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Il tribalismo del mercato dell'auto. Riferimenti teorici ed evidenze empiriche.

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Il tribalismo del mercato dell’auto.

Premesse teoriche ed evidenze empiriche

Indice

Il tribalismo del mercato dell’auto. ... 1

1. Introduzione ... 2

2. Identificazione del problema e rassegna della letteratura ... 6

2.1. Il consumo tribale ... 7

2.2. Marchi tribali e consumo passionale ... 20

2.3. Il processo d’acquisto dell’auto (10-15) ... 26

3. Metodologia di ricerca ... 37

4. Risultati ... 48

4.1. Le marche selezionate e le relative tribù. ... 51

4.1.1. Fiat Panda ... 53

4.1.2. Ford Fiesta ... 57

4.1.3. Renault Clio ... 64

4.1.4. Volkswagen Golf ... 68

4.1.5. Smart ... 73

4.1.6. Alfa Romeo Mi.To e Giulietta ... 77

4.1.7. Fiat 500 ... 83

4.1.8. Bmw Mini ... 87

4.2. La dimensione tribale del processo d’acquisto. ... 93

4.3. Auto tribali a confronto: VW Golf, Alfa Romeo Giulietta, Fiat 500, Mini. ... 102

5. Conclusioni ... 108

Bibliografia ... 112

Sitografia ... 117

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1. Introduzione

Nell‟era di internet e della comunicazione multimediale i consumatori sono sempre più portati vivere in un contesto individuale, in un regime di individualità collettiva che porta i singoli individui a comunicare e a relazionarsi in maniera virtuale, per mezzo dei sempre più diffusi social network piuttosto che vivendo esperienze reali collettive.

I beni prodotti dal mercato assumono in questo scenario un ruolo sempre più importante non solo nell‟aiutare i consumatori a definire il proprio senso di sé, come enfatizzano gli studi della Consumer Culture Theory (Arnould, Thompson, 2005), ma anche nel creare legami e passioni condivise su cui costruire esperienze reali, in cui è possibile interagire con altri individui non solo attraverso la tastiera del computer, ma creando relazioni personali degne di essere definite tali.

Il forte desiderio di socializzare che si manifesta in maniera sempre crescente in un‟era caratterizzata dall‟individualismo si serve sempre più frequentemente dei beni che il mercato mette a disposizione dei consumatori, e che questi usano non soltanto per soddisfare i propri bisogni funzionali ma sempre più spesso per costruire delle relazioni sociali.

L‟auto è un bene che meglio di altri riesce ad assolvere a questa funzione. Il mero bisogno originario di spostarsi che questo prodotto era chiamato a soddifare è diventato ormai da molti anni un aspetto marginale e ovvio, lasciando spazio a numerose altre funzioni e soprattutto al soddisfacimento di numerosi altri bisogni. L‟auto oggi non è più soltanto un mezzo di trasporto ma è libertà, è status sociale, è espressione del self, ed è anche societing.

L‟infinità di marchi e modelli presenti sul mercato e le infinite possibilità di personalizzazione che ognuno di essi permette di realizzare, offre al consumatore un nuovo modo per mostrare la propria personalità, come se fosse un capo d‟abbigliamento.

Il consumatore quindi sceglie quella che lo rappresenta di più, quella con la quale si sente più a suo agio nel contesto sociale in cui vive, e soprattutto quella che rispecchia i suoi valori, quelli che è solito condividere con le persone che lo circondano, con i gruppi ai quali appartiene.

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L‟auto ha maturato con gli anni un rapporto sempre più intimo con il consumatore, tanto da diventare uno dei beni più adatti ad esprimere e mostrare la sua identità, diventando anche uno strumento sia di coesione che di distinzione sociale.

Sempre più spesso accade di assistere ad associazioni tra determinati modelli di auto e categorie di consumatori, e sempre più spesso accade di assistere a manifestazioni di emozioni positive o negative suscitate da alcuni modelli di automobili.

La capacità dell‟auto di suscitare emozioni, di creare passioni e di rappresentare stereotipi sociali, mostra quanto sia lontana oggi dalla semplice funzione di mezzo di trasporto per cui è stata creata.

Nella grande varietà di bisogni che oggi l‟auto riesce a soddisfare, è possibile individuare anche il bisogno di socializzare. Sono infinite le comunità di consumatori che utilizzano l‟auto non solo per spostarsi, ma anche per vivere esperienze di consumo reali e soprattutto condivise. L‟auto è passata da essere un semplice mezzo di trasporto ad oggetto di passione e in alcuni casi di amore vero e proprio per i consumatori più coinvolti.

Questa realtà sociale, analizzata e studiata approfonditamente da molti autori, non comprende soltanto il mondo delle automobili, ma si estende ad un gran numero di prodotti, che il consumatore spesso snatura della propria funzionalità originaria per attribuirne una nuova, del tutto personale e spesso condivisa con altri consumatori. Analizzare l‟auto come strumento di identità personale, di identità sociale e di esperienza di consumo condivisa, è l‟obiettivo che si intende raggiungere in questo studio sul comportamento del consumatore.

Al fine di avere una visione completa di questi aspetti, si intende realizzare una panoramica degli aspetti teorici forniti dalla letteratura per supportare la realizzazione di un‟indagine qualitativa volta a verificare la reale esistenza di questi aspetti del consumo di automobili.

Con l‟intenzione quindi, di verificare se nella mente del consumatore esiste la consapevolezza di un acquisto dell‟auto legato alla definizione della propria identità, la consapevolezza di un acquisto con il quale avvicinarsi ai gruppi sociali a cui appartiene e allontanarsi dagli stereotipi con cui non ama confondersi, e se l‟auto rappresenta un bene dal coinvolgimento emotivo tale da portarlo a condividere questa passione con altri appassionati in un contesto comunitario.

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Gli approfondimenti teorici che si intende affrontare in questo studio intendono fornire una descrizione completa del consumo tribale, ovvero di tutti gli aspetti sociali del consumo, da quelli più blandi, tipici dei comuni consumatori, a quelli più forti, e quindi più propriamente tribali, tipici dei consumatori coinvolti nelle comunità di consumo.

Al fine di comprendere ogni sfaccettatura degli aspetti sociali del consumo, lo studio presenta un itinerario letterario in cui vengono affrontate le considerazioni della Scuola Latina del Societing sulla funzione sociale dei beni. Questo filone letterario non smentisce la tendenza individualistica di vedere i beni come strumento di definizione del self del consumatore, come sostiene la Scuola di pensiero Nordica, ma la arricchisce ampliando la funzione dei beni anche ad una dimensione sociale. I beni forniti dal mercato quindi, non sono più visti come strumenti individuali, ma anche come strumenti collettivi, come strumenti di socializzazione tra gli individui, come mezzi di collegamento con i gruppi di riferimento e come stimoli per partecipare a nuovi gruppi.

Per questo si intende affrontare un approfondimento su ogni aspetto sociale legato ai beni, e in particolare alle automobili, sempre più spesso oggetto di fenomeni sociali. Lo studio quindi, affronterà approfondimenti teorici sui concetti di comunità di

marca (Muniz, O‟Guinn, 2001; Schau, Muniz, 2002; Algesheimer et al., 2005; Cova,

Pace, 2006; Luedicke, 2006; Füller et al., 2008), tribù, (Maffesoli, 1996; Kozinets, 1999; Cova B., Cova V., 2001; 2002) e subculture di consumo (Schouten, McAlexander, 1995), nonché sui concetti di estensione del self e gruppi di riferimento (Escalas, Bettman, 2005).

La forte ingerenza della multimedialità nei rapporti sociali moderni induce ad affrontare anche approfondimenti teorici sulle comunità di marca e sulle tribù virtuali (Kozinets, 1999; McWilliam, 2000; Schau, Muniz, 2002; Madupu, Krishnan, 2008), soprattutto riguardanti il mondo delle automobili. L‟analisi teorica degli aspetti sociali del consumo inoltre, sarà puntata anche ad individuare le caratteristiche principali dei marchi e dei prodotti che più facilmente di altri diventano oggetto di passioni condivise.

Il forte legame tra consumatori che spesso nasce attorno ad un prodotto, e nel caso di questo studio attorno ad un‟automobile, non può prescindere da un forte legame del consumatore con il bene. Per questo motivo si intende analizzare anche tutti gli

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aspetti legati al consumo ad alto coinvolgimento emotivo, che vede contrapporsi fenomeni di vero e proprio amore per determinati marchi, come nel caso dei

Lovemarks (Roberts, 2004; Pawle, Cooper, 2006), a fenomeni di odio forte e

radicato, come nel caso dei fenomeni di Brand Dislike (Dalli et al., 2006) e delle comunità dissociative.

