POLITECNICO DI MILANO
Scuola di Ingegneria IndustrialeCorso di Laurea Specialistica in Ingegneria Energetica
Analisi e modellazione del test SBI di reazione al fuoco di un pannello solare fotovoltaico
Relatore:
Prof. Ing. Alfonso Niro Correlatore:
Ing. Luca Iannantuoni
Tesi di laurea di: Giovanni Egisto Matr. 800685
S’i fosse fuoco, arderei ’l mondo; s’i fosse vento, lo tempestarei; s’i fosse acqua, i’ l’annegherei; s’i fosse Dio, mandereil’ en profondo;
s’i fosse papa, allor serei giocondo, ché tutti cristiani imbrigarei; s’i fosse ’mperator, ben lo farei; a tutti tagliarei lo capo a tondo...
Si ringrazia il professor Niro per avermi permesso di lavorare su questa tesi, gli inge-gneri Iannantuoni e Vitali per avermi seguito durante lo sviluppo. Un grazie va anche ai professori Faravelli e Cozzi per il materiale che mi hanno fornito nel momento del bisogno. Voglio ringraziare sia la mia famiglia, per avermi sostenuto durante tutto il periodo universitario e in particolar modo negli ultimi sei mesi, sia gli amici, per avermi procurato momenti spensierati e goliardici che hanno reso indimenticabile questo periodo della mia vita.
Abstract
The goal of this thesis is the analysis and modeling of an SBI test conducted on a pho-tovoltaic solar panel. Up to now there isn’t in Italy a well established reference or code for the evaluation of the fire reaction of a PV panel installed on roofs, for this reason the FireLab of the Energy Department of Politecnico di Milano, in collaboration with R.S.E. S.P.A., has tested the application of the SBI test, as described by UNI EN 13823, on a PV module. This standard covers construction materials, so that tests are carried out in order to define a proper evaluation procedure for the panels. The operating procedure of the test involves the installation of the module in a vertical position in the fire room, with the back side exposed to the flame, but the modules installed on a roof are tilted. This fact underlines the need of an improvement of the test procedure for a better assessment of the fire reaction, or the establishment of a new one. Experimental tests are very expen-sive and field measuraments are so challenging so we decided to support the experimental work with a CFD modeling of the SBI test. The numerical study allows us to obtain and represent the evolution of the main physical quantities, for example, it is possible to obtain the temperature trend on the panel surface, that is difficult to measure directly because of the destructive nature of a fire. This work proposes a first CFD model representative of the tests, developed as a result of the characterization of the materials that make up the panel. Ethylene vinyl acetate is found to be the main reactive component, because it pyrolyzes approximately at 500 K, producing gases, among which the most important is acetic acid. The fluid dynamic simulations were performed with the solver fireFoam of the software OpenFoam and have produced results in agreement with those obtained by the SBI test, regarding the time trend and the order of magnitude of the HRR. This will help to develop, in the future, a more complete model, in particular about the chemical behaviour led by the pyrolysis process. Moreover, the model could be adapted to various scenarios that may occur on a building’s roof where there is a PV system. In addition, the study has allowed a better understanding of fire resistance of the materials that make up the panel, providing useful information for the design phase, from a fire saefty point of view.
Keywords: SBI, fire reaction test, photovoltaic solar panel, ethylene vinyl acetate, HRR, pyrolysis, fireFoam.
Sommario
Lo scopo di questo lavoro di tesi è l’analisi e la modellazione di un test SBI condotto su un pannello solare fotovoltaico. Non esiste, ad oggi in Italia, una normativa univoca per la valutazione della reazione al fuoco di un pannello installato su tetti di edifici, per questo presso il FireLab del Dipartimento dell’Energia del Politecnico di Milano, in collaborazione con R.S.E. S.P.A., si è sperimentata l’applicazione dei test SBI, descritti dalla normativa UNI EN 13823, ai moduli fotovoltaici. Tale normativa riguarda i materiali da costruzione, quindi i test sono stati svolti al fine di definire una corretta procedura di valutazione per i pannelli. La procedura operativa del test prevede l’installazione del modulo nella camera fuoco in posizione verticale, con lato posteriore esposto alla fiamma, che non rappresenta la condizione operativa del modulo sul tetto, che prevede un angolo di inclinazione. Questo conferma la necessità di stesura di una procedura standardizzata per la valutazione della reazione al fuoco di un modulo PV, anche attraverso l’adeguamento di una normativa già esistente. L’esecuzione di altri test e campagne di acquisizione dati sarebbe oneroso in termini di tempo e denaro, per questo si è pensato di affiancare al lavoro sperimentale una modellazione CFD del test SBI. Essa permette di ottenere una rappresentazione dell’evo-luzione delle principali grandezze fisiche durante una prova, e, ad esempio, permette di ricostruire l’andamento della temperatura raggiunta dal pannello, di difficile misurazione a causa della natura distruttiva del fenomeno di combustione. Questo lavoro propone un primo modello CFD rappresentativo dei test, sviluppato a seguito della caratterizzazione dei materiali che compongono il pannello. Tra questi, il più sensibile alla reazione al fuoco è risultato essere l’etilene vinil acetato, perché raggiunti i 500 K circa, pirolizza producendo gas volatili, tra i quali il più importante è l’acido acetico. Le simulazioni fluidodinamiche sono state eseguite con il solver fireFoam del software OpenFoam e hanno prodotto risul-tati concordi con quelli ottenuti dai test SBI per quanto riguarda l’andamento nel tempo e l’ordine di grandezza della curva dell’HRR. Ciò permetterà di sviluppare in futuro un mo-dello più completo, anche sotto gli aspetti chimici, adattabile a vari scenari che si possono verificare sui tetti di edifici in cui è presente la tecnologia fotovoltaica. Inoltre, lo studio condotto ha permesso una miglior comprensione della reazione al fuoco dei materiali che compongono il pannello, fornendo informazioni utili anche per la fase di progettazione, sempre nell’ottica della prevenzione antincendio.
Parole Chiave: SBI, test di reazione al fuoco, pannello solare fotovoltaico, etilene vinil acetato, HRR, pirolisi, fireFoam.
Indice
Introduzione 1
1 L’incendio di un pannello solare fotovoltaico 4
1.1 Il rischio d’incendio . . . 4
1.1.1 Fenomenologia di un incendio . . . 4
1.1.2 Caratterizzazione fisico-matematica degli incendi . . . 5
1.1.3 Fire Saefty Engineering . . . 7
1.2 Incendio di un modulo fotovoltaico . . . 8
1.2.1 Cause . . . 8
1.2.2 Rischi durante la fase di estinzione . . . 9
1.3 La classificazione della reazione al fuoco dei materiali . . . 10
2 Il test Single Burning Item 13 2.1 La normativa UNI EN 13823 . . . 13
2.2 L’apparato sperimentale . . . 14
2.2.1 La camera . . . 14
2.2.2 Il burner . . . 16
2.3 Procedura del test SBI . . . 17
2.4 Criticità del protocollo di prova . . . 17
2.5 Analisi del risultato delle prove sperimentali . . . 18
3 Reazione al fuoco dei pannelli solari fotovoltaici 22 3.1 Generalità sul modulo PV . . . 24
3.2 Fenomenologia della reazione al fuoco . . . 27
3.2.1 Fondamenti di combustione . . . 27
3.2.2 La pirolisi . . . 29
3.3 Stato dell’arte dei modelli di reazione al fuoco dei materiali . . . 30
3.4 I polimeri e la loro reazione al fuoco . . . 31
3.5 L’Etilene Vinil Acetato . . . 33
3.5.1 Le proprietà termo-fisiche . . . 33
3.5.2 Misurazione delle proprietà ottiche . . . 37
3.6 La reazione al fuoco dell’EVA . . . 38
3.6.1 La reazione di deacetilizzazione . . . 40
3.6.2 Il prodotto della reazione: l’acido acetico . . . 41
3.6.3 Modellazione del residuo solido . . . 42
4 Modellazione CFD del test di reazione al fuoco 43 4.1 Modellazione termofluidodinamica degli incendi . . . 43
4.1.1 OpenFOAM . . . 44
4.1.3 Modellazione della turbolenza . . . 46
4.1.4 L’approccio LES . . . 50
4.1.5 Modellazione dello scambio termico . . . 51
