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Comportamenti alimentari in eta' prescolare. Effetto di un intervento di educazione alimentare sul consumo di frutta e verdura.

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UNIVERSITÀ DI PISA

Dipartimento di Farmacia

Corso di Laurea Magistrale in Scienze della

Nutrizione Umana

Tesi di Laurea:

Comportamenti alimentari in età prescolare.

Effetto di un intervento di educazione alimentare

sul consumo di frutta e verdura.

Relatore:

Prof.ssa Claudia D‟Alessandro

Correlatore:

Prof. Gian Carlo Demontis

Dott.ssa Silvia Cau

Candidata:

Laura Irace

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3

“È una malattia che ha radici nella cultura, ed è questa che

va modificata. L’obesità viene invece spesso affrontata come

problema estetico, invece che come fattore di serio rischio”.

Brunella Giovara, Stampa, 2 luglio 2002, p.17, Cronache

Italiane

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RINGRAZIAMENTI 7

RIASSUNTO 8

1 INTRODUZIONE 11

1.1 L‟obesità è solo una questione di peso? 11

1.1.1 Obesità infantile 11

1.1.1.1 Sovrappeso e obesità nel bambino: definizione 12 1.1.1.2 La dimensione del fenomeno del sovrappeso e dell‟obesità 16

1.1.2 L‟eziologia multifattoriale 18

1.1.2.1 Consumi e abitudini alimentari 18

1.1.2.2 Sedentarietà e ruolo dei media 20

1.1.2.3 Il ruolo della famiglia 21

1.1.3 Conseguenze e complicanze dell‟eccesso di peso 23

1.1.3.1 Rischio cardiometabolico 25

1.2 L‟alimentazione del bambino in età prescolare 27 1.2.1 L‟importanza delle prime scelte alimentari 27

1.2.2 Le preferenze e la neofobia alimentare 28

1.2.3 Raccomandazioni e modello mediterraneo 32

1.3 Educazione alimentare per la prevenzione: un intervento nelle scuole 35 1.3.1 Educazione alimentare nel contesto scolastico 35 1.3.2 Promozione del consumo di frutta e verdura 37 1.3.2.1 Apporto di frutta e verdura e gestione del peso corporeo 39

1.3.3 Cibo e mindfulness: background teorico 41

1.3.4 Nascita di un progetto nelle scuole d‟infanzia: the food dudes 54

2 SCOPO DELLA TESI 63

3 MATERIALI E METODI 64

3.1 Reclutamento 64

3.1.1 Misurazioni a pranzo di baseline e follow-up 66

3.2 Procedure 67

3.3 Materiali 72

3.3.1 Materiali per l‟applicazione del programma Cibo e Mindfulness 72 3.3.2 Materiali per le rilevazioni del consumo alimentare 73

3.4 Analisi statistiche 74

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6

4.1 Risultati 76

4.1.1 Efficacia del programma Cibo e Mindfulness sul consumo di

frutta e verdure offerta a merenda a breve termine 77 4.1.2 Efficacia del programma Cibo e Mindfulness sul consumo di

frutta e verdure consumata a pranzo 81

4.1.3 Efficacia del programma Cibo e Mindfulness su soggetto

singolo per il consumo di frutta e verdure a merenda 85

4.2 Discussione 111

5 CONCLUSIONI 115

APPENDICI 119

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7

RINGRAZIAMENTI

Dopo tante parole scritte, non troverò mai quelle giuste per descrivere quanto io sia contenta e soddisfatta di essere arrivata fino a qui, a chiudere questa porta per aprirne altre. Tutto iniziò due anni fa e anche se sembra essere passato tutto in fretta, questi due anni sono stati pieni di emozioni, belle e brutte, ho conosciuto una nuova città, nuove persone, mai dimenticandomi delle persone fondamentali che ho a casa. Si, perché senza di loro non avrei mai avuto la possibilità di iniziare questo percorso e di essere qui a parlarne.

Per iniziare, vorrei ringraziare tutte le persone che hanno permesso la realizzazione di questo lavoro. Un primo ringraziamento deve andare all‟Istituito Europeo per lo Studio del Comportamento Umano (IESCUM), il quale mi ha dato l‟opportunità di conoscere la Dott.ssa Silvia Cau, mia tutor, referente scientifica del progetto Cibo e Mindfulness, ma soprattutto una persona d‟oro; a lei devo molto. Un ringraziamento speciale va anche ai miei relatori, la Prof.ssa Clauda D‟Alessandro e il Prof. Gian Carlo Demontis, per essersi interessati sin da subito a questo progetto e per avermi accompagnato lungo questo percorso che si è concluso con la realizzazione di questo scritto. Il loro interesse nel mio lavoro è stato per me una fonte di motivazione per iniziare questa esperienza che mi ha fatto comprendere l‟importanza e il bisogno di educazione alimentare in Italia.

Poi c‟è la mia famiglia, che non smetterò mai di ringraziare per il suo sostegno ricevuto in questi anni, fidandosi sempre di me. Infine, non posso far altro che ringraziare la mia metà, che da cinque anni a questa parte mi ha reso un persona più forte, una persona più determinata e con più coraggio. Grazie per essermi sempre stato vicino e per aver sempre sdrammatizzato con molta calma, come solo tua sai fare, ogni mia ansia e negatività.

Essere arrivata qui, dopo tanti sacrifici, mi rende una persona fiera. Grazie a tutti voi!

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8

RIASSUNTO

Introduzione. L‟obesità infantile rappresenta un rischio concreto nella società occidentale. La presenza di un eccesso ponderale in questa fase del ciclo di vita non solo implica un problema di obesità adulta, ma determina un peggioramento della qualità della vita, sia fisica che sociale, già nel bambino. Il cambiamento dello stile di vita è uno dei principali fattori che alimentano la crescita epidemica dell‟eccesso ponderale, anche nella popolazione più giovane. L‟ambiente “obesogenico” influenza in modo negativo le abitudini alimentari e favorisce l‟inattività fisica di tutta la famiglia. L‟elevato rischio di cronicizzazione e lo sviluppo di comorbidità associate hanno favorito l‟implementazione di diversi programmi di prevenzione e di promozione di stili di vita più sani, che hanno visto protagoniste le scuole, dove la scelta del cibo distribuito e l‟educazione alimentare sono in grado di modulare le scelte alimentari dei bambini. Il contesto scolastico ha le capacità di migliorare errati comportamenti alimentari, molto diffusi in età infantile, promuovendo il consumo di frutta e verdura e incentivando a scegliere alternative più salutari sin dall‟età prescolare.

Scopo della tesi. Valutare l‟efficacia a breve termine del programma “Cibo e

Mindfulness nelle scuole d‟infanzia”, un intervento di educazione alimentare che,

attraverso principi psicoeducativi basati sulla psicologia dell‟età evolutiva, si pone come obiettivo finale quello di influenzare positivamente i comportamenti alimentari. Con l‟applicazione dell‟intervento, l‟obiettivo primario è stato quello di incrementare i consumi spontanei di frutta e verdura, in modo da indurre un cambiamento delle abitudini alimentari a scuola e permettere che queste vengano mantenute nel tempo anche in altri contesti. Gli effetti a breve e medio termine sono stati valutati, rispetto alle misurazioni dei consumi iniziali (baseline), mediante rilevazioni nei giorni subito dopo il termine dell‟intervento (follow-up 1) e a 3 mesi (follow-up 2).

Materiali e metodi. I soggetti inclusi nel progetto sono stati 96 bambini frequentanti due scuole d‟infanzia della città di La Spezia, di cui una rappresentava il gruppo di intervento (52%) e l‟altra il gruppo di controllo (48%). Di questo

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campione sono stati creati due sottogruppi, uno per ogni scuola, per le rilevazioni dei consumi di frutta e verdura a pranzo durante i giorni iniziali e quelli di follow-up. L‟applicazione del programma Cibo e Mindfulness ha riguardato solo il gruppo sperimentale, mentre il gruppo di controllo ha ricevuto solo la frutta e la verdura. Durante tutta la durata dell‟intervento è stata fatta una rilevazione dei consumi di frutta e verdura mangiati in entrambi i gruppi, tramite pesata diretta, e allo stesso modo sono stati rilevati i consumi a pranzo di frutta e verdura nei giorni di baseline e

follow-up. È stato misurato il consumo medio di frutta e verdura. L‟analisi dei dati è

stata effettuata con il programma statistico SPSS, (Statistical Package for Social

Science): per tutte le analisi il livello di significatività è stato fissato con intervallo di

confidenza al 95%.

