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Il dibattito sulla Multilateral Interchange Fee: dal caso Mastercard al regolamento 751/2015 UE

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DIPARTIMENTO DI ECONOMIA E MANAGEMENT

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN:

BANCA, FINANZA AZIENDALE E MERCATI FINANZIARI

Il dibattito sulla Multilateral Interchange Fee: dal caso

Mastercard al regolamento 575/2015 UE

Relatore

Prof.ssa Caterina Giannetti Candidato: Contro Relatore:

Luca Menichetti (489625) Prof.ssa Maria Cristina Quirici

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Indice

Introduzione ... 1

Capitolo 1: Il ruolo della Multilateral Interchange Fee nei circuiti di pagamento e la tutela della concorrenza ... .4

1.1 Il funzionamento dei circuiti di pagamento ... 4

1.1.1 Il sistema a quattro parti ... 5

1.1.2 Il sistema a tre parti... 7

1.1.3 Il ruolo della MIF ... 8

1.2 Il punto di vista della letteratura sulla MIF ... 9

1.2.1 La MIF come esternalità positiva... 9

1.2.2 La MIF comporta il fallimento del mercato? ...14

1.2.3 Il livello socialmente ottimale di commissioni interbancarie ... 17

1.2.4 La MIF è un comportamento anticoncorrenziale? ... 22

1.3 La MIF e il diritto della concorrenza... .27

Capitolo 2: Il caso Mastercard ... 31

2.1 Le parti in causa ... 32

2.2 I mercati rilevanti ... 34

2.3 La posizione delle parti ... 38

2.4 Le MIF del circuito Mastercard... 41

2.4.1 Il funzionamento del circuito... 41

2.4.2 La metodologia per la definizione delle MIF nazionali da parte del circuito Mastercard .... 42

2.4.3 L’evoluzione e le motivazioni delle modifiche alle MIF apportate da Mastercard ... 43

2.5 La governance di MasterCard e la sua evoluzione dopo la quotazione ... 48

2.6 Le relazioni tra MasterCard e le licenziatarie relative alle MIF... 51

2.7 Qualificazione della fattispecie: il fascio di intese orizzontali e verticali ... 53

2.8 L’applicabilità delle condizioni di esenzione ... 57

2.9 Sanzioni ... 59

2.10 La sentenza definitiva del Consiglio di Stato ... 61

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Capitolo 3: Il “Merchant Indifference Test” come pilastro del regolamento

2015/751 UE ... 67

3.1 Dal caso MasterCard all’esigenza di un “Benchmark” per la quantificazione delle MIF . 67 3.2 Il “Merchant Indifference Test” ... 69

3.3 I presupposti che hanno portato al regolamento 751/2015 UE ... 75

3.4 Le nuove disposizioni relative alle MIF del Regolamento 751/2015 UE ... 76

3.4.1 Le commissioni interbancarie per le operazioni tramite carta di debito e di credito ... 77

3.4.2 Regole commerciali ... 78

3.4.3 Disposizioni inerenti la clausola “onora tutte le carte” ... 79

3.4.4 La separazione tra i circuiti e i soggetti incaricati del trattamento delle operazioni ... 80

Conclusioni ... 82

Bibliografia ... 85

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INTRODUZIONE

Questa tesi si pone l’obbiettivo di analizzare il ruolo della commissione interbancaria multilaterale, meglio conosciuta come MIF (Multilateral Interchange Fee), nel funzionamento dei sistemi di pagamento a quattro parti. Infatti nell’ultimo decennio, tale commissione interbancaria è stata sottoposta a numerose verifiche da parte della Commissione Europea e delle diverse Autorità Antitrust nazionali, volte a valutare la sua capacità nel provocare effetti restrittivi sulla concorrenza nei sistemi di pagamento. In base a questa impostazione la presenza della MIF non avrebbe l’obbiettivo di rendere più efficiente il sistema dei pagamenti, ma consentire alle banche partecipanti al sistema di sfruttare il proprio potere di mercato collettivo. Il problema sarebbe anche amplificato dal fatto che i circuiti si fanno concorrenza cercando di aumentare la diffusione delle proprie carte, e a tal fine riducono ulteriormente il costo per i titolari, finanziando questo “mancato guadagno” con incrementi nel livello di MIF e nelle

merchant fee a carico degli esercenti, che di contro scaricano questo aumento delle commissioni

sui prezzi al dettaglio.

Infatti quando un pagamento tramite carta (sia di credito che di debito) viene effettuato all’interno di un sistema a quattro parti, la banca dell’esercente (acquirer) paga alla banca del titolare della carta (issuer) una commissione interbancaria. Questa commissione, che ha l’obbiettivo di trasferire i costi imputabili alla fase di issuing verso quella di acquiring, è definita dal circuito stesso e viene applicata a tutte le banche licenziatarie appartenenti alla rete di pagamento, tranne nel caso in cui siano state previste delle commissioni interbancarie bilaterali; determinando così in maniera importante la struttura dei prezzi di un sistema di pagamento a 4 parti.

Nel primo capitolo, dopo un’analisi sul funzionamento di un sistema di pagamento a quattro parti, si passerà in rassegna tutte le opinioni emerse in letteratura inerenti il ruolo della MIF nel riuscire a garantire l’efficiente funzionamento dei sistemi di pagamento. Infatti nell’ultimo decennio si è sviluppata una notevole argomentazione in letteratura, basata principalmente sull’originaria impostazione di Baxter (1983),che per primo ha descritto i sistemi di pagamento come tipologie rappresentative di mercati a due facce: mettono in collegamento soggetti che necessitano di servizi diversi e complementari (incasso e pagamento) e sono caratterizzate da esternalità di rete. Da questo primo modello sono successivamente scaturite diverse correnti di pensiero contrastanti tra loro.

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2 Anche se la letteratura ha riconosciuto che la fissazione della MIF a un livello ottimale consente di sfruttare le esternalità di rete (massimizzando il volume delle transazioni e il benessere sia dei titolari delle carte che degli esercenti), vi è una controversia circa il fatto che un sistema basato su incentivi privati sia in grado di raggiungere un livello di MIF ottimale. Invero non è chiaro, se sia possibile o preferibile per il circuito fissare un livello di commissione interbancaria diverso dal livello di MIF ritenuto ottimale.

Considerando il numero sempre crescente di pagamenti effettuati tramite le carte di pagamento, la MIF ha richiamato l’attenzione delle Autorità Antitrust sia a livello nazionale che comunitario. Infatti l’articolo 101 TFUE vieta gli accordi tra due o più imprese volti a limitare la concorrenza, tranne nel caso in cui risultino oggettivamente necessarie o che contribuiscano al raggiungimento di efficienze che siano in grado di compensare i propri effetti restrittivi sulla concorrenza.

Come vedremo nel dettaglio nel Capitolo 2, sulla spinta della decisione europea del 2007 inerente le MIF applicate da Mastecard (in cui la Commissione Europea aveva vietato la MIF transfrontaliera di Mastecard perché limitava la concorrenza ai sensi dell’articolo 101.3, impegnando quest’ultima ad applicare un livello di MIF fortemente ridotto alle proprie carte di debito (0,2%) e di credito (0,3%)), anche l’Autorità Antitrust italiana (AGCM) ha deciso nell’anno 2009 di avviare un’istruttoria inerente il livello di MIF applicate da tale circuito alle proprie licenziatarie italiane. Tale istruttoria si è conclusa con una serie di sanzioni sia a

Mastercard, colpevole di costituire un’intesa orizzontale, sia alle banche acquirer licenziatarie

del circuito colpevoli invece di appartenere ad un’intesa verticale. Ma Mastecard e le banche licenziatarie presentarono ricorso a tale decisione dell’AGCM che fu accolto nel 2016 dal Consiglio di Stato.

Questa serie di casi, sia comunitari che nazionali, volti a valutare che il livello di MIF imposto dai circuiti non violasse l’art. 101 del TFUE ha posto l’esigenza di intervenire in materia a livello comunitario, regolamentando la commissione interbancaria. L’obbiettivo finale di tale regolamentazione è evitare giudizi ed applicazioni difformi a livello dei singoli paesi comunitari, che potrebbero contrastare con la creazione e l’integrazione di un sistema dei pagamenti europeo, tenuto conto anche del forte aumento di transazioni tramite carte di pagamento a livello comunitario.

