Dopa la catastrofe finanziaria del 1441 a Firenze i da Terracina scompaiono momentaneamente dalla documentazione toscana degli anni seguenti. Nulla si sa di Salomone di Bonaventura, dove e quando sia morto e se e in che modo abbia continuato a esercitare l’arte feneratizia.
Tuttavia a partire dalla fine degli anni Quaranta del XV secolo compare nella documentazione notarile un altro da Terracina, Bonaventura di Bonaventura, fratello di Salomone di Bonaventura, anch’egli banchiere, il quale esercitava il prestito su pegno nella città di Arezzo501.
Da un lodo arbitrale datato 6 marzo 1451 apprendiamo che Bonaventura, figlio di Bonaventura di Salomone da Terracina, abitante nella città di Prato, gestiva, almeno a partire dal 1 dicembre del 1449, un banco di prestito nella città di Arezzo.
Questo grazie al fatto che egli era subentrato come socio a Isacco di Angelo da Lucca (Gaio di Agnolo nelle fonti), il quale era a sua volta subentrato nel prestito a maestro Aleuccio (Aliuccio nella documentazione), figlio di quel Salomone di Aleuccio noto feneratore aretino, già ricordato precedentemente502.
500
Grow-Griffiths, Pope Eugenius IV and Jewish, pp. 305-306; la lettera è interamente pubblicata in appendice a questo studio, come documento n. 3, pp. 322.324; Scharf, Fra
economia urbana e circuiti monetari intercittadini, p. 471, n.61.
501
ASFi, NA, Accolto di Agnolo di Grazia di Sante, n. 50, c. 8r-9v e cc. 13r-15v, 6 marzo 1451; c. 15r-v, 12 aprile 1451.
502
Maestro Aleuccio era figlio di Salomone, figlio di Aleuccio di Daniele de Urbe, capostipite della famiglia, che era prestatore ad Arezzo già nel 1404, come risulta da due documenti: una quietanza e una procura in ASFi, NA, Ser Giovanni del fu Cecco Ranieri, n. 9518, c. 2r, 13 aprile 1404 (quietanza) e c. 13v, 8 giungo 1404 (procura nei confronti del figlio Salomone).
161
Maestro Aleuccio, come abbiamo già ricordato, era un medico ed era socio di un banco di prestito a Firenze503. Al contempo era titolare, insieme ai fratelli, della condotta aretina, stipulata probabilmente nel maggio/giugno del 1445 grazie ai buoni uffici che il padre Salomone di Aleuccio manteneva con le autorità fiorentine (Otto di Custodia) con il vescovo di Arezzo Roberto degli Asini504.
Come si deduce dal lodo arbitrale del 1451, maestro Aleuccio e i suoi fratelli poterono continuare a prestare sino a un massimo di 2.000 fiorini, il capitale cioè non doveva essere superiore a tale somma505.
Per questo motivo, cioè per il fatto che la condotta fosse ripartita tra maestro Aleuccio e Bonaventura di Bonaventura da Terracina nacquero delle liti, per cui fu necessario addivenire a un primo lodo arbitrale, rogato dal notaio Niccolò Valentini, nel quel fu riconosciuto al maestro Aleuccio e ai suoi fratelli la facoltà di prestare sino ad un massimo di 2.000 fiorini oppure di nominare altri feneratori al posto loro, i quali potevano prestare anch’essi sino a un massimo di 2.000 fiorini.
In forza di questo maestro Aleuccio e i suoi fratelli, nominarono come feneratori al loro posto gli ebrei Consiglio di Abramo da Gubbio, abitante in Perugia e Salomone d’Abramo da Forlì, abitante a Cortona, che si trasferirono ad Arezzo per poter prestare sino a un capitale di 2.000 fiorini come prescritto dagli accordi.
Tuttavia i due nuovi venuti, volendo probabilmente gestire il prestito su pegno ad Arezzo in situazione di monopolio, chiesero a Bonaventura di Bonaventura da Terracina di cedere la sua attività, il quale Bonaventura si dichiarò ben disposto.
