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Il fenomeno del fashion blogging come nuovo modello di comunicazione e rappresentazione della moda nell'era digitale

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Academic year: 2021

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(1)

U

NIVERSIT

Dipartimento

Corso

MARKETING

IL FENOMENO

NUOVO MODELLO

RAPPRESENTAZIONE

Relatore:

Prof.ssa Valeria Pinchera

Correlatore:

Prof.ssa Elisa Giuliani

ANNO

NIVERSITÀ

DEGLI

S

TUDI DI

Dipartimento di Economia e Management

Corso di Laurea Magistrale in

MARKETING E RICERCHE DI MERCATO

FENOMENO DEL FASHION BLOGGING

MODELLO DI COMUNICAZIONE

RAPPRESENTAZIONE DELLA MODA NELL’ERA

DIGITALE

Pinchera

Giuliani

ANNO ACCADEMICO 2013-2014

DI

P

ISA

Management

MERCATO

BLOGGING COME

COMUNICAZIONE E

NELL’ERA

Candidato:

Alessandro

Esposito

(2)

Alla mia famiglia,

ragione ed essenza della vita.

Agli affetti andati,

che hanno contribuito a formare l’uomo.

Ad Alessandra,

orizzonte del mio futuro.

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(4)

INDICE

Introduzione ... 5

1 I mille modi di fare moda ... 10

1.1 Il dibattito e le ricerche sulla moda: modelli di diffusione nel tempo ... 10

1.2 I processi di legittimazione della moda ... 18

1.3 La globalizzazione investe anche il settore della moda ... 27

1.4 I protagonisti del settore ... 35

2 Fashion Blogger: le nuove icone nel panorama moda ... 43

2.1 Come diventare una blogger di successo ... 43

2.2 Un nuovo modo di fare tendenza ... 53

2.3 Ruolo e potere di influenza dei blog di moda sulle scelte dei consumatori ... 67

3 L’analisi sul campo ... 88

3.1 Fashion Blogger: lo studio di casi reali ... 88

3.1.1 The Sartorialist ... 92

3.1.2 Mariano Di Vaio ... 101

3.2 Sviluppi futuri dei “nuovi” protagonisti del settore ... 107

Conclusioni ... 120

Bibliografia ... 125

(5)

INTRODUZIONE

Il seguente lavoro di tesi analizza il fenomeno del fashion blogging, che nell’ultimo decennio ha contribuito a ridefinire l’intero sistema della moda sia dal lato della domanda che dell’offerta. Questa realtà, di recente costituita, si configura ad oggi come la nuova frontiera della comunicazione per ciò che attiene i processi di diffusione di nuovi stili e tendenze. Nell’attuale universo moda i protagonisti di questo nuovo settore, le blogger, che vedono aumentare col tempo il loro potere, vengono collocate al fianco delle principali istituzioni in materia, con le quali collaborano al fine di influenzare e direzionare i comportamenti consumistici degli individui. Quello del blogging di moda è un fenomeno ancora in piena evoluzione, capace di fungere da collegamento tra la grande massa di consumatori e il mondo delle passerelle e delle sfilate considerato, fino a qualche anno fa, inarrivabile per il pubblico. I motivi del suo straordinario successo sono ricollegabili proprio alla capacità del blogging di configurarsi come elemento di rottura rispetto al passato, e di seguire le evoluzioni che interessano in particolare il settore della tecnologia. A riguardo l’Europa dei secoli XVII e XVIII era caratterizzata da sistemi fortemente gerarchici, nei quali un ruolo preminente era riconosciuto ai soggetti collocati al vertice della scala sociale, gli unici in diritto di assumere le principali decisioni anche per ciò che riguardava le scelte d’abbigliamento. Nobili, aristocratici e membri delle famiglie reali. Erano questi i protagonisti esclusivi che dominavano il settore e, sfruttando l’elevata posizione istituzionale ad essi riconosciuta, imponevano il loro personale credo all’interno delle diverse culture sociali. In questi contesti non era, quindi, riconosciuta grossa libertà agli individui, per ciò che atteneva alle scelte nel vestiario, e la regola principale che dominava in società era quella dell’uniformità. Col passare del tempo, e grazie alle evoluzioni tecnologiche che si sono realizzate, la situazione è notevolmente mutata. In tempi moderni è riconosciuta molta più libertà agli individui per ciò che concerne le scelte d’abbigliamento, e questo in relazione alla nuova posizione assunta dalle principali istituzioni di settore, che non assolvono più al ruolo patriarcale di un tempo, ma assistono l’individuo in ogni singola fase dei relativi processi decisionali. Proprio in virtù del nuovo ruolo riconosciuto al consumatore ordinario, che non accetta più passivamente i dettami a questi imposti dall’alto, ma al contrario partecipa in prima persona ai processi di diffusione di nuovi stili e tendenze, anche il settore moda ha dovuto adeguarsi a questa nuova situazione. In questo scenario di rinnovata

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partecipazione e scambio reciproco quella del fashion blogging è una realtà fortemente consolidata nell’ambito dell’attuale sistema moda, capace di collocare l’individuo al centro dello stesso, e di operare assecondando le tappe evolutive che caratterizzano i moderni sistemi sociali. Questo studio intende, in tal senso, offrire una panoramica di tale fenomeno, analizzandone le principali caratteristiche, e cercando di capire in che modo questo è riuscito ad affermarsi in questo sistema così articolato e complesso. Quella del blogging di moda è la storia di un recente successo, che si è sviluppata soltanto negli ultimi anni e con diverse modalità all’interno dei singoli tessuti sociali. Negli USA il fenomeno ha già raccolto un incredibile numero di consensi, e risulta radicato ormai alla cultura di quelle società. Ma in altri contesti come quello europeo, ed in particolare del nostro Paese, c’è ancora molta diffidenza a riguardo di un possibile sviluppo dello stesso, anche se il successo conseguito non sembra lasciare spazio a dubbi circa la sua futura evoluzione. Vi sono poi mercati emergenti, come quelli dei paesi Orientali, Cina e Giappone su tutti, nei quali la realtà del fashion blogging assume una forma sempre più concreta e definita, in linea con le evoluzioni tecnologiche e sociali del nostro tempo. La letteratura a disposizione per l’analisi è dunque piuttosto scarsa, ma ciò nonostante sufficiente per descrivere la fase iniziale di un fenomeno a tutt’oggi in piena fase di crescita. Visti gli sviluppi che riguardano questa nuova frontiera della comunicazione di moda, un numero sempre crescente di individui si avvicina allo studio della tematica, non potendone ormai trascurare il grande successo conseguito. Sociologia, Marketing e Management, Consumer Culture Theory sono soltanto alcuni tra i più importanti filoni che per primi si sono avvicinati all’analisi del blogging di moda, cercando di intuire le motivazioni che inducono gli individui a dare così tanto credito a questo e ai relativi protagonisti, le fashion blogger. Sulla base di questa letteratura, lo studio indaga, anzitutto, sull’origine del fenomeno, attraverso un approccio multidisciplinare. A riguardo bisogna notare che il blog è uno strumento che nasce e si sviluppa in contesti invero molto diversi da quello della moda, e per esigenze legate a tristi accadimenti. L’11 Settembre 2001 è un giorno che difficilmente potrà essere rimosso dal calendario, perché segna uno dei più gravi eventi mai vissuti nella storia dell’umanità. L’attentato terroristico realizzato al World Trade Center di New York resterà per sempre indelebile nelle nostre menti e nelle coscienze, e ha cambiato irrimediabilmente la prospettiva e l’atteggiamento di ognuno di noi. Al di là delle tragiche vicende umane, legate alle tante vite strappate a questo mondo, ciò che interessa la nostra analisi attiene strettamente alla cronaca di quell’evento. Nello stesso

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momento in cui l’attentato si consumava il mondo del web, con i blog in prima fila, divulgava con straordinaria rapidità notizie su quanto accaduto, e aggiornamenti continui sul numero delle vittime e le evoluzioni di quella infausta giornata. Molto più rapidamente del pubblico dei tradizionali mass media il popolo del web venne a conoscenza dell’evento, e questo segnò un momento di svolta per ciò che concerne le evoluzioni del sistema di rete Internet. Ben presto ci si rese conto che il mondo dell’online viaggiava a una velocità difficilmente eguagliabile, riuscendo a garantire un’informazione puntuale e aggiornata a tutti i suoi utenti. Non trascorse molto tempo, quindi, prima che i blog cominciassero a diffondersi nell’ambito del web, e a interessarsi di altre tematiche, molto più leggere di quella appena descritta. Ed è proprio questo il punto di rottura rispetto al passato, che sancisce la definitiva affermazione dello strumento del blog anche nell’universo moda. Se la nascita si è certamente realizzata per caso, lo stesso non si può affermare infatti per gli sviluppi che caratterizzeranno il fenomeno negli anni a venire. Sulla base delle informazioni raccolte, e l’analisi di alcuni dei più famosi casi di influencer di questa frontiera della comunicazione 2.0, tra i quali quello riguardante il modello italiano Mariano Di Vaio, e il più conosciuto fotografo di moda Scott Schuman di The Sartorialist, lo studio realizzato cerca di indagare le ragioni di un successo che ha quasi dell’incredibile, e cerca di prevederne una possibile evoluzione futura.

