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Curve tropicali

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Academic year: 2021

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Introduzione 2

1 Geometria Tropicale 7

1.1 Curve tropicali piane . . . 7

1.1.1 Limiti di amœbe . . . 7

1.1.2 Curve algebriche in campo non archimedeo . . . 10

1.1.3 Costruzione di K . . . 13

1.2 Dalle curve alle variet`a . . . 14

1.3 Caso proiettivo . . . 15

2 Variet`a tropicali astratte 17 2.1 Gli spazi modello . . . 17

2.2 I cambi di carta . . . 19

2.3 Variet`a tropicale e morfismi . . . 20

2.4 Struttura tropicale . . . 22 3 Metrica su 1-variet`a 23 3.1 Rette . . . 23 3.2 Morfismi . . . 24 3.3 Tipologia di punti . . . 26 3.4 Metrica . . . 27

3.4.1 Distanza sulle rette standard . . . 27

3.4.2 Lunghezza di una curva . . . 29

3.4.3 Distanza su variet`a . . . 31

4 Variet`a e grafi 35 4.1 Lunghezza degli spigoli . . . 35

4.2 La circonferenza S1 come variet`a . . . 36

4.3 Grafo colorato . . . 38

4.4 Grafo associato ad una variet`a . . . 39

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Il nome geometria tropicale suscita di certo curiosit`a per l’insolito aggettivo con cui `e definita.

Chi si chiede quali costruzioni matematiche possano dar luogo ad un nome tanto singolare resta deluso. Esso `e stato coniato da alcuni matematici francesi in onore del collega Imre Simon [Si], che fu uno dei pionieri di tale teoria, per il semplice fatto che egli era brasiliano.

Tale branca della matematica `e di formazione molto recente. Le sue origini si possono far risalire a circa venti anni fa, ma allora essa era stata sviluppata e applicata nel contesto della matematica discreta e dell’ottimiz-zazione. Dello stesso periodo sono le ricerche di Bieri e Groves [BG] su argomenti molto legati agli sviluppi odierni del settore. Solo negli ultimi an-ni, grazie alla sua applicazione a campi come la combinatoria e la geometria algebrica, ha conosciuto un consistente sviluppo che ha portato anche ad un consolidarsi di parte della teoria e delle definizioni.

La geometria tropicale attualmente `e molto legata alla geometria algebri-ca ed `e tramite strumenti algebrici che viene per la maggior parte definita. Inoltre i risultati pi`u significativi sono stati ottenuti nel campo della ge-ometria algebrica numerativa, ad esempio Mikhalkin [Mi] ha calcolato con tecniche proprie della geometria tropicale il numero di curve piane di asse-gnato genere g e grado d passanti per 3d + g − 1 punti generici. Tale risultato era stato ottenuto da Caporaso e Harris [CH] tramite uno studio dello spazio dei moduli delle curve piane.

Il punto di forza della teoria consiste nel fatto che mediante essa si possono trasformare problemi che riguardano curve algebriche in problemi riguardanti oggetti poliedrali e mediante questi si perviene ad una formualzione combi-natoria, in generale pi`u facile da trattare del problema originale.

Ogni oggetto della geometria algebrica ‘classica’, ha dunque una con-troparte ‘tropicale’ che a prima vista non ha nulla a che vedere con esso. Ad esempio una ‘retta tropicale’ in R2 `e un oggetto a forma di ‘Y’ con una

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si pu`o vedere nel secondo esempio in figura 1). Nonostante tale diversit`a nella forma, `e possibile formulare in ambito tropicale gran parte dei concetti classici e molti risultati cos`ı tradotti continuano a valere.

In figura 1 `e visualizzato come valgano ancora gli enunciati ‘Due rette generiche si intersecano in uno e un solo punto’ e ‘Per due punti generici passa una ed una sola retta’.

Figura 1: Dualit`a tra punti e rette nel piano

Valgono anche teoremi classici della geometria piana, come il teorema di Pappo, oppure significativi sono la formulazione e prova del teorema di B´ezout ([Ga]). In ambito tropicale il grado di una ‘curva classica’ si traduce nel numero di semirette della ‘curva tropicale’ aventi una stessa direzione. La figura 2 pu`o dare un’idea di come una retta (a sinistra) ed una conica (a destra) generiche si intersechino in due punti distinti.

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Essendo la geometria tropicale ancora all’inizio del suo sviluppo `e chiaro che a fare da controparte a risultati interessanti vi sono settori in cui si `e ben lontani da una trattazione organica.

La generalizzazione delle curve piane ad oggetti di dimensione e codimen-sione maggiore, pur se fattibile, si rivela difficile da esplorare.

Un’altra naturale generalizzazione, che ricorre spesso nella geometria, `e quella del passaggio dalle variet`a immerse (per le quali vi `e una definizone consolidata) al concetto di variet`a astratta. In questa direzione vi `e un recente studio di Mikhalkin [Mi2] che definisce delle variet`a tropicali astratte tramite raffinate tecniche algebriche.

Questa tematica risulta essere anche l’argomento di questa tesi.

In essa esporremo per prima cosa le definizioni di base della geometria tropicale con particolare attenzione alle curve piane. Questo sar`a il contenuto del primo capitolo, che non avr`a come scopo quello di dare un’esposizione completa dei risultati ottenuti fino ad ora. Esso invece, con un tono per lo pi`u colloquiale, cercher`a di far intuire quali siano le idee e le tecniche fondamentali.

I capitoli seguenti contengono degli apporti originali alla teoria. In parti-colare, il secondo sar`a dedicato ad una nuova definizione di variet`a tropicale astratta, effettuata usando carte e atlanti, come nella teoria usuale delle va-riet`a differenziabili. Si cercher`a per prima cosa di inquadrare quali siano il fine e le motivazioni, e successivamente di rendere rigorose tali idee.

Il restante spazio `e dedicato alle curve, ossia variet`a unidimensionali se-condo la definizione del capitolo due. Nel terzo capitolo saranno approfondite le caratteristiche topologiche delle curve, ma soprattutto verr`a mostrato in che modo la struttura tropicale induca in modo naturale una metrica sulle va-riet`a . Saranno poi analizzati gli stretti legami tra tale metrica e la struttura tropicale.

Il quarto e ultimo capitolo d`a una classificazione di tutte le variet`a (uni-dimensionali) complete. Tale procedimento ha come fulcro l’introduzione di un invariante e permetter`a di stabilire l’equivalenza tra le curve tropicali e i grafi a cui sia assegnata una lunghezza ad ogni arco.

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Geometria Tropicale

L’obiettivo di questo capitolo `e quello di introdurre le nozioni generali della geometria tropicale, con particolare attenzione alle curve. Esso infatti ha la duplice funzione di inquadrare l’ambiente generale nel quale questa tesi `e inserita, e quella di motivarla.

Essendo esso un’introduzione ai concetti generali ed avendo un taglio specifico non pu`o certo mirare ad essere un’esposizione esaustiva. Inoltre molti risultati verrano citati senza una dimostrazione, per le quali, o per una trattazione pi`u ricca, si rimanda agli articoli in bibliografia.

1.1

Curve tropicali piane

Ci sono vari modi per definire le curve tropicali piane, e il fatto che risultino equivalenti `e un potente strumento per cercare formulazioni di una questione che risultino pi`u facilmente analizzabili. Per quanto riguarda il primo para-grafo l’impostazione `e quella di [Ga], mentre per il secondo la base `e data da [EKL] e [RST].

1.1.1

Limiti di amœbe

Prendiamo una curva complessa piana C e proiettiamo la sua restrizione a (C∗)2 sul piano reale R2 mediante la mappa logaritmica:

Log : (C∗)2 → R2

(z1, z2) 7→ (log |z1|, log |z2|)

L’insieme A = Log(C ∩ (C∗)2) ⊆ R2 `e chiamato amœba della curva C. Esso

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Raffiguriamo in figura 1.1 alcuni esempi, dai quali si intuisce anche la ragione del nome dato a questi oggetti. Delle tre rappresentate, le prime due sono amœbe di rette, la terza di una conica generica.

x1 x2 x1 x1 x2 x2 A A −2 −3 A

Figura 1.1: Esempi di amœbe

La prima risulta dalla proiezione della retta (complessa): C = {(z1, z2) | z1+ z2 = 1}

Vogliamo dare qualche motivazione del fatto che abbia questa forma.

Analizziamo per prima cosa quali soluzioni tale equazione possa avere per x1, x2 → ∞. Ogni coordinata `e il logaritmo della norma, quindi perch´e

‘scoppi’, deve valere zi → 0 oppure |zi| → ∞. Dall’equazione che definisce C

otteniamo che |z2| = |1 − z1|, quindi i vari casi risultano essere:

• se |z1| → ∞ anche |z2| → ∞ e otteniamo il ‘tentacolo’ che si protrae

assottigliandosi (in quanto sempre dalla stessa relazione si deduce che |z1

z2| → 1) lungo la bisettrice del primo quadrante;

• se |z1| → 0 allora |z2| → 1 e di conseguenza facendone i logaritmi

x1 → −∞, x2 → 0, e questo `e il tentacolo che punta verso sinistra;

• se |z1| → 1 allora |z2| → 0 e otteniamo, permutando le coordinate

rispetto al caso precendente, il tentacolo che punta verso il basso. La seconda figura `e l’amœba relativa alla curva C di equazione:

C = {(z1, z2) | e3z1+ e2z2 = 1}

Osserviamo che, grazie alle propriet`a del logaritmo, quello che `e un cambia-mento di tipo moltiplicativo sulle coordinate si traduce in un’azione additiva sulla figura finale, ossia una traslazione.