Risultati. Confrontando i consumi medi di verdura tra gruppo d‟intervento e gruppo di controllo, si è osservato che, nonostante i bassi consumi rilevati alla

baseline, durante le rilevazioni della merenda al follow-up 1 il gruppo d‟intervento

ha incrementato marginalmente i consumi di verdura (+64%, p=0.051) rispetto al controllo, mentre durante le rilevazioni del pranzo al follow-up 1 è stato osservato un incremento significativo del consumo di verdura nel gruppo di controllo (+29,7%, p<0.05), rispetto al gruppo che ha ricevuto l‟intervento, il quale ha registrato un decremento dei consumi di verdura (-50%, p<0.05). Dal confronto tra i consumi medi di frutta tra gruppo sperimentale e gruppo di controllo, si è evidenziato che alla

baseline i consumi erano alti rispetto alle quantità offerte, mentre durante le

rilevazioni della merenda e del pranzo al follow-up 1 non si registrano significativi effetti nel tempo dovuti all‟applicazione dell‟intervento su un controllo. In entrambi i gruppi, d‟intervento e di controllo, è visibile un decremento statisticamente significativo dei consumi di frutta nel tempo (p<0.0001), che porta i consumi di frutta a merenda a subire una variazione in negativo del 5,8% (intervento) e 26,3% (controllo), mentre per i consumi a pranzo del 35,3% (intervento) e del 28,3% (controllo). Dalle analisi sui soggetti singoli è stato evidenziato che l‟applicazione delle componenti dell‟intervento funziona quando i consumi iniziali sono bassi e l‟utilizzo del modellamento mostra degli incrementi significativi, spesso quando c‟è coerenza tra il cibo consegnato e il video modellng dello stesso cibo assaggiato. Per quanto riguarda i soggetti del sottogruppo di controllo è possibile che si verifichi

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10

talvolta un effetto “stanchezza” all‟esposizione, che determina il decremento osservato nei consumi di frutta e verdura. Dall‟osservazione dei soggetti singoli si sono evidenziati numerosi errori nell‟applicazione della procedura di rinforzo, che portano ad effetti contrastanti sul consumo dei cibi proposti. I dati del follow-up 2 (a 3 mesi) non sono ancora stati imputati e, per questo motivo, sulle ananlisi degli effetti sul gruppo sono stati confrontanti solamente le differenze nei consumi di frutta e verdura iniziali e immediatamente dopo l‟applicazione dell‟intervento.

Discussione e conclusioni. I risultati ottenuti non sono sufficienti a dimostrare la reale efficacia dell‟approccio comportamentale su bambini in età prescolare. Il programma Cibo e Mindfulness nelle due scuole spezzine che hanno testato l‟efficacia delle componenti di modellamento, rinforzo ed esposzione ripetuta contro la sola esposizione ripetuta non ha portato miglioramenti sui consumi iniziali di frutta e verdura a breve termine. Un programma costruito su un approccio comportamentale, con l‟obiettivo di cambiare i comportamenti alimentari in bambini di 3-5 anni, potrebbe non essere sufficiente a sostenere i consumi di frutta e verdura. Il programma Cibo e Mindfulness nella sua interezza ha permesso di testare diverse procedure d‟intervento sulla stessa popolazione target, i bambini in età prescolare; sarà possibile progettare in futuro un‟adeguata fase di mantenimento e un‟implementazione dell‟intervento per la validazione di una procedura che si inserisce bene nel contesto delle “Linee guida per l'educazione alimentare nella scuola italiana”, secondo le quali l'educazione alimentare, attraverso l‟eliminzazione di comportamenti alimentari non corretti e la promozione di abitudini alimentari salutari, ha l‟obiettivo principale di migliorare il benessere degli individui.

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INTRODUZIONE

1.1

L’OBESITÀ È SOLO UNA QUESTIONE DI PESO?

1.1.1 Obesità infantile

L‟eccesso di grasso corporeo che si manifesta con la situazione patologica di sovrappeso e nei casi più gravi di obesità, è oggi una delle principali sfide che interessa diversi paesi in tutto il mondo. Un problema che non insorge solo in età adulta, ma che presenta una prevalenza in aumento anche nella popolazione infantile. Il Childhood Obesity Surveillance Initiative (COSI), istituito dai paesi membri europei dell‟Organizzazione mondiale della sanità (OMS), ha di recente pubblicato i risultati del secondo “giro” di sorveglianza e monitoraggio dei casi di obesità e sovrappeso. Quello che ne è emerso è che molti paesi, specie quelli che presentavano livelli di obesità e sovrappeso tra i più alti d‟Europa, hanno messo in atto delle iniziative per la prevenzione dell‟obesità (Wijnhoven et al. 2014).

L‟obesità spesso insorge come conseguenza di un eccessivo apporto calorico non bilanciato da una adeguata attività fisica. Il cambiamento delle abitudini alimentari e l‟incremento dell‟inattività fisica dovuto all‟urbanizzazione di diverse aree geografiche ha determinato l‟incremento di patologie legate alla dieta (Pirgon e Aslan 2015). Sebbene le principali strategie preventive dell‟obesità mirano ad intervenire sull‟educazione nutrizionale e l‟attività fisica, alcuni autori sostengono che diversi potenziali fattori ambientali, genetici, economici, psicologici e sociali concorrano all‟eziologia multifattoriale dell‟obesità, inclusa quella infantile, rendendo poco efficace l‟intervento solamente su dieta e movimento (Bhupathiraju e Hu 2016).

L‟obesità infantile è un fattore che determina la qualità della vita nell‟età evolutiva; l‟eccesso di peso nel bambino è già una situazione patologica che comporta l‟insorgenza di diverse problematiche psicosociali e talvolta fisiche (Friedlander et al. 2003). In particolare i bambini obesi hanno maggiori possibilità di sviluppare obesità in età adulta, oltre che di sviluppare con più probabilità altre malattie non comunicabili (non communicable diseases, NCDs) precocemente nella

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loro vita, come diabete e malattie cardiovascolari (WHO, Childhood overweight and

obesity).

L‟obesità è una condizione patologica clinica caratterizzata da un eccesso di grasso corporeo, associata ad un peggioramento della salute dell‟individuo. In un bambino l‟obesità è un eccesso di massa grassa rispetto alla media per sesso ed età. La classificazione del sovrappeso e dell‟obesità nei bambini non è sempre immediata nella routine perché la misura reale e attendibile della massa grassa accurata si ottiene con metodiche che richiedono una strumentazione adeguata e un personale altamente qualificato; in più, i cut-off disponibili per discriminare uno stato normopeso da uno sovrappeso o obeso non permettono di confrontare diverse popolazioni (Maffeis, 2004).

1.1.1.1 Sovrappeso e obesità nel bambino: definizione

L‟organismo umano può essere approssimativamente distinto in due compartimenti: uno di massa grassa ed uno di massa magra. Il tessuto adiposo è il principale componente della massa grassa (FM, Fat Mass) mentre la massa magra (FFM, Fat Free Mass) ha una composizione più eterogenea che include la massa proteica e minerale, il glicogeno epatico e muscolare e l‟acqua totale corporea (TBW, Total Body Water) (Andreoli et al. 2017). L‟adipe, nell‟uomo e nella donna di riferimento (Kent 2006), rappresenta rispettivamente il 27% e il 15% della composizione corporea totale, ma la quantità di grasso che è compresa in un intervallo di normalità è variabile (Signori et al. 2012). A causa delle ampie variazioni nella quantità di grasso corporeo, anche in individui dello stesso sesso ed uguale età, non è sempre possibile prevedere uno stato pre-morboso in base all‟adiposità rilevata.

Studiare la composizione corporea di un organismo mediante l‟utilizzo di tecniche strumentali, più o meno invasive, permette di conoscere e valutare lo stato di nutrizione di un individuo (Pietrobelli 2004). Nonostante le misure antropometriche tengano poco in considerazione della distribuzione della composizione corporea, il peso, l‟altezza, le circonferenze e gli indici che derivano da queste misure sono ancora oggi i più utilizzati per una prima valutazione della composizione corporea.

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L‟indice di massa corporea (BMI, body mass index) è una misura indiretta del grasso corporeo ed esprime un valore ottenuto dal peso (chilogrammi) diviso il quadrato dell‟altezza (metri).

