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Riportiamo i due testi:

Ione 533d4

246 F

RANÇOIS -VAN LOOY 1998,464.

247 «dei mortali le menti osservando, come la pietra di Magnesia, ne attira le opinioni e le capovolge»

120 θεία δὲ δύναμις ἥ σε κινεῖ, ὥσπερ ἐν τῇ λίθῳ ἣν Εὐριπίδης μὲν Μαγνῆτιν ὠνόμασεν, οἱ δὲ πολλοὶ Ἡρακλείαν Eneo 567 Kannicht τὰς βροτών/ γνώμας σκοπών ὥστε Μαγνῆτις λίθος/ τὴν δόξαν ἕλκει καὶ μεθίησιν πάλιν.

Data la brevità del frammento e le scarse notizie sulla tragedia, possiamo ricavare solo l’attestazione di un legame tematico, riguardo all’uso metaforico del magnete.

In Euripide non sappiamo a cosa sia paragonato il potere attrattivo della Μαγνῆτις λίθος, mentre in Platone l’immagine è ben espressa: l’abilità dei poeti non proviene dalla loro τέχνη, ma è frutto di un invasamento divino. I poeti hanno successo proprio perché sono ispirati da un dio e posseduti. L’impulso che la Musa infonde nel poeta e che questi, a sua volta, trasmette al suo uditorio viene paragonato alla δύναμις della calamita (la pietra «che Euripide chiamò Magnete ma che i più chiamano pietra di Eraclea», 533d),248 la quale ha la facoltà di rendere

magnetici gli anelli di ferro a cui si accosta, «di modo che essi possano fare la stessa cosa che fa la pietra» (533d). Si viene così a creare una lunga catena di anelli di ferro sospesi gli uni agli altri in virtù del magnetismo della pietra di Eraclea; ovvero – nel caso della poesia – si forma una catena di poeti ispirati che trasmettono gli uni agli altri l’energia creativa emanata dalla Musa. Secondo questo schema, il magnete rappresenta dunque la Musa, fonte dell’ispirazione; gli anelli che immediatamente vi si avvincono rappresentano le grandi figure della poesia: Orfeo, Museo e Omero (536 b); gli anelli finali della catena rappresentano il pubblico “magnetizzato” dall’esecuzione rapsodica: il flusso irradiato dalla pietra di Eraclea raggiunge infatti anche lo spettatore della performance, al quale non spetta un rango diverso da quello del rapsodo. Anche il fruitore della poesia, anche il lettore è un anello della lunga catena dell’ispirazione: «Sai dunque che lo

248 Per la doppia denominazione, cfr. C

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spettatore è l’ultimo degli anelli di cui io dicevo che ricevono l’uno dall’altro la forza che deriva dalla pietra Eraclea?».

Per quanto riguarda il paragone tra la Musa e il magnete, come osserva Velardi,249 è difficile inquadrare il richiamo al magnetismo nel contesto delle conoscenze scientifiche e dell’universo simbolico dell’epoca di Platone.250

Sappiamo che il fenomeno del magnetismo colpì l’attenzione dei Greci già dall’inizio del VI secolo a.C. Aristotele (De an. 1,2,405 = 11 A 22 D.-K) riporta la notizia che secondo Talete la pietra sarebbe dotata di anima per la sua capacità di muovere il ferro. Successivamente all’argomento si interessarono Empedocle (31 A 89 D.-K) e Diogene di Apollonia (64 A 33 D.-K.), ma l’autore di cui ci è rimasta qualche traccia più consistente, sebbene esigua, è Democrito che dedicò al magnetismo un trattato (68 B11k D.-K), 251 in cui emerge che anche Democrito parlava, a proposito dell’attrazione esercitata sul ferro dalla Herakleia lithos, di kinein, richiamava l’immagine della catena e degli anelli e, soprattutto spiegava il fenomeno dell’attrazione riconducendolo alla homoiotes tra i corpi che vi erano interessati.252 Potrebbe essere ispirata a questo principio, allora, l’idea espressa

nello Ione secondo cui tanto i rapsodi quanto i poeti hanno ciascuno un autore e un genere verso cui sono portati e una specifica divinità che li muove.253 Tra l’altro,

fra i pensatori greci che elaborarono delle riflessioni teoriche sull’enthousiasmos, Democrito occupa una posizione di rilievo.254 Dell’opera di Democrito in cui si

249 V

ELARDI 1989,100.

250 Sulla conoscenza e le teorie antiche del magnetismo, vd. F

RITZSCHE,1902, p. 363 ss. eRADL 1988.

