Dipartimento di Biologia
Corso di Laurea Magistrale in Biologia Applicata alla Biomedicina
TESI DI LAUREA
Valutazione dell’espressione e dell’attività del fattore tissutale in
cellule di melanoma trattate con inibitori dell’attività
enzimatica di B-Raf e MEK
Relatrice: Dott.ssa Maria Franzini Candidata: Chiara Sanguinetti Anno accademico 2017/2018
Indice ... 2 Riassunto... 4 Abstract ... 6 Capitolo 1 : Introduzione ...8 1.1 Biochimica del Fattore tissutale ...8 1.1.1 Struttura ...8 1.1.2 Localizzazione ... 10 1.1.3 Espressione genica ... 11 1.1.4 Modifiche post-traduzionali e modulazione dell’attività procoagulante ... 15 1.1.5 Fattore tissutale “funzionale” e “non funzionale” ... 18 1.1.6 Attività ... 20 1.2 Ruolo del fattore tissutale nelle patologie cancerose ... 22 1.2.1 Regolazione dell’espressione del TF nelle cellule cancerose ... 23 1.2.2 Ruolo del TF nella progressione del tumore ... 24 1.2.2.1 Promozione dell’angiogenesi ... 26 1.2.2.2 Promozione della migrazione cellulare ... 27 1.2.2.3 Promozione di eventi trombotici ... 28 1.3 Melanoma ... 29 Capitolo 2 : Scopo della tesi ... 32 Capitolo 3 : Materiali e Metodi ... 33 3.1 Colture cellulari ... 33 3.1.1 Linea cellulare ... 33 3.1.2 Condizioni di coltura ... 33 3.1.3 Condizioni di trattamento delle cellule A375 ... 33 3.1.3.1 Semina in piastra ... 34 3.1.3.2 Preparazione dei farmaci ... 35 3.1.4 Raccolta delle cellule ... 36 3.2 Test coagulativo per quantificare l’attività del fattore tissutale ... 37 3.2.1 Esecuzione del test sulla sospensione cellulare... 37 3.2.2 Esecuzione del test sulle microvescicole rilasciate nel terreno ... 40 3.3 Quantificazione proteica ... 40 3.4 Elettroforesi delle proteine su gel di poliacrilammide in condizioni denaturanti (SDS-PAGE) ... 41 3.4.1 Preparazione dei campioni ... 41
3.6 Analisi dell’espressione dell’mRNA ... 44 3.7 Metodi statistici ... 44 Capitolo 4 : Risultati e Discussione ... 45 4.1 Prove sperimentali per la messa a punto del test per la valutazione dell’attività procoagulante del TF ... 45 4.1.1 Definizione del metodo matematico per il calcolo del tempo di coagulazione ... 45 4.1.2 Scelta del numero di cellule su cui eseguire il test ... 47 4.1.3 Scelta della sequenza d’inserimento dei reattivi nei pozzetti ... 48 4.1.4 Valutazione della ripetibilità del test per la misura dell’attività di TF ... 50 4.1.5 Scelta delle condizioni sperimentali con cui testare le cellule ... 50 4.2 Valutazione dell’espressione e dell’attività del TF in cellule A375 ... 52 4.2.1 Valutazione della crescita cellulare ... 52 4.2.2 Valutazione dell’espressione dell’RNA messaggero per TF ... 53 4.2.3 Analisi dell’attività del TF presente sulla superficie cellulare ... 53 4.2.4 Analisi dell’attività del TF rilasciata nel terreno di coltura... 56 4.2.5 Utilizzo di plasma carente di fattore VII o XII per confermare l’attivazione della cascata coagulativa da parte del TF ... 57 4.3 Analisi dell’espressione proteica ... 59 4.4 Analisi dell’attività di TF su cellule adese ... 59 Capitolo 5 : Conclusioni... 62 Riferimenti Bibliografici ... 65 Ringraziamenti ... 75
Il fattore tissutale (tissue factor-TF) è una glicoproteina transmembrana considerata il principale fattore di regolazione della cascata coagulativa e della trombogenesi, sia in condizioni fisiologiche che patologiche.
In condizioni fisiologiche il fattore tissutale viene costitutivamente espresso sulla membrana delle cellule dei tessuti extravasali e delle cellule presenti nella parete dei vasi sanguigni ma non sulle cellule in diretto contatto con il sangue, come le cellule endoteliali, globuli rossi e leucociti. Grazie alla specifica localizzazione del TF, quest’ultimo attiva il processo di coagulazione solo quando l’integrità vascolare viene persa. Una volta esposto al flusso sanguigno, il TF forma un complesso ad alta affinità con il fattore VII/VIIa circolante, il quale determina l’attivazione dei fattori IX e X della coagulazione e, in ultimo, la generazione di trombina e la deposizione di fibrina.
Oltre ad avere un ruolo centrale nell’iniziazione della coagulazione sanguigna e quindi nei processi di emostasi, il TF è attivamente coinvolto in differenti condizioni patologiche, fra cui: malattie cardiovascolari, infiammazione, angiogenesi e progressione del cancro in cui promuove metastatizzazione e neovascolarizzazione.
In circa l’1-11% dei pazienti affetti da differenti tipologie di tumori, incluso il melanoma, sono state descritte complicazioni trombotiche dovute alla sovraespressione del TF. L’eccessiva espressione del TF sulla membrana plasmatica delle cellule neoplastiche promuove uno stato ipercoagulativo, e inoltre, favorisce la progressione del cancro attraverso l’attivazione di vie di segnalazione coinvolte nella sopravvivenza e proliferazione cellulare.
In particolare, il legame del fattore VII al TF espresso sulle cellule tumorali determina l’attivazione dei recettori attivati da proteasi (PARs), in particolare PAR-2, che induce l’attivazione della via di segnalazione delle proteine chinasi attivate da mitogeno (MAPK) che promuovono angiogenesi, sopravvivenza cellulare e metastatizzazione. I pazienti affetti da melanoma con mutazione della proteina B-Raf V600E rispondono
positivamente al trattamento con il farmaco Dabrafenib, inibitore della proteina B-Raf, e con il farmaco Trametinib, inibitore della serina-treonina-chinasi MEK. Poiché la regolazione dell’espressione del gene del TF dipende dall’attività delle proteine delle famiglie Raf e MEK, i suddetti trattamenti farmacologici potrebbero regolare
del TF nella linea A375 di cellule di melanoma con mutazione della proteina B-RafV600E
in seguito a trattamento con i farmaci Dabrafenib e Trametinib.
L’espressione dell’mRNA per il TF è stata valutata dopo 4-8-24-48 e 72h dal trattamento con i farmaci. Le variazioni dell’espressione del TF sono state valutate mediante Western blot ai tempi di 24-48-72h in seguito al trattamento.
Per verificare le variazioni dell’attività procoagulante del TF è stata invece messa a punto una tecnica funzionale, eseguita in micropiastre da 96 pozzetti, volta a determinare il tempo di coagulazione di un campione di plasma normale in presenza delle cellule A375. Più nel dettaglio: a 24-48-72h dal trattamento è stata preparata una sospensione di cellule tripsinizzate alla concentrazione di 3.000.000 cell/ml; 100 µl di questa sospensione sono miscelati con 100 µl di un pool di plasma, dopo 3 minuti di incubazione a 37°C si aggiungono 50µl di CaCl2 83,3 mM. All’aggiunta del calcio parte la reazione di
coagulazione che viene seguita per 600 secondi monitorando la variazione di assorbanza a 671 nm. Questa tecnica permette inoltre di valutare l’attività del fattore tissutale associato a microparticelle rilasciate nel terreno di coltura.
L’analisi dell'attività del TF espresso sulle cellule A375, effettuata con la tecnica descritta, mostra una riduzione di attività di TF 48 ore dopo il trattamento farmacologico con Trametinib e Dabrafenib. Durante la durata dell'esperimento si osserva tuttavia una tendenza alla riduzione dell'attività di TF anche nel controllo, fenomeno probabilmente dovuto ad un effetto inibitorio esercitato dalla densità cellulare sull’attività procoagulante del TF.
Tramite la stessa tecnica si è eseguita anche la valutazione dell’attività di TF associato alle microvescicole rilasciate nel terreno di coltura dalle cellule A375. In questo caso i trattamenti farmacologici sembrano determinare un aumento dell’attività procoagulante del TF associato a microparticelle, che risulta essere particolarmente evidente dopo 24 ore dall’esecuzione dei trattamenti.