Per questo motivo, come analizzeremo nel Capitolo 3, la Commissione Europea con il regolamento 751/2015 UE ha stabilito dei valori di MIF massimi applicabili, differenziati in

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3 base alla tipologia di carta (credito o debito) basandosi sul cosiddetto “merchant indifference

test”. Tale test sviluppato nella letteratura accademica da Rochet e Tirole (2007) si pone

l’obbiettivo di proporre un nuovo metodo di calcolo per giungere ad un livello di MIF ritenuto ottimale in grado di rendere indifferente l’esercente dall’accettare le carte di pagamento o contanti.

Da notare però, che se i principi del merchant indifference test sono relativamente chiari, la sua applicazione concreta attraverso la raccolta e l’analisi di un insieme di dati specifici implica una serie di considerazioni metodologiche, scelte e approssimazioni tali da influenzare i risultati di tale test. Così il problema per una corretta quantificazione del livello di MIF volto a massimizzare il benessere dei titolari delle carte e degli esercenti resta sempre aperto, lasciando ancora spazio a varie interpretazioni e critiche.

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4

CAPITOLO 1

: IL RUOLO DELLA MIF NEI CIRCUITI DI

PAGAMENTO E LA TUTELA DELLA CONCORRENZA

1.1 Il funzionamento dei circuiti di pagamento

I sistemi di carte di pagamento consentono il pagamento di transazioni senza l’uso di contante, ma attraverso l’accredito/addebito di conti (generalmente bancari) rispettivamente di chi incassa e di chi lo dispone, effettuato da parte del gestore di un circuito (es: Visa, Mastercard). Lo schema tipico di funzionamento di un circuito di carte di pagamento prevede che una banca (issuer) contrattualizzi dei soggetti a cui sono consegnate delle carte che attestano l’adesione allo circuito, queste stesse carte possono essere utilizzate per i pagamenti presso gli esercenti convenzionati. L’esercente convenzionato è in grado di accettare la carta qualora abbia sottoscritto un’apposita convenzione con lo stesso emittente o un intermediario (acquirer) e paga alla propria banca una commissione (merchant fee) in genere calcolata in percentuale dell’importo della transazione stessa. Generalmente il detentore della carta paga invece alla propria banca solo un canone annuo.

Gli schemi di carte di pagamento si differenziano a seconda che consentano (carte di credito) o meno (carte di debito) l’addebito differito. Oltre a consentire di effettuare le transazioni senza contante, questi schemi di pagamento presentano ulteriori vantaggi per i partecipanti:

• Esercenti convenzionati: contabilizzazione immediata, sicurezza dell’incasso, comodità di non dover acquisire il contante, assicurazione contro le frodi.

• Clientela: Premi o altri benefici da programmi di fidelizzazione.

I sistemi di pagamento possono essere organizzati in diverse forme (Trifilidis 2004), a seconda delle modalità in cui sono ripartite le diverse attività che è necessario svolgere affinché un sistema di pagamento funzioni (fissare le regole di funzionamento, contrattualizzare i clienti, convenzionare gli esercenti, emettere le carte, processare le autorizzazioni, etc.).

Inoltre è possibile distinguere due diversi modelli di sistemi di pagamento1:

1 I tipici esempi del modello proprietario sono American Express e Diners’ Club, mentre per quanto riguarda il modello

associativo possiamo nominare Visa, Mastercard o Pagobancomat, quest’ultimo rappresenta anche la principale carta di debito in Italia.

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5 • Il sistema a quattro parti o associativo2

• Il sistema a tre parti o proprietario

1.1.1 Il sistema a quattro parti

Il sistema a quattro parti è basato su una rete associativa costituita da più soggetti (bancari e non). Le quattro controparti coinvolte in tale sistema sono le banche issuer e acquirer, il titolare della carta e l’esercente. Mentre i gestori di tali sistemi non operano direttamente sul versante

issuing né su quello acquiring, ma si limitano a rilasciare licenze oltre a fissare le regole di

funzionamento del circuito (possono anche gestire altre fasi del processo di pagamento come il processamento delle transazioni, clearing e settlement). Queste licenze consentono ai licenziatari, generalmente banche o soggetti di emanazione bancaria, di operare sui due lati del mercato (issuing e acquiring). Le banche issuer svolgono l’attività di emissione delle carte, potendo inoltre effettuare anche l’attività di convenzionamento degli esercenti a condizione di aver raggiunto un certo numero di carte emesse (open loop system). Di contro, le banche

acquirer convenzionano gli esercenti con uno specifico circuito permettendoli così la possibilità

di accettare come metodo di pagamento le carte aderenti a quel preciso schema di pagamento. Tuttavia il sistema più diffuso si basa sulla cooperazione di soggetti che svolgono separatamente il ruolo di convenzionamento (acquirer) e di emissione (issuer). In questo caso la banca acquirer ha rapporti con l’esercente, mentre la banca issuer con il detentore della carta. I sistemi a quattro parti sono naturalmente caratterizzati da una serie di regole comuni finalizzate a garantire la cooperazione tra le banche partecipanti con lo scopo di gestire gli aspetti tecnici concernenti l’autorizzazione e il regolamento delle operazioni, le politiche commerciali riguardanti il marchio, l’amministrazione del circuito e gli aspetti economici. Con riguardo agli aspetti economici, per ogni transazione è previsto un trasferimento tra le banche coinvolte, che normalmente ha luogo dalla banca dell’esercente a quella del titolare della carta, attraverso una commissione interbancaria. Questa commissione può essere determinata a livello bilaterale, ma le regole del circuito determinano in genere un livello massimo, che vale per tutte le banche aderenti al sistema come valore di default. Queste commissioni, che prendono il nome di MIF (Multilateral Interchange Fee), sono interpretate

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6 come funzionali ad assicurare un’equa ripartizione dei costi dei partecipanti. Nell’ambito di un circuito possono esistere diversi livelli di MIF, in base alle diverse tipologie di carte emesse e per diverse tipologie di esercenti. Inoltre le MIF sono differenziate per nazione. Nei circuiti internazionali (Visa, Mastercard) vi sono multilateral interchange fee sia per transazioni nazionali che per transazioni che coinvolgono soggetti di paesi diversi (cross-border).

Come però mostrato in Figura 1, la commissione interbancaria non è l’unica tassa pagata in un sistema a quattro parti. Infatti i commercianti pagano una tassa alla propria banca (acquirer) conosciuta come Merchant Service Charge (MSC), della quale la commissione interbancaria è solo una sua componente. Il ruolo della MSC è quello di coprire i costi derivanti dalla fornitura del servizio come la connettività al circuito, il terminale hardware e software, assistenza clienti etc. La sua funzione economica è quella di consentire alle banche acquirer di beneficiare dell’accettazione delle carte da parte degli esercenti contrattualizzati. Invece il circuito raccoglie una commissione, di solito molto piccola per remunerare i propri servizi conosciuta come switch fee.

Il processo attraverso cui viene effettuata una transazione con carta in un sistema a 4 parti prevede 8 fasi:

1) La banca del consumatore (issuer) rilascia una carta al soggetto che ne ha fatto richiesta. 2) Il titolare della carta avvia una transazione per acquistare un bene o servizio da un

esercente convenzionato con uno specifico circuito.

3) Il commerciante richiede una richiesta di autorizzazione alla propria banca (acquirer). 4) La banca acquirer invia la richiesta di transazione alla banca issuer per la verifica e

l’autorizzazione.

5) La banca issuer autentica la transazione e la banca acquirer fornisce conferma all’esercente.

6) Il consumatore (titolare della carta) completa l’acquisto con l’esercente. 7) Le banche issuer e acquirer regolano la transazione.

8) Il conto del titolare della carta viene addebitato dalla banca issuer per il bene o servizio acquistato dall’esercente.

La commissione interbancaria è inclusa nella fase 7 di questo processo, dove la banca issuer sottrae la commissione prima di trasferire i fondi alla banca acquirer.

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1.1.2 Il sistema a tre parti

Invece il sistema a tre parti o anche detto proprietario, si fonda su una rete integrata in cui il medesimo soggetto svolge di norma entrambe le attività di acquirer e issuer (closed loop

system). L’emittente della carta è, al tempo stesso, l’operatore che convenziona l’esercente.

