La prima documentazione certa che sulla presenza ebraica nel contado aretino legata all’attività di prestito è una procura notarile (procuratio domine
Stelle hebree), redatta a Cortona e datata 28 gennaio 1388, nella quale si attesta
che Daniellus hebreus, figlio del defunto Abramuccio di Sabatuccio da Lucignano, con espresso consenso del suo curatore, l’ebreo Deodato del fu Daniele da Assisi, nominava quale suo procuratore la madre Stella, vedova del detto Abramuccio, per la riscossione di crediti che lo stesso Daniele vantava nei confronti del Comune di Lucignano, in quanto erede di suo padre Abramuccio, col quale evidentemente il Comune di Lucignano aveva contratto in precedenza dei debiti343.
Il documento non menziona espressamente la presenza di un banco di prestito a Lucignano, tuttavia il fatto che il comune della Val di Chiana fosse indebitato con l’ebreo Abramuccio, dimorante nel paese stesso, sta a indicare con tutta probabilità l’esistenza del banco, forse attivo da parecchi anni e dismesso a causa della morte di Abramuccio.
Il credito di Abramuccio nei confronti del Comune di Lucignano potrebbe derivare dai questi prestiti forzosi che le autorità pubbliche di un comune o di una stato chiedevano preventivamente ai prestatori prima di aprire il banco oppure
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richiedevano di tanto in tanto, nel corso del funzionamento del banco stesso, prestiti spesso a costo zero o con un tasso d’interesse irrisorio, per poter sopperire a bisogni particolari quali una calamità naturale (carestia) oppure una calamità politica (guerra).
Abramuccio è definito quondam Sabatucii de Lucignano, quindi forse significa che già il padre di Abramuccio e cioè Sabatuccio era dimorante a Lucignano.
Per questi motivi possiamo retrodatare la presenza ebraica e forse la presenza di un banco feneratizio ebraico nel territorio aretino per lo meno di una decina di anni e forse anche di più.
Tra l’altro nel documento si attesta la dimora nella città di Cortona (dove l’atto è stato rogato) sia del promotore dell’atto, Daniele del fu Abramuccio, che dal suo curator Deodato di Daniele da Assisi344, ne possiamo dedurre che anche a Cortona la presenza ebraica è attestata con certezza prima della stipula della condotta del 1404.
Un’altra attestazione della presenza di un banco feneratizio gestito da ebrei a Arezzo, che costituisce la prima attestazione certa della presenza ebraica nella città, è una condotta del 28 agosto 1388, con la quale il consiglio dei Priori concedeva l’esercizio del prestito per dieci anni a Deodato di Ariele da Assisi, Salomone di Matassia, Leone di Consiglio da Camerino e Sabatuccio di Vitale.
La condotta, articolata in capitoli, regolava i rapporti con gli ebrei feneratori: venivano fissate le regole per la registrazione dei pegni, per la vendita degli oggetti non riscattati, per il pagamento delle tasse e inoltre si assicurava agli ebrei la possibilità di acquisto di beni immobili, la sicurezza nell’esercizio
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Questo personaggio a mio parere merita un discorso a parte, poiché potrebbe essere la stessa persona che guida la societas per il prestito ad Arezzo nell’agosto 1388, tuttavia come vedremo di seguito la persona indicata nella condotta aretina si chiama Deodato di Ariele da Assisi e non di Deodato di Daniele da Assisi. Perciò è possibile che sia lo stesso Deodato di Daniele olim de Assisio e dimorante in Gubbio che nel novembre 1368 per conto di un altro ebreo, Musetto di Genatuccio, pagava l’affitto della sua casa a Gubbio. Secondo Ariel Toaff, Deodato potrebbe aver esercitato il prestito a Gubbio in maniera semiclandestina poiché il prestito fu autorizzato nella città umbra solo nel 1384, cfr. A. Toaff, Gli ebrei a Gubbio, in Bollettino della deputazione di storia patria per l’Umbria, LXXVIII (1981), pp.154-155.
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dell’attività feneratizia e della libertà religiosa, ma soprattutto l’uguaglianza con i cittadini aretini345.
Va sottolineato che proprio nell’anno in cui venne stipulata la condotta con gli ebrei prestatori, qualche mese prima, lo stesso consiglio dei Priori aveva proibito ai fiorentini di prestare a usura, sia su pegno che mediate scritture private o notarili (ad cartulam), ad Arezzo e nel suo contado, perché il tasso d’interesse da loro praticato era eccessivo (cum maxima usurarum voragine), mentre la stessa attività era consentita agli aretini346.
