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Le citazioni di Euripide in Platone: analisi e commento di alcuni casi significativi nel Gorgia, Alcibiade I, Apologia, Simposio, Teeteto e Ione.

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Dipartimento di Filologia, Letteratura e Linguistica

Corso di Laurea in Filologia e Storia dell’Antichità

Tesi di laurea

Le citazioni di Euripide in Platone: alcuni casi significativi

nel Gorgia, Alcibiade I, Apologia, Simposio, Teeteto, Ione

Relatore:

Dott.ssa Maria Isabella Bertagna

Correlatore:

Dott. Dino De Sanctis

Candidata:

Alessandra Francesca Ardagna

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Ai miei cari,

e a te che vivi nei ricordi

più felici della mia infanzia

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Δίειμι μὲν οὖν τῷ λόγῳ ἐγὼ ὡς ἄν μοι δοκῇ ἔχειν: ἐὰν δέ τῳ ὑμῶν μὴ τὰ ὄντα δοκῶ ὁμολογεῖν ἐμαυτῷ, χρὴ ἀντιλαμβάνεσθαι καὶ ἐλέγχειν. οὐδὲ γάρ τοι ἔγωγε εἰδὼς λέγω ἃ λέγω, ἀλλὰ ζητῶ κοινῇ μεθ᾽ ὑμῶν, ὥστε, ἂν τὶ φαίνηται λέγων ὁ ἀμφισβητῶν ἐμοί, ἐγὼ πρῶτος συγχωρήσομαι. λέγω μέντοι ταῦτα, εἰ δοκεῖ χρῆναι διαπερανθῆναι τὸν λόγον: εἰ δὲ μὴ βούλεσθε, ἐῶμεν ἤδη χαίρειν καὶ ἀπίωμεν.

Io dunque seguiterò a esporre il mio punto di vista; ma se a qualcuno di voi sembra che io conceda a me stesso quel che non è, deve interrompermi e confutarmi. Oh sì, perché quello che dico non lo dico perché già so, ma io cerco, e cerco insieme a voi, per cui se il contraddittore sembrerà dire cosa giusta, sarò il primo ad essere d'accordo con lui. Certo, ho così parlato nel caso vi sembri che il discorso debba trovare una sua conclusione, ma se non volete lasciamo stare e andiamocene via.

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Introduzione

Questo lavoro prende in considerazione, all’interno delle opere di Platone, alcune delle citazioni di Euripide. In ciascun capitolo, partendo da un breve studio del contesto, l’analisi metterà in luce il valore e la funzione che ogni singola citazione assume, per un contributo al dibattito quanto mai attuale sul modo e sulla sostanza delle citazioni in Platone.

Per il reperimento dei passi, mi sono avvalsa dell’indice di Brandwood,1 che

riporta in appendice tutti i passi d’autore citati nei dialoghi e anche di due brevi articoli: uno di Des Places,2 interessato alla trasposizione linguistica nelle citazioni

non letterali, l’altro di Tarrant,3 dedicato alle citazioni poetiche. Per quanto

riguarda il solo Euripide, Sansone4 individua una serie di riferimenti a Euripide nel

Teeteto, Fedone e Repubblica II, ed elenca poi in appendice tutti i casi di citazioni euripidee nei dialoghi platonici. Va fatta a riguardo un’importante premessa al metodo di selezione dei passi, poiché la mia trattazione, lungi dal pretendere di essere esaustiva, prende in considerazione solo alcune delle citazioni di Euripide: se da una parte l’analisi dei frammenti dell’Antiope nel Gorgia è motivata il fatto che, come scrive Hermann : «the dialogue itself is, at least in its second half, consciously modelled on a real Greek tragedy, Euripides’ Antiope»,5 dall’altra, la

scelta di alcune citazioni piuttosto che altre è stata motivata dalla sensazione di un particolare spessore di quegli specifici passi. Resta naturalmente inteso che, come si dice in questi casi, l’autore se ne assume le responsabilità.

Di seguito sono elencate le citazioni secondo l’ordine in cui sono analizzate nei vari capitoli:

1 B RANDWOOD 1976. 2D ES PLACES,1981. 3T ARRANT 1951. 4SANSONE,1996 5 H

ERMANN 2011, 21. Ma già NIGHTINGALE 1992, 122: «In composing the Gorgias, Plato delibery appropriated fundamental thematic and structural elements from the Antiope».

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1. Gorgia 484e3-7 (Callicle): Συμβαίνει γὰρ τὸ τοῦ Εὐριπίδου:

“λαμπρός” τέ ἐστιν “ἕκαστος” ἐν τούτῳ, “καὶ ἐπὶ τοῦτ᾽ ἐπείγεται”,“νέμων τὸ πλεῖστον ἡμέρας τούτῳ μέρος, ἵν᾽ αὐτὸς αὑτοῦ τυγχάνει βέλτιστος ὤν” (citato anche in Alcibiade II 146a, con κράτιστος invece di βέλτιστος); cfr.

Antiope fr.184 Kannicht: ἐν τούτῳ <γέ τοι>/λαμπρός θ᾿ ἕκαστος κἀπὶ

τοῦτ᾿ ἐπείγεται,/νέμων τὸ πλεῖστον ἡμέρας τούτῳ μέρος,/ἵν᾿ αὐτὸς αὑτοῦ τυγχάνει βέλτιστος ὤν.

2. Gorgia 485e6-486a3 (Callicle): ἐγὼ δέ, ὦ Σώκρατες, πρὸς σὲ

ἐπιεικῶς ἔχω φιλικῶς: κινδυνεύω οὖν πεπονθέναι νῦν ὅπερ ὁ Ζῆθος πρὸς τὸν Ἀμφίονα ὁ Εὐριπίδου, οὗπερ ἐμνήσθην. καὶ γὰρ ἐμοὶ τοιαῦτ᾽ ἄττα ἐπέρχεται πρὸς σὲ λέγειν, οἷάπερ ἐκεῖνος πρὸς τὸν ἀδελφόν, ὅτι ‘ἀμελεῖς, ὦ Σώκρατες, ὧν δεῖ σε ἐπιμελεῖσθαι, καὶ φύσιν ψυχῆς ὧδε γενναίαν μειρακιώδει [486α] τινὶ διατρέπεις μορφώματι, καὶ οὔτ᾽ ἂν δίκης βουλαῖσι προσθεῖ᾽ ἂν ὀρθῶς λόγον, οὔτ᾽ εἰκὸς ἂν καὶ πιθανὸν ἂν λάβοις, οὔθ᾽ ὑπὲρ ἄλλου νεανικὸν βούλευμα βουλεύσαιο; cfr. Antiope fr.185 Kannicht: ψυχῆς φύσιν <γὰρ> ὧδε γενναίαν <λαχὼν>/ γυναικομίμῳ διαπρέπεις μορφώματι·/ οὔτ᾿ ἂν δίκης βουλαῖσι πιθανόν ἂν λάκοις/ κοὔτ᾿ ἂν ἀσπίδος κυτύει /ὁμιλήσειας οὔτ᾿ ἄλλων ὕπερ/ νεανικόν βούλευμα βουλεύσαιό τι 3. Gorgia 486b4-5 (Callicle): Καίτοι πῶς σοφὸν τοῦτό ἐστιν, ὦ Σώκρατες, “ἥτις εὐφυῆ λαβοῦσα τέχνη φῶτα ἔθηκε χείρονα”, μήτε αὐτὸν αὑτῷ δυνάμενον βοηθεῖν μηδ᾽ ἐκσῶσαι ἐκ τῶν μεγίστων κινδύνων μήτε ἑαυτὸν μήτε ἄλλον μηδένα, ὑπὸ δὲ [486c] τῶν ἐχθρῶν περισυλᾶσθαι πᾶσαν τὴν οὐσίαν, ἀτεχνῶς δὲ ἄτιμον ζῆν ἐν τῇ πόλει; cfr. fr. 186 Kannicht: καὶ πῶς σοφὸν τοῦτ᾿ ἐστίν, ἥτις εὐφυᾶ/λαβοῦσα τέχνη φῶτ᾿ ἔθηκε χείρονα;

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7 4. Gorgia 486c4-8 (Callicle): ἀλλ᾽ ὠγαθέ, ἐμοὶ πείθου, “παῦσαι δὲ ἐλέγχων, πραγμάτων δ᾽ εὐμουσίαν ἄσκει”, καὶ ἄσκει ὁπόθεν δόξεις φρονεῖν, “ἄλλοις τὰ κομψὰ ταῦτα ἀφείς”, εἴτε ληρήματα χρὴ φάναι εἶναι εἴτε φλυαρίας, “ἐξ ὧν κενοῖσιν ἐγκατοικήσεις δόμοις”: ζηλῶν οὐκ ἐλέγχοντας ἄνδρας τὰ μικρὰ [486d] ταῦτα, ἀλλ᾽ οἷς ἔστιν καὶ βίος καὶ δόξα καὶ ἄλλα πολλὰ ἀγαθά; cfr. fr. 188 Kannicht: ἀλλ᾿ ἐμοὶ πιθοῦ·/παῦσαι ματᾴζων καὶ πόνων εὐμουσίαν/ἄσκει· τοιαῦτ᾿ ἄειδε καὶ δόξεις φρονεῖν,/ σκάπτων, ἀρῶν γῆν, ποιμνίοις ἐπιστατῶν,/ ἄλλοις τὰ κομψὰ ταῦτ᾿ ἀφεὶς σοφίσματα,/ἐξ ὧν κενοῖσιν ἐγκατοικήσεις δόμοις. 5. Alcibiade I 113c2-3 (Socrate): τὸ τοῦ Εὐριπίδου ἄρα συμβαίνει, ὦ Ἀλκιβιάδη: σοῦ τάδε κινδυνεύεις, οὐκ ἐμοῦ ἀκηκοέναι, οὐδ᾽ ἐγώ εἰμι ὁ ταῦτα λέγων, ἀλλὰ σύ, ἐμὲ δὲ αἰτιᾷ μάτην. καὶ μέντοι καὶ εὖ λέγεις; cfr. Ippolito 352: σοῦ τάδ᾽, οὐκ ἐμοῦ κλύεις.

