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La metamorfosi del fenomeno corruttivo: da Tangentopoli alla Legge Anticorruzione del 2012

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Indice

Introduzione

L’ampiezza del fenomeno corruttivo in Italia e la risposta della l. n. 190/2012

Capitolo I

La metamorfosi del fenomeno corruttivo in Italia: tra percezione sociale e controllo penale

1. Da dove veniamo: White collar crime 2. Che cosa è avvenuto: Tangentopoli 3. Che cosa è cambiato

4. La l. n. 190/2012

5. Legge anticorruzione 27 maggio 2015 n.69 5.1 Innovazioni introdotte dalla legge n.69/2015

5.2 Reintroduzione nel delitto di concussione dell’incaricato di pubblico servizio

5.3 Il nuovo volto dell’apparato sanzionatorio 5.4 La sanzione della “riparazione pecuniaria”

5.5 Patteggiamento e sospensione condizionale della pena ad accesso condizionato

5.6 L’introduzione della misura premiale per corrotto e corruttore “pentiti”

Capitolo II

I reati di concussione e di induzione indebita a dare e promettere utilià: tra evoluzione normativa interna ed impulsi internazionali

1. L’evoluzione della produzione normativa internazionale: tra l’individuazione dei beni giuridici da tutelare e la previsione di

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2. La cornice internazionale

3. Concussione ed estorsione: nel codice Zanardelli 4. Il codice Rocco e la sua interpretazione

5. La legge 6 novembre 2012: lo sdoppiamento dell’art 317 c.p.

Capitolo III

La linea di demarcazione tra la fattispecie di concussione ex art 317 c.p. e quella di induzione indebita ex art 319 quater c.p.

1. Premessa

2. Elementi comuni alle due fattispecie: l’abuso della qualità o dei poteri

3. Il concetto di “costrizione” e di “induzione” secondo le elaborazioni antecedenti la riforma. L’induzione in errore

4. I tre orientamenti della giurisprudenza di legittimità circa

l’individuazione degli elementi che differenziano la concussione ex art. 317 c.p. dalla induzione indebita ex art. 319-quater

4.1 Intensità della pressione prevaricatrice ed effetti sulla psiche del destinatario

4.2 Oggetto della prospettazione: danno ingiusto e contra ius nella concussione, danno legittimo e secundum ius nell’induzione indebita 4.3 Intensità della pressione psichica esercitata sul privato e tipo di vantaggio da questi conseguito: un orientamento “intermedio” 5. La concussione ex art. 317 c.p. e la nozione di “costrizione” alla luce della sentenza “Maldera”

5.1 L’esclusione dell’incaricato di pubblico servizio dai soggetti attivi del reato di concussione e successivo reintroduzione

5.2 Il metus publicae potestatis

6. L’induzione indebita ex art. 319-quater e la nozione di “induzione” alla luce della sentenza “Maldera”. La punibilità del privato

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6.1 I casi ambigui

6.2 La clausola di riserva 7. La concussione ambientale

8. Questione di diritto intertemporale: continuità normativa tra il previgente art. 317 c.p. ed il nuovo art. 319-quater

8.1 L’art. 319-quater c.p.: norma a più fattispecie o reato plurisoggettivo?

8.2 La relazione tra il vecchio delitto di concussione e la nuova ipotesi di concussione per costrizione ex art. 317 c.p.

Capitolo IV

La distinzione tra i reati di concussione e induzione indebita e le contigue fattispecie corruttive.

1. Premessa

2. I criteri elaborati dalla dottrina e dalla giurisprudenza per distinguere tra la fattispecie di concussione e le contigue ipotesi corruttive prima della l. n. 190/2012

2.1 Il criterio dell’iniziativa

2.2 Il criterio del metus publicae potestatis 2.3 Il criterio del danno o vantaggio per il privato

3. La l. n. 190/2012 e l’appartenenza dell’induzione indebita ex artt 319- quater alla famiglia delle corruzioni

4. Risvolti processuali problematici

5. Concussione e induzione indebita: i punti deboli dell’accertamento processuale con riguardo alla posizione del privato

Conclusioni

Bibliografia

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Introduzione

L’ampiezza del fenomeno corruttivo in Italia e la risposta

della l. n.190/2012.

“La questione morale non si esaurisce nel fatto che, essendoci dei ladri, dei corrotti, dei concussori in alte sfere della politica e dell'amministrazione, bisogna scovarli, bisogna denunciarli e bisogna metterli in galera. La questione morale, nell'Italia d'oggi, fa tutt'uno con l'occupazione dello stato da parte dei partiti governativi e delle loro correnti, fa tutt'uno con la guerra tra bande, fa tutt'uno con la concezione della politica e con i metodi di governo di costoro, che vanno semplicemente abbandonati e superati. Ecco perché dico che la questione morale è il centro del problema italiano. Ecco perché gli altri partiti possono provare d'essere forze di serio rinnovamento soltanto se aggrediscono in pieno la questione morale andando alle sue cause politiche. [...] Quel che deve interessare veramente è la sorte del paese. Se si continua in questo modo, in Italia la democrazia rischia di restringersi, non di allargarsi e svilupparsi; rischia di soffocare in una palude”1.

La questione morale irrompeva nella scena più di trent’anni fa. Era il 1981.

1 E. Berlinguer, da un’intervista a La Repubblica, 28 luglio 1981. La “questione

morale” sollevata nel 1981 dal segretario del PCI Enrico Berlinguer, in una nota intervista con Eugenio Scalfari sul quotidiano La Repubblica, fu uno dei primi tentativi di inserire la questione della corruzione ( e delle tematiche affini in primis la concussione) nell’agenda politica.

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Come ieri ancora oggi, la corruzione è profondamente radicata in diverse aree della pubblica amministrazione, nella società civile, così come nel settore privato. Il pagamento delle tangente sembra pratica comune.

La corruzione non è più fenomeno episodico ed isolato, ma è diventata “sistema”,cioè prassi stabile e strutturata, rete istituzionalizzata di relazioni e scambi illeciti, coinvolgente un pò tutti i gruppi sociali, dalle elités ai comuni cittadini impegnati in piccole attività illegali di routine. Il danno prodotto dalla corruzione come “sistema” assume dimensioni macroscopiche e ad amplissimo spettro: esso si estende in quantità e qualità, diventa trasversale perché, oltre a pregiudicare il corretto svolgimento dell’attività amministrativa, coinvolge l’economia pubblica, il funzionamento del mercato, la fiducia dei cittadini nelle istituzioni democratiche. Sul piano criminologico, dunque, i fenomeni corruttivi esibiscono una dannosità polivalente e dall’orizzonte pressoché smisurato, che inevitabilmente fuoriesce dai confini dell’inquadramento codicistico della corruzione tra i reati contro la pubblica amministrazione.

In chiave di risposta ad una simile situazione emergenziale matura la vicenda della l. n. 190/2012, contenente “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione”, che va a delineare un nuovo assetto dei reati di concussione, induzione indebita e corruzione.

Trascorsi oltre vent’anni dall’avvio delle inchieste di “mani pulite” si tratta del primo tentativo organico di avviare una politica improntata sia alla prevenzione che alla repressione di tali crimini, ed è indubbio che il nuovo impianto normativo di contrasto alla corruzione risultante dalla riforma rappresenti “un primo, significativo momento di sintesi di idee, proposte, suggerimenti da tempo avviate, ma sin qui per lo più confinate al dibattito teorico”.

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Per comprendere la ratio che ha guidato il legislatore, occorreva, a mio avviso, analizzare preliminarmente l’intervenuta metamorfosi quantitativa e qualitativa del fenomeno corruttivo e, successivamente, il contesto socio-politico in cui è maturata la riforma.

Il mio lavoro di tesi parte infatti dalla ricostruzione del quadro criminologico della corruzione, andando ad analizzare gli effetti che le trasformazioni socio-criminologiche della corruzione hanno prodotto sulla dimensione normativa e giuridica della corruzione. È solo sulla base dei risultati delle indagini empirico criminologiche che fotografano le mutate peculiarità della realtà criminosa-corruttiva che il diritto penale può predisporre adeguate tecniche e misure di repressione del fenomeno per prevenirla e combatterla. L’approfondimento scientifico del fenomeno criminoso è, infatti, alla radice della formulazione di efficaci politiche anticorruzione.

