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La Riduzione del Rischio e' compito di tutti. I primi dieci anni di Hyogo Framework for Action e le prospettive future.

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INDICE

Introduzione.

Hyogo Framework for Action (HFA) 2005-2015: Building the Resilience of Nations and Communities to Disasters.

1. Valutazioni di Hyogo Framework for Action (HFA1) e prospettive future.

1.1. Progressi e sfide globali. 1.2. Progressi e sfide europee. 1.3. Il post-2015. Verso HFA2.

2. Implementazione di HFA1 in Italia. 2.1.  Risultati ottenuti e sfide future.

2.2. Le priorità della piattaforma italiana per la riduzione del rischio da disastri.

3. Disabilità ed Emergenza. La Giornata Internazionale della riduzione del rischio da disastri 2013.

3.1. Lezioni extraeuropee. 3.2. Lezioni europee.

3.3. Lezioni italiane: il livello nazionale. 3.4. Lezioni italiane: il livello locale. Conclusioni.

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INTRODUZIONE.

Hyogo Framework for Action (HFA) 2005-2015: Building the Resilience of Nations and Communities to Disasters.

Per meglio comprendere il contesto nel quale si inserisce il documento Hyogo Framework for Action (HFA) 2005-2015: Building the Resilience of Nations and Communities to Disasters, riporto un estratto dal workshop svoltosi a Ginevra nel 2008 dal titolo “The role of modern civil protection systems and the new global challenges – From the Hyogo Framework for Action to real time response”1 il quale ha visto la partecipazione dei Sistemi di Protezione Civile europei ed extraeuropei.

Negli ultimi anni, la “protezione civile”, cioè il sistema di reazione ai disastri causati dall’impatto dei rischi naturali o creati dall’uomo, ha subito significativi mutamenti, sia a livello operativo sia in termini di risposta dell’opinione pubblica. Questi mutamenti sono il risultato di un nuovo approccio culturale ai disastri, che sottolinea la responsabilità di governi e popolazioni di fronte alle emergenze, non tanto in termini di una reazione alle stesse, quanto piuttosto in termini di una prevenzione insufficiente e di possibili ritardi nelle operazioni di soccorso.

Analizzando l’evoluzione dei principali sistemi di protezione civile a livello internazionale, si ha la prova di un recente spostamento da un approccio alla protezione civile intesa come “reazione” all’insorgere di un’emergenza verso modelli organizzativi che investono risorse in attività di “previsione” e “prevenzione”.

Questo spostamento è stato principalmente determinato da tre fattori correlati:

1. la maggiore frequenza di fenomeni, sia naturali sia indotti dall’uomo, con conseguenze distruttive,

2. la maggiore consapevolezza che, in molti casi, un approccio preventivo alla crisi, non solo in termini di infrastrutture e di pianificazione, ma soprattutto sotto il profilo dell’organizzazione e delle operazioni svolte per garantire la sicurezza della popolazione, è l’approccio più efficace,

3. la disponibilità di strumenti tecnico-scientifici che consentono di indagare, analizzare e prevedere scenari di rischio attesi con un livello elevato di accuratezza e affidabilità, impensabile ancora fino a pochi anni fa.

Questo mutamento nell’ambito del concetto di “protezione civile” si è verificato contemporaneamente alla crescente complessità delle emergenze affrontate. Queste esigono l’impiego di nuovi mezzi, metodologie, procedure, risorse e know-how per il funzionamento dei sistemi di protezione civile.

È questo il caso delle crisi determinate da incidenti industriali, blackout elettrici, ondate di calore di lunga durata che mettono in pericolo la salute delle persone. In tutti questi nuovi campi di attività e di intervento, i sistemi di protezione civile sono chiamati a elaborare sia nuove metodologie sia nuovi strumenti cognitivi e di intervento.

                                                                                                               

1 Il ruolo dei moderni Sistemi di Protezione Civile e le nuove sfide globali – da Hyogo Framework for Action alla risposta in tempo reale.

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In particolare, i mutamenti climatici stanno modificando le “vecchie” fonti di rischio, introducendone di nuove; di conseguenza, i moderni sistemi di protezione civile hanno dovuto riorganizzare le loro procedure per affrontare i pericoli incombenti.2

Hyogo Framework for Action (HFA) è un documento adottato da 168 Paesi alla Conferenza Mondiale sulla Riduzione dei Rischi di Disastri tenutasi nel gennaio 2005 a Hyogo, Kobe in Giappone. Esso fu poi adottato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite con la Risoluzione 60/195. Il quadro di azioni contenuto nel documento risponde al bisogno di un approccio multi-disciplinare al fine di meglio identificare ed adottare le misure di riduzione del rischio da disastri. Tuttavia il HFA è stato solo il momento che più ha dato impeto al percorso ed al lavoro sulla riduzione del rischio da disastri. Questo lavoro fu avviato nel 1989 dalle Nazioni Unite con l’International Framework for Action for Natural Disaster Reduction, documento più tardi articolato nello Yokohama Strategy for a Safer World: Guidelines for Naturla Disaster Prevention, Preparedness and Mitigation and its Plan of Action del 1994 e nella International Strategy for Disaster Reduction (ISDR) del 1999.3 Quest’ultima tutt’oggi guida e coordina i Paesi firmatari con l’obiettivo di una sostanziale riduzione di perdite dovute ai disastri. Essa ha lo scopo di sviluppare nazioni e comunità resilienti4come condizione essenziale per uno sviluppo sostenibile. United Nations International Strategy for Disaster Reduction (UNISDR) è il segretariato delle Nazioni Unite dedicato alla ISDR. Il sistema ISDR comprende numerose organizzazioni, Stati, organizzazioni governative e non-governative, istituzioni finanziarie, centri scientifici e società civile, i quali lavorano insieme e condividono informazioni (a livello internazionale, regionale5 e nazionale) al fine di ridurre il rischio di disastri. UNISDR serve come punto di riferimento per l’attuazione di HFA.6

L’esame dei progressi ottenuti con il documento Yokohama Strategy identificò le sfide maggiori nell’assicurare azioni più sistematiche per indirizzare i rischi di disastri nel contesto dello sviluppo sostenibile e nello                                                                                                                

2 Workshop "The role of modern civil protection systems and the new global challenges - From the Hyogo framework for action to real time response”, Geneve, 2008.

3 AA.VV., Synthesis Report: Consultations on a Post-2015 Framework on Disaster Risk Reduction (HFA2), United Nations International Strategy for Disaster Reduction, Geneva, 2013, p. 2. 4 “La velocità con cui una comunità (o un sistema ecologico) ritorna al suo stato iniziale, dopo essere stata sottoposta a una perturbazione che l’ha allontanata da quello stato; le alterazioni possono essere causate sia da eventi naturali, sia da attività antropiche. Solitamente, la r. è direttamente proporzionale alla variabilità delle condizioni ambientali e alla frequenza di eventi catastrofici a cui si sono adattati una specie o un insieme di specie. […]”, http://www.treccani.it/enciclopedia/resilienza/, 05/04/2014.

5 Per Regione si intende una vasta area geografica. Africa, Asia, Stati Arabi, Europa, Americhe, Pacifico sono le aree individuate.

6 AA.VV., European Forum for Disaster Risk Reduction, United Nations International Strategy for Disaster Reduction- Regional Office for Europe, Council of Europe Brussels, 2011, p. 6.

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sviluppare la resilienza attraverso l’aumento delle competenze nazionali e locali nel gestire e ridurre il rischio.7

Come un progetto di sviluppo ad ampia portata, il HFA individua tre obiettivi strategici, cinque priorità di azione ed una serie di indicatori per ciascuna priorità. In questa introduzione elencherò gli obiettivi e le priorità in quanto gli indicatori per la valutazione saranno materia dei prossimi capitoli. I tre obiettivi strategici individuati sono:

1. Una più efficace integrazione delle considerazioni sul rischio di disastri nelle politiche di sviluppo sostenibile a tutti i livelli con un’ enfasi particolare sulla prevenzione di disastri, la mitigazione, la preparazione e la riduzione della vulnerabilità.