Con l‟approfondimento teorico inoltre, si intende cogliere anche gli aspetti sociali più comuni del consumo, ovvero quelli che non necessariamente si manifestano con la partecipazione a comunità di consumatori. Con il fine di fare emergere spunti di indagine su questo aspetto si cercherà di dare un fondamento teorico anche alle associazioni, ai valori e ai simbolismi che i prodotti suscitano nella mente del consumatore, creando raggruppamenti sociali distinti.

L‟indagine empirica che si intende svolgere riguarderà l‟osservazione del comportamento di acquisto di automobili, cercando di coglierne ogni aspetto sociale che possa testimoniarne una dimensione tribale o quanto meno una connessione con tale dimensione.

Al fine di comprendere le dinamiche di scelta del consumatore, verrà affrontato un approfondimento teorico sul comportamento di acquisto di automobili in tutte le sue fasi, così da fornire un solido supporto teorico alla realizzazione dell‟indagine. Quest‟ultima verrà realizzata adottando una metodologia qualitativa, con il fine di comprendere atteggiamenti, motivazioni e comportamenti dei consumatori, e sarà strutturata in più fasi: la prima riguarderà la realizzazione di interviste individuali in profondità, che vedranno anche l‟utilizzo di tecniche proiettive, la seconda riguarderà la realizzazione di un Focus Group e sarà finalizzata a confermare i risultati ottenuti nella prima fase dell‟indagine e ad argomentare i risultati ottenuti dalle proiettive. L‟indagine inoltre, sarà finalizzata a creare un continuum di tribalismo sul quale verranno disposti alcuni modelli di auto, in base al loro potenziale tribale, ovvero alla loro capacità di creare legami tra consumatori. Questa classifica tribale verrà realizzata attraverso l‟osservazione di siti internet, forum, blog, video pubblicati sulla rete, spot pubblicitari, interviste e documentazioni raccolte su riviste specializzate, al fine di individuare e raccogliere le cosiddette tracce tribali (Cova B. e Cova V., 2002).

Seguendo questo percorso esplorativo quindi, si intende dimostrare che la dimensione tribale che ruota attorno a molti modelli di automobili spesso si propaga

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anche al di fuori delle comunità di marca, trasformandosi in distinzioni sociali stereotipate e associazioni di ogni tipo che esercitano un‟influenza considerevole sulle scelte dei consumatori.

2. Identificazione del problema e rassegna della letteratura

Letteratura teorica e approfondimenti empirici

I consumatori rielaborano e trasformano i significati simbolici codificati nelle pubblicità, nei marchi, o nei beni materiali per definire identità personali, stili di vita e condizioni sociali. Sono molto abili ad usare gli strumenti forniti dal mercato per creare e mostrare identità individuali e collettive (Arnould, Thompson, 2005). Sono “bricoleurs sregolati” (Holt, 2002, p. 94) che esprimono la propria sovranità personale posizionando il mercato e i suoi simboli al centro della propria identità. L‟auto, insieme all‟abbigliamento, alla tecnologia e all‟infinita lista di oggetti che ci circondano, contribuisce in maniera considerevole alla definizione del self del consumatore, del suo status, dei suoi valori, assolvendo in maniera molto efficace al sempre crescente bisogno di societing (Cova, 1997).

L‟analisi della letteratura rappresenta un valido strumento di supporto all‟indagine empirica, con la quale si intende comprendere:

 Se il consumatore nella scelta di un‟automobile è spinto, in maniera consapevole o del tutto spontanea ed inconsapevole, dal desiderio di definire la propria identità e usare questo bene di consumo per comunicarla agli altri;  Se la sua scelta è finalizzata a sentirsi parte di un gruppo di cui condivide i

valori o di prendere le distanze da un gruppo o stereotipo di persona che non gradisce;

 Se l‟acquisto dell‟auto è un mezzo per entrare a far parte di una comunità di consumatori.

L‟approfondimento teorico fornisce un‟ampia visione degli aspetti comunitari del consumo, attraverso lo studio dei concetti di comunità di marca (Muniz, O‟Guinn, 2001; Schau, Muniz, 2002; Algesheimer et al., 2005; Cova, Pace, 2006; Luedicke, 2006; Füller et al., 2008), tribù, (Maffesoli, 1996; Kozinets, 1999; Cova B., Cova V., 2001; 2002) e subculture di consumo (Schouten, McAlexander, 1995). Lo studio sul consumo cosiddetto “tribale” coinvolge un insieme di concetti teorici relativi alle

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caratteristiche dei marchi che meglio di altri si prestano a diventare oggetto di fenomeni di consumo comunitario. Questi concetti comprendono le Brand

Associations (Grace, O‟Cass, 2002), il Retro Branding (Brown et al., 2003), i Lovemarks (Roberts, 2004; Pawle, Cooper, 2006), e il concetto di Brand Dislike

(Dalli et al., 2006).

L‟obiettivo di questo studio inoltre, consiste nell‟analizzare l‟influenza della dimensione tribale riguardante alcuni modelli di automobili, sul relativo comportamento di acquisto.

A tale proposito è condotto in primo luogo un approfondimento teorico sulle comunità di marca automobilistiche (Algesheimer et al., 2005; Luedicke, 2006; Füller et al., 2008), sia reali che virtuali (Kozinets, 1999; McWilliam, 2000; Schau, Muniz, 2002; Madupu, Krishnan, 2008), seguito dall‟analisi di numerosi dati secondari, quali siti web dedicati agli appassionati di alcuni modelli o marchi automobilistici, di spot pubblicitari e di riviste specializzate di settore.

Lo studio infine, è rivolto anche un‟analisi della letteratura sul comportamento di acquisto di automobili con il fine di conoscere le variabili chiave nelle decisioni del consumatore (Odekerken-Schröder er al. 2003), le informazioni che ne influenzano la scelta (Ramachandran, Viswanathan, 2008) e il modo in cui la sua intelligenza emotiva interviene nelle sue scelte (Kidwell et al. 2008). Tra i fattori che influenzano la scelta di una determinata marca di automobili si cerca inoltre di comprendere quanto sia significativa l‟influenza della personalità del marchio e della nazionalità dello stesso (Xuehua Wang, Zhilin Yang, 2008), del passaparola (Podoshen, 2008), della personalizzazione (Vesanen, 2007) e del richiamo al passato e alla storicità del marchio (Brown et al., 2003).

2.1. Il consumo tribale

Vivere in un‟era di forte individualismo, risultato di un lungo processo di liberazione dell‟individuo da tutti i vincoli sociali avviatosi con l‟Illuminismo (Cova 1997a), ha causato una crisi generalizzata dei legami sociali, suscitando nel consumatore un bisogno sempre crescente di instaurare legami sociali.

Cova B. e Cova V. (2002), nel saggio sul Marketing Tribale, presentano una visione del consumo secondo cui i prodotti e i beni vengono usati più per creare collegamenti

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tra individui che per il loro valore d‟uso. Questa teoria, punto di riferimento per le teorie della Scuola Latina del Societing, si contrappone alla visione meramente individualistica del consumo, sostenuta per molti anni dalla Scuola di pensiero nordica, che lo considera come puro atto di auto-definizione, trascurandone le implicazioni sociali. La letteratura sul comportamento del consumatore infatti, ci mostra come i consumatori siano molto abili nel rielaborare e trasformare i significati simbolici codificati nelle pubblicità, nelle marche e nei prodotti che affollano il mercato con il fine di creare e manifestare agli altri le proprie condizioni sociali, la propria identità e il proprio stile di vita (Arnould, Thompson, 2005, p. 871), ma anche per assolvere ad uno scopo sociale, creando legami con la propria famiglia, la comunità in cui vivono e i gruppi culturali di appartenenza.

L‟obiettivo della teoria sostenuta dalla Scuola Latina del Societing è quello di dare un supporto teorico ai sempre più frequenti fenomeni di socialità associati al consumo, ovvero la nascita di gruppi di consumatori, classificabili in comunità di

marca (Muniz, O‟Guinn, 2001; Schau, Muniz, 2002; Algesheimer et al., 2005; Cova,

Pace, 2006; Luedicke, 2006; Füller et al., 2008), tribù, (Maffesoli, 1996; Kozinets, 1999; Cova B., Cova V., 2001; 2002) e subculture di consumo (Schouten, McAlexander, 1995).