Il lavoro di tesi è articolato in tre capitoli. Il primo capitolo affronta la tematica inerente ai diversi studi che analizzano, più in generale, le evoluzioni realizzate nel tempo nell’ambito del sistema moda. Dai contesti sociali caratterizzati dal ruolo preminente dei membri appartenenti alla classe dirigente, fino ad arrivare ai giorni nostri, passando per una radicale trasformazione nei meccanismi di legittimazione e diffusione di nuovi stili e tendenze. Modelli di propagazione di tipo top-down, (dall’alto al basso), come quelli elaborati attraverso le teorie di alcuni importanti sociologi, tra cui Georg Simmel e Thorstein Veblen, autori rispettivamente dei principi del “trickle down effect” il primo, e di agiatezza e consumo vistoso il secondo, sono stati sostituiti da sistemi evoluti, in base ai quali la moda, in epoche contemporanee, nasce e si sviluppa attraverso diversi contesi sociali e urbani. Si è poi fatto riferimento al ruolo della globalizzazione, che ha necessariamente interessato anche l’industria della moda. Proprio in virtù degli sviluppi da questa apportati al sistema evolutivo, e più nello specifico dal ruolo e dall’importanza attribuita alla tecnologia, siamo oggi di fronte a un sistema caratterizzato dalla centralità del web, sia per ciò che concerne l’introduzione di

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nuove mode, sia anche per il rapporto col pubblico dei consumatori. Ed è in questo contesto che il blogging di moda assume valore, configurandosi come nuovo strumento di comunicazione. Grazie alle sue specifiche caratteristiche è riuscito a realizzare una vera e propria rivoluzione nell’ambito dell’intera industria, modificando anche il comportamento dei singoli. A riguardo il secondo capitolo dell’elaborato analizza il successo del fashion blogging, indagando innanzitutto sul processo di formazione e sulle competenze specifiche possedute da questi nuovi giornalisti del web. Successo che risulta essere legato a una serie di fattori, ciascuno dei quali si riferisce, indissolubilmente, allo specifico rapporto tra i blogger e il loro pubblico, che deve essere sempre coltivato e alimentato, anche quando è stato raggiunto l’apice in questa attività. A tal proposito numerosi sono stati i filoni di studio che hanno indagato sulla natura di tale rapporto, e sulle motivazioni del successo conseguito dalla nuova realtà del blogging di moda. Su tutti il lavoro si focalizza su quello della Consumer Culture Theory, attraverso la considerazione di un articolo pubblicato all’interno delle pagine del Journal of Consumer Research nel 2013, e intitolato The Megaphone Effect: Taste

and Audience in Fashion Blogging. Gli autori di questa pubblicazione, McQuarrie,

Miller e Phillips, mediante l’analisi di dieci diversi profili professionali, descrivono minuziosamente le singole tappe che caratterizzano il percorso evolutivo di una fashion blogger, portandola ad affermarsi come nuova leader nel gusto. Dalla fase iniziale di costituzione del blog fino ai vertici del settore, l’articolo non perde mai di vista il ruolo dei lettori, gli unici in grado di decretare il successo o l’insuccesso personale di ogni singola protagonista. Altri studiosi invece, come l’antropologa Agnés Rocamora, indagano sui principali fattori che giustificano la preponderante affermazione di questa frontiera della comunicazione 2.0, e delle fashion blogger nell’ambito dell’intero sistema moda. Ancora una volta, dall’analisi, emerge la straordinaria importanza riservata al pubblico il quale, attraverso processi di democratizzazione, immedesimazione e compartecipazione acquisisce un ruolo molto più centrale, rispetto al passato, nei relativi sistemi di sviluppo della moda in epoche contemporanee. La prima e più importante motivazione analizzata attiene alla posizione di questi nuovi protagonisti di settore. A differenza degli organi più tradizionali, su tutti giornalisti, redattori ed editori, che possono contare su una più elevata posizione istituzionale, l’autorità delle blogger è sancita, esclusivamente, da normali consumatori. Con l’avvento dei blog questi sono, adesso, al centro di ogni discorso, e si configurano come parte essenziale nello sviluppo di nuovi stili e tendenze, e l’intera industria è stata

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costretta ad adeguarsi a tale situazione. Questa è la più incredibile conseguenza legata all’evoluzione che il blogging, e più in generale il sistema di rete Internet, ha realizzato. Quella, cioè, di ridefinire i confini del sistema, di dare vita a un processo di democratizzazione della moda, in cui il pubblico non ha più una posizione marginale, ma è l’ago della bilancia che sancisce il successo o l’insuccesso di una linea lanciata sul mercato, partecipando, nel contempo, alla relativa realizzazione. Oltre che nel rapporto col pubblico, la notorietà del fenomeno del blogging è testimoniata anche dall’atteggiamento delle tradizionali istituzioni. Nell’ultima parte del secondo capitolo, a riguardo, vengono riportati alcuni esempi di personaggi appartenenti al mondo dello spettacolo, come Alessia Marcuzzi e Melissa Satta che, intuendo le potenzialità di questa nuova frontiera della comunicazione, hanno deciso di aprire un blog ottenendo, tra l’altro, un discreto pubblico. Nel terzo capitolo infine, conclusivo dello studio, vengono nello specifico esaminate le evoluzioni professionali di due esperti di settore, come Mariano Di Vaio e Scott Schuman, sulla base di una fondamentale distinzione, ovvero quella tra chi fa e chi rappresenta la moda. Queste due posizioni, all’apparenza antitetiche tra loro, sono invero molto più vicine di quanto non sembri, come sarà possibile notare, e si configurano come due diverse strade da intraprendere per chi decide di far carriera in questo mondo. Le ultime pagine di questo studio si focalizzano sull’ambivalente e controverso rapporto che, negli anni, ha interessato i rappresentanti del fashion blogging e i soggetti appartenenti alle principali istituzioni di settore. Nonostante l’atteggiamento prevalente di giornalisti, in primis, ma anche di redattori ed editori di riviste sia contrario all’ascesa di questo nuovo fenomeno, questi soggetti si trovano costretti ad accettarne la preponderante affermazione nell’ambito del sistema. E il segno più tangibile, forse, del successo ottenuto da questa frontiera della comunicazione 2.0 in tempi moderni è dato dalla scelta di alcuni membri di queste categorie che, in linea con le evoluzioni più moderne, scelgono di costituire anch’essi un blog, abbandonando le resistenze che hanno maturato dall’iniziale fase di sviluppo del fenomeno. Quello del fashion blogging è uno strumento troppo giovane, e questo non consente di esprimere, con certezza, opinioni su una sua evoluzione in futuro. Ma gli elementi che emergono dall’analisi fanno pensare che il destino sembra sorridere a questa nuova maniera di fare e comunicare la moda.

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1.

