Sommario: 1 L’evoluzione della produzione normativa internazionale: tra l’individuazione dei beni giuridici da
2. La cornice internazionale.
Si è affermato in dottrina che, dal 1975, “sono intervenute per disciplinate la corruzione, da punti di vista diversi ma non sempre necessariamente complementari ed omogenei, tutte le istituzioni internazionali dotate di competenze normative o para-normative in materia economica. Nell’ordine, hanno profuso il loro impegno: le Nazioni Unite (ONU), l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo in Europa (OCSE), la Camera del commercio internazionale, le Comunità europee prima e l’Unione europea (UE) poi, il Consiglio d’Europa (CDE), la Banca mondiale, il Fondo monetario internazionale (FMI), l’Organizzazione mondiale del Commercio (OMC). Imprecisabile rimane il numero di raccomandazioni, dichiarazioni, risoluzioni, posizioni comuni, rapporti adottati in materia”41.
41 C.f.r S.Manacorda, La corruzione internazionale del pubblico agente, NAPOLI,
Come si intuisce dall’estratto appena riportato, il complesso delle fonti sovranazionali in materia di corruzione è vasto ed articolato. Molteplici sono le ragioni che hanno indotto la Comunità internazionale ad occuparsi del problema: dalla volontà di tutelare il mercato globale e la concorrenza, alla necessità di proteggere le fondamenta stesse dello Stato di diritto.
Analizzando le Convenzioni internazionali che l’Italia ha ratificato, un dato deve essere sottolineato: le fonti pattizie quasi nulla dispongono in ordine al reato di concussione, costituendo quest’ultima fattispecie delittuosa una peculiarità del sistema penale italiano.
Ciononostante, numerose istituzioni internazionali da tempo avevano espresso insistenti preoccupazioni in relazione al pericolo che, attraverso lo scudo offerto dal delitto di concussione, il privato riuscisse ad eludere la punibilità, sostenendo di essere stato “indotto” alla dazione dalla condotta abusiva del pubblico agente.
A tal proposito, interessante notare che già nella Convenzione OCSE “
sulla lotta alla corruzione dei pubblici stranieri nelle transazioni commerciali internazionali”, firmata a Parigi il 17 dicembre 1997,
affrontava, in modo “indiretto”, il problema afferente al trattamento da riservare al privato che alleghi di aver effettuato il pagamento a causa di una condotta costrittiva del pubblico ufficiale.
Limitando l’analisi di tale questione in un commento alla Convenzione, riducendone in questo modo la natura vincolante, al paragrafo 8 si negava che la responsabilità penale del corruttore potesse essere esclusa “adducendo la necessità del pagamento al fine
di ottenere o conservare un affare o un altro vantaggio indebito”.
La convenzione OCSE imponeva e impone di punire chiunque offra, prometta o dia un vantaggio indebito a un funzionario pubblico straniero allo scopo di conseguire un illecito vantaggio
Successivamente, il Working Group on Bribery (WGB)42, istituito
presso l’OCSE, nel suo rapporto aveva invitato il nostro paese “ a
modificare senza indugio la sua legislazione, escludendo la configurabilità della concussione come possibile esimente per la corruzione internazionale”.
La posizione dell’Ocse è relativamente semplice. Nell’ordinamento italiano esiste il reato di concussione in base al quale il corruttore, cioè colui che ha pagato la tangente, è considerato vittima di chi ha esercitato la violenza (il corrotto). Questo schema ha una sua logica in un ambito “meramente domestico”: lo Stato vuole mandare un segnale forte sulle politiche pubbliche, quello dell’integrità dei suoi funzionari. Tant’è che il reato è stato molto usato durante la stagione di Mani pulite e ha avuto un’elaborazione giurisprudenziale nella cosiddetta “concussione ambientale”. Trasferito in ambito internazionale – quello che interessa l’Ocse – questo schema diventa un problema perché davanti ai tribunali italiani abbiamo chi dice “sì, in Nigeria ho pagato una mazzetta al ministro o al funzionario tal dei tali, ma sono stato concusso”. Il Tribunale esonera il corruttore dalla responsabilità e il corrotto non viene perseguito perché i Tribunali italiani non hanno giurisdizione. Quindi, se in un’ottica puramente italiana c’è almeno l’alternativa (o si punisce il corrotto o il corruttore) nella corruzione internazionale quest’alternativa non c’è. Perciò il gruppo di lavoro sostiene che nell’ambito della corruzione internazionale si debba eliminare questo caso.