4.1.6 Il solutore . . . 52
4.2 Rappresentazione del sistema . . . 54
4.3 La modellazione della reazione al fuoco . . . 57
4.3.1 Combustione del propano . . . 57
4.3.2 La pirolisi dell’EVA . . . 61
4.4 Sensitività del modello . . . 61
4.4.1 Grid sensitivity . . . 62
4.4.2 Verifica del campo di moto . . . 65
4.4.3 Analisi di sensitività condotta sull’angolo solido . . . 66
4.4.4 Analisi parametrica del modello di combustione . . . 68
5 Risultati delle simulazioni 71 5.1 Condizioni iniziali e al contorno . . . 71
5.2 Indagine sui parametri cinetici . . . 72
5.3 Sviluppo della curva dell’HRR . . . 73
5.4 Risultati finali . . . 74
6 Conclusioni e sviluppi futuri 77 A 79 Appendice 79 A.1 Dettagli delle mesh realizzate . . . 79
Elenco delle tabelle
3.1 Dati di Terna di produzione energetica lorda in Italia . . . 23
3.2 Tipologie di pannello fotovoltaico usate nelle prove sperimentali . . . 26
3.3 Comportamento delle proprietà dell’EVA in funzione del tenore di VA . . . 34
3.4 Valori di alcune proprietà di interesse dell’EVA presente nel pannello foto-voltaico [34] . . . 37
3.5 Principali proprietà dell’acido acetico [34] . . . 41
3.6 Principali proprietà dell’etilene [34] . . . 42
4.1 Tabella riassuntiva delle mesh create . . . 57
4.2 Potenza rilasciata dal burner nelle quattro mesh . . . 64
4.3 Parametri di misura dell’anemometro utilizzato . . . 65
4.4 Valori registrati con l’anemometro di uz in m/s . . . 65
5.1 Dati tecnici del Cluster . . . 71
5.2 Tempi di calcolo in funzione del numero di celle . . . 71
5.3 Riassunto del set-up numerico delle simulazioni . . . 72
5.4 Indagine sui parametri cinetici . . . 73
Elenco delle figure
1.1 Andamento della temperatura nelle diverse fasi di incendio [1] . . . 5
1.2 Fire plumes puntiforme e reale [2] . . . 7
2.1 Vista della camera fuoco . . . 15
2.2 Cappa d’aspirazione posta sopra la camera . . . 15
2.3 Il bruciatore primario . . . 16
2.4 Andamento registrato dell’Heat Relase Rate durante una prova SBI condotta su un modulo PV [11] . . . 19
2.5 Andamento dell’Heat Release Rate nei primi 120 s di test effettivo . . . 19
2.6 Immagini di una prova di reazione al fuoco condotta su due pannelli, quello frontale largo mezzo metro, sulla parete a destra invece è presente il pannello preso in considerazione in questo lavoro. . . 21
3.1 Andamento dell’energia lorda prodotta dalla tecnologia fotovoltaica e dai prodotti petroliferi in Italia . . . 22
3.2 Confronto delle due tipologie di pannello . . . 24
3.3 Esempio di BIPV: sede generale della regione Lombardia a Milano; le finestre sul lato stretto sono pannelli solari fotovoltaici . . . 24
3.4 Struttura di un pannello fotovoltaico . . . 25
3.5 Pannello usato nella sperimentazione scientifica . . . 26
3.6 Sistema grid connected . . . 27
3.7 Formula chimica del Tedlar, anche noto come polivinilfluoruro . . . 33
3.8 Formula chimica dell’etilene vinil acetato . . . 34
3.9 Andamento della densità dell’EVA al variare del suo tenore di VA [33] . . . 35
3.10 Andamento della temperatura di decomposizione dell’EVA al variare del suo tenore di VA [33] . . . 35
3.11 Andamento della temperatura di fusione dell’EVA al variare del suo tenore di VA [33] . . . 35
3.12 Andamento della permeabilità dell’EVA rispetto a diverse sostanze gassose al variare del suo tenore di VA [33] . . . 36
3.13 Conduttività in funzione della temperatura per l’EVA con 9%VA e 28%VA e per il poliuretano a bassa ed elevata densità [33] . . . 36
3.14 Andamento della riflettanza emisferica spettrale ricavata dalle prove speri-mentali . . . 38
3.15 Andamento dell’emissività emisferica spettrale ricavata dalle prove speri-mentali . . . 38
3.16 Quantità di gas prodotti su tre prove condotte da [40] . . . 40
3.17 Formula chimica dell’acido acetico . . . 41
4.1 Schema di funzionamento di OpenFOAM [43] . . . 44
4.2 Misurazione puntuale della componente x della velocità in un flusso turbo-lento [46] . . . 47
4.3 Spettro di energia turbolenta in funzione del numero d’onda [46] . . . 48
4.4 Rappresentazione schematica dello strato limite a parete . . . 51
4.5 Riproduzione geometrica della camera, in rosso è evidenziata la superficie che rappresenta il burner . . . 55
4.6 Vista delle mesh più lasche, dal lato della parete che affianca il pannello . . 58
4.7 Vista delle mesh più fitte, dal lato della parete che affianca il pannello . . . 59
4.8 Confronto dei valori di temperatura a 10 cm e 2 m di altezza tra le quattro griglie . . . 62
4.9 Confronto dei valori di velocità a 10 cm e 2 m di altezza tra le quattro griglie 63 4.10 Confronto dei valori di calore rilasciato dalla combustione a 10 cm e 2 m di altezza tra le quattro griglie . . . 64
4.11 Strumento utilizzato e sezione di campionamento dati . . . 65
4.12 Sezione in cui si è indagato il campo di moto . . . 66
4.13 Confronto del campo della componente verticale della velocità tra una si-mulazione con e senza combustione, espressa in m/s . . . 66
4.14 La costruzione dell’angolo solido . . . 67
4.15 Andamento nel tempo della temperatura massima raggiunta dal pannello per diverse suddivisioni eseguite . . . 67
4.16 Andamento nel tempo dell’HRR del pannello per diverse suddivisioni eseguite 68 4.17 Sezione di campionamento per la valutazione del parametro C . . . 69
4.18 Andamento della temperatura massima registrata nella camera al variare del parametro C . . . 69
4.19 Andamento della energia massima rilasciata dalla combustione al variare del parametro C . . . 70
5.1 Andamento dell’HRR ottenuto dalle simulazioni numeriche . . . 74
5.2 Portata di acido acetico prodotta . . . 75
5.3 Temperatura della superficie del pannello campionata lungo l’asse orizzon-tale, a metà della sua altezza . . . 75
5.4 Andamento dell’HRR con e senza la combustione del CH3COOH . . . 76
A.1 Griglie eseguite sul pannello . . . 80
A.2 Griglie eseguite sul bruciatore . . . 81
Introduzione
In meno di un decennio il fotovoltaico si è consolidato non solo a livello nazionale, ma anche internazionale, come una delle principali tecnologie di produzione energetica. Infatti l’accresciuta sensibilità, sia dei legislatori sia degli operatori del settore, riguardo questioni di sostenibilità ambientale e diversificazione delle fonti ha permesso, anche grazie a mec-canismi di incentivazione economica una rapida diffusione dei pannelli solari fotovoltaici. Questi siccome vengono sempre più ad integrarsi negli involucri edilizi, influenzano le pre-stazioni e le caratteristiche degli stessi, anche relativamente ad aspetti legati alla sicurezza. Nell’ambito di questa ampia e diversificata tematica mi sono concentrato su uno degli aspetti più significativi: lo studio della reazione al fuoco.
Lo svolgimento di questo lavoro si concentra sull’analisi di una prova di reazione al fuoco applicata ad un pannello solare fotovoltaico. L’attività è stata svolta in collaborazione col laboratorio FireLab del Dipartimento di Energia del Politecnico di Milano, utilizzando moduli fotovoltaici poli e mono cristallini, tipici delle applicazioni terrestri. I test sono stati eseguiti con la finalità di verificare la metodologia di valutazione e classificazione della reazione al fuoco di un pannello, in quanto, ad oggi in Italia e in Europa, non esiste uno standard valutativo univoco. É stata pertanto indagata la metodologia descritta nella UNI EN 13823: ”Prove di Reazione al Fuoco dei Prodotti da Costruzione. Prodotti da Costruzione Esclusi i Pavimenti Esposti ad un Attacco Termico Prodotto da un Singolo Oggetto in Combustione”, che prevede l’utilizzo del test SBI (Single Burning Item).
L’analisi fenomenologica alla base di questo lavoro ha portato alla realizzazione di un modello termofluidodinamico dell’apparato di prova, che ha permesso di simulare, seppur con delle forti ipotesi semplificative, tale reazione al fuoco, sfruttando le potenzialità della CFD. In particolare l’analisi si è concentrata sul rilascio dei prodotti di pirolisi da parte della superficie plastica del pannello e non sull’intero modulo. Tale superficie, durante la prova, è soggetta ad attacco termico, costituito da una fiamma diffusiva turbolenta generata dalla combustione di gas propano.