2. Lo sviluppo e rafforzamento delle istituzioni, dei sistemi e delle competenze a tutti i livelli, in particolare a livello locale il quale possa contribuire allo sviluppo della resilienza.

3. L’inserimento dell’approccio di riduzione del rischio nei programmi di preparazione e risposta all’emergenza, assistenza e ripresa di comunità colpite.

Gli obiettivi rientrano nella più grande finalità di una riduzione sostanziale di perdite causate dai disastri, sia perdite di vite sia perdite sociali, economiche ed ambientali.8

I Paesi hanno preso l’impegno di realizzare queste cinque priorità d’azione, utili per raggiungere i tre obiettivi strategici e linee guida per i loro programmi di riduzione del rischio:

1. Assicurare che la riduzione del rischio di disastri sia una priorità nazionale e locale, con una forte base istituzionale.

2. Identificare, valutare e monitorare i rischi e potenziare i sistemi di allertamento.

3. Usare la conoscenza e l’educazione per sviluppare una cultura di sicurezza e resilienza a tutti i livelli.

4. Ridurre i fattori primari di rischio sociali, economici, ambientali e territoriali.

5. Rafforzare la preparazione per promuovere una risposta efficace a tutti i livelli.9

Gli impegni presi dai Paesi firmatari di HFA, essendo un documento decennale, andranno valutati l’anno prossimo (2015). Tuttavia, sia a livello nazionale che regionale, si sta provvedendo alla redazione di report finali                                                                                                                

7 AA.VV., Hyogo Framework for Action 2005-2015: Building the resilience of nations and communities to disasters, United Nations Office for Disaster Risk Reduction, Kobe, 2005, p. 2. 8 Ivi., pp. 3-4.

9 AA.VV., Implementation of the Hyogo Framework for Action. Summary of reports 2007-2013, United Nations International Strategy for Disaster Reduction, Geneva, 2013, p. 6.

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per individuare progressi e punti deboli e per comprendere meglio quali siano le prospettive future per un post-2015.

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1. VALUTAZIONI DI HYOGO FRAMEWORK FOR ACTION (HFA1) E PROSPETTIVE FUTURE.

La Conferenza Mondiale sulla Riduzione del Rischio di Disastri ha chiesto a UNISDR di creare un sistematico meccanismo di revisione al fine di monitorare i progressi negli obiettivi di HFA. È stato chiesto ad ogni Paese firmatario di inviare report triennali (2007-2009, 2009-2011, 2011-2013) riportando i progressi fatti rispondendo agli indicatori individuati per ogni priorità d’azione. L’insieme dei report triennali sono stati poi raccolti per meglio comprendere quali siano le sfide future.

Bisogna sottolineare che questi sono report di autovalutazione ed in quanto tali sono volontari e soggettivi. Non è stato previsto infatti un monitoraggio esterno o un controllo. Questo sistema ha aperto una discussione sui limiti del metodo. Non tutti i Paesi hanno periodicamente utilizzato lo strumento: solo 146 Paesi (su 168) hanno inviato almeno un report.10 Una importante eccezione sul metodo è rappresentata Regno Unito il quale ha utilizzato la

Peer Review di cui parlerò nella seconda parte di questo capitolo.

Ogni priorità di azione individua alcuni indicatori ed una scala a cinque livelli per valutarli. I livelli vanno dalla quasi assenza di progressi a risultati effettivi a tutti i livelli.

I due paragrafi che seguono riportano in maniera riassuntiva i progressi e le sfide individuati sia a livello globale che a livello europeo.

                                                                                                               

10 AA.VV., Implementing the Hyogo Framework for Action in Europe Regional Synthesis Report 2011-2013, Council of Europe, European Commission, United Nations International Strategy for Disaster Reduction, European Forum for Disaster Risk Reduction, Brussels, 2013, pp. 3-4.

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Priorità d’azione Indicatori

6. Assicurare che la riduzione del rischio di

disastri sia una priorità nazionale e locale, con una forte base istituzionale.

a. Esistono una politica nazionale ed un quadro normativo

per la riduzione del rischio di disastri che prevedono responsabilità decentralizzate e competenze a tutti i livelli.

b. Sono disponibili risorse dedicate ed adeguate per

realizzare le attività di riduzione del rischio di disastri a tutti i livelli amministrativi.

c. La partecipazione delle comunità locali e la

decentralizzazione sono assicurate da autorità incaricate ai livelli locali.

d. Esiste e funziona una piattaforma nazione multi-settore

per la riduzione dei rischi di disastri.

7. Identificare, valutare e monitorare i

rischi e potenziare i sistemi di allertamento.

a. Sono disponibili una politica nazionale e le valutazioni

locali di rischio basate su dati di rischio e vulnerabilità ed includono valutazioni di rischio per ogni settore chiave.

b. Esistono sistemi di monitoraggio, archivio e diffusione

di dati su rischi chiave e vulnerabilità.

c. Esistono sistemi di allerta per tutti i maggiori rischi, con

il coinvolgimento delle comunità.

d. Valutazioni dei rischi sia nazionali che locali prendono

in considerazione i rischi transfrontalieri, con un occhio alla cooperazione regionale sulla riduzione del rischio.

8. Usare la conoscenza e l’educazione per

sviluppare una cultura di sicurezza e resilienza a tutti i livelli.

a. È disponibile l’informazione sui disastri la quale è

accessibile a tutti i livelli, a tutti i soggetti interessati (attraverso la Rete, lo sviluppo di sistemi di condivisione di informazioni, ecc).

b. I percorsi scolastici, materiali educativi e corsi specifici

includono il tema della riduzione dei rischi di disastri ed inoltre teoria e pratica di assistenza.

c. Sono sviluppati metodi di ricerca e strumenti per le

valutazioni multi-rischio e per le analisi costi-benefici.

d. Esiste una strategia di presa di coscienza per la

popolazione al fine di stimolare una cultura della resilienza, con il coinvolgimento delle comunità urbane e rurali.

9. Ridurre i fattori primari di rischio

sociale, economico, ambientale e territoriale.

a. La riduzione del rischio di disastri è un obiettivo incluso

nelle politiche ambientali di sfruttamento del suolo, gestione delle risorse naturali ed adattamento al cambiamento climatico.

b. Politiche di sviluppo sociale sono realizzate al fine di

ridurre la vulnerabilità delle persone più soggette ai rischi.

c. Politiche economiche e produttive sono realizzate per

ridurre la vulnerabilità delle attività economiche.

d. La pianificazione e la gestione degli insediamenti umani

includono elementi di riduzione dei rischi di disastri, ed includono piani regolatori.

e. Misure di riduzione del rischio di disastri sono inserite

nei processi di assistenza post-disastro ed in quello di superamento dell’emergenza.

f. Esistono procedure per la valutazione degli effetti sui

disastri dei maggiori progetti di sviluppo, specialmente nelle infrastrutture.

10. Rafforzare la preparazione per promuovere una risposta efficace a tutti i

livelli.

a. Esistono politiche forti, competenze tecniche e

istituzionali e meccanismi di gestione dei rischi di disastri con una prospettiva di riduzione dei rischi.

b. Esistono piani di emergenza ad ogni livello

amministrativo, regolari esercitazioni per testarli.

c. Fondi economici di riserva sono a disposizione nelle

emergenze per una efficace risposta ed assistenza.

d. Esistono procedure per condividere informazioni

rilevanti durante un’emergenza e per una valutazione post-emergenza.

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1.1. Progressi e sfide globali.