Nella seconda parte, invece, ho analizzato una delle maggiori novità della l. N. 190/2012: la riforma del delitto di concussione ex art 317 c.p.e l’introduzione dell’art 319 quater c.p. Si assiste ad uno “spacchettamento” dell’originaria concussione che si atteggiava a fattispecie alternativa mista integrabile tanto con condotta di “costrizione” quanto con condotta di “induzione”.

L’art 317 c.p. disciplina attualmente la sola concussione per costrizione rispetto alla quale si è assistito all’eliminazione dell’incaricato di pubblico servizio dai soggetti attivi, per poi vederne nuovamente il reinserimento con la legge anticorruzione 27 maggio 2015 n.69.

Corrispettivamente viene introdotta un’autonoma fattispecie di reato: Induzione indebita a dare o promettere utilità ex art.319-quater c.p.; in forza della previsione contenuta nel comma secondo dell’art.

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persona offesa diventa concorrente necessario nella nuova fattispecie di reato.

Sul piano del significato socioculturale della fattispecie di induzione indebita è legittima la domanda relativa al se sia compito della legge penale quello di prefiggersi obiettivi – in sé pienamente legittimi – di trasformazione dell’abito culturale della popolazione, soprattutto quando il prezzo ricade su chi pur culturalmente corresponsabile del quadro generale resta nel concreto pur sempre soggetto debole; mentre sul piano normativo è legittima la domanda relativa al se la riforma in esame, introducendo la fattispecie di induzione indebita ex art. 319- quater c.p., abbia tracciato una chiara linea di demarcazione tra quest’ultima e i reati di concussione e corruzione.

È a questi quesiti che si cercherà di rispondere nelle pagine che seguono, laddove, consapevoli del fatto che una compiuta analisi del reato di induzione indebita non può prescindere da un suo inquadramento nella realtà storica così come determinatasi in funzione dell’evolversi del rapporto tra autorità e cittadino, si analizzerà l’evoluzione normativa del delitto di concussione tra spinte interne ed impulsi internazionali; per poi tentare di inquadrare, alla luce degli orientamenti della dottrina e della giurisprudenza, i rapporti tra il delitto di concussione e induzione indebita da un lato, senza dimenticare le connesse problematica di diritto intertemporale, ed i rapporti tra queste due fattispecie e le contigue ipotesi corruttive dall’altro.

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La metamorfosi del fenomeno corruttivo in Italia: tra

percezione sociale e controllo penale

Sommario: 1. Da dove veniamo: white collar crime. 2. Che

cosa è avvenuto: Tangentopoli. 3. Che cosa è cambiato. 4.

La l. n. 190/2012. 5. Legge anticorruzione 27 maggio 2015

n.69. 5.1 Innovazioni introdotte dalla legge n.69/2015. 5.2

Reintroduzione nel delitto di concussione dell’incaricato di

pubblico servizio. 5.3 Il nuovo volto dell’apparato

sanzionatorio. 5.4 La sanzione della “riparazione

pecuniaria”. 5.5 Patteggiamento e sospensione condizionale

della pena ad accesso condizionato. 5.6 L’introduzione della

misura premiale per corrotto e corruttore“pentiti”.

1. Da dove veniamo: White collar crime.

Le statistiche criminali dimostrano in modo inequivocabile che il reato, cosi come lo si intende comunemente, presenta un’elevata incidenza tra i ceti socio-economici inferiori e una bassa incidenza tra i ceti superiori2.

Fin dalla sua nascita la criminologia, intesa come scienza, ha mosso i suoi studi verso determinate categorie di soggetti occupandosi quasi esclusivamente dei reati compiuti dagli appartenenti alle classi più sfavorite, cercandone le cause nelle cattive condizioni economiche, avallando così la generale convinzione di un’esclusiva e diretta relazione fra delinquenza e pauperismo:convinzione in parte giustificata dal fatto che le ricerche e le statistiche ufficiali, della

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criminalità indicavano appunto i delitti e le condanne come maggiormente frequenti fra gli appartenenti alle fasce più povere della popolazione, ma che derivava anche dalla circostanza che i delitti dei più abbienti rappresentavano una tipologia di “delinquenza sommersa” molto meno evidenziata e punita.

La concentrazione del reato tra i ceti socio-economici inferiori è stata dimostrata da sempre, nella criminologia appunto, da vari tipi di indagine, dall’anamnesi3 dei rei e delle loro famiglie, che in un alta

percentuale di casi ha rivelato situazioni di indigenza, alla concentrazione del crimine tra gli strati sociali più bassi analizzando le aree di residenza4 dei delinquenti.

Nell’elaborazione di teorie generali sul comportamento criminale si è sempre arrivati a concludere un forte legame tra delinquenza e povertà, attribuendo grande importanza, come causa del delitto, alla povertà e ad altre condizioni sociali e caratteristiche personali ad essa collegate.

Il presupposto comune di queste teorie è che il comportamento criminale possa essere spiegato soltanto in base a fattori patologici, siano essi sociali o individuali.

Alcuni studiosi, pensate, erano convinti adirittura che le patologie individuali fossero ereditarie e che da esse derivassero sia la povertà sia il comportamento criminale

3 E.Sutherland, il crimine dei colletti cit.,pag.90:”I fratelli Glueck studiariono un gruppo di mille giovani delinquenti comparsi davanti a tribunali per i minorenni della grande Boston,di cinquecento giovani adulti maschi rinchiusi nel riformatorio statale del Massachussetts e di cinquecento donne internate nel riformatorio femminile dello stesso stato.

Ne risultava che la situazione economica dei genitori di questi tre gruppi di criminali fosse per il 76 % al di sotto del livello di benessere”.

4 E. Sutherland, il crimine dei colletti cit., pag.110:”Shaw e Mckay, due grandi criminologi del tempo, hanno analizzato i dati riguardanti i luoghi di residenza di delinquenti giovanili e criminali adulti in venti città degli Stati Uniti. In ognuna di queste città i criminali sono concentrati in aree di povertà. Tale tipo di delinquenza è direttamente correlata, con alti coefficienti, alla disoccupazione e alla presenza di edifici dichiarati inabitabili per motivi di sicurezza ,e inversamente correlata all’entità degli affitti”.

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Abbiamo dovuto aspettare il sociologo americano Edwin Sutherland, per poter parlare invece di una criminalità economica, finanziaria, politica, insomma una criminalità di elite, dove nè le patologie sociali nè le patologie individuali rappresentano un’adeguata spiegazione del comportamento criminale.

Sutherland va ricordato per aver differenziato i suoi studi verso un settore della delinquenza che era stato fino ad allora trascurato: quello d e i r e a t i c o m m e s s i d a i d i r i g e n t i d e l l e i m p r e s e industriali,finanziarie,commerciali e dai professionisti. Le indagini di Sutherland si mossero verso settori in precedenza non indagati dalla criminologia, andando ad intaccare potenti interessi costituiti, il che gli valse ostracismi,tagli profondi per le ricerche e anche beghe giudiziarie.

Sutherland denominò questo tipo di criminalità WHITE COLLAR CRIME perché secondo la moda dell’epoca le persone di ceto elevato, contrariamente agli operai e ai contadini, indossavano camice non colorate.

Crimine dei colletti bianchi può definirsi approssimativamente il reato commesso da una persona rispettabile e di elevata condizione sociale nel corso della sua occupazione5.

La tesi qua enunciata è che le persone di elevata condizione sociale pongono in essere numerosi comportamenti criminali; che questi comportamenti differiscono da quelli delle classi socio-economiche inferiori;

Si parla, quindi, di reati commessi in certi ambienti professionistici e imprenditoriali nei quali prevalevano le definizioni favorevoli alla violazione della legge.

Ovviamente le infrazioni che vengono commesse in tali ambienti sono specifiche,ben diverse da quelle delle sottoculture dei delinquenti

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c o m u n i ( e v a s i o n i f i s c a l i , f r o d i n e i b i l a n c i , i l l e c i t i n e l c o m m e r c i o , a g g i o t a g g i o , b a n c a r o t t a f r a u d o l e n t a , i l l e c i t a concorrenza,elusione delle leggi antitrust,furto di brevetti,pubblicità fraudolenta,corruzione,concussione ecc) e il loro aspetto significativo è che esso non risulta associato alla povertà o alle patologie sociali e personali che lo accompagnano

E’ però merito di Sutherland l’avere fra i primi studiato questa delinquenza, e averne precisato le seguenti caratteristiche6.

