert come descritto nel paragrafo 3.1.3.3.

La funzione della proteina p53 è stata trattata nel paragrafo 3.1.2.3. Nel mix di oncogeni è stata scelta la variante p53DD, un dominante negativo che impedisce la normale attività delle proteine p53 endogene.

Gli oncogeni sono stati clonati da Kendall e collaboratori in vettori retrovirali sotto il controllo di un promotore forte e sono stati usati per trasdurre tipi cellulari diversi come cellule umane epiteliali mammarie e muscolari dimostrando la loro capacità di trasformazione tumorale solo in

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presenza di tutti e sei gli oncogeni. Nelle cellule trattate solo con cinque oncogeni, è stato mantenuto un fenotipo paragonabile alle cellule non trattate. Le cellule così trasformate hanno dimostrato la capacità di crescere senza la necessità di adesione a un substrato, come mostrato dalla formazione di colonie in soft agar e hanno portato alla formazione di masse tumorali se iniettate sottocute in topi immunocompromessi indicando la loro tumorigenicità.

Dagli studi fatti è stato dimostrato che l’espressione costitutiva dei sei oncogeni altera i pathway cellulari principali per la regolazione del ciclo cellulare e i checkpoint necessari a impedire alla cellula la trasformazione, fornendo un valido strumento sia per ottenere cellule tumorali non ancora disponibili, sia per lo studio del processo di immortalizzazione e carcinogenesi (S.Kendall et al, 2005).

3.2.4 IMMORTALIZZAZIONE E TRASFORMAZIONE TUMORALE

La trasformazione neoplastica deriva dall’accumulo di mutazioni genetiche che permettono una proliferazione incontrollata e indipendente dalla normale regolazione omeostatica. I cambiamenti si manifestano come malfunzionamento dei meccanismi di controllo, aumento del potenziale di crescita, alterazioni della superficie cellulare, anormalità cariotipiche, alterazioni biochimiche e altre caratteristiche che gli conferiscono l’abilità di invadere e metastatizzare i tessuti. La carcinogenesi in vitro è un processo multifattoriale che necessita di tre fasi distinte, dove le prime due hanno il compito di verificare se gli agenti utilizzati agiscono da iniziatori o da promotori. Nella prima fase di iniziazione, si hanno delle modifiche a livello cellulare che danno inizio al processo di trasformazione permettendo alle cellule di acquisire quelle caratteristiche che permettono una loro crescita vantaggiosa necessaria nella seconda fase detta di avanzamento. Le cellule iniziate sono in grado di sfuggire ai meccanismi di regolazione. Gli iniziatori possono essere agenti chimici, fisici, virali, attivatori di oncogeni o oncosoppressori non funzionanti. L’avanzamento è una fase associata a eventi subcellulari non genotossici che portano all’espansione clonale delle cellule iniziate. Queste non manifestano un fenotipo maligno ma sono dette immortalizzate. È durante la terza fase che si ha la loro conversione tumorale o progressione dove la crescita diventa maligna. Questo processo è generalmente lento e richiede un lungo periodo di tempo. Il primo e il terzo stadio richiedono delle alterazioni genetiche ma la progressione è sicuramente la fase più complessa perché le cellule devono subire cambiamenti genetici e fenotipici che le rendono distinguibili rispetto alle cellule normali. Con la progressione del tumore, le cellule diventano progressivamente sempre più autonome e incontrollate acquisendo caratteristiche peculiari come

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la perdita dell’inibizione da contatto, la perdita della dipendenza dall’ancoraggio e la capacità di creare tumori solidi se iniettate in animali idonei.

La relazione tra immortalizzazione e tumorigenesi è stata a lungo al centro di dibattiti fino alla scoperta dell’attività della telomerasi nelle cellule cancerose. Inizialmente alcune evidenze ottenute dagli esperimenti non dimostravano una correlazione tra i due processi che apparivano come casuali dal momento che i ceppi di HPV associati a tumori erano utilizzati per l’immortalizzazione di cellule umane in coltura (Reddel et al, 2000). Evidenze più dirette sono derivate da studi in vitro/in vivo condotti su fibroblasti trasdotti con il virus SV40. È stato visto che soltanto le cellule immortalizzate con il virus erano in grado di portare a un fenotipo tumorale qualora fosse espresso anche l’oncogene Ras, capacità che non è riscontrabile con le cellule non immortalizzate (Figura 12A).