Questo crescente bisogno di socialità e celebrazione di valori condivisi nasce dalla struttura stessa della società moderna, frammentata e dominata da un forte senso di isolamento dell‟individuo. Da questa forte crisi dei rapporti sociali nasce nel consumatore il desiderio di societing (Cova, 1997a), ovvero di sentirsi parte di un gruppo, di una comunità di altri consumatori con i quali condividere valori, passioni ed esperienze.

Questi concetti si rifanno alla teoria del neo-tribalismo di Maffesoli (1996), secondo cui la trasformazione socioeconomica postindustriale e le forze della globalizzazione hanno eliminato la socialità tradizionale, incoraggiando di contro, un sentimento dominante di individualismo che si manifesta attraverso la ricerca incessante di distinzione e autonomia personale. In risposta a queste condizioni alienanti e soprattutto isolanti i consumatori creano identificazioni collettive, partecipano a rituali, condividono valori, generano mondi culturali auto selettivi basati sul perseguimento di interessi di consumo comuni. Il consumatore post-moderno (Maffesoli, 1996) quindi, sceglie sempre più spesso i prodotti che lo circondano più

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per il loro linking value, inteso come capacità degli stessi di creare e rinforzare i legami tra gli individui (Cova, 1997b), che per il loro valore d‟uso.

La metafora tribale proposta dalla letteratura nasce dalla considerazione della società postmoderna come “sinergia tra arcaismo e sviluppo tecnologico” (Cova B., Cova V., 2002, p. 597) e si riferisce al bisogno dell‟individuo di ritrovare valori appartenenti al passato come il senso di identificazione locale, la religiosità, il sincretismo, il narcisismo di gruppo, e altri valori riconducibili ad una dimensione comunitaria (Cova B., Cova V., 2001). Le neo-tribù sono caratterizzate dal fatto di essere instabili, e quindi costantemente mutevoli, estese su piccola scala, affettive e non regolate da nessuno dei parametri convenzionali della società moderna (Maffesoli, 1996). Sono raggruppamenti effimeri e non totalizzanti che permettono ai propri membri di appartenere a diversi gruppi contemporaneamente senza dover coinvolgere tutti i tratti della propria personalità ma semplicemente condividendo un‟esperienza. Una tribù raccoglie individui con caratteristiche socio-demografiche molto diverse accomunati da passioni ed emozioni condivise, da stili di vita simili, credenze morali e pratiche di consumo, intenzionati a vivere esperienze collettive intense e allo stesso tempo effimere (Cova B., Cova V., 2001).

La tribù segna un forte distacco dalle tradizionali nozioni del marketing convenzionale soprattutto per le differenze con il concetto di segmento di mercato. Mentre una tribù di consumo ha una breve durata, comprende un gruppo di persone non necessariamente omogeneo, legato da emozioni e passioni condivise, capace di azioni collettive, il segmento psicografico non è limitato nel tempo e raccoglie individui omogenei in termini di caratteristiche sociali, che non presentano interrelazioni né capacità di svolgere azioni collettive (Cova B., Cova V., 2002) Inoltre la differenza è notevole anche rispetto al concetto di moda (Morace, 1996). Questa infatti tende ad ignorare fattori di grande importanza per le tribù come le emozioni condivise e le interazioni tra individui. La nascita delle neo-tribù porta ad un nuovo modo di concepire l‟attività economica, considerata non più come mera attività indipendente, ma come attività integrata nel conteso societario (Cova, 2002). Cambia infatti, anche il modo di creare fedeltà di marca (Podoshen, 2008) per il consumatore, segnando il passaggio dalla personalizzazione alla tribalizzazione dell‟offerta. Le differenze dell‟approccio tribale rispetto a quello tradizionale consistono nel fatto di non concentrarsi sul rapporto tra cliente e azienda bensì sul

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rapporto tra i consumatori. L‟azienda non si pone più come polo della relazione ma come supporto alla relazione.

Il cambiamento coinvolge anche gli strumenti adottati per instaurare e mantenere il rapporto di fedeltà tra azienda e consumatore. Mentre l‟approccio tradizionale ricorre a mezzi cognitivi come le carte fedeltà, i contratti e le riviste, l‟approccio tribale si serve di rituali, oggetti e luoghi di culto, esperienze ed emozioni condivise. Si giunge quindi alla contrapposizione tra fedeltà cognitiva e fedeltà affettiva, infatti i membri di una tribù non sono dei semplici consumatori di un marchio ma veri e propri sostenitori appassionati (Cova B., Cova V., 2002).

Identificare una tribù in modo chiaro e inequivocabile è un compito piuttosto difficile in quanto le tribù non sono raggruppamenti ben definiti, ma continuamente instabili e aperti a cui un individuo appartiene ma non in maniera completa. Per farlo è necessario osservare le trace e i segni che le contraddistinguono, ovvero le cosiddette “tracce tribali” (Cova B., Cova V., 2002, p. 605). Queste tracce, o prove dell‟esistenza della dimensione tribale, sono temporali, quindi riferite alla durata e allo stato di esistenza della tribù, e ambientali, ossia relative ai luoghi di culto in cui l‟attività tribale viene esercitata.

Per quanto riguarda l‟aspetto temporale, per definizione le tribù hanno una durata limitata, nascono, crescono, raggiungono il punto massimo della propria esistenza e poi declinano fino a scomparire. Per quanto riguarda l‟aspetto più tangibile dei luoghi in cui prende vita l‟attività tribale, possiamo fare delle considerazioni più ampie data l‟importanza e l‟attenzione che la letteratura ha dedicato a questo aspetto del consumo comunitario.

Aubert-Gamet e Cova (1999) hanno presentato un nuovo modo di concepire gli spazi di consumo, visti non più come semplici luoghi fisici ma come veri e propri spazi sociali atti a creare un legame forte con la personalità dell‟individuo. Il consumatore quindi, diventa parte attiva dell‟ambiente, con cui si crea un forte legame.

I luoghi tribali sono luoghi che creano collegamenti tra individui, posti in cui si riconosce la propria identità nell‟identificazione con la comunità. Possono essere spazi chiusi, ossia luoghi in cui la comunità nasce e si organizza, e spazi aperti, ossia luoghi in cui la comunità si manifesta e si mette in contatto con l‟esterno.

Nel saggio sul marketing tribale Cova B. e Cova V. (2002) mostrano un modello per classificare i segni e le cosiddette “tracce tribali” chiamato quadrifoglio tribale. In

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questo modello si incrociano due assi, quello della visibilità e quello dell‟invisibilità. Il primo raccoglie le prove fisiche e i segni tangibili dell‟esistenza della tribù, e comprende sia elementi temporali, ossia le occasioni in cui i membri della tribù si incontrano per celebrare i rituali di consumo, che elementi ambientali, ossia le

istituzioni (le associazioni), che indicano i luoghi fisici o virtuali in cui le tribù si

riuniscono. Sul secondo, l‟asse dell‟invisibilità, sono indicati i segni riconducibili alle attività della vita quotidiana e i segni dell‟immaginario collettivo quali le mode e le tendenze.

Fig. 2.1. Il quadrifoglio tribale (fonte: Cova B., Cova V., 2002)

Cova passa in rassegna anche i ruoli rivestiti dai membri delle tribù, classificati in base al livello di partecipazione all‟attività comunitaria e al rapporto del singolo membro con gli altri. I ruoli in cui i membri sono classificati sono:

 Membro dell‟associazione;

 Partecipante alle assemblee informali;

 Professionista, ossia colui che è coinvolto quotidianamente nella dimensione tribale;

 Simpatizzante, ossia colui che partecipa nella tribù in maniera marginale e cambia in base alle mode e alle tendenze.