6. Apologia 20e5-6 (Socrate): οὐ γὰρ ἐμὸν ἐρῶ τὸν λόγον ὃν ἂν λέγω,

ἀλλ᾽ εἰς ἀξιόχρεων ὑμῖν τὸν λέγοντα ἀνοίσω; cfr. Melanippe Saggia fr.

484.1 Kannicht: κοὐκ ἐμὸς ὁ μῦθος, ἀλλ᾿ ἐμῆς μητρὸς πάρα.

7. Simposio 177a2-4 (Erissimaco): ἡ μέν μοι ἀρχὴ τοῦ λόγου ἐστὶ κατὰ

τὴν Εὐριπίδου Μελανίππην: οὐ γὰρ ἐμὸς ὁ μῦθος, ἀλλὰ Φαίδρου τοῦδε; cfr. Melanippe Saggia fr. 484.1 Kannicht: κοὐκ ἐμὸς ὁ μῦθος, ἀλλ᾿ ἐμῆς μητρὸς πάρα.

8. Simposio 199a5-6 (Socrate): ἡ γλῶσσα” οὖν ὑπέσχετο, “ἡ δὲ φρὴν οὔ: χαιρέτω δή; cfr. Ippolito 612: ἡ γλῶσσ᾽ ὀμώμοχ᾽, ἡ δὲ φρὴν ἀνώμοτος 9. Teeteto 154d4 (Socrate): εὖ γε νὴ τὴν Ἥραν, ὦ φίλε, καὶ θείως. ἀτάρ, ὡς ἔοικεν, ἐὰν ἀποκρίνῃ ὅτι ἔστιν, Εὐριπίδειόν τι συμβήσεται: ἡ μὲν

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8 γὰρ γλῶττα ἀνέλεγκτος ἡμῖν ἔσται, ἡ δὲ φρὴν οὐκ ἀνέλεγκτος; cfr. Ippolito 612: ἡ γλῶσσ᾽ ὀμώμοχ᾽, ἡ δὲ φρὴν ἀνώμοτος. 10. Ione 534d4 (Socrate):ἔστι γὰρ τοῦτο τέχνη μὲν οὐκ ὂν παρὰ σοὶ περὶ Ὁμήρου εὖ λέγειν, ὃ νυνδὴ ἔλεγον, θεία δὲ δύναμις ἥ σε κινεῖ, ὥσπερ ἐν τῇ λίθῳ ἣν Εὐριπίδης μὲν Μαγνῆτιν ὠνόμασεν, οἱ δὲ πολλοὶ Ἡρακλείαν; cfr. Eneo fr.567 Kannicht: τὰς βροτών/ γνώμας σκοπών ὥστε Μαγνῆτις λίθος/ τὴν δόξαν ἕλκει καὶ μεθίησιν πάλιν.

Nella prima parte di questo lavoro, dunque, verranno analizzate le citazioni letterali e parafrasate. Il primo capitolo, proprio per la sua importanza, sarà dedicato al Gorgia, dialogo in cui uno dei protagonisti, Callicle, cita verbatim non meno di quattro passi dell’Antiope di Euripide, che insieme ad altre tracce che affiorano nel dialogo, segnalano una presenza della tragedia tutt’altro che occasionale e circoscritta a quella delle citazioni, a tal punto da ipotizzare che l’Antiope possa considerarsi ipotesto del Gorgia.6 Nel secondo capitolo, si

prenderà in considerazione l’Alcibiade I dove Platone mostra quanto significativa possa essere una citazione per il contesto in cui viene inserita: si tratta in questo caso di un verso del primo episodio dell’Ippolito. Nel terzo capitolo il nostro interesse sarà focalizzato su due dialoghi, l’Apologia di Socrate e il Simposio, diversi tra loro per struttura e contenuto, in cui una stessa espressione mutuata dalla Melanippe saggia di Euripide, dal suono già proverbiale, assume interessanti funzioni. Il Simposio sarà nuovamente oggetto di analisi nel quarto capitolo: questa volta si tratterà dell’inizio del discorso di Socrate, che verrà confrontato con il Teeteto: in entrambi i casi la situazione che si viene a creare fa venire in mente a Socrate che si sta verificando un Εὐριπίδειόν τι, e cita esplicitamente un verso dell’Ippolito. Infine, nel quinto capitolo oggetto di analisi sarà lo Ione, che per

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spiegare la teoria dell’enthousiasmos si serve di un’immagine euripidea e cita l’Eneo.

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1. Gorgia 484e3-7, 485e6-86a3, 484b4-5, 486c4-8

1.1 Contesto I: Gorgia

Il dialogo7 si articola, dal punto di vista strutturale, in un prologo, tre sezioni,

una per ogni personaggio con cui Socrate si trova a dialogare,8 e un epilogo.

L'oggetto del dibattito è, all'inizio, la natura della retorica, e questo spiega il coinvolgimento di Gorgia, famoso retore e sofista, che all'epoca della composizione del dialogo doveva essere già morto o comunque vecchissimo. Ma ben presto, già nel corso della prima parte, la retorica perde la sua centralità quando la parola passa al giovane Polo, allievo di Gorgia e anche lui retore. Con Polo il discorso si allarga ad abbracciare altre tecniche e atteggiamenti affini alla retorica fino a impostare la fondamentale alternativa tra giustizia e ingiustizia. Infine, nell'ultimo e più consistente scambio del dialogo, quello che vede Socrate confrontarsi con il giovane Callicle, noto solo per quello che ne dice Platone nel dialogo,9 la retorica è ormai passata sullo sfondo di una discussione che investe,

molto più in generale, la felicità, ovvero il modo migliore di vivere la propria vita.10

Nella prima lunga battuta con la quale Callicle espone a Socrate le sue

7 Per il Gorgia, si è tenuto in particolare conto il commento di DODDS del 1959 e il più recente commento di DALFEN del 2004; tutte le traduzioni dal dialogo sono a cura di PETRUCCI 2014.Per le altre traduzioni e commenti, cfr. Bibliografia.

8 Vi è anche un quarto personaggio, Cherefonte, l'amico fidato di Socrate, il quale interviene solo brevemente nel prologo e all'inizio del dialogo con Callicle.

9 Cfr, per un'analisi della discussione in merito e per i riferimenti bibliografici, NONVEL PIERI 1991, 21-22. Cfr. GOULET 1989-2003, dove Narcy riassume il dibattito in merito. Cfr. anche TULLI 2007, 72 n. 3.

10 Si è a lungo discusso dell'unità tematica del dialogo a causa dell'alternanza dei temi trattati. A tal proposito,DODDS 1959, 1-5, ha definito il Gorgia un testo dall'andamento a spirale, che vede continuo e dinamico susseguirsi dei temi della retorica e della felicità, ripresi a ogni giro successivo della discussione con un sempre maggior livello di approfondimento e di tensione man mano che un nuovo interlocutore succede al precedente. Ciascuno dei tre personaggi ritorna infatti sui temi affrontati da chi lo ha preceduto e ne mostra sviluppi inattesi, sempre più complessi e radicali.

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argomentazioni, dopo essere subentrato a Polo come suo interlocutore, in un discorso già impreziosito da parole di Pindaro (484 b),11 di Esiodo (484 b – c)12 e

che si arricchirà poi ancora di un verso omerico (485 d),13 egli inserisce una

citazione che, come lui stesso precisa, è tratta da Euripide. La citazione in questione, letterale nella seconda parte, adattata al contesto nella prima, è tratta, come ci informa lo scolio, dall'Antiope di Euripide,14 tragedia nota al lettore

moderno solo attraverso frammenti, che continua ad animare la discussione tra gli studiosi soprattutto per il tema centrale del suo famoso agone, che vedeva opporsi i due figli di Antiope, i gemelli Anfione, campione del βίος θεωρητικός, e Zeto, difensore del βίος πρακτικός.15 Da questa prima citazione, Callicle prende spunto

per intessere un discorso che corre parallelamente a quello di Zeto, riprendendone più volte le parole più o meno testualmente.16 Socrate, da parte sua, come dirà a 506b, accetterà il ruolo del parallelo di Zeto nella tragedia (ἕως αὐτῷ τὴν τοῦ Ἀμφίονος ἀπέδωκα ῥῆσιν ἀντὶ τῆς τοῦ Ζήθου) e, come Anfione, risponderà a tutte le accuse.

1.1.1 La ῥῆσις di Callicle (482c4-486d2)

Callicle irrompe nella conversazione per rispondere all’affermazione controintuitiva di Socrate che bisogna garantire che le ingiustizie commesse dagli amici siano punite immediatamente e invece quelle dei nemici rimangano impunite

11 Pind. Fr. 169 S

NELL –MAEHLER. 12 Hes.Theog, vv. 287 – 294. 13 Hom. Il., IX, 441.