Vorrei fa notare che la proibizione del prestito ai fiorentini da parte delle autorità aretine cadde nel periodo successivo alla conquista di Arezzo da parte di Firenze, avvenuta nel 1384, che segnò per la città la fine permanente della sua indipendenza politica.
Ritengo che la proibizione del prestito a feneratori cristiani non aretini non debba essere vista come un attacco agli interessi economici dei fiorentini, che avrebbero avuto tutti gli strumenti, politici e non, per respingere attacco (se così vogliamo considerarlo) proveniente da una città appena sottomessa, quanto piuttosto credo che questo tipo di scelta fatta dalle autorità di un comune, in genere sia il presupposto giuridico e politico per consentire l’introduzione entro le mura cittadine e nel contado del prestito ebraico, come abbiamo già avuto modo di verificare nel caso di Perugia nel XIII secolo347.
Oltretutto la formale approvazione da parte delle autorità fiorentine all’esercizio del prestito ad Arezzo da parte di questa compagnia di ebrei giunse il 7 gennaio 1390, e con l’autorizzazione i fiorentini imposero anche una tessa di 100 fiorini annui per tre anni per l’esercizio del prestito ad Arezzo348.
Il prestito ebraico infatti poteva essere più conveniente per una determinata città del prestito cristiano, poiché i tassi d’interesse dei banchieri ebrei erano di gran lunga inferiori a quelli di agenzie bancarie cristiane, soprattutto fiorentine o toscane in generale, in quanto potevano contare su un regime fiscale più
345
Nel documento si sottolineava come fosse «necessarium et opportunum habere feneratores…propter multas tempestates et clades civium et divitiarum», cfr. Tricomi, Gli
ebrei ad Arezzo, p. 29.
346
Salvadori-Sacchetti, Presenze ebraiche nell’aretino, pp. 19-20. 347
Cfr. supra, p. 50. 348
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favorevole, soprattutto grazie al fatto che gli ebrei, anche se per un determinato tempo (in genere il tempo della condotta), erano a tutti gli effetti cittadini del luogo in cui prestavano.
Questo stato di cose era a garanzia sia dei prestatori ebrei che delle autorità cittadine, poiché il possesso della cittadinanza tutelava gli ebrei sia internamente che esternamente alla città, in quanto essi non erano considerati stranieri nella città in cui prestavano e non potevano per questo subire rappresaglie né le autorità cittadine erano costrette ad agire in rappresaglia contro di essi, magari controvoglia (danneggiando così gli interessi economici della città stessa), proprio perché cittadini del luogo in cui prestavano.
Nonostante l’abrogazione del divieto di prestare a interesse fatto ai feneratori cristiani non aretini venisse abrogato già nel 1389, abrogazione che consentiva di accogliere non più di quattro banchi per cinque anni, i prestatori cristiani non tornarono più ad Arezzo, forse perché ritennero eccessiva la tassa di 100 fiorini che sarebbero stati tenuti a pagare se avessero riaperto i banchi oppure perché non erano in grado di affrontare la concorrenza ebraica349.
Il 12 agosto 1390 anche la gabella di 100 fiorini venne soppressa, ma nemmeno questa facilitazione permise ai feneratori cristiani di riprendere l’attività di prestito, tant’è che nel 1399, scaduta la condotta di dieci anni prima, le autorità aretine ne stipularono una nuova, della durata di venti anni, con una grande compagnia ebraica composta da dieci soci e guidata da Gaio di maestro Angelo da Siena, il quale dopo una serrata trattativa era riuscito a ottenere il premesso di esercitare il prestito ad Arezzo 350.
Gaio infatti aveva presentato una proposta di condotta per esercitare artem
et ministerium usuratus alle autorità aretine, le quali avevano riunito una
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Tricomi, Gli ebrei ad Arezzo, p. 20. 350
Gli altri soci di Gaio erano: Consiglio di Dattero di Consiglio da Siena, Sabato di Dattero di Consiglio da Pisa e suo figlio Musetto, Manuello e Bonaventura di Abramo di Dattero da Perugia abitanti a Città di Castello, Deodato di Abramo di Deodato da Perugia, abitante a Città di Castello, Genatano del maestro Angelo da Perugia, Salomone e Sabatino di Vitale da Montepulciano. Costoro erano tutti di origine romana e alcuni di essi, come Sabato di Dattilo e suo figlio Musetto divennero titolari nello stesso anno di un banco di prestito a Pistoia a condizioni simili di quelle previste ad Arezzo, cfr. Salvadori- Sacchetti, Presenza ebraiche nell’aretino, pp. 20-21.