𝐵𝑀𝐼 = 𝑝𝑒𝑠𝑜 (𝑘𝑔) 𝑎𝑙𝑡𝑒𝑧𝑧𝑎 ² (𝑚)

Formula 1 – Indice di Quetelet o Body Mass Index.

È una misura antropometrica pratica non invasiva usata per classificare sovrappeso e obesità. Il BMI fornisce indicazioni sulla classificazione del peso corporeo ma non rivela sempre correttamente la distribuzione del grasso corporeo. Come viene schematizzato in Tabella 1, i valori 25 e 30 kg/cm² corrispondono ai valori soglia rispettivamente per sovrappeso e obesità di riferimento per la popolazione adulta (Ulijaszek 2003).

I valori soglia citati finora sono validi per fornire indicazioni sul peso corporeo negli adulti, ma non sono altrettanto significativi per la popolazione giovanile.

Se BMI: ≤18.5  Sottopeso

19-24.9  Normopeso

25-29.9  Sovrappeso

30-34.9  Obesità I grado

35-39.9  Obesità II grado

≥40  Obesità III grado

Tabella 1- Classificazione della categoria di peso in relazione ai valori di BMI negli adulti (adattato da WHO, Health Topics. Body mass index – BMI)

Diversamente, il valore di BMI in bambini ed adolescenti è influenzato dal genere e dall‟età (R Kipping, Jago e Lawlor 2009).

A livello internazionale i valori soglia più utilizzati sono quelli raccomandati dall‟International Obesity Task Force (IOTF), pubblicati da Cole e colleghi (2000).

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Nel 2007 l‟Organizzazione mondiale della sanità (OMS) elabora nuovi cut-off, più bassi rispetto a quelli raccomandati dalla IOTF.

Grafico 1 – Percentuale di sovrappeso + obesità nei bambini di 8-9 anni secondo le curve IOTF e OMS, divisi per genere. Italia, 2014. (modificato da OKkio alla SALUTE: risultati 2014)

Il sistema di sorveglianza su alimentazione e attività fisica nei bambini della scuola primaria, evidenzia, nei risultati dell‟indagine OKkio alla SALUTE (vedi Grafico 1), la differenza della popolazione infantile obesa e sovrappeso a 8 e 9 anni tra i risultati ottenuti con le curve OMS e quelle IOTF (OKkio alla SALUTE: risultati 2014).

In Italia si dispone di tabelle di crescita popolazione – specifica, elaborati dalla Società italiana di endocrinologia e diabetologia pediatrica (SIEDP), che ricalcano quasi linearmente l‟andamento di valori della IOTF. Rimane ancora da capire se gli standard dell‟OMS possano rappresentare un campanello d‟allarme più sensibile per l‟identificazione dell‟obesità in ambito clinico in Italia (Valerio et al., 2017).

Di conseguenza per stabilire sovrappeso ed obesità nel bambino si utilizzano i percentili della distribuzione dei valori di BMI. Come si evince dalla Tabella 2, se il valore si colloca tra l‟85 e meno dell‟95esimo percentile della distribuzione dei valori di BMI si parla di sovrappeso, mentre è obesità se il valore è oltre il 95esimo percentile della distribuzione dei BMI (Centers for Disease Control and Prevention).

Sotto-normopeso M Sovrappeso M Obeso M Sotto-normopeso F Sovrappeso F Obeso F IOTF 69 20,7 10,3 69,5 21,2 9,4 OMS 57,6 21,9 20,6 63,5 22,6 14 0 10 20 30 40 50 60 70 80 %

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Normopeso BMI: 5°-85° percentile

Sovrappeso BMI: 85°-95° percentile

Obeso BMI: >95° percentile

Tabella 2 – Distribuzione dei percentili per normopeso, sovrappeso e obesità in bambini. (adattato da

Centers for Disease Control and Prevention; https://www.cdc.gov/)

La massa grassa, costituita principalmente da lipidi non essenziali, si può distribuire nel tessuto adiposo sottocutaneo o viscerale. Il grasso viscerale o periviscerale si trova nelle zone intorno agli organi interni ed è quello che per compressione può determinare uno spostamento rispetto alla loro sede anatomica naturale, visibile in Figura 1, e un malfunzionamento rispetto alle condizioni fisiologiche (Ryckman et al. 2015).

Figura 1 – Differenza di due diverse quantità di tessuto adiposo viscerale, ottenute da analisi colonografia con tomografia computerizzata (CTC) (Ryckman et al., 2015).

Di conseguenza, considerando l‟obesità come una condizione patologica caratterizzata da alta morbosità, è bene considerare non tanto problematico il valore dell‟eccesso di peso, quanto la localizzazione di tale eccesso. Un accumulo di tipo androide, localizzato nella zona addominale risulta essere svantaggioso, rispetto ad un accumulo ginoide, localizzato nella parte inferiore del corpo, in termini di rischio metabolico e cardiovascolare correlato all‟obesità. Le misure delle circonferenze, da sole o annesse, rappresentano degli indici di riferimento per la predizione della distribuzione della massa grassa (Foster e Pagliasotti 2012).

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1.1.1.2 La dimensione del fenomeno del sovrappeso e dell’obesità

Agli inizi del ventunesimo secolo è l‟Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) che pone l‟attenzione sul problema dell‟obesità come fenomeno globale di interesse della sanità pubblica; parla, infatti, di globesity, «neologismo che unisce

global e obesity, comparso per la prima volta nel 2001, in un rapporto dell‟OMS»

(Treccani, neologismi. 2008) per indicare l‟andamento epidemico di una patologia che ancora oggi colpisce sia adulti che bambini con numeri in incremento (The GBD 2013 Obesity Collaboration et al 2014). Per la prima volta agli albori dell‟ultimo secolo l‟OMS si è interessata all‟epidemia dell‟obesità come un fenomeno globale che ha sorpassato l‟interesse pubblico di altri problemi di salute pubblica, come ad esempio la malnutrizione.

Figura 2 - (A) Prevalenza nel mondo dell‟obesità nei bambini e negli adolescenti. (B) Prevalenza nel mondo di obesità e sovrappeso in bambini e adolescenti. Fonte: Wang e Lim, 2012. Adattata da

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Nel 2014, sono 1.9 bilioni le persone in sovrappeso che rappresentano il 39% della popolazione mondiale e un 13% è obesa (WHO, Media Center. Obesity and overweight. Fact sheet, 2016).

Per quanto riguarda l‟obesità giovanile i dati non sono certo rassicuranti; sempre l‟Organizzazione Mondiale della Sanità afferma che sono 41 milioni i bambini sotto i 5 anni che hanno un problema di eccesso di peso. In questo modo anche l‟obesità giovanile ha visto un incremento di dimensioni epidemiche, interessando allo stesso modo paesi occidentali industrializzati e paesi in via di sviluppo (Figura 2). Questi numeri hanno portato l‟Organizzazione a “pianificare per il peggio” (Lobstein e Jackson-Leach 2016); si stima che il sovrappeso nel 2025 arriverà a colpire 268 milioni i bambini tra i 5 e i 17 anni, di cui 91 milioni saranno obesi.

Situazione italiana

Figura 3 – Andamento decrescente della prevalenza del sovrappeso e dell‟obesità nei bambini di 8-9 anni. Fonte: risultati 2014 OKkio alla SALUTE.

L‟aspetto allarmante del fenomeno dell‟obesità in Italia riguarda il fatto che si colloca tra i numeri più alti d‟Europa (Wijnhoven et al 2014). Tuttavia, come sottolinea la COSI, si sta osservando un andamento decrescente progressivo a partire dal 2009 (Figura 3). Sebbene si osservi un evoluzione decrescente, ancora diverse regioni del Centro e del Sud mostrano valori elevati rispetto al Nord, con un intervallo di variabilità compreso tra il 13% di Bolzano e il 28,6% della Campania (Nardone et al. 2015).

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1.1.2 L’eziologia multifattoriale

L‟accumulo di tessuto adiposo è la prima conseguenza di un bilancio energetico positivo, in cui si introduce più energia di quanto se ne consumi (Spiegelman e Flier 2001). Probabilmente l‟alimentazione e l‟attività fisica sono i primi fattori che, se non regolati, favoriscono il sovrappeso e l‟obesità, ma nella nascita di un rapporto non sano con il cibo, che sfocia in un eccesso, potrebbero esserci altre spiegazioni (Koyuncuoğlu Güngör 2014).

