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Lettere inedite di Giovanni Battista Cavalcaselle all’abate Pietro Mugna 1869-1878. Dalle informative feltrine all’edizione italiana della New History of Painting

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Lettere inedite

di Giovanni Battista Cavalcaselle

all’abate Pietro Mugna

1869-1878

Dalle informative feltrine all’edizione italiana

della New History of Painting

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Lettere inedite

di Giovanni Battista Cavalcaselle

all’abate Pietro Mugna 1869-1878.

Dalle informative feltrine all’edizione italiana della New History of Painting

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Lettere inedite di Giovanni Battista Cavalcaselle all’abate Pietro Mugna 1869-1878.

Dalle informative feltrine all’edizione italiana della

New History of Painting di GiorGio Fossaluzza

Questo volume viene pubblicato con il contributo del Dipartimento Culture

e Civiltà dell’Università degli Studi di Verona,

Fondi F.U.R.

l’autore ringrazia in modo speciale

Elena Necchi Università degli Studi di Pavia, per l’assistenza generosa e sagace nell’edizione dei documenti

Michele Faustini

per la redazione dei testi e della bibliografia

Stefano Pizziolo

per il progetto grafico e l’impaginazione

Mariangela Pizziolo

per gli indici dei nomi e dei luoghi si ringraziano per la preziosa e disponibile collaborazione Klaus Kempf Corrado Viola Tiziana Franco Francesca Rossi Valerio Terraroli Manuel Boschiero Renato Camurri Fabio Coden Fabio Danelon Fabio Forner Stefano Genetti Paolo Pellegrini Alvise Rossi di Schio Alessandra Zamperini

ed inoltre un grazie a

Paola Artoni Silvano Bonicalzi Gianfranco Cenghiaro Elisa Antonietta Daniele Bruno Duina

Silvia Franciosi Alessandro Moro

Biblioteca civica Bertoliana di Vicenza, Sala riservata

Sergio Merlo, Oreste Palmiero, Barbara Dalla Pozza, Mattea Gazzola, Stefano Beni

Biblioteca Nazionale Marciana di Venezia, Susy Marcon Archivio di Stato di Piacenza

Anna Riva

Biblioteca Comunale Passerini Landi di Piacenza

Massimo Baucia

Biblioteca Ambrosiana di Milano

Federico Gallo, Trifone Cellamaro

Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, David Speranzi Biblioteca Civica di Feltre

Michela Zanella

Archivio di Stato di Trento

Carmine Venezia

Hrvatski restauratorski zavod, Zagreb, Visnja Bralić

Strossmayerova galerija starih majstora. Hrvatska akademija znanosti i umjetnosti, Zagreb,

Ljerka Dulibić

Odsjek za povijest umjetnosti, Filozofski fakultet Sveučilišta, Zagreb, Ana Munk

Učiteljski fakultet Sveučilišta u Zagrebu, Andrea Feldman Biblioteca Civica A.G. Barrili, Savona, Marco Genzone Biblioteca Civica di Padova

Chiara Maroso, Maria Sacilot, Luciano Mazzocco

Biblioteca Comunale Teresiana di Mantova, Cinzia Palù Biblioteca Civica di Montegalda

Chiara Pellizzari

Fondazione Giovanni Angelini di Belluno, Ester Angelini Comune di Schio

Ivonne Valente

Biblioteca Comunale di Schio

Maria Lucia Dalle Molle, EDIZIONI STILUS

www.edizionistilus.com

Senza autorizzazione è vietata la riproduzione, anche parziale o a uso interno didattico, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia . © 2019 Edizioni Stilus di Grafica 6 Snc Zero Branco, Treviso Tel. 0422 345332 www.grafica6.com

ISBN 9788898181315

Lettere inedite di Giovanni Battista Cavalcaselle

all’abate Pietro Mugna

1869-1878

Dalle informative feltrine all’edizione italiana

della New History of Painting

Giorgio Fossaluzza

Referenze fotografiche

©Vicenza, istituzione Pubblica

culturale bibliotecaciVica

bertoliana, Servizio Manoscritti Archivi & Area Antica

©Venezia, biblioteca

nazionale Marciana,

Su concessione del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, Prot. 3424 e 3702 cl. 28.34.10.10/9

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in ricordo di Eraldo Bellini

per aver condiviso gli anni più stimolanti e formativi nelle aule dell’Università Cattolica di Milano, per la profonda amicizia e l’autentica familiarità

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I poliedrici interessi e le pubblicazioni di Pietro Mugna, abate vicentino dalla vocazione mitteleuropea, diligen-temente riportati in questo volume e indagate nel loro contesto enunciativo, ci offrono chiavi interpretative e spunti di riflessione sullo scambio accademico contemporaneo e sui suoi canali di diffusione.

In un mondo interconnesso e imperniato su una comunicazione virtuale, volatile e immateriale, come quello odierno, la corrispondenza di Pietro Mugna con i suoi numerosi interlocutori, nomi noti, meno noti e notissimi del panorama cultu-rale europeo di secondo Ottocento, testimonia con chiarezza la materialità delle idee. Scambiate tra due o più personalità, la loro trasmissione dipendeva da un supporto, destinato alla distruzione o alla sopravvivenza e quindi alla conservazione delle stesse, che sono giunte fino a noi. Lettere che, vale la pena ricordarlo, hanno viaggiato agilmente in un’Europa allora divisa in Stati compositi e separati tra loro da stazioni e dogane, consegnando il loro contenuto alle persone cui erano des-tinate. Le quali, a loro volta, hanno accettato, dibattuto, confutato, apprezzato o respinto le idee, le posizioni, le prospettive di giudizio che formulano.

I temi toccati e discussi in questa vasta corrispondenza sono troppi per enumerarli tutti. Ma alcuni meritano una menzione speciale, anche rispetto alla vicenda letteraria e biografica di Pietro Mugna. Soprattutto riguardo alla dialettica che l’abate, d’origine vicentina, ma studente prima e professore a Vienna poi, aveva sviluppato e allacciato con il mon-do erudito tedesco, tanto nei panni di traduttore, quanto in quelli di interlocutore attento e sensibile agli interessi e ai metodi “didattici” degli studiosi tedeschi. L’abate Pietro Mugna credeva nelle biblioteche e nella salvaguardia unita alla diffusione del sapere. Posizioni per noi ovvie, ma che nella nascente struttura accademica europea erano ancora in piena evoluzione e dalla labile definizione. Ma che, in retrospettiva, sono a fondamento dell’ “epoca d’oro” dell’antiquariato librario. Un periodo che, compreso tra la seconda metà del XIX secolo e la prima guerra mondiale, segna la nascita di grandi collezioni private, la maggior parte delle quali è oggi il nucleo di prestigiose biblioteche universitarie statunitensi (si veda in proposito Kempf 2017, pp. 191-194).

Ecco quindi che, grazie al suo piglio e al suo impegno di traduttore, Mugna ci insegna quanto le biblioteche contino nel dialogo tra mondo tedesco e italiano, come, anzi, ne costituiscano la congiuntura ideale. Perché per le città che le ospitano sono non solo granai del sapere umano, ma più in generale rappresentano istituzioni potenzialmente sovranazio-nali, anche se non linguistiche (o per lo meno in parte) che garantiscono una necessaria continuità nello scambio europeo su temi letterari e artistici. A dispetto dell’iniziale “sottosviluppo” organizzativo e nella documentazione delle collezioni, cioè di una mancata catalogazione, e in un facile accesso ai relativi fondi bibliografici, Mugna e altri personaggi come lui, con il loro impegno da intermediari hanno colmato la distanza tra quelle strutture e le attuali. Le quali, con la loro acces-sibilità, i servizi che offrono, non ultima la digitalizzazione on-line di testi antichi e moderni, promuovono il dialogo a dis-tanza e aprono nuovi e tanti scenari a scoperte e intuizioni future. Consideriamole stadi in cui chiunque possa accodarsi a una staffetta già iniziata da altri, ma il cui traguardo definitivo è sempre da raggiungere, lasciando così la possibilità di inserirsi in scia e progredire nella corsa senza essere vincolati a unità di spazio e tempo. E, forse, nemmeno di tematiche.

Come ci insegna nuovamente l’attività epistolare e editoriale di Pietro Mugna, impegnato tra l’altro nell’esportazione del metodo artistico di Franz Kugler o in un continuo botta e risposta sul dantismo, riattizzato grazie agli scritti di Witte, la cui importanza è ancora oggi imprescindibile.

