• Non ci sono risultati.

Gli inizi di una famiglia ebraica in Toscana: i da Terracina, tra documentazione ed interpretazione del prestito ebraico

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Gli inizi di una famiglia ebraica in Toscana: i da Terracina, tra documentazione ed interpretazione del prestito ebraico"

Copied!
219
0
0

Testo completo

(1)

U

NIVERSITÀ DI

P

ISA

D

IPARTIMENTO DI

C

IVILTÀ E

F

ORME DEL

S

APERE

C

ORSO DI

L

AUREA IN

S

TORIA E

C

IVILTÀ

Tesi di laurea specialistica

Gli inizi di una famiglia ebraica in Toscana:

i da Terracina, tra documentazione ed

interpretazione del prestito ebraico

Relatore

Candidato

Prof. Simone Maria Collavini

Piergiorgio Lenoci

(2)
(3)

3

INDICE

ABBREVIAZIONI ... INTRODUZIONE ... CAPITOLO I

LO SVILUPPO ECONOMICO A ROMA NEI SECOLI CENTRALI DEL

MEDIOEVO E LA NASCITA DELL’ARTE FENERATIZIA ... 1.1. Nascita di un ceto sociale: i mercanti-banchieri romani ... 1.2. I Mercatores e la curia pontificia ... 1.3. La rete internazionale dei mercanti-banchieri ...

CAPITOLO II

LA PRESENZA EBRAICA A ROMA NEL BASSO MEDIOEVO E

L’ARTE FENERATIZIA... 2.1. Gli ebrei a Roma dal XII al XV secolo ... 2.2. Gli ebrei romani e il prestito tra XIII e XIV secolo ... 2.3. Gli ebrei romani e il prestito tra il XIV e il XV secolo ... CAPITOLO III

LA PRESENZA EBRAICA NELL’ITALIA MERIDIONALE E IN SICILIA NEL BASSO MEDIOEVO E L’ARTE FENERATIZIA ... 3.1. Gli ebrei nell’Italia meridionale e in Sicilia durante il periodo

normanno-svevo ... 3.2. Gli ebrei nell’Italia meridionale durante il periodo angioino e aragonese ... 3.3. Gli ebrei in Sicilia durante il periodo aragonese sino all’espulsione (1492) ... CAPITOLO IV

LA PRESENZA EBRAICA AD AREZZO E SIENA NEL BASSO MEDIOEVO E L’ARTE FENERATIZIA ... 4.1. La presenza ebraica in Toscana prima della diffusione del prestito ... 4.2. La diffusione dei banchi feneratizi nel territorio aretino tra il XIV e il XV secolo ... 4.3. I banchi feneratizi ebraici nel territorio senese tra il XIV e il XV secolo ...

(4)

4

CAPITOLO V

GLI INIZI DEL PRESTITTO DEI DA TERRACINA IN TOSCANA ... 5.1. Da Terracina o da Lucignano? Breve profilo storico del borgo di Lucignano ... 5.2. I da Terracina a Pescia e a Poppi nella prima metà del XV secolo ... 5.3. I da Terracina prestatori a Monte San Savino, Castiglion Fiorentino, Prato, Pistoia e Firenze nella prima metà del XV secolo ... 5.4. I daTerracina tra Prato e Arezzo alla metà del XV secolo ... CONCLUSIONI ... GENEALOGIA DEI DA TERRACINA IN TOSCANA ... CARTINA ... CONCILIO LATERANENSE IV: Decreta riguardanti gli Ebrei ... DOCUMENTI ... BIBLIOGRAFIA ... FONTI ...

(5)

5

ABBREVIAZIONI

ASFi = ARCHIVIO DI STATO DI FIRENZE

NA= NOTARILE ANTECOSIMIANO

ASSi = ARCHVIO DI STATO DI SIENA

AVP = ARCHVIO STORICO DEL VICARITO DI POPPI (FORMALMENTE ARCHIVIO STORICO DEL COMUNE DI POPPI)

(6)

6

INTRODUZIONE

L’argomento originario della tesi qui presentata riguardava la ricerca prosopografica relativa alla famiglia ebraica dei da Terracina, ed in special modo la ricostruzione del suo insediamento iniziale in Toscana, nell’ultimo quarto del XIV secolo, come gestori di un banco di prestito a Lucignano in Val di Chiana, centro tuttora esistente del territorio aretino.

L’importanza dei da Terracina è dovuta al fatto che furono gli interessi economici che portarono tale famiglia ad investire nell’attività di prestito nei paesi del territorio aretino, in particolare nelle città di Monte San Savino e Poppi, per poi trasferirsi successivamente nella città di Prato, in territorio più propriamente fiorentino, dove assunsero il nome di da Prato.

Lo studio e la ricerca su questa famiglia mi furono suggeriti a suo tempo dal compianto professor Michele Luzzati, non soltanto per un mio personale interesse per la storia economica e per la storia ebraica, ma anche per poter completare uno degli ultimi tasselli mancanti alla ricostruzione genealogica, sociale ed economica delle famiglie ebraiche inserite nell’ambiente della Toscana tardomedievale per cercare di comprendere, in maniera più esaustiva, linee di ricerca già affrontate nei decenni precedenti.

Michele Luzzati sosteneva infatti che, poiché mancava agli ebrei dell’Italia centro-settentrionale nel tardo medioevo e nella prima età moderna un legame autenticamente stretto a una città e a un territorio, in grado di tutelarli sia individualmente sia come collettività sociale, e poiché tale legame era comunque precario e “a tempo”, cioè con una scadenza, seppur rinnovabile, gli ebrei reagivano alla mancanza di legami con un territorio rafforzando le strutture familiari e i legami anche economici che da esse derivavano1.

Da qui la ripresa del modello delle monografie familiari che, nell’ottica di Luzzati e non solo, permetteva e permette di utilizzare al meglio le informazioni acquisite.

1

M. Luzzati, Banche e insediamenti ebraici nell’Italia centro-settentrionale fra tardo

medioevo e inizi dell’età moderna, in C. Vivanti (a cura di), Storia d’Italia. Annali 11: Gli ebrei in Italia. Dall’Alto Medioevo all’età dei ghetti, Torino 1996, vol. I, pp. 173-235, p.

(7)

7

Tuttavia tale lavoro mi ha portato ad allargare la ricerca al campo di studi specifico, cioè all’insediamento dei banchi feneratizi gestiti da famiglie ebraiche nell’Italia centrale e settentrionale ed in Toscana in particolare.

Ciò che mi ha colpito e credo che colpisca chiunque affronti questa branca di studi è il minimo comun denominatore che accomuna tutte le famiglie ebraiche gerenti banchi feneratizi in questa epoca storica, oltre la fede religiosa, ossia l’origine: gli Ebrei feneratori sono Romani o comunque provengono da quell’area del territorio laziale che converge su Roma.

Questa affermazione di per sé non ha nulla di nuovo, in quanto già ben presente agli specialisti ed agli studiosi.

Tuttavia tale constatazione mi ha indotto a porre alcune domande che finora hanno trovato poco spazio nella pur folta letteratura sugli insediamenti ebraici nell’Italia centro-settentrionale dalla fine del Duecento alla metà del Quattrocento:

1. Perché gli Ebrei feneratori provengono quasi esclusivamente dall’area romano-laziale?

2. Da dove hanno tratto il capitale iniziale per potersi dedicare quasi esclusivamente all’attività finanziaria?

3. Qual è stato il ruolo della Chiesa di Roma?

4. Perché hanno scelto di investire nell’Italia centrale per poi espandersi nell’Italia settentrionale tralasciando il Meridione, almeno fino alla metà del XV secolo?

5. Perché gli Ebrei delle importanti e numerose comunità dell’Italia Meridionale e della Sicilia non hanno intrapreso le attività economico-finanziaria al di fuori dei loro rispettivi Stati?

Per cercare di rispondere a tali quesiti è necessario, a mio parere, fare due passi indietro nell’impostare la ricerca: in primo luogo è necessario capire, per quanto sia possibile, dove e quando gli Ebrei di Roma abbiano iniziato a praticare l’arte del prestito ed in quali forme e se essa si sia eventualmente evoluta.

(8)

8

Per questo mi sono stati preziosi, a livello di conoscenza di fonti, i lavori di Marco Vendittelli2 inerenti la storia dello sviluppo del ceto mercantile a Roma, che sin dai suoi albori si è dedicato in forme diverse all’arte feneratizia, producendo ben presto banchieri con forti legami con la Curia pontificia.