La terza figura invece `e la proiezione di una conica. Il fatto di essere definita in C2 tramite un’equazione di grado due si traduce visivamente nel

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fatto che ora i ‘tentacoli’ che puntano nelle tre direzioni, le stesse che abbia-mo precendentemente considerato, sono due per ognuna. Questo `e un fatto di natura generale: una curva generica di grado d in C2 ha per immagine

un’amœba che ha d tentacoli in ognuna delle direzioni dei vettori (0, −1), (−1, 0) e (1, 1) (per una dimostrazione di questo fatto vedere ad esempio [Mi]).

Quello che vogliamo ottenere ora `e quella che viene chiamata spina del-l’amœba . Essa pu`o essere pensata come lo scheletro unidimensionale di cui l’amœba costituisce un ‘ispessimento’. Per i tre casi presi in esame precedentemente la serie di figure in 1.2 rappresenta l’obiettivo delle future definizioni. x1 x2 x1 x1 x2 x2 Γ Γ Γ −2 −3 3 2

Figura 1.2: Spine di amœbe

Prendiamo in esame la prima figura: l’insieme su cui vogliamo stringere `e costituito dalle tre semirette uscenti dall’origine e aventi le direzioni dei tentacoli.

Per far questo consideriamo una generalizzazione della mappa logaritmi-ca, ossia la famiglia di mappe: 1

Logt: (C∗)2 → R2

(z1, z2) 7→ (− logt|z1|, − logt|z2|)

Il risultato di questo cambiamento lo si pu`o ottenere applicando ad R2

un’o-motetia di ragione log t. Prendiamo come curva C quella che definisce la prima figura. Facendone il limite per t → 0 l’amœba Logt(C ∩ (C∗)2) tende

(convergenza che si pu`o rendere formale nel senso della metrica di Hausdorff) a quella che chiameremo curva tropicale determinata da C.

Questa tecnica per`o non funziona nel secondo caso. L’omotetia che ap-plichiamo, oltre ad assottigliare l’amœba , avvicina il ‘punto centrale’ dello

1

il logaritmo naturale `e crescente, mentre se la base tende a zero `e decrescente: di qui la comparsa del segno meno nella definizione della mappa logaritmica per fare in modo che il comportamento resti qualitativamente lo stesso.

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scheletro, ossia il punto (−2, −3), all’origine e con esso i tre tentacoli si av-vicinano agli assi e alla bisettrice del primo quadrante. Il limite per t → 0 `e lo stesso del caso precedente e non `e questo ci`o che vogliamo.

Per ottenere ci`o che abbiamo descritto a parole consideriamo, anzich´e la singola curva complessa C = {(z1, z2) | e3z1+ e2z2 = 1}, la famiglia di curve

ad un parametro (reale)

Ct= {(z1, z2) | t−3z1+ t−2z2 = 1}

Al variare di t consideriamo ora la proiezione Logt(Ct∩ (C∗)2):

indipenden-temente dal parametro il punto centrale resta fisso in (−2, −3), ma permane il restringimento dello spessore dell’amœba attorno alla sua spina per t → 0. Questo `e il risultato che avevamo in mente, e chiamiamo quindi il limite di tali insiemi curva tropicale determinata dalla famiglia (Ct).

Nel terzo caso `e possibile, in analogia a quanto fatto finora, definire un’adeguata famiglia (Ct) di coniche nello spazio complesso il cui limite delle

proiezioni Logt(Ct∩ (C∗)2) risulta essere la rappresentazione pi`u a destra in

figura 1.2.

1.1.2

Curve algebriche in campo non archimedeo

Un secondo modo per costruire (e definire) le curve tropicali nasce dalla sostituzione del campo complesso con un campo non archimedeo. Questa via coinvolge un campo di partenza certamente pi`u complicato di C, ma si acquisisce come vantaggio il fatto di ottenere le curve tropicali direttamente dalla proiezione, senza alcun processo di limite.

Consideriamo quindi un campo K che abbia una norma non archimedea, vale a dire una | · | : K → R≥0 che soddisfa le seguenti: 2

• |w| = 0 se e soltanto se w = 0 • |w1w2| = |w1||w2| ∀w1, w2 ∈ K

• |w1+ w2| ≤ max{|w1|, |w2|} ∀w1, w2 ∈ K

Chiediamo poi che valgano le seguenti ulteriori ipotesi: • K algebricamente chiuso e di caratteristica zero, • K completo rispetto alla norma,

• la norma `e surgettiva.

2

(11)

Mediante tale norma su K possiamo definire nuovamente la mappa loga-ritmica termine a termine:

Log : (K∗)2 → R2

(w1, w2) 7→ (log |w1|, log |w2|)

La proiezione mediante questa mappa di curve algebriche in K2 d`a come

risultato oggetti lineari a tratti del tipo gi`a visto. Questo ci suggerisce una definizione pi`u rigorosa (ed algebrica) per le curve.

Definizione 1.1. Una curva tropicale piana `e un sottoinsieme di R2 della

forma Log(C ∩ (K∗)2) dove C `e una curva algebrica piana in K2.

Per esemplificare mostriamo in figura 1.3 quale pu`o essere l’immagine di una cubica.

Figura 1.3: Proiezione di cubiche in campo non archimedeo

Perch´e tutto ci`o abbia un interesse esibiamo un campo che abbia le carat-teristiche richieste. L’esempio che segue prende il nome di campo delle serie di Puiseux reali ed `e definito come:

K= ( X j∈J ajtj J ⊆ R `e bene ordinato, aj ∈ C )

ed `e formato da serie di potenze formali a coefficienti complessi. 3 3

notiamo che un insieme J ⊆ R ben ordinato con l’ordine indotto da R `e numerabile, in quanto tra due elementi di J c’`e un razionale

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Su di esso mettiamo la norma data da: X j∈J ajtj = e− min J

Tale definizione ha senso per il fatto che l’insieme degli indici J `e ben ordinato.

Notiamo prima di tutto che tale insieme `e un campo e soddisfa tutte le richieste precedentemente elencate. Infatti, poich´e unione finita di insiemi bene ordinati `e un insieme bene ordinato, la somma `e ben definita. Che lo sia anche il prodotto dipende dal fatto, pi`u delicato che se I, J sono bene ordinati allora lo `e anche I + J = {i + j | i ∈ I, j ∈ J}, e analogamente l’esistenza dell’inverso segue dalle propriet`a dei sottoinsiemi bene ordinati di R. Che verifichi le propriet`a di norma non archimedea `e conseguenza delle propriet`a dell’esponenziale e le restanti sono propriet`a algebriche.

Inoltre, esso contiene i complessi C come sottocampo (in generale, questo si chiama ‘sottocampo residuo’) e tutti gli elementi di C∗ hanno norma uno.

Usando tale norma possiamo riscrivere la mappa logaritmica. Su ogni termine essa agisce mandando:

X j∈J ajtj 7→ − min J

In questo ambito il suo opposto viene chiamato comunemente valutazione. `E possibile riformulare la teoria dei campi non archimedei in modo equivalente (cfr. [EKL]) in termini di campi con valutazione anzich`e campi con norma (tale strada `e seguita, ad esempio, in [Ga]).

Consideriamo in dettaglio le possibili soluzioni dell’equazione w1+ w2 = 1

in (K∗)2. Perch´e la somma di due serie sia il termine costante 1, sono possibili

quattro casi distinti:

• w1 = 1 + P (t), w2 = −P (t) dove P `e una serie formale con esponenti

tutti positivi;

• il caso simmetrico w1 = P (t), w2 = 1 − P (t);

• w1 = P (t) + z + Q(z), w2 = −P (t) + 1 − z − Q(t) dove P `e serie formale

con esponenti tutti negativi, z `e un numero complesso, e Q contiene potenze di soli esponenti positivi;

• w1 = z + Q(t), w2 = 1 − z − Q(t) con notazione conforme al caso

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Analizzandone ora la mappa logaritmica vediamo che tale casistica corrispon-de nel piano R2 a (rispettivamente):

• l’esponente pi`u piccolo di w1`e zero, mentre di w2pu`o essere un qualsiasi

numero positivo: cambiando di segno si ottiene nella prima di figura 1.2 la semiretta che punta in basso;

• cambiano le variabili rispetto a prima e otteniamo la parte negativa dell’asse x1;

• l’esponente pi`u piccolo pu`o essere un qualsiasi reale negativo, ma lo stesso per w1 e w2: cambiando di segno, la bisettrice del primo

quad-rante;

• entrambe le serie hanno un temine costante (in t) ed esponenti positivi: in tutti i casi la proiezione `e il punto centrale (0, 0).

`

E chiaro inoltre, ultilizzando le propriet`a di esponenziale e logaritmo, che anche per la seconda curva la costruzione funziona.

1.1.3

Costruzione di K

Vogliamo dare ora un’idea intuitiva di quale sia il motivo del perch´e la so-stituzione di C con K elimina il processo di limite sulle amœbe dando come risultato direttamente la spina.