Sebbene la quasi totalità dei Paesi abbia svolto nella sostanza il lavoro di creare politiche per la riduzione del rischio, si evidenzia la difficoltà di tradurre in pratica le politiche nazionali individuate a causa soprattutto della insufficienza di risorse, quindi della quasi mancanza di budget dedicati anche a livello locale e, come riportano l’Italia e il Ghana, la poca volontà e sensibilità da parte della classe politica. Quello della carenza di risorse è una difficoltà ubiqua; nel Summary of Reports messo a disposizione da UNISDR possiamo leggere infatti che ogni priorità d’azione è ostacolata dall’insufficienza di mezzi.11

Per quanto riguarda la partecipazione delle comunità locali si nota la difficoltà nel “fare rete” ossia di coinvolgere tutti gli enti interessati alla riduzione del rischio (come le società dell’acqua, quelle che si occupano di ambiente, associazioni, ecc). Il Sistema italiano di Protezione Civile è consapevole della necessità di un network e per questo risulta essere un esempio da seguire per quanto riguarda il coinvolgimento delle associazioni presenti sul territorio. Anche in questo caso torna il problema delle risorse a livello locale: nonostante si voglia affidare maggiore responsabilità alle autorità locali, esse, che sono le prime a rispondere alle emergenze, non beneficiano di risorse sufficienti.12

Altro aspetto preso in considerazione dai report riguarda la creazione delle piattaforme nazionali di riduzione del rischio. Non risulta molto chiaro però quale sia il mandato di queste piattaforme.13 Per comprendere meglio, riporto un estratto dal sito web del Dipartimento italiano di Protezione Civile:

La piattaforma nazionale è un forum gestito e organizzato a livello nazionale da diversi attori. Serve come punto di contatto e di coordinamento tra i vari livelli - scientifico, politico, sociale, culturale - di gestione del rischio, nel caso in cui sia necessario porre in essere delle iniziative che richiedono il concorso di diversi attori. […]. Inoltre, dovrebbe servire come meccanismo di coordinamento per convogliare la riduzione del rischio nelle politiche di sviluppo. […].

Compiti della piattaforma nazionale

• facilitare la collaborazione e il coordinamento per la sostenibilità delle attività di riduzione del rischio attraverso un processo consultivo e partecipativo;

• favorire un ambiente nel quale sia sottolineata l’importanza della cultura di prevenzione e di consapevolezza;

• facilitare l’integrazione delle attività di riduzione del rischio nelle politiche nazionali di sviluppo così come nei programmi di sviluppo internazionali.

Principi della piattaforma nazionale

                                                                                                               

11 AA.VV., Implementation of the Hyogo Framework for Action, cit., pp. 10-12. 12 Ivi., pp. 12-13.

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La riduzione del rischio è un processo di lungo periodo che, oltre ad essere parte integrante del processo di sviluppo di ciascun paese, è anche una condizione essenziale per assicurare la sostenibilità dello sviluppo socio-economico.

L’efficacia è legata ad una posizione di guida a livello nazionale del processo di riduzione del rischio.

Non è obbligatorio nessun modello di riferimento per costituire la piattaforma nazionale: anzi, le caratteristiche richieste sono la flessibilità e la dinamicità, utili per realizzare i seguenti principi base:

• la riduzione del rischio deve essere intesa come una responsabilità nazionale e trattata in modo interdisciplinare nel contesto dei processi di sviluppo sostenibile; • l’approccio partecipativo deve guidare i lavori della piattaforma, così da facilitare

il coinvolgimento di vari settori, nel quadro delle diverse prospettive e azioni; • i lavori della piattaforma devono dare il via a cambiamenti positivi per mezzo di

sforzi concertati e coordinati nei processi di decision-making;

• la piattaforma deve dare slancio e rilievo all’implementazione degli Hyogo Framework for Action. […]

La piattaforma ha una composizione di tipo

• politico: assicura un impegno politico che deriva dalle alte sfere della leadership nazionale;

• tecnico: implica varie attività quali lo sviluppo delle basi della riduzione del rischio, un contesto metodologico per la piattaforma nazionale e gli indicatori per la riduzione del rischio;

• partecipativa: comprende apparati governativi, il settore privato, le ONG e le istituzioni accademiche;

• organizzativa delle risorse: reperisce risorse necessarie alla piattaforma per portare avanti gli obiettivi fissati.14

Due termini dunque per riassumere l’essenza della piattaforma nazionale: il primo è “advocacy”, la piattaforma infatti ha il compito primario di influenzare l’agenda delle priorità nazionali e le decisioni politiche proponendo il tema della riduzione del rischio; il secondo termine è “multi-settore” in quanto la piattaforma deve essere composta da una pluralità di attori appartenenti a vari settori. Emblematico è il contributo dell’Indonesia la quale ha riportato nel 2011 dell’esistenza di una sua piattaforma nazionale che però è poco influente. Essa infatti opera senza un piano di lavoro e senza un budget; le risorse provengono da privati i quali contribuiscono esclusivamente in occasione di eventi per avere visibilità.

                                                                                                               

14 Dossier Hyogo Framework for Action (2005-2015),

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Una delle sfide più serie a livello globale è senz’altro quella della valutazione dei rischi. Si tratta di investire nelle competenze a tutti i livelli ed impiegare le risorse nella valutazione dei rischi lungo tutto il territorio nazionale e non solo in quelle aree che già sono considerate vulnerabili. Lo Hyogo Framework for Action inoltre pone l’attenzione anche sulle valutazioni dei rischi comuni a Paesi confinanti le quali prevedono cooperazione tra essi ed esercitazioni congiunte sebbene spesso le priorità nazionali siano diverse. Le valutazioni sono fondamentali altresì per ottenere dati, informazioni e poi renderli disponibili ai decisori politici. Solo così questi ultimi possono comprendere l’esposizione al rischio di un determinato territorio e procedere a definire le politiche da adottare. Anche le valutazioni hanno bisogno di ingenti risorse economiche. Per esempio nei Paesi in via di sviluppo i programmi di riduzione del rischio dipendono dalle risorse derivanti da altri Paesi donatori, così la riduzione del rischio è sempre realizzata attraverso programmi a breve termine difficili da istituzionalizzare e sostenere. Molti Paesi poi hanno riportato che i progressi nella raccolta e diffusione dei dati sono diversi da territorio a territorio, per esempio alcune aree sono più avvantaggiate di altre. Come conseguenza di ciò, non si riesce ad identificare una chiara misura del progresso.15

                                                                                                               

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Priorità è inoltre prevedere fondi per sistemi di allerta al passo con i tempi e che soprattutto raggiungano tutta la popolazione nel momento dell’emergenza. Il Botswana ad esempio ha sperimentato un sistema di notifica il quale usa tutte le forme di comunicazione di massa compresi i telefoni cellulari.16 Si sta diffondendo il tutto il mondo anche l’uso di applicazioni web e nuove tecnologie non solo per allertare la popolazione ma anche per diffondere una cultura di prevenzione. Tutti sono concordi nell’evidenziare la necessità di un lavoro radicato che punti alla conoscenza e all’informazione che raggiunga tutti soprattutto nelle zone ad alto rischio. Il Timor Est, nel Sud-Est asiatico, ha sottolineato che le competenze tecniche e le risorse finanziarie sono limitate per tenere in piedi un sistema online di gestione delle informazioni, e che essi rappresentano ostacoli insieme al basso tasso di alfabetismo. La necessità di una cultura della prevenzione deve passare in primis dalla scuola. Tuttavia non tutti i Paesi prevedono questo tipo di insegnamento nel percorso di educazione formale, spesso infatti ci si affida alla discrezione dei professori. La Slovenia, la Turchia e l’Uganda rappresentano un’eccezione. Anche l’Australia e la Nuova Zelanda propongono una piattaforma online di apprendimento. Si evidenzia inoltre la difficoltà di far passare il messaggio che la cultura della prevenzione dei rischi debba includere anche i temi della sostenibilità, dello sviluppo, del cambiamento climatico, argomenti molto spesso considerati indipendenti. Quindi la riduzione del rischio di disastri dovrebbe essere obiettivo anche delle politiche ambientali. Sebbene molti Paesi prevedano nel quadro normativo un collegamento tra le tematiche, dichiarano che è sempre più difficile mettere in pratica le politiche in particolare a livello locale. Inoltre bisogna evidenziare che Paesi come il Mozambico dipendono dallo sfruttamento del sottosuolo per sopravvivere e per questo alcune                                                                                                                