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Fig. 2.2. I ruoli dei membri delle tribù (Fonte: Cova B., Cova V., 2002)

Molto spesso le cosiddette tracce tribali, quindi tutte le prove dell‟esistenza di una comunità di consumatori, non sono riconducibili ad un ambiente reale e tangibile, bensì ad un ambiente virtuale, usato sempre più spesso come luogo di incontro sociale di importante significato. L‟esistenza degli ambienti virtuali, degli incontri tra consumatori su una chat room rappresentano le “tracce” dell‟esistenza di comunità virtuali (Kozinets, 1999). Il termine comunità virtuale si riferisce a gruppi virtuali di persone che condividono norme di comportamento e definiscono pratiche che mirano in maniera intenzionale a formare una comunità (Kozinets, 1999). Pertanto il termine comunità risulta essere adeguato se usato nell‟accezione comune di gruppo di persone che condividono un‟interazione sociale, legami sociali ed uno spazio comune, che in questo caso è uno spazio cibernetico e non reale, con il fine di condividere la passione per una specifica attività di consumo o un determinato prodotto di marca. Ad esempio i membri di una lista di indirizzi e-mail di collezionisti della famosa bambola Barbie costituirebbe una comunità virtuale di consumatori, così come un gruppo virtuale di conoscitori di vino.

Kozinets (1999, p. 254) fornisce gli strumenti per l‟identificazione dei membri di una tribù virtuale, i quali dipendono prevalentemente da due fattori connessi:

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 L‟intensità delle relazioni sociali possedute dalla persona con gli altri membri della comunità virtuale.

Questi due fattori permettono di classificare i membri di una tribù virtuale in quattro categorie:

 Il Turista, che non manifesta una forte appartenenza al gruppo e presenta un interesse superficiale e marginale per l‟attività di consumo;

 Il Confuso, che mantiene forti contatti sociali ma dimostra un limitato interesse per l‟attività di consumo;

 Il Devoto, che manifesta grande interesse ed entusiasmo per l‟attività di consumo, ma non un particolare attaccamento al gruppo;

 Il Membro, che presenta un forte interesse sia per l‟attività di consumo che per i legami personali.

La classificazione dei partecipanti ad una tribù, sia essa reale o virtuale, consente di comprendere la molteplicità degli scopi e delle caratteristiche dei consumatori che le costituiscono, a conferma della definizione del concetto stesso di tribù che li descrive come un insieme eterogeneo e con diversi livelli di coinvolgimento.

Una tribù raccoglie un gruppo di consumatori che si riuniscono per condividere passioni ed emozioni (Bromberger, 1998; Maffesoli, 1996) relative non necessariamente ad un prodotto di marca ma a qualsiasi attività di consumo capace di creare linking value. Ne costituisce un valido esempio la tribù dei pattini in linea francese (Cova B., Cova V., 2001; 2002), che raccoglie migliaia di appassionati che si riuniscono in associazioni locali e nazionali per celebrare la propria passione per il pattinaggio su pattini in linea.

Tracce visibili dell‟esistenza di questa tribù sono rappresentate dagli incontri nazionali, che si svolgono in maniera occasionale nel corso dell‟anno e che riuniscono appassionati provenienti da tutto il territorio nazionale, e dagli incontri locali, che si svolgono regolarmente durante il corso della settimana.

Una delle caratteristiche delle tribù, come già accennato, è quella di essere estesa su piccola scala. Questa dimensione potrebbe sembrare alquanto inverosimile se si osserva la grande quantità di appassionati che prendono parte ai raduni. Tuttavia tale caratteristica va considerata in riferimento alle diverse fazioni tribali che si creano all‟interno del più ampio gruppo di appassionati. Nella tribù dei pattinatori ad esempio, coesistono gruppi tribali di piccole dimensioni, come i Fitness Skaters e gli

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Stunt Skaters, che manifestano la loro appartenenza tribale attraverso rivalità

reciproche (Cova B., Cova V., 2002). Lo stesso fenomeno è osservabile all‟interno della tribù degli Harleisti1

(Schouten, McAlexander, 1995), in cui si distinguono diversi gruppi, come ad esempio i Rubies, i Sewers, o i Bastards, caratterizzati dallo stesso tipo di rivalità.

Sono riconducibili al concetto di neo-tribù anche gruppi di tifosi di una squadra di calcio (Bromberger, 1998), di snowboarder, e di qualsiasi attività di consumo importante per il suo linking value.

Quando una comunità di consumatori è organizzata attorno ad una passione comune per un marchio di culto, come Harley Davidson (Schouten, McAlexander, 1995), Nutella (Cova, Pace, 2006), Mini (Simms, Trott, 2006; 2007) Apple (Muniz, O‟Guinn, 2001), e tanti altri, viene classificata dalla letteratura come comunità di

marca.

Le tribù postmoderne infatti, si dividono in tribù di consumo, ossia comunità di consumatori centrate intorno ad un‟attività, come nel caso dei pattinatori francesi, e in comunità di marca, ovvero comunità di consumatori centrate attorno ad una marca. L‟aspetto fondamentale che teoricamente distingue i concetti di comunità di marca e tribù è molto sottile ed è fondamentalmente legato al ruolo del marchio per i consumatori. Nella comunità di marca, definita come “comunità specializzata, senza legami geografici, basata su un set strutturato di relazioni sociali tra gli ammiratori di una marca” (Muniz, O‟Guinn, 2001, p. 412), il prodotto o servizio di marca svolge un ruolo centrale nella relazione tra gli individui. Senza di esso non esisterebbe la comunità di marca. Nella tribù invece, il prodotto o servizio di marca svolge una funzione di supporto ad un‟attività di consumo, esistente a prescindere dalla presenza dello stesso. Ne costituisce un ottimo esempio la tribù Salomon (Cova B., Cova V., 2002) poiché gli snowboarder rappresentavano una tribù già prima che il marchio Salomon diventasse un marchio culto.

A differenza delle tribù di consumo le tribù di marca (Wipperfürth, 2005) non presentano un senso di appartenenza locale, sono meno effimere e più stabili, presentano un grado relativamente alto di impegno sociale, e sono esplicitamente commerciali.

1 In realtà la letteratura definisce questo gruppo di appassionati come Subcultura di Consumo

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Muniz e O‟Guinn (2001) hanno individuato tre elementi fondamentali e distintivi delle comunità di marca:

 La consapevolezza condivisa di appartenere ad un gruppo;

 La presenza di rituali e tradizioni riguardanti il marchio e la comunità;  Un senso di responsabilità morale verso la comunità e i suoi membri.

Il primo elemento si riferisce al legame che i membri sentono tra loro e al senso di distinzione che provano nei confronti di coloro che non appartengono alla community. Si riferisce a quel senso di “essere noi” (Muniz, O‟Guinn, 2001, p. 418), che li distingue e che li fa riconoscere. La consapevolezza condivisa è legata alla legittimazione e ad un senso di opposizione verso le marche concorrenti.

Con il processo di legittimazione si distinguono i veri membri della community da quelli che non lo sono o che vi rientrano in maniera marginale, così da poter distinguere quelli che credono realmente nei valori del brand da quelli che partecipano alla comunity per fini meramente opportunistici. Mentre il senso di opposizione verso una o più marche concorrenti serve per prendere le distanze da valori e stili di vita con i quali la comunità non si riconosce, per rafforzare il senso di appartenenza al gruppo e rendere la comunità di marca più unita, come nel caso dei membri della comunità Macintosh, oppositori palesi del marchio Microsoft, o dei membri della comunità Saab, chiaramente ostili al marchio Volvo (Muniz, O‟Guinn, 2001).

I rituali e le tradizioni invece, servono a riprodurre e conservare i valori e i significati della marca e della comunità e a trasmetterli sia all‟interno che all‟esterno della comunità. Riguardano principalmente la celebrazione della storia del brand, la cui conoscenza costituisce un vero e proprio elemento distintivo dei membri più coinvolti rispetto a quelli più marginali. Per la community Saab ad esempio, la storicità del marchio è un vero e proprio elemento di orgoglio per gli appassionati, soprattutto per il fatto che da sempre l‟azienda ha costruito anche aerei e jet. Lo stesso avviene per Macintosh, celebrato come pioniere dell‟innovazione tecnologica nel mondo dell‟informatica, o per numerosi altri marchi, soprattutto automobilistici, come Mini, AlfaRomeo, e Fiat 500, oggetto di analisi in questo studio.

La celebrazione di rituali e tradizioni comprende anche il racconto di storie ed esperienze legate al marchio, spesso vissute in prima persona dai membri della community. Questi racconti contribuiscono ad aggiungere sempre nuovi significati

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alla comunità e a creare sempre maggiore coesione tra i membri, e spesso assumono le caratteristiche di miti e leggende, come ad esempio, l‟immunità dei Mac da qualsiasi forma di virus (Muniz, O‟Guinn, 2001).