I MILLE MODI DI FARE MODA

1.1 Il dibattito e le ricerche sulla moda: modelli di diffusione nel tempo

Nell’immaginario collettivo la moda è da sempre considerata un fenomeno in continuo rinnovamento, in grado di esaurirsi e rinascere nuovamente sotto diverse forme, in base al contesto storico e sociale in cui essa viene a manifestarsi, destinata a perdurare nel tempo senza mai perire. In quanto tale il fenomeno moda ha destato un crescente interesse da parte dei diversi filoni delle scienze sociali, che l’hanno studiata e rivalutata attraverso molteplici chiavi di lettura: dalla sociologia, passando per l’analisi degli aspetti antropologici, finanche ad arrivare alle principali implicazioni sugli studi di marketing e merchandising. La moda non ha mai smesso di influenzare il modo di operare e assumere decisioni delle più autorevoli rappresentanze in materia. Sebbene, quindi, si è portati a pensare che la moda sia un aspetto ormai così presente e penetrante all’interno del nostro tessuto sociale, del nostro vivere quotidiano, tuttavia c’è da osservare che non è sempre stato così. Nonostante i primi assunti e testi nei quali appaiono elencati e descritti i modi di vestire nelle culture d’Oriente ed Occidente risalgono al XVI secolo1, soltanto in tempi recenti la moda è stata riconosciuta come un fenomeno rilevante, non soltanto puramente accademico, ma anche e soprattutto legato a questioni economiche, in virtù dell’impatto così imponente che la moda stessa ha sul sistema economico globale. Prima di indagare su quelli che sono gli aspetti più specificamente connessi ai processi di diffusione e legittimazione della moda all’interno delle diverse culture societarie, risulta tuttavia necessario comprendere il significato intrinseco della moda stessa, e a tal proposito sarebbe opportuno porsi un quesito: che cosa si intende effettivamente quando si parla di moda. La questione, all’apparenza di facile risoluzione, non è in realtà così vicina ad una conclusione univoca, e ancora oggi diverse sono le posizioni assunte dagli studiosi nel tempo, soprattutto in campo sociologico, nel cercare di attribuire uno specifico significato al fenomeno moda stesso. Oltre alle questioni più strettamente connesse al significato, tuttavia, ciò che davvero in questo contesto acquisisce un valore predominante, e rende ancor più difficile muoversi in un’unica direzione nel cercare di attribuire un solo significato al termine moda stesso, è la rilevanza e l’impatto diverso che la moda assume all’interno dei singoli contesti

1

G. Butazzi, Repertori di costumi e stampe di moda tra i secoli XVI e XVIII, in Storia della moda, a cura di R.Varese, G.Butazzi, Bologna 1995, pp. 1-25.

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sociali. Solitamente, nel parlare di moda, si tende a confondere il termine con quello di abbigliamento, come se le due parole avessero lo stesso significato. Nel linguaggio comune probabilmente è così, basti pensare che per esprimere gradimento nei confronti di un determinato outfit indossato comunemente si utilizza l’espressione di abbigliamento “alla moda”. Tuttavia in una prospettiva sociologica i due termini sono tra loro connessi, ma esprimono diversi concetti. Per abbigliamento, infatti, deve intendersi tutto ciò che ha a che fare con i capi, i vestiti quotidianamente indossati dagli individui; all’abbigliamento, quindi, può essere conferita una accezione strettamente materiale. La moda, al contrario, è correlata sì ai vestiti, ma si riferisce agli aspetti intrinsecamente contenuti in essi, ovvero ai significati che coi diversi capi d’abbigliamento ogni singolo individuo vuole trasmettere. Partendo da questa importante quanto fondamentale distinzione bisogna poi calare il concetto stesso di moda all’interno delle diverse realtà sociali. A tal riguardo è interessante, dunque, osservare quali sono stati i principali modelli attraverso i quali la moda si è diffusa nel tempo all’interno dei singoli e diversi contesti. Innanzitutto occorre capire che cosa si intende quando si parla di diffusione della moda. I processi di diffusione differiscono notevolmente da quelli di semplice adozione; l’adozione si realizza allorquando un singolo individuo decide, arbitrariamente, di acquisire per un determinato periodo di tempo il possesso di un dato bene e quindi, in tal caso, stiamo facendo riferimento ad un unico soggetto. Differente è, invece, l’ipotesi di diffusione di un certo comportamento di consumo; parliamo di diffusione quando il bene in oggetto non viene adottato da un solo individuo, ma si diffonde, con una certa rilevanza, all’interno di un determinato contesto o gruppo sociale, in modo tale che si realizzi un’adozione da parte di più individui. Nel corso dei secoli i processi che giustificano la diffusione del fenomeno moda all’interno dei diversi contesti sociali si sono radicalmente modificati, fino ad arrivare a quelli maggiormente adottati in tempi moderni. Lo sviluppo dei diversi modelli di diffusione nel tempo, e la velocità con la quale gli individui provvedono ad adottare una novità, è legato ad una serie di fattori chiave, tra cui un ruolo fondamentale viene attribuito a quelli che possiamo definire come “opinion leaders”. Gli opinion leaders altro non sono che persone in grado di esercitare una certa influenza sulle principali scelte di consumo da parte dei diversi individui. In virtù soprattutto di una migliore e più elevata posizione sociale che occupano, questi soggetti sono in grado di condizionare in maniera più o meno accentuata le scelte dei singoli, direzionando il comportamento consumistico verso questo o quell’altro bene. Occorre sottolineare che,

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le principali differenze relative ai processi di diffusione della moda nei secoli, sono in buona parte da attribuire ai cambiamenti che hanno interessato il ruolo e la figura stessa di questi opinion leaders di settore. Nella società aristocratica europea dei secoli XVII e XVIII, le figure di riferimento della moda erano i membri delle famiglie reali, e le loro vetrine erano le corti2. In realtà la rappresentazione della corte reale come spazio di aggregazione e luogo ove mettersi in mostra nasce già in un periodo antecedente a quello indicato. Nel XVI secolo infatti, in Inghilterra, sotto l’egida di Elisabetta I, assistiamo alla nascita della moderna società dei consumi. La regina aveva deciso di accentrare interamente il governo all’interno del suo reame, con l’obiettivo di mostrare a pieno lo sfarzo e la ricchezza della sua corte come immagine esemplificativa del dominio inglese sull’Europa. Sulla base di quanto realizzato da Elisabetta quindi, nei secoli successivi, le corti reali delle principali potenze del continente divennero il luogo principale ove far prosperare i consumi, in particolare quelli relativi all’abbigliamento-moda. La corte, dunque, divenne il luogo dell’ostentazione, e i membri delle famiglie reali i protagonisti nello sviluppo del concetto e del fenomeno stesso della moda. Inoltre, in qualità di mecenati, i nobili aristocratici assumevano anche il compito di promuovere e proteggere l’opera dei più valenti scultori, pittori e artigiani, che lavoravano a corte contribuendo ad accrescere la magnificenza della stessa. Gli artigiani, in particolare, adornavano i ricchi potenti di abiti alla moda, che venivano ceduti, da questi ultimi, ai loro attori di teatro preferiti, facendo sì che il teatro stesso diventasse, a quel tempo, lo specchio dei costumi di moda più in voga. In quel periodo il centro di riferimento era rappresentato dalla città di Parigi, e la corte francese giocava un ruolo fondamentale nel processo di diffusione della moda. Il palcoscenico del teatro, nell’ambito della corte, divenne il luogo attraverso il quale mettere in mostra i costumi più alla moda di quel periodo, e venne considerato come tale fino all’insorgere della Rivoluzione. Successivamente, per circa un secolo, il teatro perse in gran parte il ruolo di catalizzatore nei processi di diffusione della moda, riacquisendo lustro soltanto nel periodo a cavallo tra la fine del XIX secolo e lo scoppio del primo conflitto mondiale. Sulla base di quanto detto finora, tuttavia, occorre fare una precisazione: se da un lato è vero che la corte, costituita soprattutto dai nobili aristocratici, ha per lungo tempo dettato legge, in campo d’abbigliamento, su ciò che dovesse essere considerato alla moda e non, dall’altro, nell’Europa descritta sopra dei secoli XVII e XVIII, erano molto