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politiche di sostenibilità ambientale sono impraticabili. La Germania e la Moldavia invece hanno incluso progetti di adattamento al cambiamento climatico con normative volte alla sostenibilità ambientale. 17

Lo Hyogo Framework for Action chiede poi ai Paesi firmatari se prevedano misure volte al ridurre la vulnerabilità delle persone maggiormente soggette ai rischi. Come inserire questo tema nelle politiche nazionali? Bisognerebbe includevi anche le tematiche della sicurezza alimentare, della sanità pubblica, della protezione delle strutture pubbliche. Una sostanziale differenza viene sottolineata tra i Paesi sviluppati e non, in quanto questi ultimi non hanno risorse da dedicare alla riduzione delle vulnerabilità. Nel momento dell’emergenza e post-emergenza vulnerabili sono anche le attività economiche. Quello del business continuity è un argomento che necessità di essere approfondito nei prossimi anni in quanto solo pochi Paesi prevedono misure per assicurare la continuità aziendale dopo che un disastro si è verificato. Questi Paesi sono l’Australia, la Bielorussia, il Pakistan, gli Stati Uniti, l’Uruguay i quali prestano maggiore attenzione alle piccole e medie imprese. Il Regno Unito riporta che solo il 52% delle aziende inglesi ha un piano per assicurare la continuità aziendale.18 Il Global Assessment Report on Disaster Risk Reduction del 2013 approfondisce come gli investimenti nella riduzione dei rischi possano ridurre i costi e le battute di arresto derivanti dalle perdite e dagli effetti di disastri. Esso fa luce sull’interdipendenza dei settori pubblico e privato e sul perché la competitività, la sostenibilità e la resilienza dipendono dall’abilità                                                                                                                

17 Ivi., pp. 19-29. 18 Ivi., pp. 30-31.

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dei paesi di gestire il rischio attraverso politiche efficaci.19 Il Global Assessment Report on Disaster Risk Reduction del 2013 è un ottimo strumento che le piattaforme nazionali e regionali possono presentare per sostenere la necessità di investimenti nella riduzione del rischio davanti ai propri governi.

Tuttavia la sfida maggiore, soprattutto per i Paesi in via di sviluppo, è quella di prevedere dei piani regolatori stringenti per la costruzione di edifici sia pubblici che privati. Risultati significanti potranno emergere solo nel lungo periodo, evidenziano i report.20

Parlando poi più specificamente del soccorso in emergenza, molti report sottolineano che, sebbene si stia iniziando a creare un meccanismo di gestione delle emergenze, la grossa difficoltà sta nell’avere a disposizione le risorse adeguate, nella mancanza di esperienza, nel forte turnover degli staff. L’esperienza deriva anche, ma non solo, dal prevedere nei piani di emergenza locali le lezioni apprese dal passato, dall’aver svolto una formazione ed esercitazioni appropriate. Tuttavia l’aumento della frequenza e della portata di disastri sia naturali che antropici rappresenta un ostacolo in quanto i Paesi sostengono di essere troppo occupati a rispondere alle emergenze in atto piuttosto che pensare a piani di emergenza o ad esercitazioni. Durante un evento in atto poi c’è la difficoltà di reperire risorse economiche necessarie per la risposta immediata, per l’assistenza rapida e per ristabilire il prima possibile la quotidianità. I Paesi più sviluppati dichiarano di avere potere di spesa durante l’emergenza per far                                                                                                                

19 AA.VV., Global Assessment Report on Disaster Risk Reduction. From Shared Risk to Shared Value: The Business Case for Disaster Risk Reduction, United Nations International Strategy for Disaster Reduction, Imprimerie Nouvelle Gonnet Belley, France, 2013.

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fronte alle necessità contingenti, tuttavia sta diventando sempre più difficile per via dell’aumento del debito pubblico.21

Se dunque alcuni primi passi in avanti a livello globale siano stati fatti come per esempio adottare un approccio multi-rischio, iniziare a riconoscere la questione di genere -di cui parlerò nel secondo paragrafo- come un fattore decisivo per la realizzazione di misure di riduzione dei rischi, considerare la competenza un elemento centrale, prestare più attenzione alle categorie vulnerabili maggiormente esposte al rischio, riconoscere che la partecipazione ed il coinvolgimento della comunità è un fattore importante per la riduzione del rischio, i Paesi riportano un vasto numero di difficoltà da poter superare. Tradurre in attività pratiche ciò che è contenuto nelle politiche nazionali, l’insufficienza di risorse, diffondere i risultati delle valutazione dei rischi, inserire il tema del cambiamento climatico nelle politiche di riduzione del rischio, realizzare equità sociale di sicurezza nei Paesi devastati dalla guerra sono solo alcune degli ostacoli evidenziati a livello globale.22

1.2. Progressi e sfide europee.

Dai dati forniti nel Regional Synthesis Report 2011-2013 ossia il documento che raccoglie le autovalutazioni dei Paesi dell’area europea, posso senza dubbio riconoscere che il nostro territorio mostra un’ampia percentuale di risultati positivi sebbene lamenti l’insufficienza di competenze e soprattutto di risorse economiche. Per area europea si intende un vasto territorio compreso tra l’Islanda e Cipro, tra il Portogallo e l’Armenia, tra la Russia e la Grecia.

                                                                                                               

21 Ivi., pp. 34-37. 22 Ivi., pp. 7-8.

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Dalle autovalutazioni emerge che quasi la totalità dei Paesi prevede una struttura nazionale dedicata alla riduzione del rischio. In questo contesto ci sono due significanti progressi. Il primo è rappresentato dai continui aggiornamenti normativi, riflesso dell’emergere di nuovi rischi (cambiamento climatico, sicurezza nucleare, protezione della biodiversità e delle risorse naturali, ecc). Molti passi in avanti sono stati fatti da Polonia e Repubblica Ceca per esempio. Il secondo progresso invece riguarda le azioni intraprese per coinvolgere una molteplicità di attori al fine di migliorare l’implementazione di azioni volte alla riduzione del rischio. L’ostacolo principale è sempre lo stesso: l’insufficienza di risorse economiche dedicate. Quasi tutti i Paesi sottolineano l’impossibilità di calcolare l’ammontare della spesa per la riduzione del rischio in quanto essa è una voce che rientra nei budget di molte agenzie nazionali e locali. Miglioramenti sono stati fatti nel processo di decentralizzazione e nell’affidamento delle responsabilità (e fondi) ad autorità locali. La Svizzera, la Norvegia e la Romania evidenziano un successo in questo senso. Per quanto riguarda invece la creazione delle piattaforme nazionali, esse faticano a nascere solo in pochi Paesi. Le piattaforme, come ho scritto precedentemente, hanno il principale compito di fare advocacy sul tema della riduzione del rischio. La piattaforma armena sta lavorando con United Nation Development Program (UNDP) al fine di integrare la riduzione del rischio nel piano quadriennale di sviluppo del Paese. L’Italia invece

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evidenzia la difficoltà ad avere all’interno della piattaforma nazionale una adeguata rappresentanza di tutti gli attori coinvolti.23