Tale schema può individuare, al pari di quanto accade nei circuiti a quattro parti, meccanismi di trasferimento dei ricavi tra il versante issuing e quello acquiring dell’intermediario, simili ad una commissione interbancaria “implicita”. Quindi, a differenza dello schema non proprietario, il sistema a 3 parti determina una ripartizione di oneri e ricavi da servizi, non tra diverse imprese, ma tra diverse linee di business di un’unica impresa.

Multilateral Interchange fee

Merchant service charge

Other fees and commissions Card transaction Interest charges Card benefits Cardholder fees

Figura 1: Funzionamento di un sistema di pagamento a quattro parti (fonte: Propria elaborazione da “The Economics Impact of Interchange Fee Regulation 2014”)

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Figura 2: Funzionamento di un sistema di pagamento a 3 parti (fonte: propria elaborazione da “Rysman,Wright,The Economics of Payment Cards,2012”)

1.1.3 I l ruolo della MIF

La MIF svolge un ruolo fondamentale nel funzionamento dei circuiti associativi. Essa si esplica in un meccanismo economico di remunerazione della banca issuer per la sua attività di emissione delle carte. Tale meccanismo tiene conto del fatto che le norme di adesione ai circuiti nazionali e internazionali impediscono che al titolare venga fatto gravare un costo diverso dal canone annuo della carta3. La MIF rappresenta invece un rilevante costo intermedio per la banca convenzionatrice e costituisce una parte rilevante dei prezzi finali applicati ai commercianti per le transazioni che si avvalgono delle carte di pagamento.

Infatti in un sistema associativo i ricavi della banca issuer sono costituiti dal canone della carta emessa e dalla MIF incassata a seguito dell’utilizzo della carta. Mentre i ricavi per la banca

acquirer sono costituiti dalle commissioni finali praticate ai commercianti, al netto della MIF

pagata alla banca issuer. La commissione interbancaria serve infatti a compensare i maggiori rischi e costi che le banche issuer corrono rispetto alle banche acquirer (per esempio nel caso

3 Nel caso delle carte di debito e credito, le politiche di tariffazione a carico dei titolari delle carte sono

finalizzate ad incentivarne l’uso, per questo motivo, di norma, non sono previste commissioni d’uso a carico dei titolari delle carte per le singole operazioni, mentre è frequente l’incentivo a favorire l’utilizzo delle carte tramite premi o programmi di fidelizzazione.

Service fee Settlement of funds Payment Product or Service Invoicing Payment

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9 delle carte di credito: la garanzia di pagamento contro frodi e default del titolare della carta, il periodo di finanziamento gratuito e l’elaborazione delle transazioni in entrata).

Allo stesso tempo, la commissione interbancaria serve a bilanciare le richieste dei consumatori e degli esercenti, in modo tale da aumentare l’ammontare di transazioni, ma anche consentire alle banche issuer di investire in innovazione, sicurezza etc.

Complessivamente, maggiore è la MIF, e di conseguenza anche la commissione finale agli esercenti, maggiori saranno i ricavi per le banche issuer. Ma in questo caso diminuirebbe il numero degli esercenti disposti a convenzionarsi, in relazione ai più alti costi che dovrebbero fronteggiare per ogni transazione effettuata. Allo stesso modo, visto che la commissione interbancaria fornisce profitti alle banche issuer in relazione al volume delle transazioni, esse offriranno le proprie carte a condizioni più favorevoli, con l’obbiettivo di incrementare l’utilizzo delle carte di pagamento attraverso: commissioni basse o anche nulle, miglior servizio al cliente o programmi di fidelizzazione. Al contrario, minore è la MIF, maggiori sono i costi di detenzione della carta, in relazione alla compensazione che le banche issuer devono effettuare per mantenere invariati i loro ricavi complessivi, provocando di conseguenza una diminuzione dei detentori delle carte e un aumento degli esercenti disposti a convenzionarsi (Trifilidis 2004).

1.2 Il punto di vista della letteratura sulla MIF

1.2.1 La MIF come esternalità positiva

Negli ultimi decenni l’analisi economica ha dedicato particolare attenzione all’organizzazione dei sistemi di pagamento e alle loro condizioni di funzionamento, in particolare si è concentrata sul ruolo della MIF all’interno dei sistemi di pagamento. La letteratura (Baxter 1983) ha connotato i sistemi di pagamento come tipologie rappresentative di mercati a due lati: si tratta di sistemi che mettono in collegamento soggetti che chiedono servizi diversi e complementari (es: incasso e pagamento) e sono caratterizzati da esternalità di rete positive. Tale affermazione comporta che l’utilità del sistema di pagamento (per chi deve incassare e/o pagare) aumenta al crescere del numero degli aderenti all’altra parte del servizio.

In questo contesto, la struttura dei prezzi per le due parti della transazione assume una connotazione particolare. Infatti, poiché un'unica infrastruttura è al servizio di due tipologie

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10 diverse di soggetti con esigenze differenti, anche se complementari, il costo dell’infrastruttura deve essere ripartito sulla base della disponibilità a pagare di ciascuna parte.

Inoltre la struttura dei prezzi deve tenere conto anche della presenza di esternalità positive, da cui deriva la necessità di incentivare la diffusione del servizio favorendo un incremento di efficienza e miglioramento del benessere collettivo. Di conseguenza la struttura dei prezzi per le due parti tenderà a distribuire il costo complessivo in relazione sia all’elasticità della domanda per servizi di pagamento, sia in relazione al benessere che l’uso dello schema da luogo, per ciascuna delle due parti. Ne consegue che la struttura ottimale dei prezzi prescinde dai costi relativi alla prestazione del servizio all’una o all’altra parte (Calvano 2010).

La MIF può essere considerata come un trasferimento tra imprese che cooperano al fine di fornire un servizio congiunto, caratterizzato da importanti esternalità positive indirette di rete. In questo modo la cooperazione supplisce a possibili fallimenti del mercato e consente di controllare che tali esternalità siano pienamente internalizzate (Salop1992). Quindi forme di autoregolamentazione per la fissazione cooperativa della MIF sono necessarie con riguardo al controllo delle esternalità e possono tenere in “adeguata considerazione l’interesse generale del sistema alla più ampia diffusione dei pagamenti”4.

In particolare la direzione della MIF dipende dalla valutazione circa quale degli utenti finali (esercente o titolare della carta) sia più sensibile al costo della transazione (elasticità), così da poter sfruttare appieno l’esternalità di rete. Da questo punto di vista, tale utente è in genere riconosciuto nel consumatore, mentre l’esercente è “incastrato” dall’esigenza di non perdere i clienti che vogliono pagare con le carte di pagamento. Di conseguenza, per aumentare la diffusione del servizio, la banca acquirer trasferirà allora alla banca issuer un ammontare pari alla MIF, affinché riduca il costo della transazione per il titolare della carta. Questo trasferimento di commissioni, fa sì che il consumatore sia incentivato a usare di più la carta o ad acquisirne una nel caso ancora non la possieda, provocando un aumento delle transazioni con risvolti positivi anche per gli esercenti.

Secondo parte della letteratura, l’esistenza della commissione interbancaria sarebbe giustificata sia dalla riduzione dei costi di contrattazione bilaterale sia dal fatto che consente al circuito di tenere conto delle diverse elasticità di domanda rispetto al prezzo delle diverse categorie di utenti finali. Due sono le argomentazioni di fondo alla base di questa impostazione teorica.

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11 Il primo profilo riguarda il costo delle contrattazioni, che scaturisce dalla necessità che i servizi di pagamento interbancari si svolgano in circuiti quanto più ampi possibile. Inoltre l’applicazione di innovazioni tecnologiche all’informatica di tali servizi presuppone l’esistenza di accordi multilaterali, non solo sulle caratteristiche tecniche e sugli aspetti procedurali del servizio, ma anche sulla remunerazione delle transazioni interbancarie. Ma la determinazione di un'unica commissione multilaterale definita in modo centralizzato, è da preferire, in quanto evita il conseguente aumento dei costi di transazione e riduce i problemi di coordinamento tra gli operatori aderenti al circuito.