Allora non è magari fuori luogo richiamare il racconto del Marchese Pietro Selvatico, grande amico e sodale di Pietro Mugna, incentrato sul dialogo artistico tra Giovanni Bellini e Albrecht Dürer, come paradigma e esempio dell’utilità della reciproca conoscenza in sede critica. Poiché solo nel dialogo, anche se condotto con personalità distanti da noi nel tempo e nella geografia, si può avanzare nella ricerca.

In chiusura, altri due punti nodali vanno sottolineati, riguardo argomenti noti e importanti che sono affrontati con nuovi documenti. Il primo: quanto Cavalcaselle debba alla catalogazione artistica di scuola tedesca, inaugurata da Waagen, senza la quale non avrebbe potuto collocare in maniera opportuna la pala del Morto di Feltre, custodita a Berlino. Il secondo: come la traduzione della New History di Crowe e Cavalcaselle intrapresa da Mugna non derivi dall’edizione inglese, ma da quella tedesca curata da Max Jordan. Aneddoto significativo, che rivela una volta in più l’imprescindibile legame con gli ambienti degli storici dell’arte, dei musei e degli accademici transalpini del grande conoscitore internazio-nale qual è Cavalcaselle, come pure dell’abate.

Per avermi invitato a scrivere quest’introduzione desidero ringraziare l’autore del presente volume ricco di spunti inediti, Giorgio Fossaluzza, al quale mi unisce sia la conoscenza reciproca sia la comune amicizia e ricordo di Eraldo Bellini dagli anni di frequentazione dell’Università Cattolica di Milano.

Klaus Kempf

direttore del Dipartimento maggiore “Biblioteca digitale e Bavarica” della Bayerische Staatsbibliothek di Monaco di Baviera

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Sollecita più di una considerazione la lettura di questa nuova fatica di Giorgio Fossaluzza.

Si potrà iniziare registrando un’impressione, o meglio un’evidenza, che giustifica l’uso non metaforico del termine ‘fatica’: abbiamo tra le mani, infatti, un lavoro di scavo che non è difficile supporre lungo e oneroso, ma che appare disimpegnato, per dir così, con levità di slancio e sorvegliata intelligenza.

C’è poi la centralità che vi assume il materiale epistolare. Nulla di nuovo, beninteso, in sede lato sensu storiogra-fica; tanto meno nella storiografia artistica, dove è appena il caso di ricordare, tra medio Settecento e pieno Ottocento, i nomi dei Bottari Ticozzi Cerroti Campori. Si tratta però di una centralità, questa dei testi epistolari, che, nel caso specifico, mi sembra definisca il lavoro in una sua originale peculiarità. Innanzitutto nel configurarlo come edizione di fonti (epistolari, appunto) e nel dichiararlo tale a partire dal titolo, indicando il fuoco dell’interesse, e insomma il nucleo essenziale del contributo, proprio nelle lettere portate in luce, nella non riducibile ricchezza della loro integrità testua-le. Certo, precede, come del resto è prassi in questo genere di lavori, un’ampia introduzione saggistica del curatore, che assolve a ogni debito di inquadramento e contestualizzazione, di chiarimento e informazione, di invito e guida alla lettura dei documenti: ed è la parte riferibile al sottotitolo del libro, Dalle informative feltrine all’edizione della ‘New

History of Painting’, che infatti viene ripreso testualmente nel titolo dell’introduzione. Ma a questo corposo esordio

sag-gistico di taglio monografico lo studioso fa seguire due sezioni altrettanto e persino più estese, intitolate rispettivamente

Pietro Mugna: relazioni, fonti e indagini d’archivio e Pietro Mugna attraverso la corrispondenza, che costituiscono una

compiuta esplorazione di tutta una galassia documentaria (ma soprattutto, e ancora, epistolare), quella relativa al de-stinatario, conservata per gran parte alla Bertoliana di Vicenza. Queste due sezioni si aprono a un’indagine di prima mano sui reseaux de correspondence del Mugna, sulla rete delle sue relazioni intellettuali (e sfilano nomi di rilievo, da Cesare Cantù a Pietro Selvatico, da Franz Kugler a Jacob Burckhardt, da Giacomo Zanella a Imbro Tkalac, da Felice Le Monnier a Gaspero Barbèra), secondo un interesse sempre più vivo e praticato in questi nostri studi; e così introducono documentariamente alla terza e ultima sezione, la quale trascrive e annota il testo delle 51 lettere del Cavalcaselle al Mugna, quelle stesse che, lo si è visto, il titolo del volume indica come di proprio interesse specifico.

Se dunque nelle lettere pubblicate si sente la voce del solo Cavalcaselle - le responsive del Mugna, purtroppo, non ci sono giunte - è invece il Mugna a porsi al centro dell’attenzione e dell’approfondimento dello studioso e a emergere senza meno come il protagonista del volume. A esigerlo non è soltanto la minore notorietà dell’abate vicentino: la foca-lizzazione sul Mugna consente il pieno recupero di un panorama culturale che, tra gli altri meriti, ha quello di definire con maggior precisione la natura dei suoi rapporti con il Cavalcaselle. Così, un manoscritto della Bertoliana, il 3280, contenente la traduzione della Storia della pittura in Italia di Crowe e Cavalcaselle rivista dal Mugna, permette ciò che le lettere di Cavalcaselle consentono in misura parziale e indiziaria («un caso classico di filologia d’autore», nota a proposito Fossaluzza nell’introduzione): accertare, cioè, l’entità della reale collaborazione prestata dal primo al secon-do, che fu non solo di traduttore, ma di rielaboratore, revisore, redattore e curatore dell’opera, di suo acclimatatore in Italia. Una sorta di «alter Crowe per Cavalcaselle».

Ci viene insomma restituita una figura minore ma degna di considerazione nel panorama degli studi storico-artistici nell’Ottocento italiano. Distintosi soprattutto per le intraprese editoriali di traduzione dal tedesco, il prete Mugna inizia con interessi letterari (l’epistolario giordaniano). Conosce il tedesco per aver studiato teologia a Vienna nei primi anni Quaranta del secolo. Metternich ne fa il precettore di sua figlia. Ad Agordo pratica non mediocremente l’alpinismo, si volge a interessi di storia locale e partecipa alla rete di studiosi che comprende Zanghellini a Feltre e Pellegrini a Bel-luno. A Padova è teologo laureato al convento antoniano. Nel 1839 studia Kleist. Per quel che è della storia dell’arte, nel 1844 esce la monografia sui tre Pichler, i maestri di gliptica, di uno dei quali (Luigi, il fratello di Teresa, la moglie di Monti) è amico. Coltiva appassionatamente la bibliografia e la biblioteconomia, sempre in prospettiva italo-tedes-ca. Spiccati infine i suoi interessi danteschi, spesso in caratteristica giunzione con quelli storico-artistici, come nella

quaestio attributiva del Ritratto di Dante della Cappella del Bargello; interessi attestati da un notevole studio su Dante in Germania (1847 e 1869) e dall’edizione per il centenario del 1865 degli Studi sopra Dante (1853) di Emil Ruth,

nonché dai suoi rapporti con illustri dantisti del tempo, da Karl Witte («grande fra i più grandi dantofili») a Quirico Viviani, da Giangiacomo Trivulzio a Luciano Scarabelli e Giacomo Zanella.

Ne viene in definitiva un capitolo di storia degli studi storico-artistici (e non solo), all’intersezione tra radicamenti locali, dimensione italiana e relazioni europee, e sullo sfondo di problemi capitali di metodo vivi nel dibattito dell’epoca (l’approccio filologico vs quello estetico, ad esempio). Il libro è dedicato alla memoria di un comune amico precoce-mente scomparso, Eraldo Bellini: alla sua vivace curiositas, sempre così attiva nelle zone di confine tra le discipline, e segnatamente à la croisée di letteratura e arte, sarebbe sicuramente piaciuto.