Il terzo elemento che caratterizza la dimensione delle tribù di marca, cioè il senso di responsabilità morale verso la comunità e i suoi membri, mostra un forte senso del dovere del membro del gruppo nei confronti degli altri “confratelli”. Questo senso di responsabilità sociale contribuisce alla coesione del gruppo e alla sopravvivenza dello stesso sia con l‟integrazione di nuovi membri che nel mantenimento dei vecchi. Inoltre la responsabilità morale include anche un senso di mutuo soccorso e quindi di aiuto reciproco tra i membri del gruppo, come ad esempio tra i membri della comunità Macintosh non è raro assistere a collaborazioni per la riparazione di un computer o allo scambio di consigli per migliorarne le prestazioni, o come avviene tra i possessori di una Saab che nel vedere un‟altra Saab in panne sul ciglio della strada sono pronti a fermarsi e a prestare soccorso.

Dall‟analisi di questi elementi si può osservare come le marche siano parte integrante della vita del consumatore e come contribuiscano in maniera inequivocabile alla creazione di rapporti sociali sia effimeri, nel caso delle tribù di consumo, che stabili e impegnativi, nel caso delle tribù di marca.

Le comunità di marca possono essere classificate in base al livello di integrazione con il mercato e con l‟azienda. Spesso infatti, le aziende sfruttano il linking value dei propri prodotti per esercitare un controllo sul mercato e sui suoi consumatori attraverso l‟ingerenza più o meno elevata nelle community.

In base al livello di ingerenza delle azienda nella community è possibile distinguere:  La comunità nata spontaneamente e non recuperata dalle aziende, come

spesso accade per le comunità di auto d‟epoca di cui ne è un esempio la tribù dei fan della Citroën 2CV (Cova B., Cova V., 2002);

 La comunità nata spontaneamente e recuperata dall‟azienda, come il caso della comunità di appassionati della saga Star Wars, che creano nuovi episodi della saga in maniera amatoriale grazie anche alla collaborazione di Lucasfilm, proprietaria ufficiale di Star Wars, che fornisce suoni ed effetti speciali da inserire nei propri filmati digitali (Cova, Pace, 2006);

 La comunità co-creata dall‟azienda e dagli appassionati, come nel caso della comunità i-Pod (Holsen, 2009).

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 La comunità creata dall‟azienda, di cui ne è un esempio My Nutella The

Community (Cova, Pace, 2006), un sito web aziendale che ha integrato la

community al suo interno per esercitarne il controllo filtrandone i contenuti. Non sempre tuttavia, il tentativo delle aziende di assumere il controllo delle comunità di consumatori e integrarle al suo interno sortisce l‟effetto desiderato. Infatti sussistono casi in cui la comunità recuperata dall‟azienda si affianca a gruppi di consumatori volutamente indipendenti. Questo fenomeno può essere osservato nella subcultura di consumo Harley Davidson (Schouten, McAlexander, 1995), in cui alla comunità integrata dell‟Harley Owners Group (H.O.G.), un‟organizzazione internazionale sponsorizzata da Harley Davidson per soli possessori di Harley, si affianca un‟ampia lista di gruppi indipendenti che seguono valori più radicali e spesso più estremi di quelli comunemente condivisi. Un esempio della differenza tra le due dimensioni comunitarie prese in considerazione è il fatto che per diventare membro di uno dei club più puristi e soprattutto più distaccati dalla dimensione commerciale del prodotto che adorano, bisogna attraversare un periodo di aspettativa prima di essere accettati dal club come membro effettivo. In questo periodo l‟aspirante Harleysta deve mostrare la propria passione e la propria devozione per i valori che contraddistinguono la subcultura, quasi come un “supplicante” (Schouten, McAlexander, 1995, p. 49). Mentre per diventare membro della comunità integrata H.O.G. basta possedere una moto Harley Davidson.

Questa differenza di approccio, non solo mostra la differenza in termini di coinvolgimento tra una semplice comunità di marca e una subcultura di consumo, ma fa intuire anche la dimensione estrema e quasi sovversiva che le caratterizza.

Le subculture di consumo infatti, sono sottogruppi distinti e auto selettivi all‟interno della società, creati autonomamente sulla base di una dedizione condivisa per una particolare classe di prodotti, marche, o attività di consumo (Schouten, McAlexander, 1995, p. 43). Queste comunità presentano al loro interno una struttura sociale gerarchica ben identificabile, un insieme di credenze e valori condivisi, accompagnati da un gergo, da rituali, e da modalità di espressione simbolica condivise e riconosciute da tutti i membri della subcultura. La caratteristica che più di tutte distingue le subculture di consumo dalle altre comunità è il fatto di essere molto estreme e decisamente più distanti dai canoni societari più comunemente

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condivisi. Basti pensare ad esempio, alla subcultura Punk, per comprendere di quanto queste comunità siano più estreme e distanti da valori considerati convenzionali. A differenza delle comunità di marca le subculture di consumo manifestano un rifiuto degli elementi della cultura circostante, utilizzano i simboli forniti dal mercato con un significato diverso e opposto a quello attribuitogli dalla massa dei consumatori (Muniz, O‟Guinn, 2001), manifestando quindi un senso di opposizione ai normali canoni culturali accettati dalla massa e vivendo i propri valori in maniera decisamente più estrema rispetto alle comunità di marca. Queste invece, sono consapevoli di essere centrate attorno ad un prodotto di massa e spesso possono essere oggetto di gestione da parte delle aziende che le integrano al loro interno. Subculture di consumo e comunità di marca mostrano tuttavia anche degli aspetti comuni, quali avere una struttura sociale gerarchica, condividere credenze e valori relativi ad un prodotto di marca, vivere rituali ed adottare un gergo condiviso e riconoscibile tra i membri del gruppo.

Il fenomeno del recupero della comunità di marca o della sua stessa creazione da parte dell‟azienda riguarda principalmente prodotti che richiedono competenze e investimenti poco importanti, i cui sostenitori sono meno uniti e quasi ignari del fatto di costituire un gruppo distinto (Cova, Pace, 2006). Queste comunità vengono definite dalla letteratura come comunità inclusive, e nascono attorno a prodotti convenience con una forte immagine di marca e ricchi di significati simbolici come Red Bull, Nutella, o Coca Cola.

La difficoltà per le aziende nel recuperare una comunità di consumatori riguarda invece, marchi che operano su nicchie di mercato e che richiedono dal consumatore un alto livello di competenze e di investimenti sia in termini di tempo che di denaro (Cova, Pace, 2006). Queste comunità, definite comunità esclusive, sono caratterizzate dalla partecipazione di membri appassionati, esperti e fortemente legati tra loro e al marchio, tanto da imporsi sulle aziende nel controllo del marchio e dei suoi valori.

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Fig. 2.3. Tipologie di comunità di marca (Fonte: Cova, Pace, 2006)

La forza delle community sul controllo del marchio a volte è tale da creare un‟opposizione radicale alle scelte aziendali, dando vita a vere e proprie comunità resistenti (Dalli, Corciolani, 2008), come nel caso della comunità di marca Newted.org che ha continuato ad usare e a sviluppare nuove applicazioni e servizi per il suo “amato” palmare Newton anche dopo il suo ritiro dal mercato (Muniz, Shau, 2005), o come è accaduto per i fan di Star Trek che realizzano episodi del famoso telefilm in maniera del tutto autonoma in risposta alle scelte dei produttori discordanti con le loro aspettative (Kozinets, 2001).

Questi fenomeni mostrano un forte attaccamento dei consumatori ad alcuni prodotti e soprattutto ai significati in essi contenuti, tanto da sentirsi i veri possessori del brand, al di sopra delle stesse aziende.

La nascita e la proliferazione delle tribù di consumo, delle comunità di marca e delle subculture di consumo infatti, dimostra il grande significato attribuito dai consumatori alle pratiche di consumo e alle marche nella formazione dell‟identità sia individuale che comunitaria, e nella comunicazione di sé agli altri (Schau, Muniz, 2002). I benefici e le opportunità che la dimensione tribale del consumo ha apportato sono molteplici, sia per il consumatore, rispondendo in maniera efficace ad un bisogno di socialità sempre crescente, che per le aziende, formando un nuovo profilo di consumatore appassionato, fedele e spesso propenso a partecipare in prima

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persona alla creazione e al mantenimento dei valori e dei significati di marca, un vero e proprio sostenitore (Cova B., Cova V., 2002).