Il modo in cui mangiamo è in grado di influenzare la nostra salute ed è determinante per l‟insorgenza di alcune patologie croniche. Diverse patologie a rischio di elevata cronicizzazione, come l‟obesità, trovano le loro origini in scorrette abitudini alimentari. Il punto di origine dell‟obesità è tuttora non definito con certezza; escludendo i fattori genetici che poco risentirebbero di trattamenti terapeutici o preventivi, l‟instaurazione di un corretto stile di vita dalla dieta e dall‟attività fisica è in grado di determinare non solo una riduzione del peso corporeo, ma anche la regressione delle diverse comorbidità all‟eccesso di peso, come ipertensione, diabete e rischio cardiovascolare (Wadden et al 2012).

1.1.2.1 Consumi e abitudini alimentari

L‟insorgenza del sovrappeso nel bambino chiama in causa lo stile di vita. Molti autori sostengono che l‟obesità infantile sia un probabile fattore di rischio per lo sviluppo della patologie in età adulta; i ritmi alimentari dei primi anni di vita, quindi quelli che si apprendono nel contesto familiare e scolastico, spesso si ripercuotono sulle abitudini del singolo nella vita adulta (Freedman et al. 2007). Correggere le abitudini scorrette e improntare i principi di una sana alimentazione sin dall‟età infantile permetterà di avere le basi per un possibile cambiamento nello stato di nutrizione di un individuo.

I fattori dietetici svolgono un ruolo importante nella regolazione del bilancio energetico; saltare la colazione, consumare di frequente bevande zuccherate e cibi ad alta densità energetica come spuntino potrebbero essere fattori decisivi nell‟insorgenza di disturbi alimentari. Uno studio evidenzia come i consumi alimentari tra i bambini siano cambiati tra il 2000 e il 2009; in dieci anni è stato

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registrato un cambiamento sfavorevole del consumo di frutta e verdura a discapito di alimenti ad alta densità energetica e dei consumi di alimenti facili da preparare o

ready – to – eat nel pasto fuori casa (Casini et al. 2013).

Grafico 2 – Andamento dei comportamenti alimentari dei bambini di 8 e 9 anni dal 2008 al 2014. (adattata da OKkio alla SALUTE: risultati 2014).

Dai risultati del 2014 dell‟indagine OKkio alla SALUTE per i bambini in età scolare di 8 e 9 anni è emerso un miglioramento netto per quanto riguarda l‟abitudine di consumare una merenda troppo abbondante, ma altre abitudini rimangono pressoché stabili rispetto alle raccolte precedenti (Grafico 2).

L‟abitudine dei bambini a saltare i pasti, con più frequenza per quanto riguarda la colazione, è spesso correlata ad una dieta non equilibrata in termini energetici e di micronutrienti e con un accumulo di grasso periviscerale (Pendergast et al. 2016). Questa abitudine si collega negativamente con un maggiore livello di educazione scolastica e un migliore stato socio-economico; generalmente, il bambino o l‟adolescente che salta la colazione frequentemente o che non consuma una colazione adeguata avrà con più probabilità un BMI più alto, una più alta probabilità di iniziare a fumare e di avere uno stile di vita scorretto (Keski-Rahkonen et al. 2003).

I dati evidenti che emergono da una meta – analisi (Sadeghirad et al. 2016) indicano che il mercato del cibo “spazzatura” e delle bevande zuccherate e/o gassate è in grado di modificare le preferenze verso questi alimenti semplicemente attraverso

11 28 82 23 41 9 30 68 23 48 9 31 65 22 44 8 31 52 25 41 0 10 20 30 40 50 60 70 80 90

No colazione Colazione non adeguata Merenda abbondante Consumo non quotidiano di frutta e/o verdura Consumo quotidiano di bevande zuccherate e/o gassate % 2008/9 2010 2012 2014

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una breve esposizione dei bambini agli spot televisivi. Il consumo di bevande zuccherate, specie nelle bambine femmine, è correlato positivamente con variazioni del BMI e con l‟accumulo di tessuto adiposo (Katzmarzyk et al. 2016). Per quanto riguarda i bambini maschi, in uno studio clinico randomizzato della durata di 6 mesi, non si registra una variazione del tessuto adiposo in termini di peso corporeo, ma ciò che varia è la quantità dei lipidi circolanti, colesterolo e trigliceridi, e dei depositi epatici e muscolari (Maersk et al. 2011).

Molto forte sembra essere anche la correlazione tra bibite zuccherate e incidenza di diabete di tipo 2 nella popolazione infantile. Due bicchieri al giorno di bevande zuccherate, sia con zucchero che con dolcificanti artificiali sembrano in grado di incrementare il rischio di insorgenza del diabete del 20% (Greenwood et al. 2014).

Un‟altra abitudine non sana tipica dei bambini, ma comune anche negli adulti, è la scarsa abitudine a consumare giornalmente frutta e verdura. I dati che derivano dal monitoraggio dell‟indagine sui bambini di 8 e 9 anni (OKkio alla SALUTE) affermano che la frutta viene per lo più consumata dalle 2 alle 3 volte al giorno, mentre la verdura solo qualche volta la settimana. L‟andamento dei consumi nei bambini italiani è ben distante dalle raccomandazioni delle cinque porzioni al giorno di frutta e verdura (Linee Guida per una Sana Alimentazione Italiana, IRNAN, revisione 2003).

Il mancato consumo sufficiente quotidiano di frutta e verdura compromette la salute e potrebbe concorrere a favorire l‟insorgenza di tumori intestinali, diabete di tipo 2 e incrementerebbe le morti per problemi cardiovascolari (WHO, Promoting

fruit and vegetable consumption around the world).

1.1.2.2 Sedentarietà e ruolo dei media

La riduzione dell‟inattività fisica, fenomeno in spaventosa espansione tra la popolazione senza discriminazione d‟età, è ormai uno degli obiettivi principali dell‟Unione Europea all‟interno del programma Strategia per l‟attività fisica 2016-2025. La popolazione giovane italiana dedica in media appena più del 5% del proprio tempo libero all‟attività fisica, sottolineando però che le regioni del Centro e del Sud registrano numeri più alti di inattività fisica (Alleva 2017).

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Da uno studio emerge che l‟obesità e il sovrappeso nella popolazione infantile, secondo valori ottenute dalla misurazione delle pliche e delle circonferenze, peggiorano le capacità motorie (Kakebeeke et al. 2017). Non è del tutto chiarita la possibile correlazione tra l‟aumento dell‟attività fisica e la maturazione ossea, ma alcune evidenze riflettono sulla possibilità di intervenire sul comportamento sedentario giovanile per l‟ottimizzazione della maturazione ossea nei bambini (Koedijk et al. 2017). Una maturazione adeguata delle ossa nei giovani potrebbe essere un possibile fattore per la riduzione del rischio di osteoporosi nell‟adulto.

I fattori determinanti l‟aumento della sedentarietà nella popolazione infantile non sono da ricercarsi esclusivamente nel contesto individuale, ma potrebbero avere anche a che fare con fattori ambientali e sociali. Uno studio che prende in considerazione dati di studi sia europei che australiani, conclude che spesso i fattori determinanti la sedentarietà sono diversi dai fattori che determinano l‟aumento di bambini che passano ore davanti agli schermi (includendo telefono, televisione e

PC). Inaspettatamente, aumentare le ore di attività fisica a scuola, pause per merende

e pranzi più corte e avere a disposizione aree cortilive nei pressi delle abitazioni, sono tutti fattori che non necessariamente favoriscono una riduzione della sedentarietà (Stierlin et al. 2015; Morgan et al. 2016).

L‟incentivo per la riduzione dell‟inattività dovrebbe partire dal coinvolgimento delle famiglie; l‟esposizione alla TV sembra essere collegata con un rischio maggiore di instaurare scorrette abitudini alimentari, come l‟aumento delle calorie introdotte. Il fattore famiglia gioca, invece, un ruolo importante nella promozione di un comportamento attivo nel bambino, fornendo un esempio di stile di vita salutare. (Marsh et al. 2013).