L’utilizzo di plasma carente di fattore VII o XII ha confermato il ruolo primario del TF associato alle cellule A375 nell’attivazione della cascata coagulativa.
factor in the clotting cascade and in the thrombogenesis, both in physiological and phatological conditions.
In physiological condition the TF is constitutively expressed on extravasal tissue cells and on cells belonging to the wall of the blood vessels, but not on cells in direct contact with blood, such as endothelial cells, erythrocytes and leucocythes. Thanks to the specific localization of TF, it activates the clotting process only when the vascular integrity is lost. When it is exposed to the bloodstream, TF forms a high affinity complex with circulating factor VIIa which determines the activation of coagulation factor IX and X and, then, the thrombin generation and fibrin deposition.
In addition to having a central role in the activation of blood clotting and so in the haemostasis process, TF is involved in different pathological conditions, such as: cardiovascular diseases, inflammations, angiogenesis and cancer progression in which it promotes metastasis and neo-vascularization.
About 1-11% of the patients with different cancer pathologies, including melanoma, have shown thrombotic complications due to hyper-expression of TF.
The excessive TF expression on plasma membrane of neoplastic cells promotes a hyper-coagulation condition, and besides, it promotes the cancer progression through the activation of signaling pathway involved in cells survival and proliferation.
In particular, the link between factor VII and TF expressed on cancer cells produces the protease-activated receptors (PARs) activation, in particular PAR-2, that induces the mitogen-activated protein kinase MAPK activation, that promotes angiogenesis, metastasis and cellular proliferations.
Patients affected by melanoma with B-Raf V600E protein mutation respond to the treatment
with Dabrafenib (B-Raf inhibitor) and Trametinib (MEK inhibitor) well.
Since the regulation of TF gene expression depends on Raf and MEK proteins activities, the above mentioned drugs could negatively affect the expression of TF, reducing the prothrombotic potential of these cells. In this thesis the effect of the treatment by means of Dabrafenib ad Trametinib on the TF expression ad activity in A375 melanoma cells line has been investigated. The expression of the TF mRNA has been evaluated after 4-8-24-48 and 72 hours after the treatment. The variations in TF expression have been
More in detail: at 24-48-72 hours after the treatment a cell suspension, trypsinized at the concentration of 3.000.000 cell/ml has been prepared; 100 µl of this suspension have been mixed with 100 µl of a plasma pool obtained by normal subjects and, after a 3 minute long incubation at 37°C, 50 µl of CaCl2 83,3 mM have been added. The addition of CaCl2
triggers the coagulation reaction, which is monitored for 600 seconds observing the absorbance variation at 671 nm.
This technique allows also to evaluate the activity of TF associated with microparticles released in culture medium by A375 cells.
The analysis of TF activity expressed on A375 cells, shows a reduction of TF activity 48 hours after the treatment with Trametinib and Dabrafenib. During the experiment a decreasing trend in TF activity is observed also in the control, which is probably due to an inhibitory effect of the cellular density on the TF procoagulant activity.
By means of the same techniques an evaluation of the TF activity associated to microparticles in culture medium has been carried out. In this case the treatments seem to increase the TF procoagulant activity, which clearly appears 24 hours after the treatment.
The use of plasma lacking VII and XII factor has confirmed the primary role of TF associated with A375 cells in the activation of the coagulation cascade.
Capitolo 1 : Introduzione
Il fattore tissutale (TF o fattore III) è una glicoproteina transmembrana considerata la principale attivatrice della cascata coagulativa e quindi la maggiore regolatrice di processi emostatici e trombotici.
In condizioni fisiologiche il fattore tissutale viene costitutivamente espresso sulla membrana delle cellule dei tessuti extravasali e delle cellule presenti nella parete dei vasi sanguigni ma non sulle cellule in diretto contatto con il sangue. Grazie alla specifica localizzazione del TF, quest’ultimo attiva il processo di coagulazione solo quando l’integrità vascolare viene persa. Una volta esposto al flusso sanguigno, il TF forma un complesso ad alta affinità con il fattore VII/VIIa circolante, che induce l’attivazione dei fattori IX e X della coagulazione e, in ultimo, la generazione di trombina e la deposizione di fibrina1; 2. Sebbene il TF non sia costitutivamente espresso sulla superficie delle cellule
sanguigne, alcune di esse possono esprimerlo in condizioni patologiche3.
Oltre ad avere un ruolo centrale nell’iniziazione della coagulazione sanguigna e quindi nei processi di emostasi, il TF è attivamente coinvolto in differenti condizioni patologiche, ad esempio: malattie cardiovascolari, infiammazione, angiogenesi e progressione del cancro, in cui promuove metastatizzazione e neovascolarizzazione.
1.1 Biochimica del Fattore tissutale
1.1.1 Struttura
Il fattore tissutale è una glicoproteina integrale di membrana dal peso molecolare di ~ 46 KDa, costituita da 263 aminoacidi organizzati in un dominio N-terminale extracellulare (residui 1-219) in grado di legare il FVII della coagulazione, una regione idrofobica transmembrana (residui 220-242) che ancora il TF alla membrana plasmatica ed un piccolo dominio intracellulare COOH-terminale (residui 243-263) coinvolto nella trasduzione del segnale4.
Negli anni 90, sulla base di allineamenti multipli di sequenza, il TF venne incluso nella superfamiglia dei recettori delle citochine. In base alla distribuzione dei residui di cisteina questi recettori vennero suddivisi in due classi: la classe I comprende il recettore dell’ormone della crescita, il recettore della prolattina, quello dell’eritropoietina e quello
dell’interluchina 3 e 4 mentre la classe II include il fattore tissutale e i recettori dell’interferone α, β e γ 5.
La cristallografia a raggi X della porzione extracellulare del TF mostra due domini omologhi alla fibronectina di tipo III (TF1 e TF2), contenenti catene β con andamento antiparallelo, analoghe al dominio costante delle immunoglobuline, e la presenza di due legami disolfuro. Esistono tre siti di N-glicosilazione nel dominio extracellulare del TF, e il fattore VII si lega in una zona di confine tra due di questi siti.
Il collegamento tra la regione extracellulare e il dominio transmembrana, costituito da 6 amminoacidi, è chiamato “regione gambo” e sembra che proprio la flessibilità di questa regione permetta al dominio extracellulare di assumere vari orientamenti rispetto alla membrana plasmatica6.
Un gruppo di 4 aminoacidi basici, tipico motivo delle proteine integrali di membrana che hanno l’estremità N-terminale in ambiente extracellulare, è posto al confine tra il dominio transmembrana e quello citoplasmatico. Nel dominio citoplasmatico è presente una cisteina acilata ad un palmitato o ad uno stearato dal significato fisiologico incerto, e due residui serinici, che rappresentano due putativi siti di fosforilazione.
Figura 1.1: A) rappresentazione schematica del fattore tissutale all’interno della membrana plasmatica B) dominio extracellulare del TF. La figura mostra in rosso i tre siti di glicosilazione (Asn11, Asn124 e Asn137)). In verde sono
indicati i residui importanti per l’interazione con il FVII; in magenta quelli per l’interazione con il fattore X; in azzurro quelli per l’interazione con la membrana plasmatica ed in giallo i due ponti disolfuro alla posizione Cys49-Cys57 e
Il legame del TF con il fattore VIIa aumenta di diversi ordini di grandezza l’attività di tale proteasi verso i suoi substrati naturali: fattore IX e X7.
Perché il complesso fattore VIIa-TF possa esprimere la sua massima attività proteolitica deve però trovarsi esposto su una superficie appropriata4.Per questo motivo sia il dominio
extracellulare che quello transmembrana sono essenziali per attivare il processo di coagulazione sanguigna poiché entrambi sono necessari per il funzionamento del complesso fattore VIIa-TF. È ormai noto che il TF mancante della regione intracellulare è funzionalmente identico alla proteina intera ma il TF mancante sia della porzione intracellulare sia di quella transmembrana può formare legare il FVII/FVIIa, ma tale complesso è enzimaticamente inattivo e quindi non in grado di avviare il processo di coagulazione8.
1.1.2 Localizzazione
Il TF è l’unico fattore del sistema della coagulazione del sangue che non è rilasciato nella circolazione sanguigna proprio per impedirne un’attivazione impropria. In condizioni fisiologiche il TF è costitutivamente espresso sulla membrana delle cellule dei tessuti extravasali e delle cellule presenti nella parete dei vasi sanguigni incluse le cellule vascolari muscolari, i fibroblasti dell’avventizia e i periciti ma non sulle cellule in diretto contatto con il sangue, e quindi con i fattori della coagulazione, come le cellule endoteliali, i globuli rossi, i monociti, i granulociti e le cellule della parete vasale. Queste cellule però, possono esprimere il TF in modo inducibile quando stimolate da specifici stimoli infiammatori, fra i quali: citochine, lipopolisaccarid batterici (LPS), e fattore di necrosi tumorale α (TNF-α) 9.