1. Una prima caratteristica è rappresentata dal fatto che questa delinquenza si realizza negli stessi ambienti ove si producono beni 2. e servizi ed è strettamente connessa ai processi della loro

produzione:essa viene cioè commessa nello stesso momento in cui sono perseguite le attività istituzionali proprie delle imprese o delle professioni.

3. La delittuosità dei colletti bianchi si caratterizza dunque per non essere del tutto parassitaria come quella della delinquenza comune,che si procura ricchezza con i reati ma senza produrre alcun beneficio legittimo

4. L’indice di occultamento di questi reati,professionali o d’impresa che siano, è molto elevato, poiché non sono evidenti come i crimini di strada bensì di indaginosa e difficle identificazione

5. Gli autori di questi delitti godono di un elevato tasso di impunità, perché ricoprono posizioni influenti e spesso godono di connivenze con aree del potere politico e persino giudiziario.Il prestigio sociale,il potere finanziario degli autori di questi delitti,la rispettabilità di cui godono, le relazioni sociali elevate e la posibilità di fruire di avvocati di elevata capacità assicurano loro un trattamento che, anche quando vengono identificati e condannati, non è in genere particolarmente severo.

6 gianluigi ponti, isabella marzagora betsos, compendio di criminologia,MILANO,

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6. La reazione sociale di censura nei loro confronti è inoltre minore, come traspare dall’uso dell’aggettivo DISONESTO anzichè di quello di “criminale”abitualmente impiegato nei loro confronti.Tale termine al posto di quello di delinquente o criminale con cui è generalmente qualificata la criminalità comune ,indica appunto che il “colletto bianco” non viene gravato dallo stereotipo del delinquente da parte della collettività, e inoltre egli non si reputa tale.

7. Per chi compie delitti di tal fatta, perdono di significato quei fattori di anomalie di personalità e di sfavore sociale,che tanto hanno occupato la criminologia nei confronti della criminalità convenzionale.

8. Naturalmente per poter parlare di reati dei colletti bianchi è fondamentale la tipologia dei delitti commessi, che devoono essere strettamente connessi alle attività di produzione di beni o servizi;il professionista o l’imprenditore che uccidono l’amante,anche se il loro status è elevato,non sono certo dei delinquenti del colletto bianco.

E’ bene ricordare che questi illeciti si realizzano nello stesso contesto ove si producono beni e servizi e che i reati sono strettamente connessi ai processi di produzione di tali beni e servizi; gli autori sono persone inserite nei ruoli dirigenti di imprese private,funzionari di pubbliche istituzioni oppure professionisti.

Sutherland, e anche gli autori successivi, hanno concentrato l’attenzione soprattutto sugli appartenenti alle classi sociali di maggiore levatura;

Quindi lo studio del crimine dei colletti bianchi potrebbe favorire l’individuazione dei fattori che, essendo comuni tanto alla delinquenza

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dei ricchi quanto a quella dei poveri, assumono particolare importanza per una teoria generale del comportamento criminale.

Anche se i dati disponibili non permettono una spiegazione completa del crimine dei colletti bianchi, indicano comunque che esso trova la propria genesi nello stesso processo generale che è alla base degli altri comportamenti criminali, e dunque nella associazione differenziale7.

Secondo la teoria dell’associazione differenziale, il comportamento criminale è appreso a contatto con individui che definiscono tale comportamento favorevolmente e in isolamento da altri individui che di esso danno una definizione sfavorevole; nelle condizioni adatte, una certa persona tiene un comportamento criminale soltanto se le definizioni favorevoli prevalgono su quelle sfavorevoli. Questa teoria non è certamente una spiegazone completa del crimine dei colletti

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bianchi o degli altri reati, pur essendo quella che meglio corrisponde ai dati riguardanti l’una e l’altra forma di criminalità8.

Per quanto riguarda questo tipo di criminalità può dirsi che quanto maggiori sono gli interessi economici in gioco e quanto più elevato è il prestigio sociale del reo, tanto più il fatto illecito risulta mascherabile, specie in periodi nei quali sono dilaganti malcostume pubblico,inefficienza dello stato ,collusioni fra potere economico e potere politico.

In ogni caso,il fine primario e istituzionale del colletto bianco non è il crimine -come invece è per le criminalità comune e organizzata- ma il profitto, che è obiettivo in sé lecito e utile alla produttività di beni e servizi; la criminalità economica è perciò paraistituzionale e viene agita per superare difficoltà finanziarie, per acquisire benefici

8 E.Sutherland,il crimine dei colletti cit.,pag201”Molto significativo è un resoconto

biografico di un giovane uomo d’affari di Chicago, addetto al commercio delle automobili usate, descrisse nel modo seguente il processo attraverso il quale fu indotto a violare la legge5.

“All’epoca in cui mi diplomai, ero infarcito degli ideali di onestà, correttazza e solidarietà che avevo appreso in famiglia, a scuola e dai libri. Il mio primo lavoro dopo gli studi fu la vendita di macchine da scrivere. Mi accorsi subito che le macchine non erano vendute a prezzo uniforme e che un cliente disposto ad aspettare e a tirare sul prezzo poteva pagare la metà del loro valore di listino. Penasi che fosse un’ingiustizia nei confronti di chi doveva sborsare il prezzo ufficiale, ma fui deriso dagli altri venditori.Avevo ancora degli ideali e mi licenziai. Il mio nuovo lavoro fu la vendita di macchine da cucire. Venni a sapere che una macchina che alla ditta costava 18 dollari, doveva essere venduta a 40 e che un’altra, il cui costo era di 19 dolari, si sarebbe smerciata a 70;

Quando andai dal direttore commerciale per dirgli che la cosa mi sembrava disonesta e che me ne sarei andato immediatamente, quello mi guardò come se fossi un pazzo e, in tono adirato,esclamò: << ma se non c’è un’attività più pulita della nostra in tutto il paese!>>.

Passò un bel po’ di tempo prima che riuscissi a trovare un altro lavoro.Mi si presentò un’opportunità nel campo delle automobili usate. Mi accorsi che in questo ramo si utlizzavano più trucchi per spennare i clienti che in tutti gli altri nei quali avevo lavorato precedentemente.

Questa volta quando venni a sapere come stavano le cose non mi licenziai. Mi capitò di provare disgusto, desiderai andarmene, certo, ma poi mi convinsi che non avrei avuto molte possibilità di trovare una ditta onesta..

Sapevo di essere disonesto, ma ero pur sempre convinto di esserlo meno dei mei colleghi. La cosa che mi sembrava più incredibile era come tutte queste persone potessero sentirsi orgogliose della loro abilità nello spennare i clienti.

Un’altra cosa che mi colpì è che queste persone erano concordi nel biasimare gangsters, rapinatori, scassinatori e ladruncoli. Non pensavano di appartenere alla stessa categoria e si sentivano profondamente offesi se li si tacciava di disonestà: credevano solo di fare buoni affari”.

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eludendo la legge, avendo come obiettivo, in tal caso perverso,di accrescere illecitamente il profitto di impresa.

Il punto relativo all’assenza o meno di violenza fisica,che fra l’altro è quello che spesso fa si che la criminalità economica sia poco percepita dai consociati o almeno crei minore allarme sociale,va ridimensionato:in realtà,quando gli interessi in gioco sono cospicui e quando appunto la criminalità economica si congiunge con quella organizzata, può darsi il ricorso perfino all’omicidio e alla strage. Fu lo stesso banchiere Calvi a commentare laconicamente quanto profeticamente,”per un tale ammontare di denaro,le persone possono uccidere”.

Ma a prescindere da ciò, il danno economico derivante da questa criminalità è molto elevato per la collettività: basti pensare a quell’aspetto nuovo e particolare della criminalità d’impresa costituito dalla delinquenza ecologica da inquinamento, dalle evasioni fiscali,o dalle truffe ai danni dell’UE.