251 Un parziale riassunto di questo trattato in Alessandro di Afrodisia, Quaest. 2,23= 68 A 165 D.- K.

252 Cfr. fr. 68 A 165.29, 31, 34, 36,40, 42.

253 Cfr. 531a1-4, 532b8-c4, 533c5-7, 534b7-c5, e5, 536a7-d3.

254 Lo stesso Platone nel IV libro delle Leggi (719c1), accennando brevemente all’enthousiasmos poetico, nell’ambito di un discorso pronunciato dall’Ateniese hupo poieton, parla di esso come di un palaios mythos da sempre ripetuto dai poeti e accettato concordemente da tutti; e infatti vi Vi sono una serie di testimonianze, letterarie ma anche iconografiche, relative alla diffusione che la credenza in uno stato di divina follia del poeta deve aver avuto anche a livello popolare. Il

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trova accenno all’enthousiasmos ci rimangono due frammenti di tradizione indiretta, a cui si aggiungono tre testimonianze latine che costituiscono il fr. 18 D.K. Le prime due sono di Cicerone (De orat. 2,46,194; De div. 1,38, 80), la terza di Orazio (De art. poet. 295 ss):

1. Saepe enim audivi poetam bonum neminem—id quod a Democrito et Platone in scriptis relictum esse dicunt—sine inflammatione animorum exsistere posse et sine quodam adflatu quasi furoris.255

2. Negat enim sine furore Democritus quemquam poetam magnum esse posse, quod idem dicit Plato. Quem, si placet, appellet furorem, dum modo is furor ita laudetur, ut in Phaedro Platonis laudatus est.256

3. Ingenium misera quia fortunatius arte credit et excludit sanos Helicone poetas Democritus etc.257

Come nota Giuliano,258 i due passi ciceroniani inquadrano e sintetizzano

l’esposizione della dottrina data nello Ione e nel Fedro: il poeta bonus o magnus di Cicerone, che riecheggia l’agathos o hikanos poietes platonico (Io. 533e6 e e8;

palaios mythos dei poeti circa il loro stato di mania ispirata era effettivamente sundedogmenos in

ampi strati del popolo greco

255 «Spesso, infatti, ho sentito dire che nessuno può essere buon poeta (dicono che questa affermazione si trovi negli scritti di Democrito e Platone) senza un’infiammazione dell’animo e senza un certo afflato, una sorta di furore».

256 «Democrito nega che chiunque possa essere un grande poeta senza furore e lo stesso dice Platone».

257 «Poiché Democrito ritiene che l’ingegno sia più fortunato della misera arte ed esclude i poeti sani di mente dall’Eliconia».

258 G

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Phaedr. 245a6), inquadra il carattere di eccellenza della poesia in oggetto, e il furor, calco del mania, riferisce tale carattere alla condizione di follia che deriva dalla sua provenienza divina. Cicerone mette insieme Democrito e Platone come sostenitori della stessa concezione poetica, anche se, con le espressioni saepe enim audivi…, id quod … dicunt, lascia intendere che si serve di letture non di prima mano. Secondo Velardi,259 le testimonianze di Cicerone e Orazio son più utili come

informazioni sul dibattito teorico sulla poesia intorno alla metà del I a.C. che non per la ricostruzione del pensiero di Democrito su questo tema.260 Giuliano, invece,

sottolinea come Cicerone, la cui ammirazione nei confronti di Platone, il suo “dio”, è nota, difficilmente avrebbe assegnato, come avviene nel De divinatione, la priorità di una dottrina, che mostra di apprezzare, a Democrito e non a Platone,261

se non fosse stato sufficientemente documentato.262 Di conseguenza, non sarebbe lecito contestare la validità della testimonianza ciceroniana circa una generica validità di vedute tra Democrito e Platone sulla natura dell’enthousiasmos poetica. Nella stessa direzione andrebbe poi la testimonianza oraziana, che confermerebbe la professione democritea della mania del poeta, che ritroviamo anche in Platone.

In base alle testimonianze degli autori latini è possibile presupporre che la conoscenza democritea e quella platonica dell’enthousiasmos poetico esistesse una generica affinità di fondo. Il presupposto non sembra smentito all’esame dei due unici frammenti superstiti in cui Democrito si esprime sul motivo.

In un frammento attribuito a Democrito incontriamo la prima occorrenza del sostantivo ἐνθουσιασμός (fr.18 DK= Clem.Al., Strom. VI 168):

259 V

ELARDI 1989,102. 260 Cfr. anche C

APUCCINO 2005,214,la quale nega il valore di queste testimonianze, a differenza di Velardi, il quale comunque sostiene che vi è una dipendenza diretta di Platone da Democrito per la nozione di enthousiasmos.

261 Per l’ammirazione di Cicerone nei confronti di Platone, cfr. W

ILKINSON 1991,376e 416-426. 262 Cfr. G

IULIANO 2005,180 n.156 per i luoghi delle opere filosofiche di Cicerone in cui fa riferimento a Democrito.