In secondo luogo è necessario analizzare sistematicamente la complessa condizione socio-economica e giuridica degli Ebrei meridionali e siciliani a partire dalla metà del XIII secolo sino alla fine del XV secolo, utilizzando i contributi di David Abulafia, Giacomo Todeschini, Simon Simonsohn, Anna Foa e Attilio Milano, oltre che il classico lavoro di Nicola Ferorelli: Gli Ebrei

nell’Italia Meridionale3

.

Trovare dei nessi tra le due diverse situazioni potrebbe permettere una migliore comprensione del fenomeno.

Nel continuare la ricerca, ho affrontato brevemente la storia di Arezzo e del suo territorio tra il XIV e il XV secolo, focalizzando l’attenzione su Lucignano, per meglio comprendere il tessuto socio-economico e politico entro il quale la famiglia dei da Terracina si era insediata.

In ultimo, ma non meno importante, ho cercato di ricostruire gli inizi della famiglia dei da Terracina nel territorio aretino, prima tappa del suo insediamento in Toscana, basando la ricerca sulle fonti di archivio disponibili presso il Fondo Notarile Antecosimiano dell’Archivio di Stato di Firenze.

In particolare un testo che inizialmente si è rivelato molto importante è stato l’articolo di Maristella Botticini dal titolo: New evidence on Jews in

Tuscany, ca. 1310-1435: the “friends & family” connection again, pubblicato nel

1997 su “Zakhor, rivista di storia degli ebrei d’Italia4”.

L’articolo, che mi fu segnalato a suo tempo dal professor Luzzati, è stato fondamentale per arrivare alle fonti archivistiche, in quanto l’autrice, in conclusione del proprio lavoro registrava la presenza di stanziamenti ebraici in alcune aree della Toscana, tra cui quelle del territorio aretino.

2

M. Venditelli, Mercanti-banchieri romani tra XII e XII, una storia negata, Roma, 2018; M. Vendittelli, Mercanti romani del primo Duecento “in Urbe potentes”, Roma, 2016. 3

N. Ferorelli, Gli Ebrei nell’Italia meridionale dall’età romana al secolo XVIII, Bologna, 1975, ristampa anastatica dell’edizione di Torino del 1915, a cura de Il Vessillo

israelitico.

4

M. Botticini, New evidence on Jews in Tuscany, ca. 1310-1435: “the friends and the

(9)

9

Questa ricerca porta alla luce atti notarili inediti che documentano la presenza ebraica in periodi nei quali in questi centri non era ancora accertata e in particolar modo Cortona, ove la presenza ebraica dopo le ricerche della Botticini, è retrodatata al 1310.

Inoltre, la lettura degli atti notarili descrive alcune caratteristiche della locale attività feneratizia, quali le dimensioni dei prestiti, il tempo medio di restituzione e la clientela dei banchi; materiali messi poi a confronto con quelli ottenuti dallo spoglio del catasto fiorentino del 1427.

Oltre a informazioni di carattere onomastico, nell’articolo erano inclusi i nomi dei notai presi in esame, con le relative segnature archivistiche, ed è proprio da lì che è iniziata la mia ricerca.

Per quanto riguarda la parte più propriamente bibliografica sono partito dal fondamentale saggio di Roberto G. Salvadori e Giorgio Sacchetti dal titolo:

Presenze ebraiche nel territorio aretino dal XIV al XX secolo che si caratterizza,

oltre che per un’analisi della storia ebraica nel territorio aretino, anche per una sintesi accurata della bibliografia alle quali ho attinto per il prosieguo della ricerca5.

In particolare una sezione del saggio citato, riguardante i banchi di pegno ebraici nell’aretino tra il XIV e il XV secolo, è stata molto utile non soltanto per capire la problematica dell’insediamento feneratizio ebraico in un territorio specifico come quello aretino, ma anche per arrivare all’opera di autori quali Anthony Molho, Leon Poliakov, Giacomo Todeschini, Maria Grazia Muzzarelli, Ariel Toaff, Vittore Colorni oltre che di Michele Luzzati.

Non mi sono quindi fermato al classico ed insuperabile lavoro di Umberto Cassuto Gli Ebrei a Firenze nell’età del Rinascimento del 19186 e neppure all’altrettanto classico lavoro di Marino Ciardini I banchieri ebrei in Firenze nel

secolo XV e il monte di pietà fondato da Girolamo Savonarola del 19077, opere alle quali siamo tutti debitori e che sovente sono fonti inesauribili di informazioni,

5

R.G. Salvadori, G. Sacchetti, Presenze ebraiche nell’aretino dal XIV al XX secolo, Firenze, 1990.

6

U. Cassuto, Gli ebrei a Firenze nell’età del Rinascimento, Firenze, 1918. 7

M. Ciardini, I banchieri ebrei in Firenze nel secolo XV e il Monte di Pietà fondato da

Girolamo Savonarola. Appunti di storia economica con appendice di documenti, Borgo

(10)

10

tuttavia poco utili per cercare di ricostruire gli inizi in Toscana della famiglia dei

da Terracina.

Tra le fonti storiche che mi sono state utili per la realizzazione del mio lavoro la più importante, in quanto ha fornito una base solida alla mia tesi di fondo, è un documento segnalatomi dal mio relatore, il professor Simone M. Collavini, conservato presso l’Archivio di Stato di Firenze, Diplomatico, Volterra,

Comune, 1226 gennaio 20 (n. 10289); reg. Reg. Volat., n. 4218.

Il documento, che altro non è che una quietanza, parla di un prestito erogato all’abate del monastero di San Pietro di Monteverdi da parte di due figure che probabilmente fungevano da prestanome di quello che potrebbe essere il reale prestatore e cioè il cardinale de Crescenzio.

Quello che è rilevante, a mio parere, è che una delle due figure indicate è un certo Nathan iudeus, non altrimenti specificato, il quale risulta essere il primo “iudeus” che presta denaro al di fuori della città di Roma o per lo meno il cui nome era spendibile al di fuori del contesto cittadino romano, in quanto il documento è rogato a Rieti.

La mia tesi, al di là del lavoro di monografia familiare, ha un’ipotesi di fondo che parte dal ricercare una spiegazione dell’emigrazione di ebrei feneratori romani verso i centri dell’Italia centrale prima e settentrionale poi, ipotesi che consiste nel ritenere che il capitale iniziale per esercitare l’arte feneratizia non derivi solo ed esclusivamente dal capitale commerciale (mercante = banchiere), ma che nel caso specifico degli Ebrei romani possa derivare direttamente dalla Chiesa romana, cioè da prelati o altre figure comunque legate alla Chiesa o alla Curia Pontificia, i quali si possono essere serviti degli Ebrei romani come prestanome per esercitare l’arte feneratizia ad essi proibita da leggi canoniche.

Successivamente le famiglie di Ebrei feneratori sarebbero state utilizzate anche per la penetrazione economica e per certi versi politica nei centri dell’Umbria e delle Marche alla fine del XIII secolo, sostituendo gradualmente le grandi banche toscane cristiane.

8

Il documento è citato anche in M. Venditelli, Mercanti-Banchieri romani tra XII e XIII

(11)

11

La mia è solo un’ipotesi, in parte suffragata dalla lettura che può essere fatta del documento sopra citato e dalla documentazione rintracciabile in letteratura; ipotesi che tuttavia cerca di rispondere ad alcune di quelle domande che finora non hanno avuto una risposta esaustiva nella pur vasta letteratura relativa alla presenza ebraica nell’Italia centro-settentrionale nel tardo medioevo e nelle monografie familiari di ebrei feneratori.

(12)

12

CAPITOLO I

LO SVILUPPO ECONOMICO A ROMA NEI SECOLI

CENTRALI DEL MEDIOEVO E LA NASCITA DELL’ARTE

FENERATIZIA

1.1. Nascita di un ceto sociale: i mercanti-banchieri romani

Per la storia economica e sociale dell’Occidente medievale, per la storia delle classi sociali e per la storia dei suoi mutamenti e delle sue diversità, i secoli XII e XIII rappresentano un’importante tappa evolutiva.

Nel corso di tale segmento temporale sia per la città di Roma che per il territorio laziale, vengono poste le basi per la nascita della potenza di quelle che successivamente sono conosciute come le grandi famiglie baronali romane, come gli Orsini, i Colonna, gli Annibaldi, i Normanni ed altre, mentre il potere economico e politico di quelle famiglie romane che erano state ai vertici della società nei secoli precedenti (come i Frangipane o i Pierleoni) viene gradualmente e inesorabilmente ridimensionato9.