2

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marcate le differenze tra individui in termini di status e classe sociale. Per questi motivi, sebbene tutti o quasi cercassero di seguire i dettami stabiliti dalla classe aristocratica del tempo, in materia di abbigliamento, era possibile capire, al solo sguardo, a quale categoria sociale appartenesse un dato individuo sulla base di ciò che indossava. Per capire, dunque, quali sono le principali direzioni assunte dai processi di diffusione della moda nel tempo, (la direzione è forse l’aspetto fondamentale su cui si concentra l’impianto sociologico in materia)3, possiamo considerare gli assunti teorici di due dei più importanti studiosi del tema: Georg Simmel e Thorstein Veblen. Il primo, all’interno del suo saggio sulla moda pubblicato nel 19114, propone gli assunti di quella che soltanto successivamente è stata definita come “teoria del gocciolamento” (trickle-down). Al fine di dare una corretta spiegazione della teoria postulata da Simmel, e capire come essa sia perfettamente coerente, o quantomeno adeguabile al discorso sulla moda, occorre partire dalla visione che lo stesso autore aveva della società del tempo; una visione di tipo dualistico basata su due principi: quello di generalizzazione e l’altro di specializzazione. Secondo il nostro i cambiamenti all’interno del sistema sociale si realizzano proprio in virtù della tensione costante che c’è tra questi due principi ai quali, a loro volta, corrispondono due diverse categorie di individui: al principio di generalizzazione corrisponde quello che Simmel definisce “individuo imitativo”, mentre a quello di specializzazione il cosiddetto “individuo teleologico”. Le due categorie di soggetti individuate dall’autore differiscono in virtù del fatto che, mentre il primo realizza un vero e proprio processo di pura e semplice imitazione, il secondo è, al contrario, alla ricerca di nuove sensazioni, di qualcosa di nuovo mai provato prima. Il paradigma teorico posto in essere da Simmel può, per questo, essere applicato alla moda. Se infatti consideriamo l’ipotesi che esistono tante mode quante sono le classi all’interno di un sistema sociale, ci accorgiamo che i processi di inclusione o esclusione a un gruppo si realizzano proprio in virtù dell’appartenenza o meno allo stesso, della possibilità o meno di adottare un certo tipo di abbigliamento o foggia, che ci rende simili o diversi dai membri del gruppo. L’autore associa il principio di generalizzazione ai soggetti che appartengono ai gradini più bassi della scala sociale, i quali sono intenzionati, con l’obiettivo di migliorare il loro status, ad imitare i comportamenti consumistici delle classi a loro superiori; non a caso abbiamo detto che a tale principio

3

P. Corrigan, La Sociologia dei Consumi, Franco Angeli, Milano 2002.

4

G. Simmel, Die Mode, in Philosophische Kultur: gesammelte Essays, Leipzig 1911, pp. 29-52 (trad. it., La Moda e

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corrispondono individui imitativi. A loro volta le classi collocate ai vertici della gerarchia sociale, minacciate della loro superiorità anche in campo di vestiario, vanno alla ricerca della novità, con l’intento di differenziarsi e ampliare nuovamente la distanza rispetto alle classi meno abbienti; ecco perché Simmel associa agli individui di tali classi il principio di specializzazione, definendoli come individui teleologici. Nella prospettiva elaborata dall’autore, dunque, la moda viene concepita come una goccia che, dall’alto della scala sociale, si muove lentamente verso il basso, raggiungendo le classi ai livelli inferiori e permeando l’intero sistema. Ovviamente, al fine di adattare questo schema al campo della moda, è necessaria una gerarchia ben definita e accettata nell’ambito della società di riferimento. Diverso, rispetto a Simmel, è l’approccio dello studioso Thorstein Veblen in tema di abbigliamento. L’autore, in una delle sue opere più importanti5, collega il concetto di abbigliamento al fenomeno dell’ostentazione. Per Veblen l’abbigliamento esprime un aspetto preciso della struttura sociale: la ricchezza. Il nostro fonda la sua teoria su due concetti fondamentali: quello di “agiatezza vistosa” (conspicous leisure), e quello di “consumo vistoso” (conspicous consumption). Lasciando da parte, in quanto non specificamente connesso al tema in esame, il primo dei due concetti, prendiamo in considerazione il secondo. Per consumo vistoso Veblen intende uno specifico comportamento in base al quale, la posizione finanziaria dell’individuo, soprattutto se di maggiore ricchezza, deve essere ostentata attraverso attività di consumo. Sulla base del fatto che la ricchezza, come detto, è il fulcro della teoria vebleniana di status sociale, l’abbigliamento è sicuramente il modo principale attraverso il quale l’individuo può ostentarla. Oltre che come indicatore della ricchezza di un soggetto, l’abbigliamento, nella prospettiva di Veblen, assolve ad altre due importanti funzioni: da un lato, attraverso la messa in mostra di abiti particolarmente costosi, soprattutto adatti al corpo della donna, si vuole dimostrare che la ricchezza di un individuo non deriva in alcun modo da alcuna attività produttiva; dall’altro, con le sue teorie, l’autore riesce a motivare anche i cambiamenti che si sono realizzati nel campo dell’abbigliamento nel corso del XIX secolo, e che si sono poi protratti nel periodo successivo. Se i secoli precedenti erano stati caratterizzati dal ruolo preminente delle famiglie aristocratiche, in tema di mode e abbigliamento, il XIX secolo, anche grazie all’accresciuto potere finanziario dei singoli, è il secolo che determina un maggiore livellamento nel modo di vestire delle diverse classi sociali, in modo tale che

5

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l’abbigliamento delle persone meno abbienti fosse il più diretto segnale di uno stato sociale più basso, e quindi considerato volgare. I modelli di cui si è discusso sino a questo momento, (ovvero quelli di Simmel e Veblen), sono modelli di diffusione di tipo “top-down”, ovvero dall’alto al basso, nei quali un ruolo preminente viene riconosciuto ai soggetti che appartengono alla élite sociale, visti come i promotori effettivi della moda, in grado di influenzare i giudizi e le scelte altrui; quelli che sono stati definiti, in precedenza, come gli opinion leaders. Tali modelli, come detto, sembrano conciliarsi perfettamente coi processi di diffusione della moda tipici del XVII e XVIII secolo, periodo nel quale l’Europa era dominata dalla presenza delle diverse monarchie nazionali, in grado di decidere e direzionare gusti e opinioni dei singoli verso determinati e stabiliti comportamenti di consumo. Il sociologo Brenninkmeyer, a riguardo, propone una sua personale definizione della moda, parlando di << consuetudine vestimentaria prevalente nella società in un determinato momento storico >>6. Definire la moda come una consuetudine consolidata all’interno di un dato sistema sociale appare, oggi, quasi come una forzatura eccessiva; la moda, infatti, assume tanti e diversi significati in base alle manifestazioni diverse della stessa nei più variegati contesti culturali. Ciascun individuo è libero di interpretare, nella maniera che ritiene più opportuna, e di attribuire di conseguenza uno specifico significato, al fenomeno moda stesso. Tuttavia la definizione offerta da Brenninkmeyer, di cui sopra, risulta essere molto più calzante se consideriamo il fenomeno della moda per come esso si è evoluto nel corso dei secoli, e in particolare con riferimento ai modelli di tipo top-down appena descritti. Eppure, a seguito dell’evoluzione di carattere politico e sociale, ma anche e soprattutto tecnologica dei secoli successivi, assistiamo ad un lento ma costante declino dei modelli di diffusione di questo tipo. Prima di arrivare a parlare di quelli più diffusi in tempi recenti occorre tuttavia fare cenno agli sviluppi che hanno caratterizzato il modo di vestirsi nel corso del XIX secolo; questo, infatti, è il secolo della grande Rivoluzione Industriale. Il sociologo Richard Sennet a riguardo, in una delle sue opere7, analizza proprio quelli che sono i principali sviluppi del fenomeno abbigliamento nel corso dei secoli e osserva che, rispetto all’evoluzione tipica attraverso modelli di tipo tradizionale (top-down) del periodo precedente, il XIX secolo può essere definito come il secolo del “grigiore impersonale”. Con questa accezione l’autore intende porre l’accento sul fatto che, anche e soprattutto in virtù del disordine sociale che dominava la