Anche a livello tissutale il TF esibisce una distribuzione non uniforme poiché si trova espresso ad alti livelli nel cervello, nel polmone, e nella placenta mentre si trova a livelli intermedi nel cuore, nei reni, nell’intestino, nell’utero e nei testicoli e a bassi livelli nella milza, nel timo, nei muscoli scheletrici e nel fegato10.
In particolare, studi d’ibridazione in situ e d’immunoistochimica hanno permesso di dimostrare che il TF si trova espresso ad alti livelli negli astrociti del tessuto cerebrale, nelle cellule alveolari del polmone, nei trofoblasti della placenta, nelle cellule epiteliali che circondano gli organi e la superficie del corpo, nei fibroblasti dell’avventizia che circondano i vasi sanguigni e nei cardiomiociti del cuore 11.
Dato il ruolo centrale che il TF assume nei processi di emostasi, l’elevata espressione riscontrabile nelle cellule sopracitate vuole fornire una protezione emostatica aggiuntiva a tali organi vitali.
È ormai noto che il fattore tissutale si trova espresso nelle cellule tumorali e che, in condizioni patologiche associate ad attivazione dell’infiammazione e dell’emostasi, può essere presente in circolo esposto sulla superficie di microparticelle rilasciate da diverse tipologie cellulari. La presenza delle stesse microparticelle in soggetti sani non è ancora stata ben caratterizzata e numerose sono le controversie riguardo i dati presenti in letteratura12; 13.
Anche le piastrine possono esprimere il TF, la loro presenza in circolo è stata descritta per la prima volta nel 1999 da Giesen et al14 e nel 2000 da Rauch et al.15 Questi ricercatori
proposero l’esistenza di microvescicole circolanti esprimenti TF in grado di fondersi con le piastrine attivate attraverso un meccanismo dipendente da dall’interazione tra CD15 e P-selettina. Da questa scoperta, fino a pochi anni fa si riteneva che tre fossero i meccanismi responsabili della presenza di TF nelle piastrine:
1) Attraverso la fusione di microvescicole TF+ 2) Con l’accumulo all’interno dei granuli a
3) Mediante la sintesi proteica de novo a partire dal mRNA specifico per il TF Pur ritenendo che questi meccanismi non siano reciprocamente esclusivi e che uno possa prevalere sull’altro a seconda delle condizioni fisiopatologiche, nel 2015 è stata fornita,
da Brambilla et al16 l’evidenza che i megacariociti umani contengono proteina e mRNA
del TF. L’RNA messaggero che codifica per il TF e la proteina rilevabile nelle piastrine sono pertanto, in primis, il risultato di un trasferimento diretto dai megacariociti. In particolare, sembra che i megacariociti trasferiscano l’mRNA codificante per il TF a sottopopolazioni piastriniche specifiche, dando così il proprio contributo all’eterogeneità piastrinica.
1.1.3 Espressione genica
Il TF è codificato da un gene (F3) composto da circa 12.4 kb, composto da 6 esoni separati da 5 introni, localizzato sul cromosoma 1 nel locus 1p22-234.
A causa di processi di splicing alternativo, a partire dall’RNA messaggero prematuro (pre-mRNA), si possono formare 3 diverse varianti di mRNA: (fl)TF (full-lenght tissue
factor) mRNA, (as)TF (alternatively spliced tissue factor) mRNA e una terza variante chiamata TF-A mRNA. Quest’ultima variante, a causa di una sequenza di stop prematura presente nell’esone alternativo 1A, è l’unica che non viene tradotta in proteina. La presenza di TF-A mRNA è stata riscontrata in differenti linee cellulari cancerose e in cellule endoteliali ma la sua funzione biologia rimane ancora sconosciuta 17.
Figura 1.2: Schema dell'espressione delle diverse varianti del TF (Rif. 17)
Il processo di splicing che causa l’esclusione dell’esone 5 dal trascritto genera una mutazione frame-shift che provoca il rimpiazzo della porzione transmembrana della proteina con un peptide di 40 aminoacidi comprendente la regione citoplasmatica ma mancante di quella transmembrana. Così facendo si genera un’isoforma solubile del TF formata da 206 amminoacidi, che, mancando della porzione di ancoraggio alla membrana plasmatica, non presenta capacità pro-coagulanti18. La proteina così generata prende il
nome di (as)TF per differenziarla dal (fl)TF che corrisponde alla proteina integra, composta dai domini extracellulare, transmembrana e citoplasmatico, così come è stata descritta nel paragrafo 1.1.1, il cui ruolo principale è quello di attivare la coagulazione sanguigna. La proteina (as)TF invece, priva di capacità procoagulanti, sembra essere implicata principalmente in fenomeni di angiogenesi e proliferazione cellulare; elevati livelli di questa isoforma si trovano over-espressi in diverse linee cellulari tumorali tanto
che, nel cancro al polmone, la sua presenza viene utilizzata come indicatore di prognosi negativa19.
Diversi sono i fattori coinvolti nella regolazione del processo di splicing alternativo, come le proteine ricche di serina/arginina (SR) ASF/SF2, SC35, SRp40 e SRp55 ma anche le proteine chinasi SR CdC2-like chinasi (Clk) 1,2,3, 4 e proteina chinasi B (Akt).
Le proteine SR determinano i siti di splicing, esse infatti si vanno a legare a specifiche regioni ESE (exonic splicing enhancer) all’interno dell’esone 5; mentre le proteine chinasi, attraverso la regolazione dello stato di fosforilazione delle proteine SR, ne modulano l’attività, la posizione ed il legame con i siti di splicing20.
Come già detto, il TF è costitutivamente espresso in differenti tipologie cellulari come i fibroblasti dell’avventizia, le cellule muscolari lisce e le cellule epiteliali ma, stimoli di tipo prevalentemente infiammatorio, sono in grado di attivare specifici fattori di trascrizione che possono indurre l’espressione del TF anche nelle cellule che non lo esprimono in condizioni fisiologiche, come i monociti, le cellule endoteliali e le cellule muscolari lisce dei vasi. La regione del promotore del gene F3 contiene infatti due siti di legame per il fattore di trascrizione attivatore della proteina-1 (Sp1), un sito di legame per NF-kB (nuclear factor-kB), tre siti di legame per Egr-1(early growth-response gene product-1), e cinque siti di legame per i fattori di trascrizione della famiglia AP-1(activator protein-1) 21.
I lipopolisaccaridi batterici (LPS), l’interluchina 1b (IL-1b), il fattore di necrosi tumorale α (TNF-α), fattori di crescita, l’istamina, la serotonina, la trombina e il CD40 ligando sono gli stimoli infiammatori che, in seguito al legame con i rispettivi recettori sulla membrana cellulare, attivano i fattori di trascrizione sopracitati. Questi stimoli agiscono in maniera simile nelle differenti tipologie cellulari, poiché in tutte, vanno ad attivare le MAPKs p38, ERK (extracellular-signal-regulated kinase), JNK (c-Jun N-terminal kinase) che fosforilano, attivandoli, i fattori di trascrizione Egr-1, NF-kB e AP-1 i quali si legano ai propri siti di legame sul promotore del gene F3 e ne aumentano l’espressione. L’aumento della trascrizione dell’mRNA non coincide però con l’aumento dell’attività della proteina, soltanto una piccola parte del TF cellulare è infatti esposta sulla membrana plasmatica in forma attiva. La maggior parte del TF si trova in una forma silente dal punto di vista procoagulante o perchè viene internalizzato in granuli citoplasmatici in attesa di
un segnale di rilascio, oppure perché, seppur espresso sulla membrana plasmatica, è mantenuto in una forma conformazionale non attiva (TF non funzionale/criptico) o ancora, perché la sua attività può essere contrastata dal concomitante aumento della secrezione dell’inibitore endogeno del TF (TFPI) 22.