Sia f (w1, w2) = 0 l’equazione a coefficienti complessi che definisce la

cur-va C nel piano K2 (con K ancora da determinare) da cui proiettiamo. In

anologia a quanto fatto precendemente anzich´e la singola curva C, prendiamo in esame la famiglia di curve ad un parametro Ct, definite da

un’opportu-na equazione polinomiale ˜f (w1, w2, t) = 0. Nel nostro nuovo campo, per`o,

vogliamo che l’equazione ˜f (w1, w2, t) = 0 non definisca pi`u una famiglia di

curve al variare di t, bens`ı una singola curva C: per far questo imponiamo che t sia un elemento di K. Cerchiamo quindi un campo che contenga sia i com-plessi (altrimenti l’equazione polinomiale non ha senso), sia (formalmente) la variabile t.

Per far questo sarebbero sufficienti le funzioni razionali a coefficienti com-plessi. Esso per`o dev’essere algebricamente chiuso e deve per questo con-tenere almeno monomi in t il cui esponente sia frazionario (ossia le radici dei polinomi zn − t). Giungiamo quindi al campo delle serie di Puiseux

(razionali) (cfr. [RST, 2]), ossia l’insieme delle serie formali: KQ = ( X j∈J ajtj

J ⊆ Q, J ha minimo e denominatori limitati )

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Dobbiamo ora definire una norma (che indicheremo con | · |) non archimedea su tale campo. Il procedimento usato per le amœbe prevedeva di proiettare, tramite la mappa logaritmica Logt definita tramite tale norma, la curva C e farne il limite t → 0 in modo da ottenere una figura lineare a tratti. Prendiamo un elemento w ∈ KQ e sia q ∈ Q l’esponente minore che compare

nella sua scrittura come serie di potenze. Scriviamo quindi w = aqtq+

X

j∈Q,j>q

ajtj

Nel limite t → 0 il termine rilevante `e appunto quello di ordine minore e possiamo scrivere per t piccolo (cfr. [Ga, 1.2]):

− logt|w| ≈ − logt|aqtq| = −q − logt|aq| ≈ −q

Se vogliamo che l’immagine della curva C tramite la mappa logaritmica Log sia la stessa del limite delle proiezioni tramite la famiglia di mappe Logtdeve valere log |w| = −q, ossia |w| = e−q dove ricordiamo q `e l’esponente minore

nell’espansione in serie di potenze di w. E infatti questa `e la definizione che abbiamo dato di norma.

Stando a questo abbiamo ottenuto che le proiezioni mediante mappa log-aritmica sono oggetti lineari, ma sottoinsiemi di Q2. Per avere proiezioni che

siano curve chiuse in R2, `e necessario soddisfare la richiesta di surgettivit`a

della norma e questo porta ad un ulteriore allargamento del campo, ossia alla definizione del campo K delle serie di Puiseux reali (la norma viene estesa in maniera naurale mantenendo formalmente invariata la definizione).

1.2

Dalle curve alle variet`

a

La descrizione delle curve piane che ci interessa maggiormente e che si presta ad essere generalizzata `e quella esposta nel paragrafo 1.1.2.

La prima, naturale, estensione `e quella che porta dalle curve nel piano ad arbitrarie ipersuperfici in spazi di dimensione pi`u alta definite sempre mediante polinomi.

Estendiamo la mappa logaritmica al caso n-dimensionale.

Log : (K∗)n → Rn

(w1, . . . , wn) 7→ (log |w1|, . . . , log |wn|)

Tramite questa possiamo definire:

Definizione 1.2. Una ipersuperficie tropicale `e un sottoinsieme di Rn della

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Seguendo una strada puramente algebrica abbiamo gli strumenti per definire inoltre variet`a di codimensione maggiore di uno. In accordo con [RST, 2] [SS], anche se con notazioni diverse, siamo portati a dare la seguente definizione.

Definizione 1.3. Dato un ideale I nell’anello dei polinomi K[w1, . . . , wn] la

variet`a tropicale associata ad I `e il sottoinsieme di Rn dato da Log(V (I) ∩

(K∗)n).

1.3

Caso proiettivo

Notiamo che in tutto ci`o che abbiamo fatto finora abbiamo sempre usato la mappa logaritmica.

La proiezione mediante essa, grazie alle propriet`a del logaritmo, ha il grande vantaggio di trasformare curve algebriche di qualsiasi grado in oggetti lineari a tratti e per questo motivo certamente pi`u maneggevoli. Il prezzo da pagare `e quello di dover restringere la curva (o la variet`a), per sua natura definita in tutto Kn, al solo (K)n.

Vogliamo quindi affiancare alla definizione di variet`a ‘affine’ una trat-tazione ‘proiettiva’ delle variet`a tropicali che permetta di non togliere alcun punto alla variet`a algebrica di partenza.

Prima di tutto richiamiamo la norma su K: essa induce una funzione (che indicheremo con lo stesso simbolo) su Kn definita termine a termine.

| · | : Kn → Rn

≥0

(w1, . . . , wn) 7→ (|w1|, . . . , |wn|)

Inoltre, essendo moltiplicativa, `e ben definita anche sugli spazi proiettivi: | · | : P(Kn) → P(Rn

≥0)

[w0, . . . , wn] 7→ [ |w0|, . . . , |wn| ]

Poich´e R≥0 un `e campo, `e d’obbligo precisare cosa intendiamo con P(Rn≥0).

Esso `e definito da:

P(Rn≥0) = (Rn+1≥0 \ {0})/ ∼ dove w ∼ w′ ⇐⇒ ∃λ ∈ R+ : w = λw′ Topologicamente risulta omeomorfo al simplesso standard:

∆n = ( (x0, . . . , xn) ∈ Rn+1 n X i=0 xi = 1, xi ≥ 0 ∀i )

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dove l’omeomorfismo `e dato dalla composizione ∆n֒→ (R≥0)n+1\ {0}

/∼

−→ P(Rn≥0)

quindi d’ora in poi confonderemo i due oggetti sottointendendo l’omeomor-fismo.

Figura 1.4: Rappresentazione grafica di ∆n ≈ P(Rn ≥0)

Facciamo inoltre un’osservazione sulle notazioni. Gli elementi di ∆n si

scrivono in coordinate omogenee tutte non negative e non tutte nulle. Risulta comodo scegliere di tutti i rappresentanti uno da utilizzare come notazione standard. La nostra sar`a quella in cui il massimo delle coordinate `e 1. Dato un punto in forma generica, riscaleremo le coordinate dividendole per il loro massimo.

La seguente definizione di variet`a `e la conseguenza di quanto esposto in questa sezione e sar`a quella su cui ci baseremo.

Definizione 1.4 (variet`a tropicale (proiettiva)). Sia I ⊆ K[x0, . . . , xn]

un ideale omogeneo. La variet`a tropicale (proiettiva) Vtrop(I) ⊆ ∆nassociata

ad I `e l’immagine secondo la norma della variet`a algebrica

(17)

Variet`

a tropicali astratte

Questo capitolo `e dedicato ad una definizione ‘analitica’ di variet`a tropicale astratta.

Usiamo in questo contesto l’aggettivo ‘analitica’ in quanto ci`o che carat-terizza tale definizione `e il tentativo di mimare, per quanto possibile, quella di variet`a C∞ o analitica.

Prima di tutto si tratta di variet`a astratta, e con questo intendiamo non pi`u un sottoinsieme immerso in Rn(oppure di ∆

nnel caso proiettivo) tramite

un’opportuna mappa, bens`ı uno spazio topologico dotato di un atlante. Tale atlante sar`a composto di carte in un opportuno spazio (da deter-minare) e tale che i cambiamenti di carte rientrino in un ben preciso gruppo di transizioni ammissibili (anche questo, da definire). Sono quindi due i punti cruciali di un tale tipo di impostazione: determinare quale sia lo spazio che costuituisce il ‘modello’ (di variet`a tropicale), come per le variet`a lisce `e Rn,

e per quali caratteristiche debbano essere ritenute ‘simili’ due carte definite su uno stesso aperto.

La linea guida sar`a quella di pensare alle variet`a lisce come spazi che siano ‘localmente lineari’. L’obiettivo quindi di questo capitolo `e quello di definire all’interno della geometria tropicale quali oggetti debbano essere ritenuti ‘localmente lineari’.

2.1

Gli spazi modello

Mentre nel caso ‘classico’ tutte le carte di una variet`a di dimensione n hanno come insieme di arrivo Rn, nel caso tropicale si rende necessario avere a

disposizione pi`u di un modello di una determinata dimensione.

Il motivo di tale necessit`a risiede nel fatto che mentre una retta in R2 e una

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euclidei di dimensione arbitraria, nel caso tropicale a seconda dello spazio in cui `e immersa una retta pu`o avere caratteristiche (anche topologiche) diverse. Nella definizione quindi i modelli saranno parametrizzati da due paramentri interi positivi: N dovr`a essere pensato come la dimensione del modello, mentre n `e la dimensione dell’ambiente contenente il modello. Definizione 2.1 (N-piani standard). Siano n, N ∈ N, n ≥ N + 2. Chiameremo N-piani standard i seguenti sottoinsiemi del simplesso ∆n−1:

ΣNn =  [x0, . . . , xn−1] ∈ ∆n−1 #{ i | xi < maxj {xj}} ≤ N 

Per rendere questa definizione meno oscura raffiguriamo alcuni esempi in dimensione bassa. Purtroppo, dalla condizione n ≥ N + 2 si deduce che se vogliamo che la dimensione dell’ambiente sia al pi`u tre esistono solo le possibilit`a delle figure 2.1 e della figura 2.2 a pag. 19.

