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Danza e video musicale: un incontro proficuo

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Academic year: 2021

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INDICE

INTRODUZIONE 3 1. CAPITOLO 1 8

1.1 La danza: peculiarità e scopi 8

1.2. Il videoclip: peculiarità e scopi 11

1.3. Gli antenati del videoclip: dall’arte astratta al cinema 14

1.4. La danza nel cinema 20

1.5. La danza e la videoarte 22

1.6. La danza e Il computer 24

1.7. La danza nel videoclip 26

1.8. Dal panorama soundie a Mtv 29

2. CAPITOLO 2 34

2.1. Tre Tipologie di videoclip con danza 34

2.2. Il videoclip-musical 38

2.2.1. Videoclip-musical a sfondo onirico:Thriller di Michael Jackson 40 2.2.2. Videoclip-musical a sfondo sociale:Telephone di Lady Gaga 46 2.2.3. Videoclip-musical sul mondo dello spettacolo:I’m Glad di Jennifer Lopez 51

2.3. Il videoclip-coreografato 56

2.3.1. Running Up That Hill di Kate Bush 58

2.3.2. Try di Pink 65

2.3.3. Chandelier di Sia 71

2.4. Il videoclip-digitalizzato 76

2.4.1. Sweet Dreams di Beyonce’ 79

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2.4.3. Ghosts di Michael Jackson 93

3. CONCLUSIONI 99 BIBLIOGRAFIA 105 SITOGRAFIA 107

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INTRODUZIONE

Tra la fine degli anni Settanta e gli inizi degli anni Ottanta la tecnologia elettronica incontra il mondo della danza. Il video, utilizzato dapprima come strumento di supporto per la notazione delle performance coreiche, col tempo si è svincolato da tale funzione documentaria per divenire un oggetto estetico autonomo e mezzo di sperimentazione creativa.

Contemporaneamente nascevano i primi videoclip, una particolare categoria di video destinata alla promozione dei brani musicali. Essi col tempo hanno iniziato a nutrirsi di caratteri propri di altre forme espressive, che ne sono state influenzate a loro volta. Infatti, come afferma Domenico Liggeri,

in un clip musicale ci può stare tutto: il cinema, il teatro, il giornalismo, la televisione, Internet, la pittura, la scultura, la politica, la filosofia, insomma, ogni forma d’espressione materiale e concettuale1

.

Soprattutto il mondo del cinema ha adottato in alcuni casi lo stile tipico dei videoclip e molti sono stati anche i registi cinematografici che hanno scelto di cimentarsi nella loro direzione, in virtù della maggiore libertà di sperimentazione che caratterizza questo genere audiovisivo.

L’adozione da parte dei videoclip musicali di una vasta gamma di effetti speciali in post-produzione avvicina molto la loro estetica, specialmente in alcuni casi, a quella dei video sperimentali della videoarte e della videodanza. Il loro valore artistico è stato riconosciuto a partire dalla prima metà degli anni Ottanta da alcune importanti istituzioni: in questo periodo il Museum of Modern Art di New York iniziò a collezionare videoclip e la Mostra

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Internazionale del Cinema di Venezia ha iniziato a riservare ad essi uno specifico spazio; nel 1984 a Saint Tropez e Cervia si sono svolti i primi Festival internazionali di videoclip; sempre nello stesso anno la Olympus Gallery di Londra ne allestì una retrospettiva storica2; circa vent’anni dopo, nel 2003, il MoMA organizzò la mostra Golden Oldies, a History of Musical

Videos, in cui si misero in evidenza le collaborazioni tra artisti e musicisti

durante un’ era di rapidi cambiamenti tecnologici e l’impatto dei videoclip sul mondo dell’arte3

.

Così come i parametri cinematografici, fotografici e l’alto tasso di sperimentazione visiva, anche la presenza di coreografie di danza al loro interno ne ha aumentato il valore estetico: di fronte alla qualità delle coreografie presenti in alcuni di essi non si può non riconoscere una finalità artistica, al di là di quella commerciale; inoltre le performance di danza sono anche determinanti nell’ aumentare la loro attitudine spettacolare, attitudine tipica di ogni forma artistica d’intrattenimento.

Il genere del videoclip e i rapporti tra performance coreica dal vivo e la tecnologia video sono stati ampiamente trattati; in particolare molto è stato detto circa le molteplici possibilità di manipolazione e di rielaborazione delle coreografie di danza e dei corpi danzanti4. Poco è stato detto, invece, circa la

2

Andrea Del Castello, Il videoclip, Cavinato editore International, Brescia, 2015, p. 137.

3

http://www.moma.org/visit/calendar/films/828.

4 In particolare il videoclip è stato trattato in modo approfondito da Alessandro Amaducci e Simone Arcagni nel libro Music video, in cui viene messa in evidenza la portata culturale di tale genere; da Andrea Del Castello in Il videoclip, in cui vengono mostrate le strategie adottate dal genere video musicale per incrementarne il fascino agli occhi degli spettatori; infine, da Domenico Liggeri in Musica per i nostri occhi, il quale ne ricostruisce la storia a partire dalle utopie della avanguardie artistiche fino ai giorni nostri. Per quanto riguarda invece il rapporto tra la danza e le tecnologie della visione, ho approfondito lo studio di tale argomento tenendo in considerazione il testo La musa dello schermo freddo di Elisa Vaccarino, che si è concentrata sullo studio dell’evoluzione dei rapporti tra la danza e il video e tra la danza e il computer e sulle loro ripercussioni sul modo di concepire e di percepire le coreografie di danza e il testo La scena digitale, a cura di Armando Menicacci e Emanuele Quinz, che si focalizza sull’incontro tra la danza e i nuovi media digitali. Inoltre ho approfondito lo studio dei rapporti tra la danza e il cinema servendomi delle argomentazioni di Francesca Rosso, la quale, nel testo Cinema e Danza, mette in evidenza le motivazioni della reciproca attrazione esistente tra queste due forme di espressione artistica e analizza nello specifico i film musicali, in cui la danza e la musica sono le protagoniste assolute.

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presenza della danza all’interno dei videoclip musicali e le ripercussioni di questa sui fruitori-spettatori.

Proprio la carenza di materiale su tale argomento mi ha spinto ad intraprendere la mia ricerca nel tentativo di mettere in evidenza i reciproci scambi esistenti tra l’uno e l’altro.

Nel primo capitolo ho tentato di compiere un excursus storico per individuare le radici storiche del videoclip e ricostruire l’evoluzione del rapporto tra la danza e le tecnologie della visione (dal cinema al video), facendo riferimento ad quei testi che si sono occupati di tale argomento.

A questa prima parte teorica segue la parte analitica del secondo capitolo. Qui ho analizzato varie tipologie di videoclip musicali in cui la danza è presente come frammento o come protagonista assoluta.

Per ciascuno di essi ho tentato di ricostruire retroscena e sottolineare la portata innovativa; in seguito ho dedicato una parte alla loro descrizione, affidandomi sia alle mie conoscenze nell’ambito degli studi sull’analisi filmica, maturante durante il mio percorso di studi, sia a conoscenze personali nell’ambito della danza, acquisite grazie alla mia esperienza diretta e alla passione che nutro nei confronti di tale disciplina; infine, ho tentato un approccio critico nei loro confronti, approfondendo le modalità della loro realizzazione e in questo caso, essendo la maggior parte di essi contemporanei (quindi video su cui non sono stati fatti molti studi), il materiale che ho reperito proviene principalmente dai siti internet, in particolare da alcuni forum musicali o dai making of dei video in questione presenti sul canale

Youtube.

Ciò che mi propongo di sostenere è il fatto che il videoclip si è servito e si serve della danza per aumentare il proprio valore estetico, per incrementare l’incisività dei brani musicali che veicola e che, parallelamente è riuscito a rendere noti e far contaminare tra loro numerosi stili di danza, soprattutto la

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danza di strada, ovvero quel tipo di danza evolutasi al di fuori delle scuole di ballo tradizionali, in particolare in contesti urbani e suburbani.

