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Concussione ed estorsione: nel codice Zanardelli.

Sommario: 1 L’evoluzione della produzione normativa internazionale: tra l’individuazione dei beni giuridici da

3. Concussione ed estorsione: nel codice Zanardelli.

Il delitto di concussione nasce dalla specializzazione dell’estorsione, in virtù della provenienza della minaccia dal pubblico agente, e non dalla specializzazione della corruzione. Francesco Carrara, nel paragrafo 2566 del Programma, iniziando a parlare della concussione, dice che, nel suo “concetto generale”, essa sarebbe propriamente «il

delitto di tutti coloro che adoperano la violenza contro altri per estorcere denaro»43. Il Maestro toscano, dopo tale rilievo, ne

alleggerisce la portata, elaborando una più ristretta interpretazione della concussione, come delitto proprio di coloro che «estorcono un lucro da altri metus publicae potestatis», mentre, se il lucro indebito è ottenuto minacciando soltanto «l’uso della forza privata», si ha l’“estorsione” o il “furto violento”.44 Il “concetto”, però, della

concussione e dell’estorsione è il medesimo: «spoglio del patrimonio altrui mediante incussione di timore». Il passaggio dal delitto “privato” al delitto “sociale” avviene quando «il timore si fa derivare da forza pubblica e non da forza privata». Nel primo caso la considerazione normativa si concentra sul “mezzo adoperato”, costituito da una violenza che si avvale del mezzo pubblico, sì che il bene tutelato diventa la «giustizia pubblica a cui tutti i cittadini hanno diritto»45.

La concussione, afferma conclusivamente Carrara, in conformità alla tradizione, è la specializzazione dell’estorsione; delitto ben diverso e distante dalla corruzione, cui è somigliante soltanto per il fatto che in entrambi i delitti il lucro è versato dal privato all’agente pubblico in relazione allo svolgimento delle pubbliche funzioni.

In definitiva: è concussore colui che «aliquo officio, munere, ministerio quis fungitur, potestate sua abutatur, ea jubens, quae pro potestate exequi valet, et is, cui haec imperantur, aliquid det, ut imperium, et metum ejus periculi effugat »46. La concussione è il

delitto di chi abusa del potere, comandando o vietando qualcosa in

43 F.Carrara, programma del corso di diritto criminale, Parte Speciale, V, LUCCA,

1881

44 F.Carrara, programma del corso di diritto criminale, Parte Speciale, V, LUCCA,

1881

45 Ibidem

46 Ronco M.,L’amputazione della concussione e il nuovo delitto di induzione

modo contrario al diritto e pretendendo un lucro dal privato sottoposto al timore di dover soggiacere all’ingiustizia. La concussione, dunque, è un’estorsione qualificata dall’abuso del pubblico potere. La sua essenza sta nella minaccia di un danno ingiusto, come nel delitto di estorsione. Questo concetto è stato ripreso dai codici moderni. Il Codice francese del 1810 all’art. 174 (tradotto in italiano per il Codice dei delitti e delle pene nel Regno d’Italia, 1811) contempla, sotto il titolo “Delle Concussioni commesse da pubblici Funzionari”, il fatto dei funzionari pubblici che ordinano di esigere, o esigono o ricevono ciò che sanno non essere loro dovuto, onde richiedono qualcosa in eccesso a ciò che è dovuto per diritti, tasse, contribuzioni, interessi o redditi, o per salari o stipendi47. Il Bayerisches Strafgesetzbuch del

1813 contempla all’art. 358, sotto il titolo Erpressung im Amt , il fatto di chi «... durch Bedrohung mit der Amtsgewalt irgend einen unerlaubten Privatvortheil zu erpressen sucht ». Si tratta, in entrambi i casi, di atti vessatori ed estorsivi ai danni dei privati. Il Codice penale per gli Stati del Re di Sardegna del 1839, pur rifacendosi in larga parte al codice francese, introduce una novità, distinguendo tra concussione semplice e concussione estorsiva48.

Invero, mentre all’art. 290 punisce la concussione semplice, consistente nel fatto di ricevere o esigere dolosamente quanto non è dovuto o di eccedere nell’esigere «il dovuto per diritti, per tasse, contribuzioni, rendite, mercede o per stipendio», all’art. 291 co. I, prevede la circostanza aggravante di chi abbia commesso l’esazione indebita «con minacce od abuso di potere» e, all’art. 291, co. 2, la circostanza di aver accompagnato l’azione con «attentato all’altrui libertà».

