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Gli ebrei nell’Italia meridionale e in Sicilia durante il periodo normanno-

All’alba del secondo millennio dell’Era volgare il Meridione d’Italia e la Sicilia erano divisi in diverse formazioni statali: l’Impero Bizantino, che governava la Puglia, la Basilicata e la Calabria; i principati di origine longobarda di Benevento, Capua e Salerno; le città marittime campane formalmente bizantine ma in realtà indipendenti di Napoli, Amalfi, Sorrento e Gaeta; e, infine, la Sicilia arabo-musulmana, provincia semi-indipendente del Califfato Fatimida.

In questo quadrante geografico il radicamento delle comunità ebraiche è molto antico, risalente ai primi due secoli dell’era volgare, tanto che già in epoca bizantina gli ebrei del Meridione maturarono la consapevolezza della loro antica presenza, come testimoniato dallo Josippon184, una cronaca del X secolo, nella quale un anonimo autore descrive le vicende del popolo ebraico fino alla distruzione del Secondo Tempio (70 d.C.) attingendo alle da Giuseppe Flavio, dalle opere di Shabbetai Donnolo, medico e astronomo pugliese del X secolo185, autore in particolare dello Sefer Hakhmoni (Libro del Sapiente), opera al contempo filosofica, medica kabbalistica ed astrologica, e dalla Cronica di Ahimaaz ben Paltiel da Oria186 del secolo XI, meglio conosciuta con il titolo di

Sefer Yuhasin (Libro delle Discendenze).

184

Nello Josippon o Pseudo-Giuseppe si afferma che Tito deportò i Puglia oltre 5.000 prigionieri di guerra ebrei, dando vita alle comunità ebraiche pugliesi, cfr. Milano, Storia

degli ebrei in Italia, p. 62; Ferorelli, Gli ebrei nell’Italia meridionale, p. 5.

185

Le notizie biografiche di Shabbetai sono contenute nell’opera citata, in cui l’autore dice di chiamarsi Shabbetai, figlio di Abramo, detto Donnolo il dottore, di essere stato catturato dai Saraceni, durante un’incursione contro la sua città natale di Oria, in Puglia e di essere stato riscattato a Taranto da dei suoi correligionari e di essere ritornato nella città natale, mentre i suoi genitori deportati a Palermo e poi in Africa, cfr. Todeschini, Gli

ebrei nell’Italia medievale, pp. 33-34.

186

Ahimaaz ben Paltiel, nato a Capua nel secolo XI, discendente da una famiglia ebraica di Oria, in Puglia, racconta in prosa rimata la storia della sua famiglia, le cui origini fa

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Il radicamento non coinvolge solo le grandi città marittime del Meridione e della Sicilia, ma anche paesi e villaggi, dove numerose sono le testimonianze di una presenza ebraica ricca, sia dal punto di vista economico che demografico.

Con l’arrivo dei Normanni a partire dal 1030/40 e successivamente con la formazione del Regno normanno nel secolo XII, la condizione degli ebrei nell’Italia meridionale non subì mutamenti sostanziali sia per quanto riguarda le attività economiche sia per quanto riguarda altri aspetti culturali, nonostante i graduali cambiamenti del loro status giuridico187.

Comunque nel periodo compreso tra la fine del secolo XI e gli inizi del secolo XII iniziò il lento declino dell’ebraismo pugliese, che fino a quell’epoca aveva vissuto un periodo d’oro di espansione e ricchezza culturale.

Esso avrebbe comunque esercitato ancora un notevole influsso nella prima età normanna, come è evidente da due casi moto conosciuti.

Il primo è la conversione al giudaismo nel 1002 del figlio del cavaliere normanno Drogone, l’ecclesiastico Giovanni di Oppido Lucano, il quale assunse il nome di ‘Obadyah detto il Proselito e che adattò all’uso ebraico la musica chiesastica con la quale aveva notevole familiarità188.