Molti sono stati i musicisti che si sono serviti del videoclip per creare un’immagine e un immaginario attorno a se stessi e soddisfare il bisogno del pubblico di vedere e di confrontarsi visivamente con i propri idoli; questo perché

tra espressione e commercializzazione dell’immagine si attua un circuito che ha nel videoclip il suo massimo luogo di espressione, soprattutto per la sua facilità di accesso e di fruizione5.

E’ rilevante il fatto che gran parte dei musicisti pop abbiano sfruttato al massimo l’espressività corporea all’interno dei videoclip e che abbiano quindi quasi sempre forti legami con l’arte della performance: questo vale sia per coloro che hanno avuto esperienze in scuole di danza accademica, sia per coloro che sono dei danzatori naturali

in grado di assumere spontaneamente i modi del breaking e delle danze di strada, rimandandone poi, di ritorno, una propria stilizzazione, via video e discoteca, alla strada stessa6.

Il videoclip contamina generi e linguaggi a cui si ispira, costringendoli a rinnovarsi in seguito al confronto con un medium più giovane; la danza offre una versione visiva del ritmo e della melodia e lo ha fatto alla massima potenza all’interno dei un genere nato appositamente per visualizzare la musica, al fine di venderla e diffonderla maggiormente: in tal modo oltre che l’intero immaginario costruito intorno ad essa ed ai suoi interpreti, si diffonde

5

A. Amaducci e S. Arcagni, Music video, Kaplan, Torino, 2007, p. 36. 6

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7

anche l’intera gamma dei linguaggi artistici utilizzati al fine di creare tali immaginari, tra cui troviamo, appunto, il linguaggio della danza.

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1. CAPITOLO 1

LA DANZA NEL VIDEOCLIP MUSICALE

1.1 LA DANZA: PECULIARITA’ E SCOPI

Prima di addentrarci nell’analisi dei rapporti che si sono instaurati nel tempo tra l’arte della danza e i videoclip musicali ed analizzare, quindi, le modalità con cui la danza è presente al loro interno (a seconda del ruolo che essa può assumere di volta in volta), ritengo opportuno sottolineare la natura e gli scopi di entrambi i linguaggi espressivi, per comprendere meglio il motivo per cui essi si sposano così bene e continuano ad essere l’uno l’ispirazione dell’altro. La danza è una delle attività più antiche svolte dall’essere umano, una delle sue facoltà peculiari e una delle prime forme espressive che l’uomo sperimenta utilizzando il proprio corpo: i bambini che appena si reggono in piedi accennano saltelli ritmici, sembrano saper danzare prima ancora di aver imparato a camminare.

Per gli uomini primitivi la danza era legata al rito e quindi veniva utilizzata nelle cerimonie religiose per instaurare un contatto con le divinità.

Risalgono al 14.000 a.C. le prime raffigurazioni di uomini impegnati in danze estatiche, ancora oggi praticate in alcune comunità religiose, danze in cui

nell’abbandonarsi al movimento rotatorio il corpo perde ogni riferimento con il mondo esterno, scioglie i legami con la materia e annulla la volontà sino a raggiungere uno stato di estasi che gli

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9

consente di mettersi in contatto con le forze superiori, il mondo degli dei e degli spiriti che governa l’universo7

.

Con l’avvento della religione cristiana essa venne invece vista come manifestazione del male, in quanto tutto ciò che era legato al corpo e al piacere fisico era da considerarsi peccaminoso: erano lecite solo

le danze eseguite a lode del Signore come espressione di giubilo spirituale, da condannare invece, come fonte di turbamento ed occasione di peccato, tutto quel vasto settore che esalta l’esibizione del corpo e l’ebbrezza vitale attraverso la vivacità spesso scomposta dei movimenti8.

Quindi per un breve arco di tempo, un certo tipo di danza non venne più associata ai riti religiosi, ma nonostante ciò, venne tenuta in vita nelle tradizioni popolari e continuò a mantenere il carattere di fenomeno sociale e di massa, che la caratterizza tutt’ora.

Dal Rinascimento in poi iniziò ad essere praticata anche come forma di intrattenimento nelle corti e inserita in rappresentazioni performative in cui vi era un misto di musica, recitazione, pantomima, costumi sfarzosi e stravaganti ed effetti spettacolari. In questo periodo danzare faceva parte dell’educazione degli aristocratici sin dall’infanzia ed è in questo periodo che si afferma una nuova categoria professionale : il maestro di danza.

Con l’avvento del maestro di danza la disciplina venne regolamentata, perse il suo carattere di improvvisazione e divenne una tecnica formale: nacque così la cosiddetta danza professionale.

7

Silvana Sinisi, Storia della danza occidentale, Carocci editore, Roma, 2012, p. 13. 8 Ivi, p. 26.

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Parallelamente però continuò ad evolversi anche quel tipo di danza che, anziché affidarsi al puro tecnicismo, nei contesti extra-teatrali e fuori dalle corti, si affidava al sentimento, all’espressività e alla spontaneità.

Alla fine dell’Ottocento, il secolo del balletto romantico e delle grandi ballerine,venne dato un impulso nuovo e vigoroso alla danza, che gettò le basi della danza moderna, rinnegando molte delle certezze ancorate al sistema normativo tradizionale.

Infine il Novecento fu il secolo delle sperimentazioni e del rinnovamento della danza, grazie al coraggio di ballerini pieni di talento a cui dobbiamo gran parte degli stili e delle tecniche della danza odierna9; il Novecento è anche il secolo in cui la danza viene a contatto con le nuove conquiste della tecnica e, come vedremo, questo incontro darà vita a innovazioni importanti degli stili di danza e della percezione del corpo danzante.

La danza ancora oggi mantiene a pieno il suo carattere popolare e spontaneo: si balla dappertutto, anche per strada, e questo tipo di danza va a contaminare gli stili accademici facendo sì che si creino stili ibridi e in continuo mutamento.

Va sottolineato che, da disciplina legata al rito e alla spiritualità, essa ha assunto sempre più una valenza estetica, artistica e spettacolare.

Ciò che è rimasto immutato nei secoli è il carattere sociale e spontaneo della danza, perché, nonostante la nascita di istituzioni che l’hanno resa una disciplina formale, la danza informale e popolare non ha smesso mai di esistere; essa infatti, come abbiamo detto, è una manifestazione propria dell’essere umano, in quanto essere vivente che compie azioni anche gratuite e prive di una funzionalità10 (tra cui ballare, attività che per questo può rientrare tra quelle di tipo artistico).

9

http://www.morfoedro.it/doc.php?n=131&lang=it. 10

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Danzando l’uomo trasmette emozioni e soprattutto prova emozioni, perché muoversi a ritmo di musica è un bisogno la cui realizzazione procura piacere e benessere.

La danza è un’arte antichissima che nasce con la musica e per la musica, con cui condivide astrazione e a-referenzialità: per questo possiamo dire che la danza rappresenta la traduzione visiva della musica attraverso il movimento del corpo, che è manifestazione primaria di vita.

1.2. IL VIDEOCLIP: PECULIARITA’ E SCOPI

Il videoclip è una forma audiovisiva nata per propagandare i brani musicali, servendosi di immagini per visualizzare la musica. La capacità di tradurre visivamente la musica è una caratteristica che sicuramente lo avvicina all’arte della danza. Il videoclip però, a differenza della danza, ha uno scopo promozionale: il suo intento è infatti quello di promuovere l’immagine di cantanti e gruppi di musicisti per vendere dischi musicali.

Il fatto che il videoclip sia nato per scopi promozionali l’ha fatto associare principalmente agli spot pubblicitari (con cui comunque condivide forme e linguaggi: velocità del montaggio delle immagini; utilizzo di slogan; fusione di più codici espressivi, quali immagini musica e testo; metafore; allusioni e creazione di mondi surreali in cui realtà e sogno si confondono)e ha fatto sì che all’inizio esso fosse considerato un mero prodotto commerciale, piuttosto che un prodotto inseribile all’interno della categoria delle arti visive.