Ancora più preciso, il Codice per il Regno delle Due Sicilie del 1819 che, all’art. 196, punisce la concussione semplice, consistente nel fatto

47 Codice dei delitti e delle pene del Regno d’Italia, MILANO,1810 48 Codice penale per gli stati di S.M il re di Sardegna, TORINO,1839

dell’agente pubblico che esige, per privato profitto, un tributo che «la legge non permette» o «più di quello che la legge permette» e all’art. 197 prevede una pena più severa: [...] «la indebita esazione mentovata nell’articolo precedente si trasforma in estorsione, facendosi uso di minaccia o di abuso di potere». Del tutto separate sono le fattispecie di corruzione, previste agli artt. da 200 a 204.

Le stesse distinzioni valgono per il Regolamento Gregoriano sui delitti e sulle pene del 20 settembre 1832 e per il Codice Sardo–italiano del 1859 (artt. 215 e 216)49.

Dunque, nella tradizione giuridica riveniente dal diritto comune, trasfusa nei codici penali della prima metà del secolo XIX, sia italiani che francesi o germanici, la concussione appartiene al genus delle estorsioni patrimoniali, specializzata soltanto dal carattere pubblico della forza dispiegata dall’autore per estorcere il denaro o la diversa utilità. Nessuna confusione è ammissibile con la famiglia delle corruzioni, in cui si consuma un’offesa pubblica diretta contro la giustizia che il giudice o il pubblico funzionario hanno il dovere di esercitare in modo equanime e senza venalità alcuna.

Una ragguardevole novità, che spiegherà in parte lo sviluppo successivo, è introdotta dal Codice penale toscano del 1853 agli artt. 181 e 18250, sul cui impianto si sarebbe modellato il Codice Zanardelli

del 1889.

I grandi giuristi toscani, alla cui Scuola si alimentò Francesco Carrara, seguendo una via autonoma rispetto al Code Napoléon, colmarono, con sapiente spirito giuridico, la lacuna relativa a un fatto pure meritevole di punizione — la costrizione mediante inganno — sul rilievo che si può delinquere estorcendo denaro tanto vi quanto fraude: in altri termini, il pubblico agente può strappare il denaro al privato sia con la violenza che con la frode. Il nucleo di disvalore è il medesimo,

49 Codice penale per gli Stati di S.M il re di Sardegna, TORINO, 1859 50 Il codice penale per il Regno d’Italia, TORINO, 1889

anche se l’inganno, apparendo un po meno rilevante della violenza, può meritare una pena più lieve. Su questo rilievo i maestri toscani sdoppiano il delitto di concussione: all’art. 181 concussione per costrizione e all’art. 182 concussione per induzione, articolata in due forme distinte, per inganno ovvero per approfittamento dell’errore altrui. Il termine di costrizione, secondo i compilatori, implica l’uso della violenza in colui che costringe di fronte a colui che è costretto. La violenza può essere fisica o morale. L’inciso “indebitamente”, con cui la norma qualifica la somministrazione del denaro o dell’utilità al pubblico ufficiale che costringe, serve a precisare che l’abuso «si spinge ad esigere ciò che al pubblico ufficiale non è per disposizione di legge dovuto»51. Il delitto di cui all’art. 182 del Codice è alternativo

rispetto alla concussione per costrizione. La disposizione utilizza per la prima volta il verbo generico “indurre”, ma il significato è “circonvenire”, come precisa il commento all’articolo, secondo cui: «L’abuso doloso dell’autorità deve consistere nel circonvenire i terzi, asserendo e dando loro a credere che fosse dovuto ciò che veniva pagato e che realmente dovuto non era, o dovuto in minor valore».52

Indurre, dunque, equivale a farsi dare denaro o altra utilità non dovuta con l’inganno oppure approfittando dell’errore in cui il privato versa. L’introduzione del verbo indurre avrebbe avuto, con il trascorrere del tempo e con lo smarrirsi delle radici, portata dirompente. Il Codice Zanardelli contempla due fattispecie concussorie, che differiscono sia per la diversità di condotta che per il trattamento sanzionatorio. L’art. 169 punisce la condotta del pubblico ufficiale che costringe taluno a dare o promettere indebitamente, a sé o a un terzo, danaro o altra utilità; l’art. 170 punisce, al co. I, il pubblico ufficiale che, abusando del suo ufficio, induce alcuno a dare o promettere indebitamente a sé o

51 Codice Penale Toscano illustrato , cit., III, commento all’art. 181, 417. 52 Ibidem, 149.

a un terzo danaro o altra utilità e, al co. 2, il pubblico ufficiale che si arricchisce approfittando dell’errore del privato. La pena prevista per il primo delitto è più severa (reclusione da tre a dieci anni) rispetto a quella prevista per il secondo (reclusione da uno a cinque anni). Illuminante è la massima che segue, desunta da una sentenza del 3 aprile 1916: «Nel delitto di concussione, se il pubblico ufficiale abbia usato coazione per costringere il privato a pagare ciò che non è dovuto, ricorre l’ipotesi dell’art. 169; se lo abbia indotto in errore ricorre l’ipotesi della prima parte dell’art. 170; e se ha soltanto approfittato dell’errore in cui il privato è caduto da sé, ricorre l’ipotesi del co. 2, della concussione negativa»53. Dottrina e giurisprudenza non