Figura 2.1: Gli 1-piani standard Σ1 3 e Σ14

Il motivo del perch`e debbano essere questi i modelli da considerare validi `e che essi sono le proiezioni di spazi lineari in Kn (o equivalentemente di spazi

proiettivi in Kn−1) e quindi rispondono all’idea generale per la costruzione

di variet`a tropicali astratte. La correttezza di questa affermazione `e dovuta al seguente teorema.

Teorema 2.1. Siano f1, . . . , fn−1−N equazioni lineari a coefficienti complessi

generici. Vale l’uguaglianza

|V (f1, . . . , fn−1−N)| = ΣNn.

Dimostrazione. Sia P = V (f1, . . . , fn−1−N). Dimostriamo la proposizione

per induzione su N. Se N = 0, P `e un punto (per la genericit`a) a coefficienti complessi, e quindi |P | = [1, . . . , 1] = Σ0

(19)

Per un risultato di Sturmfels e Speyer [SS, Corollario 2.5], poich´e i polinomi hanno coefficienti complessi, il poliedro |P | `e un cono di centro [1, . . . , 1]. In particolare `e determinato dalla sua intersezione col bordo ∂∆n−1∩ |P |. Per

la genericit`a dei coefficienti, P interseca ogni iperpiano coordinato {zi = 0}

in un piano di dimensione N − 1, e quindi per l’ipotesi induttiva |P | interseca la faccia corrispondente di ∂∆n−1 in una ‘copia’ di ΣN −1n−1. A questo punto `e

facile concludere che ∂∆n−1∩ |P | = ΣNn.

Figura 2.2: Il 2-piano standard Σ2 4

2.2

I cambi di carta

Definiamo ora quali siano i morfismi tra i piani standard. Questo servir`a sia a definire quali siano le mappe che consideriamo valide come cambi di carte, sia successivamente per poter dare una nozione di morfismo tra variet`a (non necessariamente della stessa dimensione).

La geometria tropicale si caratterizza per trattare oggetti che sono line-ari a tratti. Per questa ragione, e seguendo l’idea di costruire oggetti che siano ‘localmente lineari’, diamo una nozione di morfismo che mantenga tale struttura.

(20)

Ricordiamo che gli oggetti lineari a tratti erano il risultato della proiezione tramite la mappa logaritmica. La definzione che segue, invece, si basa sulla descrizione ‘proiettiva’ delle variet`a tropicali. Dato un morfismo, che sar`a una ‘mappa monomiale’, si potr`a restingere l’insieme su cui `e definito in modo da potervi comporre la mappa logaritmica. Tramite tale mappa i fattori che nel morfismo ‘moltiplicano’ diventeranno delle traslazioni, e gli esponenti fattori di ‘espansione’.

Definizione 2.2 (matrice omogenea). Chiamiamo matrice omogenea una matrice a coefficienti interi in cui la somma degli elementi di una riga non dipende dalla riga. 1

Hm×n= ( A ∈ Mm×n(Z) n−1 X j=0 ai,j = n−1 X j=0 a1,j ∀i = 0, . . . , m − 1 )

Si verifica facilmente che lo spazio delle matrici omogenee H `e una sot-toalgebra dell’algebra di tutte le matrici.

Definizione 2.3 (morfismo monomiale). Dati una matrice omogenea A = (ai,j) ∈ H(m+1)×(n+1), un elemento α = [α0, . . . , αm] ∈ ∆m e un insieme

D ⊆ ∆n si dice morfismo monomiale l’applicazione f

α,A : D → ∆m definita da: [x0, . . . , xn] 7→ [α0x a0,0 0 · · · xan0,n, . . . , αmx am,0 0 · · · xanm,n]

Si richiede che D ⊆ ∆n sia un insieme su cui non tutti i monomi al secondo

membro sono nulli e definiscono quindi un elemento di ∆m. 2

Chiameremo invertibile (o isomorfismo) un morfismo monomiale bigetti-vo, la cui inversa sia un morfismo monomiale.

Notiamo prima di tutto che l’applicazione `e ben definita: non dipende n´e dalla scelta del rappresentante di [x0, . . . , xn] grazie al fatto che la matrice

`e omogenea (e quindi tutti i monomi hanno lo stesso grado), n´e dalla scelta del rappresentante di [α0, . . . , αm].

2.3

Variet`

a tropicale e morfismi

Ora abbiamo tutti gli strumenti per la definizione vera e propria:

1

righe e colonne verrano indicizzate partendo da zero 2

nelle potenze di ogni monomio la base `e reale mentre l’esponenete intero. Definiamo quindi per continuit`a 00

(21)

Definizione 2.4 (variet`a tropicale astratta). Dato uno spazio topologico M, un atlante di dimensione N su M `e un insieme A = {(Ui, ϕi)}i∈I per cui

valgono le seguenti:

(i) ∀i l’insieme Ui `e un aperto di M e Si∈IUi = M

(ii) ∀i ∃n tale che ϕi : Ui → Vi `e un omeomorfismo e Vi `e un aperto di ΣNn

(iii) ∀i 6= j vale Ui ∩ Uj = ∅ oppure ogni x ∈ Ui∩ Uj ha un intorno W ⊆

Ui∩ Uj tale che ϕi|W ◦ (ϕj|W)−1 `e un morfismo monomiale invertibile.

Una variet`a tropicale di dimensione N `e una coppia (M, A) formata da uno spazio topologico di Hausdorff 3 M e da un atlante A di dimensione N su M.

Al solito chiameremo carte gli elementi di un atlante. Date due carte su uno stesso spazio topologico, anche di atlanti diversi, le diremo compatibili se soddisfano la condizione (iii).

Una variet`a tropicale, essendo localmente omeomorfa ad un N-piano stan-dard, ne eredita tutte le propriet`a topologiche locali. Quindi ogni variet`a `e lo-calmente connessa per archi, lolo-calmente compatta, lolo-calmente semplicemente connessa.

Una volta definita una struttura su un certo spazio, va da s´e dire quali siano le applicazioni che ammettiamo tra due di questi spazi.

Definizione 2.5 (morfismi tra variet`a). Date due variet`a tropicali M, N diremo che f : M → N `e un morfismo (di variet`a tropicali) se per ogni punto x ∈ M esistono carte (U, ϕ) di M e (V, ψ) di N tali che x ∈ U, f (x) ∈ V e ψ ◦ f ◦ ϕ−1 : ϕ(U) → ψ(V ) `e un morfismo monomiale.

Un morfismo invertibile (o isomorfismo) tra variet`a `e un’applicazione bigettiva che sia un morfismo (e la cui inversa `e ancora un morfismo).

Poich´e i cambiamenti di carta sono morfismi monomiali invertibili, la definizione appena data non dipende dalle carte che scegliamo e dipende solo dalla funzione. Osserviamo inoltre che poich´e i morfismi monomiali sono applicazioni continue e le carte omeomorfismi, un morfismo tra variet`a `e in particolare una funzione continua e gli isomorfismi sono omeomorfismi.

Chiudiamo con una precisazione sulla notazione in merito ai morfismi monomiali. `E chiaro dalla definizione che aggiungendo uno stesso numero intero ad una colonna della matrice omogenea che definisce il morfismo, di esso pu`o cambiare al pi`u l’insieme di definizione. Quindi, dato un morfismo fα,A la notazione standard sar`a quella in cui α ∈ ∆m segue le regole sopra

3

(22)

enunciate, mentre A `e tale che il minimo di ogni colonna `e zero (ossia sot-traiamo ad ogni colonna il valore minimo di quella colonna). `E chiaro che in tale forma l’insieme su cui pu`o essere definito il morfismo contiene quello di partenza.

2.4

Struttura tropicale

Osservazione 2.1. Siano M uno spazio topologico di Hausdorff e A un at-lante che lo rende variet`a tropicale. Siano poi (U, ϕ) e (V, ψ) carte compatibili con ogni carta di A. Allora (U, ϕ) e (V, ψ) sono compatibili tra loro.

Dimostrazione. Se U ∩ V = ∅ non c’`e nulla da dimostrare. Altrimenti siano x ∈ U ∩ V e (W, χ) ∈ A tale che x ∈ W . Per ipotesi di compatibilit`a esistono intorni aperti ˜U ⊆ U ∩ W e ˜V ⊆ V ∩ W di x tali che χ ◦ (ϕ|U˜)−1 e

χ ◦ (ψ|V˜)−1 sono morfismi invertibili. Invertendo il primo e componendo col

secondo troviamo che su ˜U ∩ ˜V anche ϕ ◦ ψ−1 = (χ ◦ (ϕ| ˜ U)−1)

−1

◦ χ ◦ (ψ|V˜)−1

`e morfismo invertibile.

Grazie a questo `e possibile dare la nozione di atlante massimale, ossia data una variet`a M con atlante A definiamo

˜

A = {(U, ϕ) carta su M | (U, ϕ) `e compatibile con ogni carta di A} Per l’osservazione appena fatta ˜A `e effettivamente un atlante su M, massi-male rispetto all’inclusione tra gli atlanti che contengono A.

Definizione 2.6 (struttura tropicale). Data una variet`a tropicale (M, A) chiameremo struttura tropicale su M (indotta da A) la coppia (M, ˜A).