Alessandro Amaducci e Simone Arcagni, nel libro intitolato Music video11, trattano il videoclip come una forma di espressione a metà strada tra il mercato e la sperimentazione artistica, una forma audiovisiva che si è sempre nutrita di altre forme artistiche e che

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deve spingere il linguaggio che adotta, non solo per stupire, ma per adempiere un computo delicato al quale si sono votate molte avanguardie: visualizzare la musica12.

In questo libro l’antenato più prossimo del videoclip viene intravisto nel

Rockumentary, una forma di documento audiovisivo che “rielabora attraverso

la registrazione (recording) il momento della veridicità (performing)”13

e si sofferma anche su tutto ciò che gli fa da cornice ( ad esempio il dietro le quinte e le interviste prima e dopo l’esibizione).

Quindi i primi tentativi di visualizzare la musica, da parte dell’industria musicale, diedero vita a dei prodotti audiovisivi che erano frammenti ed estratti di esibizioni dal vivo.

In ogni caso, fin dall’inizio, il loro compito fu non solo quello di dare un’immagine alla musica, ma anche quello di creare un immaginario, un universo simbolico, attorno ad essa e ai suoi protagonisti che, così facendo, riuscisse a fare identificare i consumatori con quei determinati performer, con i loro atteggiamenti, il loro modo di muoversi, di vestire, trasformandoli così in miti e modelli da emulare e influenzando di conseguenza moda e abitudini di intere generazioni: in tal modo si riproponeva “da una parte la modalità della ripresa della performance, dall’altra la messa in scena dell’immaginario”14

.

Ben presto non ci si limitò più a riprendere le band da diverse angolazioni o in diversi momenti dei tour, ci si allontanò dal realismo per avvicinarsi maggiormente a sperimentazioni visuali più audaci.

12 Ivi, p. 7. 13 Ivi, p. 22. 14 Ivi, p. 30.

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A tal proposito, viene segnalato da molti come il primo vero video musicale quello creato per il brano Bohemian Rapsody dei Queen, nel 1975, diretto da Bruce Gowers, in cui

Per la prima volta le immagini non si limitavano a riprendere la band da diverse angolazioni, ma tentano di creare un equivalente visuale della musica15.

In questo video viene effettivamente messo in scena il mondo simbolico della band e si arriva a creare uno spazio altro, surreale e onirico; inoltre

il videoclip rientrava in una strategia di marketing totale: disco, copertina, videoclip e così il disco ottenne un enorme successo che comportò una nuova ondata di videoclip16.

Col tempo si intuì che la presenza del performer nel video non era abbastanza, pur se inserita in contesti visivi surreali e stravaganti: bisognava renderlo esteticamente più complesso e comunicativamente più incisivo; bisognava nutrire il videoclip con altre forme artistiche ed espressive.

La valenza estetica del videoclip è determinata dal rapporto fantasioso che si può instaurare con il mezzo tecnologico, e dalla contaminazione con diversi linguaggi artistici che la natura ibrida del video rende possibile.

15

Bruno di Marino, Interferenze dello sguardo. La sperimentazione audiovisiva tra analogico e digitale, Bulzoni editore, Roma, 2002, p. 180.

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1.3. GLI ANTENATI DEL VIDEOCLIP : DALL’ARTE ASTRATTA AL CINEMA

Ma facciamo un passo indietro. Prima di seguire le evoluzioni del videoclip e le contaminazioni tra esso e altre forme artistiche, in particolare la danza, ritengo opportuno indagare le sue radici, per comprendere quali linguaggi artistici, antecedenti al videoclip, possano essere considerati suoi precursori. Innanzitutto potrebbe essere utile partire dalla caratteristica primaria del videoclip, ovvero il suo intento di visualizzare la musica, e tentare di ritrovare il medesimo intento all’interno delle arti figurative di cui il videoclip è figlio. Visualizzare la musica: questo era il sogno degli artisti di fine Ottocento e inizio Novecento. Basti pensare alle teorie sinestetiche del pittore Vasilij Kandinskij e alla teoria sul ritmo colorato di Leopold Survage per comprendere quanto sia radicato nella storia dell’arte il desiderio di creare un equivalente visivo dei suoni e unire così percezioni provenienti da sfere sensoriali diverse, aumentando a dismisura il piacere della fruizione estetica. In particolare Kandinskij, nei suoi quadri astratti, si proponeva di tradurre le impressioni musicali in elementi cromatici, pittorici e grafici. Il rapporto tra musica e pittura viene indagato nell’opera Lo spirituale nell’arte17

: la musica diventa il modello spirituale della pittura, in quanto essa è essenzialmente immateriale e priva di referenti, e perciò era l’arte più adatta a parlare direttamente all’anima; per questo motivo la pittura, per raggiungere lo stesso effetto,avrebbe dovuto ispirarsi ad essa e quindi abbandonare totalmente il figurativismo. Kandinskij arriva ad elaborare una teoria armonica dei colori in cui diversi suoni musicali vengono associati a delle tonalità cromatiche.

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Anche le teorizzazioni del pittore Leopold Survage sul “ritmo colorato”18 ( o pittura in movimento) hanno influenzato artisti di ogni epoca.

Nelle sue utopie il riferimento alla musica era determinante: i suoi tentativi erano mirati ad immettere il tempo e il movimento in un’arte statica come la pittura e questo era reso possibile dall’intervento del mezzo cinematografico. Il ritmo, in quanto sistema d’interpunzione temporale, era l’anello di congiunzione tra le forme astratte colorate (statiche) e la musica; tali forme avrebbero generato, in questo modo, delle vibrazioni simili a quelle musicali19.

Anche in ambito cinematografico alcuni teorici del cinema e registi sarebbero arrivati a considerazioni simili. Primo fra tutti Sergej Ejzenstejn, che non a caso aveva iniziato a compiere i suoi studi in ambito pittorico, per poi trasferirli in ambito cinematografico. Egli nell’elaborazione della teoria del “montaggio verticale” attribuisce proprio all’elemento sonoro e musicale la capacità di legare le componenti visive che si susseguivano e che potevano essere combinate tra loro grazie ad un uso del montaggio che, invece di mirare a creare continuità logica (come avviene nella maggior parte dei film narrativi), avrebbe dovuto concorrere a creare degli effetti visivi per il puro piacere dello sguardo. Questo perché

quando Ejzenstejn parla di “montaggio verticale”, tocca ogni possibile forma di prodotto filmico-video-sonoro: attribuisce infatti all’elemento musicale la capacità esclusiva di legare componenti apparentemente disomogenei del prodotto audiovisivo, quindi le parole con i colori, la sceneggiatura con la pura dinamica visiva delle inquadrature 20.

18http://www.coriscoedizioni.it/wp-content/uploads/2013/12/Trione.pdf. 19 https://books.google.it/books?id=onSZMSi6o8sC&pg=PT42&lpg=PT42&dq=ritmo+colorato+survage&source =bl&ots=zH6R6kJDk_&sig=oIlN_WaSPJz31xGSPX2VCRzkgv0&hl=it&sa=X&ei=nV4aVe62DYrvUoykhPgF&ved=0 CEYQ6AEwCg#v=onepage&q=ritmo%20colorato%20survage&f=false.

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La creazione di un’arte totale che fosse in grado di fondere insieme impressioni musicali, grafiche e cromatiche e che fosse quindi in grado di far percepire simultaneamente suoni e immagini era un’utopia che parve realizzarsi concretamente proprio con l’avvento del cinematografo, ma solo a patto che venissero sfruttate le sue potenzialità visive ed espressive.