muovono alcuna contestazione a tale concettualizzazione, che Carrara, presentandosi come una sorta di ponte scientifico dal codice Toscano al codice del Regno d’Italia, compendia nella distinzione tra concussione esplicita e concussione implicita. Invero, il pubblico ufficiale «può estorcere denaro dal privato, o palesemente minacciando di abusare dei suoi poteri se non gli si dà denaro: o occultamente ingannando il privato con dargli a credere che denaro sia veramente dovuto. Di qui nasce la suddivisione della concussione in implicita ed esplicita. È implicita se l’ufficiale dà a credere al privato che gl’incomba un pagamento che non è dovuto». In entrambi i casi di concussione il privato «è immune da responsabilità penale, e figura soltanto nel reato come soggetto passivo, a differenza del corruttore che se ne rende partecipe. Ne va immune nella concussione esplicita, benché sappia di pagare ingiustamente, perché lo scusa il timore; ne va immune nella concussione implicita, perché lo scusa l’errore»54.

53 Cass. Roma, 16 aprile 1916, in Foro it., 1916, II, 283.

54 F. CARRARA , Programma del corso di diritto criminale. Parte speciale , cit., §

2572, 152; in M. RONCO, L’amputazione della concussione e il nuovo delitto di induzione indebita: le aporie di una riforma in AP gennaio–aprile 2013, fascicolo1, anno LXV, pag. 35–50.

La concussione nasce, quindi, «come fattispecie a selettività spiccatamente secondaria», nel senso ch’essa era chiamata a qualificare fatti già collocati di qua dalla soglia del penalmente rilevante: «in pratica specializzava una tutela già data sul piano “comune” (rispettivamente dell’estorsione e della truffa) e “rivisitata” nel peculiare contesto del rapporto tra autorità e individuo».

Quanto alla concussione per costrizione, la sua specialità rispetto all’estorsione emergeva dal rilievo che l’abuso della qualità o delle funzioni sostituivano per equivalente modale la violenza o la minaccia, ma dovevano proprio per tale ragione assumere la stessa capacità cogente, e lasciar quindi trasparire la prospettazione di un male futuro, il cui concretarsi dipendeva dall’agente pubblico ed era idoneo a suscitare il metus publicae potestatis. Nella concussione per induzione, speciale rispetto alla truffa, la condotta di abuso, consistente nel suggerire alla vittima una falsa rappresentazione che le si impone per il crisma dell’autorità, surrogava gli artifizi ed i raggiri. In sostanza, nella concussione per costrizione il privato non può resistere, perché gravato dal peso della violenza o della minaccia, in quella per induzione non sa resistere, perché tratto in inganno. Da qui la deriva ermeneutica subìta poi dalla concussione per induzione, trasformata dalla giurisprudenza in una fattispecie a selettività primaria, destinata cioè a tracciare, per la prima volta dal punto di vista logico e sistematico, la linea di confine tra il lecito e l’illecito. Il risultato è stato raggiunto lungo tre direttrici, distinte ma convergenti: «una prima direttrice assume che nella concussione l’abuso della qualità debba svolgere una preminente importanza prevaricatrice che “costringe” il soggetto passivo ad una prestazione ch’egli sa non dovuta; mentre nella truffa aggravata la qualità pubblica dell’agente concorre in via accessoria a convincere il privato ad una prestazione ch’egli crede dovuta. Una seconda direttrice concepisce

l’induzione come una sorta di forma minore o larvata di costrizione; come un modo subdolo di costringere, al quale resta del tutto estraneo l’inganno, e che anzi non è vincolato a forme predeterminate e tassative, perché, in definitiva, ciò che conta è la sua idoneità a “influenzare” la volontà, anche solo col mero sintomatico atteggiamento sull’opportunità di provvedere alla dazione. Lungo questa china anche la sola richiesta può assumere, in determinate circostanze, efficacia induttiva. Infine, una terza direttrice procede ad un interscambio tra induzione e costrizione, per cui nella truffa il timore del danno è provocato dall’induzione in errore del soggetto passivo; nella concussione, invece, tale timore è causato dalle minacce del pubblico ufficiale. La fumosa dimensione tipica assunta dalla concussione per induzione finiva non solo col determinare una “convivenza” fortemente asimmetrica con la forma per costrizione, ma, soprattutto, col rendere precario ed incerto il confine applicativo rispetto alla corruzione, tanto più dopo che la riforma del 1990 stabilì la punibilità dell’istigazione alla corruzione da parte dell’agente pubblico che sollecitasse una dazione (o una promessa) per finalità corruttive (art. 322, commi 3° e 4°,c.p.)»55.