14 Si tratta, come si vedrà meglio poi, delle parole a partire dalla quali sarà ricostruito il frammento 184 KANNICHT.

15 Cfr.D

ODDS 1959, Euripide potrebbe aver derivato la nozione di vita intellettiva e contemplativa dai Pitagorici; individua inoltre una serie di elementi pitagorici nel Gorgia: vd 20, 26-7, 297-8, 300, 303, 337-40, 373-6, 383.

16 Nella ῥῆσις di Callicle, 482c4-486d1, sono citati verbatim non meno di quattro passaggi, che corrispondono ai frr. 184, 185, 186, 188 dell'edizione di KANNICHT 2004. Di questi interventi sui versi ci danno conto gli scolii ed un tardo commento, quello di Olimpiodoro, che hanno restituito, d'altra parte, anche informazioni preziose per la ricostruzione della tragedia.

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il più a lungo possibile. Il ribaltamento della concezione della punizione, ritenuta da Socrate desiderabile perché libera l’anima dal male, porta con sé anche il ribaltamento dell’uso della retorica: da strumento utile a evitare di pagare la pena per le ingiustizie commesse, essa deve passare invece a essere un’attività che spinge alla punizione se stessi e i propri cari. Callicle chiede a Socrate se sia serio o se stia scherzando, affermando che, se le sue parole fossero vere, la vita degli uomini risulterebbe rovesciata. Passa a dimostrare due proposizioni: (I) la giustizia naturale detta la legge del più forte sul più debole;17 (2) quando si giunge a questa

consapevolezza bisogna abbandonare la filosofia ed entrare nel mondo della politica. Per dimostrare la prima proposizione cita Pindaro, Euripide per la seconda. In particolare, invoca il discorso di Zeto per sostenere gli stessi argomenti che questi aveva pronunciato contro il fratello. La discussione, che finora si è incentrata sulla retorica e sui rapporti con la giustizia, diventa ora – a opera di Callicle – un dibattito incentrato sulla scelta del modello di vita. Un vero uomo non può rinunciare a costruirsi una posizione di potere in città, dedicandosi a una vita attiva. Secondo Callicle, la filosofia è un'occupazione adeguata a dei fanciulli, ma che deve essere abbandonata dopo la giovane età, poiché distoglie l’uomo dalle cose più importanti e non rende l’uomo capace di vivere nella società. Coloro che disdegnano la vita pratica, in realtà, sono coloro che vi sono portati: ciascuno fugge, infatti, l’ambito in cui sia dappoco e lo disprezza proprio per questo; al contrario loda quello in cui eccelle, mosso da benevolenza nei propri confronti, poiché ritiene di lodare se stesso.

Per sostenere la sua opinione cita alcuni versi di Euripide e attribuisce l’opinione espressa a Zeto (484e3-7):

Συμβαίνει γὰρ τὸ τοῦ Εὐριπίδου: “λαμπρός” τέ ἐστιν “ἕκαστος” ἐν τούτῳ, “καὶ ἐπὶ τοῦτ᾽ ἐπείγεται”,“νέμων τὸ πλεῖστον ἡμέρας τούτῳ

17 Per i paralleli con discorso dei Meli in Tucidide, 5, v. D

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μέρος, ἵν᾽ αὐτὸς αὑτοῦ τυγχάνει βέλτιστος ὤν”.18

È uno scolio al passo a segnalarci che questi versi sono tratti dall’Antiope e ad assicurarci che il personaggio che li pronunciava era Zeto, rivolgendosi al fratello.19 Pur ammettendo che un po’ di filosofia possa giovare alla formazione di un ragazzo ha parole molto dure per chi continua a fare filosofia anche da adulto, arrivando a dire che prenderebbe volentieri a schiaffi un tale uomo (485d). Infatti, l’essere portato in una determinata attività, quale la filosofia, non giustifica il perseverare in quella, che, tra l’altro, lo distrae dalle occupazioni degne di un uomo e lo rende ridicolo e infantile. Cita, dunque, nuovamente Euripide, precisando questa volta che la citazione è tratta dall’Antiope ed addirittura esplicita la propria identificazione con Zeto (485e-486a):

ἐγὼ δέ, ὦ Σώκρατες, πρὸς σὲ ἐπιεικῶς ἔχω φιλικῶς: κινδυνεύω οὖν πεπονθέναι νῦν ὅπερ ὁ Ζῆθος πρὸς τὸν Ἀμφίονα ὁ Εὐριπίδου, οὗπερ ἐμνήσθην. καὶ γὰρ ἐμοὶ τοιαῦτ᾽ ἄττα ἐπέρχεται πρὸς σὲ λέγειν, οἷάπερ ἐκεῖνος πρὸς τὸν ἀδελφόν, ὅτι ‘ἀμελεῖς, ὦ Σώκρατες, ὧν δεῖ σε ἐπιμελεῖσθαι, καὶ φύσιν ψυχῆς ὧδε γενναίαν μειρακιώδει [486α] τινὶ διατρέπεις μορφώματι, καὶ οὔτ᾽ ἂν δίκης βουλαῖσι προσθεῖ᾽ ἂν ὀρθῶς λόγον, οὔτ᾽ εἰκὸς ἂν καὶ πιθανὸν ἂν λάβοις, οὔθ᾽ ὑπὲρ ἄλλου νεανικὸν βούλευμα βουλεύσαιο.20

18 «Convengono con questo anche i versi di Euripide: ciascuno è brillante in una cosa, e per questa si affanna: ad essa dedicando la gran parte del giorno, laddove si trovi provvisto di propria eccellenza». Cfr.

19 Schol. in Pl. Gorg.484e3-4 (I, 232Cufalo): «Questi giambi vengono dall'Antiope, la tragedia di Euripide, dal discorso di Zeto al fratello Anfìone. Questi sono i figli di Antiope»; mentre il commento di Olimpiodoro segnala solo l’appartenenza di questi versi alla tragedia (Ol. Gorg. 26,13, p.142,32 Westernik): «Aggiunge anche versi tratti dall’Antiope, la tragedia di Euripide». 20 «Vedi Socrate, verso di te ho una disposizione amichevole: in effetti, sembra che io sia ora nella condizione in cui era rispetto ad Anfione lo Zeto di Euripide, che prima ho ricordato. Ho infatti come l'impulso di dire a te le stesse cose che egli diceva al fratello: Tu non ti curi, Socrate, delle cose di cui dovresti curarti, e pur avendo ricevuto in sorte un'anima dalla natura tanto nobile spicchi per atteggiamenti puerili, e non sapresti proporre correttamente un discorso presso corti di giustizia, né pronunciare parole a gran voce, in modo opportuno e persuasivo, né avanzare

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Attraverso l’immedesimazione con Zeto e creando una partecipazione affettiva nei confronti di Socrate, Callicle vuole dimostrare – con riferimento a un determinato contesto socio-politico, quello dell’Atene del V secolo a.C. – gli effetti deleteri di un’arte che appunto rovina anche un’anima nobile. Per cui poco dopo si chiede come possa considerarsi sapiente una simile arte che rende un uomo peggiore:

Καίτοι πῶς σοφὸν τοῦτό ἐστιν, ὦ Σώκρατες, “ἥτις εὐφυῆ λαβοῦσα τέχνη φῶτα ἔθηκε χείρονα”, μήτε αὐτὸν αὑτῷ δυνάμενον βοηθεῖν μηδ᾽ ἐκσῶσαι ἐκ τῶν μεγίστων κινδύνων μήτε ἑαυτὸν μήτε ἄλλον μηδένα, ὑπὸ δὲ [486c] τῶν ἐχθρῶν περισυλᾶσθαι πᾶσαν τὴν οὐσίαν, ἀτεχνῶς δὲ ἄτιμον ζῆν ἐν τῇ πόλει;21

Di qui l’invito ad abbandonare la filosofia e le confutazioni e a dedicarsi, invece, alla ‘buona musica degli affari’, in cui riecheggia il testo euripideo. Callicle, infatti, afferma:

ἀλλ᾽ ὠγαθέ, ἐμοὶ πείθου, “παῦσαι δὲ ἐλέγχων, πραγμάτων δ᾽ εὐμουσίαν ἄσκει”, καὶ ἄσκει ὁπόθεν δόξεις φρονεῖν, “ἄλλοις τὰ κομψὰ ταῦτα

suggerimenti forti a favore di altri». Cfr. fr. 186 Kannicht.

21 «Allora, Socrate, come può essere sapiente quest'arte che prende un uomo ben nato e lo rende peggiore, che non è in grado di essergli d'aiuto o di salvarlo da grandi pericoli, né lui stesso né nessun altro dai più grandi pericoli, ma che fa sì che sia derubato di tutti i suoi averi dai nemici, completamente, e che viva come se non avesse diritti nella sua città?». Cfr. fr. 186. Lo scolio al passo non dà nessuna informazione circa la loro appartenenza all’Antiope, tuttavia, come si può notare, le prime due frasi, tolta l’apostrofe a Socrate, costituiscono due trimetri giambici quasi perfetti, e sono stati quindi considerati dagli editori dell’Antiope come una citazione di tale tragedia (cfr.KANNICHT 2004, 288), anche in ragione della presenza del termine poetico φῶτα (questo dettaglio è segnalato da DODDS 1959, 278) nonostante non vi siano altre fonti che testimoniano questi versi e né gli scoli, né i commenti di Olimpiodoro indichino nulla al riguardo. Secondo parte della critica, sarebbe possibile ravvisare anche nella sezione immediatamente seguente del discorso di Callicle la presenza di materiale euripideo, anche se non appare possibile ricostruire la testualità di un verso. Si veda a tal proposito KANNICHT 2004,288, in apparato al frammento.