Va sottolineato che l’intento del cinema non era quello di visualizzare la musica: le immagini in movimento potevano sì “andare a tempo” grazie all’uso del montaggio, ma, il più delle volte, erano esse stesse le protagoniste. Il suono veniva aggiunto alle immagini e dipendevano da esse, nonostante fosse ritenuto un “valore aggiunto” importante: Michel Chion con l’espressione “valore aggiunto” designava

il valore espressivo e informativo di cui un suono arricchisce un’immagine data, sino a far credere, nell’impressione immediata che se ne ha o nel ricordo che se ne conserva, che quell’informazione o quell’espressione derivino “naturalmente” da ciò che si vede, e siano già contenute nella semplice immagine. (…) Il fenomeno del valore aggiunto funziona soprattutto nel quadro del sincronismo suono/immagine per il principio della sincresi (…), che permette di istituire una relazione immediata e necessaria tra qualcosa che si vede e qualcosa che si sente.21

Soprattutto dopo gli anni Trenta, quando negli Usa nasce il cosiddetto “cinema narrativo classico”, il mezzo cinematografico venne sottomesso alla narrazione e la musica assunse un ruolo secondario rispetto alle immagini che veicolavano la storia raccontata (ad eccezione dei film musicali):

21

Michel Chion, L’audiovisione. Suono e immagine nel cinema (1990), trad. it. Di Dario Buzzolari, Lindau s.r.l., Torino, 20012.

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non erano più le varie attrazioni o gli effetti speciali che attiravano gli spettatori, ma la storia, i temi e i problemi, in cui lo spettatore poteva riconoscersi22.

Un uso del cinema diverso da quello che conosciamo oggi, era stato già auspicato anche dallo scrittore Luigi Pirandello nell’opera l’umorismo e altri

saggi23. Nonostante il giudizio delle scrittore fosse negativo nei confronti del

cinema, egli assunse un atteggiamento propositivo nel tentativo di farlo evolvere da prodotto d’intrattenimento a prodotto artistico. Tale risultato sarebbe stato raggiunto secondo lo scrittore, solo nel caso in cui il cinema fosse riuscito a liberarsi dalla letteratura e ad immergersi totalmente nella musica:

ma non nella musica che accompagna il canto: il canto è parola: e la parola, anche cantata, non può essere delle immagini; l’immagine, come non può parlare, così non può cantare… Io dico la musica che parla a tutti senza parole, la musica che s’esprime coi suoni e di essa, la cinematografia, potrà essere il linguaggio visivo. Ecco: pura musica e pura visione. I due sensi estetici per eccellenza, l’occhio e l’udito, uniti in un godimento unico: gli occhi che vedono, l’orecchio che ascolta, e il cuore che sente tutta la bellezza e la varietà dei sentimenti, che i suoni esprimono, rappresentati nelle immagini che questi sentimenti suscitano ed evocano, sommovendo il subcosciente che è in tutti, immagini impensate, che possono essere terribili come negli incubi, misteriose e mutevoli come nei sogni, in vertiginosa successione o blande o riposanti, col movimento stesso del ritmo musicale. Cinemelografia,

22

Sandro Bernardi, L’avventura del cinematografo, Marsilio editori, Venezia, 2007. 23

Luigi Pirandello, Se il film parlante abolirà il teatro, in “Corriere della sera”, 16 giugno 1929, in L’umorismo

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ecco il nome della vera rivoluzione: il linguaggio visibile della musica24.

Anche il teorico del cinema Sebastiano Arturo Luciani associò la settima arte alla musica. Nella suo articolo Verso una nuova arte. Poetica e tecnica del

cinematografo, egli sostiene che il cinema non si possa concepire senza un

accompagnamento musicale e che le immagini in movimento non dovrebbero condizionare o determinare la musica, ma dovrebbero conformarsi ad essa. Egli inoltre sostiene che “il cinematografo può e deve essere (…) come una musica per gli occhi retta anch’essa dal ritmo”25

.

È forse possibile intravedere in questo auspicato uso del cinema come “linguaggio visibile della musica”, l’uso che verrà riservato ai videoclip musicali.

Ancor più del cinema, che ha perso la tendenza alla sperimentazione tipica delle sue origini, sarà quindi il videoclip il mezzo che si assumerà il compito di visualizzare la musica.

Infatti, per quanto riguarda il rapporto tra musica e immagini, è da sottolineare il fatto che nel videoclip è la musica a determinare le immagini, allo stesso modo in cui la musica determina, anzi provoca spontaneamente, i movimenti del corpo di un danzatore, nella sua naturale esigenza di accordarsi a essa.

Il videoclip musicale dunque dà corpo alla musica. E’ proprio questo il punto di contatto tra il videoclip e la danza. Il videoclip infatti compie

24Ivi, p. 344.

25 S. A. Luciani, Verso una nuova arte. Poetica e tecnica del cinematografo, in “Il Giornale d’Italia”, 21 febbraio 1918.

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la stessa dissacrazione dell’incorporeità della musica, che la danza viene accusata di mettere in atto già di per sé, nella sua vecchia forma scenica e, ulteriormente nel passaggio allo schermo video26.

Se l’intento principale del videoclip, in quanto prodotto multimediale, è quello di visualizzare la musica, quale arte se non la danza, che condivide con la musica la temporalità, ed è essa stessa arte del movimento, può meglio assolvere questo compito? Dato che l’intento del videoclip è quello di dare corpo alla musica, la soluzione più ovvia è quella di utilizzare un corpo danzante.

Prima ancora del videoclip, la danza è stata soggetto prediletto e linguaggio di altre tecnologie della visione:

l’immagine, infatti (…) rappresenta uno dei veicoli privilegiati per la comunicazione e in particolare per quella del corpo danzante27.

La danza inoltre porta con sé una serie di significati astratti quali seduzione, armonia, fascino ed espressività, che non possono che giovare all’espressività di tali forme artistiche.

La forza d’impatto e la reciproca influenza che danza e mondo dei media hanno esercitato l’uno, sull’altro è innegabile. Per comprendere tale reciproca influenza bisogna seguire le evoluzioni delle tecnologie nel mondo dei mass media, a partire dall’invenzione del cinema, fino ad arrivare alle moderne tecnologie digitali.

26 Elisa Vaccarino, op. cit., p. 54. 27

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1.4. LA DANZA NEL CINEMA

La danza è diventata soggetto prediletto del cinema sin dai suoi esordi.

Domenico Liggeri nel libro Musica per gli occhi sostiene che le radici del videoclip, e io aggiungo del videoclip con corpi che danzano, siano ravvisabili addirittura nelle prime ricerche spettacolari di Edison di fine Ottocento:

un fautore della sinestesia meccanica, partito con l’idea di far parlare le fotografie stereoscopiche e approdato a quello che potrebbe essere considerato in nuce il primo clip musicale della storia, o almeno un prototipo, datato 189428.

In particolare egli fa riferimento ad un cortometraggio di circa un minuto intitolato Experimental sound film: si tratta di un opera in cui viene ripreso William Kennedy Laurie Dickson (che è anche regista dell’opera), mentre suona il violino accompagnato da due danzatori ( in realtà due collaboratori dello staff) tra il 1894 e il 1895. L’opera fu realizzata per il Kinetoscopio e rappresenta uno dei primi esperimenti di sonorizzazione dell’immagine. Anche se l’opera in questione non aveva la funzione di promuovere un brano musicale, resta il fatto che essa rappresenta la prima ripresa di un musicista nell’atto della performance, accompagnato proprio da una coreografia di danza.

Edison realizzava opere in cui al centro c’era il movimento ritmico e tale movimento ritmico era appunto tratto spesso dai movimenti di danza.

Anche i fratelli Lumière, che si differenziavano da Edison in quanto le loro riprese si concentravano per lo più su scene di vita quotidiana, hanno dedicato

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ad un evento extra-quotidiano, quale è l’esecuzione di movimenti di danza, alcune riprese nel 1986: si tratta della ballerina Loie Fuller, che si esibisce nella cosiddetta “danza della farfalla”, nel filmato intitolato Danse serpentine. Andando avanti nel tempo, con l’avvento dei lungometraggi, la danza verrà sempre più ad assumere il ruolo di protagonista: si arriverà infatti alle trasposizioni cinematografiche di musical teatrali di Broadway, in cui le evoluzioni di ballerini come Fred Astaire, Ginger Rogers e Gene Kelly sfrutteranno le potenzialità del mezzo cinematografico (montaggio, cambio di piani e angolazioni di ripresa ed effetti speciali che creano, in tali film, un tipo di visione caratterizzata da più punti di vista, una percezione simultanea di più dettagli, che nella fruizione dal vivo non sono possibili) e saranno, per molti spettatori, il primo incontro con un tipo di danza che prima si poteva vedere solo a teatro.