Insomma: l’imprenditore che secondo la consolidata giurisprudenza italiana formatasi sino al 2012 sarebbe stato considerato concusso, perché ‘indotto’ a pagare in forza di prassi costanti nei rapporti tra imprese e pubblica amministrazione, per la convenzione OCSE deve
42 Attualmente gli Stati membri sono 39. Il WGB si riunisce a Parigi, quattro volte
all'anno, in M. MONTANARI, La normativa italiana in materia di corruzione al
invece essere punito in quanto corruttore, così come il pubblico ufficiale che riceva la promessa o la dazione. E ciò in quanto la sua condotta finisce per alimentare la sopravvivenza di un sistema di reciproche connivenze tra imprese e pubblica autorità, in forza del quale l’imprenditore paga il pubblico agente, ricavandone però in cambio il beneficio di una lucrosa commessa con correlativo pregiudizio ai competitors più onesti, o semplicemente provvisti di minori ‘entrature’ presso le controparti pubbliche. Una simile situazione è gravemente lesiva della libera concorrenza tra le imprese, che è l’interesse più importante, dal punto di vista macroeconomico, tra quelli oggi tutelati dalla normativa anticorruzione.
In termini sostanzialmente analoghi si era pronunciato il GRECO (Group d’Estat Contre la Corruption) nel rapporto adottato a Strasburgo il 23 marzo 2012, ove si affermava al punto 108: “ il
potenziale rischio di un uso improprio del reato di concussione come meccanismo di difesa da parte di privati cittadini che commettono la corruzione nell’ambito delle transazioni commerciali internazionali è stato evidenziato come fonte di preoccupazione di parte del gruppo di lavoro dell’OCSE”.
Il motivo di queste raccomandazioni, lo troviamo nell’inettidudine del nostro codice penale, il quale al suo interno definisce una fattispecie autonoma di reato, la concussione, che in alcuni casi potrebbe essere oggetto di uso improprio da parte dei corruttori al fine di evitare il processo.
La concussione si verifica quando un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio, costringe o induce un individuo a dare indebitamente a se stesso/a o ad un terzo, denaro o altre utilità.
In questo caso, mentre il pubblico ufficiale è colpevole di concussione, l’individuo viene considerato una vittima. Un pubblico ufficiale che viene giudicato colpevole di concussione può essere
punito con sanzioni più severe di quelle previste per la corruzione e gli può essere irrogata una pena della reclusione da 6 a 12 anni;inoltre, il termine assoluto per la conclusione di un'indagine per concussione è più lungo,vale a dire 16 anni, rispetto a quello previsto per reati di corruzione. La distinzione tra concussione e corruzione ha scatenato un certo dibattito giudiziario, dal momento che le differenze tra questi due reati possono essere difficili da delineare nella pratica. Inoltre, al GET è stato detto che, a seguito dell’ultima riforma del codice penale in relazione ai reati contro la pubblica amministrazione, è stato introdotto il reato di "istigazione alla corruzione" portando così ad una maggiore polemica giurisprudenziale e terminologica. Quest’ultimo reato si verifica quando qualcuno offre o promette denaro o altre utilità ad un pubblico ufficiale e quest'ultimo non accetta l'offerta o la promessa che gli è stata indebitamente fatta. Al GET è stato riportato che la linea di demarcazione tra la concussione e l’istigazione alla corruzione può essere difficile da delineare nella pratica; questo è illustrato anche dalla vasta giurisprudenza della Corte di Cassazione di questi ultimi anni per differenziare queste due forme di corruzione. Inoltre, l'interpretazione dei reati di cui sopra è stata ulteriormente complicata dalla nozione di concussione ambientale, così come sviluppata dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, che si ritiene si verifichi quando un individuo è in un ambiente che lo/la porta a credere che ella/ egli deve dare a un pubblico ufficiale un vantaggio, o per evitare un pregiudizio o per ottenere qualcosa a cui ella/ egli ha diritto.
Le autorità hanno indicato che il reato di concussione potrebbe rivelarsi un valido strumento per perseguire casi di corruzione. A questo proposito, svariati interlocutori hanno detto che i pm preferirebbero fare processi in casi di concussione, piuttosto che casi riguardanti altre forme di corruzione, in quanto può essere più facile
da dimostrare (è più facile indurre l'individuo che corrompe un pubblico ufficiale a testimoniare), e anche in virtù del fatto che il periodo di prescrizione previsto dalla legge è considerevolmente più lungo di quello previsto per i reati di corruzione. Alcuni hanno anche evidenziato che, durante la fase pre-processuale o processuale, il reato di concussione è stato spesso utilizzato dagli avvocati difensori di coloro accusati di aver offerto tangenti per sostenere che i loro clienti sono stati costretti dai funzionari pubblici a commettere un atto di corruzione, o sono stai indotti da un contesto generalizzato di malcostume, al fine di declinare ogni responsabilità.