La questione ovviamente sorse sul prezzo di vendita dell’attività finanziaria del da Terracina, per cui i tre feneratori decisero di rivolgersi a un arbitrato composto da Mariotto di Bartolo di Domenico Bartolini degli Scodellari da Firenze, rappresentante della Repubblica fiorentina ad Arezzo (dunque un personaggio assai impostante), e Isacco di Angelo da Lucca, ebreo feneratore che
503
Cassuto, Gli ebrei a Firenze, pp. 34-35 e p. 184. 504
ASFi, NA, Accolto di Agnolo di Grazie di Sante, n. 46, c. 196r-v, 13 maggio 1445. 505
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in precedenza aveva ceduto la sua attività finanziaria a Bonaventura da Terracina, dopo averla rilevata da maestro Aleuccio.
Nel lodo arbitrale datato 6 marzo 1451, si stabilì che Bonaventura da Terracina avrebbe dovuto consegnare a Consiglio d’Abramo da Gubbio e a Salomone d’Abramo da Forlì tutti i pegni e le scritture degli stessi pegni che erano stati impegnati a partire dal 1 dicembre 1449, ovviamente si trattava di pegni non riscossi, mentre per quelli già riscossi Bonaventura avrebbe consegnato agli altri due il valore del capitale di ogni pegno senza gli interessi maturati.
Consiglio e Salomone avrebbero dovuto consegnare a Bonaventura una somma pari al 10% dell’ammontare di tutti i pegni.
A ciò Consiglio e Salomone avrebbero dovuto aggiungere una somma di 400 fiorini larghi da consegnare ad Andrea di Buonristoro, creditore nei confronti di Bonaventura.
Questa somma doveva essere scorporata dall’ammontare totale del denaro, che era il prezzo per l’acquisto dell’attività, da parte di Consiglio e Salomone a Bonaventura.
Il lodo arbitrale stabiliva inoltre i tempi della consegna, sia dei pegni che del denaro, le tasse da pagare al Comune di Firenze (gravanti per intero su Consiglio e Salomone), la cessione totale dell’attività da parte di Bonaventura in modo da garantire a Consiglio e Salomone condizioni di monopolio sul prestito su pegno in tutta la città506.
Bonaventura si obbligava anche a rinunziare totalmente a stipulare capitoli per una condotta con Arezzo anche pro futuro507.
506
«In modo e forma tale che in tutto si spogli del potere prestare o far prestare nella detta città d’Arezo per alcun modo sotto alcun quesito cholore, anzitutto a buona fede di non potere prestare né far prestare, anzi sia tutto libero del prestare in detto luogo del detto Consiglio e Salomone e questo intendiamo cominci il dì dopo la detta consegnazione», in ASFI, NA, Accolto di Agnolo di Grazia di Sante, n. 50, c 8r-9v, 6 marzo 1451.
507
«E più diciamo e vogliamo che detto Bonaventura sia obrigato e tenuto di rinuziare i capitoli di potere prestare nella città di Arezzo come in questo foglio si dichiara, agiungendo che quando sarà finito il tempo dei presenti capitoli, i quali saranno per detto Consiglio e Salomone a rifermare di poter prestare in della città d’Arezo, che allora e in quel caso detto Bonaventura non possi né a lui sia lescito di ciercare o far ciercare per lui o per altri, di voler far capitoli di poter prestare in detto luogo», in ASFI, NA, Accolto di Agnolo di Grazia di Sante, n. 50, c 8r-9v, 6 marzo 1451.
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Infine il lodo arbitrale stabiliva che se una delle due parti non avesse ottemperato a quanto stabilito, pagasse una multa di 1.000 fiorini, di cui 500 da dare all’altra parte, mentre gli altri 500 al Comune di Firenze.