Definiscono quindi la stessa struttura due atlanti su un dato spazio che hanno lo stesso atlante massimale, o equivalentemente tali che la loro unione `e ancora un atlante. D’ora in poi considereremo uguali due variet`a che hanno la stessa struttura tropicale, e potremo limitarci a lavorare perci`o solo con atlanti massimali.

(23)

Metrica su 1-variet`

a

L’obiettivo di questo capitolo `e quello di studiare pi`u approfonditamente le variet`a di dimensione uno.

Ci dedicheremo principalmente a mostrare che le variet`a tropicali in modo naturale ereditano dagli spazi su cui sono definite una nozione intrinseca di distanza. La connessione tra struttura tropicale e metrica cos`ı definita `e molto stretta, tanto che arriveremo a dimostrare che esse sono in un certo senso ‘equivalenti’.

Poich´e d’ora in poi ci occuperemo solo di variet`a unidimensionali, dove non specificato altrimenti quando useremo il termine ‘variet`a’ saranno sot-tointesi gli aggettivi ‘tropicale unidimensionale’.

Il risultato che vogliamo dimostrare `e che una variet`a `e un grafo e la sua struttura a meno di isomorfismo `e deteminata dalla ‘lunghezza’ (che definiremo) dei suoi spigoli. Inoltre vale anche il viceversa: dato un grafo per il quale ad ogni spigolo `e associata un lunghezza (con opportune restrizioni), esiste una variet`a tropicale di dimensione uno che lo rappresenta unica a meno di isomorfismi.

3.1

Rette

In questo capitolo ci concentreremo sulle variet`a di dimensione uno. Per brevit`a indichiamo con Σn l’1-piano Σ1n, che chiameremo retta.

Riprendiamo una notazione gi`a introdotta: essendo le coordinate definite a meno di multipli positivi, le riscaliamo in modo che il massimo risulti uguale ad uno. Analizziamo pi`u nel dettaglio le rette standard, rimandando alla figura 2.1 a pag. 18 per una rappresentazione grafica di rette standard.

Esso `e formato da tutti i punti in cui (al pi´u) una sola coordinata non rag-giunge il massimo tra di esse. Fissata una coodinata xi chiameremo braccio-i

(24)

l’insieme, aperto in Σn, dei punti in cui xi < 1. Il braccio-0 `e il sottoinsieme

del sottospazio proiettivo di equazioni x1 = x2 = · · · = xn formato dai

pun-ti compresi tra [0, 1, . . . , 1] e [1, . . . , 1], e analoghe considerazioni si possono fare per le altre coordinate. I bracci sono insiemi disgiunti. La frontiera del braccio-i `e formata dal punto di intersezione con la faccia del simplesso di equazione xi = 0, e dal punto [1, . . . , 1], che appartiene alla chiusura di tutti

i bracci. Dal punto di vista puramente topologico Σn `e un cono su n punti,

ma essendo composto di segmenti che giacciono in sottospazi proiettivi di ∆n−1 ne eredita in qualche modo la struttura.

3.2

Morfismi

Il nostro obiettivo `e quello di studiare le variet`a a meno di isomorfismo. Per far questo studiamo prima di tutto i morfismi, o pi`u precisamente i morfismi locali.

Ad una permutazione σ ∈ Sn+1 associamo l’applicazione

fσ : [x0, . . . , xn] 7→ [xσ(0), . . . , xσ(n)]

e la chiameremo ancora permutazione (dato il diverso insieme di definizione, tale nome non dovrebbe causare equivoci). Essa `e un morfismo di ∆n in s´e,

invertibile con inversa fσ−1 che `e ancora un morfismo; inoltre manda la retta standard Σn+1 in s´e (mandando il braccio-i nel braccio-σ(i)) Ne segue che:

Osservazione 3.1. Siano σ ∈ Sn+1 e τ ∈ Sm+1 permutazioni. Una mappa

F tra aperti di Σn e Σm `e un morfismo se e solo se lo `e fσ◦ F ◦ fτ.

Teorema 3.1 (morfismi monomiali locali tra rette standard). Sia x = [x0, 1, . . . , 1] ∈ Σn con 0 ≤ x0 ≤ 1 e

f = fα,A : D −→ Σm D ⊆ Σn

un morfismo monomiale tale che f (x) = [y0, 1, . . . , 1]. 1 Allora esiste un

intorno aperto connesso U di x tale che: • f |U `e costante, oppure

• x0 = 0 ed esistono α0 ∈ R+ e r ∈ N+ tali che f |U `e della forma

[t, 1, . . . , 1] 7→ [α0tr, 1, . . . , 1]

oppure

1

in base all’osservazione precendente il fatto di restringerci al caso in cui sia di x che f(x) appartengano al braccio-0 `e un’ipotesi messa per chiarezza espositiva, ma non fa perdere di generalit`a il teorema.

(25)

• 0 < x0 < 1 ed esistono α0 ∈ R+ e r ∈ Z \ {0} tali che f |U `e della forma

[t, 1, . . . , 1] 7→ [α0tr, 1, . . . , 1]

oppure

• x0 = 1 e n ≥ m. In questo caso:

– se f (x) = [1, . . . , 1] allora f |U = fα,A con α = f (x) = [1, . . . , 1] ed

A ha al pi`u un elemento non nullo su ogni colonna – se invece f (x) 6= [1, . . . , 1] allora esistono r0, . . . , rn ∈ Z,

P

iri =

0, e α0 ∈ R+ tali che f |U `e della forma

[x0, . . . , xn] 7→ [α0xr00· · · xrnn, 1, . . . , 1]

Dimostrazione. Se esiste un intorno di x0 in cui f `e costante abbiamo finito.

Supponiamo ora che non esista un tale intorno.

Caso x0 = 0. Se fosse y0 6= 0 allora A avrebbe la prima colonna

com-posta di zeri, ossia f non dipende da x0. Ma il braccio-0 di Σn `e un

in-torno di x su cui f sarebbe costante. Contrario al nostro assunto, quindi f (x) = [0, 1, . . . , 1]. Da questo segue, per continuit`a, che esiste un intorno U di x tale che f (U) `e contenuto nel braccio-0 di Σm. Quindi f |U, essendo

monomiale, ha la forma descritta nel teorema. Verichiamo che effetivamente sia un morfismo: [t, 1, . . . , 1] 7→ [αtr, 1, . . . , 1] `e restrizione, ad esempio, di

[t0, . . . , tn] 7→ [αtr0, tr1, . . . , tr1].

Caso 0 < x0 < 1. Innanzitutto dimostriamo che 0 < y0< 1.

Se fosse y0 = 0 allora α = [0, α1, . . . , αm] e sul braccio-0 (intorno di x) f

sarebbe costante.

Se invece fosse y0 = 1 allora prima di tutto non pu`o essere r = a0,0 = 0

(scriviamo A = (ai,j)) altrimenti f `e costante sul braccio-0. Nel caso r 6= 0

si ha che il morfismo pu`o essere scritto in modo che al pi`u una coordinata in arrivo dipenda dalla prima coordinata in partenza. Se cos`ı non fosse l’immagine non sarebbe contenuta nella retta standard, poich´e in essa tutte le coordinate tranne al pi`u una sono uguali, ed f non sarebbe un morfismo. Possiamo quindi scrivere f : [t, 1, . . . , 1] 7→ [α0tr, 1, . . . , 1]. La funzione t 7→

α0tr manda x0 in 1 quindi assume valori maggiori di 1 in qualsiasi intorno

di x0. Esisterebbero quindi in un intorno di x0 punti la cui immagine `e della

forma (non standard) [t′, 1, . . . , 1] con t′ > 1, impossibile perch`e nessuno di questi punti pu`o appartenere a Σm. Quindi abbiamo dimostrato che 0 <

(26)

D’altra parte data una qualsiasi funzione monomiale t 7→ α0tr che

man-di x0 in y0 `e un morfismo se ristretta ad un intorno opportuno.

Infat-ti `e restrizione del morfismo monomiale [t0, . . . , tn] 7→ [α0tr0, tr1, . . . , tr1] con

α0 = y0x−a0 ; per continuit`a esiste l’intorno cercato.

Caso x0 = 1, y1 = 1. Sostituendo nella forma generale di morfismo

mono-miale segue subito che α = [1, . . . , 1]. Per quanto riguarda A supponiamo che xi compaia in pi`u di un monomio nell’espressione di f e sia U un intorno

di x. Tale intorno U interseca tutti i bracci, in particolare il braccio-i. Ma un punto del braccio-i viene mandato mediante f in punti in cui pi`u di una coordinata `e minore di 1, quindi non in Σm, e ci`o `e impossibile. D’altra parte

ogni matrice omogenea che soddisfa questa richiesta definisce un morfismo f1,A che manda Σn su Σm.

Caso x0 = 1, y1 6= 1. Per continuit`a scegliamo un intorno di x la cui

immagine `e contenuta nel braccio-0. Da ci`o si deduce che la condizione dell’enunciato `e necessaria. Poich´e essa definisce effettivamente un morfismo, `e anche sufficiente.