Infatti, la negoziazione bilaterale delle reciproche condizioni economiche scaturirebbe in una eccessiva onerosità in presenza di un elevato numero di banche negoziatrici. Se ipotizziamo la presenza di un circuito che prevede solo commissioni bilaterali, i soggetti che vorrebbero entrare nel mercato aderendo al circuito dovrebbero contrattarne una, in una posizione di debolezza. In questo caso le controparti già presenti sul circuito potrebbero sfruttare la propria posizione rendendo più elevati i costi per i nuovi entranti, scoraggiandone così la loro adesione. Ma anche l’assenza di regole di riferimento potrebbe favorire abusi da parte della banca emittente che si trovi in una posizione di monopolio nei confronti della banca affiliante, per quanto riguarda il regolamento di una singola operazione di pagamento. Per questi motivi, un qualche meccanismo di riferimento risulta necessario. Infatti, se l’assenza della MIF potrebbe rivelarsi come un ulteriore barriera all’entrata, la sua fissazione su base multilaterale consentirebbe l’accesso a tutti i soggetti interessati in base a condizioni e criteri certi, divenendo così uno strumento che agevola l’ampliamento dei circuiti associativi.

Le principali organizzazioni di carte di pagamento hanno sempre difeso la piena legittimità della MIF con riferimento soprattutto alla necessità di bilanciare i diversi interessi che intercorrono tra le banche acquirer e issuer. Tra i maggiori esponenti di questa posizione a favore della MIF, troviamo gli scritti di Ahlborn, Chang e Evans (2001, p.311) che in tal proposito affermano: “the interchange fee is not a price in the normal economic use of that

term but rather a device for promoting the card brand by achieving the optimal balance of carholders and merchants”. Le fondamenta teoriche di questa posizione derivano dall’assunto

che un circuito di carte di tipo associativo abbia un proprio prioritario interesse nel fissare una commissione che massimizzi l’uso della carta nell’ambito del circuito stesso. In questo caso la MIF svolgerebbe il ruolo di assestamento finanziario degli squilibri derivanti da un lato, dai costi sopportati nella fase di emissione e affiliazione, dall’altro dagli introiti provenienti dai titolari delle carte e dagli esercenti.

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12 Ricordando che i sistemi di carte di pagamento sono reti in cui agiscono due categorie distinte e interdipendenti di utilizzatori, le banche acquirer e gli esercenti da un lato, le banche issuer e i titolari di carta dall’altro, è naturale che ogni categoria preferirebbe che i costi del sistema venissero pagati dall’altra controparte. La MIF si inserisce proprio in questi interessi divergenti tra le parti che aderiscono al circuito, ripartendo i costi del sistema in maniera tale da renderli uguali al beneficio marginale che ciascuna categoria trae dal sistema e massimizzando quindi l’utilità complessiva.

Infatti, nell’attuale configurazione dei sistemi associativi, gli introiti a favore delle banche

issuer derivanti dai titolari delle carte possono essere inferiori rispetto ai costi sopportati dalla

stessa banca issuer. Di contro, i benefici a favore delle banche acquirer derivanti dagli esercenti sono invece superiori rispetto ai costi da esse sostenuti in relazione al sistema di pagamento nel suo complesso. A difesa di questa posizione, in cui la MIF gioca il ruolo di eliminare questi squilibri al fine di accrescere la domanda e l’utilizzo dei servizi di pagamento, si è espresso anche Schmalensee (2001) che a proposito ha affermato: “balancing device for increasing the

value of a payments system by shifting costs between device and acquirers and thus schifting charges between consumers and merchants”.

Se riteniamo corretta questa impostazione positiva della letteratura sulle commissioni interbancarie, è logico affermare che di conseguenza la MIF deve essere significativamente diversa da zero (Rochet e Tirole 2002), ed eventuali restrizioni avrebbero l’effetto di distorcere l’equilibrio tra il potere di mercato dell’issuer e dell’acquirer con conseguenze negative per il benessere collettivo. Pertanto, ogni limitazione operativa riguardante la commissione interbancaria renderebbe più difficile la competizione dei sistemi di tipo associativo con quelli proprietari.

Gli stessi risultati sono stati raggiunti da Rochet e Tirole (2002), analizzando il caso di esercenti omogenei e di commissioni fisse annuali per i titolari delle carte. Questi due autori hanno introdotto per la prima volta la possibilità del “merchant internalization”, che influenza il comportamento degli esercenti dovendo quest’ultimi fissare un unico prezzo a prescindere dal metodo di pagamento scelto dai consumatori. In base a questa possibilità, gli esercenti tenderanno a interiorizzare il surplus che gli deriva dall’offrire ai propri clienti il pagamento tramite carta. Questo risultato deriva dal fatto che gli esercenti sono consapevoli che l’accettazione delle carte permette loro di offrire un maggior beneficio ai propri clienti, potendo così impostare un prezzo più elevato senza perdere quote di mercato. In base a questa

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13 impostazione, gli esercenti vedono in maniera positiva la presenza della MIF, in quanto l’accettazione delle carte di pagamento consente loro di migliorare la qualità del servizio che offrono ai consumatori.

Sulla base di questi assunti, è da rigettare quella posizione della letteratura che assoggetta la presenza della MIF, a un comportamento anticoncorrenziale sia al livello interno che esterno tra i diversi circuiti. Infatti, nel primo caso, essendo la MIF un semplice trasferimento da una banca acquirer ad una banca issuer, essa non produce nessun comportamento anti competitivo, quindi la commissione interbancaria, non limita in nessun modo la concorrenza tra le diverse banche del circuito. Invece per quanto riguarda la competizione esterna tra i diversi circuiti, essendo la MIF uno degli strumenti sulla quale i circuiti competono tra di loro, può costituire addirittura uno strumento pro-competitivo.

Tali argomentazioni fanno sì che la commissione interbancaria multilaterale non rientrerebbe neppure nel campo di applicazione delle regole a tutela della concorrenza, affidando allo stesso circuito la quantificazione del livello ottimale di MIF grazie alle informazioni che solo il circuito stesso possiede. Quindi tra i motivi a favore della MIF, viene anche sostenuta la difficoltà nella definizione di una commissione interbancaria ottimale tramite un processo di regolamentazione esterno. Anzi, nel caso di accordi bilaterali su commissioni reciproche di diverso ammontare, non è scontato che comporterebbero per certo una riduzione del loro livello. Inoltre alcuni autori, tra cui Baxter (1983)5, hanno sostenuto che questi accordi bilaterali potrebbero addirittura aumentarle, in quanto ciascuna banca non è in grado individualmente di calcolare adeguatamente l’effetto che le proprie operazioni e le proprie commissioni hanno sul sistema.

In conclusione, parte della letteratura ha sostenuto che la presenza della MIF non produce né una limitazione delle transazioni complessive del servizio di pagamento tramite carta, né costi più alti per l’utilizzo di tali servizi; che sono gli aspetti di maggior rilievo e attenzione per le Autorità di controllo sulla concorrenza del mercato. Anzi l’evidenza empirica ha dimostrato come i circuiti associativi, avendo delle dimensioni maggiori di quelli proprietari presentano pure delle commissioni finali agli esercenti minori.

5 Cfr. Baxter (op. cit.). L’autore prendendo atto dell’incapacità di ciascuna banca di calcolare individualmente e

adeguatamente l’effetto che le proprie operazioni e commissioni hanno sul sistema, afferma che in un regime concorrenziale la commissione interbancaria è socialmente accettabile ed ha un valore positivo.

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1.2.2 La MIF comporta il fallimento del mercato?

Come abbiamo visto nel paragrafo precedente, le associazioni che gestiscono le carte di pagamento hanno da un lato, un diretto interesse ad attuare comportamenti finalizzati a rendere più ampio il proprio circuito, mentre dall’altro, come hanno evidenziato diversi autori (Salop 1990, Balto 1999), nella determinazione delle varie commissioni da applicare alla propria clientela (esercenti e titolari di carta), sono tendenzialmente portati ad attuare comportamenti volti a massimizzare i propri ricavi e non l’interesse del consumatore6. Inoltre, le varie istituzione finanziarie coinvolte, in virtù della propria differenziazione in termini di dimensione, struttura dei costi e alla tipologia quantitativa e qualitativa della domanda, evidenziano dei profili tra loro così contrastanti che accentuano il problema di una determinazione uniforme e efficiente della MIF. Proponendo così il dubbio, che il livello previsto di tali commissioni possa non corrispondere alle esigenze di tutti i partecipanti al circuito.