In questo contesto, nel quale compaiono grandi famiglie di mercatores che avranno un ruolo significativo ma tuttavia non stabilmente duraturo, si inseriscono le famiglie ebraiche romane o per meglio dire singoli ebrei, che non sono ancora caratterizzati dalle fonti come appartenenti a famiglie, ma definiti semplicemente come judei.

Ma credo che sia necessario fare un passo indietro per meglio ricostruire alcuni sviluppi.

A partire dagli ultimi secoli dell’alto medioevo Roma era la città più ricca e popolosa dell’Occidente cristiano-latino e insieme a Costantinopoli e Cordova, una delle più ricche e popolose d’Europa.

9

Per una visione generale su Roma nei secoli centrali del Medioevo cfr. J.C. Maire Vigueur, L’altra Roma. Una storia dei romani all’epoca dei comuni (secoli XII-XIV), Torino, 2010.

(13)

13

Questa importanza tuttavia non era dovuta soltanto al lascito del passato imperiale, ma soprattutto al fatto che la Città Eterna era il centro spirituale e politico della Cristianità Cattolica.

L’arrivo dei pellegrini dalle diverse parti d’Europa, un flusso che si fletterà a partire dalla fine dell’XI secolo, ma che comunque rimarrà di grande importanza per l’economia della città per tutto il Medioevo, portava un gettito costante di denaro liquido nelle casse papali e in quelle dei maggiori istituti religiosi cittadini, una grandissima quantità di numerario delle più varie specie monetali.

L’altra grande fonte di ricchezza per l’economia di Roma era l’enorme flusso di denaro derivante dalla multiforme fiscalità papale, sempre più pervasiva e capillare nei confronti di tutta l’Europa Cattolica, fiscalità legata e determinata dagli uffici dell’apparato burocratico pontificio anche sotto forma di

tassa-donativo, come la più antica di tutte cioè l’obolo o denaro di San Pietro10.

In quanto centro della Cristianità latina, Sede Apostolica e capitale di uno stato territoriale, oltre ai pellegrini Roma attirava anche le autorità laiche ed ecclesiastiche o i loro procuratori, provenienti da tutta Europa e non solo.

Costoro arrivavano nella città Eterna per avere conferma delle cariche religiose conseguite, per risolvere dispute e controversie di natura ecclesiastica o civile, per rafforzare rapporti politici e religiosi e per ottenere favori o concessioni.

A causa della scarsa disponibilità di denaro liquido e anche per evitare di portare con sé tali somme durante il viaggio, gli ecclesiastici arrivavano a Roma sforniti del denaro necessario per soggiornare e per oliare la famelica burocrazia della Curia romana, ben sapendo tuttavia che a Roma avrebbero potuto ottenere in prestito il denaro necessario, purché potessero offrire ai creditori le garanzie necessarie.

Tale congiuntura economica derivante dall’enorme afflusso di denaro liquido, ha portato alla comparsa nel giro di pochi decenni di singoli uomini e poi di famiglie che, partendo da basi sociali irrilevanti e subalterne fecero fortuna e conobbero una sensazionale ascesa sociale, riuscendo a costruire la propria prosperità su forme di potere, come quello mercantile e finanziario, assai

10

(14)

14

differenti rispetto a quelle su cui poggiava la fortuna delle antiche famiglie romane, cioè il potere derivante dalla giurisdizione territoriale e dalle rendite fondiarie.

Tra coloro che inizialmente cavalcarono l’onda dello sviluppo economico di Roma vi furono gli operatori economici dediti al cambio monetario (attività necessaria e fondamentale poiché a Roma affluivano le più diverse specie di monete di differente conio), chiamati campsores o cambiatores oppure

nummularii od ancora negotiatores.

Costoro erano numerosi ed esercitavano l’arte del cambio in alcune zone della citta eterna come la Contrada Cambiatorum, non lontana dal Colosseo, ricordata in un documento del 118011 e il Trivium Cambiatoris, anch’esso non lontano dal Colosseo e ricordato in un documento del 105212.

Vi era persino una chiesa Santa Maria in Cambiatoribus, che ricordava nel suo titolo l’attività di questa categoria sociale13

.

Oltre che cambiare le monete, i campsores o cambiatores svolgevano probabilmente anche la funzione di tesaurizzatori di metallo prezioso, infatti è stata avanzata l’ipotesi che le monete giunte a Roma tramite le diverse strade sopra citate, venissero fuse in lingotti dagli stessi cambiatores e che l’argento circolasse poi a Roma sia sotto forma di lingotti pesati che in pezzi coniati (monete)14.

L’importanza dei campsores è, a mio parere, assai rilevante per spiegare l’accumulazione originaria di capitale liquido monetale e di metalli preziosi e il suo successivo reimpiego in differenti attività economiche e non deve essere sottovalutata, anzi il tesaurizzatore di professione acquista importanza solo quando si trasforma in feneratore15.

11

A. Fedele, Tabularium S. Maria e Novae ab an. 982 ad an. 1200, in «Archivio della Società romana di storia patria» , 23, 1900, n. 114.

12

Vendittelli, Mercanti-banchieri, p. 27. 13

Venditelli, Mercanti-banchieri, p. 27, n. 6. 14

C. Wickham, Roma Medievale, crisi e stabilità di una città medievale, (950-1150), Roma, 2013, pp. 213-215.

15

Letteralmente in usuraio, cfr. K. Marx, Das Kapital. Kritik der politischen Oekonomie.

Dritter Band, erster Theil. Buch III; ed. italiana, K. Marx, Il Capitale. Critica dell’economia politica (1894), Libro III, Roma, 1993, p. 691.

(15)

15

Come già accaduto in alcune città toscane come Lucca e Pistoia16 (per citare solo alcuni dei casi più noti e studiati) ed anche in alcune città padane, anche a Roma la disponibilità di denaro liquido rendeva vivace il commercio di denaro e in particolare il mercato del credito.

Infatti i cambiatores oltre che alle attività di cambio si dedicavano all’attività creditizia (ciò è documentato sin dal secolo XI), con concessioni di crediti su pegno, anche per somme contenute, effettuate sia a privati cittadini che soprattutto a istituzioni religiose che a partire da quell’epoca iniziavano ad avere sempre più spesso problemi di liquidità17.

Se l’aumento progressivo delle attività legate al mercato del credito, come abbiamo già accennato, non è stato esclusivo della città di Roma, ma anzi è comune a molte città del Centro e del Nord Italia, tuttavia a Roma la maggiore disponibilità di denaro liquido permise a un numero crescente di romani di fare un salto di qualità e di trasformarsi da cambiatores-campsores in mercatores cioè in professionisti del commercio e dell’arte feneratizia.

Infatti il grande vantaggio che i mercatores romani ebbero rispetto ad altri professionisti del credito di altre compagini cittadine fu quello di essere cittadini romani, cioè di vivere e operare nella città Eterna, sede del papato, una città che a partire dalla seconda metà dell’XI secolo, in concomitanza con la Riforma gregoriana della Chiesa, fu caratterizzata da un forte dinamismo economico legato a un grande ciclo espansivo.

16

Per una visione più approfondita sulla storia economica delle due città toscane rinvio a I. Del Punta, Mercanti e Banchieri Lucchesi del Duecento, Pisa, 2004; B. Dini, I successi

dei mercanti-banchieri, in Storia di Pistoia, II, L’età del libero comune. Dall’inizio del XII alla metà del XIV secolo, a cura di G. Cherubini, Firenze, 1998. Per quanto concerne

altre città toscane rinvio a C. Violante, Alle origini del debito pubblico nel secolo XII:

l’esempio di Pisa, in Studi per Enrico Fiumi, Pisa, 1979, pp. 149-177; E. Faini, Firenze nell’età romantica (1000-1211). L’espansione urbana, lo sviluppo istituzionale, il rapporto col territorio, Firenze, 2010, pp. 111-115. Per una visione più generale vedi M.

Ginatempo, Il finanziamento del deficit pubblico nelle città dell’Italia

centro-settentrionale (XIII- XV secolo), in Debito pubblico e mercati finanziari in Italia: secoli XIII-XX, a cura di G. De Luca e A. Moioli, Milano, 2007, pp. 39-82.

17

Come dice Maire Vigueur, tra il cambio di monete (che garantiva notevoli benefici a fronte di rischi poco gravosi) e il prestito a interesse il passo è breve, soprattutto per i romani che erano spinti a farlo in quanto la loro clientela erano composta non solo da pellegrini, ma anche da un elevato numero di prelati e di grandi personaggi disposti a sborsare somme consistenti per concludere gli affari per cui si erano recati a Roma, Maire Vigueur, L’altra Roma, p. 172.