Corollario 3.2 (morfismi invertibili). Nelle ipotesi del teorema precedente sia inoltre f invertibile. Allora esiste un intorno aperto connesso U di x tale che:

• se x0 = 0 allora esiste α0 ∈ R+ tale che f |U `e della forma

[t, 1, . . . , 1] 7→ [α0t, 1, . . . , 1]

• se 0 < x0 < 1 allora esistono α0 ∈ R+ e r ∈ {1, −1} tali che f |U `e

della forma

[t, 1, . . . , 1] 7→ [α0tr, 1, . . . , 1]

• se x0 = 1 allora n = m e f |U `e una permutazione

Dimostrazione. Basta restringersi ad intorni di x e f (x) in modo che sia f che f−1 siano della forma enunciata nel teorema precendente.

Vogliamo ora trovare degli oggetti definiti sulle rette standard Σn che

siano invarianti per applicazioni che sono localmente morfismi invertibili, ossia invarianti per quelli che sono i cambi di carte per le variet`a tropicali. Essi andranno quindi a definire degli oggetti sulle variet`a stesse.

3.3

Tipologia di punti

(27)

Definizione 3.1 (tipologie di punti). Data una retta standard Σn

chia-miamo centrale il punto [1, . . . , 1], esterno un punto che ha una coordina-ta zero, interno un punto che non ricade nei casi precedenti (ossia ha una coordinata compresa strettamente tra 0 e 1).

La tipologia di punto chiaramente non cambia per permutazione delle co-ordinate. Inoltre il corollario appena mostrato dice che i cambi di carte preservano il tipo dei punti (lo si pu`o dedurre anche dal fatto che `e un invariante topologico).

Osservazione 3.2. La tipologia di punto `e ben definita sulle variet`a tropicali. Ogni variet`a tropicale `e unione disgiunta di punti centrali, interni, esterni.

Data una variet`a M definiamo C = C(M) = {p ∈ M | p `e centrale}, E = E(M) = {p ∈ M | p `e esterno}, e chiameremo vertici gli elementi di C ∪ E. Chiameremo invece spigoli le componenti connesse (per archi) di M \ (C ∪ E).

L’insieme dei vertici `e discreto. Infatti ogni punto centrale o esterno ha un intorno in Σn che contiene solo esso e punti interni, ed essendo le carte

omeomorfismi ci`o vale anche per le variet`a.

I bracci privati del punto esterno sono omeomorfi all’intervallo (0, 1) ⊆ R, qundi le carte tropicali rendono ogni spigolo una 1-variet`a topologica connessa. Se `e chiuso come sottoinsieme della variet`a allora `e omeomorfo a S1, altrimenti a (0, 1).

Inoltre, poich´e ogni variet`a M `e localmente compatta e i vertici discreti, gli spigoli (in quanto componenti connesse di M privata dei vertici) sono aperte in M.

3.4

Metrica

3.4.1

Distanza sulle rette standard

Diamo ora a ciascuna delle rette standard privata dei punti esterni una distanza d : Σn\ E −→ R definita da:

• d([x, 1, . . . , 1], [y, 1, . . . , 1]) = | log x − log y| = | logx y|,

• d([x, 1, . . . , 1], [1, y, 1, . . . , 1]) = d([x, 1, . . . , 1], c)+d(c, [1, y, . . . , 1]) dove c = [1, . . . , 1],

(28)

Teorema 3.3. Le tre propriet`a esposte determinano univocamente una fun-zione. Essa `e una distanza, equivalente a quella euclidea.

Dimostrazione. Le propriet`a sopra date danno un algoritmo per calcolare la funzione d, per cui `e chiaro che la individuano univocamente.

Verifichiamo sia una distanza.

Prima di tutto `e una funzione non negativa.

Supponiamo ora di avere due punti dali che d(p, q) = 0. Se stanno en-trambi sul braccio-i, chiamate x e y le loro i-esime coordinate, da | logx

y| = 0

segue x = y ossia p = q. Se p e q invece stanno su bracci diversi la loro distanza si spezza in una somma e utilizzando il caso precedente otteniamo p = [1, . . . , 1] = q.

Verifichiamo infine la disuguaglianza triangolare. Presi tre punti che stanno sullo stesso braccio segue dalla seguente disuguaglianza:

| logx y| = | log x z z y| = | log x z + log z y| ≤ | log x z| + | log z y|

Se invece almeno due dei tre punti stanno su bracci diversi, ci si ricongiunge al caso precendente utilizzando la seconda propriet`a.

Infine, poich´e il logaritmo `e una funzione localmente bilipschitziana tale metrica induce su Σn\ E la stessa topologia della distanza euclidea.

Sebbene questa distanza sia equivalente a quella euclidea, differisce da essa per il comportamento sui punti esterni. Mentre la metrica euclidea su Σn`e limitata, secondo d i punti esterni si trovano a distanza infinita, dove con

questo intendiamo dire che se p ∈ E, q ∈ Σn\ E vale limx→pd(x, q) = +∞.

Le applicazioni che preservano la distanza verranno chiamate, al solito, isometrie.

Teorema 3.4 (isometrie e isomorfismi). Sia f : U ⊆ Σn\E −→ V ⊆ Σm

una funzione e sia U connesso.

Allora f `e un morfismo monomiale invertibile se e solo se `e un’isometria. Dimostrazione.

‘Solo se’. Se U contiene il punto centrale allora f `e una permutazione e la tesi segue dalla terza propriet`a. Se invece U non contiene il punto centrale essendo connesso `e interamente contenuto in un braccio. Poich`e f `e isomorfismo, anche f (U) `e connesso e non contiene il punto centrale, quindi contenuto in un braccio. Quindi (a meno di comporre con una permutazione, che lascia invariata la distanza) f `e della forma [t, 1, . . . , 1] 7→ [αtr, 1, . . . , 1]

con α 6= 0 e r = ±1: d(f (x), f (y)) = | logαx r 0 αyr 0 | = |r log x0 y0 | = |r|| logx0 y0 | = d(x, y)

(29)

‘Se’. Ricordiamo che la distanza definita sulle rette standard induce la topologia usuale, quindi le isometrie sono in particolare omeomorfismi. Se U contiene il punto centrale allora poich´e f `e un omeomorfismo manda il punto centrale c ∈ U in s´e stesso. L’omeomorfismo f |U \{c} manda le componenti

connesse (una per ogni braccio) di U \ {c} in quelle di V \ {f (c)} in modo biunivoco. Segue che m = n e a meno di comporre con una permutazione (che sappiamo essere sia morfismo invertibile che isometria) possiamo supporre che ogni braccio venga mandato in s´e. Sia x = [x0, 1, . . . , 1] un punto appartente

al braccio-0 e f (x) = [f0, 1, . . . , 1] la sua immagine. Poich´e la distanza dal

punto centrale viene preservata deve valere

− log x0 = d(x, c) = d(f (x), f (c)) = − log f0

da cui segue x0 = f0 ossia f ristretta al braccio-0 `e l’identit`a. Ragionamento

analogo per le altre coordinate, da cui segue che f `e l’identit´a (a meno di permutazione) e quindi un morfismo monomiale invertibile.

Supponiamo invece U non contenga il punto centrale. Poich`e f `e omeo-morfismo, come gi`a detto sia U che V sono contenuti in un braccio, a meno di permutazione supponiamo siano entrambi contenuti nel braccio-0. Essendo U contenuto in un braccio f (x) dipende solo dalla coordinata-0 di x. Fis-siamo un generico ¯x ∈ U e poniamo ¯y = f (¯x); il fatto che f preserva le distanze ci dice che per generici x ∈ U e y = f (x) vale:

| logx¯0 x0| = d(x, ¯x) = d(y, ¯y) = | log ¯ y0 y0| ; log ¯ y0 y0 = ± log ¯ x0 x0 ; ¯ y0 y0 = ( ¯ x0 x0) ±1 ; y0 = ¯y0x¯∓10 x0±1

Il segno ‘±’ che compare `e una funzione continua a valori interi, definita sul connesso U. Essa dunque `e costante e quindi otteniamo che la dipendenza `e di tipo monomiale ad esponente in modulo uguale ad uno, ossia f `e un morfismo monomiale invertibile.

3.4.2

Lunghezza di una curva

Abbiamo mostrato che i cambiamenti di carte sono isometrie. Questo impli-ca, tramite tecniche standard che richiameremo ora, che ogni curva tropicale `e in modo naturale uno spazio metrico.

Sia γ : [a, b] → M un cammino continuo e iniettivo (d’ora in poi, se non specificato diversamente, sottointendemo continuo e iniettivo e diremo semplicemente cammino). Associamo una lunghezza a γ.

Sia a = t0 < t1 < · · · < tk = b una suddivisione di [a, b] in modo tale

(30)

i = 1, . . . , k. L(γ) = k X i=1 d(ϕi◦ γ(ti), ϕi◦ γ(ti−1))

Coerentemente con la notazione mostriamo che:

Teorema 3.5 (lunghezza curva). La funzione L non dipende dalla suddi-visione {ti}ki=0 n´e dalle carte (Ui, ϕi) ma solo dal cammino γ. Inoltre, dato γ,

la sua lunghezza non dipende dalla parametrizzazione ma solo dal supporto. Dimostrazione. Notiamo innanzitutto che almeno una suddivisione che sod-disfa le richieste esiste, per compattezza del supporto di γ.

Come prima cosa dimostriamo che data una suddivisione τ = {ti}ki=0, L

non dipende dalle carte. Sia (U′

i, ϕ′i) un’altra carta tale che γ([ti−1, ti]) ⊆ Ui′.