Da ciò deriva la possibilità, che il libero operare della concorrenza, o anche l’intervento delle autorità preposte, potrebbe portare a risultati in termini di prezzi migliori, ipotesi rafforzata anche dalla difficoltà di percepire oggettività e trasparenza nei valori di MIF adottati. Secondo tali autori, la MIF può presentare effetti restrittivi sia tra le singole banche aderenti al circuito sia nei confronti dei consumatori. Infatti tale commissione, rappresentando una remunerazione tra due banche che effettuano tra di loro il regolamento di un’operazione di pagamento, viene fissata collettivamente e di conseguenza limita la possibilità per le banche di praticare politiche tariffarie autonome e su base minore rispetto a quelle stabilite collettivamente.

Inoltre la MIF condiziona anche il comportamento delle stesse banche verso la clientela, in quanto la MIF rappresenta sul lato acquiring, il livello minimo delle commissioni applicate agli esercenti convenzionati, mentre sul lato issuing, la banca emittente riesce a rientrare di parte dei suoi costi evitando così di doverli ribaltare sul proprio cliente (il titolare della carta). In questo modo la banca issuer riesce ad applicare al proprio cliente solamente un canone annuo, evitando così una tariffazione esplicita del servizio prestato.

La letteratura ha dedicato particolare attenzione alla possibilità, che la determinazione privata delle commissioni interbancarie possa comportare il fallimento del mercato. Molti economisti (Carlton e Frankel 1995, Katz 2001, Cabral 2005, Vickers 2005, Farrell 2006) hanno sostenuto

6 In questo contesto, per consumatore si intendono sia gli esercenti (in quanto clienti dei servizi acquiring) sia i

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15 che la struttura delle commissioni applicate alle carte di pagamento (sia di credito che di debito), potrebbe essere distorta, con la conseguenza che gli esercenti pagano troppo per accettare le carte, mentre i titolari di carta pagano troppo poco rispetto alla struttura di commissioni efficiente. Provocando così un utilizzo eccessivo delle carte di pagamento da parte dei consumatori.

Analizziamo adesso, tre diverse ipotesi su cui si basa tale pregiudizio:  Revenue shifting

 Merchant internalization

 Asymmetric choice between consumers and merchants

• Revenue shifting

Come ha descritto Schmalensee (2002) nei suoi articoli, se gli interessi delle banche acquirer e

issuer non hanno lo stesso peso nella determinazione della commissione interbancaria, tale

commissione, definita privatamente, sarà influenzata dal desiderio di spostare il profitto da un lato del sistema all’altro. Egli, concentrandosi su un sistema che vede sia la banca acquirer che issuer in una posizione di monopolio, ipotizzando inoltre un maggior peso che viene dato al profitto della banca issuer nel determinare la commissione interbancaria; raggiunge la conclusione che il circuito tenda a favore di una commissione interbancaria più alta di quella che sarebbe preferibile. Di conseguenza, questo “Revenue shifting” porterebbe a un livello di commissione superiore rispetto al livello socialmente ottimale.

Questa ipotesi inerente lo spostamento delle entrate, implica che la fissazione privata delle commissioni interbancarie potrebbe ridurre le transazioni con carta rispetto invece al caso in cui fosse impostata per massimizzare il numero di transazioni. Ma di contro, la commissione interbancaria definita privatamente potrebbe aumentare le transazioni rispetto ad altri parametri di riferimento (commissione interbancarie pari a 0 o definite a livello bilaterale).

•Merchant internalization

Wright (2012) ha dimostrato come il merchant internalization possa comportare una distorsione verso elevati livelli di commissioni interbancarie quando gli esercenti sono eterogenei. Se infatti ipotizziamo che il circuito di carte di pagamento, svolga la sua attività in una situazione di

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16 monopolio, esso sarebbe in grado di discriminare il livello di commissioni tra i due lati del circuito. Infatti quest’ultimo, nella scelta del livello di MIF da applicare tiene conto della volontà a pagare degli utenti su ogni lato, al fine di massimizzare il proprio profitto. Ma se i clienti devono affrontare lo stesso prezzo di vendita al dettaglio a prescindere dal metodo di pagamento utilizzato, questo surplus determina ciò che i consumatori sono disposti a pagare per detenere la scheda. In base a queste assunzioni, il surplus del consumatore derivante dall’utilizzo della carta viene contato due volte: la prima quando il circuito estrae surplus da ogni esercente che accetta le carte, mentre la seconda volta quando si estrae surplus sui consumatori che le detengono.

Invece, per una piattaforma che non può discriminare il prezzo su entrambi i lati, la logica dietro il processo è più sottile. Se ipotizziamo il caso in cui i titolari delle carte e gli esercenti, ottengano dei benefici simmetrici dall’utilizzo delle carte, la natura simmetrica della domanda sui due lati comporta che il benessere sarà massimizzato con una commissione interbancaria che renda uguali i vantaggi di ogni utente su entrambi i lati. Dal momento che gli esercenti interiorizzano i benefici dei titolari delle carte dall’istante in cui le accettano, questo richiede che gli esercenti sopportino dei costi maggiori rispetto ai titolari delle carte. Tuttavia, un circuito che opera in una situazione di monopolio, vorrà spostare ancora di più i costi dai titolari delle carte verso i commercianti, ben oltre il livello in cui sono equiparati i vantaggi degli utenti marginali.

Questo risultato riflette il fatto, che l’adesione degli esercenti al circuito è relativamente insensibile ad un cambiamento della commissione interbancaria, dal momento che anche se una commissione interbancaria maggiore aumentasse le tariffe applicate agli esercenti, aumenterebbero anche i premi o benefici dei titolari delle carte, che l’esercente prende in considerazione a causa del merchant internalization.

•Asymmetric choice between consumers and merchants

Bedre-Defolie e Calvano (2013) hanno analizzato la presenza di un’asimmetria tra titolari carta e gli esercenti, per spiegare il maggior livello di commissioni interbancarie volte a favorire i titolari delle carte e sfavorire i commercianti. Essi si sono concentrati sul fatto che i consumatori devono prendere due decisioni (detenere la carta e scegliere se usarla), mentre gli esercenti sono chiamati a prendere solo una decisione (se accettare le carte). Così loro ritengono, che se gli

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17 esercenti non possono orientare i consumatori verso l’utilizzo di particolari strumenti di pagamento a loro preferiti (orientandoli attraverso sovrattasse, sconti, promozioni etc.), sono obbligati ad accettare le carte una volta che hanno deciso di accettare questo particolare metodo di pagamento. Invece i consumatori, potendo prendere due decisioni, fa sì che il circuito, impostando una tassa fissa per i quest’ultimi, sia in grado di estrarre un maggior surplus sul titolare della carta. In questo caso, in cui la banca issuer opera in una situazione di monopolio, l’ottimizzazione del proprio profitto che gli deriva dalla massimizzazione del surplus dei consumatori si tradurrebbe in un elevato livello di commissione interbancaria sbilanciata verso i titolari delle carte.

Ma è importante notare come il risultato di Bedre-Defolie e Calvano (2013) si basi sulla natura asimmetrica della discriminazione del prezzo. La loro impostazione implica una perfetta discriminazione di prezzo su un lato (per i titolari carta) e non sull’altro lato (gli esercenti), mentre in realtà la possibilità di discriminazione dei prezzi possono verificarsi su entrambi i lati. Infatti l’evidenza empirica ha dimostrato come i prezzi degli emittenti si sono comportati in maniera molto diversa da quella prevista da Bedre-Defolie e Calvano.