Corrado Viola Dipartimento di Culture e Civiltà, Università degli studi di Verona

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Indice

15 Lettere inedite di Giovanni Battista Cavalcaselle all’abate Pietro Mugna 1869-1878. Dalle informative feltrine all’edizione italiana della New History of Painting

Pietro Mugna: relazioni, fonti e indagini d’archivio

96 L’Autobiografia 98 Il Memoriale

100 Il Testamento e l’Inventario dei beni 103 Doni e Legati

104 Bibliografia censita: scritti e traduzioni

109 I Manoscritti della Biblioteca civica Bertoliana di Vicenza e di altre biblioteche 114 I Corrispondenti: tra Mitteleuropa e Italia pre e post unitaria

120 Fondi con lettere a Pietro Mugna 122 Fondi con lettere di Pietro Mugna

Pietro Mugna attraverso la corrispondenza

135 L’autore e il traduttore: il carteggio tra Jacob Burckhardt e Pietro Mugna 145 Un’amicizia programmatica: Pietro Selvatico a Pietro Mugna

177 Per un’intellighenzia artistica ed editoriale: altre lettere a Pietro Mugna. Cesare Cantù, Pietro Nobile, Franz Kugler,

Luigi Pomba, Giacomo Zanella, Gaspero Barbèra, Felice Le Monnier, Joseph Archer Crowe, Rinaldo Fulin Addenda: Giovanni Battista Cavalcaselle a Felice Le Monnier 205 Il Morto da Feltre e le ricerche nella periferia erudita:

Giovanni Battista Cavalcaselle a Francesco Pellegrini, Antonio Zanghellini a Pietro Mugna,

Antonio Zanghellini a Giovanni Battista Cavalcaselle

Giovanni Battista Cavalcaselle a Pietro Mugna.

Problematiche e rapporti editoriali

261 Lettere I - LI: 1869-1878

299 Bibliografia 324 Indice dei nomi 328 Indice dei luoghi

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La presenza di Giovanni Battista Cavalcaselle nei “territori artistici” - oggetto di

innu-merevoli studi e giustamente valorizzata - può ancora essere suscettibile di un’inattesa e

straordinaria apertura di orizzonti, sia nei contesti culturali in senso lato, sia nei risultati

di natura filologica. A patto però che s’indaghino le sue perlustrazioni riconoscendo uno

spazio adeguato alle personalità dei suoi molti interlocutori.

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Eruditi o meno e di vario

li-vello, sono i cosiddetti «locali», immancabili nell’Italia ottocentesca delle piccole patrie,

depositari di una conoscenza e sapienza dei luoghi connessa ai loro geni artistici. Figure

quindi che, entro questa diversità e partendo dalla storia, diventano i presupposti per

la definizione e conoscenza della nazione stessa, poiché anche loro sono “incunaboli”

dell’unità italiana.

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Questa prospettiva di ricerca richiede allo studioso moderno non una unidirezionalità

dello sguardo, cioè di porsi esclusivamente nell’ottica di Cavalcaselle esploratore,

quan-to di superare i pregiudizi, anche se talvolta solo impliciti, sui suoi interlocuquan-tori

periferi-ci (o alla peggio qualificati come provinperiferi-ciali) per valorizzarne invece la funzione spesso

basilare nei risultati finali. O per lo meno nella raccolta preventiva delle informazioni per

le “istruttorie ambientali” di Cavalcaselle, per la conoscenza e il necessario vaglio delle

fonti documentarie, dirette o storiografiche, sulle quali egli basava l’itinerario di

control-lo capillare delle opere al fine di giungere a una classificazione attributiva in “virtù del

suo occhio mentale”. Un processo complesso, dunque, cui segue il tratteggio in loco dei

basilari disegni e appunti e, da ultimo, la stesura della minuta quale profilo dell’artista e

prima valutazione compiuta.

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L’indagine di tali rapporti con gli eruditi locali può quindi

agevolare una più approfondita analisi e confermare, nello specifico, il nuovo apporto del

grande “pioniere” dei conoscitori, demiurgo o meno in sede attributiva.

Simili considerazioni derivano da una prima riflessione sui materiali del Fondo

Cavalca-selle della Biblioteca Marciana di Venezia che si sono presentati davanti allo scrivente,

in un abituale impiego e valorizzazione nella ricostruzione degli ambienti pittorici della

periferia veneta, allorché vi era l’occasione di passare dall’interesse rivolto alla periferia

Lettere inedite di Giovanni Battista Cavalcaselle all’abate Pietro

Mugna 1869-1878. Dalle informative feltrine all’edizione italiana

della New History of Painting.

1. Morto da Feltre (alias Lorenzo Luzzo), Madonna con il Bambino in trono e i santi Stefano protomartire e Vittore, Berlino, Gemäldegalerie, inv. 154. Immagine tratta da J.A. Crowe, G.B. Cavalcaselle, A History of Painting in North Italy (…), London 1871, ed. by T. Borenius, London 1912, III, pp. 115-116 infra. Opera allora in deposito a Bonn, Provinzialmuseum.

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seo in questi ultimi tempi dai preposti della suddetta chiesa, ovvero smarrita durante le

guerre napoleoniche, sia andata all’estero senza che si sapesse come.

Subito che tu abbia una risposta qualsiasi da quel tale che interrogherai, fammi il favore

di comunicarmene il contenuto».

Da questa richiesta del giugno 1865 scaturiscono parecchie implicazioni. Innanzitutto

deduciamo che l’abate Mugna accredita, per tale ricerca feltrina, l’abate Antonio

Zan-ghellini «Dottore in arti», professore al seminario di Feltre, noto per le sue ricerche

territoriali.

8

Che fosse versato anche sull’argomento specifico del Morto da Feltre lo

atte-sta il profilo più aggiornato allora disponibile, quello da lui edito solo pochi anni prima

ne «Il Messaggere Tirolese» del 1862.

9

La precisazione apposta da Giovanni Battista

Cavalcaselle all’Estratto di lettera del signor A. Zanghellini di Feltre in data 9 maggio

1865 [ma 1866] relativa a Pietro Luzzo, detto Morto da Feltre, conservato nel fondo del

grande conoscitore di Legnago della Biblioteca Marciana di Venezia, conferma il

passag-gio di informazioni di ritorno, da Zanghellini a Selvatico per tramite di Mugna.

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In testa

all’estratto risulta infatti che «La lettera era diretta al chiarissimo Signor Abate Prof. Dr.

Pietro Mugna che aveva interpellato in argomento il Signor A. Zanghellini per incarico

dell’illustre Signor Marchese Selvatico». Se ne ricava, dunque, che fu lo stesso

Zanghel-lini a rendere partecipe di tale informativa Cavalcaselle, come attesta la sua lettera «pro

memoria» a Cavalcaselle del 5 giugno 1866, vertente sullo stesso argomento.

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È, in pratica, una sintesi con aggiornamenti del saggio che Zanghellini aveva pubblicato

nel numero di aprile 1862 del «Messaggiere Tirolese» apponendo al titolo, «Pietro Lucio

o Luzzo, detto Il Zaroto o Il Morto da Feltre», l’aforisma di Jean de Lafontaine «Diversité,

c’est ma dèvise».

12

Il riferimento tratto dal noto racconto sul «pâté d’anguille» dimostra

come l’autore sia consapevole di aver tentato di offrire con le sue ricerche un contributo

personale, sperimentando tematiche le più diverse, in conformità allo spirito dei tempi

e alle sue inclinazioni. La voce bibliografica sul pittore feltrino, come si è osservato, la

più aggiornata in quel momento, mise sì in contatto Cavalcaselle e Zanghellini, ma

con-temporaneamente e ancora per tramite di Selvatico, diminuì il grado di separazione con

Mugna. Ci si limita in questa occasione a indicare, almeno, le conseguenze principali

di un tale intreccio epistolare a tema il “misterioso” Morto da Feltre vasariano. Di fatto

molteplici, sia perché vedono partecipi personalità portatrici di un diverso approccio

ai fatti storico artistici, sia perché dipendono da prospettive di interpretazione da un

fondamento remoto e non contingente. Sono inoltre utili da rintracciare perché, a partire

dagli stessi accertamenti storici, mettono in luce le diverse modalità di espressione a cui

conducono gli interessi per gli artisti più sfuggenti.

Per Selvatico, la ripercussione è immediata e rivela come l’indagine sul pittore feltrino,

manifestato dalla sua lettera a Mugna, lo riguardasse in prima persona. Pietro Luzzo

(nome alternativo per il Morto da Feltre) e i suoi rapporti con Giorgione, non sul piano

artistico bensì su quello delle fatali contese della donna amata, occupano larga parte del

suo «racconto storico» Giovanni Bellini e Alberto Durero o l’arte italiana e l’arte tedesca

nel 1515, apparso in tre puntate in «Nuova Antologia» nel 1867, riedito poi nel 1870,

con vistose omissioni nella parte più “oleografica”, per usare un aggettivo di comodo più

attuale

13

. Si tratta di un’invenzione letteraria che pare impostata sulle riflessioni circa

il romanzo storico e le sue peculiari funzioni, per le quali poteva essere di riferimento

in particolare Tommaseo, ma che era ancora nuova in Italia nel rivolgersi alle figure dei

cadorina - quella di una tradizione che è anche antecedente Tiziano, o in assenza di

Tiziano - a quella per così dire speculare rispetto anche alla bellunese, ossia la feltrina.