6

I. Brenninkmeyer, The Sociology of Fashion, Westdeutscher Verlag 1963.

7

(16)

società del tempo, gli individui non sembravano essere così propensi al cambiamento e alle sperimentazioni di nuovi modi di vestire, per paura di apparire troppo diversi agli occhi degli altri. Assistiamo quindi, in questo secolo, ad un vero e proprio rovesciamento, non soltanto per ciò che concerne il tema dell’abbigliamento, ma anche nell’analisi stessa dell’individuo all’interno del contesto sociale di riferimento. Se nei secoli precedenti, infatti, bastava dare un’occhiata ai capi indossati per capire il ceto sociale cui apparteneva un soggetto, in questo periodo non è più così e, a fare la differenza in termini di status, sono adesso i dettagli. L’occhio dell’osservatore diviene più attento nello scorgere gli aspetti più minuziosi della persona e degli oggetti d’abbellimento che questa indossa. Sebbene, dunque, le differenze non erano più così marcate, i dettagli rivelavano molto più di ciò che si cercasse di tenere nascosto. Il XIX secolo quindi, in questa prospettiva, funge da vero e proprio spartiacque tra i modelli di diffusione tipici dei secoli XVII e XVIII e quelli che si sono poi sviluppati e consolidati in tempi ed epoche più recenti, arrivando fino ai giorni nostri. In un contesto come questo appena descritto appare evidente che, nonostante le differenze tra classi fossero ancora largamente diffuse in società, non risultavano essere tali da giustificare l’applicazione di un modello di diffusione della moda dall’alto al basso come in passato, il quale, come detto, necessita di una gerarchia sociale ben definita. L’alternativa a questo è rappresentata dall’adozione di un modello di diffusione contrario, dal basso verso l’alto (bottom-up), in cui nuovi stili emergono in gruppi di condizione inferiore e sono successivamente adottati dai gruppi di condizione più elevata8. A riguardo, già la visione di Simmel della moda che scivola dall’alto al basso della scala sociale come una goccia, è stata criticata dall’antropologo Grant McCracken9, il quale osserva che l’utilizzo del termine “gocciolamento” risulta essere piuttosto improprio; sarebbe, a riguardo, più giusto parlare di “inseguimento-fuga”, al fine di giustificare la direzione assunta dai processi di diffusione della moda. McCracken, utilizzando la parola “inseguimento”, vuole riferirsi alle classi collocate ai livelli più bassi della scala sociale, le quali intendono raggiungere, e per questo inseguono, quelle più elevate. Viceversa, queste ultime, con l’intento di distinguersi e non confondersi con le precedenti, fuggono verso la ricerca del diverso. Per certi versi, in questa prospettiva, possono essere recuperati i principi di generalizzazione e specializzazione di cui parlava Simmel

8

Kawamura, La Moda, Il Mulino, Bologna 2006, op. cit., p. 108.

9

G. McCracken, Culture and Consumption. New Approaches to the Symbolic Character of Consumer Goods and

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poiché, comunque, vengono rispettati i ruoli di imitatori per i soggetti meno abbienti, e innovatori per quelli socialmente più elevati. Tuttavia assistiamo ad un ribaltamento nella direzione stessa del processo: sono le classi sociali più basse ad indurre il cambiamento, secondo McCracken, e non più viceversa. Sembrerebbe questa la direzione verso la quale si muovono i modelli di diffusione di più recente introduzione e sviluppo, in base ai quali è cambiata, nei secoli, non soltanto la struttura societaria di riferimento, ma anche e soprattutto il ruolo dei consumatori in tema d’abbigliamento. Mentre nei modelli di tipo top-down le mode venivano imposte dall’alto, dai membri appartenenti all’élite societaria, e i consumatori assumevano, a riguardo, un ruolo di semplice e passiva accettazione delle stesse, in questi modelli opposti è il consumatore che, in un certo senso, detta le regole del gioco, partecipando attivamente ai processi di diffusione della moda stessa. Il ricorso a modelli di questo tipo, (bottom-up), giustifica ampiamente l’evoluzione che si è realizzata in tempi più recenti, ovvero negli anni Sessanta e Settanta del XX secolo, nel campo dell’abbigliamento. I movimenti sociali e culturali di quegli anni hanno avuto importanti riflessi anche per ciò che concerne la nascita di nuovi stili e tendenze, emersi proprio in virtù della nuova posizione riconosciuta ai consumatori nei processi di costruzione e diffusione della moda. La direzione assunta dai nuovi modelli di diffusione non è più di tipo top-down, come nei secoli addietro, ma nemmeno pienamente bottom-up; le mode, oggi, nascono e si sviluppano in contesti sociali talvolta molto differenti tra loro, come le sub-culture giovanili urbane studiate da Ted Polhemus10, e, di conseguenza, la moda non è più il prodotto esclusivo delle classi collocate al vertice della piramide sociale, bensì un fenomeno in grado di essere realizzato da determinati individui e destinato a diffondersi con modalità diverse per pubblici diversi. In virtù di tali evoluzioni anche la stessa industria della moda ha dovuto correggere il tiro nel modo di operare; nella moderna società industriale non esiste più la possibilità di soddisfare in maniera egualitaria il pubblico di consumatori con un medesimo prodotto, capo d’abbigliamento o foggia, ma è necessario realizzare e dirigere le proprie scelte verso una specifica nicchia del mercato, sia essa di fascia bassa, media o alta. Un tempo, nella società europea dei secoli XVII e XVIII, il sistema della moda risultava essere centralizzato con sede nella città di Parigi, ove la corte francese rappresentava lo standard di riferimento in materia; oggi, al contrario, è molto più difficile studiare e comprendere il sistema della moda in

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quanto, sulla base dei cambiamenti sociali e culturali descritti, si è assistito a un processo di decentralizzazione e globalizzazione del fenomeno.

1.2 I processi di legittimazione della moda

Come si è avuto modo di osservare, a seguito dei mutamenti del tessuto culturale, sociale e industriale dell’Europa nel corso dei secoli, si sono radicalmente modificati anche i processi attraverso i quali la moda si è diffusa nell’ambito delle singole realtà del continente, e di conseguenza nel resto del pianeta. Abbiamo parlato, in precedenza, di quelli che sono i fattori principali che influenzano la velocità con la quale una novità viene adottata e diffusa all’interno di un dato contesto, individuando il ruolo e l’influenza degli opinion leaders come uno dei principali. Nell’Europa del primo periodo preso in esame, come detto, ovvero quella del XVII e XVIII secolo, il ruolo degli opinion leaders, in campo di abbigliamento, spettava ai membri delle famiglie reali che, sulla base di modelli di tipo top-down, dettavano legge per ciò che dovesse essere considerato o meno di moda, e gli individui appartenenti ai ceti sociali più bassi direzionavano i loro comportamenti consumistici sulla base di quanto veniva loro imposto. Col passare del tempo, tuttavia, abbiamo assistito a un processo di evoluzione che, come logica conseguenza, ha determinato il tramonto definitivo di modelli di questo tipo. La moda al giorno d’oggi non si diffonde univocamente e in un’unica direzione, ma è legata a meccanismi di espansione che non vanno più dall’alto al basso, ma seguono traiettorie ben diverse dal passato. Inoltre nella società contemporanea, a differenza di qualche secolo fa quando l’attenzione si focalizzava quasi solo esclusivamente sull’esigenza di uniformarsi ai dettami imposti dall’alto, ciò che realmente assume un’importanza capitale è il modo di apparire agli altri. Per questi motivi non è assolutamente possibile parlare di modelli di diffusione della moda senza analizzare anche i processi che ne giustificano la relativa legittimazione. Del resto, nello spiegare che cosa si intende per diffusione della moda, si è detto che la diffusione si realizza allorquando un dato bene di consumo viene adottato da un cospicuo numero di individui appartenenti a un gruppo. L’adozione da parte di questi sottintende il fatto stesso che il bene in questione sia stato accettato come una buona novità all’interno di quel dato contesto. Soltanto a seguito dell’accettazione da parte dei membri del gruppo, il bene, legittimato del suo valore, potrà essere diffuso come una novità. Ecco quindi che anche la moda, prima di diffondersi nell’ambito dei diversi contesti sociali e