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ἀφείς”, εἴτε ληρήματα χρὴ φάναι εἶναι εἴτε φλυαρίας, “ἐξ ὧν κενοῖσιν ἐγκατοικήσεις δόμοις”: ζηλῶν οὐκ ἐλέγχοντας ἄνδρας τὰ μικρὰ ταῦτα, ἀλλ᾽ οἷς ἔστιν καὶ βίος καὶ δόξα καὶ ἄλλα πολλὰ ἀγαθά.22

Con queste parole si chiude una lunga tirata di Callicle, l’ultima porzione della quale era stata da lui stesso segnalata come una sorta di ripresa dall’Antiope, ed incomincia la risposta di Socrate.

1.2 Contesto II: Antiope

Dell' Antiope ci rimangono circa cinquanta frammenti, con piccole oscillazioni tra i diversi editori.23 Un solo frammento sicuro è di origine papiracea: l’ampio fr. 223, conservato dal P.Petrie I, 1-2.24 La maggior parte dei frammenti ci è pervenuta

attraverso la tradizione indiretta, soprattutto grazie all’antologia di Stobeo. Un discorso speciale meritano i brani dell’agone tra Anfione e Zeto inseriti da Platone

22 «Ma, mio buon Socrate, ascoltami, smetti di confutare, esercita la bella musica degli affari, esercita ciò da cui trarrai la fama d'esser saggio, e lascia ad altri queste sottigliezze, che si debba chiamarle chiacchiere e sciocchezze, per cui abiterai case vuote; non prendere a modello gli uomini che stanno a confutare ogni piccolezza, ma quelli che hanno ricchezza, fama e molti beni». Cfr. fr. 188 Kannicht. Anche in questo caso, non ci sono scoli che indichino per questo preciso passaggio una derivazione dal testo tragico, mentre ad Olimpiodoro si deve una sola indicazione che Platone fa chiaramente riferimento ad Euripide, a proposito dell'espressione πραγμάτων δ᾽ εὐμουσίαν (Sch. Pl. Gorg. 26,24, p.144 Westerink).

23 Il testo dell'Antiope qui riprodotto è quello dell'edizione di K

ANNICHT del 2004. Si segnalano le altre edizioni del testo di cui si è tenuto conto, che sono quelle di NAUCK del 1888, poi corretta da SNELL nel supplementum del 1964, di KAMBITSIS del 1974, diJOUAN e VAN LOOY del 1998, di COLLARD, CROPP e GIBERT del 2004 e di COLLARD e CROPP del 2008.

24 Petrie I 1-2, scoperto nel 1889 e pubblicato da M

AHAFFY, nel 1891. Il frammento è quanto resta di un rotolo rinvenuto in Egitto, a Gourob, nel cartonnage di una mummia; conserva la parte finale dell’Antiope (116 versi), su quattro colonne, ciascuna di 36 o 37 versi; per una sintetica informazione sul frammento cfr. CARRARA 2009, 32-34. Va fatta menzione anche del Oxy. 3317, che, grazie alla coincidenza con una citazione di Giovanni Stobeo, dovrebbe conservare un passo dell’Antigone euripidea, ma che in molti, da ultimo Collard-Cropp 2008, I 203, attribuiscono all’Antiope (per uno scambio abbastanza comune dei due nomi).

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nel Gorgia25 poiché costituiscono una fonte preziosa per ricostruire il discorso di Zeto nel contrasto con il fratello gemello, che saranno oggetto di studio in questo capitolo.

La ricostruzione della trama appare estremamente problematica: non abbiamo, infatti, informazioni specifiche, quali ad esempio le testimonianze fornite per altre tragedie da resti delle hypotheseis attribuite ad Aristofane di Bisanzio.26 Sappiamo

che la vicenda di Antiope era legata alla città di Tebe e che esistevano diverse versioni del mito.27 Dai frammenti in nostro possesso possiamo ricavare che

Antiope, fatta prigioniera, fugge dalla servitù a cui la costringono lo zio Lico e la moglie Dirce, il re e la regina di Tebe. Durante la sua fuga, si imbatte accidentalmente nei suoi figli gemelli, Zeto e Anfione, generati da Zeus e che era stata costretta ad abbandonare non appena nati. Una volta avvenuto il riconoscimento, probabilmente grazie all'intervento di un pastore, i due fratelli decidono di aiutare la madre a vendicarsi, uccidendo prima Dirce e poi catturando Lico per ucciderlo. Interviene a questo punto un deus ex machina28 che esorta i due fratelli a non uccidere Lico, rivelando la loro nascita divina, e comanda al re di cedere loro il suo trono.29

Nonostante il dramma sia stato fatto oggetto di numerosi studi, su quasi tutti gli argomenti (la trama, la collocazione dei frammenti, la datazione ecc.), 30

25 Nel Gorgia, i riferimenti più espliciti all’Antiope si trovano in 484e3-486d1, un passo della ῥῆσις di Callicle, in cui il giovane antagonista di Socrate cita o parafrasa, dalla tirata di Zeto nell’agone con il fratello, i frr. 184, 185, 186, 188, e in 506b5-6, dove Socrate dice che vorrebbe recitare a Callicle la ῥῆσις di Anfione in cambio di quella di Zeto, che il giovane gli ha proposto. 26 Argumenta utili per la ricostruzione di altre tragedia frammentarie, come per es. la Stenebea o la Melanippa saggia.

27 Cfr. per esempio Hom.Od. 11, 260-265; Ant. Pal. 3.7; Hygin. Fab. 8, cfr. Fab. 7; Apollod. 3.5.5; Hor. E 1.18.39-45; Ov.Met.6.110-111; Paus. 2.6.1.

28 Il deus ex machina è probabilmente un'invenzione di Euripide, cfr. E

ASTERLING e KNOX 1989, 72. Egli ricorre a questo espediente nello Ione, Iphigenia in Tauride, Elena e Ipsile.. Al contrario, Eschilo non lo utilizza mai e Sofocle solo una volta, nel Filottete.

29 Cfr. T

RIVIGNO 2009, 74 30 Vd. T

ACCONE 1905;WEIL 1908;SCHAAL 1914;GOOSSENS 1962;SNELL 1964;WEBSTER 1967; KAMBITSIS 1972;JOUAN-VAN LOOY 1998;RUBATTO 1998. Pagine dedicate all’Antiope anche in

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17

mancano ancora conclusioni univoche e rimangono molti interrogativi, sia sul significato della tragedia, sia sulla sua collocazione all'interno della produzione euripidea.31 Sappiamo con certezza, invece, che la tragedia suscitò grande interesse

ad Atene per l'intreccio affascinante, per la forza drammatica, per la riflessione sull'etica, per la sostanza politica, esito del rapporto conflittuale di Tebe con Sicione, per il problema religioso di Dirce, già vittima del furore di Agave.32

All'interno di questa tragedia, la scena dell'agone finisce con l'andare ad occupare un ruolo particolare, tanto per l'interesse che parrebbe avere suscitato nell’antichità, quanto per il fatto, probabilmente conseguente proprio a questa fama, che molti dei frammenti di questa tragedia che ci sono giunti sono riconducibili proprio a questa scena.33 Alcune indicazioni utili alla ricostruzione

dell'agone potrebbero venire dal Gorgia di Platone, dialogo in cui, come meglio si vedrà poi, Callicle, interlocutore di Socrate, decide di assumere in questo loro confronto il ruolo di Zeto, riprendendone in modo più o meno letterale alcune battute e lasciando che Socrate si trovi, come Anfione a dovergli rispondere.

Come già detto nella ῥῆσις di Callicle vengono citati quattro frammenti dell’Antiope che corrispondo no ai frr. 184, 185, 186, 188 dell’edizione Kannicht. Di seguito verranno analizzati i singoli frammenti, tenendo conto dei maggiori lavori a riguardo.34

DI BENEDETTO 1971e2005;SLINGS 1991;CARTER 1986;DEMONT 1990;PODLECKI 1996, cui si devono aggiungere le osservazioni diKANNICHT 2004 (ad loc.) e COLLARD 2004.

31 Per la datazione dell'opera, cfr.T

ULLI, 2007, 73. Cfr. anche BERNARDINI 2016, 35 n. 13, in cui la studiosa riassume brevemente le diverse opinioni della critica.

32 T

ULLI 2007, 73-74. Per la notevole fortuna ottenuta nel tempo v., per es.., il ricorrere delle citazioni, l’iconografia (vd., ad es., il cratere di Berlino, B SMPK F 3296, proveniente dalla Sicilia e datato subito dopo il 400), la ripresa di Pacuvio, che scrisse una tragedia intitolata Antiopa (i frr. in D’Anna 1967, 48-52 e 185-9). Una prova e silentio del successo della tragedia potrebbe essere anche il fatto che non ne furono scritte altre sullo stesso tema: si conosce soltanto una parodia del commediografo Eubulo. Tutti questi segnali portano a confermare l’idea che l’Antiope di Euripide fu accolta da un grande successo..

33 Cfr. D

ODDS 1959.