Il secondo, più antico, riguarda la conversione sempre al giudaismo, dell’arcivescovo di Bari, che nel 1066 in seguito a questa scelta, sarà costretto a rifugiarsi prima a Costantinopoli e poi nell’Egitto Fatimida189.

risalire ai prigionieri giudei portati in Italia da Tito, cfr. Ferorelli, Gli ebrei nell’Italia

meridionale, pp. 4-5 e 30; Milano, Storia degli ebrei in Italia, pp. 60-61; Todeschini, Gli ebrei nell’Italia medievale, pp. 31 e 37-39.

187

D. Abulafia, Il Mezzogiorno peninsulare dai bizantini all’espulsione, in C. Vivanti (a cura di), Storia d’Italia. Annali 11: Gli ebrei in Italia. Dall’Alto Medioevo all’età dei

ghetti, Torino 1996, vol. I, p. 10.

188

H. Houben, Gli Ebrei nell’Italia meridionale tra la metà dell’XI secolo e l’inizio del

XIII secolo, in L’Ebraismo dell’Italia Meridionale Peninsulare dalle origini al 1541: società, economia, cultura. IX Congresso internazionale dell’Associazione Italiana per lo

studio del Giudaismo. Atti del Convegno internazionale di studio (Potenza-Venosa, 20-24 settembre 1992), a cura di C.D. Fonseca, M. Luzzati, G. Tamani, C. Colafemmina, Galatina (Le), 1996, p. 52; Abulafia, Il Mezzogiorno peninsulare, p. 11.

189

Houben, Gli Ebrei nell’Italia meridionale, p. 52; Abulafia, Il Mezzogiorno

peninsualre, pp. 11-12. La conversine dell’arcivescovo è stata messa in dubbio da Vera

von Falkenhausen, la quale ritiene che si tratti di una leggenda diffusa dai Normanni e dai gruppi legati alla Riforma ecclesiastica, per screditare la memoria di un presule filo- bizantino, cfr. V.von Falkenhausen, Bari Bizantina: profilo di un capoluogo bizantino

(secoli IX-XI), in Spazio, società, potere nell’Italia dei comuni, Europa mediterranea,

Quaderni, vol. I, a cura di G. Rossetti, p. 222. La storia della conversione di Andrea è contenuta nella Cronaca della conversione di Giovanni/’Obadyah, rinvenuta nella Genizah del Cairo, cfr. Todeschini, Gli ebrei nell’Italia medievale, p. 36.

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Nel 1130, con la fondazione del Regno normanno a opera di Ruggero II d’Altavilla (1130-1154), vi fu un cambiamento di intenti da parte del neocostituito potere monarchico, in quanto si cercò di dare una omogeneità legislativa all’inquadramento della presenza ebraica ed anche alle altre minoranze religiose acattoliche.

Le Assise di Ariano in Campania, convocate da Ruggero II a partire dal 1140, allo scopo di codificare il diritto del regno, stabilirono nei capitoli XII e XIII, il divieto per gli ebrei di possedere servi cristiani, e ancor più di circonciderli oppure di convertirli all’ebraismo.

Allo stesso tempo fu ribadita l’assoluta proibizione per tutti i sudditi del Regno di entrare a far parte di una religione diversa da quella cristiano-cattolica.

Nel primo caso gli ebrei disubbidienti sarebbero stati privati di tutti i loro possessi, incluso quello dei loro servi, e condannati a morte nel caso in cui avessero convertito il servo con la circoncisione.

Nel secondo caso gli apostati della religione cattolica sarebbero stati spogliati di tutti i loro beni190.

Una fonte importante per la storia degli ebrei dell’Italia meridionale e della Sicilia è il già citato l’Itinerarium di Beniamino di Tudela, che descrive in maniera fugace la comunità ebraiche meridionali.

In particolare il mercante ebreo spagnolo dà dati demografici sulle comunità, mettendo in risalto il numero di fuochi delle comunità presenti nelle città attraversate durante il viaggio che lo condusse in Oriente.