Nei film musicali, la danza riesce a creare un gigantesco sogno, come sostiene Roberto Campari il quale, nell’ Enciclopedia del cinema Treccani, citando il teorico Gilles Deleuze, afferma che

la danza traccia un mondo onirico nel suo divenire, è il momento della verità in cui i protagonisti ancora camminano ma già sono quasi sonnambuli che stanno per essere posseduti dal movimento che sembra attirarli29

.

E’ la danza, anche nella sua fruizione dal vivo, che segna il passaggio della motricità abituale ad una motricità extra-quotidiana e non funzionale. E’ grazie alla danza che, in questo tipo di film, si transita da una forma

29

Gilles Deleuze, L’immagine-tempo. Cinema 2 (1985), trad.it di Liliana Rampello, Ubulibri, Milano, 19932 , citato da Roberto Campari, in

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d’interpretazione e situazione realistica ad una dimensione surreale e onirica (tipica anche dei videoclip musicali).

Le potenzialità espressive insite nella danza verranno sempre più sfruttate dalla settima arte: basti pensare al boom dei film incentrati sulla danza degli anni Ottanta, che hanno, da un lato, portato sul grande schermo e, dall’altro, hanno diffuso, stili di danza popolari praticati dai giovani di allora.

La danza è sempre stata una compagna fedele del cinema.

1.5. LA DANZA E LA VIDEOARTE

Per quanto riguarda i primi rapporti tra danza e video, essi si crearono soprattutto in ambito video-artistico e diedero origine al genere della videodanza, una forma di videoarte che dialoga con delle coreografie di danza (già esistenti o create appositamente per la ripresa) e il cui obiettivo principale è quello di lavorare sull’immagine, proprio a partire dai movimenti del corpo danzante.

Come afferma Silvia Bordini:

dal punto di vista tecnico la videoarte è (…) una forma d’arte che non si basa sulla trasformazione della materia ma sulla manipolazione di un sistema ottico-elettronico, per la riproduzione, produzione, rielaborazione, creazione di immagini. (…) le opere che ne derivano sono il prodotto dell’integrazione tra artista e macchina (…). Questo nuovo mezzo, nell’uso degli artisti, acquisisce una straordinaria duttilità; riprende, rielabora, rimette in discussione, (…) restituisce e alimenta tutte le forme di espressione artistica esistenti (dalle arti visive al cinema, musica, danza, teatro ecc.)30.

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Tra le prime interazioni tra danza e video va sicuramente annoverata l’opera

Merce by Merce by Paik del 1978, realizzato grazie alla collaborazione

dell’artista coreano Nam June Paik e il coreografo Merce Cunningham. Per Nam June Paik, formatosi all’interno del movimento Fluxus,

il video era un mezzo che consentiva non solo di documentare creativamente le performance di artisti (come il coreografo Cunningham o il compositore John Cage, al centro dei suoi video ritratti), ma anche di continuare a giocare con le forme, a irridere la tradizione (…)31.

In questo video avvengono le prime manipolazioni sul corpo danzante, attraverso tecniche che riescono a rendere corpo e scena autonomi, moltiplicabili, trasparenti. E per questo tale opera è considerata il manifesto della videodanza.

I rapporti tra la danza e il video sono stati analizzati da Elisa Vaccarino nel libro La musa dello schermo freddo. Lei afferma che:

per la danza, il video d’arte è una via di liberazione dai vincoli che corpo, tempo e spazio reali impongono alla creatività32.

Elisa Vaccarino si occupa di tali rapporti anche in un saggio contenuto in La

nuova scena elettronica33 ( le cui tematiche sono state riprese all’interno del

libro di Andrea Balzola intitolato La scena tecnologica. Dal video in scena al

31 Sandra Lischi, Il linguaggio del video, Carocci editore, Roma, 2005, p. 34 32 Elisa Vaccarino, op. cit., p .28.

33 A. Balzola, F. Prono (a cura di), La nuova scena elettronica. Il video e la ricerca teatrale in Italia, Rosemberg & Sellier, Torino, 1993.

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teatro interattivo, nel 201134) in cui sostiene che l’interesse per il video, da parte di coreografi e danzatori, nacque solo dopo numerose diffidenze, oltre che per difficoltà economiche, in particolare

per la convinzione che la danza sia un medium caldo e che non possa che risultare falsata dal trasferimento o dalla traduzione in video, ad opera della manipolazione soggettiva di un regista diverso dal coreografo35.

Il video, per Elisa Vaccarino, deve essere considerato uno strumento di creazione altra e non un minaccioso traditore della performance dal vivo; a tal proposito arriva ad affermare che

è presumibile che l’interazione video-calcolatore permetterà agli autori e ai fruitori di inventare modi creativi e visivi nuovi per una danza nuova36.

Infatti, ben presto i danzatori e i coreografi stessi iniziarono a servirsi del supporto video, non solo in quanto mezzo adatto per fuggire il carattere effimero delle loro coreografie, ma come strumento per nuove sperimentazioni.

1.6. LA DANZA E IL COMPUTER

Abbiamo visto come l’incontro tra danza e tecnologie modifichi inevitabilmente la natura stessa di quest’arte, e per questo motivo si sono

34 A. Balzola, La scena tecnologica. Dal video in scena al teatro interattivo, Dino Audino editore, Roma, 2011. 35 Ivi, p. 237.

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scontrati coloro che credono nella proficuità di tale rapporto (arrivando, all’estremo, a negare il corpo per amore della macchina) con coloro che demonizzano invece la tecnologia per valorizzare unicamente l’esperienza fisica, effimera e concreta della danza dal vivo.

La rivoluzione apportata dal cinema, prima, e dal video dopo, è però niente se confrontata con quella che ha provocato la nascita del computer:

è come se il codice numerico potesse inghiottire e restituire, mutati in cifre, resi “democraticamente” uguali per qualità di segnale e possibilità di trattamento e di elaborazione, tutti i prodotti dei media precedenti, dalla pittura al cinema, alla musica, ai suoni, al video, alla fotografia, alla scrittura, consentendo appunto, (…) di farli dialogare fra loro37

.

Per quanto riguarda i contatti tra il computer e il mondo della danza, è da annoverare ancora l’importanza del coreografo Merce Cunningham: progettò, assieme a tecnici informatici, il software padre di tutte le sperimentazioni digitali odierne, ovvero il “Life-forms”. Il software permette di realizzare una mappatura completa del corpo umano attraverso dei processori che inviano segnali elettromagnetici al computer, che poi elabora analogo virtuale del corpo e dei suoi movimenti, sullo schermo: il computer sarà in grado di collegare e creare dei passaggi intermedi tra una posizione e l’altra assunta dalle varie parti del corpo.

Cunningham si servì delle elaborazioni virtuali del computer per costruire le proprie coreografie, si ispirò ai movimenti virtuali creati dalla macchina per rinnovare e arricchire i movimenti reali da lui stesso elaborati. Oltre che per la semplice notazione del corpo umano, allo stesso modo della tecnologia video,

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il software è stato utilizzato dal coreografo come sistema di creazione artistica.

Questo è solo uno degli esempi della proficuità del rapporto tra danza e tecnologie. La tecnologia infatti può essere utilizzata per liberare la danza dai limiti fisici della forza di gravità e per rendere così ancora più virtuosistici ed espressivi i movimenti del corpo danzante.

E’ l’uso creativo della tecnica che, da sempre, porta alla scoperta delle sue peculiarità linguistiche e questo, è un discorso applicabile anche al genere del videoclip, quando si intende difenderne le valenze estetico-creative.

1.7. LA DANZA NEL VIDEOCLIP

Il rilievo della danza è maggiormente evidente in un genere, il videoclip, in cui la tecnologia è stata messa al servizio della musica, materia prima della danza.