Circa i sistemi di allerta, tutti i Paesi dell’area europea sono concordi nel dover stare “al passo con i tempi”. Dunque la necessità è di utilizzare nuovi sistemi tecnologici e i nuovi mezzi di comunicazione che, il più delle volte, non prevedono una grossa spesa economica per poterli impiegare, penso per esempio ai social network o ai blog gratuiti. L’Albania sta creando un database per quantificare le perdite dovute alle catastrofi insieme a UNISDR e alla Fondazione di Ricerca CIMA per il monitoraggio ambientale. Anche altri Paesi stanno provvedendo alla nascita di questo tipo di database: Croazia, Francia, Italia, Serbia e Turchia. Il Regno Unito invece utilizza un registro nazionale che viene aggiornato ogni anno: il

National Risk Register valuta la probabilità dei rischi e i potenziali effetti

che potrebbero interessare il Paese, questo per accrescere la consapevolezza e prepararsi. In Italia esistono invece i Centri Funzionali Regionali che forniscono in tempo reale dati attendibili per quanto riguarda rischi prevedibili come esondazioni di fiumi ed alluvioni. Il tema poi della cooperazione transfrontaliera è molto sentito in Europa. SEERISK per esempio è un programma ideato dall’Unione Europea per la gestione congiunta di emergenze nella regione del Danubio; gli altri partner sono l’Austria, la Bosnia ed Erzegovina, la Bulgaria, la Croazia, la Romania, la Serbia, la Slovacchia e la Slovenia. Il Principato di Monaco ha riportato la sua partecipazione nel programma UNESCO per sviluppare un sistema di allerta tsunami per i Paesi del Mediterraneo.24

                                                                                                               

23 AA.VV., Implementing the Hyogo Framework for Action in Europe, cit., pp. 24-28. 24 Ivi., pp. 29-32.

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La diffusione della cultura della prevenzione è riconosciuta da tutti i Paesi come punto fondamentale per la riduzione del rischio. L’informazione deve partire dalle scuole e non sono in tempo di emergenza ma anche nel cosiddetto “periodo di pace”. È ormai noto che l’attenzione dei media e della popolazione sul tema della riduzione del rischio si concentri soprattutto durante l’emergenza e qualche giorno dopo; la sfida è quella di mantenere sempre viva l’attenzione. L’Armenia distribuisce manuali ad insegnanti, la Bulgaria fa campagne di sensibilizzazione, la Georgia riporta l’interessante iniziativa di dedicare un’ora alla settimana al tema della riduzione del rischio unendo la teoria alla pratica cioè prevedendo esercitazioni oltre che la redazione con gli alunni di una mappa dei rischi che interessano la loro scuola. La Croazia invece nota una certa resistenza da parte degli insegnanti in quanto essi dichiarano di dover considerare come prioritari altri argomenti.25

L’Unione Europea ed il suo quadro normativo sulla riduzione del rischio ha giocato un ruolo chiave nell’integrare quest’ultima nelle politiche ambientali. Tre città svedesi su quattro hanno incluso il cambiamento climatico nelle analisi dei rischi. Molti Paesi riportano politiche forti per la protezione dell’ambiente e la gestione delle risorse naturali, tuttavia non riescono ad imporre i nuovi codici sugli edifici esistenti.

                                                                                                               

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La riduzione della vulnerabilità della popolazione più esposta al rischio è strettamente collegata con lo sviluppo del settore finanziario. Poiché anche i paesi più ricchi dedicano le limitate risorse pubbliche allo sviluppo di programmi sociali, i contributi privati sono essenziali per la copertura dei rischi. La Norvegia ha riportato che molte famiglie sono assicurate contro le possibili perdite ed il suo National Perils Pool protegge dalle possibili perdite che non possono essere coperte dall’assicurazione. La Turchia invece fa presente che dal 2000 è disponibile un’ assicurazione per terremoti e dal 2006 una per le attività agricole. Altri Paesi sono consapevoli della necessità di dover assicurare le attività economiche e sviluppare politiche in questo senso, ma l’intenzione non è stata ancora tradotta in azioni pratiche.26

                                                                                                               

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Circa le competenze per la gestione delle emergenze, i Paesi dell’area europea non mostrano particolari difficoltà per quanto riguarda le catastrofi che intervengono solitamente nei loro territori. Il problema sotto questo aspetto è la preparazione su eventi poco familiari. La Repubblica Ceca infatti evidenzia la sua grande esperienza nella gestione di alluvioni, ma ammette di non avere confidenza con altri tipi di rischi. Lo stesso vale per le esercitazioni. Soprattutto a livello locale si svolgono esclusivamente prove di gestione per emergenze che sono solite verificarsi nel territorio.27

I Paesi dell’area europea sanno che per migliorare l’efficacia della riduzione del rischio bisogna implementare un approccio multi-rischio. Esso infatti unisce la conoscenza di tutti i rischi con gli approcci di gestione del rischio, con le strategie, con le valutazioni e le analisi, inoltre i Paesi sanno che i multi-rischio ottimizza i costi. Anche in questo caso però si evidenzia la difficoltà di tradurre la teoria in pratica. Dopo l’incidente nucleare di Fukushima, la Svizzera ha compreso l’importanza dell’interazione tra disastri naturali e tecnologici. La Francia dal 2012 ha realizzato un guida metodologica su come utilizzare l’analisi multi-criteria per prevenire le alluvioni. La sfida è senz’altro portare questo approccio a livello locale.28

Nel primo paragrafo ho accennato alla questione di genere come fattore importante nella riduzione del rischio. Tuttavia solo alcuni Paesi dell’area europea affrontano il tema seriamente. Alcuni pensano che basti aver introdotto una legge sulla parità di genere per affermare di aver pensato alle                                                                                                                

27 Ivi., pp. 38-40. 28 Ivi., pp. 41-42.

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prospettive di genere nella riduzione dei rischi, altri invece ammettono che essa non sia una questione pertinente. La Germania riporta le sue riflessioni sottolineando che le donne giocano un ruolo importante nella riduzione dei disastri non solo perché appartengono alla popolazione più sensibile ma anche per il loro contributo alla creazione della cultura della resilienza.29 C’è molto in letteratura sul ruolo delle donne nel periodo post-emergenza. Le stesse capacità messe in campo dal genere femminile per il superamento dell’emergenza, sono quelle che la comunità e l’ambiente lavorativo può utilizzare per la pianificazione dei rischi e per l’evacuazione dell’edificio. Di solito siamo portati a pensare che quella della gestione dell’emergenza è prettamente un’occupazione maschile. Infatti l’Emergency Management deriva dalla difesa militare e civile, ambito per molti anni riservato esclusivamente all’uomo. I corsi di gestione dell’emergenza non prevedevano frequentanti donne in quanto venivano tenuti principalmente da militari, per militari. Tuttavia oggi il numero delle donne coinvolte nel processo di gestione delle emergenze locali è in crescita. Pensiamo dunque al ruolo che possono assumere le donne nell’ambito dell’evacuazione all’interno dei nostri uffici. Alcuni studiosi sottolineano che i compiti che le donne svolgono in ambito domestico (se pensiamo che le donne continuino ad avere un ruolo primario nella gestione della casa e della famiglia) si richiedono anche per gestire un’emergenza: organizzazione, stimolo, insegnamento, guida, comando, monitoraggio, soluzione ai problemi, informazione.30 Krajeski e Peterson sostengono che le donne hanno un potenziale che va valorizzato in ambito emergenziale; le donne sanno come gestire la famiglia e la loro esperienza le porta ad essere attente alle sensibilità ed ai bisogni della gente ma anche a saper prendere decisioni difficili, saper dire di no e fare il massimo con poche risorse. Sempre Krajeski e Peterson rilevano che la capacità più importante che le donne hanno è la conoscenza della comunità, dell’ambiente che le circonda, della gente; le donne di solito sono le prime a dare il proprio aiuto, sanno dove i materiali si trovano, capiscono quando qualcuno è nel panico.31 Facendo le dovute distinzioni, questi “talenti femminili” possono essere doti indispensabili per un addetto all’emergenza all’interno dell’ambiente lavorativo. Quante sono le donne che hanno scelto di ricoprire questo ruolo? Esse sono consapevoli di avere tali doti? Queste capacità sono valorizzate e riconosciute dal datore di lavoro? Indispensabile, anche                                                                                                                

29 Ivi., pp. 42-43.

30 Wilson J., Professionalization and Gender in Local Emergency Management, in “International Journal of Mass Emergencies and Disasters”, Vol. XVII, n. 1, 1999, pp. 111,113, 116.