1.2.3 Il livello socialmente ottimale di commissioni interbancarie

In un articolo che era in anticipo sui tempi, Baxter (1983) ha fornito per la prima volta in letteratura una teoria sul livello socialmente ottimale di MIF, analizzando il caso di un mercato in cui vi fosse concorrenza perfetta tra le banche issuer e le banche acquirer, in modo tale che entrambi ottenessero zero profitti7. Nella sua teoria, Baxter ipotizza la presenta di due sole alternative di pagamento (carta o contanti) per poter concludere la singola operazione. Egli osserva che i consumatori utilizzerebbero le carte, e gli esercenti le accetterebbero, se e solo se i benefici di convenienza congiunti superano i costi issuer e acquirer per la fornitura del servizio. Tuttavia, con commissioni interbancarie azzerate, il titolare della carta dovrà sopportare i costi relativi alla fase di issuer, mentre l’esercente dovrà pagare una commissione

7 Come ha notato anche Schmalensee (2002), Baxter non fornisce una teoria positiva di commissioni

interbancarie, dato che il suo modello si basa sul fatto che le banche issuer e acquirer non ottengono profitti. Per questo motivo nella sua teoria non è determinato un livello di commissioni interbancarie.

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18 relativa al costo di acquirer. Questo ragionamento fa sì che sorga un’esternalità che comporterà un utilizzo non efficiente delle carte di pagamento.

Se invece supponiamo che la commissione interbancaria, pagata dalla banca acquirer alla banca

issuer sia uguale al beneficio che l’esercente avrebbe nell’accettare la carta meno il costo di

fornitura delle banche acquirer, questa commissione, nota come commissione interbancaria Baxter (assumendo un mercato di concorrenza perfetta sia lato acquirer che issuer) fa sì che tale commissione interbancaria sarà riversata a favore dei titolari della carta (sotto forma di sconti o tariffe ridotte). I consumatori potranno così affrontare tutti i costi delle carte (issuer e

acquirer) e tutti i benefici (i propri e quelli dell’esercente). Quindi le loro decisioni sul fatto di

utilizzare o meno le carte saranno interiorizzate completamente dalla presenza di questa esternalità.

In base a questa impostazione, la MIF rappresenta semplicemente un trasferimento tra imprese inserite in un mercato concorrenziale, imprese che da un lato dovranno aumentare le commissioni per coprire i propri costi fissi, mentre dall’altro lato le imprese competeranno tra di loro abbassando i loro prezzi. La commissione interbancaria di conseguenza può influenzare solo la struttura dei prezzi ma non il proprio livello.

Nel suo modello, Baxter, per dimostrare il ruolo che la commissione interbancaria ha nel garantire la sostenibilità dell’intero sistema dei pagamenti, ha ipotizzato che sia i possessori della carta che gli esercenti ricavano gli stessi benefici dalla conclusione della transazione. Definiamo i prezzi pre-transazione a favore del sistema di pagamento derivanti dall’utilizzo della carta come Pc per i consumatori, e Pm per gli esercenti. Mentre i benefici per transazione, derivanti dall’utilizzo delle carte di pagamento come Bc per il consumatore e Bm per l’esercente. Supponiamo inoltre che il costo marginale costante derivante dall’utilizzo della carta sia Cc per il consumatore, mentre quello di accettare le carte per il consumatore sia Cm. Sotto queste ipotesi, risulterà conveniente utilizzare la carta per completare la transazione, se e solo se:

(Bc+Bm) ≥ (Cc+Cm) 1) Nel caso di una commissione interbancaria pari a zero e in una situazione di concorrenza perfetta, i consumatori troveranno conveniente l’utilizzo della carta, e le banche issuer raggiungeranno il proprio break even se:

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19 Mentre gli esercenti accetteranno le carte e le banche acquirer raggiungeranno il loro break

even se:

Bm≥Pc=Cc 3) Nel caso di un sistema che prevede un livello di commissioni interbancarie pari a zero, la 2) e la 3) sono sempre soddisfatte.

Nel modello Baxter, la commissione interbancaria non è impostata per massimizzare i profitti, dal momento che non ci sono profitti realizzati in uno dei due lati del mercato. Egli ha sostenuto che il suo livello è stato determinato unicamente dalla necessità di equilibrare la domanda e l’offerta delle transazioni con carta. Questo risultato sembra però un po’ forzato, infatti dal momento in cui alcuni commercianti hanno deciso di accettare le carte, il volume delle transazioni è determinato unilateralmente dai titolari delle carte in base alla loro decisione di utilizzarla o meno per concludere la transazione.

L’importante intuizione dell’analisi di Baxter è che la commissione interbancaria aiuta a interiorizzare un’esternalità tra i due lati del mercato.

Questa base teorica, ha fatto da propulsore per tutta la successiva analisi del livello socialmente ottimo di commissioni interbancarie. Infatti, se ad ogni esercente fosse applicata una commissione interbancaria così come definita dal modello di Baxter, il costo associato all’esercente sarebbe tale da lasciarlo indifferente nell’accettare le carte oppure un altro metodo di pagamento alternativo (ad esempio contanti). Quest’ultimo principio è noto come “merchant

indifference criterion” (Farrell,2006) o “tourist test” (Rochet e Tirole 2011)8. Questi due ultimi principi sono pari alla commissione MIF Baxter quando il margine di acquisizione è zero, e nel caso considerato da Baxter tutte le MIF si assestano ad un livello che massimizza il benessere sociale.

Quando invece le banche acquirer ottengono un margine positivo, che presumibilmente devono realizzare per coprire i costi fissi, il criterio del “tourist test” implica che il livello di commissione interbancaria è troppo basso. In particolare questo vuol dire che il suo livello è minore del livello di commissione interbancaria proposto da Baxter, dato che il livello di MIF deve ancora essere impostato in modo tale da indurre gli esercenti ad interiorizzare il beneficio

8 Il “tourist test” consente di ancorare la MIF ai benefici che gli esercenti ricavano dall’accettare le carte invece

che contanti. Questo test ipotizza la presenza di un cliente (tourist) con sufficiente contante per concludere la transazione senza l’uso di carte di pagamento (condizione nota al commerciante). Il livello ottimale di MIF corrisponde a quel valore che non provoca il rifiuto delle carte di pagamento da parte dell’esercente.

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20 derivante dall’accettare le carte di pagamento. La divergenza deriva dal fatto che la commissione interbancaria che massimizza il benessere sociale deve essere impostata per compensare la distorsione derivante dai margini positivi lato acquirer. Al contrario, la commissione interbancaria Baxter massimizza ciò che Rochet e Tirole (2011) chiamano “call

total user surplus”. Per capire come massimizzare il benessere sociale dal punto di vista di una

quantificazione della MIF, possiamo pensare a come si comportano gli esercenti di fronte ai benefici ma anche ai costi che derivano dall’accettare i pagamenti tramite carta. Una quantificazione socialmente ottima della MIF non solo deve favorire l’utilizzo delle carte da parte dei soggetti ma anche indurre gli esercenti ad accettarle quando essa genera surplus sociale.

La MIF che massimizza il benessere sociale è dominata da un trade-off tra il giusto livello di commissione interbancaria per gli utilizzatori delle carte e il giusto livello a carico degli esercenti. Il giusto livello per i consumatori è tale che usino la carta ogni qualvolta la somma dei benefici derivanti dal suo utilizzo è superiore rispetto ai costi che devono sopportare. Mentre gli esercenti sono propensi ad accettare la carta ogni qualvolta la somma dei benefici derivante dall’accettarla sono superiori ai costi sopportati.

Fatta eccezione per casi molto particolari, questi obbiettivi sono fortemente in contrasto tra di loro e la sola MIF non può raggiungere un risultato “Pareto ottimale”. Un caso in cui sia i titolari delle carte che gli esercenti possono massimare il loro benessere simultaneamente è quando i margini issuing e acquiring sono pari a zero. In questo caso gli esercenti hanno già internalizzato il surplus del titolare della carta il che non comporta l’esigenza di dover correggere un’esternalità su quel lato. Dal momento che l’esternalità risultante si applica a tutti gli esercenti, è la media dei benefici di convenienza di questi esercenti che deve essere utilizzata per il calcolo della commissione interbancaria Baxter. Come hanno notato Rochet e Tirole (2011), quest’ultima commissione interbancaria Baxter implica che l’esercente sia indifferente al mezzo di pagamento scelto dal consumatore, il che comporta che alcuni esercenti non accetteranno il pagamento tramite carta mentre altri esercenti accetteranno tale metodo di pagamento.

In sostanza, la massimizzazione del benessere richiede un compresso tra il giusto livello di commissione su ogni lato. Come diversi autori hanno notato (Kats 2005 e Tirole 2011), i margini lato issuing sono superiori rispetto al lato acquiring, quindi il livello ottimo di commissione interbancaria sarà superiore rispetto al livello Baxter sopra discusso.