Danza e videoclip: il legame tra questi due tipi di arte ci sembra praticamente scontato data la massiccia presenza di coreografie nei videoclip dei nostri idoli, soprattutto per quanto riguarda la musica pop o il genere r&b, caratterizzati da un sound fortemente ritmato e che induce maggiormente il corpo a muoversi “andando a tempo”. Questo tipo di musica in particolare necessita di una traduzione visiva, che è sempre più spesso di natura coreografica, a cui ci si possa ispirare.

Come afferma Bruno di Marino:

il movimento è la componente di base del clip. Cantare non è sufficiente, bisogna muoversi.38

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Una delle magie più evidenti del videoclip è quella di riuscire a rendere coreografico e poetico ogni gesto presente al suo interno. Basti pensare ai videoclip in cui vengono riprese delle azioni o dei gesti quotidiani quali anche il solo semplice camminare, ridere, piangere, parlare: tutto si trasforma in poesia. E’ la musica a rendere poetico e surreale ogni movimento e a trasmettere un effetto di danza anche quando effettivamente non è presente alcun passo coreografico. Anche in assenza di effetti speciali, è l’effetto della musica a conferire armonia a ciò che viene visualizzato e a farlo immediatamente collegare percettivamente alla base sonora. Una contaminazione tra il visuale e il sonoro perfetta.

A questa potenzialità della musica vanno aggiunti una serie di effetti ed espedienti tecnici propri della tecnologia quali rallenti, rewind, velocizzazione, fermo immagine, montaggi veloci, che non fanno altro che aumentare l’effetto surreale, che però è presente indipendentemente da essi già solo per la presenza dell’ astrazione dovuta alla musica, ma che sicuramente portano ad amplificare tale astrazione e a far sì che il prodotto finale ci restituisca la sensazione che tutto ciò che vediamo sia spettacolare o onirico, al contrario dell’effetto di realtà che invece ci viene restituito dalla maggior parte dei film, o almeno da quelli più commerciali e con un linguaggio normalizzato.

Come afferma Domenico Liggeri nel suo libro Musica per i nostri occhi:

la semplice presenza della melodia sonora associata a quel genere di immagini rende ai nostri occhi straordinarie le azioni più ordinarie, soprattutto se (…) il brano clippato è di genere romantico e dai toni sognanti39.

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Il videoclip è quindi una sorta di amplificatore delle potenzialità espressive di un brano musicale e lo stesso discorso può essere applicato anche alle coreografie di danza.

La danza in particolare inizia ad essere fortemente presente nella videomusica a partire dagli anni Ottanta.

Per spiegare tale fenomeno, ancora Elisa Vaccarino afferma che non va dimenticato

il vasto fenomeno di riappropriazione del corpo, e quindi della danza, da parte di larghi strati di popolazione giovane, e meno giovane, fenomeno che fu alla base del successo, negli anni 70-80 di film come

Saturday night fever (1977), La febbre del sabato sera, con John

Travolta, e Flashdance (1983)40

e io aggiungerei anche: Grease (1978), Dirty dancing (1987), Fame (1980) e tanti altri.

L’esperienza fisica del corpo è un tratto condiviso dagli uomini, per questo il coinvolgimento è maggiore, inoltre la danza di per sé ha una forte componente astratta, essendo un tipo di arte, come la musica, che comunica senza referenti.

Non sorprende più di tanto il fatto che i cantanti che per primi hanno riscosso successo planetario siano proprio quelli che si sono serviti del videoclip e in particolare quelli che si sono serviti al suo interno dell’arte della performance. La danza diventa quindi ben presto il linguaggio privilegiato del videoclip musicale.

Il videoclip è diventato il mezzo principale per la sua diffusione e, riproponendola in video, ha contribuito ad influenzare le sue forme e i suoi

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stili, così come ha condizionato e continua a condizionare moda atteggiamenti e look di intere generazioni.

1.8. DAL PANORAMA SOUNDIE A MTV

L’influenza del genere del videoclip sulle mode e sugli atteggiamenti della popolazione, soprattutto quella più giovane, è palese a tutti.

Il videoclip ha infatti manifestato nel tempo le sue enormi capacità di essere un prodotto culturale oltre che musicale.

Ma come è riuscito il videoclip a diventare così pervasivo e onnipresente? È importante sottolineare come gran parte del successo dei videoclip deve essere attribuita ad un avvenimento dei primi anni ottanta: la creazione, negli USA, di Mtv (Music Television)41.

Prima ancora della nascita di Mtv si era tentato di diffondere i videomusicali attraverso un’altra via, affidandosi cioè ad una soluzione tecnologica che potesse consentire la distribuzione della musica da vedere; un macchinario, simile al juke-box, che consentiva, nei luoghi ad alta frequentazione di giovani, di scegliere la propria musica preferita . Questa macchina era il cosiddetto panorama soundie. I clip al suo interno venivano chiamati appunto

soundie e venivano realizzati su supporto cinematografico e proiettati su un

schermo di plastica.

Questa fu un’evoluzione più sul piano sociale ed estetico che sul piano tecnologico: “si trattava infatti di un inconsapevole ritorno al tempo del Kinetoscopio di Edison e dei suoi esperimenti di cinema sonoro”42

.

Il panorama soundie veniva chiamato anche music machine o visual juke-box e fu inventato negli anni quaranta acquisendo una buona diffusione

41 Domenico Liggeri, op. cit., p. 380. 42

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nonostante i limiti tecnici: ad esempio il fatto che lo schermo aveva dimensioni molto ridotte per cui non consentiva una visione collettiva ma solo individuale. A farlo decadere saranno proprio tali limiti tecnologici, soprattutto la precarietà della macchina che avrebbe dovuto realizzare un sincronismo perfetto tra pellicola e giradischi: l’effetto di mancata sincronizzazione era evidente soprattutto in quei clip in cui era presente la danza e in cui quindi i movimenti corporei pretendevano di procedere in sincrono perfetto con la musica.

I clip restavano però dei prodotti estetici e spettacolari che, per assolvere la loro funzione promozionale, dovevano essere diffusi il più possibile e non bastava riproporli nei cinema, anche se questo sistema di fruizione sicuramente rendeva maggiore giustizia al prodotto stesso:

era quindi necessario un mezzo di diffusione più agile e capillare, in grado di generare celebrità a costi più contenuti43.

Negli anni Cinquanta ci furono le prime aperture dell’industria televisiva alla videomusica: i filmati musicali creati per la televisione erano le cosiddette

Snader Telescriptions44, ma queste venivano inserite nei palinsesti a piccole

dosi, o al massimo all’interno di programmi musicali che venivano mandati in onda settimanalmente.

La vera svolta ci fu quando, come abbiamo detto, venne creato un canale televisivo dedicato interamente alla diffusione di videoclip.

Music Television (Mtv) nasce nel lontano 1981 da un'idea di John Lack. Messo insieme un gruppo di persone della sua stessa idea, John Lack riuscì a creare la sua Mtv.

43 Ivi, p. 98. 44

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Per la direzione del canale musicale, Lack scelse Bob Pittman, il quale si preoccupò di contrattare con le case discografiche che avrebbero fornito gratuitamente i videoclip, allettate

con la prospettiva che la messa in onda dei loro video farà vendere molti più dischi ai loro artisti, accrescendone la popolarità45.

La prima trasmissione cominciò con le parole di John Lack: "Ladies and

gentlemen, rock and roll!", e venne mandata in onda la ripresa della

preparazione al lancio dello Space Shuttle Columbia; subito dopo venne inserita un’immagine modificata del primo sbarco sulla luna dell’Apollo 11; tale scelta intendeva quindi comparare la svolta epocale del momento storico in questione con la svolta televisiva e culturale che rappresentava la creazione di un canale televisivo di sola musica46.

Il primo video mandato in onda fu scelto in modo mirato: si tratta di Video

killed the radio star dei Buggles.

Da questo momento in poi i videoclip avrebbero avuto il loro spazio e l’opportunità di arrivare davvero a chiunque, diventando un prodotto culturale che avrebbe ben presto condizionato e influenzato moda e atteggiamenti dei teenager prima in USA e poi in tutto il mondo.