1.1.2.3 Il ruolo della famiglia

Tra i fattori determinanti l‟espansione dell‟obesità infantile risiede il fatto che il genitore sopravvaluta spesso il sottopeso e sottovaluta meno frequentemente il sovrappeso del bambino. È importante nella prevenzione e nella cura del sovrappeso costruire delle guide per l‟alimentazione e la nutrizione dei bambini nel contesto casalingo. Da un‟importante review si evince che 1 genitore su 7 non è in grado di riconoscere lo stato reale di peso del proprio figlio (Lundahl, Kidwell e Nelson

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2014). Diversi bambini sono a rischio elevato di sviluppare malattie a causa della percezione distorta della situazione di peso da parte dei genitori (Ogden et al. 2010). I genitori non sempre sono a conoscenza delle porzioni adeguate e dell‟importanza di regolare correttamente il ciclo di fame e sazietà dei bambini. Syrad e colleghi (2015) spiegano che spesso i genitori descrivono con termini positivi lo stato di peso del bambino, dicendo ad esempio che il figlio ha le ossa grandi, ma senza ricorrere alla parola di sovrappeso. Ancora più allarmante è il fatto che comunemente l‟obesità viene vista, diversamente da quello che è, come sovrappeso, mentre i genitori che hanno figli sovrappeso solo a volte si accorgono dell‟eccesso di peso del figlio. Infatti, i media, che mostrano spesso soggetti estremamente obesi, potrebbero deviare le opinioni dei genitori, che, non identificando il loro figlio nel grande obeso, ritengono di non doversene preoccupare (Campbell et al. 2006). È facile quindi pensare che se una situazione di eccessivo grasso è vista positivamente da parte dei genitori sarà molto più complicato motivarli ad effettuare cambiamenti nello stile di vita dei loro figli (Roberts et al. 2006). I genitori, e anche di più i nonni, difficilmente parlano dello stato di peso dei loro figli, o nipoti, descrivendolo come un effetto normale della crescita o attribuendo colpe a fattori genetici.

Nel mancato riconoscimento del problema sono diversi i fattori che influenzano il modo di vedere i propri figli; ad esempio si finisce per credere che l‟obesità e il sovrappeso possono essere situazioni che si possono presentare più avanti in età evolutiva e non all‟età di 3-5 anni (Eli et al. 2014). Inoltre se i genitori ritengono che il proprio figlio faccia sufficiente attività fisica, ma comunque è presente uno stato di sovrappeso, non hanno motivo di ritenere la situazione preoccupante (Jain et al. 2001).

Ek e colleghi (2016) trova la correlazione tra la percezione del peso del figlio e le tecniche di alimentazione usate dai genitori. Le tecniche adottate dai genitori per l‟alimentazione servono per influenzare le abitudini alimentari dei figli, in modo da aumentare o diminuire il consumo di certi cibi. Atteggiamenti restrittivi, la pressione a consumare un cibo in particolare o ricompensare i bambini sono alcune delle tecniche comunemente usate dalla famiglia nel momento dei pasti (Gevers et al. 2014). Nello studio di Ek e colleghi (2016) è emerso che i genitori che sono a conoscenza del reale peso dei propri figli sono quelli che utilizzano le tecniche più restrittive per l‟alimentazione e che spesso si associa con un sovrappeso del bambino.

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Tendenzialmente, i bambini in età prescolare dipendono dai loro genitori per il loro apporto di alimenti, ma durante questa fase iniziano a sviluppare più autonomia nelle scelte grazie alle interazioni sociali con altri bambini di cui fanno esperienza in questi anni. Diverse tipologie di alimentazione dei bambini da parte dei genitori potrebbero più o meno essere implicate nel causare disturbi alimentari e cambiamenti nel comportamento in questa fase dello sviluppo. L‟utilizzo di determinate pratiche di alimentazione dei figli dovrebbe essere valutata prendendo in considerazione l‟etnia, lo status socio-economico, l‟età e il genere (Shloim et al. 2015).

Anche in Italia dalle indagini di OKkio alla SALUTE confermano quanto detto dalle numerose ricerche in questo ambito. Esattamente il 75% e il 55% delle madri dei bambini sovrappeso e obesi ritiene che la quantità di cibo ingerita sia giusta, confermando la percezione errata che le madri hanno sull‟alimentazione dei propri figli. A supportare la poca consapevolezza dello stile di vista dei propri figli sono i risultati della percezione dell‟attività fisica svolta; infatti una buona parte delle madri di figli classificato inattivi ritiene che invece il figlio pratichi abbastanza attività fisica (6%) o in modo sufficiente (53%).

Pertanto, per combattere l‟obesità è necessario quindi un cambiamento dello stile di vita e questo deve partire dal contesto familiare, sensibilizzando i genitori nel riconoscere lo stato di eccesso ponderale del loro figlio (He 2007).

1.1.3 Conseguenze e complicanze dell’eccesso di peso

L‟eccesso di peso è il fattore chiave dell‟aumento delle patologie che ancora oggi sono le principali cause di morte e di disabilità in Italia (ISTAT, 2017). È ormai certo che l‟incremento del grasso corporeo in certe zone piuttosto che in altre è determinante nello sviluppo di molteplici comorbidità; l‟obesità infantile può avere delle conseguenze sull‟intero organismo, in particolare i disturbi correlati all‟eccesso di grasso corporeo possono presentarsi presto in età infantile, determinando elevate probabilità di sviluppare l‟obesità e le problematiche connesse anche in età adulta.

Pietrobelli (2011) commenta che i bambini il cui BMI rientra nella categoria di peso dell‟obesità hanno livelli di glucosio, insulina e trigliceridi circolanti molto

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elevati, oltre che valori di pressione aumentati. Secondo Whitlock et al. (2005) i bambini senza complicanze legate al peso, non devono essere necessariamente classificati sovrappeso ma il loro BMI può rappresentare un rischio più o meno alto per lo sviluppo di obesità più tardi nell‟età evolutiva.

Figura 4 – Complicanze dirette e indirette dell‟obesità infantile (Lakshman, Elks e Ong, 2012).

Una recente revisione della letteratura afferma che tra la morbidità dell‟obesità infantile è molto alta sia per patologie fisiche che psicologiche (Figura 4).

L‟obesità è altamente correlata con lo sviluppo della patologia cardiovascolare, sia attraverso una situazione di ipertensione che di diabete, che nasce da una situazione di insulino-resistenza e da adipochine e acidi grassi liberi secreti dal tessuto adiposo viscerale (Bonora et al. 2008). Prevenire e curare l‟obesità hanno l‟obiettivo di migliorare il benessere dell‟individuo, essendo una situazione fisica che può comportare un peggioramento della vita.

Il sovrappeso è infatti una malattia invalidante per i danni che può portare sull‟apparato osseo e muscolo scheletrico (Lakshman, Elks e Ong 2012). In più, la presenza di accumuli di grasso estesi nella parte superiore del corpo può generare l‟insorgenza di patologie respiratorie ostruttive, tra le principali l‟apnea ostruttiva del sonno (Vgontzas 2008). Nel particolare dell‟obesità infantile, i soggetti interessati potrebbero sviluppare con più probabilità problematiche ormonali (Soliman, Sanctis

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e Elalaily 2014) e turbamenti psicosociali molto frequenti nei bambini e adolescenti (Gibson et al. 2017).

1.1.3.1 Rischio cardiometabolico

Nell‟adulto così come nel bambino la distribuzione del grasso corporeo ha un ruolo importante nell‟insorgenza delle complicanze metaboliche dell‟obesità. La circonferenza della vita è una misura predittiva del grasso addominale, il fattore di rischio principale per le malattie cardiovascolari e la sindrome metabolica, che include valori alti di colesterolo e trigliceridi, ipertensione, diabete e aumento di adipe nella zona periviscerale (Maffeis et al. 2003).

È importante sottolineare che il tessuto adiposo è un‟enorme ghiandola endocrina in grado di secernere delle sostanze ormonali, chiamate “adipochine” (Bonora et al., 2008). L‟effetto pro infiammatorio di queste sostanze aumenta il rischio di sviluppare un danno endoteliale, che potrebbe manifestarsi come ipertensione e determinare una diminuzione della risposta insulinica. Come schematizzato nella Figura 5, l‟insulino - resistenza è il fattore di rischio principale per l‟evoluzione del diabete di tipo 2, di origine alimentare.

Figura 5 - Correlazione tra l‟eccesso di tessuto adiposo viscerale e problematiche cardiometaboliche. (Whaley-Connell and Sowers, 2011)

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La presenza di una situazione di sovrappeso nel bambino può essere determinante per l‟aumento del rischio di sindrome metabolica nell‟adulto; la correzione dell‟obesità deve essere fatta sin dai primi anni di vita poiché Kim, Lee e Lim (2017) affermano che il rischio di sindrome metabolica aumenta con l‟età del bambino. Una delle conseguenze preoccupanti dell‟eccesso di tessuto adiposo viscerale sono legate all‟insorgenza di uno stato ipertrofico del ventricolo sinistro.