Possiamo supporre che Ui e Ui′ siano connessi (altrimenti restringiamo le

carte alla componente connessa contenente γ([ti−1, ti])), quindi i cambi di

carta sono isometrie da cui segue: d(ϕ′

i◦ γ(ti), ϕ′i◦ γ(ti−1)) = d(ϕ′i◦ ϕ−1i ◦ ϕi◦ γ(ti), ϕ′i◦ ϕ−1i ◦ ϕi◦ γ(ti−1)) =

= d(ϕi◦ γ(ti), ϕi◦ γ(ti−1))

Se σ = {si}hi=0 `e un’altra suddivisione dell’intervallo [a, b] consideriamo

σ ∪ τ , sottosuddivisione di entrambe. Ci basta mostrare che L non cambia passando ad una sottosuddivisione, e per questo basta (per induzione) che dato u ∈ (ti, ti+1) valga d(γ(ti), γ(ti+1)) = d(γ(ti), γ(u))+d(γ(u), γ(ti+1)). Se

γ|(ti,ti+1)contiene il punto centrale ci si riconduce al caso in cui non lo contiene utilizzando la seconda propriet`a della distanza. Se il cammino appartiene ad un braccio (supponiamo il braccio-0) chiamiamo γ(ti) = [x, 1, . . . , 1], γ(u) =

[y, 1, . . . , 1], γ(ti+1) = [z, 1, . . . , 1]. Poich´e il cammino `e iniettivo deve valere

0 < x < y < z ≤ 1 (il caso 0 < z < y < x ≤ 1 `e del tutto analogo) e quindi: d(γ(ti), γ(ti+1)) = − logxy = − logxyyz = − log xy − log yz =

= d(γ(ti), γ(u)) + d(γ(u), γ(ti+1))

Da qui, infine, segue dalla definizione che L non dipende dalla parametriz-zazione scelta per il supporto di γ.

Corollario 3.6. Date due curve iniettive γ e γ′, se supp(γ) ⊆ supp(γ) allora

L(γ) ≤ L(γ′).

Dimostrazione. Data una suddivione per γ la completiamo ad una suddivi-sione per γ′. La somma (a termini positivi) che definisce la lunghezza di γ

(31)

Dato un modo per misurare le lunghezze dei cammini abbiamo di con-seguenza un modo per misurare le distanze. Prima di tutto mostriamo un lemma che sar`a utile in seguito.

Lemma 3.7. Siano X spazio topologico di Hausdorff e p, q, r ∈ M. Se esiste un cammino iniettivo da p a q, ed esiste un cammino iniettivo da q ad r, allora esiste un cammino iniettivo da p ad r. In particolare, ne esiste uno con supporto contenuto nell’unione dei supporti dei primi due.

Dimostrazione. Siano γ : [a, b] → M cammino con γ(a) = p, γ(b) = q e δ : [c, d] → M cammino con δ(c) = q, δ(d) = r. Definendo I = γ([a, b]) ∩ δ([c, d]) ⊆ M, esso `e compatto in quanto intersezione di due compatti in uno spazio T2. La funzione γ : [a, b] → γ([a, b]) `e continua, iniettiva e surgettiva,

va da uno spazio compatto ad uno spazio T2, quindi `e un omeomorfismo

(un ragionamento analogo vale per δ). L’insieme γ−1(I) ⊆ [a, b] `e immagine

secondo un omeomorfismo di un compatto, quindi `e compatto. Sia λ = min(γ−1(I)) ∈ [a, b] e λ= δ−1(γ(λ)) ∈ [c, d].

Se λ = a il cammino ζ : [λ′, d] → M definito come ζ(t) = δ(t) `e continuo,

iniettivo, e connette i punti ζ(λ′) = δ(λ) = γ(λ) = p e ζ(d) = δ(d) = r.

Se invece λ 6= a definiamo il cammino ζ : [a, λ + d − λ′] → M come

ζ(t) = 

γ(t) se t ∈ [a, λ]

δ(t + λ′− λ) se t ∈ [λ, λ + d − λ]

La funzione ζ su ognuno dei due chiusi su cui `e definita `e continua e coincide nell’intersezione, quindi `e continua. Essa connette i punti ζ(a) = γ(a) = p e ζ(λ + d − λ′) = δ(d) = r quindi ci`o che resta da mostrare `e che

sia iniettiva.

Supponiamo per assurdo che esistano t1, t2 ∈ [a, λ+d−λ′], t1 6= t2 tali che

ζ(t1) = ζ(t2). Non possono appartenere entrambi a [a, λ] perch`e γ `e iniettiva,

n´e entrambi a [λ, λ + d − λ′] perch`e anche δ `e iniettiva. Allora abbiamo (a

meno di permutarli) t1 ∈ [a, λ), t2 ∈ (λ, λ + d − λ′], ζ(t1) = ζ(t2) e per come

`e definita ζ questo implica γ(t1) = δ(t2+ λ′− λ) e ci`o non `e possibile perch´e

t1 < λ = min(γ−1(I)) quindi t1 6∈ γ−1(I) e quindi γ(t1) non pu`o appartenere

al supporto di δ.

Infine, che il supporto di ζ sia contenuto nell’unione dei supporti di γ e δ `e evidente da come `e definita ζ.

3.4.3

Distanza su variet`

a

Definizione 3.2 (distanza su variet`a). Siano M variet`a tropicale connes-sa e p, q ∈ M \ E(M). Sia inoltre Γp,q = {γ : [a, b] → M cammino | γ(a) =

(32)

p, γ(b) = q}, definiamo

d(p, q) = inf

γ∈Γp,q L(γ)

Teorema 3.8. La funzione d `e ben definita ed `e una distanza su M \ E. Dimostrazione. Prima di tutto M `e spazio topologico di Hausdorff connesso e localmente connesso per cammini (in quanto lo `e Σn), quindi grazie al lemma

`e connesso per cammini (ci`o che vale per la connessione con cammini generici vale anche per cammini iniettivi grazie al lemma 3.7). Nelle rette standard ogni intorno connesso di un punto esterno rimane connesso anche togliendo quel punto e poich´e i punti esterni sono isolati anche M \ E `e connesso per archi iniettivi. Da ci`o segue che se p 6= q allora Γp,q 6= ∅ e quindi d `e ben

definita. Verifichiamo che `e una distanza.

La funzione L `e non negativa, quindi lo `e pure d. Se p 6= q, essendo M di Hausdorff possiamo trovare un intorno aperto V ∋ p che non contiene q. A meno di restringerlo possiamo supporre stia nel dominio di una carta ϕ : V → Σn per un qualche n. Sia ε > 0 tale che B(ϕ(p), ε) ⊆ ϕ(V ). Dato γ ∈ Γp,q,

ϕ(γ) interseca ∂B(ϕ(p), ε), altrimenti B(ϕ(p), ε) e V \ B(ϕ(p), ε) sarebbero due aperti in V che sconnettono ϕ(γ). Esiste quindi q′ ∈ V \B(ϕ(p), ε). Dalla

definizione di lunghezza di un cammino abbiamo che L(γ) ≥ d(ϕ(p), ϕ(q′)) ≥

ε, dove ε non dipende dalla scelta di γ. Si ha quindi d(p, q) = infγ∈Γp,qL(γ) ≥ ε > 0.

Prendiamo p, q, r punti in M e fissiamo ε > 0 un numero reale. Essendo la distanza definita come estremo inferiore, esistono cammini γ ∈ Γp,q e

δ ∈ Γq,r tali che L(γ) < d(p, q) + ε e L(δ) < d(q, r) + ε. Il lemma appena

dimostrato dice che esiste ζ ∈ Γp,r tale che supp(ζ) ⊆ supp(γ) ∪ supp(δ).

Quindi d(p, r) = infζ′∈Γp,rL(ζ′) ≤ L(ζ) ≤ L(γ) + L(δ) < d(p, q) + d(q, r) + 2ε e dall’arbitrariet`a di ε segue la disuguglianza triangolare.

Teorema 3.9. Sia M variet`a tropicale e sia ϕ : U → Σn una carta contenuta

nell’atlante di M. Allora indicata con dv la distanza su M come variet`a

tro-picale e dr la distanza su Σn\ E come retta standard, si ha che ϕ `e isometria

locale tra gli spazi metrici (U, dv) e (Σn\ E, dr).

Dimostrazione. Sia p ∈ U ed ε = dv(p, Uc). Poich`e p `e compatto e U aperto

vale ε > 0.

Vogliamo dimostrare che detta B = B(p, ε) ⊆ U si ha che ϕ|B : B → Σn

`e un’isometria. Per far questo prendiamo un generico q ∈ B. Per calcolare dv(p, q) ci possiamo restringere a calcolare l’estremo inferiore sui gli archi

iniettivi che connettono p e q e la cui lunghezza sia minore di dv(p,q)+ε

2 . Essi

sono interamente contenuti in B, infatti se esistesse un q′ ∈ Bc ∩ supp(γ)

(33)

Per calcolarne la lunghezza possiamo quindi usare la suddivisione banale ed ottenere che L(γ) = dr(ϕ(p), ϕ(q)). Per l’arbitrariet`a del cammino otteniamo

che dv(p, q) = dr(ϕ(p), ϕ(q)) che `e la nostra tesi.

Corollario 3.10. Sia Σn una retta standard. Consideriamo su di essa la

struttura tropicale indotta dall’atlante che ha come unica carta l’identit`a. Con le notazioni del teorema precendente, si ha che dr = dv

Dimostrazione. Ripetiamo la dimostrazione del teorema precedente, ma sen-za restringerci a nessuna palla di raggio ε. Essa continua a valere in quanto Uc `e vuoto.