Figura 1.3: Stimoli coinvolti nell’induzione dell’espressione del gene del TF e destino della proteina TF. Vari stimoli determinano l’espressione del TF attraverso il legame, e quindi l’attivazione, dei propri recettori. L’induzione del TF avviene prima a livello trascrizionale con un aumento della produzione dell’mRNA e poi, eventualmente, a livello dell’espressione della proteina. Il TF è distribuito in tre differenti compartimenti cellulari: TF citoplasmatico, TF di superficie, e TF non funzionale (“encrypted”). Il TF viene inoltre secreto associato a microvescicole di membrana e come proteina solubile (asTF). IL-1: interleuchina-); LPS: lipopolisaccaride; TNF- α: fattore di necrosi tumorale α; VEGF: fattore di crescita endoteliale vascolare; II-1-R: recettore histamine HB1B
-; 5-HTB2aB: recettore 5-hydroxytryptamineB2aB; IL1-R: recettore dell’interluchina-1, TLR-4: recettore toll-like 4; PAR:
recettore attivato da proteasi; KDR: recettore-2 di VEGF. (Rif. 22)
Oltre alle MAPKs, anche PKC (proteina chinasi C) è coinvolta nell’induzione dell’espressione del TF, mentre, secondo quanto emerso da diversi studi 23, nei monociti
e nelle cellule endoteliali, la vis di segnalazione PI3K svolge un’influenza inibitoria sulla trascrizione del gene poiché va ad inibire l’azione delle MAPKs impedendo così l’attivazione dei fattori di trascrizione.
L’esatto meccanismo con cui PI3K agisce a livello delle MAPKs non è ancora del tutto chiaro; si sa però che Akt, bersaglio di PI3K, inibisce l’attivazione delle MAPKs mentre GSK3-β (glycogen synthase kinase-3β), bersaglio di Akt, regola l’espressione del TF a livello trascrizionale mentre mTOR (mammalian target of rapamycin) e la chinasi p70S6, anche essi bersagli di Akt, inibiscono il TF a livello traduzionale TF.24
Figura 1.4: meccanismo di segnalazione coinvolto nella regolazione dell’espressione del gene F3.Il legame dei diversi mediatori promuoventi l’espressione di TF ai propri recettori regola l’espressione del TF a differenti livelli. La stimolazione delle MAPKs (p38, JNK, e ERK) e della PKC attivano i fattori di trascrizione che provocano un aumento della trascrizione e della traduzione del gene F3. Al contrario,l’attivazione del pathway PI3K inibisce l’induzione del gene sia a livello trascrizionale che post-trascrizionale. PIP2: fosfatidilinositolo 4,5-bisfosfato; PIP3:
fosfatidilinositolo 3,4,5-trifosfato; PKCI/A: inattia/attiva PKC; p70S6: p70S6 kinase (Rif. 24)
1.1.4 Modifiche post-traduzionali e modulazione dell’attività procoagulante
Il TF viene sottoposto a differenti modifiche post-traduzionali in grado di modulare la sua attività procoagulante. Le principali modificazioni a cui la proteina viene sottoposta sono: glicosilazione, fosforilazione e palmitoilazione.
I potenziali siti di N-glicosilazione sono quattro, tre dei quali nel dominio extracellulare (Asn11, Asn124, Asn137) e uno in quello citoplasmatico (Asn261). Il dominio citoplasmatico
contiene inoltre un residuo di cisteina (Cys245), bersaglio di modifiche di palmitoilazione
e due residui di serina (Ser253 e Ser258) siti di fosforilazione da parte di proteine chinasi C
dipendenti. Inoltre, la struttura dei caratteristici domini omologhi alla fibronectina di tipo III presenti nel dominio extracellulare del TF, è mantenuta da due ponti disolfuro fra le cisteine Cys49- Cys57 e Cys186-Cys209, che sono bersagli di nitrosilazione e ossidazione25.
Figura 1.5: Modello del dominio extracellulare del TF che mostra la posizione dei siti di glicosilazione Asn11, Asn124 e Asn137 (giallo), i due ponti disolfuro (rosa) formati da: Cys49-Cys57 e Cys186-Cys209 e i siti di interazione con FVII (blu) e FX (azzurro) (Rif. 25).
Fra le diverse modifiche post-traduzionali la glicosilazione è sicuramente quella più complessa. Nonostante la presenza dei carboidrati nel TF sia nota ormai da tempo, la caratterizzazione della loro struttura e l’influenza che esercitano sull’attività del TF rimane ancora poco chiara. La mancanza di interesse nell’approfondire questo aspetto è dovuta alle diverse pubblicazioni presenti in letteratura che sostengono che la glicosilazione non influisca sulla funzionalità del TF 26,27; i dati ad oggi esistenti tuttavia
non sono sufficienti per sostenere questa ipotesi e l’esistenza di altri studi che invece sostengono l’ipotesi inversa28,29,30 rende la questione ancora aperta e oggetto di
discussione. Gli Autori che appoggiano quest’ultima teoria sostengono che la glicosilazione, oltre ad aumentare la stabilità del TF proteggendolo dalle proteasi citoplasmatiche, sia in grado di modulare l’attività del TF attraverso la regolazione del suo trasporto sulla superficie cellulare31. Dal momento che l’inserimento sulla membrana
plasmatica della cellula è essenziale perché il TF presenti la sua capacità procoagulante, secondo questi Autori il processo di glicosilazione deve svolgere un ruolo essenziale nella regolazione dell’attività del TF. Regolando il trasporto della proteina transmembrana, la glicosilazione crea infatti il pool di TF che, essendo esposto sulla membrana plasmatica, è capace di interagire con il FVII/FVIIa e FX iniziando la cascata di coagulazione25.
Altra modifica post-traduzionale in grado di modulare l’attività del TF è la fosforilazione. I diversi dati presenti in letteratura mostrano come la fosforilazione mediata da proteine chinasi C dipendenti sia implicata positivamente nella modulazione dell’espressione genica del TF, nell’angiogenesi, nella migrazione cellulare e nella segnalazione cellulare ma nessun dato esistente dimostra che la fosforilazione dei due residui serinici presenti nella porzione citoplasmatica del TF possano modulare direttamente la sua attività procoagulante. Il fatto che questi residui si trovino nella porzione citoplasmatica della proteina, che è quella non necessaria per l’attività del TF, conferma l’ipotesi che questi siti non siano necessari per la funzione pro-coagulativa3.
La fosforilazione del dominio citoplasmatico del TF da parte delle proteine PARs (protease activated receptor), in particolare PAR2, risulta invece importante nei processi di angiogenesi e migrazione cellulare promossi dal TF.
Infine, il sito Cys245 del TF posto vicino alla membrana plasmatica può essere modificato
tramite acilazione da parte di un acido palmitico o un acido stearico. La deacilazione di questo sito provoca la formazione di un ponte disolfuro che permette la generazione della forma dimerica e multimerica del TF che sembrerebbero incapaci di attività procoagulante32.
La palmitoilazione è un meccansimo che avviene nella vicinanza delle membrane cellulari ed è diretta alle proteine facenti parte dei RAFT/caveole; questa modifica colloca quindi il TF in queste zone della membrana plasmatica ricche di colesterolo e sfingolipidi. Diversi studi hanno dimostrato che questa particolare collocazione del TF influenza negativamente la sua attività procoagulante 33,34,35. Risultati contrastanti sono stati
ottenuti da coloro che hanno tentato di trovare una spiegazione a questo fenomeno; le ipotesi formulate sostengono l’esistenza di una possibile influenza del colesterolo sull’attività del TF36. Le contraddizioni emerse da questi studi probabilmente sono dovute
all’utilizzo di differenti tipologie cellulari da parte degli Autori. Inoltre, la palmitoilazione può influenzare indirettamente le funzioni del TF anche espletando il suo effetto inibitorio sulla fosforilazione del residuo Ser258 del TF: la S-palmitoilazione della Cys245 inibisce
infatti la fosforilazione della Ser258. Questo effetto sembra essere dovuto al fatto che la
palmitoilazione, andando a favorire l’inserimento del TF nelle caveole, provoca l’inibizione dell’attività delle PKC indotta dal scaffolding domain delle caveoline.