Nel 1979 gli economisti e i criminologi di diciannove stati membri del consiglio d’europa e di Stati Uniti,Israele e Canada calcolarono l’incidenza del crimine economico come pari al 75% del costo totale del crimine nei rispettivi paesi.Per l’Italia il crac bancario del Banco Ambrosiano comportò, per esempio,il coinvolgimento di 40.000 risparmiatori,oltre al danno per i dipendenti dell’istituto di credito. E’ vero,però, che il danno cagionato dai colletti bianchi è di minore impatto fisico rispetto, per esempio, a uno scippo o a una rapina, e addirittura che esso potrebbe non essere percepito dalle stesse vittime, che divengono così ”vittime invisibili”.

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La corruzione politica si presenta come una forma di reato del colletto bianco, dove spesso la vittima è all’oscuro del suo stesso status di vittima e solo raramente interagisce con il reo

Per di più la vittima è di difficile identificazione, in quanto il reato e gli effetti che esso produce hanno rispettivamente luogo e sono percepibili in ambiti spaziali e temporali diversi.

In ogni caso la criminalità economica può mietere più vittime della criminalità da strada: basti pensare ai reati ambientali, sia quelli che si sostanziano in una specie di danno cronicizzato, quale gli effetti collaterali di attività poste in essere senza le necessarie cautele, sia quelli il cui effetto è un singolo evento catastrofico.

Fra i danni anche non immediatamente percepibili deve essere ricordato il depauperamento delle risorse pubbliche, evidente per esempio è nel caso della corruzione.

Occorre quindi a questo punto ricordare anche il “danno morale” di questi reati e della corruzione in particolare:la de-moralizzazione opera in diversi modi, intanto insinuando il dubbio che essere onesti non valga la pena e, addirittura, confondendo i termini ONESTA’ e STUPIDITA’.La domanda che rischia di affacciarsi alla mente è:se anche i privilegiati si mostrano insaziabili,se “tutti” sono disonesti,se coloro che dovrebbero essere d’esempio per la loro collocazione ai vertici delinquono, perché io no?

Ecco, questo è lo scenario nel quale ha preso corpo uno degli scandali più importanti del nostro paese, Tangentopoli, definita la città del vizio ed il campo di battaglia dove il bene è chiamato a fronteggiare il male.

Espressione suggestiva coniata dalla fantasia giornalistica come metafora di un sistema largamente praticato di pratiche illegali

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orientate al profitto, diffuse nel mondo politico, nella pubblica amministrazione, e anche nel mondo delle imprese9.

Queste inchieste giudiziarie, denominate mani pulite, hanno portato alla luce, negli anni 90, un sistema di corruzione, concussione, finanziamento illecito ai partiti ai livelli più alti del mondo politico e finanziario italiano.

Ma facciamo un passo indietro e ripercorriamo la cronaca di quei giorni. È il 17 febbraio 1992 quando a Milano viene arrestato il presidente del Pio Albergo Trivulzio, Mario Chiesa, mentre riceve una tangente di 7 milioni di lire. Sembra un avvenimento come tanti altri, e invece è l’inizio di quel ciclone chiamato Tangentopoli che in un paio d’anni spazza via la cosiddetta Prima Repubblica e un’intera classe politica. I giudici del pool Mani Pulite di Milano, tra cui si distingue subito Antonio Di Pietro, mettono sotto accusa una serie impressionante di leader politici e di imprenditori: dal segretario del PSI Bettino Craxi al segretario della DC Arnaldo Forlani. Viene alla luce un gigantesco sistema di finanziamenti illeciti e una capillare diffusione, ad ogni livello, della pratica delle tangenti, il che significa feudalizzazione della politica e dell’amministrazione pubblica, subordinazione dell’esercizio di pubbliche funzioni e della gestione del potere politico ad interessi privati, personali o “di parte”.

Siamo in un contesto caratterizzato da un malcostume così diffuso e radicato che il pagamento del soggetto pubblico avviene in modo automatico, sulla base della pressione complessiva esercitata implicitamente dall’intero sistema, segnato dalla saldatura tra classe politica e amministrazione pubblica, e tutto ciò in assenza perfino di una implicita sollecitazione da parte del pubblico ufficiale diretta a richiamare tale pressione nel rapporto concreto con l’extraneus: la

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tangente è stata definita come la “tassa di iscrizione al sistema di erogazione delle risorse pubbliche”.

Si è trattato di un vero e proprio svuotamento del potere legale per un’interna corruzione, che ha dato vita ad una forte crisi di legalità. Siamo di fronte a fenomeni che hanno avuto effetti devastanti per le istituzioni e la vita stessa del nostro paese.

Fenomeni che hanno messo in ginocchio il sistema penale, ne hanno messo in luce le falle, le fragilità normative all‘interno delle quali si è annidato il malcostume al punto da attingere i livelli della “consuetudo contra legem”10. Gli illeciti in questione assumono

“carattere sistemico”, in quanto interagiscono stabilmente con le regole di funzionamento di apparati burocratici e di strutture sociali, divenendone parte costitutiva ed integrante.

I fatti di corruzione hanno assunto un contenuto offensivo multiforme, investendo l’integrità dell’economia nazionale, il corretto funzionamento del mercato, la tenuta stessa della compagine istituzionale, con effetti dirompenti sulla tenuta della società: ad essere messa in crisi è la stessa fiducia dei cittadini nelle istituzioni e nelle regole della civile convivenza, fino ad intaccare le condizioni dell’osservanza della legge da parte di tutti. Si tratta in sostanza di un quadro di macrolesioni il cui carattere “sistemico” ha finito col distorcere addirittura l’assetto costituzionale della Repubblica.

Appare chiaro essere di fronte ad un emergenza politica, istituzionale, legislativa da dover affrontare e risolvere apprestando elementi normativi nuovi che per il futuro rafforzino la lotta al cancro della corruzione che ha corroso le istituzioni e la vita del nostro paese. Quello che è emerso è una fatale inattualità del diritto positivo rispetto alle nuove forme di emersione di determinate condotte criminose o rispetto al diverso significato, empirico-sociale e culturale, che i

10 T.Padovani, Il problema tangentopoli tra normalità dell’emergenza ed emergenza della normalità, in DPP,fasc.2,1996

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fenomeni criminali sono venuti assumendo dopo che il legislatore ha operato le sue scelte normative.

C’è un noto scritto di Marinucci il quale, richiamandosi a Feuerbach, ammonisce sull’insufficienza di una traduzione, da parte del legislatore, in parole precise del senso concettualmente afferrabile delle sue scelte punitive, se poi il loro contenuto resta campato in aria, non rispecchiando una fenomenologia verificabile con massime di esperienza e/o con leggi scientifiche sul banco delle prove esperibili in giudizio11.

Proprio con riguardo all’annosa e faticosa discussione in merito ai rapporti tra corruzione e concussione può quantomeno nutrirsi il sospetto che le sofferenze applicative siano da ricondurre almeno in parte a un’artificialità dei dati testuali con i quali la giurisprudenza è costretta a confrontarsi.

Un’artificialità che non pare nascere da un’inettitudine originaria a raccogliere “con mano pigra” ed elevare a fattispecie delittuose la azioni più intollerabili, le forme di manifestazione più grossolane, bensì, nel rifiutarsi di percepire che quanto all’inizio era più sofisticato e raro, non solo ha assunto un contenuto illecito più grave di quanto precedentemente sanzionato, ma è diventato di per sé proprio la forma di manifestazione più rozza del delitto disciplinato12.

3. Che cosa è cambiato.

I protagonisti del reato di concussione e corruzione sarebbero due: il pubblico ufficiale detentore del potere pubblico ed il privato verso cui tale potere si orienta.

11 G.Forti, L’insostenibile pesantezza della tangente ambientale:inattualità di disciplina e disagi applicativi nel rapporto corruzione-concussione, in DPP, fasc.

2,1996

12 G.Forti, L’insostenibile pesantezza della tangente ambientale:inattualità di disciplina e disagi applicativi nel rapporto corruzione-concussione, in DPP, fasc.

