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L’Apologia di Socrate è la ricostruzione letteraria del discorso di difesa tenuto da Socrate durante il processo del 399 a.C. All’inizio del dialogo Socrate dichiara la propria incapacità retorica: i giudici dovranno fare attenzione non all’accuratezza dello stile, ma alla verità delle sue affermazioni (17a-18a). L’esordio si fa programma di un discorso in cui le ripetizioni e i termini del quotidiano, le anafore e le riprese colloquiali fanno spicco: forma volutamente povera e senso che esige questa forma vanno strettamente uniti.141

Nella prima parte del discorso di difesa è posta la nota distinzione tra accuse e accusatori recenti, e accuse e accusatori antichi, e in riferimento a questa seconda categoria di accusatori, compare il primo riferimento alla presunta sapienza di Socrate (18b4-c1). L’accusa di essere σοφὸς ἀνήρ è direttamente connessa in questo passo a quella di coltivare lo studio della filosofia naturalistica e la retorica sofistica, e ha dunque, oltre che un radicamento storico ben preciso, tutte le risonanze e le implicazioni culturali che, in quest’età, la professione di σοφία porta con sé.142

Non a caso, nel passo immediatamente successivo, Socrate bolla quest’accusa come mera calunnia, potenzialmente pericolosa perché chi le ascolta inevitabilmente riterrà che chi svolge quel tipo di indagini non crede all’esistenza degli dèi (18c2-3):

141 A

VEZZÙ 1993,12.

142 Va notato che, nell’accusa rivolta a Socrate, lo studio delle “cose celesti” rinvia alla linea filosofica ionica, rappresentata da Anassagora e Diogene di Apollonia, laddove lo studio delle “cose di sotto terra” rinvia alla speculazione dei filosofi della Magna Grecia, rappresentata da Empedocle. Cfr. BRANCACCI 1997,308.

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οὗτοι, ὦ ἄνδρες Ἀθηναῖοι, οἱ ταύτην τὴν φήμην κατασκεδάσαντες, οἱ δεινοί εἰσίν μου κατήγοροι: οἱ γὰρ ἀκούοντες ἡγοῦνται τοὺς ταῦτα ζητοῦντας οὐδὲ θεοὺς νομίζειν.143

L’antica διαβολή è di nuovo, e anzi con maggior forza, identificata con la γραφή intentata da Meleto, mentre l’espressione οἱ κατήγοροι è sostituita, significativamente, dall’espressione οἱ διαβάλλοντες (19a8-b3). Il testo dell’accusa, riportato nei termini di un’ἀντωμοσία, vale a dire come il giuramento con il quale due parti in causa si accordano sulla formulazione di un’accusa, si presenta ora nella seguente forma (19b4-6):144

Σωκράτης ἀδικεῖ καὶ περιεργάζεται ζητῶν τά τε ὑπὸ γῆς καὶ οὐράνια καὶ τὸν ἥττω λόγον κρείττω ποιῶν καὶ ἄλλους ταὐτὰ ταῦτα διδάσκων.145

Da quanto emerge, le calunnie che secondo Socrate sono all’origine della γραφή sono tre; esse implicano un’impropria assimilazione di Socrate alle tre diverse figure di filosofo sviluppatesi nel V secolo: occuparsi di filosofia della natura, essere un sofista, presentarsi come σοφός. A ciascuna di esse corrisponde uno specifico intervento di Socrate, il quale respinge innanzitutto, in maniera netta e recisa, i primi due addebiti, per passare poi a chiarire, in un contesto di idee necessariamente più disteso e complesso, quale sia la sua concezione di σοφία ed entro che limiti egli se ne attribuisca una, sia pure particolarissima.

Per la prima accusa si poneva, in verità, un problema obbiettivo: Socrate si era effettivamente occupato di filosofia della natura in una fase giovanile della sua

143 «Questi che spargono voci su di me, Ateniesi, sono i miei accusatori più temibili: quelli che prestano loro ascolto pensano che chi si dedica a tali indagini neanche riconosce gli dèi». 144 AVEZZÙ 1993,n. ad loc.

145 «Socrate commette ingiustizia e si dà da fare in cose che non gli spettano, indagando le cose che stanno sotto terra e quelle celesti, facendo apparire più forte il discorso più debole e insegnando queste cose ad altri».