Tra le città della Campania, cita in particolare Capua, nella quale vivono 30 ebrei (famiglie) con a capo Rav. Qonso, suo fratello Rav. Isra’el, Rav. Zaqen e R. David, appena deceduto (“la sua anima riposi in pace”); Napoli, nella quale vivono 500 famiglie; Salerno, nella quale vivono 600 famiglie (tra i quali Beniamino menziona Rav. Jehudah ben Ishaq ben Melkihisedeq, un grande

190

«XII. Iudeus paganus servum christianum nec vendere, nec comparare audeat, nec ex aliquo titulo possidere seu pignori detinere. Quod si presumpserit, omnes res eius infiscentur, et curie servus fiat. Quem si forte ausu vel nefario vel suasu circumcidi vel fidem abnegare fecerit, capitali supplicio puniantur. XIII. Apostates a fide catholica penitus exercemus, ultionibus insequimur, bonis omnibus spoliamus, a professione vel voto neufragantes legibus coartamus, succesiones tollimus, omne ius legitimum abdicamus», in O. Zecchino (a cura di), Le Assise di Ariano, Codice Vaticano Latino

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rabbino che venne accolto nella citta campana proveniente da Siponto, in Puglia); Amalfi, dove dimoravano 20 famiglie; ed infine Benevento, dove dimoravano 200 famiglie191.

In Basilicata e Puglia Beniamino di Tudela ricorda Melfi, nell’attuale provincia di Potenza, ma che egli inserisce “nella terra di Puglia”, città abitata da 200 famiglie; Ascoli Satriano, in Capitanata, abitata da una quarantina di famiglie; e infine le città marittime della Puglia, in primis Trani, dove abitavano 200 famiglie, poi Taranto, dove dimoravano 300 famiglie, Brindisi, dove vi abitava solo una decina di famiglie ed infine Otranto, all’estremità della Puglia, dove dimoravano 500 famiglie192.

Di ogni città o paese incontrato e dove ha potuto costatare che ci fossero comunità ebraiche, anche di piccole dimensioni, Beniamino di Tudela ha sempre citato i capi della comunità, tutti rabbini, alcuni dei quali particolarmente famosi nel mondo ebraico, a dimostrazione della profondità del radicamento territoriale degli ebrei e dei forti legami che intercorrevano tra l’ebraismo dell’Italia meridionale e quello del resto del Mediterraneo.

Anche in Sicilia, la presenza ebraica era diffusa e radicata a partire dai primi secoli dell’era volgare, tuttavia, maggior vigore ebbero le comunità ebraica durante il periodo della dominazione arabo-musulmana (IX-XI secolo), grazie all’immigrazione di ebrei provenienti dal Nord-Africa193

.

Beniamino di Tudela soggiornò in Sicilia sulla via dal ritorno del viaggio che lo aveva portato in Oriente.

Descrive solo le comunità di Messina, con 200 famiglie e Palermo abitata da 1500 famiglie, la più numerosa comunità ebraica in Italia secondo da Beniamino da Tudela194.

Le condizioni di vita della popolosa comunità palermitana dovevano essere più che buone, come risulta da una lettera della Genizah del Cairo195,

191

Benjamin da Tudela, Libro di viaggi, pp. 46-47. 192

Benjamin da Tudela, Libro di viaggi, pp. 47-48. 193

D. Abulafia, Gli ebrei in Sicilia sotto i Normanni e gli Hohenstaufen, in Ebrei e

Sicilia, a cura di N. Bucaria, M. Luzzati, A. Tarantino, Palermo, 2013, pp.71-75.

194

Benjamin da Tudela, p. 95. 195

La Genizah è il deposito di una comunità ebraica nel quale vengono conservati e preservati religiosamente oggetti e soprattutto scritti contenenti il nome di Dio che, proprio per questo motivo, non possono essere distrutti. La Genizah del Cairo è

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risalente al 1140, (quindi a un ventennio/trentennio prima del viaggio di Beniamino di Tudela), scritta dal mercante ebreo Abu Sa’id, residente a Palermo, il quale inviata il fratello Abu’l-Barakat, residente in Egitto a venire in Sicilia per divertimento e affari196.