2.2. Marchi tribali e consumo passionale

L‟analisi della dimensione tribale non si ferma alla mera definizione degli aspetti teorici che contraddistinguono le diverse tipologie di raggruppamenti di consumatori attorno ad un‟attività di consumo o attorno ad un prodotto di marca, essa coinvolge un insieme di concetti teorici, relativi al rapporto tra marchio e consumatore, che è opportuno tenere in considerazione.

I marchi oggetto delle comunità di consumatori possono essere i più disparati, ma fondamentalmente sono dei “marchi culto” (Cova, Pace, 2006), con un‟immagine forte, ricchi di storia e fortemente competitivi. Sono marchi molto abili a comunicare un significato ai consumatori (Herbig, Milewicz, 1993), capaci di generare associazioni di marca (Grace, O‟Cass, 2002) e identificazioni forti dei consumatori con il marchio e con la comunità di marca a cui appartengono.

Questi marchi inoltre, mostrano una particolare attitudine a suscitare sentimenti ed emozioni, tanto da creare un coinvolgimento emotivo del consumatore sia con la marca che con il gruppo (Algesheimer et al., 2005). La carica attrattiva di un marchio si trova principalmente a livello emotivo, ed è basata sulla sua immagine simbolica e sulle associazioni che è in grado di generare (Simms, Trott, 2006).

L‟immagine del marchio, definita da Keller (1993, p.3) come “percezioni di un marchio che riflettono dalle associazioni di marca presenti nella memoria del consumatore”, può attrarre il consumatore a livello funzionale o simbolico (Bhat, Reddy, 1998). Le componenti funzionali del marchio soddisfano bisogni pratici e tangibili, mentre le componenti simboliche, e quindi intangibili, soddisfano bisogni simbolici e desideri emotivi, come ad esempio bisogni di auto-espressione o di identificazione sociale (Bhar, Reddy, 1998).

A livello funzionale, il marchio può comunicare una garanzia, per esempio la qualità o il rapporto qualità/prezzo, e le caratteristiche del prodotto come comfort, sicurezza, durata. A livello emotivo invece, il marchio spesso assolve a funzioni di identificazione sia personale che sociale, utilizzato come simbolo di potere o di status, esclusività o superiorità tecnica (del Rio et al., 2001).

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Una componente chiave dell‟immagine è rappresentata dalle associazioni di marca (Aaker, 1991; Grace, O‟Cass, 2002), le quali differenziano, posizionano, e creano attitudini e sentimenti positivi nei confronti del marchi (Low, Lamb, 2000).

Gli aspetti emozionali e sentimentali del marchio rappresentano una caratteristica fondamentale per le tribù. I membri di una tribù infatti, non sono spinti soltanto da un senso di razionalità e di fedeltà di marca (Podoshen, 2008) ma da elementi irrazionali e intangibili come le emozioni e le passioni, l‟amore e il rispetto verso un prodotto di consumo, gli stessi che caratterizzano un Lovemark (Roberts, 2004; Pawle, Cooper, 2006).

Un Lovemark è “un prodotto, un servizio, o un entità che genera fedeltà oltre la ragione” (Pawle, Cooper, 2006, p. 39). Come afferma Roberts (2004), è un “marchio super evoluto”, che massimizza le connessioni con il consumatore, creando forti legami emozionali.

Questa particolare categoria di marchi che generano un legame affettivo molto forte è caratterizzata da un elevato livello di amore e rispetto, come si può notare dalla griglia di Roberts, ed è caratterizzato da tre elementi intangibili quali il mistero, la sensualità e l‟intimità.

La sensualità e l‟intimità sono molto legati tra loro in quanto il primo si riferisce alla sfera delle emozioni che il marchio riesce a coinvolgere, mentre l‟altro ne legittima il forte legame personale con il consumatore. La componente di mistero invece, è connessa con il fatto che i lovemark “danno vita a grandi storie, uniscono passato, presente e futuro, entrano nei sogni della gente, celebrano miti e icone, e suscitano ispirazione” (Pawle, Cooper, 2006, p. 39).

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Fig. 2.4. Griglia dei Lovemark (fonte: Roberts, 2004)

Generalmente i fattori che determinano l‟amore per un brand sono puramente emozionali, mentre i fattori che ne determinano il rispetto sono relativi agli aspetti funzionali del prodotto (Pawle, Cooper, 2006). Per misurare la relazione tra il consumatore e il marchio si osservano le emozioni e i sentimenti che hanno avuto un influenza sui legami emozionali e sul livello di rispetto per la marca.

Uno studio condotto negli Stati Uniti ha identificato le emozioni e i sentimenti che influenzano l‟amore e il rispetto per i marchi di automobili, mostrando che i due fattori dominanti sono l‟intimità, che influenza sia l‟amore che il rispetto, e la fiducia, che influenza principalmente il rispetto. L‟intimità si riferisce al livello di sintonia tra il consumatore e il marchio, a quanto il marchio sia rilevante per lui, e fino a che punto possa suscitare storie che stuzzicano i sogni della gente. Questo fattore è senza dubbio quello più importante, in termini di influenza all‟acquisto, non solo per le automobili ma per tutte le categorie. L‟intimità è fortemente legata con altri fattori, quali il mistero, che riguarda la fama e i simboli legati al marchio, e la passione, che a sua volta influenza la fiducia e la reputazione, esercitando un‟influenza sulla razionalità del consumatore.

Si giunge quindi alla conclusione che l‟amore per una marca è influenzato dall‟intimità, dal mistero e dalla sensualità, ossia tutto ciò che riguarda le esperienze sensoriali inerenti la marca (suoni, odori, ecc.); mentre i fattori che influenzano il rispetto sono la fiducia, la reputazione e la performance (Pawle, Cooper, 2006). L‟attitudine di un marchio a suscitare sentimenti ed emozioni non sempre è riferita a sentimenti positivi, anzi è frequente che l‟oggetto di adorazione e condivisione di un gruppo sia percepito in maniera decisamente negativa da individui che preferiscono prendere le distanze dai significati trasmessi da quell‟oggetto o dalle persone che lo utilizzano (Escalas, Bettman, 2005). Questo insieme di sentimenti negativi per una marca può essere racchiuso in quello che la letteratura definisce come Brand Dislike (Dalli et al., 2006), ovvero il giudizio negativo espresso dal consumatore che si manifesta nella scelta di non comprare un determinato marchio, di avviare un passaparola negativo, o nei casi più estremi, di creare fenomeni di anti-branding (Umit Kucuk, 2008).

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Questo dimostra chiaramente che la creazione di significati e relazioni sociali attraverso il consumo coinvolge non solo atteggiamenti e scelte positive, ma anche atteggiamenti e scelte negative, dando vita a pratiche di riproduzione o resistenza ideologica (Arnould, Thompson, 2005).

Nel caso delle comunità di marca automobilistiche questo è un fenomeno piuttosto frequente, come ad esempio accade nel caso del fuoristrada in stile militare Hummer, che dimostra come i sentimenti e le emozioni positive del gusto, della preferenza e del gradimento manifestate dalla comunità di appassionati siano contrapposte al disgusto, l‟avversione e il disgusto della comunità di persone che ne provano un vero e proprio odio. Infatti è possibile osservare da un lato gli amanti della Hummer, che hanno creato una comunità organizzata a livello nazionale e internazionale che si serve di comunità virtuali, siti web e raduni per celebrare il proprio “oggetto di culto”, e dal lato opposto coloro che la odiano, che si riuniscono in network, sia virtuali che reali, per manifestare il proprio sentimento negativo verso la Hummer e i suoi possessori (Luedicke, 2006).

I sentimenti e le emozioni negative manifestate dai consumatori sono classificabili in tre diversi livelli di Brand Dislike in riferimento al prodotto, agli utilizzatori, o all‟azienda (Dalli et al., 2006).

Nel primo livello, Product Brand, le critiche riguardano principalmente il prodotto o servizio offerto, e sono spesso riferite all‟inadeguatezza del prezzo rispetto alla qualità, o alla scarsa funzionalità dl prodotto. Nel secondo livello, User Brand, l‟avversione per una determinata marca nasce dal giudizio negativo espresso nei confronti degli individui che la usano e dai quali ci si vuole distinguere. Il terzo livello, Corporate Brand, esprime una critica ideologica nei confronti dell‟azienda, con la quale il consumatore si mostra in completo disaccordo su aspetti che generalmente riguardano la legalità, la moralità, l‟etica, o l‟utilizzo delle campagne di marketing, specie pubblicitarie, ritenute false ed ingannevoli.