1.1.5 Fattore tissutale “funzionale” e “non funzionale”
È da tempo risaputo che il TF si trova inserito nella membrana plasmatica cellulare in due differenti forme: una forma attiva, presente in minor percentuale con proprietà procoagulanti e una forma dormiente, chiamata “non funzionale” o “criptica”. Quest’ultima forma di TF, priva di capacità procoagulanti, è invece coinvolta in processi di segnalazione cellulare e rappresenta la maggior parte del TF espresso sulla cellula. Diversi studi hanno dimostrato che la forma non funzionale del TF può essere convertita in forma attiva attraverso procedure di perturbazione cellulare in grado di distruggere l’integrità della membrana plasmatica. Sonicazione, congelamento e scongelamento, trattamento con detergenti non ionici o con calcio ionoforo, stimoli fisiopatologici quali LPS, citochine, trombina e stimoli apoptotici, sono in grado di aumentare notevolmente la capacità procoagulante del TF3. Inoltre, grazie agli studi condotti da Maynard et al. su
fibroblasti e cellule amniotiche, si è capito che l’attività procoagulante del TF può essere aumentata anche su cellule intatte in seguito al distaccamento dalla superficie di coltura con proteasi quali tripsina e chemotripsina 37.
I diversi meccanismi di perturbazione cellulare sopracitati possono indurre un aumento dell’attività procoagulante del TF probabilmente attraverso meccanismi di vario tipo ancora non del tutto conosciuti ma la perdita dell’asimmetria fosfolipidica di membrana che si genera in seguito alla rottura cellulare è sicuramente un elemento comune a tutti. Si sa, grazie a studi di ricostituzione con lipidi, che l’attività procoagulante del TF necessita dell’associazione con fosfolipidi e che la presenza di fosfolipidi anionici nelle strette vicinanze del TF, in particolare della fosfatidilserina (PS), ne aumenta notevolmente l’attività38.
In seguito a perturbazione cellulare, la PS, fosfolipide presente prevalentemente sul foglietto interno della membrana plasmatica di una cellula intatta, viene traslocata su quello esterno, dove aumenta l’attività procoagulante del TF grazie alla sua elevata capacità di legare i fattori della coagulazione vitamina K dipendenti. L’esposizione della PS sul lato esterno della membrana plasmatica permette quindi di aumentare la concentrazione locale di fattori della coagulazione nelle strette vicinanze della superficie lipidica accelerando così l’attivazione del sistema della coagulazione grazie alla sua capacità di diminuire la Km apparente per l’attivazione dei fattori IX e X39.
Sembra inoltre che la PS sia in grado di aumentare l’attività procoagulante del TF anche promuovendo la conversione del TF non funzionale in TF funzionale. L’interazione diretta della PS con il complesso non funzionale TF-FVIIa sembra infatti provocare un cambio conformazionale nella struttura del TF stesso che promuove lo smascheramento del sito di legame per il FX, nascosto nella forma inattiva del TF.32
Il preciso meccanismo con cui agisce la PS non è ancora stato identificato, si pensa però che siano coinvolte interazioni elettrostatiche fra i gruppi polari della testa della PS e i residui Lys165/Lys166 del dominio extracellulare del TF. L’ipotesi sostiene che queste
interazioni elettrostatiche possano alterare la struttura del TF in modo tale da cambiare l’orientamento del dominio extracellulare rispetto alla superficie della membrana plasmatica, così da facilitare l’allineamento del sito attivo del complesso TF-FVIIa con il proprio substrato, il FX e FIX40,32.
Figura 1.6: Rappresentazione schematica di come l’esposizione della fosfatidilserina (PS) sul lato esterno della membrana plasmatica provochi la conversione del TF non funzionale in TF funzionale.
Nelle cellule che esprimono TF, il FVIIa si lega ad esso ma la maggior parte del complesso TF-FVIIa è incapace di interagire con il fattore X, quindi di dare luogo alla cascata coagulativa.
In seguito all’esposizione a diversi stimoli, la PS (rappresentata dai pallini rossi) viene traslocata, dal foglietto interno della membrana plasmatica, a quello esterno. Il TF o il complesso TF-FVIIa che interagiscono direttamente con i gruppi della testa della PS vanno incontro ad un cambio conformazionale che permette il riconoscimento del FX. (Rif. 40)
Dal momento che l’esternalizzazione del PS è dipendente dall’inattivazione tiolo-dipendente della proteina traslocasi, è evidente che il pathway dei tioli assume un ruolo essenziale nella regolazione dell’attività del TF. Popescu et al. hanno dimostrato che l’inibizione della proteina disolfuro isomerasi (PDI), un’ossidoreduttasi facente parte del pathway di scambio tiolico, aumenta notevolmente la capacità procoagulante del TF esposto sulla superficie cellulare grazie alla sua capacità di aumentare l’esposizione della PS sul foglietto esterno della membrana plasmatica. Questi Autori hanno dimostrato che
la PDI regola la traslocazione della PS influenzando l’attività delle proteine traslocatrici flippasi e floppasi41. Studi recenti hanno inoltre dimostrato che la PDI è in grado di
regolare l’attività procoagulante del TF indipendentemente dall’esposizione della PS, attraverso la modificazione del ponte disolfuro Cys186-Cys209 presente nella porzione
extracellulare del TF42. È noto fin dal 1981, grazie a studi condotti da Bach e
collaboratori, che l’integrità del ponte disolfuro è necessaria per la funzionalità del TF43.
Per questo motivo, la PDI, espletando la sua azione di ossidoreduttasi e isomerasi, quindi tramite la rottura/riformazione di questo ponte, è in grado di operare uno scambio dinamico e reversibile fra la forma funzionale del TF e quella non funzionale 44.
Figura 1.7: Rappresentazione schematica del meccanismo di regolazione dell’attività del TF da parte della PDI. Secondo questo modello il ponte disolfuro Cys186 -Cys209 del TF è essenziale per la sua attività coagulativa e, modifiche post-traduzionali come riduzione, S-nitrosilazione e glutationazione che ne modificano la struttura, convertono il TF nella conformazione non funzionale.
La PDI può quindi regolare l’attività coagulativa del TF attraverso la formazione/rottura del ponte disofluro operando come ossidoreduttasi o isomerasi.
La PDI è anche in grado di modulare la presenza della PS sulla superficie cellulare; la sua attività di reduttasi aiuta infatti a mantenere basso il livello di PS sul foglietto esterno della membrana plasmatica mediante inibizione dell’attività della flippasi e floppasi. L’inibizione della PDI aumenta quindi l’esposizione della PS sulla superficie della membrana plasmatica (dai pallini rossi), fenomeno che promuove la conversione del TF da non funzionale a funzionale.
Entrambi i meccanismi mediati dalla PDI contribuiscono simultaneamente a regolare l’attività del TF presente sulla superficie cellulare (Rif. 40).
1.1.6 Attività
La funzione più conosciuta del TF è sicuramente quella di iniziatore del sistema della coagulazione. Nel corso degli ultimi due decenni, il modello della cascata coagulativa ha subito considerevoli revisioni interpretative, condizionate dalla progressiva scoperta di nuovi fattori di coagulazione e nuove complesse interazioni biochimiche. Il paradigma storico della coagulazione è quello che per anni si è basato sull’esistenza di tre differenti
“vie”, altresì note come via intrinseca, via estrinseca e via comune. Nel corso degli anni si è però dimostrato che questo modello, pur mantenendo una stringente validità nell’interpretazione laboratoristica delle anomalie della cascata coagulativa, non ha però solo un parziale riscontro in vivo. Nella fattispecie si è giunti alla conclusione che il modello “parallelo”, secondo cui via estrinseca e via intrinseca concorrevano parallelamente all’attivazione della via comune, non ha reale corrispondenza biologica, giacché il meccanismo fisiologico di attivazione della coagulazione pare essere rappresentato prevalentemente dalla via estrinseca.
L’attivazione della via estrinseca ha origine dalla rottura della parete vascolare che ha come conseguenza diretta un danno delle cellule endoteliali e l’esposizione del TF in esse presente; il TF a contatto con il sangue può quindi legarsi al FVII circolante e attivarlo a FVII attivato (FVIIa). Il complesso TF-FVIIa che si viene a formare è in piccola parte rivolto all’attivazione del FIX a FIXa e principalmente all’attivazione del FX a FXa. Quest’ultimo fattore, insieme al suo cofattore FVa e in presenza di Ca2+, costituisce il
complesso deputato all’attivazione della protrombina (FII) a trombina (FIIa) il cui ruolo è quello di trasformare il fibrinogeno in fibrina, proteina necessaria per la stabilizzazione del tappo piastrinico45.
Grazie alla presenza di un inibitore endogeno del TF, la proteina TFPI (tissue factor pathway inhibitor)46, questo processo viene rapidamente bloccato e quindi solo piccole
quantità di trombina e fibrina vengono prodotte dalla via estrinseca. Il ruolo principale della trombina generata con l’innesco di questa via è infatti quello di propagare la cascata della coagulazione con una serie di meccanismi che coinvolgono l’attivazione delle piastrine e di altri fattori della coagulazione: FV, FVII, FXI e FXIII. Scopo finale della fase di propagazione è quello di produrre una quantità di fibrina tale da permettere la formazione di un coagulo di sufficiente stabilità per garantire un’efficace azione emostatica.