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formazione, anche se con uno spirito e con intenti che non avrebbero giustificato, né agli occhi di Platone né a quelli degli altri Socratici, una sua pura e semplice assimilazione all’anassagoreismo;146 e, sebbene Socrate avesse in seguito

abbandonato tali indagini, bisognava fare i conti con la raffigurazione che di Socrate e della sua filosofia aveva offerto Aristofane nelle Nuvole, che aveva avuto una grande notorietà. Platone, che non poteva passarla sotto silenzio, la liquida con un veloce riferimento all’aerobatein e a «ogni altro genere di consimili sciocchezze» (19c2-4), mentre all’accusa di ordine generale sono riservate complessivamente quattro esplicite smentite nello spazio di venti righe di greco (19c4-5). Socrate non si limita ad affermare che l’accusa che gli viene rivolta è falsa, o che nessuno può dire di averlo mai sentito discutere di quelle questioni, ma afferma proprio di non avere conoscenze, e di non svolgere ricerche in quest’ambito: il che conferisce alla sua negazione il carattere di una presa di posizione generale sulla filosofia naturalistica, della quale, anzi, si mette esplicitamente in dubbio che esistano σοφοί. Tutto ciò emerge dal seguente passo, in cui, dopo aver ricordato i caratteri che Aristofane gli attribuiva nella sua commedia, Socrate parlando del presente – e non al passato: onde, sia notato il passaggio, quanto egli dice è perfettamente compatibile con il noto resoconto autobiografico del Fedone –147 osserva (19c4-8):

146 Sull’interesse giovanile di Socrate per la filosofia naturalistica si veda il discorso che Platone attribuisce al maestro nel Fedone. 96a-100a. Tracce molto chiare di questi interessi sono nei due capitoli dei Memorabili I, 4 e IV, 3 d’argomento teologico e fisico-provvidenzialistico. Per l’eco suscitato dalla raffigurazione aristofanesca di Socrate cfr. SENOFONTE,Simposio VI, 6-7.

147 Tale compatibilità risulta particolarmente chiara se si ricorda la frase iniziale del Fedone (96a5- 9), in cui Socrate precisa: «ἐγὼ γάρ, ἔφη, ὦ Κέβης, νέος ὢν θαυμαστῶς ὡς ἐπεθύμησα ταύτης τῆς σοφίας ἣν δὴ καλοῦσι περὶ φύσεως ἱστορίαν: ὑπερήφανος γάρ μοι ἐδόκει εἶναι, εἰδέναι τὰς αἰτίας ἑκάστου, διὰ τί γίγνεται ἕκαστον καὶ διὰ τί ἀπόλλυται καὶ διὰ τί ἔστι»;«Io, o Cebete, quand’ero giovane, ero straordinariamente attratto da quel sapere che chiamano indagine della natura: mi sembrava splendido conoscere le cause di ogni cosa, perché ciascuna cosa nasce, perché muore e perché esiste».

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ὧν ἐγὼ οὐδὲν οὔτε μέγα οὔτε μικρὸν πέρι ἐπαΐω. καὶ οὐχ ὡς ἀτιμάζων λέγω τὴν τοιαύτην ἐπιστήμην, εἴ τις περὶ τῶν τοιούτων σοφός ἐστιν— μή πως ἐγὼ ὑπὸ Μελήτου τοσαύτας δίκας φεύγοιμι— ἀλλὰ γὰρ ἐμοὶ τούτων, ὦ ἄνδρες Ἀθηναῖοι, οὐδὲν μέτεστιν.148

A uno schema argomentativo analogo risponde la successiva negazione di essere sofista. Socrate comincia col negare, riferendosi ai due caratteri più noti che definiscono l’attività sofistica, di educare gli uomini e di esigere, per questo, denaro (19d8-e1), ma prosegue poi assumendo l’espressione παιδεύειν ἀνθρώπους nel suo senso più pieno e rigoroso, coincidente con la facoltà di far diventare i giovani belli e bravi (20b1) e con la conoscenza della virtù dell’uomo e del cittadino (20b4-5). Ed è a questo punto che, dopo aver espresso, a somiglianza di quanto aveva già fatto nei confronti della filosofia della natura, un’ironica nota di dubbio sul fatto che di tale conoscenza sia fornito il sofista Eveno di Paro.