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21 Però, se una parte della letteratura, basandosi sull’originaria impostazione di Baxter (1983) ha affermato che la fissazione della MIF a un livello ottimale consente di sfruttare le esternalità di rete, massimizzare il volume delle transazioni e quindi il benessere degli utilizzatori da entrambe le parti, vi è una controversia circa il fatto che un sistema basato su incentivi privati sia in grado di dare luogo a un livello di MIF ottimale.

Infatti, analisi più recenti (Calvano 2010) hanno suggerito che la MIF ottimale è sempre inferiore a quella che massimizza il benessere dei titolari (e superiore a quella che massimizza il benessere degli esercenti) e che il circuito tenderà ad orientarsi su quest’ultimo livello. Questo risultato dipende dalla situazione asimmetrica in cui si trovano esercenti e titolari. Infatti, gli esercenti, una volta che hanno aderito al circuito, non possono successivamente scegliere di rifiutare la carta (a seguito delle regole HACR e NDR), mentre i titolari della carta possono scegliere se utilizzare la carta per il pagamento (e nel caso di multi-homing anche quale) o altri strumenti di pagamento. In questo contesto i circuiti tenderanno ad incentivare l’uso della carta da parte dei titolari, sussidiandone il costo per transazione, modificando tramite la MIF la struttura dei prezzi. Questo comportamento dei circuiti induce ad un maggior utilizzo della carta da parte dei titolari e, tenendo conto che la struttura dei prezzi per i titolari comprende sia una componente per l’accesso che una per le transazioni, le banche issuer avranno sempre la possibilità di appropriarsi dell’accresciuto benessere dei titolari aumentando le quote di associazione. Di contro, il volume totale delle transazioni potrà sia crescere che diminuire, perché alcuni esercenti potrebbero uscire dal circuito, il che provocherebbe un impatto negativo sul volume delle transazioni. Anche se l’esistenza di concorrenza tra circuiti limita l’estrazione di benessere a spese dei titolari riducendo il costo medio delle transazioni, questo avviene prevalentemente attraverso una riduzione delle commissioni di ammissione, mentre ha scarso effetto sulla struttura dei prezzi.

Quest’ultima analisi rileva che una commissione interbancaria basata esclusivamente sui costi, non considerando l’effetto che tale variazione ha sui consumatori ed esercenti, non si assesta ad un livello socialmente ottimale. Inoltre rivela anche che il diverso livello di MIF di mercato rispetto a quella socialmente desiderabile sarà probabilmente piccola (Calvano 2011, Evans, Litan, Schmalensee 2011) così che un intervento regolatorio sarebbe inappropriato.

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22

1.2.4 La MIF è un comportamento anticoncorrenziale?

In questa sezione analizzeremo se la fissazione di una commissione interbancaria da parte dei circuiti di pagamento può essere considerata un comportamento restrittivo della concorrenza. Questo aspetto verrà analizzato sotto due diversi punti di vista.

Il primo problema riguarda il fatto se la commissione interbancaria possa essere considerata come uno strumento anticoncorrenziale utilizzata dalle banche issuer per aumentare le cosiddette merchant fees. Questa analisi ipotizza la presenza di una collusione, basata sul fatto che i circuiti rappresentano un’associazione di banche che a condizioni diverse, si sarebbero trovate a competere tra di loro (Rysman e Wringht 2012).

Il secondo problema riguarda il fatto che i contratti che le banche acquirer firmano con gli esercenti, prevedono delle regole che sono fissate direttamente dal circuito. Tali contratti sono impostati in maniera tale da sfruttare il proprio potere di mercato per estrarre surplus ai danni dell’esercente e limitare la concorrenza tra i circuiti stessi (Rysman e Wringht 2012).

Analizzando più nel dettaglio il primo problema, diversi articoli in letteratura (Carlton e Frankel 1995, Frankel 1998, Balto 2000) hanno ipotizzato la presenza di una collusione tra le diverse banche aderenti ai circuiti di pagamento, tali teorie cercano di dimostrare l’esistenza di un cartello tra le banche partecipanti al circuito. I sostenitori della “cartel theory” hanno sostenuto la presenza di un accordo collettivo per la determinazione della commissione interbancaria da applicare agli esercenti convenzionati con il circuito. In questo modo, le banche issuer fissando la commissione interbancaria ad un livello elevato, riuscirebbero ad estrarre margini positivi sugli esercenti e al contempo indurre i consumatori ad utilizzare le carte così che i commercianti si sentano in obbligo di accettarle per evitare di non concludere l’affare.

È interessante notare, che alla base della “cartel theory” vi sono le stesse motivazioni che analizzano la teoria positiva delle commissioni interbancarie. Per esempio, la presenza di una MIF positiva, viene considerata come un abuso del potere di mercato delle banche issuer. Mentre i seguaci di una teoria positiva, vedono nella commissione interbancaria positiva, il prezzo ottimale in risposta all’elasticità della domanda su ciascun lato del mercato. Inoltre, la “cartel theory” rigetta in toto il ruolo della commissione interbancaria come dispositivo di bilanciamento tra i due lati del mercato. Secondo questa teoria negativa, le commissioni

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23 interbancarie sono positive, non perché svolgono un ruolo di bilanciamento come detto prima, ma perché aumentano artificiosamente le merchant fees oltre un certo livello competitivo. In questo modo, le commissioni interbancarie non consentono ai circuiti aperti di replicare o competere con la struttura dei prezzi di un circuito. Piuttosto, esse consentono ai circuiti aperti di andare oltre le merchant fees che altrimenti potrebbero risultare una variabile competitiva con gli altri circuiti, consentendo così alle banche issuer di colludere.

Numerosi studi successivi, ma anche il comportamento tenuto dalle varie autorità Antitrust, sembrano rigettare la tesi che una MIF positiva corrisponda a un comportamento anticoncorrenziale. Infatti il difetto principale della “cartel theory” è che se per assurdo ipotizziamo l’assenza del comportamento collusivo precedentemente analizzato, il risultato che ne deriverebbe non è più competitivo rispetto a quando le commissioni interbancarie sono impostate collettivamente.

Ulteriori tesi sembrano rigettare il comportamento anticompetitivo svolto dalla MIF. Infatti se partiamo dal presupposto che il ruolo di un’Autorità garante della concorrenza è quello di ostacolare e mettere fine all’intesa restrittiva, le banche, non potendo più aderire a un circuito aperto, si troverebbero costrette ognuna a commercializzare la propria carta (come fa per esempio American Express). Questa ipotesi di “rompere” i circuiti aperti in centinaia di banche che commercializzano in proprio le proprie carte, non è mai stata presa in considerazione dalle autorità Antitrust, anche per i circuiti più critici di carte di pagamento. Di conseguenza, se questa “spaccatura” non è desiderabile è un forte segnale che le autorità competenti non ritengono che la MIF sia il problema principale.

Una seconda tesi positiva a favore della presenza della MIF, analizza la possibilità di non consentire una commissione interbancaria a livello di sistema. In questo approccio, ogni banca

issuer e acquirer dovrebbe negoziare tra di loro una commissione bilaterale. Tutto questo

andrebbe a gravare negativamente sui consumatori ed esercenti. Se infatti ipotizziamo che un consumatore voglia utilizzare la propria carta Visa presso un esercente che accetta quello specifico circuito, egli avrebbe dovuto prima controllare se la propria banca e quella dell’esercente avessero raggiunto un accordo di interscambio, in caso contrario la carta non sarebbe utilizzabile. Un simile scenario potrebbe minare del tutto il valore e il beneficio che l’utilizzo delle carte di pagamento hanno nella società, ed è proprio per questo che i circuiti prevedono all’interno del proprio regolamento la regola “onora tutte le carte”. Tuttavia è difficile combinare tale regola con una commissione di interscambio bilaterale, in quanto nella

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24 fase di negoziazione della commissione, la banca issuer potrebbe rifiutarsi di trattare con la banca acquirer almeno che non accetti le sue richieste per una commissione d’interscambio particolarmente elevata. In proposito si è espresso anche Klein (2006) affermando che una commissione interbancaria comune consente a un sistema a 4 parti di funzionare e di riuscire a mantenere la regola “onora tutte le carte”.