(16)

16

Tale dinamismo economico e commerciale, al quale il mercato del credito è collegato, è illustrato da una ben nota lettera di papa Gregorio VII (1073-1085), con la quale il pontefice raccomandava all’emiro magrebino al-Nasir ibn al-Nas

ibn Hammad (1062-1088), quinto sovrano della dinastia berbera degli

Hammadidi, due mercanti romani che commerciavano con la città portuale di Bugia (l’odierna città algerina di Béjia), allora capitale del regno hammadide, città nella quale i mercanti romani posero una base commerciale18.

Nel corso del XII secolo i traffici commerciali e marittimi dei mercatores romani si espansero ulteriormente non solo verso le città marittime limitrofe, come Gaeta, ma anche e soprattutto verso le città di Pisa e Genova, come è dimostrato dai trattati commerciali che i Consules mercatorum et marinariorum

Urbis, cioè i dirigenti del ceto mercantile romano, stipularono con le due città nel

1151, 1165-1166 e 117419.

Si tratta di testimonianze che rendono evidenti non solo l’importanza commerciale assunta in quegli anni da Roma, ma anche l’esistenza già a metà del secolo XII, di associazioni di categoria dalle quali erano organizzati o alle quali erano comunque legati i mercatores romani.

Esse mostrarono che essendo costoro la pars sociale più dinamica economicamente e in forte ascesa, avevano, sotto il proprio controllo le strutture della politica comunale romana, indirizzandone gli orientamenti politici secondo i propri interessi economici e commerciali.

Proprio alla loro politica economica e ai loro orientamenti politici è legata anche la scelta del Comune romano di coniare una propria moneta, il cosiddetto

denarius Senatus o provisinus Senatus (denaro provisino senatoriale), moneta

argentea la cui prima emissione dovrebbe risalire agli anni dei pontificati di Lucio III (1181-1185), Urbano III (1185-1187), Gregorio VIII (1187) e Clemente III (1187-1191)20.

La scelta del Comune romano di battere una propria moneta fu un’operazione di grande complessità sia del punto di vista politico che da quello economico, soprattutto perché questa moneta argentea, il denaro provisino

18

Wickham, Roma medievale, pp. 203 e 284-285; Vendittelli, Mercanti-banchieri, p. 30. 19

Vendittelli, Mercanti-banchieri, p. 32. 20

(17)

17

senatoriale, riprendeva il nome, il modello i caratteri iconografici e soprattutto il peso del denier de Provins, moneta coniata nella città francese di Provins, nella regione della Champagne, famosa per le sue fiere frequentate dai mercanti italiani. Ritornando al mercato del credito, è necessario ricordare sinteticamente, che l’arte feneratizia si è sviluppata a Roma in modo multiforme, percorrendo a volte strade diverse ma parallele, ed in particolare due sono le categorie di feneratori che possiamo riconoscere:

1. la prima è quella dei mercatores, cui si accennava prima, cioè i grandi mercanti-banchieri, per certi versi speculatori economici, i quali operavano anche in ambito internazionale e che erano nei fatti dei veri e propri professionisti del commercio di denaro21.

2. L’altra categoria è quella dei prestatori occasionali, cioè coloro che concedevano prestiti perché possedevano ampie quantità di denaro liquido, con finalità diverse dal mero guadagno, oppure di coloro che disponevano a vario titolo di un piccolo capitale (eredità, piccole attività commerciali o altre attività più o meno lecite), che volevano far fruttare.

A quest’ultima categoria appartenevano coloro che prestavano su pegno, somme di denaro non consistenti come quelle prestate dai mercatores, ma che potevano soddisfare le esigenze di credito delle classi medio-basse della popolazione urbana e anche quelle degli istituti religiosi sia cittadini che, a mio parere, anche di quelli fuori dall’Urbe, costantemente indebitati22

.

2.1. I Mercatores e la curia pontificia

Come abbiamo appena visto, a Roma, dalla fine del secolo XI e in maniera ancora più consistente nei due secoli successivi, vi è stata una forte richiesta di credito da parte di soggetti diversi, ma è necessario anche aggiungere che il soggetto che per primo fece ricorso ai prestiti dei mercatores romani è stata la Chiesa cattolica nella persona del pontefice, ed è proprio per i papi che i

21

Vendittelli, Mercanti-banchieri, p. 34. 22

Per quanto concerne la documentazione relativa a prestatori occasionali a Roma, cfr. Vendittelli, Mercanti-banchieri, pp. 34- 42.

(18)

18 mercatores divennero dei veri e propri banchieri in grado di essere per circa due

secoli, un punto di riferimento sicuro per affrontare le più disparate necessità economiche, anche quando a metà del XIII secolo, la fortuna economica e politica dei mercanti-banchieri iniziò lentamente ma inesorabilmente a declinare.

Già ai tempi di Gregorio VII, alcuni ricchi e influenti cittadini romani decisero di sostenere la politica del pontefice contro l’imperatore Enrico IV (1056-1106) per motivi di mera opportunità politica, erogando al pontefice forti somme di denaro, tanto che tra le varie accuse lanciate dall’imperatore contro il papa, come emerse dagli atti del concilio di Bressanone del 108023 (voluto da Enrico IV), vi fu anche quella di aver lasciato che numerosi

mercatores-cambiatores romani potessero esercitare le operazioni di credito nel portico della

basilica di San Pietro «mensas nummulariorum in porticu transigentium turpis lucri gratia publice observare», a causa della sete di guadagno dello stesso pontefice24.

Tuttavia è soprattutto con i pontificati di Adriano IV (1154-1159) e Alessandro III (1159-1181) che i mercatores assunsero de facto in diverse occasioni il ruolo di veri e propri banchieri del papa: vi sono numerose e continue attestazioni (spesso quietanze) di prestiti effettuati da mercatores romani ai papi, come ad esempio il mutuo di 30 marche d’argento che a Narni fu concesso il 29 agosto 1158, a papa Adriano IV pro necessitatibus Ecclesie da parte di una società di mercanti composta da Pietro Urbis prefectus e i suoi fratelli Giovanni e Ottaviano, Pietro de Attegia, Pietro Iohannis, Giovanni Obitionis e Giovanni

Capperonis o Capparonis, tutti mercatores romani che ebbero come garanzia la

concessione dei diritti della Sede apostolica sul castrum de Casamala, nel territorio della città di Nepi.

Sotto il pontificato di Alessandro III un’altra societas mercatorum, composta da Ottone di Benedetto de Bona, Bovo di Pietro, Andrea Baldovino e Malabranca, concesse in prestito al pontefice una somma assai consistente di 630 libbre di provisini, ottenendo come garanzia nientemeno che la riscossione delle

23

Constitutiones et acta publica imperatorume et regum, I, Inde ab a. CMXI usque ad a.

MCXCVII, MGH, Legum sectio IV, a cura di L. Weiland, Hannover, 1893.

24

«È possibile vedere i banchi dei prestatori che pubblicamente hanno il loro turpe guadagno sotto il portico (di San Pietro) davanti ai passanti», cfr. Venditelli,

(19)

19

elemosine dell’altare della confessione della basilica di San Pietro, che quindi assicurava ai prestatori solide entrate di denaro liquido di diverso conio25.

Vi è un ulteriore documento che mi preme segnalare, un instrumentum notarile (una quietanza), rilasciata a Ferentino il 16 giugno 1175 da Romano de

Iohanne, per la somma di 189 marche corrisposte a Riccardo, nunzio

dell’arcivescovo di Canterbury26

.

L’importanza di questo documento, a mio parere, consiste nel fatto che viene specificata l’intera somma prestata insieme agli interessi e che delle 189 marche, 172 erano il capitale concesso in prestito, inter sortem et usuram, e le restanti 17 rappresentavano gli interessi, pari dunque al 10 per cento del capitale prestato27.

Dunque era perfettamente lecito che persino il pontefice fosse indebitato espressamente per usuram28, nonostante le continue proibizioni promosse dalla Chiesa e stabilite già dal Decretum Gratiani, (testo della metà del XII che sta alla base del diritto canonico), e confermate dalle costituzioni del II Concilio lateranense (1139) e del III Concilio lateranense (1179)29, anzi quest’ultimo Concilio condannò con forza la pratica del prestito con usura tanto che nelle città gli usurai dovevano essere considerati degli estranei ai quali doveva essere negata una sepoltura cristiana30.

Ma è proprio quando il prestito esplode che la proibizione canonica rivela la propria inefficacia sociale.

Con i successivi pontefici la politica nei confronti dei mercanti-banchieri non mutò, neppure con Innocenzo III (1198-1216).