Palermo era inoltre la destinazione di numerosi viaggi commerciali provenienti da Alessandria d’Egitto e dal Maghreb; lo stesso può dirsi per Siracusa, dove operavano mercanti internazionali noti per tutto il Medioevo per l’esportazione di formaggio kasher, inviato sino in Egitto in base a un diritto di esportazione rimasto in vigore sino all’espulsione degli ebrei dalla Sicilia nel 1492197.

Per quanto attiene alle attività mercantili gli ebrei siciliani gestivano l’importazione di legno tintorio, lapislazzuli e altri prodotti di lusso, mentre esportavano merce lavorata e semilavorata come pellami o capi confezionati come turbanti, scialli e coperte; inoltre gestivano l’esportazione di grano, tessuti e spezie198.

Nel 1147, durante una spedizione militare contro l’Impero Bizantino, Ruggero II catturò a Corinto, Tebe e Atene ebrei greci, attivi nella produzione di seta, e li deportò a Palermo per avviare questo tipo di industria nel suo regno199.

Molti ebrei siciliani erano di origine nordafricana, arrivati nel corso dell’XI secolo (a causa credo delle devastazioni provocate dall’invasione dei Banu

particolarmente ricca in quanto oltre che a materiale squisitamente religioso come oggetti liturgici e responsi rabbinici, contiene anche una massa enorme di materiale profano immagazzinato a partire dall’Alto Medioevo, composto da lettere a carattere commerciale o familiare, contratti, memorie, ordini di pagamento e altro che coinvolgono non solo gli ebrei d’Egitto, ma tutte le comunità ebraiche del Mediterraneo, con particolare riguardo a quelle site nei paesi musulmani, cfr. A. Feniello, Sotto il segno del Leone, storia

dell’Italia musulmana, Bari, 2011, pp. 127-128; D. Abulafia, Le comunità in Sicilia dagli Arabi all’espulsione, in C. Vivanti (a cura di), Storia d’Italia. Annali 11: Gli ebrei in Italia. Dall’Alto Medioevo all’età dei ghetti, Torino 1996, vol. I, p. 50.

196

Houben, Gli ebrei nell’Italia meridionale, p. 54. 197

Abulafia, Le comunità in Sicilia, p.51 198

Abulafia, Le comunità di Sicilia, pp. 51-52. 199

Houben, Gli ebrei nell’Italia meridionale, p. 54; Milano, Storia degli Ebrei in Italia, p.93.

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Hillel) e praticavano un’agricoltura intensiva, come quella della palma da dattero e conservarono l’idioma arabo sino all’espulsione del 1492200.

Le città siciliane, grazie alla vicinanza geografica e al passato arabo- islamico, ancora in epoca normanna erano il punto di arrivo delle carovane dell’oro sahariano201

.

Molti altri sono gli indizi di una buona prosperità e di una buona situazione di vita degli ebrei del Meridione e della Sicilia durante il Regno normanno, in particolare va ricordata la celebre frase pronunziata dal rabbino francese Yaakov ben Meir, detto Jacob Tam (1110-1171): «Da Bari verrà la Torah e da Otranto la parola di Dio»202, a significare una prosperità economica conosciuta oltre le frontiere del Regno.

Va ricordato un episodio significativo che testimonia la tolleranza, oltre che il radicamento della presenza ebraica nel Regno normanno.

A Napoli nel 1153, un ebreo chiamato Ahcchisamac poté acquistare, tramite una permuta, dalla badessa di San Marcellino, un ente ecclesiastico napoletano, due beni immobili (griptam et griptutillam) accanto alla sinagoga e alla chiesa di San Renato, con la possibilità di trasformare uno di essi in una seconda sinagoga o in una scuola.

L’importanza dell’episodio sta nel fatto che neppure le monache napoletane si davano troppo pensiero dei divieti vigenti in materia di costruzione di nuove sinagoghe, poiché secondo la legislazione giustinianea, in parte mutuata dalla legislazione di Ruggero II, la costruzione di nuove sinagoghe era vietata, mentre era permesso soltanto il restauro di quelle già esistenti203.