Lo studio della reazione al fuoco di un modulo PV è un argomento che ha suscitato l’in-teresse della comunità tecnico-scientifica perché, soprattutto quando è installato su edifici, deve rispettare nella progettazione, costruzione, installazione, conduzione e manutenzione, parametri minimi di sicurezza. Il progresso tecnologico impone, da un lato, la ricerca di prodotti sempre più performanti e sicuri, dall’altro, il miglioramento delle metodologie di prova. Nello sviluppo di questa attività di tesi, pur coi limiti imposti dalla complessità dei fenomeni trattati e della procedura di prova, si è cercato di caratterizzare la reazione al fuoco del materiale e quindi i relativi parametri. Al fine di validare il modello si è ricavata la potenza termica idealmente rilasciata, confrontandola con la curva sperimentale otte-nuta dai test di laboratorio. Per quanto riguarda l’analisi CFD, è stato adottato il codice OpenFOAM versione 2.3, in particolare l’applicazione fireFoam, che è orientata alla solu-zione di problemi di combustione diffusiva turbolenta e dispone di un modello di pirolisi per le materie solide. Nonostante i punti salienti dell’attività svolta sono stati molteplici (la caratterizzazione del materiale, la reazione di pirolisi, il campo di moto e di
tempera-tura presenti nella camera, lo sviluppo della fiamma sul bruciatore e lo scambio termico), il lavoro ha permesso di ottenere risultati soddisfacenti e di gettare le basi sia per un ap-profondimento degli aspetti strumentali e di misurazione dell’apparato, sia per individuare gli avanzamenti e le opportunità della modellazione con la finalità di una rappresentazione più accurata dei fenomeni oggetto d’indagine. In particolare, la struttura della tesi è la seguente:
Nel primo capitolo, dopo aver fornito i principi sui quali si basa l’analisi di un incendio secondo l’approccio della Fire Saefty Engineering, si analizza quello che accade quando si sviluppa un incendio su un pannello fotovoltaico installato su un edificio. Si prendo-no in considerazione le possibili cause d’innesco incendio e le motivazioni per cui questo componente strutturale può risultare critico per la propagazione delle fiamme e pericoloso per strutture e persone. A seguire, si analizza il panorama normativo presente a cui deve rispondere un pannello, per poi concentrarsi sulla normativa UNI EN 13823, in cui è de-scritta la metodologia di prova utilizzata in laboratorio. Nella normativa sono descritti i parametri scelti per la classificazione del manufatto, tra cui particolare importanza riveste l’HRR o Heat Release Rate, ovvero la quantità di calore rilasciata nel tempo dal campione durante il test, perché grandezza già presente nell’output del risolutore CFD.
Nel secondo capitolo viene fornita la descrizione dell’apparato sperimentale, sulla base del quale si sono realizzate le griglie computazionali, e della metodologia di prova con cui sono stati eseguiti i test. Poi viene esposta un’analisi delle prove condotte, in cui si evi-denziano i limiti del protocollo di prova considerato, che senza modifiche non può ritenersi idoneo per la classificazione dei moduli PV, e si considerano i possibili miglioramenti ap-plicabili per una valutazione completa ed esaustiva della reazione al fuoco di un pannello solare fotovoltaico. In fine si propone un’analisi della curva sperimentale ottenuta dai test, sulla base dello studio eseguito e riportato nel capitolo successivo.
Nel terzo capitolo si descrivono gli aspetti fondamentali dei pannelli solari e dei prin-cipali fenomeni che avvengono durante il test: la combustione del propano e la reazione di pirolisi del componente critico del pannello. Di seguito si espone, andando sempre più nel dettaglio, la ricerca bibliografica eseguita sui modelli di reazione al fuoco dei materiali. Tali modelli sono stati studiati principalmente per legno e polimeri, ci si concentra su que-st’ultimi, e in particolar modo sull’etilene vinil acetato, il componente critico del modulo. Di tutto il processo di pirolisi che avviene sul materiale, si considera solamente la reazione di deacetilizzazione, in quanto ritenuta la principale responsabile della produzione di gas volatili all’interno del pannello sigillato sottovuoto.
Nel quarto capitolo si espone la metodologia di calcolo adottata nell’ambito della flui-dodinamica computazionale. Il modello di combustione adottato è del tipo a cinetica infinitamente veloce, al contrario quello di pirolisi che è stato analizzato sia dal punto di vista cinetico sia energetico. Si descrive quindi il modello di scambio termico, e in partico-lar modo quello utilizzato per l’irraggiamento. Si riportano le analisi di sensitività eseguite sulle griglie computazionali realizzate, sui parametri dei modelli e la validazione del campo di moto su base sperimentale, tramite campionamento dati in camera, con anemometro a filo caldo.
Nel quinto capitolo, dopo aver illustrato il set-up numerico delle simulazioni e le ca-ratteristiche dell’hardware impiegato, si riportano i risultati ottenuti analizzando diversi parametri cinetici per il modello di pirolisi. Si esegue quindi uno studio sull’ordine di grandezza delle entalpie di formazione dei solidi considerati, sempre per la valutazione del modello di pirolisi, perché al contrario dei parametri cinetici, non sono state ottenute in seguito alla ricerca bibliografica. Si confronta, quindi, l’andamento della curva dell’HRR delle simulazioni con quella ottenuta sperimentalmente e si riportano risultati riguardanti il campo di temperatura e la quantità di gas prodotto dalla pirolisi.
Nell’ultimo capitolo vengono descritte le conclusioni e i possibili futuri sviluppi di questo lavoro, commentando i risultati ottenuti e le criticità riscontrate.
Capitolo 1
L’incendio di un pannello solare
fotovoltaico
1.1
Il rischio d’incendio
L’incendio è un evento caratterizzato da reazioni di combustione che generano elevate po-tenze termiche e notevoli quantità di gas combusti. L’entità del suo sviluppo può essere tale da provocare danni a persone, strutture e beni materiali anche in maniera estremamente grave. L’incidentalità dell’evento comporta incertezza nella valutazione della fase di igni-zione, dello sviluppo e di propagaigni-zione, perché bisogna tenere in considerazione molteplici fattori quali la tipologia e la quantità di combustibile presente nello spazio, le condizioni di ventilazione, le procedure antincendio adottate e la reazione delle persone, difficile da valutare a priori.
La valutazione del rischio e l’analisi fisico-matematica del fenomeno evidenziano la necessità di sistemi di prevenzione, attraverso lo studio e la catalogazione dei materiali, con la finalità della diminuzione dei danni che si possono riscontrare a seguito di un incendio.
1.1.1 Fenomenologia di un incendio
Non potendo valutare, in fase preventiva, i danni prodotti da un incendio, l’analisi degli scenari deve essere eseguita con una metodologia tale per cui è possibile minimizzare il rischio d’incendio. La quantificazione del rischio avviene considerando i possibili danni nel tempo [danni /∆t], ottenuti tramite il prodotto tra la frequenza dell’evento dannoso [numero eventi dannosi /∆t] e la magnitudo dell’evento [danni /numero eventi dannosi ]. A sua volta la frequenza dell’evento dannoso può essere espresso tramite tra la frequenza dell’innesco [numero inneschi /∆t] e la probabilità che l’innesco determini l’evento dannoso [numero eventi dannosi/numero inneschi ]. Di questi elementi quello con il contributo più rilevante è la magnitudo perché quantifica l’entità dei danni a beni e soprattutto a persone. Per quanto riguarda i pannelli solari fotovoltaici (PV) si registra una bassa frequenza, perché raramente risultano la causa d’innesco, ma possono risultare elementi che provocano un aumento considerevole della magnitudo, a causa della rapida propagazione delle fiamme che si genera quando il pannello è coinvolto nell’incendio.
L’analisi deve procedere con una quantificazione delle grandezze sopra descritte, solo a questo punto è possibile intervenire per diminuirle, e quindi di fatto diminuire il rischio incendio attraverso prevenzione e protezione. La prevenzione influisce direttamente sulla frequenza perché viene limitata la frequenza d’innesco o diminuita la probabilità che l’inne-sco determini l’evento dannoso, mentre la protezione mira alla diminuzione della magnitudo
tramite sistemi passivi ed attivi. I primi possono, ad esempio, essere i rivestimenti, i com-partimenti e le distanze di sicurezza, ovvero sono sistemi che non agiscono direttamente sull’incendio ma ne limitano propagazione e danni; i metodi attivi entrano in gioco solo in presenza dell’incendio e sono costituiti da mezzi e persone che intervengono direttamente quali Vigili del Fuoco, idranti, naspi,...
1.1.2 Caratterizzazione fisico-matematica degli incendi
Nella dinamica di un incendio è fondamentale definire il luogo in cui si verifica, in particolare se l’ambiante è aperto o confinato. I principali parametri da prendere in considerazione sono:
• il picco di potenza termica sviluppata; • la quantità totale di energia rilasciata; • la velocità di crescita della potenza termica;
• i valori di temperatura di aria, sostanze reagenti, solidi circostanti, fumi e pareti; • la quantità e la velocità di formazione dei prodotti di combustione;
• la durata complessiva dell’incendio;
Figura 1.1: Andamento della temperatura nelle diverse fasi di incendio [1]
In Figura 1.1 si osservano le diverse fasi che caratterizzano l’evoluzione di un incen-dio: innesco, crescita, sviluppo ed infine decadimento con la terminazione delle reazioni. La prima fase di sviluppo presenta un ridotto gradiente termico perché la maggior parte dell’energia sprigionata è consumata nel processo di vaporizzazione dell’umidità presente e per riscaldare i reagenti fino alla temperatura di ignizione. Le fiamme sono di dimen-sioni ridotte mentre i fumi che si generano hanno una temperatura superiore e densità inferiore rispetto all’aria, per questo sviluppano un moto verticale miscelandosi con essa e raffreddandosi. L’aumento di materiale combustibile coinvolto comporta un aumento del gradiente di temperatura e quindi l’aumento della velocità di combustione. L’energia sprigionata è di ordini di grandezza superiore rispetto a quella dispersa per conduzione, convezione e irraggiamento, provocando un aumento della temperatura media dell’ambien-te. Il falshover avviene quando tutti i materiali combustibili sono coinvolti nell’incendio, che da questo istante si può definire completamente sviluppato. É la fase più pericolosa
dell’incendio perché coinvolge ogni elemento combustibile, si raggiunge la massima tem-peratura ed il massimo rilascio energetico, provocando reazioni di pirolisi nelle porzioni di combustibili non a contatto con agenti ossidanti.