Nel IV Concilio lateranense, la costituzione 67 proibiva le usurae ai cristiani, ma le permetteva agli ebrei, anzi proprio con Innocenzo III nacque

25 Vendittelli, Mercanti-banchieri, pp. 43-45. 26 Vendittelli, Mecanti-banchieri, p. 45. 27

Per evitare l’accusa di essere usurai manifesti, si poteva ricorrere, a mio parere, a questo tipo di fictio giuridica che è la ricognizione di debito, scritta dal debitore, il quale riconosceva al creditore di avere una certa somma come debito.

28

Vendittelli, Mercanti-banchieri, p. 45. 29

G. Todeschini, Gli Ebrei nell’Italia medievale, Roma, 2018, p. 91. 30

J. Le Goff, Le Moyen Age et l’argent. Essai d’anthropologie historique, Parigi, 2010, ed. italiana, Lo sterco del diavolo, il denaro nel Medioevo, Bari, 2010, p. 80.

(20)

20

probabilmente quella figura detta campsor domini pape31, un funzionario incaricato di gestire a livello curiale l’apparato finanziario della Chiesa cattolica e probabilmente anche la Camera Apostolica.

Tale funzionario risulterà ancora responsabile dell’apparato finanziario al tempo di Onorio III (1216-1227) e Gregorio IX (1227-1241).

In quegli anni i rapporti tra la Curia pontificia e i mercatores non solo romani, ma anche toscani (in particolar modo senesi) e padani si intensificarono e in particolare si crearono quei rapporti finanziari con la Camera Apostolica, organo deputato alla gestione delle finanze papali, che porterà molti mercatores e

societates mercatorum ad assumere oltre al ruolo di prestatori anche quello di

esattore per conto del papa, soprattutto per quel che concerne la riscossione, il cambio manuale e il trasporto del denaro non direttamente raccolto a Roma.

Il rapporto simbiotico che si venne instaurando tra la Chiesa di Roma e i

mercatores fu dovuto in parte alle difficoltà che la stessa Chiesa aveva nella

riscossione dei tributi da parte di enti ecclesiastici ad essa direttamente soggetta, enti che spesso non erano in grado di far fronte alle richieste finanziarie della Sede apostolica, verso la quale erano cattivi debitori.

Per evitare di ricorrere a sanzioni canoniche, la curia romana incoraggiava i mercatores a concedere prestiti agli enti ecclesiastici indebitati di modo che questi potessero pagare i tributi richiesti dalla curia32.

A mio parere questo avveniva senza evitare che la stessa curia romana dovesse ricorrere ad anticipazioni concesse dagli stessi mercatores.

A ciò si aggiunge che i mercanti-banchieri non solo potevano essere investiti del ruolo di esattori del pontefice, ma in molte occasioni riuscivano a ottenere dal pontefice protezione per la gestione delle attività finanziarie soprattutto nei momenti di difficoltà che potevano incontrare con le autorità esterne, per cui credo che le opportunità offerte dal papato abbiano contribuito ad alimentare il giro di affari dei mercanti-banchieri su scala internazionale in maniera esponenziale già nel XII e ancora per tutto il XIII secolo.

31

Vendittelli, Mercanti-banchieri, pp. 59-60. Questa figura compare per la prima volta in una lettera dello stesso pontefice Innocenzo III datata 27 settembre 1199, nella quale si fa anche il nome di battesimo del campsor stesso, Marco.

32

(21)

21

La nomina o l’accettazione di una carica ecclesiastica da parte di un dignitario ecclesiastico era una buona occasione per i mercanti romani per stipulare nuovi contratti di mutuo, in quanto era a Roma che il prelato si doveva recare e per prassi lì doveva effettuare una donazione alla curia romana per avere confermata la propria nomina: è per esempio il caso del vescovo di Worcester, Walter de Gray, che in occasione della sua elevazione ad arcivescovo di York, una volta recatosi a Roma si indebitò per una elevata somma pari a 10.000 libbre di sterline, a causa del donativo fatto alla Curia romana per la sua elevazione ad arcivescovo33; la somma, a mio parere, gli può essere stata anticipata dai mercanti-banchieri romani.

Del resto questa prassi non era un mistero e non era sottaciuta neppure dal pontefice, dato che persino l’energico Innocenzo III in una lettera datata 28 febbraio 120134, dice di esser a conoscenza dei crediti concessi dai mercatores romani ai dignitari ecclesiastici che si recavano a Roma, crediti derivanti dalla necessità di far fronte già alla menzionata prassi del donativo alla Curia romana e alle spese di soggiorno e rappresentanza.

La prassi del donativo è stata probabilmente tra le concause che hanno premesso agli antichi campsores divenuti mercanti di denaro di aumentare considerevolmente i propri profitti e di specializzarsi nel credito.

Per comprendere meglio i legami tra papato e mercatores vorrei segnalare, tra i molti, due documenti: il primo è un inventario redatto nel 1246, conservato nell’Archivio del capitolo di San Giovanni in Laterano che contiene un elenco dei banchi feneratizi gestiti dai mercanti-banchieri romani35.

L’elenco contiene i nomi di oltre 60 affittuari di banchi (mense) siti presso la basilica di San Giovanni in Laterano e quindi vicinissimi al palazzo papale, una

33

«Itaque, accepto pallio, episcopus memoratus rediit in Angliam, obligatus in curia romana de decem milibus libris legalium sterlingorum» Rogeri de Wendover, Liber qui

dicitur flores historiarum, ab anno Domini MCLIV annoque Henrici Anglorum regis secundi primo. The Flowers of History by Roger de Wendover: from the year of our Lord 1154, and the first year of Henry the Second, King of the English, a cura di H.G. Hewlett,

Londra 1886-1889, Rerum Britannicarum Medii Aevi, 84/1-3, II, p. 161; Venditelli,

Mercanti-banchieri, p. 73.

34

Venditelli, Mercanti-banchieri, pp. 73-74. 35

(22)

22

vicinanza questa non solo logistica ma anche politica, che ha permesso ai

campsores Laterani di diventare mercatores in Urbe potentes36.

Il secondo documento è un passo tratto dalla Chronica major, opera del monaco benedettino inglese Matteo da Parigi (1200-1259), monaco dell’Abbazia di St. Albans, il quale si scaglia contro Stefano di Anagni, collettore papale, inviato in Inghilterra nel 1229 a raccogliere le decime.

Scrive il monaco inglese: «preterea habuit idem magister S[tephanus] quosdam secum foeneratores nequissimos, qui se mercatores appellabant, usuram sub nomine negotiationis palliantes, qui egentibus et exactionibus vexatis optulerunt pecuniam; et urgente memorato S[tephano], sub poena gravissima coacti multi mutuo accipere, qui postea in laqueos eorum inciderunt, dampna irrestaurabilia incurrentes»37.

Le parole di Matteo da Parigi sono significative in quanto manifestano il suo disprezzo e rancore nei confronti dei foeneratores, probabilmente romani, e stanno a indicare che non tutti gli uomini di chiesa vedevano di buon occhio la commistione tra autorità ecclesiastiche e mondo della finanza e del commercio, soprattutto se questo legame poteva compromettere o danneggiare le finanze di enti religiosi.

3.1. La rete internazionale dei mercanti-banchieri

Dunque ancora agli inizi del XIII secolo il ruolo dei mercanti-banchieri romani era essenziale nella politica economica e sociale della città di Roma e il legame con la Chiesa cattolica permise agli stessi loro di ampliare i propri interessi su scala internazionale, dedicandosi al prestito non solo a privati ma anche a monarchi stranieri e ai Comuni italiani, riuscendo a creare ed espandere

36

Venditelli, Mercanti romani del primo Duecento “in Urbe potentes”, pp. 98-99. 37

«Maestro Stefano inoltre aveva con sé alcuni malvagissimi feneratori, i quali si

autodefinivano mercanti, e che nascondevano la loro attività di usurai sotto il nome di transazione, costoro offrirono denaro agli indigenti e a coloro che erano vessati dalle esazioni; quindi spinti dal ricordato Stefano, molti furono costretti, sotto minaccia di pene più dure, ad accettare un prestito e caddero in seguito nelle loro grinfie, andando incontro a danni irreparabili»,Matthei Parisiensis monachi Sancti Albani, Chronica majora, a cura di H.R. Luard, Londra 1872-1883, libro III, p. 188.

(23)

23

una rete internazionale per il commercio di denaro anche in collaborazione con mercanti di altre città italiane, in special modo toscane.