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Il problema principale che Cavalcaselle deve affrontare in un tale peculiare contesto

dell’arco alpino, impersonato da non molte figure di pittori, è la verifica attraverso la

do-cumentazione degli archivi cittadini dell’avvincente profilo del Morto da Feltre

traman-datoci da Vasari. Il quale lo presenta, ancor giovane, tra Quattro e Cinquecento a Roma

e a Firenze, per collocarlo solo in seguito a Venezia, a fianco di Giorgione e Tiziano in un

rapporto addirittura di collaborazione al Fondaco dei Tedeschi.

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La verifica

documenta-ria è perciò preliminare alla raccolta delle poche opere superstiti nel territorio d’origine,

uniche tracce del mistero di un pittore feltrino con a monte, o parallelo, il mistero in

assoluto più clamoroso di Giorgione.

Perché la problematica riguardo il Morto da Feltre, persino sul piano biografico, è infatti

quella di un «tortuoso ed oscuro labirinto», come Cavalcaselle si premura di far sapere

a Crowe in apertura della sua minuta, aspetto di cui deve tener conto il coautore della

History of Painting in North Italy nell’elaborazione del testo in inglese, pubblicato da

Murray nel 1871.

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In questa occasione non ci si ripromette d’indagare approfonditamente la fortuna

cri-tica e la personalità del Morto da Feltre (alias Lorenzo Luzzo), effettivo collaboratore

giorgionesco o meno, sulla base delle idee di Cavalcaselle nei suoi confronti. Bensì di

tratteggiare, documenti inediti alla mano, specie epistolari, il suo procedimento

conosci-tivo e di enfatizzare l’incontro con i cosiddetti eruditi locali che tale interesse occasiona.

Tra tutti, in particolare, quello con l’abate vicentino Pietro Mugna: una personalità

da-gli interessi poliedrici, indagati i quali è indubbiamente da includere, e a pieno titolo,

nell’ambito della storiografia storico artistica ottocentesca italiana, almeno per

l’impren-ditoria el’impren-ditoriale in questo settore, in cui si distingue per le iniziative specialistiche di

traduzione dal tedesco. Il rapporto di Cavalcaselle con Mugna, sviluppatosi nella

ristret-ta dimensione feltrina, finì per aprirsi a un più ampio panorama europeo fra Inghilterra,

Germania e Italia, anche nel contesto dei maggiori impegni editoriali di Cavalcaselle

degli anni settanta, seppur brevemente.

È una lettera di Pietro Selvatico, data a Padova lì 5 giugno 1865 e indirizzata a Pietro

Mugna, allora residente ad Agordo, a costituire la nota d’inizio di un rapporto duraturo

e produttivo.

7

Selvatico, con il tono confidenziale di un lungo e sperimentato sodalizio amicale e

pro-fessionale (e che qui di seguito si metterà in luce nelle sue varie sfaccettature), rivolge

all’amico la seguente richiesta, formulata con precisione: «Ora ascoltami un po’. Conosci

tu a Feltre nessuno che si occupi della storia e dell’arte della tua città? Se c’è e se tu lo

conosci a modo da potergli dare una seccatura, chiedigli per mio conto.

1°. Se negli archivi di Feltre si trovino notizie di quel Pietro Luzzo da Feltre detto zarato

o Zaroto più noto sotto il nome di Morto da Feltre, e del quale scrisse la vita il Vasari.

2°. Quel Lorenzo Luzzo che dipingeva a fresco la chiesa di Santo Stefano a Feltre, e

dipinse pure una tavola ad olio per la medesima chiesa, rappresentante la Madonna in

trono, col Putto in grempo e varii santi al piano colla iscrizione Laurentius Lucius

fel-trensis faciebat 1511 sia da ritenersi il medesimo pittore che ebbe a sopranome Morto da

Feltre. E che il Lanzi chiama Pietro.

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mu-19 18

gica».

18

Cui si aggiunge il rigore: «Ella ha abbandonato il campo della congettura nei

primi tempi, e ha fatto bene. Troppe volte lavorando di troppa logica si fabbricano fatti e

uomini, e in quanto a me ho adottato il principio di ignorar fatti piuttosto che arrischiare

di narrarli falsamente». Se questi sono i principi che Zanghellini trova applicati nello

studio di Mugna sull’Agordino, essi si rivelano disattesi in quello edito nello stesso anno

sulle scuole e uomini illustri di Belluno. Le cause sono indicate nella fretta e nella

man-cata chiarezza nella richiesta di informazioni per le quali Zanghellini aveva dato

preven-tivamente la sua disponibilità.

19

Le conseguenze sono la parzialità dei dati pubblicati, al

punto da distorcere la realtà storica: «ma se Ella m’avesse domandato qualche più estesa

cognizione sui Feltrini, l’avrei data e non mi sarebbe toccato di vedere nominati Bruna

e Zannia, e omessi tant’altri, che avranno aggrottato la fronte per sì grande crudeltà dei

nepoti». Si tratta, a leggere in filigrana, anche della difensiva da parte di Zanghellini e

di un’espressione della sua amarezza e disillusione. Come aveva segnalato Mugna, egli

conferma di aver portato a termine il suo lavoro sulla storia di Feltre, ma di non aver

tro-vato accoglienza editoriale, così da rassegnarlo a ritirare l’opera nel contesto difficile del

mercato editoriale del momento: «Conscio dell’apostolato storico, e dei doveri inerenti

a quell’officio, ho deciso che la mia storia dorma (ed è Storia) fino a che i tipografi non

abbiano paura. Del resto ella dorme al ciel scoperto, e non lo nasconderò mai».

Il confronto emulativo e il controllo reciproco dei dati prodotti fra chi si occupa di

ricer-che in sede locale, specie nei confronti di studiosi esterni, è un dato scontato, dal

carat-tere quasi permanente. A riprova, nella stessa lettera così severa a Mugna, Zanghellini

non manca di inviare per suo tramite un saluto e ringraziamento al confratello e collega

Francesco Pellegrini, insegnante al Seminario Gregoriano della vicina Belluno,

ricono-sciuto cultore della storia di questa città.

20

Entro la consolidata dinamica di scambi di

notizie, si manifestano ancora una volta le emulazioni: «lo ringrazii delle ultime sue

noti-zie, e gli dica che non siamo punto d’accordo sui punti in questione. Ho inserito accanto

ai miei i di lui argomenti; decideranno i posteri, se pure la mia storia può illudersi di

avere posteri, ossia lettori». Una lettera di Zanghellini a Mugna del 1861 testimonia un

altro tenore nello scambio di informazioni fra i due studiosi.

21

Si tratta di accertare «se

tentativi di riforma si facessero in Feltre, e se pel contatto della città con la Germania,

o pel soggiorno di Tedeschi alcuna traccia si abbia di protestantesimo». La risposta di

Zanghellini riguarda il più ampio raggio cronologico, ed è occasione per esprimere la

novità di alcune sue posizioni: «io trovo nel secolo VI° involto il nostro vescovo Fonteio

nello Scisma dei Tre Capitoli; epoca nella quale a mio giudizio (e quando lo pubblicherò

mi si griderà la croce adosso) cominciò Feltre ad aver vescovo proprio, staccandosi dalla

giurisdizione di Padova. Più tardi e precisamente nel 1293, arrivò a Feltre Fra’ Dolcino

con la sua Margarita. Ebbe assai seguaci, sconvolse ogni ordine, esercitò culto e fu

ban-dito co’ suoi da Patavino da Prato Podestà di Feltre». Si aggiungono verifiche riguardo

il diffondersi delle dottrine di John Wycliffe e di Jan Huss. Zanghellini riconosce subito

che l’interesse principale riguarda le idee luterane e coglie l’occasione per tratteggiare

la situazione feltrina del primo Cinquecento, per inciso a partire dall’età in cui operò

il Morto. «Ella sa, egregio Signore, a quali amare vicende la brutta Lega di Cambrai

sottopose Feltre. Sì che allora andarono e vennero a e da Feltre tedeschi eserciti, che

nel 1509 la abbruciarono, e nel 1510 la smantellarono a’ fondamenti. Ma nel 1510 la

abbandonarono, e non l’ebbero più in potere che nel 1798. Le piaghe erano troppo

acer-grandi artisti.