Dunque Bonaventura di Bonaventura da Terracina, vendette la sua attività finanziaria (…e vendita della detta bothega traficho...) a Consiglio di Abramo da Gubbio e a Salomone d’Abramo da Forlì, essendo inoltre obbligato a non investire più nella città di Arezzo508.
Non possediamo altre notizie sulle attività finanziare di quest’ultimo esponente della famiglia dei da Terracina, il quale con tutta probabilità rimase a Prato, città nella quale la famiglia di feneratori ebrei venuti dal Lazio si stabilì definitivamente, mutando il cognome da Terracina in quello di da Prato.
508
ASFi, NA, Accolto di Agnolo di Grazia di Sante, n. 50, cc. 13r-15v, c. 13 v, 6 marzo 1451.
164 CONCLUSIONI
Le conclusioni della tesi qui presentata prendono avvio dal problema delle origini della presenza della famiglia da Terracina in Toscana, in particolare come famiglia di ebrei dediti all’arte feneratizia.
Purtroppo non esistono studi monografici non solo sulla famiglia in questione, ma neppure su singoli membri della famiglia che si siano dedicati al prestito prima della metà del XV secolo, tuttavia, sulla scorta della documentazione rintracciata presso l’Archivio di Stato di Firenze e le informazioni relative, sparse nella molteplice bibliografia, mi è stato possibile ricostruire, anche se in modo non sempre certo ed esatto, i movimenti territoriali e finanziari dei da Terracina, alla luce anche di documenti in parte inediti.
Rimane sempre il dubbio, che non sono riuscito a sciogliere, sul come e quando i da Terracina arrivarono in Toscana e in particolare dove si stabiliscono inizialmente per dedicarsi al prestito509.
Abbiamo visto che il documento più volte citato, datato 28 gennaio 1388 e relativo a una procura notarile rogata a Cortona, (effettuata da Daniele figlio ed erede di Abramuccio del fu Sabatuccio di Lucignano, in favore della madre Stella, vedova di Abramuccio, con il consenso del suo tutore Deodato di Daniele di Assisi, affinché la madre Stella potesse riscuotere dei crediti nei confronti del Comune di Lucignano, ereditati dallo stesso Daniele dal padre Abramuccio), non era probabilmente relativo agli esordi del prestito dei da Terracina a Lucignano, ma piuttosto a un’altra famiglia di prestatori ebrei, già da tempo presente in territorio aretino.
509
Secondo l’opinione di Salvadori e Scharf, ripresa anche da Garruto e da Bicchierai, gli ebrei nel territorio aretino e anche senese sarebbero giunti provenendo da comunità dell’Umbria, che a loro volta traevano origine da Roma, partendo dalla quale, nel corso del XIII secolo numerosi ebrei si sarebbero diffusi nel Lazio (in paesi come Terracina, Sermoneta, Nepi, Supino ecc…), in Umbria e nelle Marche. Come ho già ricordato una comunità ebraica di una certa consistenze era presente a Cortona già nel XIV secolo, cfr. Salvadori-Sacchetti, Presenze ebraiche nell’aretino, pp. 21-22; Scharf, Fra economia
urbana e circuiti monetari, pp. 448-449; Bicchierai, Ai confini della Repubblica di Firenze, p. 135; Garruto, Prestatori ebrei e prestatori cristiani, pp. 122-132.
165
Il fatto che successivamente i da Terracina, nei primi due decenni del XV secolo, risultino residenti a Lucignano pone dei problemi sulla ricostruzione della mobilità territoriale della famiglia, dato che il capostipite Salomone di Sabato da Terracina è ricordato come socio prestatore per il banco di Pescia nel 1402, ma al contempo è residente a Lucignano.
Rimangono ancora sul campo le problematiche relative alla conclusione dell’attività di prestito della famiglia da Terracina.
Infatti se il punto nodale è la catastrofe subita da Salomone di Bonaventura di Salomone di Sabato da Terracina nel 1441, tuttavia permane nel tessuto finanziario toscano la presenza di altri membri della famiglia, come quel Bonaventura fratello del predetto Salomone, che sino al 1451 è titolare di un banco ad Arezzo.