Una lettera di papa Alessandro III del 5 marzo 1180, spedita da Velletri e indirizzata al priore della chiesa di San Frediano a Lucca, gli comunicava le difficoltà incontrate da un mercator romano, Ottone de Insula, nel recuperare una certa somma di denaro da un cittadino privato lucchese; per questa ragione si sollecitava il priore, dopo averlo fatto non solo con le autorità ecclesiastiche, ma anche con le autorità civili della città toscana, a intervenire positivamente, affinché la richiesta di Ottone fosse soddisfatta38.

Questo documento mostra una sorta di protezione che già nel XII secolo il pontefice esercitava nei confronti dei mercanti romani in difficoltà nel gestire le risorse finanziare ed in particolar modo nel riscuotere i crediti usurari.

Come accennavo in precedenza, anche i monarchi europei usufruirono a vario titolo delle prestazioni professionali dei mercatores romani, attestando con questo la potenza finanziaria dei mercanti-banchieri romani.

Tra i sovrani che hanno avuto rapporti politici e creditizi con i mercatores è doveroso ricordare Federico II di Svevia, imperatore (1212-1250) e re di Sicilia (1198-1250), il quale in diverse occasioni concesse privilegi o stipulò con loro contratti di mutuo.

Nel settembre del 1231 il sovrano concesse ai mercatores romani una completa esenzione dai dazi portuali in tutto il regno di Sicilia, privilegio concesso non solo per i rapporti economici ma anche per rinsaldare quei rapporti politici necessari dato il sostegno fornito dai mercanti romani al sovrano svevo in occasione della guerra con Gregorio IX (1227-1241) del 1229 conclusasi vittoriosamente per l’imperatore col trattato di San Germano dell’anno seguente (Guerra delle Chiavi)39.

I mercanti-banchieri romani furono di gran lunga i più numerosi40, almeno sino al 1240/41, nel finanziare la politica di Federico II, e i frutti di questa politica furono colti sia dai mercatores che dallo stesso sovrano svevo, in quanto

38 Venditelli, Mercanti-banchieri, pp. 58-59. 39 Vendittelli, Mercanti-banchieri, pp. 113-116. 40

Il numero dei mercatores romani che appoggiarono concretamente il sovrano svevo è di circa 140, contro il numero dei mercatores toscani che erano meno di 20, cfr. Venditelli, Mercanti-banchieri, p. 116.

(24)

24

quest’ultimo fu appoggiato anche finanziariamente dai mercanti-banchieri romani in occasione delle campagne militari contro i Comuni dell’Italia settentrionale (1237-1239), mentre i mercanti romani ebbero un concreto appoggio dall’imperatore in occasione della rivolta antipapale del 1234 e alcuni di loro furono promotori di una congiura contro Gregorio IX nel maggio del 1238, congiura per altro prontamente repressa.

In occasione della drammatica rivolta del 1234, credo che sia opportuno sottolineare, per riconnettermi a quanto detto, ribadendo il forte legame esistente tra chiesa e mercatores, che il pontefice Gregorio IX impose ai dignitari ecclesiastici del regno di Francia la sospensione di ogni azione a favore dei cittadini romani (danneggiando in special modo i mercatores), dichiarando inoltre che nessun credito loro dovuto doveva saldato finché non si fosse arrivati a una pacificazione e che comunque tale periodo di sospensione del credito non sarebbe stato computato nel calcolo dei danni e dei profitti41.

Oltre all’imperatore, anche altri monarchi beneficiarono delle attività creditizie dei mercanti romani, in special modo i monarchi inglesi Giovanni Senzaterra (1199-1216) e suo figlio Enrico III (1216-1272).

Nella documentazione relativa alla corona inglese si legge, ad esempio, che nel 1199 re Giovanni si impegnava a restituire la somme che mercatores romani in societas con altri mercanti italiani (toscani ed emiliani) avevano prestato ai suoi inviati presso la Curia romana, somme considerevoli che tuttavia erano necessarie per sostenere le spese di donativi ed omaggi ai membri della Chiesa di Roma a incominciare dalle elargizioni dovute allo stesso pontefice e ai suoi familiari, vere e proprie rendite annue che gravavano sui bilanci della monarchia inglese e non solo42.

Tuttavia, ai fini di codesta ricerca, vorrei evidenziare i rapporti economici che i mercatores romani ebbero con i Comuni dell’Italia centrale, ma anche di alcune città di paesi d’oltralpe43

. 41 Vendittelli, Mercanti-banchieri, pp. 94-95. 42 Vendittelli, Mecanti-banchieri, pp. 105-113. 43

Per le città dei paesi d’Oltralpe vorrei ricordare i casi di Magdeburgo (Germania), Montpellier e Provins (Francia), cfr. Vendittelli, Mercanti-banchieri, pp. 143-144.

(25)

25

Numerosi sono gli esempi di mutui concessi da mercatores romani a comuni della Tuscia, dell’Umbria e delle Marche come Viterbo, Orvieto, Perugia e Fermo, ma anche a piccoli comuni e comunelli situati nel territorio più direttamente soggetto a Roma quali ad esempio Sezze, Velletri oppure Terracina44.

Per quanto concerne l’Umbria, è conservata una ricca documentazione che attesta i prestiti concessi dai mercanti-banchieri romani al Comune di Perugia nel corso della prima metà del XIII secolo, mutui concessi anche alla fazioni cittadine dei populares e dei milites, cifre ovviamente consistenti che permisero al Comune perugino di finanziare le guerre contro le vicine Gubbio e Città di Castello.

Nel 1266 fu avviato un procedimento giudiziario a carico del Comune di Fermo nelle Marche, promosso da una societas composta da due prestatori romani, Giovanni Mardonis e Pietro Petrocchi, cives et mercantes romani, per l’estinzione di un mutuo avviato oltre 15 anni prima.

Il procedimento si risolse in favore dei due mercanti romani grazie alla sentenza emanata del cardinale Giacomo Savelli (il futuro papa Onorio IV), tuttavia a causa dell’impugnazione avverso la sentenza da parte del Comune di Fermo il procedimento pendeva ancora due anni dopo45.

L’attività di prestito da parte di singoli mercanti o di società tra mercanti romani continuò per tutto il XIII secolo in special modo per i Comuni dell’Italia centrale e credo che questa sia un contesto estremamente importante per comprendere il motivo per il quale proprio allora si sia avviata un’attività di credito da parte di singoli judei provenienti da Roma.

Ritengo che ci sia un nesso tra l’attività finanziaria dei mercatores romani e quella degli ebrei romani, dato che (come vedremo più avanti) feneratori ebrei romani hanno iniziato l’attività creditizia proprio nelle zone dell’Italia centrale a partire dal XIII secolo.

Il fatto che proprio a partire dalla metà del XIII secolo il peso economico e politico dei mercatores sia andato declinando, per vari motivi, può aver fatto da volano invece alla crescita dell’attività finanziaria degli ebrei romani, i quali

44

Per approfondire il ruolo dei mercatores nel Lazio meridionale, vedi M.T. Caciorgna,

Una città di frontiera. Terracina nei secoli XI-XIV, Roma, 2008.

45

(26)

26

possono aver sostituito gradualmente nelle relazioni finanziare e politiche sia i mercanti-banchieri romani sia quelli di altre realtà come i fiorentini e i senesi, che però non declinarono, tutt’altro.

Sulle cause del declino dei mercatores romani sono state formulate diverse ipotesi: una prima si basa sul fatto che i mercatores, nella loro ascesa sociale e politica, avevano potuto usufruire della protezione dei pontefici di origine romano-laziale, a partire dall’elezione sul soglio pontificio di papa Celestino III nel 1191, ma con la morte dell’ultimo di essi, papa Gregorio IX nel 1241, e con l’elezione di papa Innocenzo IV nel 1243 e successivamente l’avvicendamento sul soglio pontificio anche di papi di origine francese come Urbano IV (1261-1264) e Clemente IV (1264-1268), questa protezione venne gradualmente meno.

Una seconda ipotesi riguarda la mancata capacità dei mercatores di resistere alla concorrenza delle Compagnie toscane, in particolare essi non ebbero la forza e la capacità organizzativa di contrastare in primis i senesi, che proprio nei primi decenni del XIII secolo, attraverso i rapporti d’affari e le società di capitali strette con i mercatores romani, avevano potuto avvantaggiarsi delle favorevoli condizioni offerte dalle necessità finanziarie del papato e del mercato del credito.

I mercatores invece non riuscirono a dar vita a sistemi organizzativi più complessi, come il nuovo modello di società d’affari a lungo termine, strette su base di contratti rinnovabili, meglio conosciute come compagnie, le quali sin dal primo Duecento si stavano diffondendo e consolidando nelle città toscane.