Già in età infantile, affermano Mangner e colleghi (2014), è possibile notare come la situazione di eccesso di adipe influenzi la funzione e la geometria cardiaca, determinando un rimodellamento sostanziale della parte sinistra. Tadic e Cuspidi (2015) sostengono che con la semplice correzione della dieta ed un efficace perdita di grasso corporeo in eccesso è possibile ripristinare la struttura iniziale del cuore.

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1.2

L’ALIMENTAZIONE DEL BAMBINO IN ETÀ

PRESCOLARE

1.2.1 L’importanza delle prime scelte alimentari

Brug e colleghi (2008) affermano che se i bambini avessero meno autonomia nelle proprie scelte alimentari, l‟acquisizione di uno specifico atteggiamento alimentare verrebbe spiegato da fattori ambientali nel contesto familiare, piuttosto che da fattori personali. L‟infanzia è una fase critica dove il bambino apprende che il cibo non è solo una componente di fabbisogno, ma l‟atto del mangiare acquisisce una componente edonistica (Cashdan 1994). Il genitore nei primi anni di vita del bambino deve trasmettere e far osservare abitudini alimentari corrette perché queste possono influenzare positivamente l‟alimentazione e le scelte future, incidendo molto probabilmente sul controllo del peso corporeo e lo stato di salute nell‟adulto (Siega-Riz et al., 2011).

Le scelte alimentari dei bambini sono influenzate da fattori costituzionali, ma anche dalle esperienze della madre durante la gravidanza e dalle esperienze che il bambino fa appena dopo lo svezzamento. L‟alimentazione dei primi 1000 giorni rappresenta un veicolo fondamentale per lo sviluppo di abitudini alimentari salutari (Adair 2014).

Nell‟infanzia ci sono due rivoluzioni alimentari dove il bambino ha la possibilità di apprendere corrette abitudini alimentari: la nascita e il divezzamento. Nella prima il bambino si approccia per la prima volta ad una nutrizione per via orale, mentre nella seconda passa ad una nutrizione diversificata per varietà e consistenza (WHO,

Healthy Diet, Fact Sheet n. 394. 2015). In realtà le esperienze alimentari del bambino

iniziano presto nel periodo pre-natale e determinano una sorta di programmazione nell‟accettabilità dei gusti. Il senso del gusto, a differenza di altri sensi, inizia a svilupparsi nella vita pre-natale (Bradley e Stern 1967). Esiste una predisposizione biologica che porta a preferire il dolce e a rifiutare l‟amaro, ma grazie alle esperienze alimentari che vengono collezionate durante i primi anni di vita, il bambino può sviluppare le sue preferenze verso varietà più ampie di alimenti, imparando a

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mangiare anche frutta e verdura (Forestell 2017). Nella gravidanza il feto è in grado di percepire le variazioni del liquido amniotico che si arricchisce di sapori che rispecchiano le scelte dietetiche della madre. Nello studio di Mennella, Jagnow e Beauchamp (2001) emerge l‟evidenza che i sapori di cui si è registrata un‟esperienza nello stadio fetale sono in grado di influenzare le preferenze per questi gusti nei cibi solidi che verranno consumati successivamente dal bambino. Allo stesso modo anche il latte materno, al contrario delle formule per lattanti, risente delle abitudini materne. De Cosmi, Scaglioni e Agostoni (2017) affermano che i bambini che sono stati allattati al seno sono in grado di preferire una varietà più ampia di frutta e verdura. La dieta materna ricca di alimenti vegetali durante la gravidanza e l‟allattamento ha la capacità di far sviluppare al bambino esperienze sensoriali di sapori di cibi propri degli alimenti consumati dalla madre e favoriscono un migliore inserimento di questi nella dieta complementare (Bayol, Farrington e Stickland 2007). La madre che segue un regime dietetico equilibrato ricco di frutta e verdura, trasmetterà gusti differenti al bambino che accetterà con più facilità gli stessi gusti nell‟alimentazione futura (Mennella 2014). La buona notizia, quindi, è che esistono diverse opportunità per la madre e la famiglia di poter modificare le preferenze del bambino. Durante l‟alimentazione complementare è indispensabile che il genitore offra opportunità ripetute per permettere al figlio di familiarizzare con la frutta e la verdura (Mennella e Trabulsi 2012). Infatti la familiarità è in grado di aumentare le preferenze per una varietà di cibi più ampia. Le preferenze per gli alimenti vegetali sembra aumentare con l‟età e nel genere femminile (Nicklaus, 2004).

1.2.2 Le preferenze e la neofobia alimentare

Diverse madri lamentano dei disturbi della nutrizione dei bambini in età prescolare e tra i più comuni rientra lo scarso apporto di frutta e verdura. Le preferenze alimentari dei bambini non ricalcano allo stesso modo quelle delle raccomandazioni dietetiche (Russel e Worsley 2007). Infatti, il consumo di frutta e verdura nella popolazione infantile non segue quello che viene indicato dalle linee guida internazionali (5 al giorno). Diversi studi affermano che i problemi della nutrizione nei bambini come la neofobia alimentare sono in grado di determinare una ridotta varietà nella scelta di cibi sani (Oliveira et al. 2015).

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L‟essere diffidenti nei confronti delle novità è un atteggiamento comune tra i bambini; si parla infatti di neofobia alimentare quando si manifesta riluttanza nel mangiare cibi diversi da quelli conosciuti e abitualmente consumati (Dovey et al 2008). Le decisioni alimentari hanno una forte componente emozionale; comprendere una problematica di neofobia nei confronti di certi alimenti è importante perché è stata trovata una forte connessione tra il disturbo selettivo e l‟assunzione di poca frutta e verdura (Previato e Behrens, 2016). Da un punto di vista adattativo (Demattè, Endrizzi e Gasperi, 2014), la riluttanza nel consumare nuovi cibi protegge l‟organismo dalla possibile ingestione di alimenti tossici. Di conseguenza il bambino nei primi anni di vita sarebbe in grado di preferire, per motivi costituzionali, cibi con elevate percentuali caloriche e preferibilmente dolci.

Nel mondo di oggi, la neofobia alimentare può rappresentare una situazione di rischio per lo sviluppo di possibili disturbi alimentari . Il disturbo selettivo verso certi tipi di alimenti sembra avere un picco d‟insorgenza durante l‟età prescolare e diminuire gradualmente durante l‟adolescenza e l‟età adulta (Cashdan 1994). All‟età di 3 anni il bambino è in grado di riconoscere e distinguere gli alimenti, ed è in grado di definire il grado di accettabilità sulla base dei propri stimoli, siano essi visivi, olfattivi o gustativi; in questo modo se il cibo non rispecchia il prototipo gradito lo stesso cibo avrà più probabilità di essere rifiutato (Brown 2010). La neofobia alimentare nell‟adulto mantiene le caratteristiche che si ritrovano anche in quella sviluppatasi in età prescolare ed è collegata a una scarsa qualità della dieta, caratterizzata dal ridotto consumo di verdura, e ad un valore più alto di BMI (Knaapila et al., 2014).

Nella genesi della neofobia alimentare potrebbero concorrere diversi fattori cognitivi che investigano come le informazioni riguardo al cibo sono apprese, percepite e interiorizzate e come le emozioni e i sentimenti accompagnano l‟acquisizione di queste informazioni (Lafraire et al. 2016). Nel meccanismo del rifiuto di certi alimenti la valutazione visiva gioca un ruolo chiave, piuttosto che la valutazione al tatto. Infatti, la verdura di colore verde viene rifiutata più frequentemente dai bambini che quella di colore arancione (Mennella et al. 2008). Nella valutazione visiva non è solo il colore a contribuire sul gradimento di un cibo, ma anche il modo in cui viene presentato può più o meno influenzare la reazione a quel determinato cibo (Jansen, Mulkens e Jansen 2010). L‟esposizione ripetuta a

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certi alimenti è in grado di ampliare le scelte alimentari ma ci sono alcuni meccanismi che iniziano a livello fetale, per cui forme differenti di esposizione possono modulare le preferenze. In particolare i bambini che nell‟ambiente di casa sono esposti ad una maggiore varietà e scelta di frutta e verdura nell‟ambiente

scolastico saranno più propensi ad accettare cibi nuovi (Korinek, 2013). L‟esposizione ripetuta è un fattore determinante per l‟apertura all‟assaggio di nuovi

alimenti e l‟associazione dell‟esposizione ad un premio ha dimostrato un incremento della preferenza verso i cibi prima rifiutati, con un consumo registrato a lungo termine (Holley, Haycraft e Farrow, 2015).