Dopo aver A questo punto Socrate immagina che gli sia rivolta dai giudici la domanda di sia allora l’occupazione dalla quale gli sono derivate queste calunnie (20c4-d1). In risposta a questa domanda, afferma:

ἐγὼ γάρ, ὦ ἄνδρες Ἀθηναῖοι, δι᾽ οὐδὲν ἀλλ᾽ ἢ διὰ σοφίαν τινὰ τοῦτο τὸ ὄνομα ἔσχηκα. ποίαν δὴ σοφίαν ταύτην; ἥπερ ἐστὶν ἴσως ἀνθρωπίνη σοφία: τῷ ὄντι γὰρ κινδυνεύω ταύτην εἶναι σοφός. οὗτοι δὲ τάχ᾽ ἄν, οὓς ἄρτι ἔλεγον, μείζω τινὰ ἢ κατ᾽ ἄνθρωπον σοφίαν σοφοὶ εἶεν, ἢ οὐκ ἔχω τί λέγω: οὐ γὰρ δὴ ἔγωγε αὐτὴν ἐπίσταμαι, ἀλλ᾽ ὅστις φησὶ ψεύδεταί τε καὶ ἐπὶ διαβολῇ τῇ ἐμῇ λέγει.149

148 «Tutte queste cose di cui io non mi intendo né molto né poco. Dico ciò non in quanto io abbia disprezzo per una scienza di tal fatta, se davvero c’è qualcuno che sia sapiente di quelle cose. Che io non debba ricevere da Meleto anche un’accusa di tal genere! Dico, invece, che di queste cose, o cittadini ateniesi, io non faccia assolutamente ricerca».

149 «Io, o cittadini ateniesi, mi sono guadagnato questo nome per nient’altro se non per una certa sapienza. Qual è questa sapienza? Quella che forse è una sapienza umana. Giacché di questa può darsi chi io sia davvero sapiente. Quelli, invece, di cui poco fa parlavo, devono essere sapienti di

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In questo passo è solo nominata, ma non ancora definita, la ἀνθρωπίνη σοφία: per il momento, cioè, sappiamo solo che, sì, esiste una sapienza di cui Socrate si dichiara in possesso, senza che ci sia detto in che cosa, propriamente, essa consista: per questo occorrerà aspettare il seguito della relazione platonica.150

A questa sezione ne segue un’altra cronologicamente anteriore, che dal punto di vista letterario esalta e sottolinea quella autobiografia intellettuale che è propria di questa sezione, e della quale Socrate si avvale per spiegare quali avvenimenti abbiano determinato le sue convinzioni teoriche e il suo attuale punto di vista.

Per introdurre questa digressione, Socrate richiama l’attenzione del “pubblico”, segue una sorta di captatio benevolentiae, sottolineando come il discorso non sia suo ma derivi da una fonte autorevole:

οὐ γὰρ δὴ ἔγωγε αὐτὴν ἐπίσταμαι, ἀλλ᾽ ὅστις φησὶ ψεύδεταί τε καὶ ἐπὶ διαβολῇ τῇ ἐμῇ λέγει. καί μοι, ὦ ἄνδρες Ἀθηναῖοι, μὴ θορυβήσητε, μηδ᾽ ἐὰν δόξω τι ὑμῖν μέγα λέγειν: οὐ γὰρ ἐμὸν ἐρῶ τὸν λόγον ὃν ἂν λέγω, ἀλλ᾽ εἰς ἀξιόχρεων ὑμῖν τὸν λέγοντα ἀνοίσω. τῆς γὰρ ἐμῆς, εἰ δή τίς ἐστιν σοφία καὶ οἵα, μάρτυρα ὑμῖν παρέξομαι τὸν θεὸν τὸν ἐν Δελφοῖς.151

una qualche sapienza più che umana, o non so che cosa dire: certo la loro sapienza io non la possiedo, e se qualcuno me l’attribuisce mente e cerca di calunniarmi».