Figura 12: l’immortalizzazione è necessaria ma non sufficiente per la trasformazione tumorale. (A) In molti modelli

in vitro è stato dimostrato che gli oncogeni, come ras, possono causare una trasformazione maligna di cellule

immortalizzate ma non di quelle normali. Nell’esempio illustrato, l’attivazione di ras provoca la trasformazione maligna di fibroblasti immortalizzati con SV40, ma non di fibroblasti normali o trasdotti con SV40 non ancora immortalizzati (O'Brien et al, 1986). (B) Fibroblasti murini trasdotti con l’oncogene ras attivando costitutivamente la via di MEK. In cellule immortalizzate questo può portare alla trasforazione ma in cellule normali si ha una maggiore espressione di p53 e p16INK4a con conseguente senescenza prematura(Reddel et al, 2000).

Lo studio della via di MEK/MAPK attivata dall’oncoproteina Ras (Figura 12B) su fibroblasti murini ha confermato la necessità dell’immortalizzazione per ottenere un fenotipo tumorale, mentre l’espressione dell’oncogene in cellule normali induce una senescenza precoce. La conferma di questa ipotesi è arrivata con gli studi sulla telomerasi che hanno mostrato un’attività dell’enzima

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nelle cellule cancerose, marcatore dell’immortalizzazione. Queste evidenze sono state ulteriormente confermate dall’analisi del numero di duplicazioni di fibroblasti normali e tumorali dimostrando anche la mole di massa tumorale che può essere generata da un piccolo numero di cellule. La comprensione di questi processi è, quindi, di fondamentale importanza non solo per allestire metodi d’immortalizzazione o trasformazione idonei ma anche per lo studio delle fasi di carcinogenesi.

3.3 VETTORI VIRALI

Il trasferimento di DNA esogeno all’interno di una cellula può essere fatto sfruttando i meccanismi d’infezione virali. I virus hanno evoluto strutture e meccanismi efficienti per l’infezione delle cellule e l’utilizzo del metabolismo cellulare per la loro replicazione. Le particelle virali, quindi, possono essere sfruttate come veicoli di materiale genetico ingegnerizzato dal momento che offrono sequenze e molecole che permettono l’espressione e in alcuni casi anche l’integrazione del DNA esogeno nel genoma della cellula. Negli anni sono stati sviluppati vettori per il trasferimento dei transgeni ad alta efficienza, modificati in base alle caratteristiche delle cellule da infettare. Il vettore virale è necessario che non contenga le sequenze utili al virus per la sua replicazione, che sono fornite separatamente, in modo da mantenere il sistema efficace e sicuro nell’utilizzo (Pistello M et al, 2012). La tecnologia del trasferimento genico avviene tramite trasduzione, la quale è definita come un’infezione non replicativa che permette all’informazione genetica eterologa di essere trasportata all’interno di un determinato tipo di cellula. Il numero di virus utilizzati per lo sviluppo di vettori e costantemente in aumento, ma, comunque, questi possono essere suddivisi in 5 categorie principali: vettori derivati da oncoretrovirus, lentivirus, adenovirus, virus adeno-associati (AAV) e da HSV-1. Ciascuna categoria di vettori e caratterizzata da diverse proprieta che la possono rendere adatta per alcune applicazioni (Tabella 1).

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Tabella 1: principali categorie di vettori virali e loro caratteristiche (Pistello M. in Principi di microbiologia medica. Antonelli G, Clementi M.,Pozzi G., Rossolini G.M., eds. Casa Editrice Ambrosiana, Milano.2012 Cap. 67, pag B-370).

3.3.1 VETTORI RETROVIRALI

I retrovirus sono dotati di envelope lipidico e capside proteico con genoma a RNA a singolo filamento in doppia copia con polarità positiva di 7-11 Kb. Dopo l’infezione delle cellule, l’RNA virale è retro trascritto in DNA e integrato nel genoma della cellula ospite. Alle estremità del materiale generico sono presenti le LTR (Long Terminal Repeat) che agiscono da promotori dei geni virali e nell’incapsidamento, retrotrascrizione e integrazione. Le LTR sono collocate in tandem con le open reading frame (ORF) gag (group specific antigen), pol (polimerasi) ed env (envelope) che codificano rispettivamente per le proteine strutturali, enzimatiche e per le glicoproteine di superficie. I geni necessari alla replicazione virale come gag (group specific antigen), pol

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