Negli incendi confinati si distinguono due regimi: combustion fire driven, che si verifica in condizioni di eccesso d’aria ed è il combustibile a dettare lo sviluppo dei processi combu-stivi e l’air fire driven, dove lo sviluppo del fenomeno dipende dalla portata di comburente, tipico di luoghi con aperture verso l’esterno ridotte in numero e superficie.
La caratteristica essenziale che identifica quanto importante sia l’incendio è la curva di rilascio termico, noto a livello internazionale come HRR (Heat Release Rate), definito in [47] come l’energia emessa da un oggetto incendiato per unità di tempo, quindi misurato in Watt. Il suo valore può essere determinato dalla teoria, dalla letteratura o da prove sperimentali di incendio in ambiente confinato o tramite cono calorimetrico. Per molti elementi si riscontra un andamento caratterizzato da tre fasi. Inizialmente avviene una crescita, spesso con legge quadratica, con variazione di pendenza dipendente dalla velocità di combustione. In questa fase avvengono ignizione, sviluppo e flashover dell’incendio. Nella seconda fase si raggiunge il picco di HRR, il cui valore dipende dal regime di incendio e dal flusso termico radiativo, mentre la potenza è assunta costante se la quantità di materiale che reagisce non varia nel tempo. L’ultima fase ha generalmente inizio quando rimane circa il 30% di materiale combustibile non ancora reagito e prevede una diminuzione del valore di HRR fino al suo annullamento.
La fiamma è una reazione di combustione localizzata che si propaga a velocità subsonica nella miscela aria-combustibile (l’aria è assunta come comburente tipico della reazione) ed è in grado di auto-sostenersi. Le fiamme si dividono in premiscelate e diffusive, a seconda se è già presente una miscela dei due tipi di reagenti prima dell’innesco o se la miscelazione avviene in un ambiente in cui è già presente un innesco. Le fiamme premiscelate sono tipiche degli ambienti controllati, mentre quelle diffusive si possono ammirare in un incendio o in un qualsiasi focolare da campeggio. Si possono suddividere anche in laminari o turbolente: se la fiamma non è soggetta a correnti o flussi d’aria il suo comportamento è prevalentemente laminare, mentre le fiamme derivanti dalla combustione di gas provenienti da solidi o liquidi sono dominate dagli effetti di galleggiamento, rendendo trascurabile l’apporto del momento dei componenti gassosi. Il rapporto di questi due fattori è espresso dal numero di Froude:
F r = U 2 gas gd ODG momento ODG galleggiamento (1.1)
La velocità del gas Ugas non può essere determinata direttamente e si utilizza il valore
dell’HRR, assumendo un letto di combustibile circolare di diametro d. Ugas=
HRR ∆Hrρ(πd2/4)
(1.2)
Confrontando le due espressioni il numero di Froude risulta proporzionale a HRRd5 2, quindi
la radice quadrata del numero adimensionale risulta una adimensionalizzazione del valore dell’HRR, utile per lo studio di incendi in relazione all’altezza raggiunta dalle fiamme.
Lo studio del fire plume condotto in [2] ha evidenziato tre diversi regimi: • zona di fiamma persistente, con flusso accelerato di gas;
• zona di fiamma intermittente, con flusso di gas costante;
Figura 1.2: Fire plumes puntiforme e reale [2]
Quest’ultimo è la colonna convettiva che si instaura sopra la sorgente di calore e il modello matematico che lo descrive è basato su una sorgente puntiforme, quindi risulta simmetrico, immobile e di altezza determinata dall’uguaglianza delle forze di galleggiamen-to e di quelle viscose, come mostra la Figura 1.2. In condizioni atmosferiche stazionarie, l’inversione di temperatura limita la crescita del plume, arrestando la crescita verticale e favorendo la diffusione laterale. Per cui la temperatura diminuisce con l’altezza, e ciò provoca un allargamento del pennacchio. L’aria ambiente è risucchiata dai contorni del plume, diluendo e raffreddando i fumi presenti, effetto molto più evidente in cima a cau-sa della superficie maggiore di contorno. L’estinzione delle fiamme diffusive può avvenire per annullamento della portata dei vapori di combustibile o tramite l’utilizzo di agenti estinguenti.
1.1.3 Fire Saefty Engineering
Si può collocare l’origine di questa disciplina ingegneristica quando, in seguito all’incen-dio che devastò Roma nel 64 D.C., l’imperatore Nerone decise di ricostruirla secondo nuovi metodi passivi di protezione incendio. Solo nel ventesimo secolo divenne una vera e propria disciplina universitaria per far fronte ai nuovi problemi di incendio dovuti alla rivoluzione industriale in corso. L’avanzamento tecnologico in questo settore è stato spesso la conse-guenza di eventi catastrofici che hanno devastato città, paesi o edifici perché tali calamità hanno permesso di raccogliere dati e di verificare i metodi di prevenzione adottati.
Sono presenti due tipi di approccio al problema della sicurezza antincendio:
• L’approccio deterministico, imperante in Italia, si concretizza principalmente nell’e-manazione di norme prescrittive e/o nel ricorso di strumenti di calcolo molto semplici. Il pregio di tale approccio è la semplicità e la garanzia di una omogeneità di applica-zione in tempi brevi. Il limite è la rigidità talora eccessiva delle prescrizioni normative e delle procedure di calcolo.
• L’approccio ingegneristico-prestazionale (Saefty Engineering), dominante nei paesi anglosassoni, si basa sulla predizione della dinamica evolutiva dell’incendio tramite l’applicazione di idonei modelli di calcolo. Se questo approccio risulta sensibilmente più flessibile, allo stesso tempo sovviene la necessità di validare i risultati ottenuti tramite prove sperimentali. Vista la natura distruttiva del fenomeno, può risultare complicato eseguire una validazione del modello.
1.2
Incendio di un modulo fotovoltaico
Secondo quanto riportato in [3], nel corso del 2011, in Italia, sono stati registrati 298 in-terventi dei Vigili del Fuoco per spegnere incendi che hanno coinvolto moduli fotovoltaici. Considerando l’aumento esponenziale delle installazioni di questa tecnologia (paragrafo 3), che subisce un processo di deterioramento delle proprietà termo-fisiche dei materiali che lo compongono all’aumentare del tempo di esposizione alla luce solare (paragrafo 3.6), è ne-cessario prendere in esame le cause e le conseguenze di un possibile incendio che coinvolge i moduli PV. La comunità tecnico-scientifica ha iniziato ad interessarsi al problema, e i primi studi condotti hanno evidenziato delle carenze dal punto di vista della sua classificazione.
1.2.1 Cause
Esistono molteplici cause che possono generare un incendio su un pannello PV, sebbene, statisticamente, risulta un evento raro. In [4] viene descritto lo scenario più probabile: in-cendi con origine di causa esterna all’installazione fotovoltaica dove la presenza dei pannelli contribuisce alla rapida propagazione delle fiamme, ma nonostante ciò un surriscaldamento prolungato può essere sufficiente per fare da innesco all’incendio. Vengono quindi indagate le possibili cause di innesco del pannello.
• L’esposizione continua del modulo ai raggi ultravioletti delle radiazioni solari deterio-ra la resina di protezione delle celle fotovoltaiche, le quali rilasciano degli agenti ossi-danti che ne distruggono i contatti metallici. Da qui possono insorgere cortocircuiti e surriscaldamento per effetto Joule.
• La scorretta installazione dei moduli può provocare un surriscaldamento anormale dovuto alla difficoltà dell’impianto di raffreddarsi attraverso il sistema di ventilazione. Come descritto da [5], ogni fotone con lunghezza d’onda inferiore a 1.1µm che colpisce la cella, fornisce un’energia superiore rispetto all’energy gap richiesto dall’elettrone per svincolarsi dall’atomo. Tale eccesso di energia si traduce in calore che riscalda la cella, per questo è assolutamente necessario progettare un corretto impianto di ventilazione.
• La parziale ombreggiatura del pannello è causa di un dislivello di tensione. Se due stringhe parallele di celle non sono soggette alla stessa tensione ai capi, la corrente inversa che si genera provoca un surriscaldamento localizzato, chiamato hot spot. • L’invecchiamento dei materiali è catalizzatore di tutte le cause sopracitate. Ciò trova
riscontro nella crescita lineare del numeri di interventi dei vigili del fuoco col passare degli anni.
• Dato che il pannello è installato a cielo aperto, è soggetto agli agenti atmosferici, tra i quali i fulmini. Non è quasi mai presente un sistema di prevenzione incendi per i fulmini perché è costituito da una gabbia metallica che circonda il modulo, seguendo lo stesso principio fisico della gabbia di Faraday. Sebbene si annulli il rischio che il fulmine colpisca il PV, essa diminuisce l’esposizione del pannello e quindi la sua produzione energetica.