150 Non possono peraltro sfuggire gli elementi di cautela e attenuazione che Platone impiega nel momento in cui, dopo aver negato che Socrate sia σοφός, gli attribuisce comunque una σοφία. Nel prologo e nella parte iniziale del discorso di difesa filosofi della natura e sofisti erano caratterizzati come σοφοί, mentre Socrate era presentato come colui che non si occupa né di filosofia della natura né di retorica e conseguentemente non possiede nessuna conoscenza intorno ad esse: ora, invece, la sapienza propria di Socrate è detta sapienza propriamente umana, e ad essa si contrappone la sapienza dei filosofi della natura e dei sofisti, che però è denominata, con formula evidentemente ironica, e con sfumatura di scetticismo neppure troppo celata (si noti il potenziale ἄν εἶεν, in luogo di un presente, e l’osservazione conclusiva ἢ οὐκ ἔχω τί λέγω), μείζω τινὰ ἢ κατ᾽ ἄνθρωπον σοφίαν.

151 «Ora non interrompetemi con il vostro chiasso, cittadini ateniesi, anche se le mie parole vi appaiono presuntuose: infatti il discorso che mi appresto a fare non è mio, lo riferirò da una fonte

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È proprio in questo passo, in cui viene chiamato in causa l’oracolo di Delfi, che troviamo l’espressione οὐ γὰρ ἐμὸν ἐρῶ τὸν λόγον ὃν ἂν λέγω, esplicita allusione al fr. 484 Kannicht della Melanippe saggia, tragedia euripidea in gran parte perduta. Con questo verso cominciava un lungo discorso della protagonista, che Platone mostra esplicitamente di conoscere in Simposio 177a, sulla cui funzione in tale contesto si dirà nei paragrafi successivi. In questa sede è interessante notare come in seguito al responso, per capirne il significato, Socrate iniziò a confrontarsi con alcuni suoi concittadini con fama di sapienti(21b-c3):152

ma esaminate le loro competenze, le trovò più apparenti che reali.

Conclusa la digressione,153 si ritorna al tempo presente, e finalmente viene data

l’interpretazione dell’oracolo (23a3-b4):

οἴονται γάρ με ἑκάστοτε οἱ παρόντες ταῦτα αὐτὸν εἶναι σοφὸν ἃ ἂν ἄλλον ἐξελέγξω. τὸ δὲ κινδυνεύει, ὦ ἄνδρες, τῷ ὄντι ὁ θεὸς σοφὸς εἶναι, καὶ ἐν τῷ χρησμῷ τούτῳ τοῦτο λέγειν, ὅτι ἡ ἀνθρωπίνη σοφία ὀλίγου τινὸς ἀξία ἐστὶν καὶ οὐδενός. καὶ φαίνεται τοῦτον λέγειν τὸν Σωκράτη, προσκεχρῆσθαι δὲ τῷ ἐμῷ ὀνόματι, ἐμὲ παράδειγμα ποιούμενος, ὥσπερ ἂν εἰ εἴποι ὅτι ‘οὗτος ὑμῶν, ὦ ἄνθρωποι, σοφώτατός ἐστιν, ὅστις ὥσπερ Σωκράτης ἔγνωκεν ὅτι οὐδενὸς ἄξιός ἐστι τῇ ἀληθείᾳ πρὸς σοφίαν.154

ben autorevole presso di voi. Quale testimone della mia sapienza, se ve n’è davvero una e di che natura sia, chiamerò davanti a voi il dio di Delfi.”

152 «Allorché ho saputo di quel responso, naturalmente mi è venuto da riflettere: «Che mai vuol dire il dio, a cosa alluderà? Io per me sono consapevole di non essere sapiente affatto, per cui mi domando cosa mai intende quando dichiara che sono il più sapiente di tutti: perché senza dubbio non sta mentendo, non gli è lecito». E dopo essere stato a lungo incerto sul significato del responso, alla fine, per quanto malvolentieri, mi decisi all’indagine di cui ora dirò. Andai da coloro che hanno fama di sapienti, convinto che lì meglio che altrove, con la forza dell’evidenza avrei potuto smentire l’oracolo: «Vedi, questo qui è più sapiente di me mentre tu avevi detto che lo ero io».

153 La digressione fornisce, retrospettivamente, gli elementi conclusivi atti a chiarire il significato che Socrate conferisce alle sue precedenti affermazioni sulla σοφία e sull’ ἀνθρωπίνη σοφία. 154 «È appunto da quest’esame, o cittadini ateniesi, che mi derivarono molte inimicizie, pericolosissime e gravissime, e da queste inimicizie molte calunnie, e inoltre il nome di sapiente: perché ogni volta che discorrevo, le persone presenti credevano che io fossi sapiente di quelle

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