Il sentimento negativo suscitato dagli utilizzatori di una marca costituisce un fenomeno di particolare interesse per la letteratura, soprattutto perché generalmente i prodotti di marca il cui consumo avviene pubblicamente si prestano meglio ad essere oggetto di community rispetto a prodotti il cui consumo avviene in privato, lontano dagli occhi degli altri consumatori (Muniz, O‟Guinn, 2001). Questo accade perché i beni oltre a definire un senso di sé nella mente del consumatore, assolvono anche alla

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funzione di comunicare all‟esterno sia la propria identità personale che la propria appartenenza ad un gruppo con cui condivide valori e pratiche di consumo (Escalas, Bettman, 2005).

Tra la marca e il consumatore, e tra consumatore e consumatore, si crea quindi, un vero e proprio scambio di significati, che non è unilaterale, ovvero dalla marca ai consumatori, ma reciproco. Questo comportamento è spiegato dalla teoria del trasferimento di significato (meaning movement) di McCracken (1988), secondo cui le proprietà simboliche dei gruppi di riferimento sono trasferite alle marche che questi gruppi usano, tanto da portare i consumatori a scegliere o a respingere una marca in base al proprio desiderio di appartenere o prendere le distanze da un determinato gruppo culturale.

Una distinzione critica in termini di tali processi di costruzione del self è quella proposta da Escalas e Bettman (2005) tra l'impiego di associazioni di marca derivanti dai gruppi a cui il consumatore appartiene (ingroup) rispetto ai gruppi a cui il consumatore non appartiene (outgroup). I consumatori, quindi, sono propensi ad accettare i significati dei marchi associati ad un ingroup e a respingere i significati di quelli associati ad un outgroup.

La letteratura sul consumo tribale (Maffesoli, 1996; Kozinets, 1999; Cova B., Cova V., 2001; 2002) mostra il bisogno dei consumatori di ritrovare valori e significati appartenenti al passato, di creare quindi una “sinergia tra arcaismo e sviluppo tecnologico” (Cova B., Cova V., 2002, p. 597). Questa esigenza porta il mercato ad adottare sempre più frequentemente una tendenza al Retro Branding (Brown et al., 2003), che consiste nel far rivivere o nel rilanciare un marchio appartenente al passato, aggiornato in base agli standard di prestazioni, funzionalità e gusti contemporanei.

I marchi storici riescono a creare legami tra i consumatori in maniera molto efficace, perché rievocano un senso di passato ormai irrecuperabile e un senso di comunità ad esso associato (Brown et al., 2003). Thompson, Pollio e Locander (1994) affermano che i marchi classici non solo incarnano i valori della maestria e del valore durevole, ma anche un ritorno nel tempo in cui il mondo sembrava più sano, più comprensibile e molto meno commerciale. Sono ricchi di associazioni culturali e personali che ne caratterizzano la storia e che insieme ad altre variabili che la rievocano costituiscono l‟eredità del marchio (Brown et al., 2003, p. 20).

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Riconoscere un marchio retrò non è un operazione complessa, tuttavia, grazie al contributo di Walter Benjamin (1973, 1985, 1999), che ha presentato teorie ricche di riferimenti al marketing, al comportamento del consumatore e alla pubblicità, è possibile individuare quattro elementi caratterizzanti i marchi retrò. Questi elementi sono:

 Allegoria: si riferisce alle storie e alle metafore riguardanti il marchio. Le allegorie vengono esaminate per cercare di creare una connessione tra la qualità del vecchio prodotto con il nuovo, comprenderne i significati e gli aspetti morali che attraggono i consumatori;

 Arcadia: questo termine si riferisce alla comunità idealizzata tipica di un passato idealizzato, ritenuto magico e speciale,

 Aura: riguarda l‟essenza del marchio e la presenza di un forte senso di autenticità (Leigh et al., 2006) intesa come insieme di elementi che i consumatori percepiscono come unici.

 Antinomia: riguarda un paradosso irrisolvibile che spesso aleggia attorno al marchio retrò.

Brown, Kozinets e Sherry (2003) identificano questi quattro elementi nel caso della Volkswagen New Beatle, che rappresenta un chiaro esempio di Retro Branding, in richiamo al leggendario maggiolino costruito dalla casa tedesca durante il Terzo Reich.

L‟allegoria emerge dal fatto che la New Beatle presenta numerosi collegamenti con il modello originale, creando così un forte richiamo alla storia del vecchio modello, alle sue origini e ai contesti sociali in cui fu creata. L‟arcadia si riferisce alle comunità idealizzate del Beetle. La nuova versione rappresenta un vero e proprio ritorno ai sogni e al senso di libertà tipico delle comunità hippie. L‟autenticità che caratterizza l‟aura emerge dalla grande somiglianza del New Beatle rispetto al modello originale e dal tentativo di ricrearne l‟essenza del marchio. Mentre l‟antinomia, ovvero il paradosso che caratterizza il marchio è riconducibile al fatto che il veicolo rappresenta l‟orgoglio dell‟industria dl Terzo Reich, e allo stesso tempo il simbolo della ribellione americana degli hippies negli anni sessanta.

Il Retro Branding quindi, combina i benefici di unicità, novità ed esclusività che caratterizzano il nuovo prodotto, con i valori tradizionali di familiarità, anzianità, fiducia e fedeltà.

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Si può quindi affermare che il marchio retrò si presta meglio di altri a creare relazioni comunitarie tra consumatori, tanto da diventare il “totem in un clan contemporaneo” (Brown et al., 2003, p. 29). I membri del clan condividono delle affinità che gli permettono di vivere un‟esperienza comune di appartenenza sia ad una comunità di marca (Muniz, O‟Guinn, 2001) che ad un particolare periodo storico. È come se i consumatori si servissero dei marchi retrò per tornare indietro nel tempo.

Le caratteristiche dei marchi mostrate fino ad ora ci permettono infine, di confermare l‟importanza delle marche nella vita dei consumatori sia per la definizione degli aspetti più intimi della loro personalità, che per la creazione di rapporti sociali con gli altri.

Tuttavia la presenza di marchi così “potenti” (Grace, O‟Cass, 2002) non può che confermare lo stato di crisi generalizzata dei valori e dei legami sociali presentato da Maffesoli (1996), in cui vessa la società postmoderna. Una crisi causata dall‟intromissione sempre crescente delle aziende nella vita quotidiana delle persone, attraverso la creazione di marchi a cui vengono attribuite caratteristiche e sembianze umane, ricchi di valori e significati più di qualsiasi religione, capaci di attirare seguaci fedeli e coinvolti, e addirittura di generare sentimenti di amore e odio. Tutto questo rivela il fascino profondo degli studi sul comportamento del consumatore, ma allo stesso tempo il carattere sempre più effimero della società in cui viviamo.

2.3. Il processo d’acquisto dell’auto (10-15)

La letteratura sul comportamento del consumatore mostra una vasta interpretazione del concetto di consumer behavior (Howard, Sheth, 1968; Arndt, 1986; Schiffman, Kanuk, 1987; Engel et al., 1994; Dalli, Romani, 2001; Kroeber‐Riel et al., 2009) dovuta alla notevole ampiezza del campo di studio che, soprattutto negli ultimi cinquant‟anni, si è arricchito di teorie e concetti provenienti da diversi ambiti disciplinari.

Come afferma Arndt (1986) nonostante le origini degli studi sul comportamento del consumatore risalgano agli anni antecedenti la seconda guerra mondiale, il posizionamento della disciplina come orientamento di ricerca indipendente all‟interno degli studi di marketing avvenne solamente nella seconda metà degli anni

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Sessanta, quando Howard e Sheth (1968) misero in luce, per la prima volta, quanto fosse decisivo a fini strategici creare un‟interdipendenza tra marketing e consumer behavior. Howard e Sheth (1968) sostenevano infatti, che una perfetta conoscenza del comportamento del consumatore sarebbe servita alle aziende per definire in maniera efficace le strategie commerciali e le scelte riguardanti le leve del marketing. La molteplicità degli studi sul comportamento del consumatore genera quindi, diverse definizioni teoriche relative allo stesso concetto:

 “Consumer behavior is the process and activities people engage in when searching for, selecting, purchasing, using, evaluating, and disposing of products and services so as to satisfy their needs and desires” (Belch G.E., Belch M.A., 2007, p. 15);

 “Unter Konsumentenverhalten im engeren Sinne versteht man das beobachtbare äußere und das nicht beobachtbare innere Verhalten von Menschen beim Kauf und Konsum wirtschaftlicher Güter” (Kroeber‐Riel et al., 2009, p. 3).