La via intrinseca è invece più complessa e lenta, inizia quando le fibre di collagene del vaso danneggiato attivano il fattore XII circolante da cui si innesca la cascata di attivazione di tutti gli altri fattori della coagulazione. Anche il contatto del sangue con attivatori non biologici è in grado di scatenare la cascata coagulativa. Il fattore XII attivato trasforma il fattore XI nella forma attiva che a sua volta, insieme a ioni Ca2+, attiva il fattore IX. Il fattore IX attivo, insieme al fattore VIII, Ca2+ e fosfolipidi, attiva il X che
unitamente a Ca2+, fosfolipidi e al fattore V forma un complesso che attiva la protrombina in trombina. Come descritto nella via estrinseca, la trombina a sua volta agisce sul fibrinogeno che precipita in forma insolubile come fibrina.
Figura 1.8: Schema esemplificativo dei fattori coinvolti nella cascata coagulativa.
Nonostante la principale funzione fisiologia del TF sia la regolazione dei processi di emostasi e trombosi, differenti studi hanno suggerito il suo attivo coinvolgimento in processi non emostatici come la vascolarizzazione embrionale47, l’angiogenesi48, la
crescita tumorale49 e la metastatizzazione50. Pare che la crescita del tumore e soprattutto
la tendenza alla metastatizzazione sia infatti influenzata dalla presenza del TF, il cui coinvolgimento nella vascolarizzazione/angiogenesi appare critico, tanto che il TF risulta iperespresso in differenti cellule tumorali maligne.
1.2 Ruolo del fattore tissutale nelle patologie cancerose
Il medico Armand Trousseau nel 1865, grazie all’osservazione di complicanze insorte in pazienti affetti da cancro alla prostata, descrisse per primo la correlazione fra fenomeni di coagulazione del sangue e patologie neoplastiche, sindrome che prese poi il suo nome. Da questa scoperta l’idea che il TF sia attivamente coinvolto nelle patologie cancerose favorendo la proliferazione, la sopravvivenza cellulare, la metastatizzazione e l’angiogenesi venne gradualmente accettata. A conferma di questa ipotesi, un’elevata
espressione dell’isoforma solubile di TF, (as)TF, è riscontrabile nel siero di pazienti affetti da cancro mentre l’isoforma di membrana, (fl)TF, si trova sovraespresso in molti tessuti tumorali51; 52; 53. Inoltre, i soggetti affetti da cancro presentano un’abbondante
quantità di microparticelle associate a (fl)TF che vengono rilasciate in circolo dalle cellule tumorali stesse. Queste microparticelle assumono una notevole importanza poiché
altamente correlate con episodi tromboembolismo venoso (VTE)54.
1.2.1 Regolazione dell’espressione del TF nelle cellule cancerose
L’elevata espressione del TF nelle cellule cancerose è dovuta all’alterazione del pathway di segnalazione oncogenica che si trova coinvolto anche nella regolazione dell’espressione del gene F3. I dati a disposizione dimostrano che l’attivazione di K-ras e/o la perdita di funzione di p53 sono gli eventi principalmente coinvolti nella sovraespressione di (fl)TF. Entrambe le alterazioni infatti determinano l’attivazione del pathway di segnalazione delle MAPK e PI3K, che, come descritto in precedenza, sono attivamente coinvolti nell’induzione dell’espressione del TF55.
Oltre all’alterazione del pathway di segnalazione oncogenica, sono stati identificati numerosi altri meccanismi in grado di favorire l’espressione del TF nelle cellule tumorali. In alcune cellule neoplastiche è stato dimostrato che la sovraespressione del recettore del fattore di crescita dell’epidermide (EGFR) o la sua forma mutata (EGFRvIII) costitutivamente attiva, sono in grado di regolare l’espressione del (fl)TF. L’aumentata espressione di EGFRvIII determina un amento dell’espressione del (fl)TF mentre il ripristino di funzione dell’oncosoppressore PTEN, che provoca un’inibizione del pathway delle MAPK/PI3K, ne determina una diminuzione. La sovraespressione del recettore EGFR wilde-type invece, è in grado di determinare un aumento dell’espressione del TF attraverso l’attivazione della proteina-1 (AP-1)56,57.
Anche il recettore (c-MET) per il fattore di crescita degli epatociti (HGF) è implicato
nell’induzione dell’espressione del (fl)TF poiché una volta attivato dal legame con HGF, provoca l’attivazione di diversi pathway, fra cui quello di PI3K. L’acquisizione di funzione di c-MET, presente in diverse forme tumorali, ha quindi come conseguenza una sovraespressione del TF.
Oltre a quelli citati, numerosi altri fattori sono implicati nella regolazione dell’espressione del TF nelle patologie tumorali, fra cui ricordiamo: il fattore inducibile da ipossia 1a
(HIF-1a), la proteina 1 della risposta alla crescita precoce (EGR-1)58, il fattore di crescita
trasformante b (TGF-b)59 e il fattore di necrosi tumorale a (TNF-a).
Diversi studi hanno dimostrato che i microRNA sono invece coinvolti nella regolazione dell’espressione della proteina del TF in differenti tipologie tumorali; in particolare è stato osservato che il mir-93 e il mir-106b, attraverso il legame diretto con la regione 3’ UTR del gene F3, sono in grado di regolare l’espressione del TF nelle cellule di leiomiosarcoma; mentre il miR-19a e miR-126 sono in grado di inibire l’espressione di entrambe le forme del TF nelle cellule endoteliali, sia in condizioni normali che infiammatorie, riducendo quindi l’attività procoagulante del TF in queste cellule60.
Figura 1.9: Vie di segnalazione coinvolte nell'espressione del TF. TGF-b, VEGF, HGF, EGF, TNF-a, ipossia e p53 regolano la trascrizione e la traduzione del TF. (Rif. 61)
1.2.2 Ruolo del TF nella progressione del tumore
Come già accennato, sia la forma solubile che quella transmembrana del TF assumono un ruolo centrale nella progressione del cancro; entrambe infatti, anche se attraverso meccanismi di differente tipo, sono capaci di promuovere proliferazione cellulare, metastatizzazione e angiogenesi.
Dato che la struttura del TF mostra omologie di sequenza con la superfamiglia dei recettori per le citochine, si sono eseguiti studi per comprendere i meccanismi intracellulari innescati in seguito al legame con il fattore VII mentre sulla superficie extracellulare una serie di reazioni danno inizio alla via estrinseca della coagulazione.
Nonostante la struttura recettore-simile del (fl)TF, esso non possiede le classiche caratteristiche funzionali di un recettore; piuttosto, in seguito al legame con il fattore VIIa, forma un complesso proteoliticamente attivo capace di determinare l’attivazione della
proteina di membrana “recettore-2 attivato da proteasi” (PAR-2)61. Diversi studi hanno
portato alla luce l’importanza del legame fra (fl)TF e le integrine di membrana a3b1 e
a6b1 nel potenziamento del segnale promosso da PAR-249.
Non è ancora del tutto chiaro come avvenga l’associazione fra TF e integrine ma sembra che i residui Cys186-Cys209 del dominio extracellulare del fl(TF) siano importanti per la
formazione del complesso. Come già detto, l’ossidazione del ponte disolfuro fra i due residui di cisteina determina la formazione di un TF attivo dal punto di vista coagulativo, mentre la loro riduzione genera un TF inattivo/non funzionale 62. Sembra che quest’ultima
conformazione del TF, incapace di attivare la cascata coagulativa, sia invece in grado di legarsi alle integrine di membrana e di potenziare così l’attivazione delle PAR-2 da parte del complesso TF-FVIIa. Secondo questa ipotesi quindi, il legame del TF con le integrine b1 genererebbe una diminuzione dell’attività procoagulante del TF stesso49; 63.
Figura 10: Formazione e funzione del complesso TF-integrina sulla superficie cellulare. Il legame del TF con le integrine di membrana facilita la segnalazione PAR-2 dipendente attivata da TF mentre inibisce la coagulazione. La dissociazione del complesso TF-integrina inibisce invece la segnalazione (Rif. 64)
Più in dettaglio, l’attivazione di PAR-2 da parte del complesso TF-FVIIa, induce la fosforilazione di ERK1/2, Akt e delle MAPK p42/44 e la fosforilazione della proteina chinasi Ca (PKCa).