Le sensazioni che il bambino prova dopo aver assaggiato un cibo sono strettamente connesse con il rifiuto o l‟accettazione del cibo stesso. Dal momento che una sensazione di disgusto è associata al rifiuto, con l‟assaggio di un alimento di cui è stata fatta esperienza con sensazioni negative aumenta l‟ansia e il disgusto per l‟esposizione a quel prodotto (Batsell e Brown 1998). Diversi autori suggeriscono che le insegnanti e i genitori dovrebbero allo stesso tempo comprendere il rifiuto del bambino proporre ripetutamente gli alimenti che vengono maggiormente rifiutati (O‟Connell et al., 2012).

Considerando l‟atto del mangiare come un comportamento sociale è importante capire i fattori ambientali che determinano la neofobia alimentare. Shutts e colleghi (2013) affermano che «Gli esseri umani raramente sono in grado di scegliere il cibo da soli, ad ogni età. […] Gli infanti e i bambini piccoli hanno numerose opportunità di osservare i membri della loro cerchia culturale scegliere, cucinare, mangiare e reagire a diversi tipi di cibi nel loro contesto sociale» (p.420). In questo modo si capisce come la famiglia occupi un ruolo così centrale nel determinare un corretto rapporto con il cibo. Le preferenze alimentari dei bambini vengono condizionate a loro volta dalle neofobie alimentari dei genitori, ma anche dallo status socio-economico e di educazione della famiglia (Flight, Leppard e Cox 2003; Vereecken, Keukelier e Maes 2004).

Le tecniche che i genitori utilizzano per l‟alimentazione e l‟introduzione di alimenti nuovi, che spesso includono metodi restrittivi o di pressione a mangiare, creano un ambiente negativo e si ripercuotono altrettanto negativamente sulle scelte alimentari del bambino; è stato notato come l‟effetto positivo dell‟esposizione ripetuta venga annullato da un regime autoritario e di controllo dei genitori durante i

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pasti consumati dai bambini (Galloway et al. 2006). L‟effetto dell‟ambiente e degli stimoli sociali sono stati molto studiati da diversi autori; Addessi e colleghi (2005) riscontrano l‟abilità dei bambini in età prescolare a accettare cibi nuovi semplicemente osservando altre persone che mangiano gli stessi cibi. La famiglia quindi ha un grosso ruolo nell‟educazione alimentare dei figli; l‟ambiente familiare dovrebbe essere incoraggiato nell‟atto del mangiare insieme per prevenire abitudini alimentari scorrette che agiscono come ostacoli ad una dieta sana e bilanciata (Benton 2004). Nella costruzione di un corretto rapporto con il cibo anche le insegnanti del contesto scolastico possono avere una posizione determinante, poiché i bambini sono in grado di prendere esempi più frequentemente da persone, e quindi modelli, a loro familiari (Salvy et al. 2008). Nel contesto scolastico, dove i bambini hanno l‟opportunità di spendere gran parte della loro giornata, inclusa quella alimentare, i pari acquisiscono un importante ruolo di facilitatori sociali. I bambini in età prescolare saranno facilitati nel consumare nuovi cibi se osservano i loro coetanei assaggiarli e mangiarli (Hendy 2002). Nella Figura 6 vengono descritti schematicamente tutti i fattori legati alla sfera cognitiva e alla sfera ambientale che sono in grado di modulare la neofobia alimentare.

Figura 6 – Fattori cognitivi, sociali e ambientali che concorrono alla modulazione della neofobia alimentare (da Lafraire et al. 2016).

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1.2.3 Raccomandazioni e modello mediterraneo

L‟alimentazione gioca un ruolo critico nel periodo dell‟infanzia e dell‟adolescenza. Un‟alimentazione bilanciata da un punto di vista calorico e nutritivo è importante per il sostegno del metabolismo in primis per sostenere le attività quotidiane e l‟attività fisica, ma soprattutto per la crescita (Koletzko et al. 2004). Per uno stile di vita salutare della famiglia e di tutti i componenti del nucleo, le famiglie sono chiamate a consumare elevate quantità di frutta e verdura, a includere nella dieta regolarmente legumi, cereali integrali, carni magre e formaggi freschi e a limitare fast food, cibi processati e contenenti zuccheri semplici (Riley, Locke e Skye 2011).

Le linee guida italiane per una sana alimentazione (IRNAN, 2003) promuovono il consumo di frutta e verdura all‟interno di una dieta basata sul modello mediterraneo, con l‟obiettivo di influenzare positivamente sia la salute che l‟ambiente.

Nei primi anni di vita, il bambino sano dovrebbe avere una dieta sana ed equilibrata senza alcune limitazioni; un‟alimentazione equilibrata non solo serve a proteggere dalla malnutrizione e a ridurre il rischio di sovrappeso in futuro, ma anche per ridurre i rischi di sviluppo delle malattie non comunicabili (Freedman 2007).

Il dispendio energetico di un bambino in età prescolare varia da 1300-1500/1600 kcal/giorno (LARN 2014), considerando un soggetto maschile o femminile con livello di attività fisica media (LAF). L‟apporto energetico della dieta di un bambino in età prescolare fornisce l‟indicazione migliore per riscontrare cattive abitudini alimentari e diete scorrette. Uno studio longitudinale che ha incluso anche l‟Italia ha evidenziato come i bambini di 5 anni abbiano un maggiore apporto energetico giornaliero, rispetto alle RDA, ripartiti tra 57% carboidrati, 32% lipidi e 15% proteine (Pereira-da-Silva, Rêgo e Pietrobelli, 2016). L‟apporto proteico deve soddisfare il 10-12% delle calorie giornaliere, preferibilmente fornito da alimenti (latte e derivati, pesce, uova, carne) che presentano nella loro composizione tutte gli aminoacidi essenziali (LARN 2014). Cereali, legumi, frutta e verdura, che contengono proteine con valore biologico inferiore possono essere associati tra loro in maniera complementare per garantire una composizione proteica di valore biologico uguale agli alimenti di origine animale (Gibson, Ferguson e Lehrfeld 2014).

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Anche l‟apporto lipidico si avvicina gradualmente a quello dell‟adulto, rappresentando il 25-30% dall‟età di tre anni (LARN 2014). L‟apporto lipidico infatti, seppur diminuito dalla nascita, rimane un‟importante componente della dieta dei bambini così come degli adulti. Gli acidi grassi essenziali sono fondamentali per la fase dell‟accrescimento fisico e cerebrale. Si ritiene che le carenze di acidi grassi essenziali compromettano lo sviluppo del sistema nervoso centrale, in particolare le capacità cognitive e del linguaggio (Huffman et al., 2011). La dieta occidentale, per l‟alto consumo di carne, garantisce un elevato apporto di acidi grassi saturi e fornisce uno scarso contributo per gli acidi grassi essenziali (Simopoulos 2016). Analogamente alle raccomandazioni dietetiche per l‟adulto, la dieta del bambino dovrebbe includere pesce e prediligere l‟olio extravergine d‟oliva per assicurare il giusto apporto di acidi grassi essenziali. In particolare EPA e DHA nel bambino dovrebbero raggiungere i 250 mg al giorno, suggerita dai LARN e confermata come soglia di sicurezza nel consumo di questi nutrienti da parte dell‟EFSA.

Il fabbisogno che deriva dai carboidrati raggiunge la ripartizione calorica dell‟adulto proprio in questa fase della vita del bambino. Il massimo contributo delle calorie che derivano dai carboidrati deve derivare da alimenti a basso indice glicemico. Gli zuccheri semplici, che contribuiscono ad un più alto indice glicemico non dovrebbero superare il 15% dell‟energia dagli alimenti (LARN 2014). Vos et al. (2017) afferma che c‟è una forte evidenza nel consumo di zuccheri aggiunti e la sua correlazione con malattie cardiovascolari. Il consumo di zuccheri semplici oltre le raccomandazioni consegue un aumento dell‟introito calorico, il quale si ripercuote sull‟aumento dell‟adiposità e dislipidemia. L‟American Heart Association raccomanda che la dieta del bambino sotto i 2 anni di età non dovrebbe includere zuccheri aggiunti; successivamente non dovrebbero oltrepassare le 100 kcal giornaliere. Inoltre, Lee et al. (2014) sottolineano come il consumo di zuccheri aggiunti pari ad un 10% dell‟energia assunta con la dieta è correlato con risultati positivi sul colesterolo HDL nelle ragazze durante l‟adolescenza.