Si deve tener conto anche della presenza dell’impianto elettrico per il funzionamento del modulo, che comporta la considerazione di cause di innesco incendio aggiuntive, quali:
• progettazione e realizzazione non a regola d’arte dell’impianto. Per esempio sostegni dei moduli non conformi alla buona pratica;
• malfunzionamenti di componenti dell’impianto non propriamente facenti parte dei moduli, quali possono essere la scatola di giunzione del modulo, i quadri elettrici e le scatole di derivazione dell’impianto;
• formazione di archi elettrici, anche di dimensioni ridotte, all’interno del modulo. Mentre l’unica causa di incendio esterna alla presenza dei pannelli o dell’impianto è quella dolosa, non analizzabile.
1.2.2 Rischi durante la fase di estinzione
In questo caso risultano più importanti le conseguenze d’incendio rispetto alle cause, per le reazione devastante del pannello, riscontrata anche nei test condotti. Per questo motivo si prendono in esame le procedure operative, gestionali e di classificazione del fenomeno per comprendere i rischi a cui, ad esempio, sono esposti i Vigili del Fuoco nell’atto di estinzione dell’incendio.
L’incendio che si sviluppa sul pannello è di classe E, ovvero riguardante le apparecchia-ture elettriche, ciò limita i prodotti estinguenti utilizzabili alla polvere e alla CO2, que-st’ultimo meno efficace. Non può essere utilizzata l’acqua perché le sostanze conduttrici non sono adatte per tali apparecchiature.
Non esistono sistemi passivi di prevenzione antincendio specifici per i pannelli, ma sono comunque presenti quelli posti per gli altri elementi strutturali. Sistemi di soffocamento dell’incendio, come possono esser gli estintori, raramente hanno sede in prossimità dei pannelli. Il sistema di ventilazione presente, al contrario, può favorire l’afflusso di aria fresca, alimentando la reazione di combustione.
I vigili del fuoco, come descritto in [6], per operare sui moduli PV, devono indossare particolari sistemi di protezione perché il pannello risulta un accumulatore di tensione: prima di procedere con il soffocamento dell’incendio, il modulo viene scollegato dalla rete elettrica, ma l’effetto fotoelettrico non termina finché non è completamente messo in ombra, cosa difficile da eseguire se in fiamme. Ciò lo rende facilmente paragonabile alla faccia di un condensatore che continua ad accumulare carica sulla superficie, ostacolando il lavoro dei vigili del fuoco. Il mancato utilizzo di sistemi adeguati di protezione può facilitare un contatto e la conseguente elettrocuzione, passaggio di corrente nel corpo umano, con possibilità di:
• tetanizzazione, blocco parziale o totale della muscolatura; • ustione della cute;
• fibrillazione ventricolare; • asfissia.
L’entità di questi effetti non è prevedibile perché dipende dalla persona e da come la corrente attraversa il corpo, la situazione più grave si verifica se il flusso elettrico attraversa il torace, dove è presente il cuore, organo vitale che funziona tramite impulsi elettrici.
In condizioni normali, i materiali usati per gli impianti PV sono considerati non peri-colosi; essi lo diventano in caso di esposizione ad incendio o esplosione del modulo. Infatti in queste situazioni i pannelli PV possono rilasciare sostanze chimiche tra cui il boro, il tellurio di cadmio, l’arseniuro di gallio ed il fosforo. Alcuni di tali prodotti sono noti perché possono comportare problemi d natura tossicologica o causare danni all’ambiente.
1.3
La classificazione della reazione al fuoco dei materiali
Nell’ambito della sicurezza, lo studio degli effetti degli incendi su materiali e strutture è di prioritaria importanza: l’incendio aggredisce le strutture riscaldandole, provocando dilatazioni, rottura, fusione e degrado termico. La conoscenza della reazione al fuoco dei materiali permette di affrontare la loro progettazione nella maniera più opportuna, garantendone un margine di sicurezza. La resistenza al fuoco è la capacità di un elemento da costruzione, per un determinato periodo di tempo di esposizione ad un focolare di potenza e configurazione note, di conservare le proprie caratteristiche di:• stabilità: attitudine a conservare la resistenza meccanica; • tenuta: mancata produzione di gas o fiamme;
• isolamento termico: contenimento della trasmissione del calore, quindi la tempera-tura del lato non esposto deve mantenersi sotto il livello di pericolo.
In base ai requisiti posseduti dagli elementi strutturali, la resistenza al fuoco è contrad-distinta con il tempo massimo di esposizione alla fiamma che intercorre finché si mantiene almeno una delle caratteristiche sopracitate. A seguito si verifica l’ignizione e la com-bustione del materiale, descritta da parametri come la combustibilità, la propagazione della fiamma, la persistenza alla combustione ed il gocciolamento di materiale fuso. Una tabulazione di questi parametri facilita la scelta del materiale da costruzione in fase di progettazione di una struttura. Gli approcci utilizzati per la scelta sono essenzialmente di tre tipi:
• test standardizzati di resistenza al fuoco in accordo con le leggi relative alle strutture; • calcoli analitici volti a determinare la resistenza all’esposizione di un incendio
stan-dard, come alternativa ai test di laboratorio;
• metodi di progettazione strutturale analitica finalizzata all’antincendio, basata su incendi ed esposizioni reali.
La classificazione della reazione al fuoco dei pannelli solari è tutt’ora oggetto di dibattito e confronto, a causa della mancata definizione di uno standard univoco di riferimento. I moduli fotovoltaici immessi nel mercato devono rispettare due certificazioni prodotto per poter ricever il marchio CE: la CEI EN 6125 per la qualifica del progetto e l’omologazione del tipo, e la CEI EN 61730-2, in cui sono dichiarate le prove a cui deve essere sottoposto, tra le quali, nella sezione riguardante il pericolo incendio, si trovano:
• MST 21: prova di temperatura;
• MST 22: prova di riscaldamento localizzato; • MST 23: prova di resistenza al fuoco;
• MST 25: prova tecnica del diodo di derivazione; • MST 26: prova di sovraccarico di corrente inversa.
Ma la MST 23 non risulta obbligatoria in Italia o in Europa. La CEI EN 61730-2 si rifà alla IEC 61730-2 in cui però, non solo la MST 23 risulta obbligatoria, ma viene anche evidenziato che non la si può ritenere sufficiente per classificare completamente la reazione al fuoco di un modulo PV, e che quindi ci si deve avvalere di test aggiuntivi imposti da
regolamenti nazionali. Quindi, nonostante la IEC 61730-2 promuova l’utilizzo di ulteriori test, a livello nazionale si assume come superfluo lo svolgimento del test di reazione al fuoco. Un Committee Draft, che ha revisionato la IEC 61730-2, riporta che a livello inter-nazionale non c’è uniformità negli approcci fire-saefty (paragrafo 1.1.3) e che quindi non è possibile definire una procedura per la piena valutazione della reazione al fuoco dei moduli fotovoltaici, quindi risulta d’obbligo la definizione di standard a livello nazionale da parte degli organi competenti.
Negli Stati Uniti la Underwriters Laboratories Inc. (UL) ha preso in esame il proble-ma della classificazione antincendio dei moduli PV, anche in seguito a recenti incendi che hanno coinvolto i pannelli in California (2009), Wisconsin e New Jersey (2013), cercando di elaborare degli standard da seguire a livello nazionale, in modo da limitare le mancanze esposte nella IEC 61730-2. L’azienda ha elaborato la UL 1703, dove si specifica che i test devono essere condotti riproducendo in maniera verosimile l’installazione del pannello su un edificio, in particolare, bisogna considerare sia l’inclinazione del pannello, sia i materiali destinati al collegamento elettrico e meccanico del pannello all’edificio. Di fatto, in labo-ratorio, il test è eseguito su una riproduzione del tetto in cui vengono installati i pannelli, in modo da tenere in considerazione le interazioni tra i materiali. Sono previsti due test, descritti nella UL 790:
• Spread of flame test, in cui si verifica l’ampiezza delle fiamme e il distacco-caduta di parti del manufatto in fiamme o incandescenti;
• burning-brand test, dove avviene la verifica che le braci non forino la copertura del tetto.
In Italia la Direzione Centrale per la Prevenzione e la Sicurezza Tecnica (DCPST), area prevenzione incendi del dipartimento dei vigili del fuoco, nel 2012 ha introdotto riferimenti in merito alla classe di reazione al fuoco dei moduli fotovoltaici sulla base delle classi dei prodotti da costruzione. In [6] vengono inoltre fornite indicazioni per un’installazione volta alla diminuzione della diffusione delle fiamme in caso di incendio, e le procedure di prova previste quali:
• UNI 9176, metodo D, che spiega come preparare i campioni per i test;
• UNI 8457, dove viene applicato un piccolo flusso termico ad un provino posto in posizione verticale, campionando la velocità di propagazione della fiamma, la zo-na danneggiata del campione, lo sgocciolamento di materiale fuso ed il distacco di materia in fiamme
• UNI 9174, test in cui il campione è sottoposto ad un pannello radiante e si valuta, in aggiunta alle grandezze citate nel test della UNI 8457, anche il tempo all’ignizione; • UNI 9177, che spiega come eseguire la classificazione.