34 Tutte le traduzioni sono a cura di

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1.2.1 Il frammento 184 Kannicht

ἐν τούτῳ <γέ τοι> λαμπρός θ᾿ ἕκαστος κἀπὶ τοῦτ᾿ ἐπείγεται, νέμων τὸ πλεῖστον ἡμέρας τούτῳ μέρος, ἵν᾿ αὐτὸς αὑτοῦ τυγχάνει βέλτιστος ὤν. 35

Queste parole di Zeto contengono una considerazione di carattere generale, espressa, a quanto è possibile vedere da questi pochi versi, con un tono piuttosto pacato.36 Questo fatto ha portato alcuni a ritenere che il suo discorso fosse ancora all'inizio, prima di raggiungere quei toni molto accesi che è possibile osservare in altri frammenti attribuiti a questo personaggio (come nel caso del fr. 185, in cui si arriva all'aperto insulto),37 mentre, secondo Kambitsis,38 questo sarebbe l'inizio di una risposta nella quale egli ribatte a quanto detto dal fratello, argomento le cui motivazioni non appaiono, però, esplicitate dallo studioso. In ogni modo, gli elementi per trarre dai frammenti indicazioni riguardo ad un loro ordine reciproco

35 «– in questo ˂ almeno > ciascuno illustre e a questo è spinto, concedendo la maggior parte del giorno a quest’attività, dove lui può dare il meglio di sé». Il testo ci è trasmesso, oltre che dal

Gorgia di Platone, anche da altre fonti, che ci restituiscono solamente alcuni dei versi che

costituiscono il frammento. La citazione, completa o parziale, ritorna ancora nel corpus di Platone in Alc. II 146a, dialogo di dubbia autenticità, poi in Arist. Rhet.I, 11, p. 1371 b 27 – 33e; Pseud.-Arist. Probl. 18, 6, 917 a 13 – 14; Plut. Conv. quaest., I, 4, 3 (622 A) e II, 1, 2 (630 B); De garr. 22 (514 A). Nella sua edizione, Nauck, oltre a non accettare il primo verso della ricostruzione qui proposta, aveva preferito il superlativo κράτιστος a βέλτιστος: vi è, in effetti, nelle fonti un'incertezza riguardo al superlativo presente nell'ultimo verso del frammento per cui a βέλτιστος - presente in Platone e Aristotele - si alterna κράτιστος nelle citazioni in Plutarco: la variante appare accettabile sia da un punto di vista del senso, non diverso da quello dato da βέλτιστος, sia dal punto di vista metrico. Gli editori successivi hanno comunque unanimemente preferito βέλτιστος, pressoché identico da un punto di vista del significato ed equivalente da un punto vista metrico, probabilmente in ragione della sua presenza in Platone, testo più cronologicamente vicino alla tragedia tra i diversi testimoni a noi giunti.

36 L'osservazione è di S

CHAAL 1914, 12. 37 Cfr. Infra.

38 K

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paiono estremamente fragili e il caso presente non pare fare eccezione. Pertanto, in queste parole di Zeto, considerando solo quanto del testo tragico ci è rimasto, parrebbe esservi semplicemente constatato che ciascuno tende ad applicarsi in ciò per cui è più versato, raggiungendo in questo un'eccellenza assoluta come indicherebbe l'aggettivo λαμπρός, che veicola, insieme all'idea di merito, quella di visibilità, di un'eccellenza che si fa notare. La scelta del verbo ἐπείγω, poi, concorrerebbe a descrivere il comportamento di chi si dedica completamente e febbrilmente all'attività, in cui però capita che egli dia il meglio di se stesso. Costoro dedicano il loro tempo alle attività in cui ciascuno è αὑτοῦ βέλτιστος con l'impiego della comparatio reflexiva che - come precisa Kambitsis - indica il più alto grado che un soggetto possa raggiungere.39 La presenza del verbo τυγχάνω,

poi, metterebbe in luce la fragilità delle motivazioni che hanno portato alla scelta del campo al quale dedicare il proprio tempo, grazie al rilievo dato alla dimensione dell'azzardo, della casualità piuttosto che del ragionamento: ciascuno passa la maggior parte delle proprie giornate dedicandosi ad un'attività in cui capita che sia portato. Una lettura complessivamente differente del frammento è, invece, proposta da Snell,40 che vede in queste parole un rimprovero da parte di Zeto contro

chi, come il fratello, dedica il suo tempo al proprio personale piacere e alla sua ambizione, basandosi soprattutto sui contesti delle diverse opere che ci hanno trasmesso la citazione. Snell leggeva in questi versi un biasimo per l'eccessivo amor proprio e per l'ambizione, in ragione della presenza in diversi dei contesti che ci hanno restituito la citazione di termini come philautos o philotimos, ma secondo Kambitsis sembra molto difficile imputare ad un personaggio come Anfione di essere ambizioso. 41 39 K AMBITSIS 1972,69. 40 S NELL 1967,85 41 Cfr.K AMBITSIS 1972, XXV.

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20 1.2.2 Il frammento 185 Kannicht ψυχῆς φύσιν <γὰρ> ὧδε γενναίαν <λαχὼν> γυναικομίμῳ διαπρέπεις μορφώματι· οὔτ᾿ ἂν δίκης βουλαῖσι πιθανόν ἂν λάκοις κοὔτ᾿ ἂν ἀσπίδος κυτύει ὁμιλήσειας οὔτ᾿ ἄλλων ὕπερ νεανικόν βούλευμα βουλεύσαιό τι

In questo frammento, Zeto sembra rimproverare il fratello per i comportamenti che egli ha: rinfaccia ad Anfìone di trascurare le attività delle quali dovrebbe, invece, occuparsi, e lo accusa di sembrare una donna; al contempo, teme che, quando giungerà il momento, non sarà in grado di assolvere al suo ruolo virile di combattente. Zeto sottolinea una manchevolezza individuale del fratello per arrivare a proiettarne le conseguenze a livello più ampio, quello della città la quale sarà, per la trascuratezza di Anfìone, privata di un soldato e di un uomo capace di prendere coraggiose decisioni.

Per quanto riguarda l’aggettivo γενναίαν, Kambitsis42 sottolinea, sulla base

della distinzione che Aristotele propone fra questo termine e εὐγενής (Historia Animalium, 488 b), come il primo indichi l’appartenenza familiare di una persona, mentre il secondo sia fortemente connotato nel senso della nobiltà per discendenza.43 Tuttavia, il termine γενναίος può veicolare anche l'idea di

eccellenza, soprattutto come altezza di spirito e pensiero, non strettamente legata all'idea di nascita. Zeto precisa che la φύσις γενναία del fratello è quella della sua ψυχή, mentre nel verso successivo fa alcune osservazioni sul suo μόρφωμα. 44 Per

42 K

AMBITSIS 1972,38.

43 In tal senso εὐγενής sarebbe apparso fuori luogo in questo punto dell'Antiope poiché Zeto è ancora ignaro del fatto di discendere da Zeus e di appartenere ad una stirpe regale .

44 Per una simile opposizione, si veda ad esempio Xen, Cyr. I, 2, 2, dove φύσις è riferito alla ψυχή per indicare le qualità morali, alla μορφή quelle fisiche.

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parlare dell'esteriorità del fratello, Zeto sceglie il termine μόρφωμα, un sostantivo derivato dal verbo μoρφόω, prendere forma, con la terminazione in -μα che indica l'esito di un processo.45 Si verrebbe così a creare una sorta di contrasto tra la φύσις

propria della ψυχή e una esteriore che andrebbe a sottolineare il paradosso di Anfione, che potenzialmente dotato di una buona natura interiore, poiché trascura le attività di cui dovrebbe occuparsi, non la traduce esteriormente. Per di più viene accusato di essere γυναικομίμος, con l’impiego di un aggettivo assai raro. In due occasioni indica un’imitazione letterale del femminile, per esempio, nel Prometeo di Eschilo (vv.1002-1006)46 e nelle Baccanti di Euripide (vv.979-981).47 Nel fr.

769 Radt attribuito a Sofocle l’aggettivo è usato insieme ad un verbo del tutto analogo al διαπρέπω scelto da Euripide; secondo Clemente Alessandrino il biasimo dell’autore è indirizzato contro un giovane dalla vita molle e raffinata (definito da Clemente ἁβροδίαιτος).48

Per quanto riguarda il nostro frammento è difficile capire in che modo si declinasse questa somiglianza-imitazione del femminile,49 e tuttavia non la ritengo questione fondamentale per la nostra trattazione, poiché, come ci informa Olimpiodoro, Platone sostituisce il termine con l’aggettivo μειρκιώδης. Quello che a noi interessa è che l’aggettivo stabilisce un qualche parallelo con il mondo

45 Vi sono dei casi in cui nell'utilizzo di questo sostantivo sembra percettibile la volontà di sottolineare una trasformazione o un esito, un processo in ragione del quale qualcosa arriva ad ottenere una determinata forma. Il termine compare in Aeschl. Ag. 1217 – 1218.

46 εἰσελθέτω σε μήποθ᾽ ὡς ἐγὼ Διὸς/γνώμην φοβηθεὶς θηλύνους γενήσομαι,/καὶ λιπαρήσω τὸν μέγα στυγούμενον /γυναικομίμοις ὑπτιάσμασιν χερῶν/ λῦσαί με δεσμῶν τῶνδε; « Non pensare proprio che a me, spaventato dai piani di Zeus, verrà l'animo di una donna, e lo supplicherò, l'odiato, con movimenti delle mani verso il cielo simili a quelli che fanno le donne di sciogliere queste mie catene».

47 « ἀνοιστρήσατέ νιν/980ἐπὶ τὸν ἐν γυναικομίμῳ στολᾷ /λυσσώδη κατάσκοπον μαινάδων»;« Aizzatele contro questa folle spia delle menadi in abiti da donna».