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commissione composta da Priori e notabili per valutare la proposta, proprio nei giorni della Settimana Santa del 1399.
Valutata positivamente la proposta, la commissione presentò un rapporto (che consisteva in una copia dei termini richiesti e nella raccomandazione che venisse concessa la richiesta stessa) al Consiglio del Comune di Arezzo, il quale approvò la petizione aggiungendo però una provvisione: nessun cittadino aretino e nemmeno il Comune di Arezzo sarebbero stati in obbligo di difendere Gaio e i suoi soci qualora le autorità fiorentine avessero deciso di imporre qualche ulteriore gabella sulla loro attività.
Alle autorità fiorentine, infatti, spettava l’ultima parola per la ratifica della condotta. Gli aretini inviarono a Firenze due ambasciatori, prima il giureconsulto Francesco Albergotti e pochi giorni dopo Carlo da Mignano, per vincere le resistenze dei Priori e dei Collegi della città dominante, in quanto per ratificare l’accordo era necessario convincere i Priori fiorentini a concedere una deroga al divieto, allora vigente, che escludeva la presenza degli ebrei prestatori dal territorio fiorentino351, divieto che secondo alcune interpretazioni ricomprendeva anche le città sottomesse352.
L’accordo comunque fu approvato dai fiorentini già il 28 aprile del 1399, con somma soddisfazione di entrambe le parti.
I capitoli della condotta che Gaio e i suoi soci stabilirono con il Comune di Arezzo contenevano, oltre alle clausole tipiche delle condotte di quest’epoca, anche la definizione del tasso d’interesse da applicare, in questo caso del 30% annuo (sei denari per lira al mese). Si trattava di uno dei più alti tassi dato che in genere il tasso d’interesse applicato dai banchieri ebrei oscillava tra il 15% e il 30%. Esso era tuttavia inferiore al tasso d’interesse applicato dai prestatori cristiani353.
Anche a Poppi, territorio dei conti Guidi, nell’ultimo decennio del Trecento sono segnalati due prestatori ebrei, Manuele di maestro Mosè da
351
Il divieto per la città di Firenze fu definitivamente abrogato nell’ottobre 1437, cfr. Cassuto, Storia degli ebrei di Firenze, p. 32.
352
A. Mohlo, A note on Jewish Moneylenders in Tuscany in late Trecento and early
Quattrocento, in Reinessance studies in honor of Hans Baron, Firenze, 1971, pp. 101-
102. 353
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Castiglione Aretino e Salomone, già protagonisti di una denuncia contro un cittadino di Poppi354.
Manuele di maestro Mosè da Castiglione Aretino era già stato attestato come abitante di Poppi nel 1384, ma la sua attività come prestatore è documentata a partire dal 1393, anche se non viene mai ricordata la presenza di un banco355.
Nel 1396 è segnalata anche l’attività di prestito del citato Salomone e del figlio David, per cui alla fine del Trecento a Poppi erano presenti ben due prestatori ebrei, di cui uno per lo meno che presta con un suo congiunto356.
Dalla fine del Trecento a Poppi Manuele di maestro Mosè non compare più nella documentazione, mentre dal 1402 troviamo costantemente citato maestro David figlio del defunto Salomone, che probabilmente è lo stesso David citato precedentemente.
In quegli anni maestro David risulta effettuare diverse transazioni, soprattutto compravendite di case e terreni e risulta avere presso di sé un figlio di nome Servadio (Obadiah in ebraico), che compare come prestatore a fianco del padre sin dal 1397357.
Sempre in quegli anni in un documento datato 20 settembre 1405, compare un altro ebreo, Salomone, sposato a donna Stella, il quale viene condannato in solido con la moglie (verosimilmente ad una pena pecuniaria), per aver danneggiato degli alberi di noci siti sull’isola dell’Arno e di proprietà di ser Antonio358.
Salomone non risulta essere un prestatore e potrebbe essere un altro dei figli del già citato maestro David di Salomone, il quale continua ad esercitare il
354
Cfr. supra p. 106. 355
Nell’aprile 1393 Manuele di maestro Mosè citò in giudizio Bonino di Uccio da Corsignano, per un debito di L. 8 (AVP, 3977, c. 78v); nel giugno dello stesso anno fece sequestrare a Paolo di Nanni di Agna il raccolto di grano per un debito di L. 4 (AVP, 3977, c. 127v); in agosto fece citare in giudizio Angelo di Biagio di Incisa, abitante di Poppi per un debito di due fiorini, per i quali Angelo aveva lasciato in pegno una rete da pesca (AVP, 3977, c. 150r); in novembre risulta creditore per L. 12 nei confronti di Bettino di Bartolomeo da Poppi (AVP, 3977, c. 237r); nel 1395 sempre Manuele si oppose al sequestro di una casa sostenendo di avere un diritto di prelazione, per un credito concesso in precedenza (ASFi, NA, 13935, c. 32v), cfr. Bicchierai, Ai confini
della Repubblica, pp. 135-136.