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καὶ ὁ Δημόκριτος ὁμοίως·«ποιητὴς δὲ ἅσσα μὲν ἂν γράφῃ μετ’ ἐνθουσιασμοῦ καὶ ἱεροῦ πνεύματος, καλὰ κάρτα ἐστίν.263

Da questo frammento si evince un’affinità con il passo dello Ione. Tuttavia, Clemente omette dalla citazione democritea quel membro della frase in cui dovrebbe esplicitare in antitesi alla caratteristiche della poesia ispirata quelle della poesia non ispirata. In tal caso vi sarebbero state delle informazioni utili per una maggiore comprensione della dottrina democritea, per capire in che modo e se facesse questione di techne. Si può supporre con Giuliano che nei kala che scrive il poeta ispirato vi siano implicite non solo qualità estetiche, ma anche la sua validità sul piano della conoscenza degli argomenti trattati, come dimostrerebbe l’altra testimonianza indiretta sulla dottrina democritea fornita da Dione Crisostomo, in cui sembrerebbe che Democrito attribuisse alla poesia ispirata contenuti gnoseologici (36,1):

«Democrito disse di Omero: ‘Omero al quale toccò in sorte una natura sensibile all’influsso divino compose un insieme di parole di ogni genere’ come se non fosse possibile elaborare parole così belle e sapienti senza una natura divina e demoniaca». 264

Qui, inoltre, la nozione di enthousiasmos poetico è messa in relazione alla physis, in particolare quella di Omero, autorizzando ad ipotizzare che Democrito ritenesse solo di alcuni individui l’attitudine all’invasamento divino.265 È

opportuno comunque mettere in evidenza le differenze: Democrito, infatti, sembrerebbe includere tra le proprietà derivanti dall’ispirazione divina anche

263 «E Democrito allo stesso modo <disse>: “Qualunque cosa il poeta scriva sotto l’influsso dell’entusiasmo e del soffio sacro è molto bella…».

264 È probabile che Democrito ritenesse solo di alcuni individui l’attitudine divina. Cfr. DELATTE 1934,32;LANATA 1963,261.La stessa posizione in Pl. Apol 22b-c.

265 Cfr. D

ELATTE 1934,32; LANATA 1963, 261; VELARDI 1989, 102. La stessa posizione la ritroviamo in Platone nell’Apologia (22b-c) e nelle Leggi (3, 682a2).

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l’acquisizione di una capacità tecnica,266 ma Platone insiste sull’impossibilità di

tale acquisizione proprio per lo stato di invasamento, e quindi di ottundimento mentale, di cui è preda il poeta.267

L’esigua consistenza dei resti relativi alla dottrina democritea dell’enthousiasmos non permette di fare ulteriori osservazioni sul rapporto con Platone senza avventurarsi sul terreno della mera congettura.268 Inoltre, nulla resta

del trattato democriteo sul magnetismo, e le uniche testimonianze relativamente al contenuto (68 A 164 e 165 D.-K.) non lasciano intravedere se l’autore vi istituisse qualche collegamento con la poesia e con la dottrina dell’enthousiasmos. È possibile quindi ammettere una sostanziale e generica identità di vedute nella riflessione dei due pensatori , senza operare, tuttavia, delle forzature, come fa Delatte, il quale, come osserva Velardi, con un’operazione assai arrischiata, tenta di integrare le scarse notizie della dottrina democritea con le pagine dello Ione.

Ritornando alla metafora del magnete, il Flashar, che critica l’ipotesi di Delatte, è propenso a credere che l’immagine sia stata suggerita a Platone dal passo euripideo piuttosto che da Democrito.269 Infine, Velardi, che legge entrambi, più

cautamente sostiene l’ipotesi che Platone, verosimilmente a conoscenza del trattato democriteo, attingesse a un topos invalso nella letteratura scientifica e nell’immaginario collettivo, ma afferma con fermezza che il paragone tra poesia e magnetismo sia di indubbia paternità platonica. Riguardo a quest’ultima

266 Cfr. il tektaìnein del fr. 21. Ma L

ANATA 1963,261ritiene che il verbo sottolinei l’esigenza del poeta di padroneggiare i mezzi tecnici.

267 Cfr. G

IULIANO 2005, 181, il quale ipotizza che Platone avrebbe potuto attaccare questo elemento della concezione democritea.

268 Il rapporto di Platone con Democrito è ancora tutto da definire. Il fatto, di per sé notevole, che Democrito sia l’unico intellettuale di un certo rilievo del V secolo a non essere menzionato da Platone ha dato adito a interpretazioni diverse. Sembra, tuttavia, che il silenzio di Platone nei riguardi di Democrito non sia dovuto a motivi di disaccordo ma, piuttosto, alla consapevolezza del debito che lo legava al suo predecessore Per un’accurata analisi del rapporto esistente tra la filosofia di Democrito e quella di Platone,

e per indicazioni bibliografiche relative a precedenti studi sull’argomento, cfr. SILVESTRE 1992; ma cfr. anche DELATTE 1934,56-73e VELARDI 1989,101-105.

269 F

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conclusione, si mostra scettica la Capuccino, la quale, benché accetti l’ipotesi di Velardi, sostiene che i versi euripidei, citati dallo stesso studioso, siano una controprova: al potere di attrazione della calamita è paragonato il potere di attrazione delle opinioni umane; aspetto che fa parte del potere più generale della poesia. Ma, obietterei alla studiosa, nel frammento euripideo manca il soggetto, come evidenziato da Van Looy.

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