Le case discografiche cominciarono ad inviare i video musicali a Mtv e gli artisti produssero clip sempre più ad effetto ed elaborati, oltre che costosi. Il videoclip iniziò così a sfruttare al massimo le proprie capacità comunicative oltre che espressive, diventando un mezzo indispensabile per il successo dell’industria musicale, forse ancor più dei supporti discografici: spesso infatti alcuni gruppi musicali vendono molto di più proprio perché un video

45 Domenico Liggeri, op. cit., p. 381. 46

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musicale efficace li ha lanciati e fatti conoscere al grande pubblico, che in seguito si reca alle esibizioni live e ai concerti.

La nascita di un canale di soli videoclip è stato un avvenimento fondamentale in tal senso, perché il videoclip ha così potuto guadagnarsi uno spazio inedito per la sua fruizione.

Mtv diventa una vetrina di tutto ciò che è moderno, soprattutto di look. L’immaginario diventa in alcuni casi più importante della musica: I videoclip e i prodotti annessi (interviste live, riprese dietro le quinte dei concerti o dietro le quinte durante la realizzazione dei video stessi, ecc.) puntano alla creazione di un’immagine forte da veicolare, un appeal visivo per poter affascinare gli spettatori e rendere cantanti e performer veri e propri oggetti del desiderio. Il videoclip è finalmente un prodotto capace di reggersi da solo tanto da occupare un intero canale, un nuovo modo di veicolare musica e immagini, e a poco a poco si punta maggiormente sulle sue qualità estetiche.

Mtv ha infatti qualcosa in più di una semplice stazione radio, ovvero le immagini: esse portano alla diffusione quel mondo parallelo, tipico dei videoclip, in cui tutto è possibile, in cui si fondono realtà e fantasia.

Mtv, grosso strumento di promozione che dapprima era unicamente in mano ai discografici, riesce tutt’oggi a condizionare il modo di sentire musica e di vedere musica ed è il mezzo attraverso cui il videoclip (e assieme a lui la danza in video) con la sua forma suggestiva e accattivante arriva all’interno di ogni casa.

Inoltre è importante sottolineare il forte impatto culturale di tale genere: il fatto che il videoclip sia qualcosa di principalmente commerciale è proprio uno dei fattori per cui i suoi contenuti, tra cui anche la danza, sono arrivati ad un vasto pubblico, e hanno assunto un valore culturale oltre che contribuire alla semplice vendita di dischi.

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Grazie all’incontro con le tecnologie e alla creazione dei mondi virtuali (sia per mezzo del video, sia per mezzo del computer), l’idea del corpo stesso è cambiata, così come è cambiata la percezione del tempo e dello spazio in cui il corpo si muove; il mondo virtuale ha mutato la nostra percezione, la nostra sensibilità e il nostro modo di esprimerci attraverso il corpo; le creature danzanti immateriali e virtuali hanno mutato la danza e la coreografia dal vivo47.

Ma tali mondi virtuali sarebbero rimasti nell’ambito delle sperimentazioni artistiche se non ci fosse stata la possibilità di renderli alla portata di tutti. Il loro successo e la loro influenza culturale è stata possibile proprio grazie alla natura commerciale e popolare del videoclip.

Il termine videoclip è ormai da anni entrato nel linguaggio popolare; i video musicali fanno parte a pieno titolo della programmazione televisiva ed è ormai innegabile la loro importanza per quanto riguarda la promozione delle star della musica. Inoltre le maggiori innovazioni nel campo della narrazione per immagini in molte occasioni, hanno valicato i confini della pura promozione commerciale per fare delle incursioni, a volte geniali, nel territorio più complesso dell’arte contemporanea, diventando, nel caso dell’arte della danza, uno dei mezzi più efficaci per la sua diffusione48

. Peter Gabriel, cantante, flautista e percussionista dei Genesis, nel 1986, durante gli

Mtv music awards, si augurava che il videoclip potesse essere finalmente

considerato una forma artistica.

Il dibattito a dal proposito era infatti ormai diventato preponderante: quale percentuale di artisticità c’è nel video musicale?

E io aggiungo: quanta percentuale di artisticità e di incisività il videoclip deve al linguaggio della danza?

47 Elisa Vaccarino, op. cit., p.150. 48

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2. CAPITOLO 2

IL RUOLO DELLA DANZA NEI VIDEOCLIP

2.1. TRE TIPOLOGIE DI VIDEOCLIP CON DANZA

La traslazione di un brano musicale dal formato audio al formato audiovisivo pone la questione dell’eterogeneità dei segni, in quanto deve avvenire una materializzazione visiva di forme astratte musicali, che comporta la compresenza di elementi visivi e sonori, nel tentativo di una loro sincronizzazione. Inoltre il prodotto audiovisivo prevede nuove situazioni fruitive, sia dal punto di vista percettivo, in quanto diventa fondamentale l’impatto plurisensoriale del prodotto, sia dal punto di vista sociale, in quanto l’opera, che ha scopi promozionali, avrà un’ampia diffusione ed andrà a influenzare più consumatori, non solo persuadendoli all’acquisto del singolo o dell’album che lo contiene, ma anche per quanto riguarda i loro atteggiamenti e stili di vita.

Il coinvolgimento sinestetico a cui mira il videoclip musicale spesso deriva dalla sua capacità di essere spettacolare e questa capacità può essere a sua volta collegata al grado di artisticità presente al suo interno, anche se i due elementi non sempre sono presenti in egual misura.

Alcuni videoclip si contraddistinguono maggiormente per il loro alto valore artistico, nonostante essi continuino ad assolvere la loro funzione promozionale una volta immessi nel circuito televisivo o nel web; anzi può accadere che il loro successo sia determinato proprio dalla loro qualità artistica. Altri videoclip, pur essendo fortemente spettacolari e incisivi,

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contengono una bassa dose di creatività, perché non fanno altro che riproporre modelli di successo che sono poco originali.

Poiché la valorizzazione della canzone avviene comunque in funzione della sua promozione commerciale, spesso è difficile considerare il prodotto finale unicamente dal punto di vista artistico o preoccuparsi principalmente di esso. I videoclip sono contemporaneamente arte, pubblicità e spettacolo e una classificazione rigida e definita circa la presenza di ciascuna di tali componenti al loro interno, forse non è possibile49.

Nonostante ciò, resta abbastanza evidente il fatto che ogni videoclip abbia una forma espressiva diversa, che può essere più o meno originale o addirittura rivoluzionaria e non è difficile constatare quanto lo stile possa variare.

La scelta dello stile dipende da vari fattori: il tipo di musica che il video veicola, il messaggio che l’autore vuole trasmettere, la notorietà del cantante o del gruppo musicale e soprattutto il regista a cui è stata affidata la direzione del video, anche se, spesso, regista e cantanti devono sottostare alle direttive della casa discografica, più interessata a creare un buon prodotto commerciale piuttosto che alla qualità estetica50.

Come afferma Andrea Del Castello, il video può avere un rapporto di tipo complementare con la canzone che veicola quando serve da ausilio alla sua promozione, ma può anche essere autonomo e indipendente rispetto ad essa, e diventare una forma di spettacolo in cui la canzone è solo un pretesto per sperimentare nuove soluzioni visive; altre volte l’opera audiovisiva può essere realizzata in quanto completamento del progetto creativo del cantante, che la utilizza “come ulteriore mezzo per esprimere intenti artistici correlati al testo e alla musica”51

.

49 Andrea Del Castello, op. cit. 50 Ivi.

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In questi casi, gli intenti artistici hanno la meglio e questo accade soprattutto quando l’autore del brano è un artista di un certo calibro, con un successo già avviato, che riesce a far valere le proprie idee in merito alla realizzazione del video e all’immagine che intende dare di sé attraverso la musica che crea, prende posizione in merito alla scelta registica e alla direzione del video e in alcuni casi, diventa egli stesso regista dell’opera audiovisiva in questione, poiché evidentemente è un artista a tutto tondo.