14

Che la documentazione storica in questo contesto fosse complementare

ma non funzionale al racconto - al pari di quanto si riscontra nella coeva pittura di

sto-ria - lo dimostra il fatto che il profilo del Morto da Feltre, esplicitamente dedotto dallo

“storico locale” Zanghellini, è riprodotto nella sua interezza in entrambe le versioni del

testo, pur relegato in una nota che non trova uguali per estensione.

15

Selvatico si appunta invece su una notizia di Vasari, incontrollabile in sede

documen-taria, sulle peripezie di una contesa amorosa che vede antagonisti Giorgione e Luzzo e

nella quale il primo non sa di aver già perso contro il secondo. Quando scoprirà

defini-tivamente gli intrighi del collega, pianificati insieme alla donna amata, saranno questi a

ucciderlo e non la peste. L’esperimento narrativo dell’autore vale la pena essere

analiz-zato, perché interessante e rivelatore di un intento divulgativo ante litteram delle cose

dell’arte. I dibattiti e i confronti stilistici migrano dalle pagine della manualistica per

installarsi nei dialoghi che intercorrono tra gli artisti stessi, passando così dallo stato di

commento a quello di dibattito prezioso tra esperti che confrontano un modo di essere,

un modo di vivere. In sostanza, un modo di intendere la realtà e dipingerla.

Aneddoti, reali o inventati, vengono messi in scena secondo una visione ottocentesca

della bottega veneziana di Bellini, microcosmo in cui la storia principale si attualizza

e riverbera e sul cui palcoscenico i personaggi recitano secondo caratteristiche morali,

oltre che fisiche, in pendant con lo stile artistico che gli è proprio. Ecco quindi che

Gior-gione è taciturno e ombroso, ma credulone; Tiziano è all’apparenza avveduto e

assen-nato, nell’intimo calcolatore; Bellini il patriarca artistico amabile e orgoglioso dei suoi

discepoli, cui elargisce fiducia e consigli; Dürer il buon nordico, geniale sì, ma troppo

ammaliato dallo stile italiano per non risultare ingenuo; Luzzo, il villain per eccellenza,

attaccabrighe, spregevole, ammaliatore e intrigante, pronto a venire alle mani con

Ti-ziano e ordire l’assassinio di Dürer per invidia. Di lui, Selvatico, per bocca della bella

traditrice dell’innamorato Giorgione, ci fornisce un succoso ritratto: «Zarato, poveretto,

non ne ha colpa, ma a guardarlo pare un cadavere scappato dal cimitero. Chi vuoi dire

che s’innamori dei que’ suoi occhi da pesce guasto, di quel suo naso affilato come il naso

d’un moribondo, di quella sua fama da tisico? Ma sei matto? […] e per chi? Per un

mi-sero pittoruccio d’ornamenti che nessuno conosce, e che per giunta pare uscito adesso

dall’ospedale. Non sai che lo chiamano per soprannome il Morto da Feltre?».

16

Quanto a Mugna, un’occasione sporadica per citare il Morto da Feltre gli si era

presen-tata con la breve trattazione («Cenni») dal titolo Delle scuole e degli uomini celebri di

Belluno edita nel 1858, che si presentava come contributo di circostanza, ben prima di

questo produttivo intreccio in cui rimane impigliato.

17

Il profilo irrinunciabile del pittore

cinquecentesco aveva allora assunto per lui una dimensione formulare e di sintesi,

pie-gata in qualche modo al dettato vasariano e di Ridolfi. Non lo aveva minimamente

sfio-rato la necessità di un approfondimento storico documentario che solo Zanghellini, con

il quale era già in contatto, avrebbe potuto affrontare o già fornire in sede locale prima

della sua pubblicazione del 1862. Proprio per questo Mugna si attira, anche se non per

l’argomento specifico, le osservazioni critiche proprio di Zanghellini che si era invece

appena congratulato con lui per il lavoro sull’Agordino con una lettera dove si enuncia,

in termini generali, il metodo e gli obiettivi di fondo che deve possedere una ricerca

de-dicata a un ambito territoriale: corrispondere «a un interesse non solo a noi provinciali,

ma anche a chi ci è lontano di sito»; esposizione storica concisa ed «esattezza

(11)

cronolo-21 20

terogeneo e ricchissimo “blocco Solly”. Qui si può solo fare cenno alla notevole cultura

storico artistica di Solly e alla supposizione di accertamenti attributivi da lui effettuati o

promossi. Vi è in proposito da notare, soprattutto, come la sua collezione fosse divenuta

oggetto degli interessi culturali della città di Berlino e dei conoscitori d’arte europea che

il mercante collezionista incontrava nel corso dei suoi viaggi. Quello che ancor più è da

cogliere, nel presente contesto, è che non dovette mancare l’apporto conoscitivo di Karl

Friedrich von Ruhmor, o quello, che si può supporre importante fin dagli inizi, di Gustav

Friedrich Waagen, convocato nel 1823 da Alois Hirt, accademico e soprintendente al

progetto museale, per curare lo studio e la scelta dei dipinti per la nuova galleria allora

in costruzione.

30

Nel catalogo dei dipinti, presentato all’inaugurazione del Königliches

Museum nel 1830 da Waagen, del quale nel frattempo era divenuto il primo direttore,

si passano per la prima volta al vaglio critico le attribuzioni anche dei dipinti veneti,

secondo l’ottica dei primi conoscitori.

31

Nel complesso vi compare un numero limitato

di dipinti rispetto a quanti acquisiti nel 1821 dalla collezione Solly. Ma vi figurava di

certo la pala del Morto da Feltre. Pertanto, qui interessa richiamare l’ottica museologica

con cui la Gemäldegalerie fu allora concepita e realizzata, per intervento soprattutto di

von Ruhmor, e l’aderenza ad essa dell’ordinamento catalogico di Waagen. Si tratta di un

ordinamento che procede da un concetto di valutazione qualitativa delle opere, per cui

al capolavoro fanno seguito, in un ordine gerarchico, altri dipinti che, in certo modo,

evidenziano funzionalmente i suoi valori specifici, estetici oltre che storici.

32

Si tratta

altresì della suddivisione in prima e seconda classe, rispecchiata anche nei cataloghi:

altri dipinti interessanti per lo studio specialistico sono collocati, parallelamente, in

galleria. A questa precisa indicazione qualitativa delle singole opere faceva seguito, con

fini altrettanto didattici, una suddivisione per epoca e per scuola. In questa ottica,

dun-que, trovava posto anche il raro esemplare del Morto da Feltre. Paradossalmente, prima

ancora che in modo compiuto a Feltre, Cavalcaselle poté conoscere l’arte del pittore

giorgionesco attraverso la sua rappresentativa pala firmata e datata, emigrata altrove per

figurare fortunatamente in un contesto di primario valore, di apertura davvero europea.

33

Passando per il Friuli e per Monaco, il suo primo viaggio di studio a Berlino risale alla

fine del 1847 e deve la sua notorietà all’incontro con il giornalista Joseph Archer Crowe,

allora interessato alla pittura fiamminga, da cui ebbe inizio una lunga amicizia e

colla-borazione.

34

Attraverso una testimonianza del Crowe scopriamo come Cavalcaselle fosse

allora mosso da un interesse di studio per quei dipinti italiani che negli ultimi anni erano

stati raccolti in via privilegiata proprio dalle istituzioni tedesche, nel tentativo di

ricom-porre idealmente un patrimonio artistico lacerato.

35

Risale, comunque, a un successivo

soggiorno di studio nel 1852, dopo la permanenza a Londra e il viaggio europeo di

Ca-valcaselle, la compilazione del più esteso taccuino di appunti e annotazioni sui dipinti

berlinesi, in cui egli dimostra, dopo una notevole esperienza di studio accumulata, delle

capacità analitiche e soluzioni conoscitive più profonde e complesse.

36

Con l’aggiunta di

appunti, non manca di dedicarsi in quel frangente al disegno della pala del Morto da

Fel-tre n. 154, più in evidenza sullo stesso foglio vi è quello della Madonna con il Bambino e

donatori di Gentile Bellini n. 1180 (fig. 2).

37

È significativo altresì sottolineare, in base a

quanto si è appena osservato circa il contesto museale, come il disegno con la sommaria

indicazione compositiva della pala, ma anche la trascrizione del cartellino con la data,

siano stilati a margine del catalogo della galleria edito da Waagen fin dall’apertura nel

be perché allo svolgersi delle dottrine di Lutero, potessero i feltrini lasciarsi lusingare

da idee venienti di Germania. L’odio era implacabile, e ne abbiamo frequenti prove; e

quest’odio avea rotta ogni comunicazione con que’ paesi».