31 Krajeski R.L., Peterson K.J., Bus She Is a Woman and This Is a Man’s Job: Lessons for Participatory Research and Participatory Recovery, in “International Journal of Mass Emergencies and Disasters”, Vol. XVII, n. 1, 1999, pp. 123, 125, 126.

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nell’ambito della gestione dell’emergenza, è la collaborazione tra uomini e donne. Nella maggior parte dei casi il collega uomo è fisicamente più forte rispetto alla collega donna e per questo potrebbe occuparsi della evacuazione dei disabili motori, dell’utilizzo dell’estintore in caso di incendio; dall’altra parte la donna potrebbe occuparsi dell’assegnazione dei compiti durante l’evacuazione, oppure potrebbe occuparsi di chiamare i soccorsi e fornire le indicazioni necessarie e complete, o ancora potrebbe pensare all’evacuazione dei disabili cognitivi, dei bambini, degli anziani o degli stranieri. Scrivono Krajeski e Peterson: ‹‹They see possibilities whereas others may see problems or see problems where others may see nothing››, in altre parole le donne vedono possibilità dove gli altri vedono problemi, e vedono problemi dove gli altri non vedono nulla.32

Tornando al metodo di autovalutazione dei report su HFA, il Regno Unito ha rappresentato una novità con l’utilizzo della Peer Review. Il report inglese del 2013 si è avvalso di una politica di condivisione tra pari, è uno strumento che facilita lo scambio di best practices, ha esaminato la performance del Paese valutato (il Regno Unito) all’interno di regole ben strutturate. Questo tipo di valutazione è un processo che aiuta a rafforzare la reciproca conoscenza e fiducia nei risultati basati sullo scambio di esperienze e sulla condivisione di raccomandazioni non vincolanti con il fine di migliorare le politiche. Come si legge nel Peer Review Report del Regno Unito, questa valutazione rappresenta il maggiore contributo al processo HFA. I report dei Paesi sono autovalutazioni soggettive e non validate, mentre il Peer Review inglese rafforza la qualità dell’informazione offrendo una valutazione meticolosa e condivisa sulle strategie nazionali. Il Regno Unito si è offerto volontario come primo Paese a sottoporsi alla valutazione di esperti provenienti da altri stati membri con l’ obiettivo di:

• migliorare l’effettiva implementazione di HFA e i suoi report contribuendo a migliorare le azioni politiche sulla riduzione dei disastri attraverso una valutazione esterna e l’apprendimento reciproco;

• aumentare la coerenza tra le politiche di riduzione del rischio e stimolare la condivisione di buone e nuove pratiche;

• contribuire allo sviluppo e implementazione di iniziative politiche europee che potranno migliorare la realizzazione di HFA tra gli stati membri e i paesi vicini;

• incoraggiare una consapevolezza sempre maggiore tra gli attori coinvolti nel processo di valutazione ed incoraggiare la diffusione dei risultati;

                                                                                                               

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• favorire il dialogo politico in Europa e migliorare la cooperazione tra paesi esposti a rischi comuni.33

La squadra di valutazione era composta da rappresentanti della Finlandia, Italia e Svezia, di UNISDR, della Commissione Europea e dell’Organizzazione per la cooperazione e sviluppo economico OECD. Essi hanno intervistato circa 90 persone incluso rappresentanti di 45 enti come dipartimenti governativi, organizzazioni non-governative e aziende inglesi. La Peer Review è stata finanziata dalla Commissione Europea, da UNISDR e dall’OECD senza dimenticare il tempo dedicato al processo dagli esperti valutatori.34

L’Unione Europea sta dando un grosso contributo per la realizzazione degli obiettivi dello Hyogo Framework for Action. In cima all’agenda europea ci sono soluzioni per finanziare attività di prevenzione ai rischi.

La strategia europea per la riduzione del rischio, anche in supporto ai Paesi in via di sviluppo, promuove un approccio inclusivo alla resilienza e l’integrazione nelle politiche dell’adattamento climatico. Nell’Aprile 2013, la Commissione Europea ha infatti adottato una strategia di adattamento al cambiamento climatico. Vale la pena di segnalare alcune iniziative interessanti avanzate in ambito europeo tra quelle elencate nel Regional

Synthesis Report 2011-2013. Una è quella dell’Euromed Programme for

Prevention, Preparedness and Response to Natural and Man-made Disasters (PRDR South). Il programma, gestito dal Dipartimento italiano di Protezione Civile insieme a UNISDR, la Francia, l’Egitto e l’Algeria, fu fondato nel Marzo del 2009 per sviluppare la cultura di protezione civile nel Mediterraneo. Un altro progetto europeo risale al 1987 anno in cui la Commissione dei Ministri del Consiglio d’Europa stabilì un accordo chiamato EUR-OPA Major Hazards Agreement formato da 26 Paesi. L’accordo ha l’obiettivo di promuovere e rinforzare la cooperazione tra stati membri in un contesto multi-disciplinare per assicurare una migliore prevenzione, protezione e organizzazione del soccorso. Nel 2000 lo Stability Pact for South Eastern Europe lanciò il Disaster Preparedness and Prevention Initiative (DPPI) per contribuire allo sviluppo di una strategia regionale di prevenzione per i suoi undici membri (Albania, Bosnia & Erzegovina, Bulgaria, Croazia, Moldavia, Montenegro, Romania, Serbia, Slovenia, Macedonia e Turchia). Infine segnalo l’European Forum for Disaster Risk Reduction (EFDRR) che include HFA Focal Points e rappresentanti delle piattaforme nazionali europee, l’Ufficio europeo di                                                                                                                

33 AA.VV., Peer Review Report United Kingdom, Organisation for Economic Co-operation and Development (OECD), European Commission Humanitarian Aid and Civil Protection DG (ECHO), United Nations Office for Disaster Risk Reduction - Regional Office for Europe (UNISDR EUR), 2013, p.10.

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UNISDR, rappresentanti di EUR-OPA e della Commissione Europea ed altre organizzazioni europee. Gli obiettivi del Forum europeo sono stimolare lo scambio di informazioni tra le rappresentanze, fare advocacy per azioni volte alla riduzione dei rischi contribuendo alla realizzazione di HFA e alla creazione delle piattaforme nazionali, creare una Europea sicura riducendo le vulnerabilità ed aumentando l’abilità à minimizzare gli effetti di un disastro.35 Il Forum europeo fu fondato durante il meeting delle piattaforma nazionali e dei HFA Focal Points di Londra nel 2009. Il Forum è basato su cinque principi: si ispira ad un approccio dal basso e partecipativo; è fondato su organizzazioni ed istituzioni esistenti; evita la creazione di strutture rigide e burocratizzate; non agisce come un forum politico; si incontra annualmente.36

Momento importante per l’Unione Europea e senza dubbio quello della neonata riforma del sistema europeo dei Protezione Civile. Riporto l’articolo di Francesca Dottarelli che riassume le principali novità.