48 Clem.Paed., III, 11, 53, 5.

49 Tra le varie ipotesi è stato anche suggerito l'abbigliamento di Anfione possa anche aver giocato un qualche ruolo nelle accuse mossegli dal gemello. Cfr. CARTER 1986,165. Il testo non offre solidi indizi a sostegno di tale ipotesi, ma è necessario, comunque, ricordare che, al di là del fatto che parte del testo è per noi perduto, non era forse indispensabile che le parole di Zeto facessero molti riferimenti all'abbigliamento del fratello, dato che questo elemento, se presente, sarebbe risultato immediatamente evidente a chi aveva davanti agli occhi l'attore con il suo costume.

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femminile – una certa somiglianza o imitazione, più o meno consapevole -, secondo un’accezione volutamente negativa e offensiva. Possiamo semplicemente osservare l'accusa di γυναικομίμος (si noti l’uso ironico di διαπρέπω, come rilevato dalla critica)50 è seguita quella di non saper reggere lo scudo, per sottolineare forse la poco forza del gemello, in ragione del suo aspetto che dimostrava chiaramente la sua poca attitudine agli sforzi. Inoltre, l'incapacità di Anfione si esplica anche nella sua incapacità decisionale che, come il testo platonico che cita i versi lascia intuire (precisando che il βούλευμα sarà ὑπέρ ἂλλου), avrà ricadute anche sugli altri ed egli non sarà in grado di prendere un νεανικόν βούλευμα, con connotazione negativa dell’aggettivo νεανικόν , come accade nel Gorgia dove questo aggettivo viene usato da Socrate per definire il discorso nel quale Callicle arrivava ad affermare che lo avrebbe preso a schiaffi.

1.2.3 Il frammento186 Kannicht

καὶ πῶς σοφὸν τοῦτ᾿ ἐστίν, ἥτις εὐφυᾶ λαβοῦσα τέχνη φῶτ᾿ ἔθηκε χείρονα;51

Il frammento52 presenta all’inizio una domanda volutamente paradossale,

probabilmente una risposta alla pretesa di Anfione di considerare la musica legata a qualcosa di σοφόν. 53 Emerge il giudizio negativo di Zeto riguardo a questa

50 KAMBITSIS 1972,38. Cfr. Euripide, Alcesti v. 641, dove Admeto accusa il padre di spiccare tra tutti in ragione della sua viltà: «ἦ τἄρα πάντων διαπρέπεις ἀψυχίᾳ,»;«Ti fai notare tra tutti per viltà».

51 «E come potrebbe essere qualcosa di saggio, un'arte che preso un uomo lo rende peggiore?». 52 Nostra fonte per queste parole è il Gorgia (486b), che ci assicura anche la loro attribuzione a Zeto. 53 Vanno in questo senso tutte le testimonianze che abbiamo sull'agone in generale e sul personaggio di Anfìone, notizie che appaiono confermate da diversi frammenti, in particolare dal 183 nel quale il biasimo di Zeto è esplicitamente rivolto contro la Musa di Anfìone. Come testimonia Cicerone nel De Inventione 1.50.94, “Anfione apud Euripidem . . . vituperata musica

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attività che rende un uomo peggiore di quanto la sua natura non gli permetterebbe. Si noti anche, come osserva Kambitsis,54 l’interessante uso di τέχνη come un

soggetto attivo che prende un uomo e lo trasforma, sottolineata dal verbo λαμβάνω che riferito ad una persona può veicolare l’idea del rapimento, della cattura fatta con la forza.

Si ritrova qui toccato un problema che pare percorrere tutto il ragionamento di Zeto: quello dell'effetto che determinate attività possono sortire sulla natura di un uomo, con la convinzione che, se queste sono scelte correttamente, un uomo può arrivare ad apparire assennato al giudizio degli altri,55 diversamente da quanto

accade con comportamenti errati, che possono arrivare a distruggere la sua indole.56 1.2.5 Il frammento 188 Kannicht ἀλλ᾿ ἐμοὶ πιθοῦ· παῦσαι ματᾴζων καὶ πόνων εὐμουσίαν ἄσκει· τοιαῦτ᾿ ἄειδε καὶ δόξεις φρονεῖν, σκάπτων, ἀρῶν γῆν, ποιμνίοις ἐπιστατῶν, ἄλλοις τὰ κομψὰ ταῦτ᾿ ἀφεὶς σοφίσματα,

Pacuvio (modellata su quella di Euripide) sono accusati di aver abbandonato l'oggetto proprio del loro dibattito per parlare di saggezza e virtù: “uti apud Pacuvium Zethus cum Anfionee, quorum

controversia de musica inducta disputatione in sapientiae rationem et virtutis utilitatem consumitur.”; cfr. Cicerone, De Oratore 2.37.155-6 dove Zeto nella tragedia di Pacuvio è detto

aver dichiarato guerra alla filosofia (lo stesso in Cicerone, De Republica 1.18.30; Aulo Gellio,

Noctes Atticae 13.8.4-5). Dione Crisostemo anche nel suo discorso Sulla verità 73.10, dice che

Zeto “rimprovera il fratello, poiché non ritiene giusto per lui praticare la filosofia” Si noti, comunque, che la parola “filosofia” non si trova nell' Antiope di Euripide.

54 A proposito del termine τέχνη, Kambitsis suggerisce alcuni esempi in cui il termine assume valenza

negativa che paragona a questo caso. Cfr. KAMBITSIS 1972,67. 55 Cfr. fr. 188 Kannicht.

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ἐξ ὧν κενοῖσιν ἐγκατοικήσεις δόμοις.57

In questo frammento, in cui probabilmente Zeto58 sta ponendo un punto fermo

nella sua argomentazione, come dimostrerebbe la formula ἀλλ᾽ἐμοὶ πείθου,59 rivolge una serie di esortazioni al fratello, la prima delle quali è quella di smettere di fare e dire cose insensate (v.2 παῦσαι ματᾴζων).60 Agli occhi del fratello, infatti,

le occupazioni di Anfione sono vane, come chiaramente dimostra l'immagine molto concreta della casa vuota, priva di ricchezze e la loro stoltezza, resa evidente dagli esiti rovinosi prospettati.

Il termine πόνων è frutto di congettura, infatti il commento di Olimpiodoro ci testimonia che Euripide avrebbe invece parlato di πολέμων, termine non accettabile dal punto di vista metrico. Senza entrare nel merito della questione, e ai fini di un’analisi che ci faccia apprezzare le modifiche apportate da Platone, si può osservare che la scelta del termine πόνων è stata proposta nell’ottica di trovare un termine che tenesse conto sia del riferimento alla fatica dei campi di cui Zeto parla dopo, sia della testimonianza di Olimpiodoro, al quale è parso possibile prestare fede, poiché in effetti l’interesse per la vita militare era stato chiaramente mostrato da Zeto (cfr. fr.185). Potrebbe quindi essere possibile ipotizzare che Zeto qui stia rivolgendo al fratello un invito a dedicarsi alla vita di campagna rilevando in questa condotta un valore di preparazione allo scontro bellico.61

57 «Su dammi retta: smetti con le bambinate e del lavoro suona la musica. Cantalo e ti mostrerai saggio, zappando, arando la terra, curando le bestie, lascia agli altri quelle raffinate invenzioni che ti faranno alloggiare case vuote».

58 L'attribuzione a Zeto è confermata tanto da Platone (486 c) quanto da Dione Crisostomo 73,10, fonte che ci ha restituito l'ultimo dei versi che costituiscono il frammento.

59 Come nota la critica,la formula ricorre in diverse occorrenze nel teatro euripideo al termine di dibattit COLLARD,CROPP eGIBERT 2004, 303 riportano gli esempi di Eur., Her 147 ed Hel. 992. 60 Per il legame del termine con μάτη e μάτην, che appunto veicolano i due significati per certi versi vicino di vanità e di stoltezza, si veda CHANTRAINE, s. v. μάτη.

61 Cfr. per esempio C

OLLARD, CROPP e GILBERT 2004, 304, i quali ricordano un passo delle

Supplici (vv.882-887) di Euripide in cui, a loro avviso, «farming is coupled with military training

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Osserviamo, poi, ai vv. 2-3, l’uso di due termini che appartengono all’ambito della musica, εὐμουσίαν e ἄειδε, che pongo il problema di come interpretare le esortazioni che Zeto rivolge al fratello. A tal proposito, la critica si è interrogata molto e appare divisa tra due linee interpretative: c’è chi considera l’invito di Zeto come ironico, ovvero un incoraggiamento a dedicarsi ai lavori manuali,62 come

Anfione si era dedicato fino a questo momento alla musica, e chi invece come letterale, ovvero un invito a cambiare musica.63 Comunque si interpreti, al v. 4, vi è poi un’esortazione a dedicarsi al lavoro dei campi, che lascerebbe intendere che Zeto non abbia considerato la possibilità che il fratello rimanesse solamente un suonatore di lira.

Dopo il riferimento al lavoro dei campi, Zeto ritorna a parlare del vuoto intellettualismo del fratello, andando così a completare una sorta di composizione chiastica, per la quale nei primi versi l’esortazione a smettere di perdere il proprio tempo precede l’invito a coltivare la buona Musa delle fatiche, ed è seguita dall’elogio delle giuste attività da coltivare per ritornare poi a riferirsi a quelle inutili. Per quanto riguarda quest’ultimo punto, Zeto invita il fratello ad abbandonare i suoi κομψὰ σοφίσματα, espressione che lascia trasparire tutto il suo disprezzo per le attività del fratello.64

1.3 Analisi e confronto

Nei paragrafi precedenti abbiamo potuto notare una certa somiglianza fra l’argomentazione di Callicle e le parole di Zeto. Di seguito si cercherà di analizzare passo per passo per vedere in che modo e per quali finalità Platone si è servito del testo euripideo.