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Il loro rapporto potrà essere paritario e di carattere contrattualistico (corruzione), oppure non paritario, e inclinato verso la soggezione del secondo al primo (concussione);ma resta comunque un rapporto bilaterale. Corrispondentemente, la dinamica del loro rapporto si esprime in termini di connessione funzionale tra l’attività del pubblico ufficiale e la prestazione del privato: una connessione bilanciata a guisa di compravendita (corruzione) e connessione sbilanciata per effetto della costrizione o dell’induzione (concussione).

Mentre invece nella fenomenologia della criminalità politico-amministrativa emersa dall’esperienza Tangentopoli, queste costanti sceniche sono saltate ed il copione che si recita è un’altro13.

In effetti, tale criminalità assume come precedente storico una imponente dislocazione del potere politico-amministrativo che, dalle sedi istituzionali proprie, è transitato in sedi private.

Ad un potere visibile si è così contrapposto un potere invisibile.

L’originaria bilateralità è stata spezzata dall’intervento di un terzo soggetto: il mediatore politico affaristico, figura camaleontica la cui matrice può essere la congrega politica di riferimento per il controllo dell’apparato di potere visibile o la lobby economica interessata a tale controllo.

Tale soggetto assume un ruolo centrale nella nuova commedia, ridefinendo i ruoli del pubblico ufficiale e del privato. Il primo tende a divenire un ingranaggio attivabile a piacimento dal mediatore e dalle forze ch’egli rappresenta; l’autorità è comunque spostata in mani diverse da quelle pubbliche.

Corrispondentemente, il privato non ha più nulla da comprare direttamente dal pubblico ufficiale, e nulla da temere direttamente da lui: deve comperare da chi può su di lui, deve temere da chi su di lui esercita una nuova, antica manus.

13 S.Moccia,Il ritorno alla legalità come condizione per uscire a testa alta da tangentopoli, in rRIDPP, fasc.2, 1996,pg.463

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Questo ha portato ad una continuità di rapporti tra soggetti pubblici e privati grazie ad una tenacissima saldatura, dovuta ad un decisivo ruolo di collante tra pubblica amministrazione e imprenditoria esercitato appunto dalla mediazione politica.

Il fenomeno degno di attenzione è che non si sia potuto registrare alcun caso di corruzione grave che non affondasse le sue radici in un pregresso o concomitante “quadro collusivo”.

In questo contesto, la tensione applicativa cui risultano sottoposte le fattispecie di corruzione e di concussione supera il limite di rottura: tutte le multiformi varietà del traffico d’influenza nelle quali non sia riconoscibile un atto dell’ufficio o l’intervento del pubblico ufficiale, ma che pure hanno riversato i loro effetti sull’andamento dell’azione amministrativa, sono state calate a forza nel quadro tipico della corruzione o della concussione, determinando lo stravolgimento di ruoli e l’inversione dei rapporti.

Un altro aspetto connesso alla durata, sistematicità e ripetitività dei rapporti di corruzione è costituito dagli elevatissimi livelli di sofisticazione raggiunti dalla prassi dei pagamenti illeciti. Un effetto non secondario dell’enorme diffusione nel tempo e nello spazio di questi crimini è stato infatti di innescare formidabili automatismi nell’esecuzione delle transazioni illecite, e formidabili coperture. Si stava modificando anche la dimensione e la natura del danno prodotto da questi fatti, non più ristretto alle un po logore categorie del buon andamento e dell’imparzialità della pubblica amministrazione, ma esteso all’integrità dell’economia nazionale, alle regole della concorrenza e allo stesso funzionamento delle istituzioni democratiche.

Più ancora, le dimensioni enormi e profonde di questo danno sono risultate inscindibili dalla natura diffusiva e replicante dei fatti di corruzione, che determina una stimolazione della domanda e

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dell’offerta di tangenti, con l’esito di un’uscita degli onesti dal sistema: “la perdita di fiducia nell’imparzialità dell’amministrazione della cosa pubblica mina le basi etiche della convivenza civile e incentiva la defezione dagli obblighi del patto sociale; “l’esistenza di un mercato illegale nel quale acquistare i benefici pubblici diminuisce gli incentivi a sviluppare una reputazione di onestà nel commercio”. A illustrazione di questo enunciato, che sottolinea il grave effetto destabilizzante prodotto dalla corruzione diffusa, basterebbe ricordare quanto rilevato dalla letteratura sociologica ed economica americana. Si afferma che “la corruzione tende ad autoalimentarsi e a erodere il coraggio necessario per aderire a più elevati standard di correttezza. Una volta percepita nella sua esistenza e diffusione dalla collettività, essa riduce il rispetto per l’autorità costituita e mina la fiducia della popolazione nel fatto che l’amministrazione agisce equamente. I politici, si dice, costituiscono o dovrebbero costituire un élite; se questa viene giudicata corrotta, l’uomo della strada non vedrà alcuna ragione per non perseguire il proprio interesse particolare”.

Gli stessi soggetti pubblici vedranno indebolito il coraggio di adottare provvedimenti impopolari, tenderanno a sottrarsi alle proprie responsabilità e ai propri doveri e aumenterà tra loro e con il resto della società il livello dei conflitti e della litigiosità.

Delineata la cornice criminologica e politico-criminale del problema della corruzione in senso lato mi vorrei soffermare sul rapporto che vi era in questo contesto tra corruzione e concussione.

L’area di crisi nel rapporto tra le due fattispecie sia in larga misura alimentata dal carattere evanescente della c.d concussione per induzione, una delle due forme con cui questo delitto può essere realizzato secondo la previsione, mantenuta dalla riforma del 1990, dell’art 317 c.p. Il significato della concussione risultava peraltro altamente controverso, ben prima dell’era Tangentopoli,sia in dottrina

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sia nella giurisprudenza oscillante minoritariamente tra l’idea che anche in relazione all’induzione fosse richiesto in capo all’estraneus il metus e quella invece maggioritaria, tendente a configurarla in presenza già solo della frode o inganno, con gravi problemi di delimitazione rispetto alla truffa aggravata.

Nel corso dei lavori di riforma sfociati nella legge n.86 del 1990, vari progetti avevano del resto prospettato l’eliminazione di questa figura. Tra essi, il progetto di legge Azzaro del 31 maggio 1984, noto per avere proposto l’introduzione di una ipotesi di non punibilità per chi avesse denunciato tempestivamente i fatti di corruzione di cui fosse partecipe, dove si rilevava l’insufficienza della previsione di esclusioni di pene premiali per spezzare la solidarietà tra corrotto e corruttore e si riteneva necessaria una razionalizzazione del sistema, il cui elemento qualificante veniva considerato proprio il rifluire , nell’unica figura della corruzione, di tutti quei casi di concussione che possono dar luogo a confusione e che in sostanza si identificano in quella particolare fattispecie che è rappresentata dalla concussione per induzione14. La concussione veniva così limitata all’ipotesi in cui il

p.u. costringa il privato, con atti espliciti di intimidazione o di violenza,a dargli denaro o altra utilità , facendo rientrare le dubbie ipotesi di concussione per induzione nel delitto di corruzione.

Questa cospicua area di crisi tra le due fattispecie non solo non è stata minimamente erosa dalla riforma del 1990, ma anzi, all’indomani dell’introduzione della l. n.86, è risultata dilatata e approfondita15.

Questa riforma non solo ha infatti adottato la scelta di mantenere l’induzione nel testo, ma ha complicato il quadro di riferimento dell’interprete con la contestuale introduzione della istigazione alla corruzione passiva di cui all’art 322 c.p la quale, punendo il pubblico

14 S.Moccia, il ritorno alla legalità come condizione per uscire a testa alta da tangentopoli, in RIDPP,fasc.2,1996, pg.463

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ufficiale e l’incaricato di pubblico servizio che “sollecita una dazione o promessa di denaro od altra utilità da parte del privato”, ha reso delicatissima la distinzione tra tentativo di concussione e tentativo di corruzione passiva.

Questa innovazione legislativa è stata peraltro letta dalla dottrina come una conferma dell’esigenza di ricostruire un disvalore unitario delle due ipotesi di concussione, visto che l’induzione non presenta in sé alcuna nota qualificante in grado di caratterizzarla rispetto alla sollecitazione di cui all’art 322: disvalore da rinvenirsi nella prevaricazione realizzata dal funzionario in danno del privato, il che suppone uno specifico e consapevole stato di soggezione della vittima16.