Sicuramente se da una parte l’ammenda di 20.000 fiorini ha eliminato i da Terracina dagli orizzonti finanziari della città di Firenze, è però possibile che gli investimenti finanziari della famiglia ebraica siano stati convogliati in altri banchi sparsi nella Toscana o altrove in Italia510.
Infine, con tutta probabilità alcuni membri dei da Terracina, nel corso del XV secolo non intrapresero più l’attività bancaria ma diventarono medici, come Bonaventura di Bonaventura da Terracina che il 13 febbraio 1472 conseguì il dottorato in medicina, insieme ad Abramo da Montalcino, conferito a Firenze da Judah Messer Leon da Montecchio511.
Precedentemente, il 14 luglio 1460, un maestro Bonaventura di Bonaventura da Prato, forse la stessa persona del precedente, aveva ottenuta dalla
510
Ricordo che una famiglia da Terracina era presente Napoli nel XV secolo; essa tuttavia non aveva probabilmente rapporti di parentela stretti con la famiglia omonima installata in Toscana. Un membro di questo ramo napoletano, Laura di Jacob di Elia da Terracina aveva sposato Simone di Vitale da Pisa agli inizi del XVI secolo, cfr. M. Luzzati, Da Pisa
a Livorno, continuità e frattura, in La casa dell’Ebreo, Pisa, 1985, p. 128.
511
M. Luzzati, Dottorati in medicina conferiti a Firenze nel 1472 da Judah Messer Leon da Montecchio a Bonaventura da Terracina e ad Abramo da Montalcino, in Medicina e salute nella Marche dal Rinascimento all’età napoleonica. Atti del
Convegno (Ancona-Recanati, 28-30 maggio 1992), Ancona, 1994, pp. 50-53.
Luzzati sostiene che questo Bonaventura sia figlio di Bonaventura di Salomone da Terracina e che quindi possa essere il fratello di quel Salomone di Bonaventura caduto in disgrazia nel 1441. Ritengo invece che maestro Bonaventura sia figlio di quel Bonaventura di Bonaventura da Terracina, prestatore ad Arezzo tra il 1449 e il 1451 che quindi il Salomone andato incontro al fallimento possa essere lo zio del medico in questione.
166
magistratura degli Otto di Guardia e Balia la facoltà di esercitare l’arte medica, tanto presso gli ebrei quanto presso i cristiani, nella città, nel contado e nel distretto di Firenze512.
Per quanto riguarda invece la risposta ai cinque quesiti che mi ero posto al momento di affrontare la ricerca sul prestito ebraico, in particolare quelli relativi al fatto se tutti o quasi tutti gli ebrei feneratori provenissero dall’area romano- laziale, e se la Chiesa di Roma avesse avuto un ruolo decisivo per l’espansione del credito ebraico, credo che si possa dare una risposta conclusiva, per quanto ovviamente non definitiva: fatta eccezione dei prestatori ebrei provenineti dal mondo germanico e francese, discesi nella pianura padana alla fine del XIV secolo, effettivamente i prestatori ebrei nell’Italia del Basso Medievo erano quasi tutti di origina romana o romano-laziale. Costoro, a partire dalla prima metà del XIII secolo, offrirono i propri servigi a esponenti del mondo ecclesiastico e comunale, sia nel Lazio che in Umbria e, alla fine del XIII secolo anche nella Marche, per poi passare agli inizi nel secolo successivo in Toscana e in seguito nell’Italia padana.
Tale corrente migratoria ha avuto, a mio parere, per lo meno due ondate: la prima tra il XIII e il primo terzo del XIV secolo ha investito l’ Umbria, le Marche e alcune zone della Toscana, in particolare il Senese; la seconda ondata si è sviluppata tra l’ultimo quarto del XIV e la metà del XV secolo, e ha investito tutta la Toscana e l’Italia settentrionale, mentre quasi in contemporanea o poco dopo, una corrente migratoria di prestatori ebrei è discesa nel Regno di Napoli.