In tutti questi test non sono presenti le valide considerazioni eseguite dalla Underwriters Laboratories Inc. per la realizzazione della UL 1703, infatti il campione non è mai inclinato e non si riproduce la configurazione reale che si riscontra sui tetti di edifici. Per questi motivi la DCPST ha iniziato, in collaborazione con l’università La Sapienza di Roma, dei lavori di sperimentazione condotti sulla UNI 9174, evidenziando la rapida propagazione della fiamma e conducendo un analisi qualitativa della zona danneggiata, e prove in cui si valuta l’effetto dell’invecchiamento dei componenti del pannello, sempre in relazione alla reazione al fuoco. In [7], per testare diverse coperture posteriori (backsheet ) dei pannelli, sono stati eseguiti i test sopraelencati e aggiuntivi, che si rifanno a quelli descritti in [8]
di stampo americano, proponendo una base di partenza per il processo di creazione di uno standard nazionale per la valutazione della reazione al fuoco dei moduli PV. Con questo obbiettivo il FireLab del Dipartimento dell’Energia del Politecnico di Milano, in collaborazione con R.S.E. S.P.A., ha svolto dei test di reazione al fuoco su dei moduli PV secondo la procedura riportata nella normativa UNI EN 13823, in cui si fa ricorso al test SBI per i materiali da costruzione secondo il Regolamento Prodotti da Costruzione (CPR 305/2011).
Capitolo 2
Il test Single Burning Item
In seguito alle considerazioni esposte nel capitolo precedente si descrive l’apparato presente nel FireLab del dipartimento di Energia del Politecnico di Milano e la metodologia di prova seguita. Entrambe sono descritti nella normativa UNI EN 13823 che regola i test di reazione al fuoco dei materiali da costruzione e ne permette una classificazione. Grazie all’analisi dell’apparato e delle grandezze utilizzate per la descrizione della reazione al fuoco dei materiali è stato possibile in fase di modellazione eseguire delle appropriate semplificazioni di natura fisica, in modo da alleggerire la parte computazionale che meno influisce la rappresentazione del sistema.
2.1
La normativa UNI EN 13823
La [10], vigente in Italia è il recepimento della norma europea EN 13823, e titola: ”Pro-ve di Reazione al Fuoco dei Prodotti da Costruzione. Prodotti da Costruzione Esclusi i Pavimenti Esposti ad un Attacco Termico Prodotto da un Singolo Oggetto in Combu-stione”. Viene specificato una metodologia di test per determinare la reazione al fuoco di prodotti da costruzione, esclusi quelli indicati nella [9], esposti all’attacco termico di un singolo oggetto in combustione (SBI: Single Burning Item). La descrizione dell’apparato sperimentale è riportata nel paragrafo 2.2.
In [10] è descritta la strumentazione necessaria e la procedura da seguire per i test SBI, la valutazione della reazione al fuoco è eseguita tramite parametri sperimentali tra i quali: • HRR o Heat Relase Rate, la potenza termica sprigionata dal campione, Figura 2.4; • FIGRA o FIre Growth RAte index, rapporto tra HRR e il tempo;
• SPR o Smoke Production Rate, per quantificare il fumo prodotto; • SMOGRA o SMOke Growth RAte index, rapporto tra SPR e il tempo.
Le formule utilizzate per il calcolo di questi quattro parametri sono empiriche, e si riporta lo schema seguito per il calcolo dell’HRR, unico parametro considerato in fase di validazione dei risultati delle simulazioni, anche perché presente come output del solver impiegato.
HRRspeciment(t) = HRRtot(t) − HRRburner (2.1)
L’HRRburner è fisso nel tempo ed impostato dalla normativa pari a (30.7 ± 2)kW , mentre l’HRR totale è calcolato dalla seguente correlazione empirica:
HRRtot(t) = E ˙V298(t)$aO2
OD
Dove E è il calore rilasciato per unità di volume dell’ossigeno consumato, pari a 17200 kJ/m3, OD è l’oxigen depletion factor che indica quanto ossigeno è stato consumato per produrre anidride carbonica, $a
O2 è la frazione molare di ossigeno comprendente l’umidità presente
e V298˙ (t) è la portata volumetrica del condotto di estinzione normalizzata a 298 K, tutte
grandezze calcolate tramite correlazioni empiriche, che non vengono riportate ma dipendo-no dalle concentrazioni di ossigedipendo-no, anidride carbonica, umidità, pressione e temperatura, quest’ultima misurata nel condotto di aspirazione. La collocazione delle termocoppie per la misura della temperatura dei fumi, poste dopo che i gas hanno percorso la cappa e metà del condotto di aspirazione, non permette di utilizzare il dato per dare un indice del valore raggiunto dal campione. Ciò le rende non inutilizzabili per questo lavoro perché la riprodu-zione del percorso dei fumi sarebbe computazionalmente dispendiosa e con semplificazioni di modellazione che non assicurerebbero una corretta rappresentazione del fenomeno.
La normativa prevede che per i cinque minuti iniziali di prova si testi la funzionalità della cappa e dell’ignizione del propano tramite un secondo bruciatore presente, quindi al trecentesimo secondo avviene la simulazione di reazione al fuoco sul campione, eseguendo uno switch tra bruciatore secondario e primario. Ciò è utile per l’interpretazione del grafico di Figura 2.4, che mostra l’andamento riscontrato dell’HRR durante un test.
2.2
L’apparato sperimentale
Si riporta una breve descrizione della camera di prova SBI e del suo elemento principa-le, il burner, in modo che risulti più comprensibile la scelta del dominio di calcolo delle simulazioni fluidodinamiche riportata nel paragrafo 4.2.
2.2.1 La camera
La camera, in Figura 2.1, è separata dal laboratorio per mezzo di tre pareti, con una sola porta d’accesso. Essa è costituita da un carrello sul quale giace un piano di forma rettangolare, rialzato poiché sotto di esso sono presenti delle prese d’aria necessarie per assicurare una continua immissione di ossigeno nell’intera camera. Su tale piano sorgono due pareti adiacenti isolate termicamente mentre gli altri due lati sono aperti. In prossimità dell’angolo individuato dalle due pareti, sempre sul piano, è presente il bruciatore, provvisto di fiamma pilota per l’accensione del combustibile. Le pareti sono in calcestruzzo cellulare rivestite con pannelli in gesso in modo da assumere una classificazione A1 di reazione al fuoco, quella dei materiali incombustibili, in tal modo si evita la propagazione dell’incendio all’intero laboratorio, assicurando l’incolumità degli operatori.
Sopra questa struttura è presente una cappa d’aspirazione, Figura 2.2 collegata ad un ventilatore che impone una portata pari a 0.6 m3/s secondo normativa. La cappa aspira sia l’aria che i gas combusti generati dalla combustione del gas propano uscente dal bruciatore e dall’eventuale attacco di fiamma sul campione esaminato. A metà del condotto che collega la cappa al ventilatore sono presenti tre termocoppie K-type di diametro 0.5 mm, posizionate equidistanti in un’unica sezione del condotto, per la misura della temperatura dei gas combusti.
Il carrello serve per traslare la struttura, il suo moto permette di portarla fuori dalla camera di combustione, nel laboratorio, in modo da collocare con maggiore semplicità l’oggetto studiato. Esso è posto adiacente alla parete perpendicolare al moto di traslazione del carrello.
Le prove sperimentali prevedono che l’oggetto riceva una quantità di calore costante nel tempo, fornita dalla combustione del propano uscente dal bruciatore. La portata di
propa-Figura 2.1: Vista della camera fuoco
Figura 2.2: Cappa d’aspirazione posta sopra la camera
no è (0.647 ± 0.010) mg/s, così da assicurare un flusso termico che simuli il comportamento d’un incendio di media intensità, come riportato in [35].
Durante la prova viene osservato l’inizio e la propagazione delle fiamme sul campione, annotandone sviluppo ed estensione. A prova conclusa si analizzano i dati raccolti dai sensori e dagli strumenti di misurazione presenti nella camera. Il report finale fornisce il calcolo di grandezze descritte nel paragrafo 2.1.
2.2.2 Il burner
La combustione del gas propano uscente dal bruciatore (Figura 2.3) simula l’incendio. La portata di propano è costante nel tempo in modo che venga fornita la stessa quantità di energia in ogni istante temporale. Modellizzare tale processo ha richiesto due ipotesi: il flusso è spazialmente uniforme e la combustione del gas è completa.
L’apparato sperimentale è strutturato per permettere tali semplificazioni, infatti il bru-ciatore può essere suddiviso in tre parti: sulla base sono presenti tre sbocchi che immettono il gas posti in prossimità degli spigoli mentre Le due parti rimanenti sono riempite di pietre di fiume non tagliate di diverse dimensioni. Nella zona inferiore di altezza 6 cm, si ha un diametro caratteristico pari a 4 ÷ 8 mm, cosa che permette una prima separazione di flusso ad ampio raggio. La zona superiore, di altezza pari a 8 cm, separata tramite una griglia, contiene ciottoli di diametro caratteristico inferiore e pari a 2 ÷ 4 mm, quindi in numero maggiore. Il flusso uscente dalla griglia non può essere considerato uniforme in quanto la portata di propano è suddivisa in differenti centri sparsi per tutta la superficie. Il ruolo svolto dal secondo strato è quello di rendere il flusso uniforme su tutta l’area terminale del bruciatore.