Quanto alle soluzioni prospettate per dirimere le aree di pertinenza delle due fattispecie, esse risultano contrassegnate da un dualismo, che spesso ha assunto la forma di una pendolare alternanza, di criteri soggettivi e oggettivi. Lo stato di soggezione psicologica del privato, il metus da una parte, con tutte le incertezze di una ricostruzione di modulazioni ai doveri d’ufficio, il vantaggio conseguito dal privato o l’iniziativa assunta da una delle parti17, talvolta utilizzati isolatamente,

talaltra come ausilio probatorio per la ricostruzione dei coefficienti soggettivi. Un groviglio di parametri fittamente intrecciati, non sempre facile da districare. Come tutti sappiamo, questa pendolarità risultava comunque, alla vigilia di tangentopoli, decisamente orientata verso il versante “soggettivo”, specie dopo la sentenza a Sezioni Unite della Cassazione che ha inteso fare giustizia di una certa rigidità dei criteri oggettivi e porre l’accento sui coefficienti quali,ad esempio, “la

16 S.Moccia, il ritorno alla legalità come condizione per uscire a testa alta da tangentopoli, in RIDPP,fasc.2,1996,pag.463

17 Si tratta del criterio rivelatosi più caduco, ancorché qualche autore vi faccia

ricorso con riguardo alla sola ipotesi della distinzione tra concussione e corruzione impropria. Sul punto, v. Da ultimo, Cass. 8 settembre 1992, in Giur. It.,1994,II,c.90

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turbata ed intimorita volizione della vittima”,effetto della “preminenza prevaricatrice del pubblico ufficiale”.

Che la zona di confine tra corruzione e concussione sia caratterizzata da una preoccupante nebulosità è noto a tutti

Certo, il problema non si pone in quelle ipotesi nelle quali “il pubblico ufficiale vince la resistenza al sopruso” con una condotta caratterizzata dalla strumentalizzazione della posizione per piegare la volontà della vittima, dove sussisterà senz’altro la concussione, né laddove il pagamento del pubblico ufficiale si radichi su un chiaro “accordo criminoso realizzato in vista di un illecito vantaggio perseguito dal privato”,dove si avrà certamente corruzione. Ma tutto ciò che “residua” rispetto a queste situazioni è una massa cospicua di ipotesi concrete, che probabilmente tutt’altro che marginali già all’epoca dell’entrata in vigore del codice Rocco, sono diventate ancora più invadenti e ingombranti in questi ultimi anni.

Credo possa in generale convenirsi sul dato globale che l’esperienza di Tangentopoli abbia reso ancora più dolente, sia in termini quantitativi, sia in termini qualitativi, la problematica dei rapporti tra corruzione e concussione.

Per un verso si è determinato un tendenziale ridimensionamento degli spazi applicativi riservati alla concussione. Scegliendo tra i molti fattori di questo effetto, potrei ricordare come nella maggior parte dei casi al vaglio di procure e giudici sia riscontrabile un “vantaggio”, spesso assai corposo, conseguito dal privato-imprenditore. Varie analisi in argomento non hanno del resto mancato di sottolineare,come la maggior parte degli illeciti si realizzasse a monte per una previa collusione tra gli imprenditori-corruttori. E l’area ritenuta più problematica è proprio quella nella quale il privato abbia comunque conseguito un vantaggio dalla transazione illecita, tanto se il vantaggio sia derivato dal compimento di un atto contrario ai doveri

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d’ufficio o dal mancato compimento di un atto conforme ai doveri d’ufficio (corruzione propria), quanto se esso sia stato conseguito in relazione al compimento da parte del p.u. di un atto dell’ufficio (corruzione impropria).

Se il piano dei rapporti sostanziali tra i protagonisti dell’illecito finiva per apprestare un piano di scivolamento della casistica inclinato fortemente verso un’applicazione delle fattispecie di corruzione sempre più ampia, a scapito della concussione, il quadro normativo e le esigenze di politica giudiziaria tendevano però a privilegiare un’applicazione di quest’ultima figura di reato.

Alla base di questo, credo sia da ravvisare una maggiore attitudine della fattispecie di concussione a scontare un’altra delle caratteristiche salienti degli illeciti di Tangentopoli, ossia il loro radicamento in un rapporto di scambio tra pubblico e privato caratterizzato dalla stabilità e continuità nel tempo;in una parola: dalla natura sistemica e diffusa degli illeciti.

Diventa così, una corruzione “sistemica”, una situazione in cui l’illecito è divenuto una norma e la corruzione è divenuta così regolarizzata e istituzionalizzata che l’organizzazione premia coloro che agiscono illecitamente e di fatto penalizza coloro che accettano le vecchie norme.

Il nascere di creature giuridiche o metagiuridiche come la “concussione ambientale” deriva dal tentativo di venire incontro alle esigenze della prassi fuorviato dall’inattuale assetto normativo vigente18.

E tuttavia, alla base delle proposte volte ad introdurre questa figura come fattispecie autonoma, credo si rinvenga anche la preoccupazione di aggirare un requisito fondamentale della corruzione, ossia la necessità di identificare un rapporto tra prestazione del privato e

18 S.Moccia,il ritorno alla legalità come condizione per uscire a testa alta da tangentopoli, in RIDPP,fasc.2, 1996, pag 463

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controprestazione del soggetto pubblico e con essa, di individuare un’atto pertinente all’ufficio che possa equilibrare l’altro piatto della bilancia, gravato dal pagamento passato o futuro da parte dell’extraneus.

Necessità quindi, di individuare un atto dell’ufficio concreto o, per meglio dire, individuato o individuabile, il quale assuma quella caratteristica di sinallagmaticità, di proporzione, di retributività della prestazione del privato, requisito non solo della corruzione impropria, ma anche della corruzione propria: diversamente verrebbe meno il rapporto di retribuzione.

La fenomenologia di Tangentopoli ci ha dimostrato l'importanza del fattore "stabilità"19. L'aspettativa da parte dei protagonisti di

"un'elevata continuità offre maggiori garanzie di adempiere agli accordi proseguendo la relazione nel lungo periodo, garantisce una maggiore affidabilità e consente scambi differiti nel tempo"; al crescere delle relazioni fiduciarie interne al gruppo, diventa possibile comminare sanzioni con maggiore forza e credibilità; "un potente lubrificante degli scambi illeciti è infatti costituito dalla presenza della fiducia", quest'ultima definita "come la soglia di probabilità soggettiva oltre la quale si realizza un'aspettativa di azione cooperativa da parte di un altro attore sufficiente a indurre la cooperazione". In presenza di queste

caratteristiche di continuità del rapporto di scambio, una sanzione per il mancato rispetto degli accordi può semplicemente consistere nell'esclusione della controparte dagli scambi futuri.

La correlazione tra "ambientalità della tangente" e graduale sfumare dell'elemento della corrispettività in rapporto a individuabili prestazioni del soggetto pubblico emerge dalle deposizioni dei

19 G.Forti., l’insostenibile pesantezza dellla “tangente ambientale”:inattualità di disciplina e disagi applicativi nel rapporto corruzione-concussione, in RIDPP,fasc.

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protagonisti della Tangentopoli milanese. Dichiarava ad esempio un imprenditore: "Io non ho mai saputo a quale esponente istituzionale sia andata a finire la tangente. Sarebbe stato un atto di grave scortesia da parte mia chiedere spiegazioni alla ditta capo commessa20.