22

Vengono aggiunte poi,

ovvia-mente, le considerazioni sulla fase del concilio tridentino, e la verifica sui seguaci delle

idee di Sarpi. Il riferimento alla contemporaneità è alla «semi innondazione di Bibbie. I

credenzoni le vogliono d’oltre Mincio; io dubito invece ci vengano di Germania».

Una ragione per dar conto nel presente contesto di questi interessi specifici, coltivati dai

cultori di storia locale che qui si osservano, sta nel fatto che essi siano la cartina al

tor-nasole di un disegno storiografico più vasto e riconosciuto in ambito “nazionale”. Non vi

è dubbio, infatti, che le informative chieste da Mugna a Zanghellini abbiano sullo sfondo

la famosa indagine di Cesare Cantù sugli eretici, allora in corso e che avrebbe visto la

luce solo pochi anni dopo.

23

Ai molti argomenti intercorsi fra Cantù e Mugna e attestati

dal loro carteggio, va aggiunto quello di un significativo appunto in un foglio volante che

si trova fra le carte dell’abate di Trissino, da ricondurre all’epoca del rientro in Italia e

del soggiorno tra Venezia e Agordo. Si tratta di una sintesi del pensiero di Cantù, in

pre-messa al capitolo Degli uffizi della Letteratura, che va sotto il celebre motto «O Italiani,

io vi esorto alle storie».

24

Com’è prevedibile, fu Giovanni Battista Cavalcaselle a trarre il vantaggio di maggiore

portata da questa condivisione di notizie storiche raccolte da Zanghellini, proprio in

vista del profilo di Lorenzo Luzzo della History of Painting in North Italy del 1871.

25

È

interessante notare come le informative richieste da Selvatico tramite Mugna seguano di

poco la ricognizione feltrina di Cavalcaselle, compiuta al suo rientro in Italia attraverso

la Germania e l’Austria (Lipsia, Dresda, Praga, Vienna), dopo che il suo viaggio in

Euro-pa orientale lo aveva portato fino a Pietroburgo.

26

In questa fase, ben dopo la rapida

pre-senza a Feltre nell’autunno 1857 e nel dicembre 1863, Cavalcaselle vi soggiorna forse

più a lungo e in una data imprecisata, da fissare tuttavia nei primi mesi del 1866, dopo

le coeve ricognizioni invernali in Friuli, nel Cadorino e Bellunese tra il dicembre 1865

e il gennaio successivo, quando è anche a Treviso.

27

Se tale sequenza temporale dovesse

trovare conferma diretta, si potrebbe affermare che le informative sul Morto da Feltre,

richieste in loco da Selvatico, siano già pervenute a Cavalcaselle mentre poteva trarre le

conclusioni delle sue ricerche sul posto, questa volta più sistematiche, e redigere

paral-lelamente la minuta destinata all’elaborazione e traduzione in inglese da parte di Crowe.

In una visione retrospettiva a più lungo termine si può altresì osservare, pur nella

con-sapevolezza del divario cronologico, che Cavalcaselle risponde finalmente, con la

rico-gnizione feltrina e la definizione del profilo metodologicamente aggiornato del Morto da

Feltre, oramai identificato in Lorenzo Luzzo, a un bisogno di chiarimento circa la sua

personalità storica che si era posta in altra sede, in un contesto del massimo riguardo.

Ovvero la valorizzazione a Berlino dell’opera firmata e datata dal pittore di Feltre (fig. 1),

già nominata nella lettera di Selvatico a Mugna del 5 giugno 1865.

28

Rimossa in fase

na-poleonica dalla chiesa di Santo Stefano, fu acquistata dal collezionista bellunese Marino

Pagani, passata quindi a Monaco di Baviera, fu qui acquisita dal mercante Edward Solly,

per giungere nel 1821 nella capitale prussiana in un vasto blocco di dipinti, se ne

stima-no 3.000, mentre 1.500 dovettero essere esclusi dall’acquisizione da parte dei musei.

29

La presenza della firma, nonché il suo carattere “giorgionesco” (o interpretato come

raf-faellesco?), dovette accentuarne l’interesse specifico, nell’ambito della selezione

(12)

dell’e-23 22

1830 e che Cavalcaselle acquisisce nella sua undicesima edizione edita nel 1851, giusto

l’anno prima del suo arrivo a Berlino.

38

Cavalcaselle, da quel contesto museografico, è come se raccogliesse la spinta per

cer-care in seguito di rispondere, con le sue ricerche da conoscitore allargate ai territori, a

un’esigenza di chiarimento a problemi già posti dall’esposizione e catalogazione

dell’o-pera da parte di Waagen. Vi era la necessità quindi di tempi lunghi e di un’opportuna

maturazione di metodo ed estensione degli interessi. La rete degli eruditi locali, dunque,

messa assieme da Selvatico con la sua lettera del 1865, fa sì che tale ricerca di soluzione

sia finalmente assecondata nel suo estendersi al panorama storico artistico di originaria

appartenenza dell’opera. In altri termini e in definitiva, il caso della pala del Morto da

Feltre, passata a Berlino, sta a confermare, ancora una volta, quanto Cavalcaselle

man-tenga il suo respiro di ricercatore internazionale, obbedendo cioè alle esigenze più

evo-lute della metodologia storico-artistica nell’ottica dei conoscitori, proprio mentre si cala

nelle realtà territoriali, come quella feltrina, avvalendosi dialetticamente del contributo

degli eruditi locali.

Gli appunti stilati a Berlino rimandano, accanto ai dati stilistici e qualitativi della

pit-tura, alle testimonianze di Vasari e Lanzi e, tra le più recenti, a quella di Francesco

Zanotto.

39

Nella minuta si esplicitano meglio i quesiti che essi pongono per come sono

affrontati da Zanghellini nel suo articolo del 1862, laddove quest’ultimo osserva: «Il

Lanzi e lo Zanotto pretendono che il Luzzo fosse di età assai più vecchio del Giorgione,

che perciò fosse non discepolo di lui ma collaboratore. Però se il pittore di Castelfranco

morì nel 1511 ne’ 34 anni, e il Luzzo nel 1521 a 47 anni, parmi esser minima la

differen-za».

40

Conclude, di riflesso, Cavalcaselle con un ragionamento contenuto nella minuta

sul Morto da Feltre, estesa e arricchita di disegni, destinata a Crowe: «Ciò che dice Lanzi

e Zanotto (vedi anno di citazione di Zanghellini nel giornale Messaggere di Trento, copia

del quale vi mando) non toglie che possa essere stato aiuto ed anco scolare di

Giorgio-ne. La diversità dell’età è minima ed il Giorgione poteva essere per abilità suo maestro

ancora che nato quattro anni dopo».

41

Agli occhi di Cavalcaselle, come egli comunica a

Crowe, Zanghellini cambia idea nelle sue memorie manoscritte successive al contributo

del 1862, tuttavia senza giungere, in sostanza, a conclusioni diverse da quelle di

parten-za: «troverete che questi scritti d’una stessa persona non concordano in tutto».

42

Ma la

rassegnazione è esplicita da parte di Cavalcaselle.

In definitiva, il vaglio di un articolo di Zanghellini del 1862 e le memorie da costui

inviate direttamente a Cavalcaselle, ma anche a Selvatico per tramite di Mugna,

co-stituiscono la filigrana del suo saggio sul Morto da Feltre, di cui riprende direttamente

alcuni passaggi testuali, specie sugli aspetti storici, senza remore. Forse Cavalcaselle

confidava che la traduzione in inglese, o l’elaborazione di Crowe, avrebbero risolto i casi

di ripresa da un testo precedente, per quanto comparso in una rivista già allora defilata

per gli storici dell’arte.

Interessa ora constatare il fatto che l’allargamento di orizzonti generatosi dalla rete di

2. Giovanni Battista Cavalcaselle, Disegni e appunti: Madonna con il Bambino e donatori di Gen-tile Bellini e pala del Morto da Feltre alla Gemäldegalerie dell’Altes Museum di Berlino, 1852. Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, ms. It. IV, 2037 [=12278], Taccuino 15, f. 111r.