Figura 2.3: Il bruciatore primario
L’ignizione del gas avviene tramite fiamma pilota, posta sopra il bruciatore, a pochi centimetri di altezza. La combustione avviene in condizioni di eccesso d’aria, garantito dalla ridotta portata di gas, corrispondente a 0.647 mg/s, e dal continuo ricircolo d’aria, aspirata dal ventilatore e immessa grazie alle bocche presenti nella camera, sotto il piano su cui risiede il bruciatore.
Per questi motivi è stato possibile adottare le ipotesi di flusso uniforme e combustione completa, a vantaggio di una riduzione dei tempi di calcolo senza perdere, in maniera significativa, informazioni per la corretta riproduzione del test
2.3
Procedura del test SBI
La procedura della prova SBI è riportata in [12], sotto forma di manuale utente, per valutare secondo la [10] la reazione al fuoco dei materiali da costruzione.
Due bombole, una contenente azoto e l’altra anidride carbonica, vengono collegate all’apparto sperimentale, regolando le valvole presenti rispettivamente a quattro ed un bar. É anche presente una terzo set di bombole contenenti il combustibile, di queste almeno una deve essere collegata all’apparato per permettere l’afflusso di propano, nel caso si voglia ottenere un flusso più uniforme se ne possono collegare altre (fino a cinque). Tutti i tubi di collegamento bombola-apparato devono passare per il sistema di misurazione elettronico posto nel laboratorio, in modo da monitorare costantemente l’afflusso di gas.
Prima che parta la prova sperimentale bisogna bloccare le ruote del carrello, in modo da evitare un suo spostamento e quindi la propagazione delle fiamme nel laboratorio. Eseguito questo passaggio si accende tutto il sistema informatico e l’apparato di prova (ventilatore, compressore, sensori, ...) per poi procedere con la calibratura dei sistemi di misurazione presenti.
Per i primi cinque minuti di test si verifica il livello di combustione, tramite bruciatore secondario posto nello spigolo più esterno del banco prova. La fiamma pilota è accesa dall’operatore tramite accendino, in seguito si verifica il funzionamento del burner. Dopo i cinque minuti iniziali avviene lo switch tra bruciatore primario e secondario ed avviene il vero e proprio test sul campione (posto in prossimità di quest’ultimo burner). In caso di malfunzionamento o eccessiva propagazione delle fiamme è sempre possibile fermare l’afflusso di propano tramite il PC ed è comunque presente un estintore per i casi più gravi. A test concluso si procede con lo spegnimento dell’apparato, partendo dal compressore in cui si deve aprire la valvola di sfiato per svuotarlo completamente. A seguire si apre completamente la valvola di regolazione del propano presente nella camera, in modo da svuotare il tubo di collegamento bombola-burner, per poi far terminare l’afflusso del gas. Infine si spegne il ventilatore, l’apparato informatico e si chiudono le valvole delle bombole di azoto e anidride carbonica, mettendole in sicurezza tramite tappo.
2.4
Criticità del protocollo di prova
L’attività sperimentale svolta è stata focalizzata sulla messa a punto di indicazioni per l’elaborazione di alcuni protocolli di prova riguardanti la valutazione delle caratteristiche di comportamento all’incendio (in particolare di reazione al fuoco) dei moduli fotovoltaici, fornendo elementi utili per gestire, installare e controllare adeguatamente il rischio d’in-cendio in edifici con impianti fotovoltaici. Complessivamente il programma di ricerca ha permesso di rivolgere l’attenzione a problematiche quali: le possibili cause d’incendio, il comportamento dei moduli PV e l’attuale stato dei provvedimenti legislativi relativi al problema. In seguito allo studio iniziale sullo stato dell’arte sono stati svolti i test in modo da ottenere risultati validi per una vasta gamma di pannelli (Tabella 3.2), esposti alla fiamma dal lato del backsheet, eseguendo tre prove per ogni tipologia di pannello fornita dalla Brandoni S.P.A.
Le prove sono state svolte presso il laboratorio del Politecnico di Milano FireLab, provvisto di una camera di combustione realizzata secondo [10]. Al suo interno vengono condotti i test SBI secondo la procedura descritta nella normativa precedentemente citata al fine da rendere i risultati validi a livello europeo. Come descritto in [11], il programma di test svolti ha consentito di individuare alcune carenze dei medesimi nell’identificare le caratteristiche di interesse quali: inclinazione dei moduli, presenza di degrado iniziale in
alcune aree degli stessi, presenza di ventilazione, inneschi particolarmente aggressivi come può essere la fiamma iniziale, di maggiore potenza e dimensioni e/o di maggiore durata. In particolare, durante i test condotti, è stato constatato come abbiano un’influenza rilevante sul comportamento dei moduli l’inclinazione del campione, la potenza e le dimensioni dell’innesco.
È risultato evidente come il backsheet in Tedlar, abbia buone caratteristiche di reazione al fuoco, mentre l’EVA contenuto, e avente la funzione di mantenere assemblati il suddetto backsheet con le celle e il vetro temperato, risulta essere a tutti gli effetti un materiale rapidamente combustibile e che presenta sviluppo di idrocarburi in fase gassosa una volta degradato termicamente, ovvero esposto all’azione della fiamma a seguito della distruzione di parte del backsheet. In ogni prova condotta, dopo un tempo compreso tra 45 ÷ 90 s a partire dall’accensione del bruciatore primario, si è verificata la rapida rottura del vetro temperato (esplosione), non attaccato direttamente dalla fiamma in nessuno dei test.
Per quanto concerne l’inclinazione rispetto all’orizzontale, risulta evidente come una maggiore inclinazione del campione comporti danneggiamenti decisamente maggiori e più rapidi a parità di altre condizioni. Inoltre, è risultato evidente come la fiamma di at-tacco possa produrre effetti decisamente maggiori se applicata in modo più durevole e se caratterizzata da potenza termica e dimensioni incrementate. Per quanto riguarda i test SBI, il protocollo standard non ha messo in luce risultati particolarmente apprezzabili, in quanto ha condotto alla prevedibile distruzione dei moduli impiegati. L’utilizzo di tempi di esposizione minori ma con un solo campione e inclinazione diversa dalla verticale ha evidenziato un comportamento visibilmente diverso in base all’ampiezza della zona degra-data. Si ritiene che tali fattori, con l’ulteriore inserimento della ventilazione e di un degrado iniziale eseguito in modo più rappresentativo del reale, possano costituire variabili impor-tanti per la messa a punto di protocolli di prova maggiormente indicativi delle effettive caratteristiche di reazione al fuoco dei moduli PV.
Per i possibili sviluppi della ricerca, si prevede di completare la messa a punto di protocolli di prova che permettano di valutare in modo adeguatamente significativo le caratteristiche di reazione al fuoco dei moduli.
2.5
Analisi del risultato delle prove sperimentali
In base a quanto evidenziato dalle prove sperimentali, descritte in [11], di cui se ne può osservare l’evoluzione in Figura 2.6, si è posto l’obbiettivo di rappresentare la prova fino allo scoppio del pannello, dovuto la fatto che è sigillato sottovuoto e vengono prodotti gas al suo interno con coefficiente di dilatazione di ordini di grandezza superiore al vetro temperato. Si può infatti considerare l’incendio pienamente sviluppato sul modulo a partire da quell’istante temporale. Le immagini mettono in evidenza lo sviluppo della fiamma, sempre confinato nella zona sovrastante al bruciatore finché non viene coinvolto anche il pannello nel processo di combustione.
I fenomeni fisici che avvengono sul campione fino a quel momento sono: riscaldamento, ossidazione sullo strato superficiale e pirolisi in quello centrale, composto principalmente da etilene vinil acetato (si veda la struttura del pannello nel paragrafo 3.1). Il flusso di gas attraverso la matrice polimerica ed il gocciolamento del materiale fuso non verranno esaminati per semplificare la costruzione del modello.
La curva dell’HRR ottenuta da una prova sperimentale, in Figura 2.5, mostra una fase di ignizione della durata di cinque minuti, quindi si ha una fase di sviluppo estremamente ridotta nel tempo ma con un picco di 80 kW , ovvero l’HRR quadruplica in meno di un minuto e mezzo. Il flashover avviene quasi in contemporanea con il raggiungimento del
Figura 2.4: Andamento registrato dell’Heat Relase Rate durante una prova SBI condotta su un modulo PV [11]
picco, e la curva diminuisce con pendenza circa doppia rispetto a come era salita in fase di sviluppo. Si assesta per un breve periodo di tempo ad un valore pari a 20 kW per poi diminuire fino al suo annullamento in maniera graduale. Tale andamento non è quello tipico riscontrato in un incendio, descritto nel capitolo 1.1, si può infatti affermare che la fase di sviluppo è caratterizzata da un impulso di rilascio energetico, molto rapido ed intenso.