La legislazione ruggeriana, rimasta in vigore anche dopo la sua morte, garantiva la tutela delle minoranze religiose presenti nel Meridione e in Sicilia prima della conquista normanna, per cui anche il clero latino si adeguò al rispetto delle minoranze religiose come attestato dal vescovo di Catania Giovanni che nel

200

Ancora in epoca federiciana ci fu un progetto di trasferimento di agricoltori ebrei esperti nella piantagione e nella cura della palma da dattero, provenienti dall’isola di Gerba, in Tunisia, cfr. Abulafia, Le comunità di Sicilia, p. 58.

201

Abulafia, Le comunità di Sicilia, p.51. 202

Houben, Gli ebrei nell’Italia meridionale, p. 59. 203

Ferorelli, Gli ebrei nell’Italia meridionale, p. 40; Abulafia, Il Mezzogiorno

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1168 garantì che: «Latini, Graeci, Judei et Saraceni, unusquisque iuxta suam legem iudicetur»204.

La politica normanna di protezione degli ebrei fu continuata dai sovrani svevi, in particolare dall’imperatore Enrico VI, il quale anche in Germania si era adoperato per la tutela degli ebrei, che erano qualificati come servi camere regis.

Quando il sovrano svevo entrò a Palermo da conquistatore nel 1194, i rappresentati degli ebrei e dei musulmani si recarono presso di lui per chiedere la conferma dei loro diritti e delle loro prerogative; cosa che ottennero con estrema facilità205.

La tradizionale politica dei sovrani normanni di devolvere, in larga misura, alle chiese vescovili le entrate finanziarie risultanti dalla tassa speciale pagata dagli ebrei fu portata avanti dai sovrani svevi.

Enrico VI nel 1195 confermò all’arcivescovo di Trani diritti sulla locale comunità ebraica (judeca), come erano contenuti in un privilegio di re Guglielmo, forse Guglielmo II (1166-1189).

Nella stessa occasione l’imperatore confermò, con un apposito diploma, i diritti degli ebrei di Trani che risiedevano, come tutti gli altri ebrei del Regno, sotto la protezione del sovrano.

In questo diploma si fa riferimento al dovere dell’imperatore di garantire i diritti dei suoi sudditi e particolarmente dei più deboli di fonte alle ingiustizie, indipendentemente dalla loro fede, e si ribadisce il divieto di procedere a conversioni forzate degli ebrei.

L’imperatore precisò i termini della protezione accordata agli ebrei di Trani: loro e i loro beni erano posti sotto la protezione del sovrano e contemporaneamente erano sottoposti alla giurisdizione dell’arcivescovo di Trani, fatta eccezione che per le questioni di stretta competenza imperale; in cambio gli ebrei dovevano pagare annualmente alla diocesi 38 once meno un terzo.

Nel documento è anche esplicitato il divieto di estorcere denaro agli ebrei, sia a mutuo che in altro modo, ai funzionari regi (giudici e baiuli), agli ecclesiastici e agli abitanti cristiani di Trani, comminando loro una multa da 50

204

Latini, Greci, Ebrei e Musulmani/Saraceni, sarebbero stati giudicati ognuno secondo la propria legge, cfr. Houben, Gli ebrei nell’Italia meridionale, p. 57.

205

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libbre se li avessero ulteriormente molestati, a testimonianza di tentativi fatti in questo senso206.

Federico II, figlio e successore di Enrico VI, riprese la politica paterna: nel 1210 concesse all’arcivescovo di Palermo la giurisdizione e le entrate finanziarie gravanti sulla comunità ebraica palermitana e nel 1221 confermò il menzionato privilegio del padre per gli ebrei di Trani207.

Nel 1211 Federico II confermò i privilegi che l’arcivescovo di Palermo aveva nei confronti degli ebrei, tuttavia a partire dal 1220 il sovrano svevo ritenne opportuno, per salvaguardare le finanze del regno, non concedere più alle chiese le entrate fiscali derivanti dalla tassazione degli ebrei, ma di mantenerle in possesso della corona, tant’è che nel 1221 non attribuì più all’arcivescovo di Palermo quel diritto per un tempo illimitato, ma per soli sei anni208.