Dal 1° gennaio 2014 è in vigore il Meccanismo Unionale di Protezione Civile adottato il 17 dicembre dello scorso anno, con la decisione 1313/2013/UE dal Parlamento Europeo e dal Consiglio. Una riforma che integra in un solo atto le attività di cooperazione europea di protezione civile, e la relativa programmazione finanziaria europea 2014-2020. A livello europeo la protezione civile è incardinata nella Direzione generale aiuti umanitari e protezione civile della Commissione europea e conta l’adesione dei 28 Paesi membri dell’Unione Europea e dei tre Paesi appartenenti all’Area economica europea, Norvegia, Islanda e Liechtenstein. Il numero sale nel gennaio 2012, con la ratifica del protocollo d’intesa da parte della Ex Repubblica Jugoslava di Macedonia, che diventa così il 32° Stato partecipante. Il nuovo sistema, che riforma profondamente il Meccanismo del 2001, si applica alle catastrofi naturali e di origine umana che avvengono sul territorio dell’UE ed extra-europeo, e vede il legislatore sottolineare l’importanza dell’approccio preventivo di disastri, la preparazione, e della gestione dei rischi, attraverso l’art. 196 del Trattato sul funzionamento dell’UE. La riforma punta anche sul coinvolgimento delle autorità regionali e locali, per assicurare interventi e assistenza in caso di necessità. Il nuovo Meccanismo presenta un profilo operativo potenziato, il coinvolgimento delle Regioni risponde all’esigenza di interoperabilità e preparazione dei soggetti coinvolti, a cui si aggiunge l’esigenza di una protezione civile intersettoriale come nel caso della collaborazione nel campo dell’inquinamento marino. Un impegno che si realizza nel pieno rispetto della clausola di solidarietà prevista dal Trattato di Lisbona, secondo la quale “l’Unione e gli Stati membri sono tenuti ad agire di concerto, in uno spirito di solidarietà se un Paese Europeo è colpito da un attacco terroristico, oppure è vittima di una calamità naturale o causata dall’uomo”.     La riforma dà seguito all’attività di prevenzione, permettendo ai Paesi europei di coordinarsi al meglio per rispondere ai disastri e condividere, su base regolare, l’attività di valutazione e mappatura del rischio, di promuovere la condivisione delle conoscenze la sensibilizzazione dell’opinione

                                                                                                               

35 Ivi., pp. 51-60.

36 AA.VV., European Forum for Disaster Risk Reduction, United Nations International Strategy for Disaster Reduction- Regional Office for Europe, Council of Europe Brussels, 2011, pp. 10, 12-13.

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pubblica attraverso delle campagne pubbliche di informazione. Gli operatori di protezione civile possono inoltre avvalersi di una formazione mirata. Al fine di rafforzare questo aspetto è previsto un maggior numero di esercitazioni, per testare le capacità di squadre di ricerca e di soccorso e di altre tipologie di moduli di protezione civile, per i quali sono stati fissati finanziamenti crescenti. È inoltre istituito un vero e proprio pool di forze di soccorso in stand by finanziato con risorse degli Stati membri su base volontaria, definito European Emergency Response Capacity. Si tratta di un Meccanismo che vuole garantire  uno sguardo attento e costante tanto all’interno dei confini dell’Unione Europea, quanto nei confronti dei Paesi terzi, attraverso un  monitoraggio delle situazioni di disastro o di potenziale disastro, che viene effettuato dal Centro di Coordinamento di Risposta all’Emergenza, ERCC - Emergency Response and Coordination Centre. È il cuore operativo del sistema, attivo 24 ore su 24. Strumento gestito dalla Commissione, l’ERCC cura lo sviluppo di sistemi di rilevamento e di allerta rapida in caso di catastrofi assicurando il sostegno per l’accesso alle risorse, lo sviluppo di moduli di protezione civile e unità specializzate “confezionate” secondo le esigenze. Per garantire il flusso delle informazioni, l’ERCC a Bruxelles gestisce anche il sistema informatico Cecis - Sistema Comune di comunicazione e Informazione in Emergenza, e permette un dialogo immediato ed efficace tra i Centri operativi h24 degli Stati membri, con il compito di facilitare le comunicazioni tra l’ERCC e le Autorità nazionali.   La nuova normativa europea rafforza dunque i concetti della prevenzione e della preparazione alle catastrofi e implementa la capacità di risposta alle emergenze, pur rispettando i diritti e sugli obblighi assunti reciprocamente dagli Stati membri. È ribadita e lasciata impregiudicata la responsabilità degli Stati membri di proteggere le persone, l’ambiente e i beni sul proprio territorio. Si ribadisce anche il principio di sussidiarietà, sancito dall’art. 5 del Trattato sull’Unione Europea. Nel caso in cui un evento calamitoso rendesse insufficiente la capacità di risposta di uno Stato membro, questo può decidere di fare appello al Meccanismo Unionale, per integrare le proprie risorse di protezione civile e per fronteggiare gli eventi.37

Gli Enti locali sono responsabili politici e istituzionali all’interno delle comunità. Sono i primi a rispondere alle emergenze. Essi dunque devono essere competenti, hanno bisogno di strumenti e risorse adeguate per svolgere il compito di gestire l’emergenza.38 La Making Cities Resilient

Campaign può aiutare gli Enti locali a migliorare il servizio alla comunità.

Nel 2010 UNISDR lanciò la Campagna Making Cities Resilient – My City

is Getting Ready! La Campagna si pone gli obiettivi di incoraggiare le

amministrazioni locali a fare della riduzione dei rischi, della resilienza e del cambiamento climatico le politiche prioritarie e portare il HFA più vicino ai bisogni delle comunità. Un network di città coinvolte nella Campagna sta via via crescendo; queste “città resilienti” possono imparare l’una dall’altra, possono accrescere la conoscenza, condividere esperienze. I Ten essentials della Campagna aiutano le città a stabilire i punti fondamentali per                                                                                                                

37 Dottarelli F., Il Meccanismo Unionale di Protezione Civile. La riforma integra le attività di cooperazione europea di protezione civile e la programmazione finanziaria europea, in Magazine ufficiale del Dipartimento della Protezione civile, a. IV, n. 14, 2014, pp. 28-29.

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sviluppare la resilienza.39 I dieci punti sono utili per comprendere i progressi fatti e gli aspetti da migliorare. Nove città europee nel terzo ciclo di report su HFA 2011 - 2013 hanno risposto al Local Government

Self-Assessment Tool LGSAT ossia un questionario di autovalutazione basato

sui dieci punti. Le due città italiane che hanno partecipato alla valutazione sono state Venezia e Casarza Ligure (GE). UNISDR sta lavorando per introdurre la metodologia Peer Review anche tra le città aderenti alla Campagna. Di seguito riporto una tabella che elenca i Ten Essentials che si riferiscono alle priorità d’azione di HFA, e le domande per il questionario LGSAT.40 Il manuale How To Make Cities More Resilient è dedicato alle amministrazioni locali che vogliono diventare “città resilienti”; esso contiene una serie di buone pratiche ed esperienze provenienti da tutto il mondo. Il manuale risponde alle domande: perché sviluppare la resilienza è un bene, quali tipo di strategie e azioni sono richieste, come svolgere il percorso riconoscendo le specificità e le differenze di ogni città. Con il post-2015 gli Essentials subiranno una evoluzione poiché sarà indispensabile inserire il tema dell’adattamento al cambiamento climatico. Per il futuro si auspica un’attenzione particolare al livello locale nell’indirizzo delle politiche di riduzione del rischio e di sviluppo della resilienza.

                                                                                                               

39 AA.VV., How to Make Cities More Resilient. A Handbook For Local Government Leaders. A contribution to the Global Campaign 2010-2015 Making Cities Resilient-My City is Getting Ready!, United Nations International Strategy for Disaster Reduction, Geneva, 2012.

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QUESTIONARIO Local Government Self-Assessment Tool

TEN ESSENTIALS Domande

1. Prevedere un coordinamento che chiarisca i ruoli di ciascuno e le responsabilità. (Priorità 1)

1. Quanto l’Ente locale è munito di competenze (conoscenza, esperienza, deleghe ufficiali) per la riduzione dei rischi e l’adattamento al cambiamento climatico?