Altra raccomandazione importante per il bambino è il corretto apporto di fibra, che deve derivare non solo da alimenti integrali ma anche da frutta e verdura. Assumere livelli adeguati di fibra con la dieta aiuta nel mantenimento del peso e nel controllo dello stato di salute, agendo preventivamente negli stati di iperglicemia e sovrappeso. La fibra alimentare non è solo fondamentale per un corretto stato del

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sistema gastroenterico della persona, ma aiuta a interferire positivamente con il metabolismo glucidico e sulla riduzione del grasso viscerale (Kranz et al., 2012). I LARN raccomandano un apporto di fibre giornaliero per i bambini in età prescolare di 8,4 g/1000 kcal. Per il raggiungimento delle quantità di fibra raccomandata si consiglia quindi l‟assunzione di 5 porzioni giornaliere di frutta e verdura di stagione e di legumi 4 volte alla settimana. Per una sana alimentazione la WHO raccomanda un consumo di 400g, o 5 porzioni, di frutta e verdura al giorno. Le risultanze dall‟indagine PASSI (2013-2016) mostrano che meno del 10% della popolazione adulta consuma le quantità raccomandate per frutta e verdura.

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1.3

EDUCAZIONE ALIMENTARE PER LA

PREVENZIONE: UN INTERVENTO NELLE SCUOLE

1.3.1 Educazione alimentare nel contesto scolastico

L‟affermarsi sin dalla giovane età di patologie croniche legate alla dieta spinge a promuovere politiche nazionali e internazionali per insegnare ed educare i bambini ad una sana alimentazione. In Italia, dove 1 bambino su 3 è sovrappeso (Spinelli et al. 2014: OKkio alla SALUTE, 2012), è fondamentale che le politiche sanitarie per la prevenzione si muovano su più fronti per contrastare le dimensioni epidemiche di questa patologia. La difficoltà delle famiglie ad educare correttamente il modo di mangiare dei propri figli rischia di essere un fattore determinante che alimenta l‟obesità infantile, uno dei più importanti problemi di salute pubblica. Secondo la WHO il consumo di frutta e verdura è associato ad un migliore stato di salute e alla prevenzione di malattie non trasmissibili (Report WHO/FAO, Ginevra, 2003).

A partire dal secondo dopoguerra fino ad i giorni nostri l‟alimentazione e i consumi di alimenti della popolazione italiana sono cambiati radicalmente. Fino a quel momento l‟alimentazione era basata più sulla quantità che sulla qualità, si preferiva pane di granoturco, uova e pollame al Nord mentre pasta, legumi e maiale al Sud. Con il passare del tempo l‟alimentazione diventa più proteica, aumenta il consumo di carboidrati, specie quelli semplici e aumenta il consumo di sughi e piatti pronti, perché l‟obiettivo dei consumatori del nuovo millennio è la rapidità del consumo e della preparazione dei pasti (Belletti e Marescotti 1997). Il comportamento alimentare di molte famiglie si ripercuote inevitabilmente sull‟alimentazione dei figli. L‟educazione alimentare studiata per agire nel contesto scolastico dovrebbe coinvolgere anche le famiglie per aiutare queste ultime a capire l‟importanza che hanno le scelte della famiglia sulle scelte del bambino.

L‟Organizzazione mondiale della sanità, insieme alla FAO definiscono chiaramente il concetto di educazione alimentare, descrivendola come un «processo informativo ed educativo per mezzo del quale si persegue il generale miglioramento dello stato di nutrizione degli individui, attraverso la promozione di adeguate abitudini alimentari, l‟eliminazione dei comportamenti alimentari non soddisfacenti, l‟utilizzazione di

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manipolazioni più igieniche degli alimenti e un efficiente utilizzo delle risorse alimentari» (Linee guida per l‟educazione alimentare). Con l‟educazione alimentare si vuole infatti promuovere la cultura della salute; la promozione di comportamenti alimentari corretti significa rendere consapevole l‟individuo che l‟alimentazione e le scelte alimentari sono alla base dello stile di vita e possono influenzare la qualità di quest‟ultimo (Pérez-Rodrigo et al. 2001; Hoelscheret et al. 2002).

L‟atto di educare ha sempre visto come protagonista la famiglia; di conseguenza anche l‟educazione alimentare si è sempre collocata all‟interno dell‟ambiente familiare. Il cambiamento delle abitudini alimentari delle famiglie non ha consentito un corretto sviluppo delle scelte alimentari dei bambini, in un‟ottica di salute (Santiago-Torres et al 2014). In Italia si iniziò ad intraprendere iniziative e progetti negli ambienti scolastici che non portarono alcun miglioramento; i primi progetti includevano concetti tecnico nutrizionali, probabilmente troppo complessi per un bambino della scuola materna ed elementare (White e Skinner 1988). L‟idea era quella che un approccio di tipo cognitivo tecnico scientifico riuscisse a sensibilizzare la coscienza dei giovani e modificane il loro comportamento con il cibo.

La scuola è un luogo adatto dove facilmente è possibile strutturare degli interventi e valutarne l‟efficacia nel medio lungo termine; inoltre l‟educazione alimentare è rientrata come ruolo importante nella didattica scolastico a partire dagli anni ‟70 (Strozzi 2015). L‟educazione alimentare è a tutti gli effetti una disciplina scientifica, che ha il ruolo principale di essere uno strumento per la prevenzione e la promozione della salute veicolato da un contesto di insegnamento didattico (Dixey et al. 1999). La promozione della salute nei primi anni di vita del bambino si ripercuote positivamente sullo stato di salute dello stesso soggetto in età giovanile e adulta (CDC, 1996). Il bambino che inizia a frequentare il contesto scolastico il suo ambiente di riferimento si diversifica da quello familiare e lentamente influenza il suo comportamento; acquisisce più indipendenza nelle scelte, in particolare in quelle alimentari e decide lui stesso cosa mangiare (Lumeng 2013). Gli interventi di educazione alimentari che avvengono a scuola vengono facilitati quindi dal contesto, perché per il bambino la famiglia diventa meno importante come modello rispetto ad esempio ai pari (Story, Neumark-Sztainer e French 2002).

Il contesto scolastico è quindi un luogo in grado di raggiungere un largo segmento della popolazione, ma ciò che è determinante nel modo di educare è la

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tipologia di programma che viene applicato (Roe 1997). Un programma di educazione alimentare nel contesto scolastico dovrebbe avere le seguenti caratteristiche, descritte in Tabella 3 per poter riscontrare successo:

Caratteristiche di un programma di educazione alimentare Focus sul comportamento

Strategie con basi teoriche Tempo e intensità adeguati Coinvolgimento familiare

Appropriato allo sviluppo dei bambini

Tiene in considerazione i bisogni di studenti, insegnanti e scuola Autonomia nelle scelte dei bambini

Modifica l‟ambiente scolastico (accessibilità, politiche alimentari e pasti Opportunità di coinvolgere nell‟applicazione le insegnanti

Rilevante dal punto di vista culturale Validato

Tabella 3 – Caratteristiche di un programma scolastico di educazione alimentare di successo (da: Pérez-Rodrigo e Aranceta, 2003)

1.3.2 Promozione del consumo di frutta e verdura

Gli alimenti che derivano da piante, in particolare frutta e verdura, sono importanti fonti di componenti nutritive e non nutritive, implicate entrambe nel mantenimento dello stato di salute e nella prevenzione contro malattie croniche. Frutta e verdura sono estremamente importanti per la nutrizione umana; all‟interno di questi alimenti si concentrano vitamine e minerali, elettroliti, fibra e composti bioattivi che sembrano avere un ruolo nella prevenzione di patologie croniche e invalidanti (Pem e Jeewon 2015). Una delle più recenti ed importanti conoscenze riguarda il fatto che promuovendo il consumo di frutta e verdura senza eliminare o sostituire il consumo di altri alimenti, sembrerebbe non avere conseguenze sull‟aumento di peso e potrebbe quindi avere un ruolo nel mantenimento dello stato

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