Il ruolo della Chiesa di Roma e in particolare della Curia romana è stato fondamentale per il formarsi del ceto di banchieri ebrei romani i quali, ancora nel XV secolo, manterranno quasi inalterati gli stetti rapporti politici e finanziari con la Curia stessa.
Il capitale iniziale per il prestito ebraico, ma possiamo dire il capitale in generale per ogni singolo prestatore, poteva derivare sia dal capitale commerciale del feneratore stesso o di altri feneratori, sia da forme di capitalizzazione dovute all’immissione di capitali occulti, cioè non manifestamente rintracciabili, da parte
512
167
di cristiani appartenenti a tutti i ceti sociali quali: mercanti, artigiani, aristocratici, notai, uomini di chiesa ecc.
Sul perché invece non fossero presenti banchieri ebrei provenienti dal meridione e dalla Sicilia, credo che la risposta meriti un’attenzione particolare.
La condizione giuridica degli ebrei meridionali e siciliani, servi camere
regie, può aver avuto un effetto limitante all’affermazione di prestatori ebrei locali
che pur dovevano essere presenti sul territorio dei due regni.
La condizione giuridica inoltre descriveva una condizione sociale e politica di precarietà della presenza ebraica, non soltanto di fronte al potere monarchico, ma anche di fronte a quelli che erano, in determinate circostanze storiche, i veri detentori del potere politico e territoriale con gradazioni diverse sia a Napoli che in Sicilia: i baroni.
Questa condizione, politica, sociale e giuridica che al momento della fondazione del Regno di Sicilia nel 1130 e anche prima con la conquista normanna del Meridione, era stata un punto di forza non solo per gli ebrei, ma anche per le altre minoranze religiose del regno, come i musulmani, si trasformò, dopo la Guerra del Vespro (1282-1302) in un punto di sfavore, nel momento soprattutto di indebolimento del potere monarchico a Napoli dopo la morte di Roberto I il Savio e in Sicilia dopo la morte di Federico III.
Gli ebrei del Meridione e della Sicilia seguirono le sorti precarie dei ceti mercantili locali, vessati da guerre, carestie, pestilenze e messi sotto scacco dalla penetrazione economica e finanziaria toscana.
Mi sono chiesto infine nel corso di questo ultimo anno di ricerca quale fosse l’utilità dello studiare una famiglia di feneratori ebrei, per quanto sia stato un lavoro basatosi su materiale documentario in gran parte inedito, collegandolo a una più generale interpretazione della presenza di ebrei feneratori nell’Italia Centro-settentrionale tra il XIII e il XV secolo.
Ebbene credo, come è stato scritto da più parti513, che l’utilità possa consistere nello studiare la storia ebraica unitamente alle ad altre branche della storia medievale, in particolare alla storia economica e giuridica dell’Italia
513
Cfr. “Diversi angoli di visuale” fra storia medievale e storia degli ebrei. In ricordo di Michele Luzzati. Atti del convegno, Pisa 1-3 febbraio 2016, a cura di A.M. Pult Quaglia e A. Veronese, Pisa, 2016.
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medievale, ma non solo, per contribuire a quel percorso di riscrittura del tessuto urbano e agrario della Toscana del Basso Medioevo.