La discussione, che finora si è incentrata sulla retorica e sui rapporti con la giustizia, diventa ora – a opera di Callicle – un dibattito incentrato sulla scelta del

62 Cfr. K

AMBITSIS 1972, 45. 63 Cfr. S

NELL 1967,86,n.35;DODDS 1959,279.

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modello di vita. Un vero uomo non può rinunciare a costruirsi una posizione di potere in città, dedicandosi a una vita attiva. Secondo il giovane, i discorsi di Socrate sulla giustizia e sulla politica sono chiacchiere da filosofo, da non prendere sul serio. La filosofia è un’attività che va bene da giovani, nella prima parte del processo formativo, ma che deve essere abbandonata in età adulta. In questo percorso la filosofia è riassorbita nell’organizzazione del λόγος-espressione: segna un momento per l’articolazione del λόγος, in vista dell’applicazione pratica di esso, per cui ha nei confronti della pratica una funzione servile.

Per esporre la propria tesi cita le parole di Euripide, che come ci informano lo scolio (Pl. Gorg.484e, I, 233 Cufalo) e il commento di Olimpiodoro (in Pl.Gorg., 26, 13 p.141), provengono dall’Antiope (484e3-7):

Συμβαίνει γὰρ τὸ τοῦ Εὐριπίδου: “λαμπρός” τέ ἐστιν “ἕκαστος” ἐν τούτῳ, “καὶ ἐπὶ τοῦτ᾽ ἐπείγεται”,“νέμων τὸ πλεῖστον ἡμέρας τούτῳ μέρος, ἵν᾽ αὐτὸς αὑτοῦ τυγχάνει βέλτιστος ὤν”.

Come abbiamo visto, si tratta del fr. 184 Kannicht, così ricostruito:

ἐν τούτῳ <γέ τοι>

λαμπρός θ᾿ ἕκαστος κἀπὶ τοῦτ᾿ ἐπείγεται, νέμων τὸ πλεῖστον ἡμέρας τούτῳ μέρος, ἵν᾿ αὐτὸς αὑτοῦ τυγχάνει βέλτιστος ὤν.

In questo frammento è possibile vedere una considerazione generale, dal tono pacato, con cui Zeto sottolinea l’atteggiamento di chi tende ad applicarsi, in maniera quasi febbrile (v. ἐπείγω), alle attività verso le quali capita di essere più portato, raggiungendo in queste un’eccellenza assoluta (v. λαμπρός). Il suo discorso, tuttavia, non lascia adito a dubbi in merito al fatto che, anche se è normale cedere alle proprie inclinazioni, ciò costituisca per lui una ragione per accettare come legittima qualunque attività o per giustificare chi la pratica: come emerge in

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particolare dai frr. 185 e 188, vi sono dei comportamenti corretti che ne fanno un soldato forte e coraggioso, e contribuiscono a produrre ricchezze per la sua casa ed altri che, invece, lo distraggono dai suoi doveri, fino a portarlo alla sua completa distruzione politica e morale,65 o a confonderlo nel momento della scelta politica.66

Simile è il procedere dell'argomentazione nel Gorgia: al tono così conciliante dell'incipit del discorso di Callicle, non seguono conclusioni che avallino il fatto che qualcuno perseveri nella filosofia per il semplice fatto di esservi portato, dal momento che Callicle, pur ammettendo che un po' di filosofia possa giovare alla formazione di un ragazzo (485a),67 ha poi parole molto dure per chi continua a fare

filosofia anche da adulto, arrivando a dire che questi si dimostra ridicolo e che prenderebbe volentieri a schiaffi un tale uomo (485d). Per screditare le affermazioni di Socrate, Callicle ricorre a un argumentum ad hominem, utilizzando le parole dell'euripideo Zeto: invece di confutare, attacca personalmente Socrate, dicendo che il suo disprezzo per la retorica sofistica e le questioni pratiche più in generale non deriva che dal desiderio egoistico di lodare se stesso.68 Non si spiegherebbe altrimenti la reticenza di Socrate e il suo dedicarsi ad altre attività non degne di un uomo. Chi persevera nella filosofia in età adulta, nonostante le sue ottime doti naturali, finisce per comportarsi come un mezzo uomo, poiché evita i luoghi di incontro e le assemblee e passa “tutto il resto della sua vita acquattato

65 Cfr. fr. 187 Kannicht: ἀνὴρ γὰρ ὅστις εὖ βίον κεκτημένος/τὰ μὲν κατ᾿ οἴκους ἀμελίᾳ παρεὶς ἐᾷ,/μολπαῖσι δ᾿ ἡσθεὶς τοῦτ᾿ ἀεὶ θηρεύεται,/ἀργὸς μὲν οἴκοι κἂν πόλει γενήσεται,/φίλοισι δ᾿ οὐδείς· ἡ φύσις γὰρ οἴχεται,/ὅταν γλυκείας ἡδονῆς ἥσσων τις ᾖ; « L’uomo che, fornito di un buon patrimonio, manda in malora il bilancio familiare per incuria, e drogato dalla musica cerca sempre questa droga, sarà un buono a nulla in casa e in società, una nullità per amici e parenti. La natura si corrompe quando si è schiavi della dolcezza del piacere».

66 Cfr. per es. il fr. 219: κόσμος δὲ σιγή, στέφανος ἀνδρὸς οὐ κακοῦ·τὸ δ᾿ ἐκλαλοῦν τοῦθ᾿ ἡδονῆς μὲν ἅπτεται,κακὸν δ᾿ ὁμίλημ᾿, ἀσθενὲς δὲ καὶ πόλει.; «Un ornamento di silenzio è una corona per un uomo eccellente: il vaniloquio si accompagna al piacere, ma è una cattiva compagnia ed è un motivo di debolezza per la città».

67 La filosofia, secondo la visione di Callicle, segna un momento importante dell'educazione, un momento di esercizio per l'articolazione del λόγος, in vista della sua applicazione pratica. Cfr. NOVEL PIERI 1991, 422. Una simile opinione sul ruolo della filosofia è più volte espressa da Isocrate, cfr. DODDS 1959, 275.

68 Cfr. T

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in un angolo, a confabulare con tre o quattro ragazzotti, senza fare mai un discorso coraggioso, potente, significativo” (485d5).69

Le parole di Callicle sono fortemente contestualizzate e sono lo specchio di una mentalità di un preciso periodo storico, ovvero quello dell’Atene del V secolo, soprattutto di chi apprezzava uno stile di vita fatto di successo e, all’occorrenza, anche di ingiustizia, la cui matrice è la retorica, che coniugava lo svincolamento dalla giustizia e dal sapere con mezzi potenti quali la parola persuasiva.70

Come sottolinea Dodds,71 l’elaborato adattamento fatto da Callicle delle parole

di Euripide non serve soltanto a dare un colorito poetico al suo richiamo, ma altresì a rammentare che la disputa tra vita pratica e vita contemplativa era già avviata nel quinto secolo.

Poco dopo, l’immedesimazione con Zeto, viene esplicitata dallo stesso Callicle 485e-486a): ἐγὼ δέ, ὦ Σώκρατες, πρὸς σὲ ἐπιεικῶς ἔχω φιλικῶς: κινδυνεύω οὖν πεπονθέναι νῦν ὅπερ ὁ Ζῆθος πρὸς τὸν Ἀμφίονα ὁ Εὐριπίδου, οὗπερ ἐμνήσθην. καὶ γὰρ ἐμοὶ τοιαῦτ᾽ ἄττα ἐπέρχεται πρὸς σὲ λέγειν, οἷάπερ ἐκεῖνος πρὸς τὸν ἀδελφόν, ὅτι ‘ἀμελεῖς, ὦ Σώκρατες, ὧν δεῖ σε ἐπιμελεῖσθαι, καὶ φύσιν ψυχῆς ὧδε γενναίαν μειρακιώδει [486α] τινὶ διατρέπεις μορφώματι, καὶ οὔτ᾽ ἂν δίκης βουλαῖσι προσθεῖ᾽ ἂν ὀρθῶς λόγον, οὔτ᾽ εἰκὸς ἂν καὶ πιθανὸν ἂν λάβοις, οὔθ᾽ ὑπὲρ ἄλλου νεανικὸν βούλευμα βουλεύσαιο.

69 L’opinione che il filosofo di professione sia socialmente inutile è riferita, come largamente diffusa, in Resp.487cd. Il quadro del filosofo che confabula in disparte con i suoi allievi ebbe grande successo nella letteratura antica: ma non si adatta alla figura di Socrate, che amava frequentare i luoghi pubblici ed essere in contatto con la vita pulsante della città (cfr. Xen.Mem. 1.1.10).