356
Bicchierai, Ai confini della Repubblica, p.136. 357
Bicchierai, Ai confini della Repubblica, p. 137.
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prestito con l’altro figlio Servadio, tuttavia negli anni successivi a causa di una carenza nella continuità documentaria se ne perdono le tracce359.
Per trovare una ulteriore attestazione della presenza ebraica a Poppi dobbiamo aspettare il 1419, anno in cui risulta abitare a Poppi Bonagiunta di Bramuccio (Abramuccio) da Rimini, trasferitosi colà con la famiglia per esercitare il prestito360, che in quell’anno stipulò un contratto societario per aprire un banco di pegni a Poppi, con altri due ebrei feneratori: Salomone di Buonaventura di Salomone di Sabato da Terracina, residente a Lucignano, nel contado senese e Daniele di maestro Musetto da Forlì361.
Similmente a quanto avvenuto a Poppi, vi è un’attestazione di prestatori ebrei a Borgo San Sepolcro, già nell’ultimo decennio del Trecento. Borgo San Sepolcro all’epoca non faceva parte del contado aretino e quindi non era sottomessa a Firenze (lo sarà nel 1441), ma era governata da Galeotto Belfiore Malatesta, signore di Cervia, Meldola, Borgo e Montefiore, una signoria i cui territori si trovavano tra la Toscana e la Romagna.
Già nel 1393 a Borgo è menzionato il banchiere ebreo Dattolo di Salomone al quale il Comune borghigiano chiese un prestito362. Nel 1394 il Malatesta permise l’esercizio del prestito a una societas di feneratori ebrei composta da maestro Bonaventura e Guglielmo Manoello, dei quali il menzionato Dattolo di Salomone era il fattore.363
Un anno dopo Dattolo ottenne dal Malatesta di poter continuare l’attività del banco insieme a maestro Ventura di Dattolo da Città di Castello, già suo socio, e poter associare nella conduzione del banco anche Manuele di Abramo da
359
Bicchierai, Ai confini della Repubblica, p. 138. 360
Bicchierai, Ai confini della Repubblica, p. 138. Bicchierai sostiene che la presenza a Poppi di Bonagiunta di Bramuccio da Rimini è datata dal 1427, ma credo che alla luce del documenti del notaio Tommaso da Farneta, possiamo retrodatarla al 1419.
361 ASFi, NA, Tommaso di ser Francesco di ser Adamo da Farneta, n. 20300, cc. 80 v-82
v, 28 novembre 1419. 362
G.P.G. Scharf, Fra economia urbana e circuiti monetari intercittadini: il ruolo degli
ebrei a Borgo San Sepolcro a metà del Quattrocento, in «Archivio Storico Italiano», III,
1998, pp. 447-477. 363
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Perugia e Allenuccio di Angelo da Montefiascone di Ferrara364, nonostante che gli statuti ponessero dei divieti alla pratica dell’usura, ma forse solo a quella ebraica.
Nel corso del 1395 il Comune di Borgo cercò di porre limitazioni all’attività bancaria degli ebrei, forse perché i nuovi venuti facevano concorrenza a personggi influenti in città, gestori di circuiti creditizi locali; tuttavia nel luglio dello stesso anno, il Malatesta, con un rescritto signorile, concesse la cittadinanza di Borgo a Dattolo, che ne aveva fatto richiesta, derogando a una norma contenuta negli statuti stessi365.
La conseguenza principale dell’autorizzazione di un banco di prestito gestito da ebrei ad Arezzo fu l’apertura da parte di varie città e comunelli del territorio aretino all’esercizio di prestito ebraico, con la stipula di condotte: nel 1404 venne autorizzato il prestito a Cortona366; nel 1404/1406 a Borgo San Sepolcro367; nel 1407 a Castiglione Fiorentino e a Montepulciano; Poppi nel 1419368 e nel 1421 a Monte San Savino.369
364
Anche in questo caso gli ebrei feneratori erano di ascendenza romana ed erano entrati nell’Aretino provenendo per la maggior parte dalla vicina Umbria e in misura minore dalla Romagna e dalle Marche, seguendo la corrente ascensionale degli ebrei romani. 365
Scharf, Fra economia urbana, p. 450. I feneratori ebrei godettero di un ampio favore da parte del Malatesta, emerge una situazione simile anche a Cesena, anch’essa sotto il dominio malatestiano, cfr. M.G. Muzzarelli, Ebrei e città d’Italia in età di transizione: il
caso di Cesena dal XIV al XVI secolo, Bologna, 1984, pp. 88-90.