(13)

25 24

non l’estetica». Con tutta evidenza si parla di Cavalcaselle e il suo metodo risulta subito

occasionare contrapposizioni. Da una parte vi è la ricerca intorno alla bellezza, l’estetica

di contro alla filologia (da aggiungersi l’erudizione), ossia le piccinerie archeologiche,

la data, l’aneddoto (come fosse fine a sé stesso), tutti aspetti buoni solo per «eccentrici

inglesi». È chiaro il riferimento a un divario tra una dimensione empirica e fattuale della

storia e una storia delle idee, del pensiero a fondamento, o quanto meno necessaria alla

ricerca della bellezza nell’arte. L’evoluzione di Selvatico in ambito estetico sembra porlo,

in quel momento, in contrasto con la dimensione filologica di Cavalcaselle. Tutto ciò è

confinato entro una dimensione di amicizia, fra espressioni di stima reciproca che non

viene mai meno e sempre ribadita da entrambi.

Ma chi è dunque questo Pietro Mugna, già accreditato quale mediatore per le informative

feltrine, con il quale Selvatico si lancia in apprezzamenti su Cavalcaselle?

Il futuro abate nasce a Trissino nel 1814, in un ambiente famigliare còlto.

45

Ben presto

ha la possibilità di contatti con l’entourage intellettuale dei Trissino Baston che

risiede-vano in villa.

46

Le lettere inedite che egli invia ai fratelli Leonardo e Alessandro Trissino

Baston dal 1832 al 1851 offrono una testimonianza affatto straordinaria della personalità

informatori tessuta da Selvatico nel 1865 sul tema del Morto da Feltre comprende i

rapporti che si instaurano fra l’abate Pietro Mugna e Cavalcaselle. Con questi stessi

interlocutori feltrini e in aggiunta con il sacerdote bellunese Francesco Pellegrini, tutti

in buoni rapporti collaborativi fra loro, egli ha a che fare, si direbbe separatamente, per

argomenti specifici o per esigenze organizzative, nei suoi sopralluoghi.

43

Tuttavia, la reale portata di questi contatti, che vedrà Cavalcaselle e Mugna collaborare

a un importante progetto, maturerà solo nel corso degli anni. Dalla richiesta di Selvatico

a Mugna nella sua del 16 ottobre 1871: «E quando comincerà la stampa del tuo primo

volume? Mi figuro presto, se pure le aggiunte desiderate dal nostro amico non saranno

venute, e fuor di tempo, a porti una stecca fra le ruote».

44

Di questo amico comune, cui si allude, Selvatico tratteggia in termini inequivocabili

la personalità, con incisività e franchezza, esplicitandola anche attraverso il metodo di

ricerca: «È una buonissima persona, d’una preziosa diligenza nelle ricerche, ma temo

tenga troppo a certe piccinerie archeologiche che, trattandosi di opere in cui

l’importan-za non è la data ma la bellezl’importan-za, non importano un fico, e solo allettano un certo numero

di eccentrici inglesi i quali cercano nella storia dell’arte più le date e l’aneddoto che

4. Diploma di Laurea in Sacra Teologia conferita a Pietro Mugna dall’Università di Vienna, il 30 gennaio 1844.

3. Pietro Mugna, Theses ex universa theologia, quas in Cesareo-regia antiquissima ac celeberrima scentiarum Universitate Vindobonensi pro obtinendo doctoris in SS. Theologia gradu academi-co publice defendendas suscepit Petrus Mugna, Vindobonae, typ. Congregat. Mechitaristi, 1844. Frontespizio, con data 11 gennaio 1844.

(14)

27 26

veritate miraculi comprobanda); dal 1841 è già prefetto e professore, incarico confermato

nel 1846 (figg. 3, 4). Tiene la cattedra di lingua e letteratura italiana presso l’Imperial

Regia Accademia di Lingue Orientali fino al 1848, quando è espulso dall’Austria; la

circostanza ufficiale è un episodio che non lo riguarda in prima persona, bensì un suo

allievo, per cui ne paga le conseguenze.

51

Rientra a Vicenza da sorvegliato, si stabilisce

temporaneamente anche a Venezia.

52

Frequenta il circolo del cugino Jacopo Cabianca,

ricostituitosi dopo i fatti del 1848 presso la sua villa a Longa di Schiavon, sotto la

restau-razione austriaca.

53

Ed è dunque in questo arco di tempo che Mugna si dedica a tradurre

opere scientifiche dal tedesco, come per esempio le Disquisizioni storico-psicologiche

intorno all’origine ed essenza dell’anima umana di Joseph Ennemoser, fatica del 1853.

54

Dal 1855, costretto per ragioni di salute a un periodo di allentamento dell’attività

intel-lettuale, svolge il suo ministero presso l’Arcidiaconale di Agordo fino al 1866, anno dell’

annessione del Veneto al Regno d’Italia.

55

La sua ricerca si apre allora a interessi storici

e sociali in ambito Agordino e Bellunese, per cui si avvale di quella rete di studiosi che

comprende Zanghellini a Feltre e Pellegrini a Belluno (fig. 5).

56

In questa fase, lo

facilita-del giovane Mugna: nelle motivazioni facilita-delle sue scelte, nell’aprirsi curioso e intelligente

ai diversi mondi, a molteplici rami di studio, alla comprensione degli eventi storici che

osserva o di cui è partecipe nella sua esperienza mitteleuropea.

47

Il legame con loro definisce anche un avvio formativo all’insegna di una cultura che si

potrebbe definire “neoclassica”, come attestano le loro frequentazioni e in particolare

l’iniziativa di Mugna di copiare gli apografi delle lettere di Pietro Giordani, custoditi da

Leonardo Trissino, in vista dell’edizione di Antonio Gussalli.

48

Quest’ultimo, poi, per la

sua strategia editoriale, coinvolge proprio Mugna per ottenere da monsignor Giovanni

Battista Sartori le lettere autografe di Giordani ad Antonio Canova che il fratellastro

dello scultore custodiva gelosamente.

49

Pietro Mugna si forma presso il Seminario di Vicenza e all’Università di Padova. Riceve

gli ordini nel 1838, l’anno dopo è insegnante al seminario di Belluno fondato nel 1834 da

papa Gregorio XVI.

50

Nel 1840 raggiunge Vienna per formarsi in teologa al Frintaneum

o Augustineum, l’Istituto scientifico superiore per sacerdoti che forma i membri scelti

dell’élite ecclesiastica dell’intera monarchia asburgica, dove discute la tesi nel 1844 (De

5 Pietro Mugna, Dell’Agordino. Cenni storici, statistici, naturali, Venezia, Tipografia del Commer-cio, 1858. Piatto di copertina dell’esemplare della Biblioteca civica Bertoliana di Vicenza, con scritta autografa dell’autore: «Alla biblioteca civica di Vicenza meschino obolo al suo incremen-to dall’auincremen-tore donata Pietro Mugna».

6. Attestato di Benemerenza del Club Alpino Italiano al Professore Don Pietro Mugna per nu-merose esplorazioni e studi sulle Alpi Dolomitiche iniziati sin dall’anno 1856. Deliberazione presa dall’Assemblea Ordinaria dei Delegati, Torino 9 giugno 1877.

(15)

29 28

sua eccoti il mio pensiero».

67

Indubbiamente, ha una incisività notevole il trovare tutto

questo espresso in forma autografa, succinta e per un fine mirato, e soprattutto entro uno

scambio epistolare.

68

I rapporti fra Selvatico e Mugna si evolvono così in una collaborazione che serve a

quest’ultimo per acquisire un bagaglio terminologico di carattere tecnico sulle

discipli-ne storico-artistiche e per esercitarsi discipli-nel recepire e tradurre concetti di estetica. Fino

a sancire il suo inserimento in una strategia culturale di respiro internazionale con i

suoi risvolti editoriali. Si tratta del raggiungimento di una professionalità di notevole

livello, tanto più che deve trovare spazio in riviste di primo piano. Di questo lavoro è

testimone un manoscritto di Mugna della Biblioteca Marciana che contiene la traduzione

in tedesco dei saggi di Selvatico sui pittori dell’accademia di Düsseldorf, già editi nel

1845 in «Rivista europea» e ne «L’Euganeo», ma che si vuole ora destinati anche agli

«Oesterreichische Blätter».

69

Circa la partecipazione al dibattito artistico più attuale che

essi testimoniano e occasionano, e quindi circa la delicatezza di questa collaborazione,

è rivelatoria la lunga recensione a tali lavori di Selvatico, pubblicata prontamente in tale

rivista viennese nel numero di marzo 1846.

70

La citata lettera di Selvatico, che giunge a

Vienna nel dicembre di quell’anno contiene, tra l’altro, la sua reazione al riguardo. Lo

colpisce, in particolare, il fatto che l’anonimo recensore (si distingue solo per l’iniziale)

si chieda se egli conosca il dipinto di Eduard Steinbrück della Santa Genoveffa con il

figlio nella foresta (fig. 12) realizzato nel 1835, oggi all’Alte und Neue Nationalgalerie,

Museum Berggruen, a Berlino, tradotto graficamente nel 1839 da Georg Jakob Felsing

(fig. 13).