Inoltre, come hanno dimostrato Small e Wright (2002) la negoziazione bilaterale con la regola “onora tutte le carte” può provocare sostanzialmente maggiori commissioni di interscambio. Infatti se una qualsiasi banca issuer aumentasse la sua commissione interbancaria, riuscirà sì ad avere maggiori benefici dalla commissione più elevata, ma causerà un danno a livello globale degli emittenti, derivante da una minor accettazione della carta da parte degli esercenti. Quest’ultima caratteristica è meglio conosciuta come “free riding” a favore delle singole banche

issuer.

Un ulteriore tesi a favore di una MIF collettiva, deriva dal fatto che un eventuale negoziazione bilaterale potrebbe rendere difficoltoso l’ingresso sul mercato di nuove imprese, dovendo negoziare la commissione interbancaria con ogni istituzione finanziaria attiva sul mercato. Senza contare il fatto che alcune istituzioni finanziarie potendosi trovare successivamente in concorrenza con le nuove banche entrate nel circuito, potrebbero ostacolare anche in termini economici la negoziazione (Rysman e Wringht 2012).

Un ulteriore risposta all’accusa di collusione, che in realtà è già stata rimossa direttamente dall’evolversi societario dei circuiti stessi, è quella di passare da un’associazione di banche ad una società incorporata di proprietà degli investitori che serve direttamente le banche come clienti. In questo caso il potere decisionale sulla commissione interbancaria si trova in una società quotata in borsa, piuttosto che in una joint venture di proprietà e governata dalle banche, il che minerebbe apparentemente la pretesa di collusione. In base a questo modello, i sistemi di carte sostengono che non v’è alcuna impostazione collettiva dei prezzi, ma che invece, la commissione interbancaria è una regola che viene decisa in maniera verticale a condizioni favorevoli per la concorrenza. Parte della letteratura tende a respingere l’importanza del cambiamento nell’organizzazione, basandosi sulla teoria del bilanciamento applicato alle commissioni interbancarie, in quanto il nuovo assetto organizzativo comporta pochi cambiamenti negli incentivi sottostanti ai sistemi di carte di pagamento.

A favore di una commissione interbancaria fissata collettivamente e positivamente, possiamo richiamare l’analisi empirica. Infatti prima dell’introduzione delle commissioni interbancarie

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25 fissate collettivamente, si potrebbe ipotizzare la presenza di qualche mercato più competitivo che è stato minato dal sorgere di questa azione collettiva, che avrebbe dovuto prevedere commissioni a carico dei commercianti inferiori rispetto alla costituzione di questo ipotetico cartello. Ma l’analisi storica non supporta questo punto di vista, infatti prima dell’introduzione dei sistemi di pagamento aperti e commissioni positive, erano presenti solamente sistemi di pagamento chiusi che prevedevano addirittura merchant fee più elevate. Inoltre, l’uso di commissioni interbancarie positive ha favorito l’espansione delle transazioni con carta, il quale va a scagliarsi in maniera inequivocabile contro la “cartel theory” che considera la MIF come un comportamento anticoncorrenziale, visto e considerato che ancor oggi, i sistemi chiusi addebitano merchant fee (in media) maggiori rispetto ai sistemi aperti.

Una seconda analisi, si basa sul fatto che i contratti che le banche acquirer fanno firmare agli esercenti, prevedono delle regole imposte direttamente dai circuiti. Questo comportamento è stato messo in discussione dal punto di vista della correttezza competitiva, in quanto i circuiti, grazie a tali clausole riuscirebbero a sfruttare il proprio potere di mercato per estrarre surplus dall’esercente e a limitare la concorrenza tra i sistemi di pagamento.

Una delle maggiori regole previste nel contratto tra acquirer ed esercenti, che ha catturato l’attenzione della letteratura sulla possibilità che potrebbe trattarsi di un comportamento anti competitivo, riguarda la clausola di “Non Discrimination Rule”. Questa regola, non consente agli esercenti né di addebitare spese alla clientela che utilizza la carta, né di praticare sconti a quella che utilizza contante (in alcune varianti di questa regola, i commercianti possono offrire sconti per l’uso del contante, ma non possono offrire sconti o supplementi al fine di indirizzare i consumatori tra i diversi circuiti, esistono ulteriori casi di questa regola in cui sono consentiti ulteriori sconti). Le argomentazioni Antitrust in materia, si basano sul fatto che tali imposizioni svolgono un ruolo di esclusione, in quanto sarebbe difficile per un nuovo sistema di carte che prevede merchant fee minori, entrare nel mercato e riuscire a competere efficacemente. Infatti anche se l’esercente trovasse conveniente il nuovo sistema di carte, non avrebbe modo di incentivarne l’utilizzo. Inoltre l’impossibilità di poter prevedere un sovraprezzo o effettuare sconti in base al metodo di pagamento da forse un maggior potere di mercato ai sistemi di pagamento di aumentare le merchant fee. Per di più, tale regola, impendendo che i diversi costi associati all’utilizzo della carta e del contante si riflettano sul prezzo finale pagato dalla clientela, elimina la possibilità per la clientela stessa di scegliere tra i metodi di pagamento per

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26 lui più convenienti. Ulteriore fattore potenzialmente lesivo della concorrenza di questa regola, deriva dal fatto essa riduce la concorrenza tra le banche che commercializzano lo stesso marchio di pagamento e annulla anche quella fra i diversi marchi.

Di contro, sono state formulate anche delle osservazioni a favore della “non discrimination

Rule”. Come hanno affermato Gans e King (2001) : “in the absense of a no-surcharge rule that ties casch and credit card retail prices together, a merchant who acceppts credit cards will tend to set a relatively high price for credit transactions”. Di conseguenza, gli esercenti

potrebbero applicare delle sovrattasse maggiori nei confronti della clientela, in particolar modo di quella più debole o straniera, o anche ritardare l’ingresso sul mercato di nuove tecnologie nel settore dei servizi di pagamento. Da questo punto di vista, tale regola comporterebbe una restrizione della concorrenza necessaria per migliorare le condizioni, lato offerta, dei sistemi di pagamento, e conseguentemente arrecare un beneficio ai consumatori.

È importante notare, come tale regola è vietata nel solo segmento delle carte di credito negli Stati Uniti (1984), Regno Unito (1991), Australia (2002), Svizzera (2002) e con riferimento a quello delle carte di debito in Svezia (1995). In Italia invece, la Banca D’Italia, tenuto conto anche degli orientamenti espressi dalla Commissioni Europea, ha ritenuto che la clausola non comportasse una restrizione della concorrenza, né soprattutto, che una sua soppressione avrebbe comportato un aumento della concorrenza.

Le tesi a favore della “non discrimination rule” hanno tenuto conto anche della difficoltà per gli esercenti di ripartire i differenti costi dei diversi strumenti di pagamento, sui prezzi finali praticati alla clientela. Infatti, anche la gestione del contante ha un proprio costo (contazione, trasporto, rischio rapina) non immediatamente percepibile e di difficile quantificazione. Proprio per questo gli esercenti raramente differenziano i prezzi praticati in relazione a quale metodo di pagamento viene utilizzato dalla clientela, preferendo nel caso non accettare le carte.

Concludendo, non è chiaro se la “non discrimination rule” sia in grado di ledere la concorrenza, ma almeno teoricamente è in grado di limitarla all’aumentare dei circuiti che la applicano, anche se non tutte le Autorità hanno riconosciuto il verificarsi di tali limitazioni. Peraltro, l’impatto concorrenziale di tale regola è più significativo quando tale clausola è presente con la contemporanea applicazione della MIF, infatti il ricorso contestuale di tali clausole può spingere le banche ad innalzare le commissioni applicate ai commercianti convenzionati al servizio, piuttosto che a competere sul livello della commissione interbancaria.

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(3) A norma dell'articolo 13, paragrafo 4, della direttiva 2008/56/CE, gli Stati membri sono tenuti ad adottare programmi di misure comprendenti misure di

1907/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la registrazione, la valutazione, l'autorizzazione e la restrizione delle sostanze chimiche; RID -

1907/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la registrazione, la valutazione, l'autorizzazione e la restrizione delle sostanze chimiche; RID -

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