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culturali, deve passare per un processo di legittimazione. Tali processi si fondano su un elemento fondamentale: quello della comunicazione interpersonale. Secondo i sociologi Katz e Lazarsfeld, esperti sul tema, tale elemento è in grado di avere sugli individui un’influenza molto maggiore di altri11. Il parere di familiari, amici o anche semplici conoscenti su di un qualsiasi tema di interesse influisce, molto più nettamente sul giudizio personale, di altri fattori. Questo sembra essere ancor più evidente quando si parla di moda. Un capo d’abbigliamento o foggia, in grado di suscitare l’interesse e l’approvazione di gente a noi vicina, accresce la considerazione che abbiamo di noi e dello stesso; viceversa, i giudizi negativi ne scoraggiano una successiva adozione. Senza dubbio il parere di persone conosciute ha una certa rilevanza nelle scelte personali, ma l’opinione da parte di esperti sembra certamente contare di più. I leader influenti nei processi di legittimazione e diffusione della moda sono molto cambiati oggi rispetto ai tradizionali membri delle famiglie reali del passato. Il settore è oggi dominato dalla presenza di soggetti appartenenti a categorie sociali e culturali molto diverse: si va dalle celebrità del mondo del cinema a quelle della canzone, passando per personaggi di spicco in campo politico ed istituzionale, fino ad arrivare ai responsabili delle principali testate giornalistiche, ai pubblicitari e agli addetti al marketing, nonché ai redattori delle riviste di moda. Ciascuna di queste categorie influenza, più o meno nettamente, non soltanto la possibilità e la velocità con la quale un’idea si diffonde all’interno di un certo contesto sociale, ma soprattutto il modo stesso di operare di coloro i quali sono chiamati ad alimentare il processo di produzione e creazione di capi d’abbigliamento alla moda, ovvero gli stilisti. Parte integrante e principale del sistema moda nel suo complesso, questi ultimi sono i protagonisti nella fase di creazione e introduzione di una novità, la quale, al fine di ottenere consensi e riconoscimenti, deve però sottoporsi al parere degli esperti. Le creazioni realizzate dagli stilisti, prima di essere diffuse su larga scala nel mercato e distribuite al pubblico, devono quindi superare il processo di legittimazione e soddisfare i criteri fissati dai gatekeepers della moda. I termini gatekeepers e gatekeeping vengono utilizzati in relazione alle persone e ai giudizi che legittimano l’ammissione di un individuo o di un’opera a un determinato settore culturale12. I pareri e le opinioni di questi soggetti sono dunque in grado di determinare il successo o l’insuccesso personale di un individuo che intende affermarsi all’interno del campo

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E. Katz e P. Lazarsfeld, Personal Influence, The Free Press, New York 1955 (trad. it. L’influenza personale nelle

comunicazioni di massa, Eri, Torino 1968). 12

R.A. Peterson, Culture Studies through the Production Perspective: Progress and Prospects, in D. Crane, The

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della moda. C’è differenza tra le diverse categorie di opinion leaders cui si è fatto riferimento in precedenza. Possiamo, a riguardo, distinguere due gruppi di riferimento: mentre da un lato le celebrità del mondo del cinema, dello spettacolo e della musica, ma anche i personaggi di spicco in campo politico ed istituzionale, sono in un certo senso il prodotto attraverso il quale i creatori dello stile cercano di diffondere le loro idee e novità nel settore, configurandosi come i testimonial di una linea, di un dato capo d’abbigliamento o foggia, i pubblicitari, gli addetti al marketing e alla comunicazione, i responsabili delle testate giornalistiche e i direttori delle principali riviste di moda, al contrario, sono proprio quei soggetti il cui parere acquisisce un peso rilevante nella carriera degli stilisti. Con la distinzione appena operata non si vuole attribuire agli uni o agli altri un’importanza maggiore nei processi di legittimazione della moda, ma soltanto spiegare che l’influenza da parte di questi gruppi è differente e si muove verso direzioni diverse, sebbene l’obiettivo sia certamente comune. Del resto non è concepibile immaginare che una categoria possa fare a meno dell’altra o viceversa. Nei processi di legittimazione della moda, infatti, è necessario che ciascuno assolva al proprio ruolo: gli stilisti sono deputati all’atto creativo, alla realizzazione dell’opera; i giornalisti, i redattori e gli editori assolvono al compito di giudicare, positivamente o negativamente, l’attività dei primi; le celebrità, infine, sono lo strumento attraverso il quale la novità viene portata a conoscenza del pubblico. Si può facilmente intuire, quindi, che il giudizio estetico non viene espresso in una direzione univoca, ma necessita della compartecipazione di ciascuna di queste categorie all’interno di quello che viene definito come “Sistema della Moda”, o anche “Fashion System”. L’ammirazione e la devozione da parte dei consumatori nei confronti di quanto contenuto all’interno delle principali riviste di moda è la testimonianza più evidente del corretto funzionamento del sistema il quale è in grado di avere, in tal modo, un potere di influenza notevole sul giudizio espresso dagli stessi individui. Come sosteneva lo scrittore e storico dell’arte inglese Quentin Bell, la moda è una delle grandi “forze motrici del gusto”13, e la sua influenza supera quelle che sono le concezioni individuali dei singoli, condizionando il nostro giudizio su ciò che è bello e ciò che invece non lo è. Di conseguenza, in questa prospettiva, un ruolo forzatamente determinante deve essere attribuito a coloro i quali partecipano attivamente, fornendo i propri giudizi, al sistema della moda. Soltanto la partecipazione effettiva legittima gli opinion leaders del settore, attribuendo loro potere

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di influenza nei confronti del pubblico dei consumatori, e il valore stesso del sistema ruota proprio attorno al consenso dei suoi partecipanti attivi. In definitiva il ruolo attribuito ai gatekeepers è, dunque, di fondamentale importanza ai fini della legittimazione e diffusione stessa della moda. Essi sono responsabili di valutare le novità che vengono loro presentate, di selezionare quelle idonee a perdurare nel tempo, e infine di promuoverle attraverso la messa a disposizione del pubblico. Soltanto dopo aver superato l’esame rappresentato dai giudizi espressi da questi soggetti, un certo capo d’abbigliamento, uno stile può essere diffuso all’interno di un dato mercato. Nella fase ultima del processo, in particolare, una funzione primaria viene assolta dalle riviste di moda, le quali, collaborando a stretto contatto con l’industria, hanno il compito di incoraggiare in modo diretto la vendita degli ultimi stili. Queste riviste hanno tratto enormi vantaggi dagli sviluppi che hanno interessato le tecniche grafiche e fotografiche14. A riguardo l’arte della fotografia di moda assolve a due specifiche funzioni: da un lato si configura come un elemento di documentazione iconografica; dall’altro serve, per l’appunto, a contribuire attivamente ai processi di promozione e diffusione della moda. Sulla base di quanto appena osservato, nell’ambito della vasta categoria dei gatekeepers analizzata, una posizione di maggior importanza deve essere riconosciuta, evidentemente, a coloro i quali partecipano alla realizzazione e redazione delle riviste di settore, ovvero i giornalisti e i redattori. I primi si occupano, principalmente, di riportare quelle che sono le principali notizie riguardo gli stili, i capi d’abbigliamento, le mode più in voga in un determinato periodo. Il giornalista di moda è da considerarsi un cronista e non un critico di settore, e questo fattore rende molto più leggera la sua attività e gli argomenti da lui trattati in maniera principalmente descrittiva. In virtù delle loro collaborazioni indirette con le agenzie pubblicitarie, tuttavia, le quali finanziano talvolta le testate per le quali questi soggetti lavorano, il parere espresso nella maggior parte dei casi risulta non essere imparziale. Ciò nonostante numeroso è il pubblico che segue la loro attività e gli scritti realizzati, il che rende i giornalisti di moda soggetti potenzialmente in grado di influenzare i propri seguaci. Ancor più di questi ultimi i redattori delle principali riviste di moda acquisiscono, nei processi di legittimazione e diffusione, un peso molto più rilevante. Questo per due ragioni principali: da un lato perché sono i responsabili più diretti di quanto viene scritto all’interno della rivista, pertanto rispondono in prima persona di