La qualità artistica, che incide sull’efficacia promozionale, dipende anche dagli elementi che sono stati coinvolti all’interno dell’opera e tra questi, la danza è uno di quei linguaggi che riesce a influire in modo consistente, sia sul grado di artisticità che sul grado di spettacolarità del prodotto.

Il ruolo assunto dalla danza all’interno dei videoclip varia a seconda dello spazio che le viene attribuito e degli altri elementi con cui essa si ritrova a dialogare.

Nel tentativo di far luce sull’importanza e sulla funzione che essa può assumere al loro interno, ho individuato tre tipologie di videoclip musicali contenenti momenti in cui si danza.

La prima categoria riguarda quei videoclip che sono girati come se fossero dei mini cortometraggi musicali e in cui è presente una trama narrativa:

videoclip-musical ispirati appunto ai musical cinematografici, ovvero a quei

film in cui la musica e la danza rappresentano una parentesi semi-onirica all’interno di un mondo che è già di per sé surreale, un mondo in cui è la musica che genera e giustifica il movimento e in cui vi è una perfetta integrazione tra narrazione, balletto e scenografia.

La seconda categoria riguarda quei videoclip in cui la danza è l’unico soggetto di rappresentazione: videoclip-coreografati che consistono nella ripresa di una coreografia di danza e in cui la durata di tale coreografia coincide interamente con la durata del brano e si utilizzano in modo

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particolare tagli di montaggio, cambi di piano, cambi di angolazione, ralenti,

rewind e zoom per valorizzarla al meglio.

La terza categoria riguarda videoclip in cui le coreografie vengono modificate in modo consistente grazie all’intervento del computer:

videoclip-digitalizzati, in cui vi è una notevole presenza di effetti speciali grafici, che

permettono la manipolazione dei corpi danzanti e il superamento dei loro limiti fisici.

Per ognuna delle suddette categorie ho individuato e analizzato alcuni esempi di videoclip. I generi musicali di cui essi fanno parte sono principalmente i generi pop, r’n’b e hip hop, in quanto generi caratterizzati da sound fortemente ritmati che richiedono quasi automaticamente una traduzione coreografica; ma ho incluso brani più melodici, in cui la danza può esprimere al massimo le sue potenzialità poetiche e surreali.

Poiché ogni videoclip non può essere definito in modo rigido come appartenente ad una sola delle categorie sopracitate, dopo aver scelto gli esempi di video che ritengo maggiormente calzanti per rappresentare ogni categoria, ho tentato di sottolineare, al loro interno, quegli elementi che, seppur presenti in piccole dosi, li avvicinano alle altre.

I video che ho analizzato sono stati realizzati dagli anni settanta in poi, ma in particolare, in seguito alla nascita di Mtv.

Sono videoclip che appartengono alla fascia più alta del mercato musicale e che hanno avuto o stanno avendo una diffusione globale, che sono stati prodotti da case discografiche importanti o realizzati da artisti affermati e di fama internazionale.

Ciò che rimane praticamente costante è il tentativo di realizzare delle opere che facciano sì che i fruitori-consumatori siano invogliati ad acquistare il relativo singolo o l’album in cui esso è contenuto, ma che siano soprattutto influenzati dall’immaginario veicolato dal video e in particolare, nei video

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che ho sottoposto ad analisi, dallo stile di danza che caratterizza le coreografie contenute in esso, a cui quasi sempre il cantante prende parte.

2.2. IL VIDEOCLIP-MUSICAL

Per comprendere meglio il ruolo che la danza assume all’interno dei videoclip in stile musical, è opportuno parlare dei casi in cui la musica e la danza sono state portate nel cinema, quindi aprire una parentesi sulla struttura dei film musicali, a cui tali cine-videoclip si ispirano.

Il musical è lo spettacolo per eccellenza, in grado di creare atmosfere da sogno, tramite canzoni indimenticabili e coreografie favolose. La danza, forma di divertimento, espressione e socializzazione, qui diventa momento di evasione e contribuisce a creare dei luoghi surreali in cui spesso tutto è musica e tutto è danza.

Nei film musicali, lo spazio si frantuma e si amplia grazie alle potenzialità della macchina da presa, che può diventare essa stessa danzante. Infatti, in alcuni casi si creano dei sistemi coreografici in cui è la macchina da presa, con i suoi movimenti, ad essere la creatrice dello spettacolo, in altri casi ne è solo spettatrice, ma comunque la musica, assieme alla danza, resta la protagonista assoluta.

Esse vengono inserite perfettamente all’interno della trama nei momenti più importanti, spesso senza essere motivate dalla trama stessa: in questo caso la musica e la danza sono dappertutto e nascono da situazioni quotidiane in modo spontaneo, dal sentimento e dalla passione dei personaggi.

In altri casi la presenza della musica e della danza è motivata direttamente dalla trama del film: per esempio quando si creano situazioni di intrattenimento o di spettacolo.

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Per classificare i videoclip-musical, seguirò in parte la classificazione proposta da Francesca Rosso nel libro Cinema e danza52.

Secondo Francesca Rosso, esistono tre categorie di musical: il fairy tale, il

folk musical e lo show musical.

Il fairy tale ricrea un mondo onirico e fantastico, un mondo in cui non valgono le leggi che valgono nel mondo ordinario; il folk musical assume delle connotazioni sociali e fa riferimento a situazioni reali e a problemi di attualità; infine nello show musical vengono narrate storie di aspiranti ballerini o cantanti, vengono messe in scena situazioni di spettacolo o di preparazione di uno spettacolo e spesso si segue il percorso di un personaggio che mira a farne parte.

Esistono poi musical in cui la danza e la vita rimangono sostanzialmente separate, e i questi casi, spesso, si ha una frammentazione del film e i momenti coreografati sono motivati dalla trama narrativa.

Nel secondo caso tutto è danza e tutto è musica, come in un sogno, il limite tra realtà e fantasia è sfumato, così come diventa sfumato il limite tra arte e vita: “la danza è vita”53

.

Per quanto riguarda i videoclip-musical, a parer mio, essi appartengono quasi sempre alla seconda categoria appena citata, perché, anche se al loro interno è presente una struttura narrativa ed eventuali momenti dialogati, è sempre la musica assieme alla danza ad essere all’origine dello spettacolo e quindi a sorgere in ogni luogo e in ogni momento.

52 Francesca Rosso, op. cit. 53

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2.2.1. VIDEOCLIP-MUSICAL A SFONDO ONIRICO:

Thriller DI MICHAEL JACKSON

a) CONTESTO

Secondo molti studiosi i videoclip hanno incontrato il cinema in una data ben precisa, il 1983, anno in cui viene realizzato il video Thriller di Michael Jackson, che, non a caso, sceglie di collaborare con il regista cinematografico John Landis.

Gli anni Ottanta sono gli anni d’oro per l’artista afroamericano: dopo aver iniziato la sua carriera come cantante principale nel gruppo dei Jakson Five, assieme ai fratelli e sotto il severo controllo del padre Joseph, Michael intraprende la sua carriera da solista, fino ad allontanarsi completamente dal gruppo e diventare la star internazionale che tutti conosciamo54.

Jackson molto presto si impose nel panorama musicale, oltre che per le sue doti di cantante, anche per le sue incredibili doti di ballerino e per il suo rivoluzionario modo di ballare: come ammesso dallo stesso Jackson, il suo obiettivo era quello di creare dei passi illusionistici che sembrassero sconfiggere le leggi della gravità ( la sua famosa camminata all’indietro detta

moonwalker ne è un esempio) e molti dei suoi passi provenivano dalle danze

praticate dalla comunità afroamericana, come il tip tap e il charleston, dalle evoluzioni di ballerini come Fred Astaire e Gene Kelly e di performer come James Brown e Jackie Wilson: egli prese tutto questo e lo trasformò in uno stile nuovo, uno stile che ha preso il suo nome, ormai famoso a livello internazionale55.

54 Nancy Griffin, Michael Jackson dietro le quinte di Thriller, Mondadori Electa S.p.a., Milano, 2011. 55

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