Certamente non si trattava di millantato credito di qualcuno, perché ormai si è creata nel sistema degli appalti pubblici una `ambientalità' della tangente". Da tale dichiarazione risulta come la tangente assurgesse a `legge non scritta' o 'regola comune' di cui tutti sono a conoscenza, sfuma in secondo piano la sua dimensione di corrispettivo economico. Essa assume un valore simbolico, come riaffermazione di un rapporto di sudditanza. In questi casi la degenerazione del sistema ha raggiunto la fase estrema"

Per questo corruzione e concussione finiscono col risultare contenitori “angusti e inadeguati”, "irreali" nella loro manifesta sproporzione valutativa; sarebbe come voler ridurre una devastazione alla somma di tanti piccoli danneggiamenti, come triturare un saccheggio in una miriade di furtarelli. Ciò che è accaduto è qualcosa di più e qualcosa di diverso; si è trattato di reati politici: obiettivamente tali perché hanno colpito non questo o quell'aspetto della pubblica amministrazione, ma la stessa esistenza di una "pubblica" amministrazione; Le parole per dirlo stavano nel Titolo I del Libro II; ma si trattava di parole impronunciabili. Per applicare fattispecie di delitto politico ad una criminalità intranea ai meccanismi di potere, e di questa portata quantitativa, è sempre necessaria una legittimazione politica forte: quella che i vincitori hanno sui vinti. Ma in Italia una tale legittimazione è mancata del tutto: nessun potere politico legittimo, sostituito alla repubblica dei malfattori, ha potuto rivendicare a sé il compito di ripulire il paese.

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4. La l. n. 190/2012.

Quanto appena scritto porta necessariamente ad un riflessione circa un ripensamento della disciplina della corruzione e della concussione. Un approccio riformistico che, per un verso, colleghi la prospettiva penale alle direttrici extrapenali di intervento e, per altro verso, si ispiri al principio di realtà, almeno sotto un duplice punto di vista. Da un lato, sottraendosi alla tentazione o al rischio di anteporre la difesa dei tradizionali dogmi penalistici, avvolti quasi da una aura di sacralità di ritenuta matrice classica, ad una analisi spassionata dei fenomeni di scambio illecito così come si manifestano nella realtà criminologica specie a partire dall'esperienza di "Tangentopoli". Dall'altro, valutando se dall'esame della prassi giudiziaria e dalle analisi sociologiche disponibili, come pure dal più generale contesto politico e sociale di riferimento, emergano indicazioni o segnali circa un possibile nuovo modo di concepire i disvalori penali in questa materia: per cui, se così fosse, continuare a difendere le fattispecie incriminatrici ereditate dalla tradizione equivarrebbe a idealizzare forme giuridiche magari nobili, ma ormai sterili e come tali inadatte.

I primi dati che la graffiante analisi appena illustrata ha fatto emergere, sono sicuramente, la vitalità e l’estensione del fenomeno corruzione, che al di là dei picchi di emersione coincidenti con la stagione delle indagini “Mani Pulite”(dove il numero di denunce giunge al suo apice nel biennio 1993-1994)ed al di là di un apparente distribuzione “a macchia di leopardo”, è fenomeno attualissimo e presente su tutto il territorio nazionale. La corruzione in Italia sembra ancora molto viva e profondamente radicata nella sua dimensione “sistemica”, quale principale posta attiva nel bilancio della politica, e quale gravosissima posta passiva nel bilancio della funzione pubblica,

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capace di “bruciare”, secondo le stime di Trasparency internationale, 50 miliardi l’anno.

La caratteristica principale messa in luce nell’indagine è una ineffettività21 del sistema penale, la sua impotenza verso il contrasto

ad un fenomeno sistemico quale la corruzione: infatti nell’arco temporale che va dal 1983 al 200222, corruzione e concussione

mostrano una cifra della frequenza che tende a riprodurre una curva gausiana. L’andamento delle denunce appare sostanzialmente stabile fino al 1992, poi, in concomitanza con l’esplosione di Tangentopoli, conosce un aumento vertiginoso (si passa dai 235 delitti denunciati nel 1990 ai 1245 nel 1993): il picco denunce dei delitti di corruzione e concussione si colloca negli anni 1993 e 1994, anno a partire dal quale il numero dei delitti denunciati comincia a decrescere,si registra una flessione, fino a che, nel 2000, esso torna ai livelli antecedenti all’avvio delle inchieste sulla corruzione e sul finanziamento illecito ai partiti; e soprattutto si constata una divaricazione amplissima tra numero di denunce e il numero di condanne, come se “qualcosa si fosse inceppato nei meccanismi di repressione”23.Peraltro,

all’ineffettività del sistema di contrasto corrisponde un livello medio di sanzioni irrogate tendenzialmente basso, con ulteriore depauperamento dell’effetto di deterrenza.

In secondo luogo si registra una scollatura tra numero delle notitie criminis e il numero dei fatti chiariti, e dove in particolare le sentenze definitive di condanna sono molto inferiori rispetto ai procedimenti avviati (bastino le cifre sulle inchieste milanesi dove su 4520 persone iscritte nel registro degli indagati solo 661 condannate in primo grado

21 V.Manes,manifesto e latente nella repressione delle fenomenologie corruttive,in CP, fasc.1, 2009

22 Davigo P.-Mannozzi, La corruzione in italia. Percezione sociale e controllo penale, ROMA-BARI,2007

23 C.Mannozzi,Combattere la corruzione: tra criminologia e diritto penale, in DPP,

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o nei gradi successivi di giudizio, con una percentuale, quindi che ruota attorno al 10%).

Infine la scarsa effettività del sistema punitivo si estremizza in fase esecutiva:data la significativa divaricazione che la casistica registra tra la severità della minaccia legale e la misura della sanzione concretamente irrogata, l’esito pressoché scontato è la sospensione condizionale della pena, o comunque una pena che verosimilmente “non conoscerà il carcere” restando nel margine di applicazione delle misure alternative alla detenzione, la cui concessione è quasi scontata a fronte di soggetti di regola “normoinseriti” o persino “iperadattati”alla società. I dati parlano chiaro; in un panorama complessivo che vedeva solo il 3,5% delle sanzioni irrogate superare i 3 anni, in caso di condanna per concussione solo per il 6% degli autori diventa ineludibile la pena detentiva; per il 2% in caso di corruzione propria; per lo 0.6% in caso di corruzione impropria.

Visto che i dati statistici registrano una flessione della severità delle sanzioni irrogate dopo la massiccia emersione del fenomeno corruttivo a partire dagli anni 90, gli autori giungono alla conclusione secondo la quale “il tasso di condanna per un reato e la severità media delle sanzioni irrogate per il medesimo reato sono tendenzialmente in rapporto di proporzionalità inverso.

Emerge il volto “classista”24 del sistema penale, un sistema tanto

diseguale da evocare la vecchia idea della “proporzione geometrica” della sanzione scandita dal ceto, dove al reclutamento costante dei marginali corrisponde, troppo spesso”, la sostanziale impunità per i soggetti collocati ai livelli più alti della scala sociale(white collars). Quindi il saldo negativo di questo bilancio può andare in due direzioni: la prima è che si registra una ineffettività della repressione e un deficit di tutela nei confronti di criminalità reale, con l’aggravante

24 V.Manes, manifesto e latente nella repressione delle fenomenologie corruttive, in CP,fasc.1,2009

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di minimizzare la percezione del rischio da parte dei potenziali rei, visto che il comportamento criminale è spesso influenzato da valutazioni costi-benefici(fondate sulla monetizzazione del rischio). La seconda, non meno importante, è quella che denuncia una percentuale molto bassa di livelli di chiarimento,e la parallela incapacità del sistema di arrivare a distinguere tra criminalità accertata e criminalità solo presunta.

L’ineffettività del sistema può essere valutata dalla duplice angolatura che visualizza il diritto penale sia come strumento di tutela delle vittime,sia, al contempo, come strumento di protezione dell’innocente. Osservata del punto di vista dei potenziali rei, l’ineffettività appare come una patologia la cui carica virale si trasforma in una perdita secca per la giustizia penale come “strumento di tutela delle vittime”, e in un pregiudizio per le stesse istituzioni democratiche(la cui integrità è posta seriamente a repentaglio quando il fenomeno corruttivo attinge ad una dimensione sistemica, compromettendo interessi come la correttezza del libero mercato e la stessa fiducia dei cittadini nella p.a), e si ripercuote sulla stessa percezione sociale della gravità del fenomeno, peraltro già indebolita attraverso diverse “tecniche di neutralizzazione”.