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quanto contenuto nelle pagine della stessa; dall’altro, invece, perché fungono da perno attorno al quale ruota lo sviluppo e il successo di un’idea. In virtù dei contatti che hanno coi partecipanti al sistema, i redattori di moda infatti, non soltanto sono responsabili in fase iniziale della scelta di una data linea o colore da promuovere, ma successivamente partecipano al relativo processo di diffusione collaborando, in modo diretto, con produttori, direttori pubblicitari, e rivenditori del prodotto finito. Come è facile intuire, quindi, anch’essi sono in parte soggetti all’influenza esercitata da parte delle agenzie di marketing e pubblicità ma, a differenza dei giornalisti, sono in possesso di armi in grado di condizionare maggiormente le scelte dei lettori/consumatori. Sulla pagina della propria rivista un redattore può scegliere di riservare maggiore o minore spazio a un dato capo d’abbigliamento o foggia, o addirittura escluderlo dalla pubblicazione. In questo modo si opera una scelta ben precisa di cosa mettere o meno a disposizione del pubblico, condizionandone e vincolandone le relative scelte verso specifici comportamenti di consumo. In linea di massima dunque, nonostante alcuni condizionamenti che provengono dal mondo dei pubblicitari, ai quali comunque deve essere riconosciuto un ruolo di primo piano nella promozione di linee, idee, specifiche marche e nuove mode, che si realizza soprattutto attraverso l’organizzazione di eventi come le settimane della moda, i giornalisti e i redattori di riviste sono i principali gatekeepers nell’ambito del settore. In questo contesto è opportuno, pertanto, analizzare l’importanza e il peso specifico che hanno sul pubblico le riviste di moda, soprattutto, e i soggetti che partecipano attivamente alla realizzazione delle stesse. Fino a qualche tempo fa, quando gli sviluppi tecnologici che hanno giustificato il passaggio ad un sistema quasi interamente digitalizzato non si erano ancora manifestati, e la rete Internet appariva come un miraggio agli occhi dei consumatori, le riviste di moda si configuravano come il faro per lo sviluppo dell’intero settore. Di conseguenza primario era il ruolo dei redattori, nell’ambito del complesso universo della moda, nei processi di legittimazione e diffusione di un nuovo stile, di un colore, o di un dato capo d’abbigliamento, e la loro influenza risulta essere rilevante ancora oggi. Personaggi come Anna Wintour, attuale direttrice del mensile di moda Vogue, hanno dato lustro al ruolo delle riviste di settore, modificandone le modalità di realizzazione e il ruolo di influenza nei confronti del pubblico di consumatori. Sin dal suo insediamento, avvenuto nel 1988, la giornalista britannica ha inteso perseguire l’obiettivo di modernizzazione della rivista, occupandosi in primis della copertina. Fino a quel momento, infatti, la facciata delle principali riviste di moda era dominata dalla presenza di soggetti dei quali

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non veniva offerta una completa visualizzazione. Sotto la direzione della Wintour, invece, le modelle venivano rappresentate per intero, in modo da mettere in risalto i capi d’abbigliamento dalle stesse indossate, e non soltanto la natura snella del corpo. Questa scelta serviva a distogliere l’attenzione del lettore dalla natura fisica del corpo, per far sì che lo sguardo si spostasse sul vestito. Una ulteriore conferma di tale volontà si ebbe quando la Wintour scelse di inserire, all’interno della rivista, immagini di modelle senza trucco raffigurate in spazi urbani, realizzando anche l’obiettivo di rompere rispetto ai tradizionali ideali di perfezione del passato. L’importanza che viene attribuita alla pagina iniziale della rivista è evidente ancora oggi. Come ammesso dalla stessa editrice “La miglior copertina è sempre la successiva”15, e questo è il più evidente segnale della considerazione che ad essa viene attribuita, non soltanto in sede di realizzazione del mensile, ma anche da parte degli stessi consumatori, che identificano in essa il cuore della rivista. Nonostante siano passati molti anni dalla nomina di direttrice, ancora oggi l’approccio realistico e moderno da parte della Wintour fa sì che la rivista Vogue sia considerata come uno dei principali punti di riferimento per i lettori nel complesso panorama della moda, e il suo successo è giustificato dal fatto che sono ben diciannove i paesi al mondo che provvedono alla pubblicazione e diffusione della stessa. Per capire quale sia il ruolo effettivo di gatekeepers come la Wintour, e più in generale di riviste come Vogue, nell’universo della moda, basta tener conto della considerazione che a questi viene attribuito da ogni singola parte di cui si compone l’intero sistema. L’editrice britannica è considerata, in tempi moderni, come la persona dotata di maggior potere nel mondo della moda, in grado di condizionare le opinioni e le scelte di soggetti che agiscono, sia nella posizione di creatori dello stile, sia anche come semplici consumatori, definendo standard ben precisi su cosa debba essere considerato o meno di buon gusto. Il suo potere non è limitato alla capacità di giudicare, ma si estende ad ogni singolo aspetto della rivista, sulla quale ha il controllo assoluto. La sua persona è stata, inoltre, oggetto di alcuni dei più importanti lavori nel campo cinematografico e dello spettacolo, ispirando, probabilmente, la principale pellicola mai realizzata sull’universo della moda, ovvero Il diavolo veste Prada16. Il potere istituzionale di Anna Wintour, quindi, non è limitato esclusivamente al mondo da noi preso in considerazione, ma si estende anche a settori non direttamente ad esso connessi, come appena visto. La scalata

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From the Archives, Vogue looks back at 120 years of covers, in www.vogue.com.

16

D. Weiss, That’s Part of What We Do: The Performative Power of Vogue’s Anna Wintour, in “Journal of Magazine and New Media Research”, XV (2014), 1, pp. 1-29.

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al successo nel complesso panorama della moda, di questa donna che ad oggi è considerata il guru e la principale fonte di riferimento per chi opera nel settore, è parsa sin da subito segnata. Figlia di uno dei principali direttori di testate giornalistiche del tempo, Charles Vere Wintour, Anna, dopo aver abbandonato gli studi nel 1966, divenne pochi anni dopo assistente di moda del magazine Harper’s and Queen, iniziando il suo percorso in quello che per lei era un mondo allora quasi sconosciuto. Nel giro di poco tempo, necessario ad apprendere i segreti e i trucchi principali per fare carriera, divenne dapprima editrice di una serie di riviste a New York nel 1986, e successivamente redattrice di Vogue UK e di House and Garden nel 1987. Gli anni seguenti, nei quali come detto in precedenza la Wintour assume la carica di editrice di Vogue USA che detiene ancora oggi, rientrano in quella che in tempi moderni è considerata come la storia recente del mensile di moda più famoso al mondo, e questo soprattutto in virtù del ruolo e del potere acquisito dalla britannica, in grado di provvedere alla successiva formazione e al lancio sul mercato di stilisti come Christian Dior, di fotografi tra i quali Herb Ritts, e di inserti e numeri particolari della stessa rivista come Teen Vogue del 1993, o di altre come la francese Elle17. Nonostante la rivista, prima dell’insediamento di Anna Wintour in qualità di direttrice, venisse considerata dai consumatori e dagli appartenenti al sistema come un punto di riferimento essenziale, dopo aver superato anche periodi critici ed essersi garantita la sopravvivenza grazie al contributo offerto da compagnie di mass media come Condé Nast18, è soltanto con l’operato della britannica che è riuscita ad assurgere a vero e proprio faro nel panorama della moda. In base alle considerazioni fatte è evidente quindi che, nei processi di legittimazione e conseguente diffusione della moda, un peso rilevante debba essere attribuito alle riviste di settore, e ai soggetti che col tempo hanno contribuito alla loro affermazione nell’ambito dell’intero sistema. Nel corso degli ultimi anni tuttavia, con un interesse che cresce nei confronti del tema, si sta sviluppando un fenomeno in grado di partecipare, seppure con modalità differenti, ai processi di legittimazione della moda; sto parlando del fashion blogging. Proprio in ragione dei mutamenti tecnologici, e delle innovazioni che hanno portato all’avvento della nuova era digitale, il blogging di moda è destinato a configurarsi come la nuova frontiera di sviluppo. Nonostante infatti, ancora una volta per opera e volontà della Wintour, il mensile Vogue si sia evoluto notevolmente nel corso degli anni e, in risposta alle crescenti esigenze di un mondo digitalizzato, sia

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The Editors of Encyclopaedia Britannica, Anna Wintour, 10/06/2013.