La prima formulazione riportata dagli autori G. e M. Belch, sottolinea le fasi in cui si manifesta il comportamento di acquisto, ovvero, la ricerca, la scelta del prodotto, l‟acquisto vero e proprio, l‟utilizzo e la valutazione post-utilizzo, e la finalità dell‟acquisto è rivolta al soddisfacimento dei desideri del consumatore.

La definizione di Kroeber‐Riehl, Weinberg e Gröppel Klein invece, fa riferimento alla copresenza di comportamenti “interni”, cioè nascosti e invisibili, legati alla sua personalità, e comportamenti “esterni”, quindi visibili, determinati dall‟influenza di agenti esterni all‟individuo.

I comportamenti dei consumatori di fronte all‟acquisto infatti, sono influenzati in modo determinante da diversi elementi, suddivisibili in due categorie: fattori interni e fattori esterni (Kroeber‐Riel et al., 2009). I fattori interni che influenzano il comportamento d‟acquisto del consumatore riguardano le caratteristiche personali, culturali, sociali e psicologiche dell‟acquirente e spesso coinvolgono aspetti relativi alla sfera interpersonale quali le relazioni famigliari, i gruppi di riferimento e il contesto lavorativo.

I fattori esterni invece possono essere classificati in fattori di marketing, cioè prodotto, prezzo, punto vendita e promozione, e fattori ambientali, relativi

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all‟ambiente di consumo dell‟individuo, alla situazione economica, tecnologica, politica e culturale.

La letteratura inserisce questi concetti in un modello teorico del comportamento di acquisto chiamato modello stimolo-risposta (Kotler, 2004), il quale mostra come gli stimoli esterni arrivano alla cosiddetta scatola nera del consumatore, che comprende tutti i fattori di influenza interni e il processo decisionale dell‟acquirente, fino a determinare le decisioni di acquisto.

Fig. 2.5. Modello stimolo-risposta. (Fonte: Kotler, 2004)

Lo studio di quello che avviene all‟interno della cosiddetta scatola nera dell‟acquisizione permette di individuare quali sono gli elementi che principalmente influenzano le scelte del consumatore.

I fattori culturali ad esempio, assumono un ruolo rilevante nello sviluppo del comportamento di acquisto. Questi comprendono la cultura, la sottocultura e la classe sociale (Dalli, Romani, 2001; Kotler, 2004). La cultura può essere considerata come la determinante fondamentale dei bisogni percepiti da una persona e dei comportamenti che ne derivano. Comprende un insieme di valori, modalità percettive, preferenze e comportamenti appresi attraverso un processo di socializzazione che coinvolge le famiglia e le istituzioni più rilevanti. Ogni cultura è costituita a sua volta da diverse sottoculture, che si riferiscono a nazionalità, religioni, gruppi etnici e regioni geografiche. Le classi sociali (Coleman, 1983) invece, sono classificazioni all‟interno della struttura sociale, ordinate in maniera

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gerarchica e relativamente omogenee e stabili, i cui membri condividono valori, interessi e comportamenti.

Un esempio dell‟influenza esercitata dai fattori culturali sul comportamento di acquisto è rappresentato dalle differenze tra consumatori afro americani e anglo americani nell‟acquisto di automobili (Podoshen, 2008). I consumatori di origine africana a differenza degli altri utilizzano principalmente i passaparola, i consigli della famiglia e degli amici come fonte di informazione principale per l‟acquisto di un‟auto, e nella scelta danno più importanza al brand, al look e allo stile che alla sicurezza, fattore considerato come principale invece, dai consumatori anglo americani (Podoshen, 2008).

La cultura, la sottocultura e la classe sociale sono parte del macroambiente sociale a cui appartiene il consumatore e a cui si affianca il microambiente sociale, che comprende la famiglia e i gruppi di riferimento (Dalli, Romani, 2001).

La famiglia costituisce uno dei primi gruppi di influenza per le scelte del consumatore (Spiro, 1983; Ford et al., 1995; Carr, Sequeira, 2007) e può essere considerata come famiglia di orientamento, ossia la famiglia in cui un individuo è nato e cresciuto, che segna un‟influenza molto duratura sul comportamento, e come famiglia di procreazione, ossia il nucleo famigliare formato da marito, moglie e figli. Anche i gruppi di riferimento (Escalas, Bettman, 2003) possono esercitare un‟influenza considerevole sugli atteggiamenti e sui comportamenti di acquisto del consumatore. L‟influenza di questi gruppi può essere diretta o indiretta (Kotler, 2004). Quelli che hanno un‟influenza diretta su una persona sono denominati gruppi di appartenenza, o come già accennato nel paragrafo precedente, ingroup.

In tali gruppi, rappresentati dalla famiglia, gli amici, i vicini di casa o i colleghi di lavoro, l‟interazione tende ad essere continuata e le relazioni sono in genere informali. Possono essere annoverati in questa categoria anche gruppi, come associazioni religiose o professionali, comunità di marca, tribù o subculture di consumo.

Una recente ricerca sulle comunità di marca automobilistiche (Algesheimer et al., 2005) mostra come per il consumatore essere membro di una comunità o la semplice aspirazione a diventarlo ha un influenza rilevante sul suo comportamento di acquisto, sulla fedeltà nei confronti della marca oggetto della comunità, e sulla generazione di un passaparola positivo.

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Un‟influenza indiretta e soprattutto negativa sulle scelte d‟acquisto invece, è esercitata dai gruppi di riferimento negativi, definiti da Escalas e Bettman (2003)

outgroup, a cui non si appartiene e dai quali si cerca di creare nette e visibili

distinzioni.

Il ruolo esercitato da un individuo all‟interno di questi gruppi o all‟interno della stessa famiglia e il relativo status generano ulteriori influenze nelle scelte di acquisto. Le scelte di particolari prodotti sono spesso influenzate dal desiderio di comunicare agli altri precise immagini di ruolo e di status. L‟automobile è uno dei prodotti più utilizzati come espressione di status, infatti sono molti i consumatori che cercano di migliorare la propria immagine e il proprio senso di appartenenza sociale servendosi proprio dell‟automobile (Belk, 2004).

Le decisioni d‟acquisto sono influenzate anche dalle caratteristiche personali del consumatore (Kotler, 2004). L‟età ad esempio, costituisce una determinante importante nel comportamento del consumatore, infatti nel corso della vita cambiano i beni e i servizi acquistati, come cambiano anche le scelte e i gusti.

La componente temporale riguarda anche il ciclo di vita della famiglia (Murphy, Staples, 1979; Derrick, Linfield, 1980), che può essere diviso in stadi, ciascuno caratterizzato da situazioni finanziarie tipiche e classi di prodotti di potenziale interesse, in funzione dell‟età, dello stato civile, dell‟occupazione e della presenza di figli.

Altri fattori di influenza riconducibili alla sfera personale sono l‟occupazione, la situazione economica e gli stili di vita del consumatore, ma sicuramente la caratteristica più importante è la sua personalità e il suo concetto di sé. Per personalità si intende l‟insieme delle caratteristiche psicologiche distintive dell‟individuo quali l‟autostima, la dominanza, l‟autonomia, la capacità di socializzare, la capacità di difesa e l‟adattabilità (Kotler, 2004). L‟automobile è uno dei prodotti forniti dal mercato che più di altri contribuisce alla definizione dell‟identità del consumatore. Belk (2004) sostiene che identificare se stessi con l‟automobile è una prerogativa principalmente maschile.

Uno studio condotto su appassionati americani di automobili (Belk, 2004) mostra che in molti casi l‟auto è vista come un‟estensione di se stessi e talvolta è considerata come un vero e proprio essere vivente dotato di anima. Sicuramente il comportamento degli appassionati di automobili più coinvolti, quali i restauratori di

Figura

Fig. 2.1.  Il quadrifoglio tribale  (fonte: Cova B., Cova V., 2002)
Fig. 2.2. I ruoli dei membri delle tribù  (Fonte: Cova B., Cova V., 2002)
Fig. 2.5. Modello stimolo-risposta.  (Fonte: Kotler, 2004)
Fig. 2.6. Piramide di Maslow  (Fonte: elaborazione propria)
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