Sempre nel 1221 l’imperatore svevo, influenzato probabilmente dal diritto canonico ed in particolare dalle decisioni del IV Concilio lateranense, impose agli ebrei (e alle prostitute) di indossare abiti che permettessero di riconoscerli immediatamente: agli uomini impose di farsi crescere la barba, alle donne di indossare particolari veli e orecchini.

Queste imposizioni riflettono l’ideologia di tenere categorie sociali particolari come le meretrici e le minoranze religiose (come gli ebrei e i saraceni) lontani dalla società cristiana, per timore che potessero “contaminarla” con la loro presenza209.

Negli anni seguenti la politica di Federico II riguardo agli ebrei e alle minoranze religiose del Regno di Sicilia mutò in parte, trovando il suo punto più alto nel 1231 con la promulgazione a Melfi delle cosiddette Costituzioni melfitane (dette anche Liber Augustalis in quanto quivi raccolte), nelle quali sanciva che gli

206

A. Prologo, Le carte che si conservano nello Archivio del Capitolo metropolitano

della città di Trani (dal IX secolo fino all’anno 1266), Barletta, 1877, nr. 83, pp. 173-174

e n. 84, pp. 175-176; Houben, Gli ebrei nell’Italia meridionale, pp. 60-61; Ferorelli, Gli

ebrei nell’Italia meridionale, p. 47.

207

Houben, Gli ebrei nell’Italia meridionale, pp. 61-62. 208

Houben, Gli ebrei nell’Italia meridionale, p. 62. 209

D. Abulafia, L’età sveva e angioina, in L’Ebraismo dell’Italia Meridionale

Peninsulare dalle origini al 1541: società, economia, cultura. IX Congresso

internazionale dell’Associazione Italiana per lo studio del Giudaismo, Atti del Convegno internazionale di studio (Potenza-Venosa, 20-24 settembre 1992), a cura di C.D. Fonseca, M. Luzzati, G. Tamani, C. Colafemmina, Galatina, 1996, p. 66; G. Todeschini, Gli ebrei

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ebrei fossero considerati sotto la piena protezione del sovrano210 e per certi versi erano parificati ai sudditi cristiani, poiché in caso di assassinio compiuto da ignoti, la comunità del territorio sul quale si era consumato il misfatto era tenuta a pagare alle casse del regno una multa: di 100 augustali se la vittima era cristiana, 50 se era ebrea o musulmana211.

Nelle Costituzioni melfitane compare la concessione fatta dal sovrano svevo agli ebrei di praticare l’arte feneratizia, proibita invece ai cristiani, solo che il tasso d’interesse non doveva essere superiore al 10 % annuo212

.

Questa concessione, a mio parere, deriva da un’influenza più o meno diretta dei decreti del IV Concilio lateranense in materia di liceità dell’usura, più che rimandare a una reale importanza dell’usura ebraica nella vita economica del regno.

Come nota David Abulafia, essa ci fornisce un’immagine squilibrata della vita economica degli ebrei nell’Italia meridionale, in quanto il prestito di denaro nel mondo mediterraneo del Duecento era un’attività quotidiana di tutti coloro che a vario titolo possedevano denaro liquido213.

A questo proposito va segnalata la nota epistola di Tommaso d’Aquino, suddito del Regno di Sicilia, scritta probabilmente tra 1271 e 1274 in risposta ad un’epistola inviata dalla duchessa di Brabante, la quale gli chiedeva chiarimenti sul modo in cui i poteri cristiani dovevano e potevano gestire la presenza ebraica e la pratica usuraria ebraica.

Tommaso rispose che l’usura non era tipica degli ebrei che egli conosceva, ma che al contrario gli ebrei in molte parti d’Italia non vivevano di prestito a interesse, ma erano coinvolti in molteplici attività professionali ed artigianali214.

210

Poiché la diversità di religione rendeva gli ebrei «infestos omnique alio auxilio destitutos» agli occhi dei cristiani, estese a tutti gli ebrei del regno la speciale protezione sino ad allora accordata a quelli di Trani, cfr. Ferorelli, Gli ebrei nell’Italia meridionale,