Figura 2.5: Andamento dell’Heat Release Rate nei primi 120 s di test effettivo
Si riporta in Figura 2.5 un ingrandimento del grafico di Figura 2.4, per i primi novanta secondi di prova, dove avviene l’assorbimento di calore da parte del pannello ed inizia ad aver luogo la pirolisi dell’EVA. In base a quanto detto nel capitolo 3.1 si nota la natura endotermica del fenomeno, dato che il valore del HRR è negativo, non viene tenuto conto infatti della potenza termica sviluppata dalla combustione del propano (equazione 2.1). Il minimo si ha dopo sessanta secondi circa, dopodiché l’aumento di potenza è dovuto all’energia rilasciata dalla combustione dei prodotti gassosi volatili, che supera in valore l’assorbimento energetico del pannello, fino a quel momento superiore.
non viene presa in considerazione la reazione di ossidazione superficiale, la prima che av-viene e che comporta la produzione di una considerevole quantità di CO (si tenga conto che è anche un prodotto di pirolisi). La reazione esaminata è quella di deacetilizzazione, che prevede la formazione di acido acetico, il quale, nelle simulazioni, non subisce la combu-stione. Questi due assunti implicano che non verrà mai fornita energia al pannello, esclusa quella derivante dalla combustione del propano, per questo la simulazione termina dopo poco più che un minuto. La mancata rappresentazione dell’apporto energetico fornito al pannello dalla combustione dei gas volatili comporterà infine un ritardo cinetico (bisogna fornire una energia di attivazione) e una sottostima della quantità di gas prodotto.
(a) Inizio della prova. (b) Sviluppo della fiamma sul bruciatore.
(c) Sviluppo della fiamma fi-no ad inizio canale convergente della cappa.
(d) I pannelli prendono fuoco. (e) Ciò che rimane a test concluso.
Figura 2.6: Immagini di una prova di reazione al fuoco condotta su due pannelli, quello frontale largo mezzo metro, sulla parete a destra invece è presente il pannello preso in considerazione in questo lavoro.
Capitolo 3
Reazione al fuoco dei pannelli solari
fotovoltaici
Come riportato in [13], nel mondo la potenza generata dal fotovoltaico è passata da 10 GW del 2007 a 183 GW del 2014 . L’Italia, nel 2014, si pone al quarto posto in graduatoria con 18.32 GW dopo Germania, Cina e Giappone. Il segmento di mercato più importante è tornato ad essere quello residenziale e dei piccoli impianti, infatti la frazione di quelli con con potenza nominale inferiore ai 200 kW corrisponde allo 84%. Nel 2012 sono stati registrati un totale di impianti di esercizio pari a 470000, conseguenza dell’accresciuta sensibilità di istituzioni e popolazione ai problemi ambientali e alla politica di incentivazioni economiche, attuata negli ultimi anni.
Figura 3.1: Andamento dell’energia lorda prodotta dalla tecnologia fotovoltaica e dai prodotti petroliferi in Italia
La crescita esponenziale di energia elettrica derivante dal fotovoltaico a partire dal 2007, passata dai 2 ÷ 6 GW h degli anni precedenti ai 21, 6 T W h del 2013, è indice della crescita di installazioni di pannelli, come si può osservare nella Tabella 3.1 e nel grafico di Figura 3.1 che evidenzia il confronto con l’energia prodotta dal petrolio, minore rispetto al PV a partire dal 2011. Si può anche notare come il fotovoltaico sia ormai una tecnologia affermata nel ventaglio di produzione energetica, infatti a partire dal V Conto Energia del
T ab e lla 3.1: Dati di T erna di pro duzione energetica lorda in Italia Pro duzione Lorda (GWh) 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 Solidi 43606,3 44207,4 44112,3 43074 39745,1 39734 44726 49141,3 45104,4 Gas naturale 149258,6 158078,8 172645,9 172697 147270,1 152736,9 144539,2 129058,1 108875,6 Pro d otti p etroliferi 35846,3 33830,3 22865,3 19195 15878,1 9908 8473,7 7022,7 5417,7 Altri 18207,2 19303,9 19187,1 18839,9 16113,4 19429,1 19935,4 19852,4 16499,1 T ot. termo elettrico A 246918,4 255420,4 258810,6 253805,9 219006,7 221808 217674,3 205074,5 175896,8 Idro elettrico (p ompaggi) B 6860,2 6430,7 5666,1 5603,6 4305,2 3289,9 1934,2 1979,1 1898,2 Idro elettrico 36066,7 36994,3 32815,2 41623 49137,5 51116,8 45822,7 41874,9 52773,4 Eolico 2343,4 2970,7 4034,4 4861 6542,9 9125,9 9856,4 13407,1 14897 F oto v oltaico 4 2,3 39 193 676,5 1 905,7 10795,7 18861,7 21588,6 Geotermico 5324,5 5527,4 5569,1 5520 5341,8 5375,9 5654,3 5591,7 5659,2 Biomassa e rifiuti 6154,8 6744,6 6953,6 7522,5 7631,2 9440,1 10832,4 12486,9 17090,1 T otale rinno v abili C 49893,4 52239,3 49411,3 59719,5 69329,9 76964,4 82961,5 92222,3 112008,3 T otale A+B+C 303672 314090,4 313888 319129 292641,8 302062,3 302570 299275,9 289803,3
2012 sono stati eliminati gli incentivi, stabilizzando il valore della produzione energetica lorda.
Sebbene in Italia siano presenti dei campi solari, ovvero distese di terreno, collinare o pianeggiante, ricoperto di pannelli solari, la loro installazione più tipica è sui tetti di abitazioni e palazzi. Per questo motivo risulta necessario catalogare la reazione al fuoco del PV, in quanto ormai affermato elemento strutturale, con caratteristiche non comuni ai materiali da costruzione normalmente utilizzati.
3.1
Generalità sul modulo PV
Per poter comprendere a quale elemento si rivolge questo studio si ricorda la distinzione tra pannelli fotovoltaici e pannelli solari termodinamici, visibili in Figura 3.2. I pannelli termodinamici non producono energia elettrica perché la loro finalità è il riscaldamento di un fluido, sempre tramite energia solare. Essi non verranno presi in considerazione perché costituiti da materiali differenti dai PV.
(a) Pannello fotovoltaico. (b) Pannello solare termodinamico.
Figura 3.2: Confronto delle due tipologie di pannello
Figura 3.3: Esempio di BIPV: sede generale della regione Lombardia a Milano; le finestre sul lato stretto sono pannelli solari fotovoltaici
Ultimamente si è diffuso un altro metodo di installazione di pannelli: il Building In-tegrated Photovoltaics (BIPV). Lo sviluppo di celle di seconda generazione (Thin Film
Technology ), più sottili con buone performance in applicazioni verticali con parziale om-breggiatura. Come riferito da [5], la nuova tecnologia ha permesso l’applicazione dei moduli in elementi strutturali di edifici quali finestre e vetri. Si possono osservare nella nuova sede della regione Lombardia a Milano, Figura 3.3. Anche questa tipologia di pannelli non ver-rà trattata, perché non è presente il componente critico, che si vedver-rà essere l’etilene vinil acetato.
Il termine modulo fotovoltaico indica l’unità di produzione energetica presente in un pannello. Se inizialmente un pannello raggruppava al suo interno più moduli fotovoltai-ci, oggi quelli di ultima generazione presentano un solo modulo, per questo motivo i due termini possono essere utilizzati come sinonimi. Il modulo è composto da tante celle foto-voltaiche, l’elemento base per la costruzione del pannello. In questo dispositivo elettrico avviene la conversione dell’energia solare incidente in energia elettrica per effetto fotovol-taico. Tutte le celle fotovoltaiche vengono cablate in superficie e collegate tra loro mediante una griglia di materiale conduttore in modo da canalizzare il flusso di elettroni. In base alla tecnologia utilizzata per la produzione, le celle possono essere così classificate:
• monocristalline, con processo produttivo che prevede una lenta estrazione del silicio posto in una vasca di quarzo;
• policristalline, se prodotte tramite fusione e solidificazione del silicio, i grani che si formano hanno tutti lo stesso orientamento.
I collegamenti in serie e parallelo delle celle devono garantire una minima funzionalità del pannello in caso di guasto di una o più di esse, altrimenti si potrebbero verificare accumuli energetici e conseguente surriscaldamento del PV.
Figura 3.4: Struttura di un pannello fotovoltaico
La struttura del pannello (Figura 3.4) è detta a sandwich perché si possono distingue-re più strati. La superficie posteriodistingue-re di supporto, chiamata Backsheet, è distingue-realizzata con materiale isolante che presenta una scarsa dilatazione termica: vetro temperato o nella maggior parte dei casi il tedlar, un polimero che resiste meglio all’invecchiamento. Come protezione anteriore si usa del vetro temperato, ad elevata trasmittanza in modo da non bloccare l’afflusso di energia solare, infatti passa il 91.5% dell’irradianza come riportato in [5]. Nello strato centrale sono presenti le celle immerse in Etilene Vinil Acetato (EVA) per evitare che vadano a contatto con molecole d’acqua presenti nell’aria che deteriorano