A differenza della forma transmembrana, l’(as)TF contribuisce alla progressione del tumore interagendo con le integrine di membrana b1 e b3 ma in maniera indipendente
da PAR264.Tale legame induce la fosforilazione della chinasi di adesione focale (FAK)
che promuove l’attivazione della via di segnalazione intracellulare delle MAPK e PI3K.
Figura 1.11: attivazione di diverse vie di trasduzione del segnale da parte delle due isoforme del TF. L’asTF attiva direttamente l’integrina avb3 e a6b1; questo legame attiva FAK che attiva a sua volta i pathway di segnalazione PI3K e MAPK che modificano la trascrizione e la traduzione genica in modo da favorire la progressione del cancro. La forma fl(TF) attraverso il legame con FVIIa, attiva la via di segnalazione di PAR-2 che a sua volta attiva diverse vie di segnalazione (p44/42 MAPK, ERK1/2, Akt e PKC). Il legame di flTF con le integrine a3 e b1 facilitano la segnalazione promossa da PAR-2 (Rif. 20).
1.2.2.1 Promozione dell’angiogenesi
La nascita di nuovi vasi sanguigni, nota come angiogenesi, è alla base del processo di metastatizzazione poiché anche le cellule tumorali, così come quelle sane, per sopravvivere hanno bisogno di vasi sanguigni che le sostengano attraverso il trasporto di nutrienti e ossigeno. In assenza di angiogenesi, le dimensioni della massa tumorale rimangono costanti poiché il numero di cellule che crescono corrisponde al numero di cellule che muoiono; in queste condizioni il tumore non cresce e non si diffonde.
Come precedentemente citato, è risaputo che la formazione del complesso (fl)TF-FVIIa e la conseguente attivazione della via di segnalazione di PAR2 è in grado di promuovere l’angiogenesi poiché capace di indurre la produzione di fattori pro-angiogenetici e immuno-regolatori65,66. In particolare, sembra che la fosforilazione del dominio
poiché, promuovendo la segnalazione di PAR2, aumenta le capacità pro-angiogeniche del tumore67.
Nel 2007 Hobbes et al. dimostrarono per la prima volta che la sovraespressione di (as)TF da parte di alcune linee cellulari è in grado di conferire al tumore un potenziale pro-angiogenico, e quindi una crescita tumorale, maggiore rispetto a quelle che sovraesprimono (fl)TF, suggerendo che la forma solubile del TF agisca principalmente come fattore pro-angiogenico62; 68;69.
Probabilmente questa differenza dipende dalla diversa modalità di azione delle due forme del TF.
1.2.2.2 Promozione della migrazione cellulare
Oltre ad avere effetti pro-angiogenici, il TF è inoltre in grado di regolare il rimodellameto del citoscheletro promuovendo la migrazione cellulare e quindi il processo di metastatizzatione.
Il complesso (fl)TF-FVIIa è in grado di stimolare la migrazione cellulare attraverso il proprio dominio intracellulare, in maniera dipendente dall’attivazione delle proteine p38 e Rac 70.
In particolare, sembra che il complesso TF-VIIa, attraverso la via di segnalazione PAR-2, sia in grado di attivare la proteina fosfolipasi C (PLC) con conseguente mobilizzazione del Ca2+ intracellulare. La conseguente attivazione della PKC da parte del Ca2+ provoca
l’attivazione delle proteine G (Rac, Cdc42) e la fosforilazione delle tirosinchinasi della famiglia Src che a loro volta attivano PI3K71. Quest’ultima fosforila la proteinchinasi B
(anche nota come Akt), responsabile della riorganizzazione del citoscheletro e della migrazione cellulare, ed innesca, tramite Rac e Cdc42, la fosforilazione delle MAP-chinasi (ERK1/2, JNK, p38) che, una volta traslocate nel nucleo, inducono l’espressione dei cosiddetti immediate-early genes. L’attivazione delle MAP-chinasi può avvenire anche direttamente da parte di Rac e Cdc42, e ad opera della PKC. In alcune linee cellulari sono stati identificati questi geni, indotti da TF, che codificano fattori di trascrizione, fattori di crescita, recettori, regolatori dell’organizzazione cellulare e della motilità, e citochine, suggerendo così la presenza di un feedback positivo nell’aumentare l’espressione del TF72.
Il dominio intracellulare del TF inoltre è in grado di interagire direttamente con le componenti citoscheletriche mediante la proteina legante l’actina ABP-280, formando un complesso proteico coinvolto nel rimodellamento dei filamenti di actina, responsabili della morfologia e della motilità cellulare73.
La complessità dei differenti meccanismi attraverso cui il complesso TF-VIIa influenza la morfologia e la motilità cellulare, e induce l’espressione di immediate early genes, indica uno stato di attivazione generale della cellula, indotto dal TF, rilevante per una crescita incontrollata e/o una metastatizzazione di cellule tumorali, a loro volta spesso esprimenti TF sulla loro superficie.
Figura 1.12:Rappresentazione schematica delle vie di trasduzione del segnale attivate dal complesso fattore tissutale (TF)-fattore VIIa. Il segnale è trasmesso agli enzimi citosolici tramite l’attivazione del recettore PAR-2, accoppiato a proteine G eterotrimeriche (subunità a,b e g). Le MAPK sono attivate dalle proteine G piccole (Rac, Cdc42) o indirettamente da tirosinchinasi della famiglia Src, che a loro volta attivano la PI3K e la PKB, coinvolte nella migrazione cellulare. Un’altra via che induce l’attivazione delle MAPK è l’aumento del Ca2+ intracellulare ad opera
della PLC che coinvolge la formazione di secondi messaggeri: il fosfatidilinositolo-3 fosfato (IP3) stimola il rilascio del Ca2+ intracellulare, il diacilglicerolo (DAG), con il Ca2+, attiva la via proteinchinasi C-Rac/Cdc42-MAPK. La
fosforilazione delle MAPK induce un aumento della trascrizione degli immediate-early genes. Nella figura è rappresentato anche il legame diretto tra il dominio citoplasmatico del TF e la proteina legante l’actina (ABP-280), coinvolta nella migrazione cellulare (Rif. 1).
1.2.2.3 Promozione di eventi trombotici
I disordini tromboembolici sono comunemente associati a sepsi74, aterosclerosi75, e
neoplasie13; 76. A livello fisiopatologico, il principale evento scatenante la trombosi è
del TF, come si riscontra nelle lesioni aterosclerotiche complicate e nelle cellule cancerose.
Nella placca aterosclerotica il TF è espresso dai macrofagi e dalle cellule schiumose racchiuse nella placca 77 . In seguito alla rottura della placca, viene rilasciato nel circolo
sanguigno dove è in grado di attivare la coagulazione sanguigna e quindi di produrre eventi trombotici. Allo stesso modo, dato che il TF è sovraespresso nelle cellule cancerose, anche nelle patologie neoplastiche gli eventi trombotici rappresentano un problema importante.
Queste complicanze insorgono non solo a causa del TF espresso sulla superficie cellulare, ma anche per quello presente sulle microvescicole circolanti rilasciate nel flusso sanguigno da piastrine, cellule endoteliali, leucociti e cellule tumorali14. Queste vescicole,
delle dimensioni di circa 50/1000 nm, prendono il nome di microparticelle (MPs) e contribuiscono ad amplificare il potenziale coagulativo in diverse condizioni trombotiche.
Numerosi studi hanno dimostrato che la concentrazione plasmatica delle MP-TF+ o la
loro attività procoagulante correla positivamente con il rischio di tromboembolismo venoso (VTE)78.Inoltre, aumentati livelli di TF di origine piastrinica, leucocitaria ed
endoteliale sono stati trovati in pazienti affetti da malattie cardiovascolari, da disordini ematologici e coagulativi, come nel caso della coagulazione intravascolare disseminata, e in tutti gli stati patologici che sono associati ad un’aumentata trombogenicità del sangue79; 80.
Non è ancora del tutto chiaro come le microparticelle possano contribuire all’insorgenza del trombo ma alcuni studi sperimentali suggeriscono che le MPs possano indurre uno stato procoagulativo fondendosi con le cellule endoteliali e le piastrine attraverso il legame della proteina PSGL-1, presente sulle vescicole, con la P-selectina espressa dalle piastrine e dell’endotelio 81; 82.