169
171 CONCILIO LATERANENSE IV (1215)
DECRETA
RIGUARDANTI GLI EBREI
67. De usuris Iudæorum
Quanto amplius christiana religio ab exactione compescitur usurarum tanto gravius super his Iudæorum perfidia inolescit ita quod brevi tempore christianorum exhauriunt facultates. Volentes igitur in hac parte prospicere christianis ne a Iudæis immaniter aggraventur synodali decreto statuimus ut si de cætero quocumque prætextu Iudæi a christianis graves et immoderatas usuras extorserint christianorum eis participium subtrahatur donec de immoderato gravamine satisfecerint competenter. Christiani quoque si opus fuerit per censuram ecclesiasticam appellatione postposita compellantur ab eorum commerciis abstinere. Principibus autem iniungimus ut propter hoc non sint christianis infesti sed potius a tanto gravamine Iudæos studeant cohibere. Ac eadem pœna Iudæos decernimus compellendos ad satisfaciendum ecclesiis pro decimis et oblationibus debitis quas a christianis de domibus et possessionibus aliis percipere consueverant antequam ad Iudæos quocumque titulo devenissent ut sic Ecclesiæ conserventur indemnes.
68. Ut Iudæi discernantur a christianis in habitu
In nonnullis provinciis a christianis Iudæos seu Saracenos habitus distinguit diversitas sed in quibusdam sic quædam inolevit confusio ut nulla differentia discernantur. Unde contingit interdum quod per errorem christiani Iudæorum seu Saracenorum et Iudæi seu Saraceni christianorum mulieribus commisceantur. Ne igitur tam damnatæ commixtionis excessus per velamentum erroris huiusmodi excusationis ulterius possint habere diffugium statuimus ut tales utriusque sexus in omni christianorum provincia et omni tempore qualitate habitus publice ab aliis populis distinguantur cum etiam per Moysen hoc ipsum legatur eis iniunctum. In diebus autem lamentationis et dominicæ passionis in publicum minime prodeant eo quod nonnulli ex ipsis talibus diebus sicut accepimus ornatius non erubescunt incedere ac christianis qui sacratissimæ passionis memoriam exhibentes lamentationis signa prætendunt illudere non formidant. Illud autem districtissime inhibemus ne in contumeliam redemptoris prosilire aliquatenus præsumant. Et quoniam illius dissimulare non debemus opprobrium qui probra nostra delevit præcipimus præsumptores huiusmodi per principes sæculares condignæ
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animadversionis adiectione compesci ne crucifixum pro nobis præsumant aliquatenus blasphemare.
69. Ne Iudæi publicis officiis præficiantur
Cum sit nimis absurdum ut Christi blasphemus in christianos vim potestatis exerceat quod super hoc Toletanum concilium provide statuit nos propter transgressorum audaciam in hoc capitulo innovamus prohibentes ne Iudæi officiis publicis præferantur quoniam sub tali prætextu christianis plurimum sunt infesti. Si quis autem officium eis tale commiserit per provinciale concilium quod singulis præcipimus annis celebrari monitione præmissa districtione qua convenit compescatur. Officiali vero huiusmodi tamdiu christianorum communio in commerciis et aliis denegetur donec in usus pauperum christianorum secundum providentiam diœcesani episcopi convertatur quicquid fuerit adeptus a christianis occasione officii sic suscepti et officium cum pudore dimittat quod irreverenter assumpsit. Hoc idem extendimus ad paganos.
70. Ne conversi ad fidem de Iudæis veterem ritum Iudæorum retineant
Quidam sicut accepimus qui ad sacri undam baptismatis voluntarii accesserunt veterem hominem omnino non exuunt ut novum perfectius induant cum prioris ritus reliquias retinentes christianæ religionis decorem tali commixtione confundant. Cum autem scriptum sit maledictus homo qui terram duabus viis ingreditur et indui vestis non debeat lino lana que contexta statuimus ut tales per prælatos ecclesiarum ab observantia veteris ritus omnimodo compescantur ut quos christianæ religioni liberæ voluntatis arbitrium obtulit salutiferæ coactionis necessitas in eius observatione conservet. Cum minus malum existat viam domini non agnoscere quam post agnitam retroire.
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DOCUMENTI
ARCHIVIO DI STATO DI FIRENZE
DIPLOMATICO, VOLTERRA, COMUNE
N. 10289, 20 GENNAIO 1226 Reg. REG. VOLAT., n. 421
In nomime domini nostri Ieshu Christi, amen. Anno nativitatis millesimo