70 T

AGLIA 2014, LXXXVIII. 71 D

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29

Il frammento citato è il fr. 185 Kannicht:

ψυχῆς φύσιν <γὰρ> ὧδε γενναίαν <λαχὼν> γυναικομίμῳ διαπρέπεις μορφώματι· οὔτ᾿ ἂν δίκης βουλαῖσι πιθανόν ἂν λάκοις

κοὔτ᾿ ἂν ἀσπίδος κυτύει /ὁμιλήσειας οὔτ᾿ ἄλλων ὕπερ νεανικόν βούλευμα βουλεύσαιό τι

In questo frammento, Zeto muove una serie di rimproveri il fratello per i comportamenti che egli ha: rinfaccia ad Anfione di trascurare le attività delle quali dovrebbe, invece, occuparsi, e lo accusa di sembrare una donna; al contempo, teme che, quando giungerà il momento, non sarà in grado di assolvere al suo ruolo virile di combattente. Allo stesso modo, Callicle rinfaccia a Socrate di trascurare le attività delle quali dovrebbe occuparsi, nonostante la sua nobile natura: si noti l’ironia della scelta del verbo διαπρέπω – che convoglia senso del decoro, di distinzione, una crescita di nobiltà e magnificenza – che tende al sarcasmo nei confronti della παιδεία socratica. Infatti viene messo alla berlina un metodo educativo che intende una crescita come un perpetuo camuffamento infantile.72 Lo

accusa altresì di non essere in grado di difendersi in tribunale pronunciando un discorso giusto (εἱκός era l’insegna dei retori della scuola siciliana, i quali l’avevano sostituito all’ἀληθές) e suasivo né di dare validi consigli.

Possiamo notare come la citazione dei versi euripidei di rimprovero (e riprova d’errore) della condotta di Socrate comporta in essi qualche variazione o intersezione ad hoc rispetto all’originale. Già Olimpiodoro evidenzia una certa differenza tra le parole di Callicle e il corrispettivo verso pronunciato da Zeto, precisando come il vocabolo μειρακιώδει usato da Platone si sostituisca a γυναικομίμῳ di Euripide (in Pl. Gorg., 26,21, 143 Westerink):

72 Cfr. N

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ὁρᾷς πῶς τοῦ Εὐριπίδου ‘γυναικώδει’ εἰρηκότος αὐτὸς ‘μειρακιώδει’ εἶπεν.

Il termine che Olimpiodoro riporta come quello impiegato dal tragico appare difficilmente compatibile con la ricostruzione di un trimetro. Si può notare, però, che la forma del termine non appare questione fondamentale per la finalità del suo commento: per mostrare, infatti, in che modo Platone abbia integrato nel proprio ragionamento il precedente euripideo da lui scelto, appare importante capire quanto a livello di contenuto sia stato modificato, poiché questo poteva essere un punto di partenza per procedere ad una valutazione di come fosse necessario adattare il testo citato al nuovo contesto. Platone sfrutta quanto di esso fosse funzionale, come un insulto che consisteva nel negare ad un accusato la dignità di essere un vero uomo, ma eliminando quanto non si sarebbe adattato alla nuova situazione: l’accusa di somigliare a una donna non poteva essere rivolta a Socrate, mentre quella di avere atteggiamenti puerili era perfettamente coerente a quanto detto prima riguardo ai filosofi.

Il passo seguente del commento di Olimpiodoro rivela un’altra differenza fra i due testi; qui Olimpiodoro, per spiegare la frase καὶ οὔτ᾽ ἂν δίκης βουλαῖσι contenuta nel testo di Platone, commenta (in Pl. Gorg., 26,22, p.143 Westerink):

ὁ Εὐριπίδης εἶπεν ‘καὶ οὐκ ἂν ἀσπίδος κύτει προσομιλήσεις’,οὗτος δέ φησιν ‘δίκαις σχόλαζε, ὦ Σώκρατες’.73

È facile capire la sostituzione operata da Platone: l’argomento di Callicle dipende dalle leggi e dalla procedura legale di Atene. Si può, inoltre, osservare che Callicle introduce questa sezione, in cui parafrasa e adatta alla propria situazione i versi del

73 «Euripide disse: 'E non ti stringeresti ad uno scudo', mentre questo dice: 'Occupati di tribunali, o Socrate».

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tragico, con un’apostrofe con la quale si rivolge al proprio interlocutore chiamandolo per nome, e che introduce la frase che segue la citazione con καίτοι e ripetendo il nome di Socrate, sempre al vocativo, marcando in questo modo uno stacco rispetto alle parole del poeta parafrasate (486a4-b4):

καίτοι, ὦ φίλε Σώκρατες—καί μοι μηδὲν ἀχθεσθῇς: εὐνοίᾳ γὰρ ἐρῶ τῇ σῇ—οὐκ αἰσχρὸν δοκεῖ σοι εἶναι οὕτως ἔχειν ὡς ἐγὼ σὲ οἶμαι ἔχειν καὶ τοὺς ἄλλους τοὺς πόρρω ἀεὶ φιλοσοφίας ἐλαύνοντας; νῦν γὰρ εἴ τις σοῦ λαβόμενος ἢ ἄλλου ὁτουοῦν τῶν τοιούτων εἰς τὸ δεσμωτήριον ἀπάγοι, φάσκων ἀδικεῖν μηδὲν ἀδικοῦντα, οἶσθ᾽ ὅτι οὐκ ἂν ἔχοις ὅτι χρήσαιο σαυτῷ, ἀλλ᾽ ἰλιγγιῴης ἂν καὶ χασμῷο οὐκ ἔχων ὅτι εἴποις, καὶ εἰς τὸ δικαστήριον ἀναβάς, κατηγόρου τυχὼν πάνυ φαύλου καὶ μοχθηροῦ, ἀποθάνοις ἄν, εἰ βούλοιτο θανάτου σοι τιμᾶσθαι.74

Qui, infatti, l’allontanamento dall’Antiope pare piuttosto evidente, poiché in queste parole vi è una sorta di profezia ex eventu riguardo alle sorti del filosofo e di un’affermazione dell’importanza della disciplina che Gorgia, al quale Callicle è subentrato nel dialogo, si vanta di saper insegnare lodandone l’utilità. Non a caso Gorgia nella parte precedente aveva definito la retorica (452d5-9):

ὅπερ ἐστίν, ὦ Σώκρατες, τῇ ἀληθείᾳ μέγιστον ἀγαθὸν καὶ αἴτιον ἅμα μὲν ἐλευθερίας αὐτοῖς τοῖς ἀνθρώποις, ἅμα δὲ τοῦ ἄλλων ἄρχειν ἐν τῇ

74 «Del resto, Socrate mio – vedi, non devi irritarti con me, anzi: ti parlerò con benevolenza -, non ti pare brutta la condizione in cui credo vi troviate tu e gli altri, voi che conducete l’esistenza sempre più isolati nella filosofia? Se infatti ora uno prendesse te – o un altro qualsiasi di quelli come te – e ti conducesse in una prigione, dichiarando che hai commesso ingiustizia, benché tu non ne abbia commessa alcuna, sai bene che non sapresti come comportarti, e saresti anzi colto da vertigini, rimarresti a bocca aperta senza sapere cosa dire; e poi presentandosi in tribunale, anche se incontrassi fortuitamente un accusatore assolutamente dappoco e incapace finiresti per morire se solo volesse farti condannare a morte».

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αὑτοῦ πόλει ἑκάστῳ.75

Per poi chiarire meglio questa definizione, dicendo (452e1-8):

τὸ πείθειν ἔγωγ᾽ οἷόν τ᾽ εἶναι τοῖς λόγοις καὶ ἐν δικαστηρίῳ δικαστὰς καὶ ἐν βουλευτηρίῳ βουλευτὰς καὶ ἐν ἐκκλησίᾳ ἐκκλησιαστὰς καὶ ἐν ἄλλῳ συλλόγῳ παντί, ὅστις ἂν πολιτικὸς σύλλογος γίγνηται. καίτοι ἐν ταύτῃ τῇ δυνάμει δοῦλον μὲν ἕξεις τὸν ἰατρόν, δοῦλον δὲ τὸν παιδοτρίβην: ὁ δὲ χρηματιστὴς οὗτος ἄλλῳ ἀναφανήσεται χρηματιζόμενος καὶ οὐχ αὑτῷ, ἀλλὰ σοὶ τῷ δυναμένῳ λέγειν καὶ πείθειν τὰ πλήθη.76

La retorica viene qui definita da parametri esterni, in base alle istituzioni in cui la parola dovrà essere esercitata La prassi oratoria ateniese si dispiegava in numerose circostanze, in primo luogo nell’ambito giudiziario e politico. Erano le istituzioni stesse a suscitare l’attività retorica: un’attività quasi quotidiana, se si tiene conto della frequenza con la quale si riunivano le assemblee e i tribunali, e un’attività che si svolgeva davanti ad un largo pubblico, dato il numero estremamente elevato degli spettatori in ciascun caso.77

Subito dopo il discorso si volge a considerare la natura di quest’arte che rende peggiore chi la pratica:

Καίτοι πῶς σοφὸν τοῦτό ἐστιν, ὦ Σώκρατες, “ἥτις εὐφυῆ λαβοῦσα

75 «Socrate esattamente questo è in verità il sommo bene, causa a un tempo per gli uomini della libertà e per ciascuno di comandare gli altri nella propria citta».

76 «A mio avviso l’essere capaci di persuadere con i discorsi, sia i giudici riuniti a giudizio, sia i consiglieri nel consiglio, sia il popolo nelle assemblee popolari sia in ogni altro consesso. E, in effetti, in virtù di questa capacità avrai come tuo schiavo il medico, come tuo schiavo il maestro di ginnastica; e sarà sotto gli occhi di tutti che il nostro uomo d’affari farà affari non certo per se stesso ma per te, che hai la capacità di parlare e persuadere le masse».

77 P

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