Una terza ipotesi è che alla crescita finanziaria non sia seguita una crescita commerciale e manifatturiera, così come invece avvenne in quei centri che proprio in quegli anni iniziarono un inarrestabile slancio, come ad esempio Firenze.

Una quota consistente dei capitali di cui disponevano i mercatores romani venne invece investita nella rendita fondiaria, mano a mano che il Comune capitolino aumentava il proprio controllo territoriale sull’intero Lazio.

In particolare la conquista della città di Tuscolo e del suo territorio nel 1191 diede inizio a quel fenomeno noto come “incasalamento”, in quanto permise a molti mercatores di sfruttare quello che rappresentava il settore più fertile della

(27)

27

Campagna Romana, e cioè la realizzazione di decine di aziende agricole molto produttive e speculative, i casali appunto, per fare profitti puntando sulla grande domanda di derrate alimentari che scaturiva dalle favorevoli condizioni demografiche e di mercato46.

Le ipotesi appena evidenziate, tuttavia, non si rivelano da sole sufficienti a spiegare la contrazione delle importanti attività creditizie dei mercatores curiales anche su scala internazionale.

Per comprendere appieno questo declino è necessario spostare l’attenzione dall’ambito delle strutture e delle contingenze strettamente economiche e volgere lo sguardo sui mutamenti sociali e politici in atto a Roma già ai primi del XIII secolo.

In particolare è necessario ricercare all’interno della storia dei gruppi dirigenti della Roma comunale la principale spiegazione del declino dei

mercatores.

Infatti è noto come in questa fase della storia romana fosse in corso un processo di selezione all’interno della nutrita compagine aristocrstica, la militia, che culminò con il prevalere di pochi e potentissimi lignaggi, quella dei barones

Urbis, favoriti senza alcun dubbio dalla politica del papato dopo la morte di

Gregorio IX.

Questa politica fu caratterizzata da un’apertura sempre maggiore nei confronti dei grandi casati baronali, piuttosto che nei confronti dei mercatores e degli altri componenti della militia cittadina, con i quali aveva fino ad allora intrecciato rapporti simbiotici.

Tutto questo era effetto della politica nepotistica sia dei pontefici che dei cardinali, tutta orientata a promuovere e sostenere l’ascesa dei grandi lignaggi baronali, come strumento di governo dello Stato pontificio.

La pervasività del potere dei baroni si estese anche all’amministrazione cittadina e la carica senatoriale divenne appannaggio quasi esclusivo dei barones

Urbis, i quali poterono condizionare totalmente e drasticamente la politica e

l’economia capitolina in funzione dei loro interessi che non coincidevano con quelli dei mercanti-banchieri.

46

(28)

28

In particolare non indirizzarono più la politica comunale verso il potenziamento, il sostegno e la difesa degli interessi commerciali e finanziari e non si impegnarono più, così come era avvenuto un secolo prima, nella stipulazione di trattati commerciali, di amicizia e collaborazione con altre città a forte vocazione mercantile (come Pisa e Genova), e nella coniazione di una moneta autonoma: il denaro provisino senatoriale.

Inoltre i baroni orientarono dall’interno le scelte economico-finanziarie della curia papale, a favore di altri operatori di altre città, come ad esempio i già citati senesi, penalizzando ulteriormente i mercanti-banchieri romani.

Questo anche grazie alla immensa influenza che gli stessi baroni esercitavano sugli orientamenti dei papa e dei cardinali, con i quali erano in molti casi direttamente imparentati o comunque strettamente legati in un complesso sistema simbiotico di reciproci interessi.

L’ascesa del ceto baronale, dalla seconda metà del Duecento, concretizzò il declino dei mercatores che nella nuova situazione perdettero prestigio, risorse relazionali, sostegni politici ed anche la capacità di affermare i propri valori imprenditoriali47.

47

(29)

29

CAPITOLO II

LA PRESENZA EBRAICA A ROMA NEL BASSO MEDIOEVO E L’ARTE FENERATIZIA

2.1. Gli ebrei a Roma dal XII al XV secolo

La presenza ebraica a Roma è documentata sin dal II secolo a.C., e rappresenta un’eccezione nel panorama italiano ed europeo in quanto è una presenza radicata e costante nel tempo e nello spazio urbano48.

Per quanto concerne il Medioevo tuttavia le notizie sugli ebrei romani sino alla fine del X secolo sono molto scarse ed insufficienti per ricostruire i rapporti tra la comunità e il tessuto urbano nel quale essi vivevano, se si eccettua la menzione della schola judeorum (insieme ad altre scholae, cioè comunità straniere), al momento di rendere atto di omaggio e al momento delle incoronazioni di papi e imperatori e nei loro solenni ingressi in città.

La schola judeorum, infatti, è citata una prima volta in un testo cerimoniale dell’imperatore Ottone III (980-1002) di Sassonia e in seguito è citata più frequentemente49.

Probabilmente già allora la comunità ebraica romana era retta da una magistratura collegiale formata da rabbini, tre dei quali, Moshe Nasi, Abraham e Shabtai, sono ricordati da una fonte letteraria, la relazione di viaggio scritta nel 1007 da Jakob ben Jekuthiel, giunto nella città capitolina per protestare col pontefice Giovanni XVIII (1004-1009) riguardo alle persecuzioni antiebraiche in Lorena50.

Un’altra fonte letteraria che descrive, anche se a volte in maniera piuttosto fugace, gli insediamenti degli ebrei in Italia nel XII secolo è l’Itinerarium di

48

M. Luzzati, Florence against the Jews or the Jews against Florence?, in The most

ancient of minorities, the Jews of Italy, a cura di S.G. Pugliese, Westport, Connecticut,

2002, pp. 59-66. 49

A. Milano, Storia degli ebrei in Italia, Torino, 1992, p. 59. 50

A. Esposito, Pellegrini, stranieri, curiali ed ebrei, in A. Vauchez, (a cura di), Storia di

(30)

30

Beniamino di Jona da Tudela (Sefer Masa’ot), scritto da un mercante ebreo originario del regno di Navarra tra 1160 e 1173, nel corso del viaggio che l’aveva portato dalla penisola iberica, attraverso la Francia meridionale, l’Italia, l’Impero Bizantino, la Mesopotamia, la Persia e l’Asia Centrale, a toccare i confini del Tibet e della Cina, per poi far ritorno in Navarra seguendo un diverso percorso, attraverso lo Yemen, l’Egitto, la Sicilia, di nuovo l’Italia, la Germania e la Francia settentrionale51.

L’Itinerarium è utile anche perché permette di avere una stima della popolazione ebraica nelle città toccate dal viaggiatore-mercante spagnolo e di mettere a confronto le dimensioni delle diverse comunità ebraiche presenti sul territorio italiano.

A proposito della comunità ebraica di Roma, Beniamino da Tudela scrive: «Vi sono circa duecento Ebrei, in posizioni onorevoli ed esentati da tributo, e fra di loro si trovano anche dei funzionari di papa Alessandro, il capo spirituale di tutto ‘Edom52.

Qui risiedono grandi studiosi, con a capo rav. Dani’el, il rabbino (capo), e rav. Jehi’el, funzionario pontificio, giovane, bello, intelligente e saggio, che può entrare liberamente nel palazzo del papa, poiché ne amministra tutta la casa e tutti gli averi.

Egli è il nipote di rav. Nathan, che compose il Sefer ‘Arukh (libro di codificazione rituale)53 ed i suoi commentari.

Altri studiosi sono ra. Jo’ab, figlio del rabbino rav. Selomoh, rav. Menahem ro’s Jesivah (capo dell’accademia), rav. Jehi’el, che vive a Trastevere, e rav. Benjamin ben Sabbatai, benedetto sia il suo ricordo»54.

Il testo prosegue con la descrizione delle vestigia della città antica con tono leggendario, in particolare riguardo al palazzo di San Giovanni in Laterano.

51

Benjamin da Tudela, Libro di viaggi, a cura di Laura Minervini, Palermo, 1989. 52

Per ‘Edom nel linguaggio ebraico medievale si intende la Cristianità nel suo insieme, cfr. A. Toaff, Gli ebrei a Roma, in Storia d’Italia. Annali 11: Gli ebrei in Italia. Dall’Alto

Medioevo all’età dei ghetti, a cura di C. Vivanti, Torino, 1996, vol. I, p. 124.

53

Testo che parla del lessico talmudico, ricco di caute spiegazioni etimologiche, cfr. Benjamin da Tudela, Libro di viaggi, p. 101.