366
A Cortona venne aperto un banco da Deodato di Abramo di Deodato da Perugia, già nella compagnia della condotta del 1399 ad Arezzo. Nel 1405 altri due ebrei, i fratelli Bonaventura e Manuello di Abramo di Dattero da Perugia, aprirono un secondo banco, ottenendo una licenza per il prestito per venticinque anni, con l’interesse del 30% annuo, cfr. Salvadori-Sacchetti, Presenze ebraiche nell’aretino, p. 27.
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Una nuova condotta a Borgo San Sepolcro fu concessa dal Comune nel 1404 (e approvata dal nuovo signore Pandolfo Malatesta due anni dopo) a Musetto dal Borgo e a Manuele e Bonaventura di Abramo di Dattero da Perugia, abitanti a Città di Castello. La condotta fu poi prorogata di dieci anni. A partire dalla fine del Trecento a Borgo fu presente un banco feneratizio senza soluzione di continuità. Una ulteriore condotta fu concessa nel 1436, quando la città era tornata sotto il dominio pontificio, a Salomone di Bonaventura, anch’egli di Città di Castello, rappresentato da Giacobbe e Abramo figli di Musetto dal Borgo, precedente concessionario, cfr. Scharf, Fra economia urbana, p. 451; Tricomi, Gli ebrei ad Arezzo, p. 39.
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ASFi, NA, n. 20300, Ser Tommaso di ser Francesco di ser Adamo da Farneta, cc 80 v- 81 bis v, 28 novembre 1419. Dal documento è ricavabile l’attestazione di un banco di prestito a Poppi in quanto si parla di un accordo stipulato il 28 novembre 1419 tra Salomone di Bonaventura di Salomone di Sabato da Terracina e Daniele di maestro Musetto da Forlì per costituire una società per commerciare «et seu presto et banco mutui ad fenus» sia su pegno che ad cartas a Poppi e nel suo distretto.
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Il prestito ebraico nell’aretino continuò per tutto il XV secolo, con piccole anche se significative battute di arresto, in particolare mi riferisco alla vertenza del 1428 che vide contrapporsi in ambito giudiziario i rappresentanti del Comune di Cortona e i titolari del banco di prestito della città, Dattalo di Angelo da Corneto e Salomone di Aleuccio da Arezzo ed altri contitolari, i cui capitoli erano giunti alla scadenza370.
Dattolo e Salomone erano entrambi banchieri affermati, influenti e molto ricchi, tuttavia ritengo che Salomone di Aleuccio da Arezzo371 possa essere considerato il principale banchiere ebreo ad Arezzo e nel suo territorio nella prima metà del XV secolo.
Numerosi sono i documenti notarili che attestano l’attività feneratizia del padre di Salomone, Aleuccio, del fratello Guglielmo, del figlio anch’egli col nome di Aleuccio e di professione medico.
Aleuccio senior figlio di Daniele de Urbe, era presente in Arezzo come feneratore già nel 1404, quando nominò procuratore il figlio Salomone per riscuotere un credito di 600 fiorini d’oro da Tommaso Rucellai, provvisore della Camera del Comune di Firenze372.
La questione giudiziaria cortonese verteva sul fatto che i due ebrei feneratori erano accusati di aver perseguito nel corso degli anni con dura determinazione la riscossione dei crediti, non esitando a ricorrere alla vie legali, facendo rinchiudere in carcere i debitori insolventi e costringendo altri a fuggire o darsi alla latitanza per evitare la galera.
In particolare a Dattalo di Angelo si imputava un’arroganza senza freni, facendosi scudo della sua ricchezza poteva infatti ingaggiare i migliori avvocati
370
L’intera vicenda giudiziaria è stata studiata da Girolamo Mancini, che riunì i vari documenti nel 1891 in un unico volume, il codice 520 dell’Accademia Etrusca di Cortona, cfr. Salvadori-Sacchetti, Presenze ebraiche nell’aretino, pp. 28- 31.
371
Non concordo con quanto sostenuto da Salvadori in Presenze ebraiche nel territorio
Aretino, a p. 28, nota 29, in quanto ritengo, come da documentazione prodotta, che
Salomone di Aleuccio non sia morto tra il 1443 e il 1448/1449, poiché dal documento