71

Selvatico, che pure ha ricordato il pittore tedesco per una sua opera allegorica

no nel superare le difficoltà dello stato di salute, di cui parla lui stesso in più circostanze,

la partecipazione a imprese alpinistiche che gli sono riconosciute ufficialmente (fig. 6).

57

Passa poi a Padova presso il Convento di Sant’Antonio, accettato come ufficiatore

so-prannumerario dalla Presidenza dell’Arca, e da allora affronta temi di storia riguardanti

questa città che lo vide teologo laureato e ora lo ospita di nuovo, nella quale si

dedi-ca infine all’insegnamento privato.

58

Negli ultimi anni, dal 1880, soggiorna stabilmente

presso il senatore Alessandro Rossi e il fratello sacerdote nella villa di Santorso. Con

entrambi fu eccezionalmente duratura l’amicizia che si concretizzò anche nell’ambito

del loro ben noto cenacolo di intellettuali e artisti. In casa dei Rossi muore nel 1882, per

essere sepolto nella loro cappella di famiglia a Schio (fig. 7).

59

Le disposizioni

testamen-tarie sono in favore delle collezioni pubbliche di Vicenza e Padova. Il nipote don Antonio

Mugna dona l’epistolario, l’archivio e i suoi libri alla Biblioteca Bertoliana di Vicenza,

accolti dall’amico di sempre e bibliotecario l’abate Andrea Capparozzo.

60

I punti di interesse, a scorrere le voci bibliografiche della prima fase da cui bisogna

di-stinguere le pubblicazioni di circostanza, sono l’attenzione per il poeta Ewald Christian

von Kleist fin dal 1839, quando firma la prefazione al suo più celebre poemetto pregno

di suggestioni romantiche, la Primavera, nella traduzione di Sebastiano Barozzi.

61

Per

la storia dell’arte si distingue la monografia del 1844, preparata quindi a Vienna, sui tre

Pichler, i maestri di gliptica, avendo egli stretto amicizia con Luigi che allora risiedeva

nella capitale dell’impero e con la sorella Teresa, moglie di Vincenzo Monti (figg. 8, 9,

10).

62

Selvatico la recensisce l’anno seguente sulle pagine de «L’Euganeo», contestando

dell’autore, «di ingegno sì svegliato e sì pronto», la «sete encomiativa» che riguarda i

suoi autori, ma anche Canova spesso chiamato in causa, rispetto al quale sarebbero da

considerare maggiormente gli scultori contemporanei.

63

Le prime lettere di Selvatico

(fig. 11), con il quale aveva stretto amicizia probabilmente attraverso i Trissino Baston

fin dagli anni della sua formazione padovana, appartengono agli anni viennesi di Mugna,

a partire dal 1843.

64

La prima di inizio luglio di quell’anno, emblematicamente, riguarda il fatto che Mugna

aveva preso l’iniziativa di inviare una pubblicazione dell’amico padovano a Franz Kugler

a Berlino. È questa l’attestazione di un’altra conoscenza importante maturata dall’abate

vicentino. Selvatico risponde dimostrandosi aggiornato e interessato alle pubblicazioni

passate e prossime dallo studioso tedesco.

Dello stesso 1846 è anche il primo contributo di Mugna a «L’Euganeo», giornale

colle-gato al movimento patriottico a Padova all’insegna di un liberalismo moderato, a cui fa

seguito la collaborazione con l’altro periodico della città, «Il Caffè Pedrocchi».

65

Si stabilisce un asse organico e strategico fra Selvatico e Mugna, dagli esiti del massimo

interesse entro i privilegiati rapporti culturali con Vienna capitale e la Germania. Mugna

si pone come il divulgatore in tali ambiti dell’opera e del pensiero di Selvatico che tiene

aggiornato sulle novità bibliografiche del mondo accademico e su quelle artistiche.

66

I punti di novità, che emergono tra i molti temi che si individuano nelle sue lettere,

riguardano la necessità per Selvatico di chiarire in sintesi il suo pensiero, in modo da

renderlo più facilmente trasmissibile. In una lettera articolata che giunge a Vienna l’11

dicembre 1847, egli rappresenta il suo percorso e condensa la sua visione estetica, certo

quella nota e indagata nei suoi molti studi: «Eccoti vuotato il sacco. Or vengo alla mia

professione di fede artistica in quanto a pittura»; «Sull’origine dell’arte e sull’essenza

7. Iscrizione memorativa: AB(ate) PIETRO MVGNA / DA GIVSEPPE E ANGELICA PASETTI / N. TRISSI-NO 30 GIVGTRISSI-NO 1814 - M SCHIO 16 OTTOBRE 1882. Schio, Cimitero Cattolico Urbano, Monumento sepolcrale della famiglia Rossi dell’architetto Antonio Caregaro Negrin, 1878.

(16)

31 30

nel Consiglio Aulico delle Fabbriche in Vienna. Tale conoscenza poteva rappresentare

indubbiamente per Selvatico l’«opportunità di ben conoscere anche le norme con cui si

regola l’accademia di Vienna e mi gioverebbe alle ricerche ch’io vado facendo intorno

ad un’istituzione che pur troppo è il flagello delle nostre arti». Senonché, la successiva

lettera del 7 settembre che tocca questo argomento in modo concreto, si conclude con

informative di Selvatico in materia concorsuale, anche se non nella dimensione viennese

e con il coinvolgimento di Nobile. Interessa, comunque, sottolineare come si pongano

allora le premesse per i rapporti più frequenti fra Selvatico e Nobile, con incontri svoltisi

anche in Italia negli ultimi suoi anni, quando aveva ormai lasciato gli incarichi. Sarà

allora proprio Nobile a fornire aggiornamenti a Mugna sulla situazione viennese, come si

apprende dalla lettera del 2 marzo 1853, in cui accusa di aver ricevuto «i plichi dei

fa-scicoli 3.zi dell’Opera di Kugler che state traducendo» e rinnova l’impegno a distribuirli

a Vienna presso gli amici.

75

Limitatamente agli interessi degli storici dell’arte di allora, Cavalcaselle compreso, ma

anche per quelli di oggi, il nome di Mugna dovrebbe almeno richiamare il Manuale di

storia dell’arte del dott. Francesco Kugler prof. nella R. Acc. di belle arti di Berlino con

aggiunte del dottore Jacopo Burckhardt. Prima versione italiana fatta sulla seconda

edi-«sui beni e sulle virtù del cristianesimo», deve prendere atto che la sua «Genoveva»

rivelava una dimensione ancora diversa e ricca di implicazioni concettuali, in quanto

permeata «voll tiefer heiliger naturpoesie».

72

Significativamente si tratta di un caso

cele-bre in cui è una figura letteraria a permettere di esprimere i concetti astratti dell’estetica

romantica, per cui il dipinto assume per quel contesto un valore programmatico.

73

Agli

occhi dell’anonimo recensore tedesco, è pertanto opera non trascurabile da parte del

critico italiano che vanta la sua specializzazione proprio sul «pittore storico» e la sua

educazione.

74

Nei suoi anni viennesi, si deve riconoscere ancora a Mugna, nei riguardi dell’amico

Selvatico, la mediazione nei contatti con Pietro Nobile, in base alla cortese richiesta

avanzata con la lettera del 17 agosto 1846, con la quale il critico padovano si espone:

«bramerei a Vienna conoscere o il Presidente di quell’Accademia o piuttosto chi è più

influente sulle faccende artistiche della monarchia, non già perch’io mi abbia fini

d’a-spirare a qualche posto vacante di segretario (il cielo me ne scampi) ma solo per veder

l’andamento presente dell’arte anche costà». In realtà la conoscenza di Nobile poteva

essere determinante. Infatti il Cavaliere della Corona Ferrea era in Vienna Direttore

del-le Fabbriche, Direttore dell’Accademia di Beldel-le Arti, sezione Architettura, Consigliere

8, 9. Pietro Mugna, I tre Pichler maestri in Gliptica [con due ritratti], Vienna, typ. PP. Mechitari-sti, 1844. Frontespizio e dedica al conte Demetrio Tatitstscheff.

10. Pietro Mugna, I tre Pichler maestri in Gliptica [con due ritratti], Vienna, typ. PP. Mechitaristi, 1844, pp. 28-29. Effigie di Luigi Pichler. Bulino a tratteggio.

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