54

(31)

31

Il resoconto di Beniamino di Tudela ci fornisce tre dati importanti: il primo è relativo al numero degli ebrei romani, che è di circa 200 persone (da intendersi come cifra approssimativa di capifamiglia), dunque una comunità popolosa55.

Il secondo è che gli ebrei romani non erano sottoposti ad alcun regime fiscale, in particolare la comunità ebraica romana non era gravata da tasse da corrispondere alle autorità cittadine, per cui era ricca abbastanza da mantenere le sue istituzioni sia laiche che religiose.

Bisogna ricordare tuttavia che nel XII secolo a Roma e non solo non esisteva alcun tipo di regime fiscale per i cittadini, cose che invece era caratteristica dei pesi musulmani e dell’Impero Bizantino.

Tale mancanza di imposizioni fiscali agli ebrei a Roma poté sembrare strana agli occhi di beniamino di Tudela, che in quanto proveniente dalla Spagna conosceva i regimi fiscali dei regni cristiani mutuati dal modello islamico-andaluso.

Il terzo è relativo al fatto che alcuni di essi si occupavano di finanze, in particolare gestivano le finanze pontificie, godendo di uno status e di privilegi particolari.

A questo proposito è stato sostenuto da alcuni studiosi56 che quest’ultima situazione possa essere paragonata allo status dei mercatores curiales, cioè i mercanti-banchieri romani che già nel XII secolo agivano in rapporto simbiotico con la Curia pontifica.

Tuttavia, credo che il rapporto di alcuni esponenti della comunità ebraica romana col pontefice fosse più complesso, in quanto il rapporto poteva essere determinato non solo da legami economici e politici come per i mercatores cristani, ma anche da una sorta di fiducia personale che ogni singolo pontefice poteva riporre nei confronti di singoli membri della comunità ebraica romana o di ebrei trasferitisi a Roma, un rapporto non diverso da quello che era già instaurato

55

Tuttavia la comunità romana non è la più popolosa in Italia tra quelle incontrate dal mercante spagnolo: Benevento, Melfi e Trani infatti, in base alle cifre da lui fornite, avevano lo stesso numero di capifamiglia di Roma. A Taranto invece i capifamiglia erano 300, ad Otranto 500, a Napoli addirittura 600, ciò a dimostrare una maggior presenza ebraica nel Meridione italiano, cfr. Benjamin da Tudela, Libro di viaggi, pp. 46-48. 56

(32)

32

(e che continuerà a sussistere ancora secoli dopo) da alcuni pontefici con alcuni medici ebrei57.

Non possiamo tuttavia escludere che ci siano stati dei cambiatores ebrei a Roma, dato il flusso continuo di denaro comprendente monete di conio differente, e a questa presenza di cambiavalute ebrei possiamo aggiungere anche quella dei mercanti ebrei romani che commerciavano tessuti di seta e di panno.

Il commercio dei tessuti di panni e seta era assai diffuso tra gli ebrei romani, e si svolgeva in modeste aziende individuali oppure attraverso societates che comprendevano oltre ai mercanti anche i fabbricanti di stoffe, anch’essi ebrei58.

Una di queste societates era riuscita a intrecciare rapporti di affari con la Curia papale così intensi da farsi riconoscere ufficialmente come sua approvvigionatrice: papa Alessandro IV (1254-1261) dichiarò, a mezzo di una bolla del 1 Marzo 1255, che gli ebrei che vi erano associati dovevano rimanere esenti da ogni dazio di passaggio nei territori dello Stato Pontificio e del regno di Sicilia59.

Analogo privilegio ottenne un’altra societas composta da ebrei e cristiani60.

Inoltre gli Statuti del Comune di Roma del 1297 accennano ai mercanti ebrei di tessuti come a una categoria che, se per motivi religiosi non si era potuta inserire con pieno diritto nelle corporazioni organizzate sotto l’egida dello stesso Comune, tuttavia era collegata a esse da vincoli speciali di subordinazione e quindi di protezione61.

Oltre al commercio di tessuti, che costituiva la principale attività lavorativa, gli ebrei romani si dedicavano ad altre attività economiche, come la fabbricazione di stoffe pregiate e di tappeti, il commercio di pietre preziose e di

57

Come nel caso di Bonnet de Lattes, rabbino, astrologo ed archiatra pontificio dei papi Alessandro VI (1492-1503), Giulio II (1503-1513) e Leone X (1513-1521), cfr. A. Esposito e M. Procaccia, Un astrologo e i suoi prognostici: Bonnet de Lattes a Roma alla

fine del Quattrocento, in Atti del XV Convegno Internazionale dell’AISG, Gabicce Mare,

3-5 settembre 2001, in «Materia Giudaica» VII/1, 2002; A. Foa, Ebrei in Europa. Dalla

peste Nera all’emancipazione, Bari, 2004, p. 140.

58

Milano, Storia degli Ebrei in Italia, pp. 80-81. 59

Milano, Storia degli Ebrei in Italia, p. 81. 60

Milano, Storia degli Ebrei in Italia, p. 81. 61

(33)

33

perle, il commercio di incenso e di altri profumi, oltre che la gestione di banchi per il cambio della moneta e per il prestito62.

Le due categorie di cambiatores e mercatores ebrei, possono aver dato avvio all’accumulazione originaria di quel capitale finanziario che è alla base della nascita del ceto dei feneratori ebrei romani nell’ultimo terzo del XIII secolo, quel ceto che in quegli anni diede avvio a alla corrente di prestatori ebrei romani che da Roma si traferirà nell’Italia centrale e settentrionale.

L’esercizio delle attività commerciali permise ad alcuni ebrei di raggiungere uno stato di ragguardevole agiatezza economica, tanto che alcuni di essi possedevano case e terre in campagna ed erano liberi di affittare le une e le altre, percependo un canone d’affitto oppure una partecipazione ai prodotti63

. Le famiglie ebraiche romane più ricche disponevano di una servitù cristiana64 ed erano anche committenti di opere d’arte di tipo religioso come libri di preghiera e suppellettili preziose per la sinagoga65.

Nonostante questo clima di tolleranza e di benessere economico, vi furono episodi di persecuzione anche se non collegabili direttamente all’atteggiamento decisamente persecutorio che settori della Chiesa cattolica dimostravano già in Europa in quegli anni.

Un episodio particolarmente increscioso fu quello accaduto nel 1298, quando, regnante papa Bonifacio VIII (1294-1303), vennero arrestati dall’Inquisizione romana i principali esponenti delle famiglie più in vista della comunità ebraica romana.

Questa azione repressiva da parte dell’Inquisizione è da collegarsi a una precisa volontà di Bonifacio VIII di eliminare i partigiani dei Colonna (storici avversari dei Caetani cui apparteneva il pontefice), ai quali erano forse collegati gli ebrei romani più facoltosi.

Il rabbino e forse leader della comunità ebraica romana Elia de’ Pomis, venne arrestato dall’ Inquisizione insieme ad altri esponenti della comunità, con un’accusa non chiara e successivamente condannato al rogo ed arso

62

Milano, Storia degli Ebrei in Italia, pp. 80-82. 63

Milano, Storia degli Ebrei in Italia, p. 82. 64

Cosa proibita nel 1120 da Callisto II con la bolla Sicut Juaeis e dal III Concilio lateranense del 1179, cfr. Milano, Storia degli Ebrei in Italia, p. 75.

65

Riferimenti

Documenti correlati

Our study first investigated the association between early apop- tosis markers, DNA breaks, and seminal oxidative status in sperm samples of men s with

The evidence supporting such a role of IFI16 is as follows: (i) small interfering RNA (siRNA)-mediated depletion of IFI16 in primary human embryonic lung fibroblasts

The results were also compared with the Py-GC/MS results obtained for other samples from the Oseberg collection (named “185 series”) and presented in a

However, a positive relation between these latter parameters and grape anthocyanin content and extractability was observed in wine-like solutions (Rolle,

HYdroxychloroquine to Improve Pregnancy Outcome in Women with AnTIphospholipid Antibodies (HYPATIA) protocol: a multinational randomized controlled trial of hydroxychloroquine

A comparison of the relative intensity of the spectra of the dried titanate nanotubes and the aqueous titanate nanotube solution was performed by using the band at about 282 cm 1.

Out of 91 F2 single progeny plants tested, 12 individuals were homozygous for the atfer4-1 mutant allele and heterozygous for the atfh mutant allele (the expected number of such a

Zika Virus English-speaking Countries Network Theory Content Analysis (Twitter); Social Network Analysis.. Twitter