Ogni volta che si verifica la concussione, il privato (l'individuo indotto o costretto a corrompere) è una vittima, non un reo, anche se egli /ella ottiene un guadagno dall’indebito vantaggio. Il GET ritiene che vi sia il pericolo che la disposizione potrebbe portare a risultati irragionevoli, in quanto colui che offre la tangente , ha il diritto insindacabile di essere esentato dalla sanzione. Il potenziale rischio di uso improprio del reato di concussione come meccanismo di difesa (un modo di rinunciare alla responsabilità) da parte di privati cittadini che commettono la corruzione nell’ambito delle transazioni commerciali internazionali è stato ripetutamente evidenziato come fonte di preoccupazione da parte del gruppo di lavoro dell'OCSE sulla corruzione nelle transazioni commerciali internazionali attraverso le valutazioni periodiche d'Italia.
In considerazione delle preoccupazioni sollevate nei paragrafi precedenti, il GET raccomanda di “esaminare in modo approfondito
la pratica applicazione del reato di concussione, come stabilito dall'articolo 317 del Codice penale, al fine di accertare il suo eventuale uso improprio nelle indagini e nell’azione penale nei casi di
corruzione; alla luce di tale esame, di adottare misure concrete per rivedere e chiarire la portata del reato, se necessario”.
Alla luce di queste raccomandazioni, il governo italiano avrebbe potuto continuare a fare orecchie da mercante di fronte a queste sollecitazioni internazionali, come stava facendo da più di un decennio.
Ma si sarebbe trattato dell’ennesima figuraccia del nostro paese, perché la Convenzione OCSE è stata regolarmente sottoscritta e ratificata dall’Italia, e deve essere dunque considerata come una precisa fonte di obblighi per il nostro legislatore, sul piano internazionale così come su quello interno, in forza del mai troppo richiamato art. 117 comma 1 Cost.
Come è noto, la strada prescelta dal governo, e avallata alla fine dalla larghissima maggioranza che ha votato in parlamento la riforma, fu alla fine un’altra.
L’idea fu quella di conservare all’interno del sistema la fattispecie tutta italiana di concussione, e di restare ancorati così alla nostra tradizione giuridica che individua un diverso ‘tipo’ criminologico alla base dell’estorsione e della concussione; ma di rispondere al contempo alle pressioni internazionali, fondate su precisi e ineludibili obblighi pattizi volontariamente assunti dal nostro paese, scorporando dall’alveo dell’art 317 c.p le condotte non riconducibili al paradigma ‘forte’ della costrizione, per inquadrarle invece sotto una nuova figura di reato, rubricata “induzione indebita a dare o promettere utilità”. Una figura di reato che prevede a questo punto senza equivoci la punibilità anche del privato, sia pure con un quadro sanzionatorio assai più mite di quello destinasto a colpire il pubblico agente.
La ratio sottesa al nuovo art.319 quater comma 2 c.p. è, insomma, che il privato che, senza essere da questi costretto con violenza o minaccia, paga il pubblico ufficiale o gli arreca comunque un’indebita
utilità - normalmente per ottenere un correlativo ingiustificato beneficio in pregiudizio di terzi, o comunque rendendosi in tal modo corresponsabile di una distorsione dell’imparzialità e del buon funzionamento dell’amministrazione pubblica - debba essere anch’egli punito; ma, nella misura la sua scelta non sia stata completamente libera, e sia stata piuttosto indotta da un comportamento abusivo del pubblico agente, egli meriterà comunque un trattamento sanzionatorio più favorevole rispetto a quello cui deve soggiacere il pubblico agente, nonché rispetto a quello cui dovrà soggiacere un comune corruttore. La scelta del legislatore propone invero all’interprete quesiti di non facile soluzione sotto il profilo dell’individuazione di affidabili criteri distintivi tra le due ipotesi “spacchettate” in precedenza riconducibili alla vecchia concussione, nonché tra queste due nuove ipotesi e le contigue fattispecie di corruzione; quesiti tutti con i quali la dottrina e la giurisprudenza già si stanno intensamente confrontando.
Ma non credo che si possa negare alla soluzione una sua intrinseca razionalità, nei termini appena illustrati; né che si possa porre in discussione la congruità della soluzione rispetto all’obiettivo che necessariamente il legislatore doveva perseguire, a fronte dei propri obblighi internazionali, che era quello di assicurare in ogni caso la punibilità del privato che paga indebitamente il pubblico agente senza essere da lui costretto mediante violenza o minaccia.