In secondo luogo, osservata del punto di vista dei criminali “apparenti”, l’ineffettività del sistema si rivela una patologia la cui carica virale indebolisce il sistema della giustizia penale, e le sue garanzie, come “strumento di protezione degli innocenti”,perché la rappresentazione che si ricava è quella di un sistema repressivo la cui carica di afflittività, il più delle volte, è affidata alla dimensione processuale, ovvero all’affermarsi del “processo come sanzione”. In altri termini, l’intervento più graffiante e contundente del sistema punitivo in settori come quello oggetto di analisi non è la prestazione finale imposta al condannato con l’irrogazione della pena, ma è il

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processo, specie quando questo comporta l’immediato ingresso dei protagonisti nel “circo mediatico-giudiziario”.

Infatti all’indagato si chiede un sacrificio in via preliminare dei propri diritti fondamentali (onore, riservatezza,lavoro,dignità personale), una liquidazione anticipata e mai risarcita, che scatta con l’attivazione stessa del procedimento, e che determina per il soggetto una immediata e spesso definitiva diminuzione di status.

Sul piano interno, l’esigenza di una rivisitazione della materia dei delitti di corruzione e di una migliore definizione del confine conteso tra corruzione e concussione, era avvertito da tempo. Esigenza che, come ho detto, si è manifestata con particolare evidenza all’indomani della stagione di “Mani Pulite”e che si è tradotta anche in proposte organiche di revisione,come la Proposta Cernobbio, elaborata dai magistrati del Pool di Mani Pulite e da illustri studiosi.

Così pure si è andata facendo strada una più diffusa consapevolezza della realtà criminologica della corruzione e della necessità di dare risposte legislative.

A ciò si affianca l’indubbio ampliamento dello spettro dei beni attinti dal delitto, non più, come già ampliamente osservato, circoscritto al buon andamento e all’imparzialità della pubblica amministrazione, ma tale da riguardare ad esempio la concorrenza.

Sul piano internazionale, una riscrittura dell’impianto della disciplina in materia era il portato di precisi obblighi derivanti da strumenti normativi sovranazionali da tempo ratificati dall’Italia (mi riferisco alla convenzione ONU di Merida del 2003 e alla convenzione penale sulla corruzione di Strasburgo del 1999). Tali strumenti richiedevano infatti l’introduzione nel nostro ordinamento di fattispecie quali

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“Traffico di influenze illecite” e “Corruzione tra privati” solo in parte coperte da figure di reato già presenti nel nostro ordinamento.

Accanto a tali obblighi posti dalle convenzioni, vi erano anche le indicazioni,provenienti dai Gruppi di lavoro operanti all’interno di importanti istituzioni quali l’OCSE e il Consiglio d’Europa, in merito al delitto di concussione.

Riferimenti al delitto di concussione sono altresì contenuti nel rapporto di valutazione di terzo ciclo sull’Italia adottato in occasione della 54° riunione plenaria del GRECO (organo di controllo contro la corruzione) tenutasi a Strasburgo nel 2012. In particolare, nel rapporto si fa menzione del rischio di un ricorso improprio al delitto di concussione nell’ambito di indagini aventi ad oggetto rapporti illeciti tra privati e pubblici agenti, raccomandando pertanto un’analisi preliminare sulla applicazione pratica di siffatto delitto all’esito della quale valutare, se necessario, modifiche volte a chiarire la portata della disposizione.

Alla luce di questo quadro, si deve adesso concentrare l’attenzione sull’assetto a tutela a contrasto del fenomeno corruttivo come configurato prima della riforma.

Anzitutto, vi era sostanziale accordo nel ritenere che il nostro sistema si basava sul paradigma del patto/atto, potendosi poi distinguere tra fattispecie in cui il peso cadeva più sull’atto (corruzione propria)oppure più sul patto (corruzione impropria), con la conseguenza che non assumeva rilevanza la mera violazione di un dovere di venalità e che pertanto, a rigore, non veniva offerta alcuna tutela alla fiducia riposta dai consociati nell’operato del pubblico funzionario e della pubblica amministrazione.

A dire il vero, si potevano intravedere tracce di una tutela della fiducia nell’incriminazione della corruzione susseguente impropria, visto che

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anche là dove si fosse voluto valorizzare l’efficacia motivazionale del patto rispetto alla futura attività del pubblico ufficiale, tale patto, avendo ad oggetto un atto conforme ai doveri di ufficio, non era in grado di creare nel pubblico funzionario un’aspettativa di riconoscenza per la propria attività disfunzionale25. D’altra parte, di

vera e propria tutela della fiducia dei consociati non si poteva parlare in virtù della non punibilità del privato. La corruzione impropria susseguente finiva quindi, volenti o nolenti, per esprimere un disvalore di mera infedeltà del pubblico ufficiale riconducibile più correttamente alla tutela del prestigio della pubblica amministrazione. In secondo luogo, il sistema incriminava la corruzione impropria antecedente e la corruzione propria antecedente, in quest’ultima ipotesi dandosi rilievo anche all’atto non determinato, ma determinabile26.

Il carattere antecedente induceva a una lettura della fattispecie in chiave di tutela del buon andamento e dell’imparzialità della pubblica amministrazione, ma in termini diversi in ordine al grado di offesa, perché, mentre la prima era concepita come messa in pericolo del bene, la seconda invece era punita in virtù del danno funzionale arrecato o comunque del pericolo concreto creato.

Infine, risultavano particolarmente problematiche quattro ipotesi, una in ordine alla sua punibilità, tre rispetto alla loro qualificazione. Sotto il primo profilo, si discuteva della rilevanza o meno dell’accordo

25 Detto diversamente, un pericolo per l’andamento della pubblica amministrazione

si crea quando il patto ha una diretta e immediata efficacia motivazionale, anche se l’atto risulta conforme, e ciò in virtù del legame strumentale tra il patto e l’esercizio della funzione; oppure quando ha un’efficacia motivazionale indiretta per il futuro, ma in quest’ultimo caso la mancanza di una efficacia motivazionale diretta viene compensata dalla contrarietà dell’atto ai doveri d’ufficio, la quale, come visto, crea nel pubblico ufficiale una aspettativa di retribuzione per la futura attività.Al contrario il pericolo svanisce nell’ipotesi in cui all’efficacia motivazionale per il futuro si aggiunge un atto nella sostanza conforme. In tale prospettiva, infatti, essendo connesso a un precedente atto conforme, il patto perde di significatività, mentre nel pubblico ufficiale si crea un’aspettativa di riconoscenza legata al mero esercizio della funzione ovvero in relazione alla funzione, con la conseguenza che l’ipotesi finisce per essere analoga al mero donativo.

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avente ad oggetto un comportamento in cui non si concretizzava l’uso dei poteri funzionali, come nel caso della raccomandazione o dell’influenza esercitata su un altro pubblico ufficiale. La giurisprudenza prevalente si era espressa nel senso della atipicità di tale accordo27, ma non erano mancate pronunce volte ad estendere

l’oggetto del patto anche ad un’attività di influenza esercitata in “occasione” dell’ufficio28.

Sotto il profilo della qualificazione, nel completo silenzio del legislatore, attraverso un’operazione ermeneutica estensiva, anzitutto veniva attribuita rilevanza all’ipotesi della corruzione per la funzione. Sul punto si deve precisare che spesso tale ipotesi veniva confusa con quella consistente nella vendita dell’intera funzione, ma si trattava di ipotesi molto diverse, perché mentre in quest’ultima l’oggetto del patto è la stessa funzione, la quale viene interamente asservita agli interessi del privato (si pensi all’ipotesi in cui il pubblico funzionario si impegni a non effettuare per un intero anno una determinata attività di controllo che invece dovrebbe essere svolta periodicamente), nella prima invece il patto riguarda atti né determinati né determinabili, vale a dire generici favori futuri. In sostanza il pubblico ufficiale più che asservire la funzione agli interessi privati, la mette a disposizione degli stessi ( si pensi all’ipotesi in cui il pubblico ufficiale si impegna a fare tutto il possibile per facilitare l’aggiudicazione di una gara d’appalto).

Ebbene, la giurisprudenza, anche proprio perché a volte risulta difficile di distinguere la corruzione in ragione della funzione dalla corruzione con oggetto la vendita della funzione, riconduceva la prima ipotesi all’interno della corruzione propria:<<la mancata individuazione in concreto del singolo atto oggetto di corruzione non esclude il reato qualora si accerti che la dazione del denaro fu

27 Cass.,Sez.VI,8 marzo 2012-4 ottobre 2012

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