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approdato anch’esso sul sistema di rete Internet, il passaggio da un consumo d’élite ad un modello di consumo più facilmente accessibile a tutti, nonché la necessità di prevedere il pagamento di somme di danaro annuali per il rinnovo dell’abbonamento digitale, hanno segnato il “tramonto” delle riviste, alle quali viene attribuito oggi un ruolo sostanzialmente simbolico, in favore di nuovi fenomeni, tra i quali quello del blogging di moda. Se in passato il parere dei redattori era così rilevante, rendendo gli stessi i principali opinion leaders di settore, la crisi che ha investito l’universo dei consumi ha portato all’affermazione di nuove figure di riferimento. Prima di addentrarsi nello studio specifico del fenomeno in questione ritengo opportuno analizzare quali sono state le esigenze, i tempi e le motivazioni sociali e culturali che ne hanno giustificato gli sviluppi. I blog sono siti Internet sui quali gli individui pubblicano, con una certa regolarità, il loro parere su fenomeni che interessano, più o meno direttamente, la loro persona. I testi, in essi pubblicati, che vengono definiti “post”, appaiono in ordine cronologico, e sono solitamente accompagnati da immagini o anche musica e video. Sebbene la loro introduzione risale circa alla metà degli anni novanta, fino alla fine del decennio il blogging non è stata una pratica molto diffusa19. In effetti, nonostante il lancio di piattaforme online avvenuto intorno alla metà degli anni Novanta, le quali mettevano a disposizione dei consumatori modelli di blog predefiniti e pronti all’uso, abbia in parte contribuito alla loro iniziale diffusione, l’evento che ne ha giustificato l’esplosione è rappresentato dall’attentato terroristico al World Trade Centre dell’11 Settembre 201120. In quella tragica giornata, infatti, l’abilità da parte dei blog di riportare quasi istantaneamente notizie di quanto accaduto, e di fornire aggiornamenti continui sul numero delle vittime e il destino dei pochi superstiti, ha consentito ai lettori di soddisfare il loro desiderio di informazione. Nonostante, quindi, la nascita dei blog è legata a quello che ad oggi è considerato il più grave attentato terroristico mai realizzato nella storia dell’uomo, gli sviluppi successivi sono stati davvero straordinari, e si sono realizzati, nella maggior parte dei casi, in campi che esulano da questioni strettamente politiche o di cronaca. Molti degli autori, infatti, utilizzano i loro blog semplicemente per descrivere, e portare a conoscenza del pubblico di lettori, le esperienze che caratterizzano il loro vivere quotidiano, e scarsamente si interessano di temi come la politica e l’attualità. Anzi, coi post da loro pubblicati, sembrano muoversi in direzione

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G. Lovink, Zero Comments: Blogging and Critical Internet Culture, Routledge, London 2008.

20

M. Tremayne, Introduction: Examining the Blog-Media Relationship, in M. Tremayne, Blogging, Citizenship and

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di temi certamente più leggeri di questi ultimi, tra i quali, uno di questi, è rappresentato proprio dal mondo della moda. Sin dal lancio del primo fashion blog, nogoodforme, avvenuto nel 2003, la blogosfera si è affermata come spazio chiave per la produzione e la circolazione delle idee relative al discorso moda21. Relativamente al tema preso in esame in questo lavoro quindi, la blogosfera stessa consta di due diverse tipologie di blog: quelli indipendenti e quelli aziendali. Mentre i primi, come indica il termine stesso, sono gestiti da un solo individuo, e pertanto il contenuto del blog viene definito liberamente dallo stesso soggetto, i secondi, viceversa, sono assoggettati ad una istituzione del settore, sia essa una rivista, un negozio e finanche un marchio. Appare evidente, dunque, che la nostra attenzione vada a focalizzarsi sulla prima delle due tipologie di blog appena descritte. In questa prospettiva il blog funge da spazio personale attraverso il quale l’autrice dello stesso può liberamente esprimersi ed entrare in contatto col pubblico di seguaci, attraverso la condivisione di foto, immagini, video e così via. L’utilizzo del termine “autrice” in questa sede non è frutto del caso. In effetti, sebbene rilevante sia la partecipazione degli uomini, proprietari e autori di blog di moda, in grado di incrementare il numero degli stessi nell’ambito del sistema di rete Internet, la stragrande maggioranza dei blog è realizzata dalle donne e per le donne, il che costringe, in un certo qual senso, a dover utilizzare la parola autrice. Questi spazi vengono quindi utilizzati dalle donne al fine di condividere con altre le ultime esperienze d’acquisto, o anche per la riscoperta di un certo capo d’abbigliamento o foggia. I blog di moda sono concepiti in maniera tale che, sulla base di immagini pubblicate per tali scopi, possa crearsi uno scambio proficuo di commenti tra l’autrice e il pubblico delle seguaci, in modo da ottenere un rapporto di reciproca collaborazione che si snodi in un duplice crinale: da un lato la blogger, attraverso la condivisione soprattutto di immagini che raffigurano gli outfit o i capi d’abbigliamento indossati o volutamente mostrati, intende quasi voler creare un nuovo stile che venga apprezzato dalle seguaci del blog; dall’altro queste ultime, oltre a far tesoro dei consigli proposti, alimentano il pubblico della blogger, accrescendone il seguito mediante commenti rilasciati sotto i post pubblicati dall’autrice. Questo rapporto di reciproca influenza sarà proprio l’aspetto focale sul quale andrà a concentrarsi questo lavoro, analizzando dapprima la figura stessa della blogger, nel suo complesso, e successivamente nel rapporto col pubblico. Nei processi di legittimazione e conseguente diffusione della

21

A. Rocamora, Personal Fashion Blogs: Screens and Mirrors in Digital Self-portraits, in “Fashion Theory: The Journal of Dress, Body & Culture”, XV (2011), 4, pp. 407-424.

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moda quindi, come si è avuto modo di osservare, un ruolo chiave deve essere attribuito a quelli che abbiamo definito come gatekeepers, ovvero i soggetti in grado di avere una certa influenza sul mercato e sui consumatori. Questa influenza è in gran parte legata al ruolo istituzionale, per così dire, degli stessi nel campo della moda, almeno in riferimento ai giornalisti, ai pubblicitari e ai redattori delle principali riviste, queste ultime punto di riferimento per gli stessi consumatori. Ma accanto a queste, che sono le tradizionali categorie di opinion leaders più moderne, vengono ad essere collocate quelle dei “futurologi” del settore, tra i quali i fashion blogger appunto, le quali, in prospettiva, sono destinate a crescere, sia in termini strettamente numerici, ma anche e soprattutto per peso e rilevanza.

1.3 La globalizzazione investe anche il settore della moda

Nei paragrafi precedenti abbiamo focalizzato la nostra attenzione su quelle che sono le teorie e i processi fondamentali che giustificano la legittimazione e la conseguente diffusione della moda nell’ambito dei diversi contesti sociali. Abbiamo anche osservato che, in tali processi, un ruolo di primaria importanza debba essere forzatamente attribuito a coloro i quali sono definiti come gli opinion leaders di settore i quali, taluni in virtù della loro stessa posizione istituzionale (giornalisti e redattori di riviste), altri per una maggiore capacità di immedesimazione col pubblico (fashion blogger), condizionano le scelte dei consumatori in tema d’abbigliamento. Ciò che adesso si intende analizzare, invece, in una panoramica di più largo raggio, è il modo in cui l’incessante quanto inevitabile processo di globalizzazione intervenga anche nel settore della moda, determinandone una diffusione che col tempo è venuta a modificarsi in maniera molto rilevante. A riguardo, come si è già osservato in parte nelle pagine precedenti, nei processi di diffusione della moda, sin dall’iniziale momento effettivo della sua comparsa nei sistemi sociali dell’Occidente, un ruolo di primo piano veniva soprattutto attribuito alla città di Parigi. Lo sfarzo della corte francese, e l’impegno dei sovrani a quel tempo, fecero della città transalpina il vero e proprio fulcro attorno al quale si sviluppasse l’allora molto più limitato mondo della moda. Col passare del tempo, nonostante il sistema sia divenuto sempre più complesso ed articolato, il primato nel campo della moda resta sempre nelle mani della città di Parigi, ma accanto ad essa si sono sviluppati centri in grado di sostenere ed alimentare, in maniera altrettanto importante, gli sviluppi del settore. Il Novecento, in questa prospettiva, è stato infatti il

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