1.3 Melanoma
Il melanoma è la forma più aggressiva di neoplasia maligna cutanea. Ha origine nei melanociti, le cellule pigmentarie responsabili della colorazione della cute, dei peli e degli occhi.
Il melanoma è causato principalmente dall’esposizione alle radiazioni solari ultraviolette (UVA e UVB). I soggetti di carnagione chiara con tendenza alle scottature solari presentano un maggior rischio di sviluppare il melanoma rispetto ai soggetti di carnagione scura, sebbene il melanoma possa colpire qualsiasi tipo di pelle. Anche la familiarità rappresenta un importante fattore di rischio.
Lo stadio patologico del melanoma è determinato dallo spessore della lesione, dalla profondità di penetrazione e dal grado di metastasi linfonodali e remote della neoplasia. L’esito di questa patologia è notevolmente influenzato dallo stadio di malattia al momento della diagnosi. La prognosi dei pazienti trattati tempestivamente, quando il melanoma interessa esclusivamente gli strati cutanei superficiali, è eccellente e la patologia va spesso incontro a guarigione definitiva. Se invece la malattia diventa invasiva e si estende ad altre parti dell’organismo, il melanoma diventa molto difficile da curare e solitamente risulta fatale.
Nonostante l’attuale carenza di terapie efficaci per il melanoma metastatico, nell’ultimo decennio sono stati compiuti notevoli progressi nell’individuazione dei complessi meccanismi di biologia molecolare che sottendono a questa patologia. Da questo tipo di ricerca sono emersi agenti farmacologici mirati, come il Dabrafenib e il Trametinib; il primo inibisce selettivamente la proteina B-Raf mutata, mentre il secondo inibisce la serina-treonina-chinasi MEK, bersaglio di B-Raf.
La via di segnale delle MAPK svolge un ruolo fondamentale nel melanoma. Nelle cellule normali, questa via è strettamente regolata, ma nel caso del melanoma circa il 60% delle neoplasie sono portatrici di una mutazione attivante della chinasi B-Raf 83. La mutazione
più comune, che rappresenta circa l’80% delle mutazioni B-Raf, è chiamata V600E84 e
comporta la sostituzione della valina con acido glutammico nel codone 600. Questa mutazione dà luogo all’attivazione costitutiva della chinasi B-Raf e della via di segnale della MAPK a valle, determinando proliferazione cellulare.
I due farmaci sopracitati, avendo come bersaglio le B-Raf e MEK e quindi la via di segnalazione delle MAPK, agiscono determinando diminuzione della proliferazione delle cellule tumorali.
Figura 1.13: Bersagli molecolari di Trametinib e Dabrafenib
Dal momento che la via delle MAPK è anche direttamente coinvolta nell’espressione del TF, la sua inibizione da parte dei farmaci potrebbe influenzare anche l’espressione di questa proteina.
Capitolo 2 : Scopo della tesi
I pazienti affetti da melanoma con mutazione della proteina B-Raf V600E rispondono
positivamente al trattamento con il farmaco Dabrafenib, inibitore della proteina B-Raf, e con il farmaco Trametinib, inibitore della serina-treonina-chinasi MEK. Poiché la regolazione dell’espressione del gene del TF dipende dall’attività delle proteine delle famiglie Raf e MEK, i suddetti trattamenti farmacologici potrebbero regolare negativamente l’espressione del TF riducendo il potenziale protrombotico di queste cellule.
Per verificare questa ipotesi si è analizzato l’effetto sull’espressione e sull’attività del TF nella linea A375 di cellule di melanoma con mutazione della proteina B-RafV600E in
seguito a trattamento con i farmaci Dabrafenib e Trametinib.
Per la valutazione dell’attività procoagulante del TF si è messo a punto un metodo funzionale basato sull’attivazione della reazione di coagulazione in un pool di plasma.
Capitolo 3 : Materiali e Metodi
3.1 Colture cellulari
I materiali utilizzati per le colture cellulari, se non diversamente indicato, sono forniti dalla ditta Sigma-Aldrich.
3.1.1 Linea cellulare
La linea cellulare utilizzata, acquistata dalla ditta “American Type Culture Collection” (ATTC, Manassas VA), è la linea di melanoma umano maligno A-375 portatrice della mutazione B-Raf V600E.
3.1.2 Condizioni di coltura
Le cellule sono state mantenute in incubatore a 37°C, in atmosfera satura di umidità e con CO2 al 5%.
Il terreno di coltura utilizzato, il Dulbecco’s Modified Eagle’s Medium (DMEM), contiene L-glutammina (4mM), 4500 mg/L di glucosio, 1mM di sodio piruvato e 15000 mg/L di sodio bicarbonato ed è stato integrato con il 10% di siero fetale bovino inattivato al calore (FBS) e 1% di penicillina-streptomicina.
3.1.3 Condizioni di trattamento delle cellule A375
Dopo 24 ore di crescita in piastra con terreno completo, questo viene sostituito con lo stesso terreno al quale si aggiugne il farmaco Trametinib, alla concentrazione finale di 0,1 nM, o il farmaco Dabrafenib alla concentrazione finale 1 nM. Nelle piastre destinate al controllo viene aggiunto dimetilsolfossido (DMSO) diluito 1:1000 in terreno. La preparazione delle soluzioni madri dei farmaci è descritta successivamente
Le cellule destinate alla valutazione dell’espressione dell’mRNA del TF sono state seminate in piastre con 6 pozzetti da 6 cm2 in 2 ml di terreno, mentre quelle destinate
all’analisi dell’attività del TF tramite il test di coagulazione, alla quantificazione proteica e al Western Blot, sono state seminate in piastre da 10 cm2 con 10 ml di terreno.
Si è deciso di piastrare, sia per le piastre da 10 cm2 che per quelle da 6 cm2, 1.400.000
cellule per piastra. Questa scelta si è basata su una serie di prove che ha portato a individuare questo numero di cellule come quello necessario per far si che arrivino a confluenza alle 72 ore, condizione ottimale per effettuare i trattamenti nell’arco di una settimana.
3.1.3.1 Semina in piastra
Per avere un numero di cellule e di terreno sufficienti ad eseguire il test di coagulazione, la quantificazione proteica e il Western Blot ad ogni stadio di valutazione (t0, 24, 48 e 72
ore) si sono piastrate 22 piastre da 10 cm2, così come mostrato in figura 3.1.
Il to indica le cellule che sono state raccolte dopo 24 ore di crescita in terreno completo,
prima dell’esecuzione dei trattamenti.
Figura 3.1: schema piastratura per le cellule destinate al test di coagulazione, alla quantificazione proteica e al Western Blot. C=controllo, T=Trametinib, D=Dabrafenib.
Per effettuare la valutazione delle cellule al tempo to è stato necessario seminare 4 piastre
per poter raggiungere un numero di cellule sufficienti ad eseguire tutti i test previsti. Dalle 24 ore in poi il numero di cellule in coltura sarebbe stato sufficientemente elevato da
permettere la semina semplicemente in singolo ma è stata comunque necessaria la piastratura in doppio per ottenere i 20 ml di terreno necessari per la determinazione dell’attività del TF rilasciata nel terreno, così come descritto in dettaglio successivamente in questo capitolo.
La semina in piastra per le cellule destinate alla valutazione dell’mRNA del TF è stata invece eseguita in singolo ed esemplificata nella figura 3.2. La quantificazione dell’mRNA per il TF è stata ottenuta anche dopo solo 4 e 8 ore dall’esecuzione del trattamento.
Figura 3.2: schema piastratura per le cellule destinate all’analisi dell’mRNA. C=controllo, T=Trametinib, D=Dabrafenib
3.1.3.2 Preparazione dei farmaci
Per entrambi i farmaci, Trametinib (cod:GSK1120212) e Dabrafenib (cod:GSK2118436), si ha a disposizione una soluzione 10 mM in DMSO, quindi per ottenere le soluzioni di utilizzo sono state effettuate delle diluizioni intermedie in DMSO.
Per il Trametinib si è seguito il seguente schema:
1° diluizione: 1:100 à 3 µl della soluzione madre del farmaco in 300 µl di DMSO 2° diluizione: 1:100 à 3 µl della prima diluizione in 300 µl di DMSO
3° diluizione: 1:10 à 10 µl della seconda diluizione in 100 µl di DMSO
Si è così giunti a una soluzione concentrata 0,1 µM. A questo punto, per ottenere la concentrazione d’uso di 0,1 nM è stato sufficiente effettuare un’ultima diluizione 1:1000 nel terreno completo di coltura.