2. In che misura esiste la collaborazione tra comunità, settore privato ed Ente locale per la riduzione del rischio?

3. Quanto l’Ente locale sostiene l’attiva partecipazione delle categorie vulnerabili (in particolare donne, malati, anziani, bambini) alle decisioni sulla riduzione del rischio ed ai processi di realizzazione?

4. In che misura l’Ente locale partecipa al piano nazionale di riduzione del rischio?

2. Prevedere un budget e fornire incentivi ai proprietari, alle famiglie meno abbienti e al settore privato per investire nella riduzione dei rischi. (Priorità 1 e 4)

5. In che misura l’Ente locale ha accesso a risorse finanziarie adeguate per portare avanti attività di riduzione del rischio ? 6. In che misura l’Ente locale colloca le risorse finanziarie per portare avanti le attività, incluso il soccorso e l’assistenza? 7. Qual è la portata dei servizi finanziari (p.e. piani di risparmio e credito, assicurazione macro e micro) disponibili per i proprietari di casa più vulnerabili ed emarginati durante il “tempo di pace”?

8. In che misura il microcredito, aiuti in denaro, i prestiti agevolati, le garanzie sui prestiti, ecc sono disponibili per i proprietari di casa colpiti da un disatsro per ricominciare? 9. Come sono stabiliti gli incentivi economici per investire nella riduzione del rischio per i proprietari di casa e per le aziende (p.e. riducendo i premi assicurativi per i proprietari di casa, sospensione della tassazione per le aziende)?

10. In che misura le associazioni delle aziende locali, come la camera di commercio e simili, supportano le piccole imprese per la continuità aziendale durante e dopo un’emergenza? 3. Aggiornare i dati sui rischi e le vulnerabilità, preparare e

diffondere le valutazioni dei rischi. (Priorità 2,3,4)

11. In che misura l’Ente locale conduce valutazioni meticolose sui rischi per settori vulnerabili nella comunità?

12. In che misura le valutazione dei rischi sono aggiornate, p.e. annualmente o ogni due anni?

13. Quanto spesso l’Ente locale diffonde alla comunità informazioni sull’andamento dei rischi e sulle misure di riduzione del rischio (p.e. usando un piano di comunicazione del rischio), includendo sistemi di allerta?

14. Come le valutazioni dei rischi sono collegate alle valutazioni ed ai piani degli Enti vicini e delle province e quanto contribuiscono ad essi?

15. Come le valutazioni dei rischi sono incluse nelle pianificazioni di sviluppo locale?

4. Investire e mantenere le infrastrutture per ridurre i rischi, come il sistema di drenaggio. (Priorità 4)

16. Quanto le politiche di sfruttamento del suolo e i piani regolatori per l’edilizia e lo sviluppo di infrastrutture prendono in considerazione il rischio (incluso il rischio legato al clima)?

¨ edifici

¨ di comunicazione

¨ di trasporti

¨ di energia

17. Quanto adeguate sono le strutture pubbliche e le infrastrutture locate in aree ad alto rischio per la sicurezza? 18. Quanto adeguate sono le misure prese per proteggere le strutture pubbliche e le infrastrutture dai danni durante un’emergenza?

5. Valutare la sicurezza delle scuole e delle strutture sanitarie ed aggiornare le valutazioni. (Priorità 2,4,5)

19. In che misura le scuole, gli ospedali e le strutture sanitarie ricevono una attenzione speciale nelle valutazioni dei rischi?

¨ Scuole

¨ Ospedali/strutture sanitarie

20. Quanto sono sicure le scuole, gli ospedali, le strutture sanitarie dai rischi al fine di poter operare anche durante un’emergenza?

¨ Scuole

¨ Ospedali/strutture sanitarie

21. In che misura l’Ente locale ha un programma per valutare regolarmente le scuole, gli ospedali e le strutture sanitarie su manutenzione, conformità ai codici edilizi, sicurezza, rischi legati all’acqua?

¨ Scuole

(27)

22. Quanto spesso avvengono le esercitazioni all’emergenza nelle scuole, negli ospedali e nelle strutture sanitarie?

¨ Scuole

¨ Ospedali/strutture sanitarie

6. Applicare le regole di conformità degli edifici e il piano di sfruttamento del suolo, indentificare aree sicure per cittadini poco abbienti. (Priorità 2,4,5)

23. Come sono applicate le regole di uso del suolo e i codici per l’edilizia, i codici per la salute e la sicurezza in tutte le zone e per i vari tipi di edifici?

24. Quanto importanti sono le regole esistenti (p.e. piani di uso del suolo, codici per l’edilizia, ecc) per la riduzione dei rischi? 7. Garantire programmi di educazione e formazione sulla

riduzione del rischio nelle scuole e nella comunità. (Priorità 1,3,5)

25. Quanto spesso l’Ente locale conduce programmi di educazione e sviluppo della coscienza sulla riduzione del rischio?

¨ I programmi includono i temi della diversità

culturale

¨ I programmi sono sensibili alle prospettive di

genere

26. In che misura l’Ente locale provvede alla formazione sulla riduzione del rischio per i responsabili?

27. In che misura le scuole e le università includono corsi e momenti formativi sulla riduzione del rischio (inclusi i rischi legati al clima) come parte del piano formativo?

8. Proteggere l’ecosistema e le riserve naturali per mitigare i rischi, adattarsi al cambiamento climatico. (Priorità 4)

28. Come sono integrate le politiche locali, le strategie e i piani di realizzazione per la riduzione del rischio con i piani esistenti di sviluppo ambientale e gestione delle risorse naturali? 29. In che misura l’Ente locale supporta il ripristino, la protezione e la gestione sostenibile dell’ecosistema?

¨ Foreste ¨ Coste ¨ Paludi ¨ Risorse idriche ¨ Bacini idrografici ¨ Pesca

30. Quanto le organizzazioni della società civile e i cittadini partecipano al ripristino, alla protezione e alla gestione sostenibile dell’ecosistema?

31. Quanto il settore privato partecipa all’implementazione dei piani di gestione dell’ambiente e dell’ecosistema?

9. Adottare un sistema di allerta e dotarsi di competenze nella gestione dell’emergenza. (Priorità 2,5)

32. In che misura l’Ente locale accede alle riserve finanziarie per un soccorso efficace e per una rapida assistenza? 33. In che misura sono previsti i centri dei sistemi di allerta, con un organico adeguato (o personale su chiamata) e adeguate risorse (generatori di corrente, equipaggiamento di ridondanza, ecc) in ogni momento?

34. Quanto i sistemi di allerta lasciano spazio ad una adeguata partecipazione della cittadinanza?

35. In che misura l’Ente locale ha un Centro Operativo in emergenza e/o un sistema di comunicazioni in emergenza? 36. Quanto spesso si svolgono le esercitazioni con la partecipazione delle autorità, dei responsabili e dei volontari? 37. Quante sono le risorse disponibili in ogni momento per un soccorso efficace, come provviste, ricoveri, i percorsi di evacuazione identificati?

¨ Scorte di provviste per il soccorso

¨ Ricoveri di emergenza

¨ Percorsi identificati di evacuazione

¨ Piani di emergenza per la popolazione

10. Garantire che i bisogni e la partecipazione della popolazione colpita sono al centro del superamento dell’emergenza. (Priorità 4,5)

38. Quante sono le risorse e le competenze che l’Ente può avere per assistere psicologicamente le vittime?

39. Come le misure di riduzione del rischio sono integrate nelle attività di assistenza e superamento dell’emergenza? 40. In che misura i piani di emergenza includono una strategia post-emergenza per l’assistenza e il superamento, incluso le valutazioni dei bisogni e il ritorno alla quotidianità?

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