Questo risultato ci mostra che non vi pu`o essere ambiguit`a tra le due nozioni di distanza, e d’ora in poi continueremo ad usare lo stesso simbolo per entrambe.

Teorema 3.11 (equivalenza tra isometrie e isomorfismi). Siano M e N variet`a tropicali e f : M → N una funzione tra esse. Allora f `e un’isomorfismo se e solo se `e un’isometria. In particolare, due variet`a sono isomorfe se e solo se sono isometriche.

Dimostrazione.

Possiamo supporre che f sia un omeomorfismo, in quanto sia le isometrie sia gli isomorfismi lo sono.

‘Se.’ Sia p ∈ M punto generico. Date carte (U, ϕ) in p e (V, ψ) in f (p), poich`e esse sono isometrie locali a meno di restringere U e V possiamo supporre che siano isometrie. Poich´e f `e isometria, lo `e anche la composizione ψ ◦ f ◦ ϕ−1. Per il teorema 3.4 tale composizione `e un morfismo monomiale

invertibile. Segue che f `e isomorfimo.

‘Solo se.’ Sia p ∈ M punto generico. Poich´e f `e isomorfismo esistono carte (U, ϕ) in p e (V, ψ) in f (p), tali che la composizione ψ ◦ f ◦ ϕ−1 sia un

morfismo monomiale invertibile. Poich`e le carte sono isometrie locali, a meno di restringere U e V possiamo supporre che siano isometrie. Per il teorema 3.4 la composizione ψ ◦ f ◦ ϕ−1 `e un’isometria. Segue che anche f , ristretta

a tali intorni `e un’isometria. Per l’arbitrariet`a di p, f `e un’isometria locale ed essendo un’omeomorfismo `e un’isometria globale.

A conclusione di questa sezione, mostriamo che, similmente a quanto accade per curve lisce e regolari in spazi euclidei, `e possibile, data una cur-va, trovare una parametrizzazione di essa che ne rispecchi le caratteristiche metriche.

(34)

Teorema 3.12. Sia γ : [a, b] → M, con a < b curva iniettiva in M variet`a. Definiamo l’applicazione:

f : [a, b] → [0, L(γ)] f (x) = L(γ|[a,x])

Allora f `e un omeomorfismo.

Dimostrazione. Fissiamo un punto generico x ∈ [a, b]. Se (U, ϕ) `e una carta in γ(x), a meno di restringere possiamo supporre che U = B(γ(x), ε) e che ϕ sia un’isometria. Posto V = γ−1(U), esso `e un intorno aperto di x in [a, b] e

si ha che, per ogni y ∈ V , da d(x, y) < ε si deduce |f (x) − f (y)| < ε. Quindi f `e una funzione continua.

Per il teorema 3.6 f `e crescente, quindi iniettiva.

Inoltre f (a) = L(γ|{a}) = 0 e f (b) = L(γ|[a,b]) = L(γ), per cui essendo

continua segue dal teorema del valore intermedio che `e surgettiva.

Infine, poich´e `e bigezione tra un compatto e un Hausdorff, `e un omeo-morfismo.

Corollario 3.13 (parametrizzazione rispetto alla lunghezza d’arco). Data una curva iniettiva γ : [a, b] → M con M variet`a, esiste un omeomor-fismo h : [0, L(γ)] → [a, b] tale che la curva ˜γ = γ ◦ h ha lo stesso supporto di γ e per essa vale L(˜γ|[0,x]) = x.

(35)

Variet`

a e grafi

In questo capitolo daremo una classificazione delle 1-variet`a complete (e che soddisfino delle ipotesi molto blande). Dove non specificato altrimenti intenderemo complete rispetto alla distanza definita nel capitolo 3.

Esse risultano essere fondamentalmente dei grafi in cui ogni spigolo ha assegnata una ‘lunghezza’.

Pi precisamente esiste un modo naturale di associare ad una variet`a tropicale un grafo con lunghezze tale che:

• per ogni grafo esiste una variet`a che ha esso come immagine

• date due variet`a esse sono isomorfe se e solo se viene loro associato lo stesso ‘grafo colorato’ (cos`ı chiameremo un grafo a cui siano state assegnate lunghezze agli spigoli)

4.1

Lunghezza degli spigoli

Lo strumento (oltre alla topologia) che consente di distinguere una variet`a da un’altra `e racchiuso nella seguente definizione.

Definizione 4.1 (lunghezza degli spigoli). Sia M variet`a tropicale ed s uno spigolo di M. Definiamo lunghezza dello spigolo s l’estremo superiore delle lunghezze delle curve iniettive che hanno supporto contenuto in s.

L(s) = sup

supp(γ)⊆s

L(γ)

Proposizione 4.1. Sia M una variet`a tropicale ed s un suo spigolo. Allora s ha lunghezza finita se e solo se la sua chiusura in M non contiene punti esterni.

(36)

Dimostrazione. ‘Solo se’. Sia p ∈ s punto esterno, e (U, ϕ) carta in p tale che ϕ(p) = [0, 1, . . . , 1] ∈ Σn e tale che U sia connesso e contenuto in s ∪ {p}.

Sia p0 = [x, 1, . . . , 1] un punto di U \ {p}. Dato m ∈ N definiamo il cammino

γm : [0, 1] → M con γm(t) = ϕ−1([xe−mt, 1, . . . , 1]). Abbiamo che γmconnette

p0 con pm = ϕ−1([xe−m, 1 . . . , 1]). Da questo segue

L(γm) = d(ϕ(p0), ϕ(pm)) = | log

x

xe−m| = | log e

m| = m

Poich´e questa stima vale per ogni m ∈ N segue che L(s) ≥ supm∈NL(γm) =

+∞.

‘Se’. Se la chiusura di s (in M \ E) `e omeomorfa a [0, 1], allora tale omeomorfismo dice che s `e supporto di una curva iniettiva γ. Ogni curva in s ha supporto contenuto nel supporto di γ, da cui L(s) ≤ L(γ). Se invece s `e omeomorfo a S1 posso trovare due curve iniettive la cui unione dei supporti

contiene s. Segue che ogni curva in s ha lunghezza limitata superiormente dalla somma delle lunghezze di tali due curve, e quindi tale maggiorazione vale anche per L(s).

4.2

La circonferenza S

1

come variet`

a

Le strutture tropicali su S1 vanno trattate a parte, e il motivo `e la seguente

proposizione.

Proposizione 4.2. Siano M variet`a connessa, s spigolo di M. Se s oppure M `e omeomorfo a S1 allora M = s.

Dimostrazione.

Caso ‘s’. Ogni spigolo, come visto nella sezione 3.3 `e aperto in M. Se lo spigolo `e omeomorfo a S1 `e anche compatto, quindi aperto e chiuso ed essendo M connessa vale la tesi.

Caso ‘M’. Se M avesse vertici i loro intorni sarebbe non omeomorfi ad R, quindi M non sarebbe una 1-variet`a topologica, mentre S1 lo `e.

Teorema 4.1. La circonferenza S1 ammette una struttura di variet`a tropicale

compatibile con la topologia usuale.

Dimostrazione. Scriviamo innanzitutto S1 = R/Z. Costruiremo un atlante

con due carte, dipendenti da un parametro reale positivo µ che lasciamo non determinato perch´e per ora ininfluente.

Definiamo sull’aperto U = (0, 1) la carta ϕ : U → Σ3 come ϕ(t) =

[e−µt, 1, 1], e su U= (1 2, 3 2) la carta ϕ ′ : U→ Σ 3 sempre come ϕ(t) =

(37)

[e−µt, 1, 1]. Entrambi gli insiemi di definizione sono aperti, i codomini insiemi

aperti e le mappe omeomorfismi. Abbiamo che U ∩ U′ = (0,1

2) ∪ ( 1

2, 1). Sulla seconda componente connessa

ϕ e ϕ′ coincidono. Sulla prima abbiamo che ϕ(t) = [e−µt, 1, 1] mentre ϕ(t) =

[e−µ(1+t), 1, 1]. Cambiando parametro abbiamo che il cambio di carta ϕ◦ϕ−1 :

[t, 1, 1] 7→ [e−µt, 1, 1] `e morfismo monomiale invertibile.

Le realizzazioni di S1come variet`a tropicali per`o non sono tutte isomorfe.

Poich`e S1 `e una variet`a topologica, essa non ha vertici. Essendo inoltre

connessa, segue che `e composta di un solo spigolo. Data una variet`a tropicale M omeomorfa ad S1 chiameremo lunghezza, e la indicheremo con L(M), la

sua lunghezza come spigolo.

Teorema 4.2 (strutture tropicali su S1). Siano M e N variet`a tropicali

omeomorfe ad S1. Esse sono isomorfe se e solo se hanno la stessa lunghezza.

Inoltre, dato un numero reale positivo µ, esiste una struttura tropicale su S1

tale che la sua lunghezza sia µ.

Dimostrazione. Grazie al teorema 3.11 questo `e equivalente a dimostrare che sono isometriche se e solo se hanno la stessa lunghezza. ‘Se’. A meno di omeomorfismo posso supporre che come insiemi M = N = R/Z.

Dimostriamo che per misurare la lunghezza di M possiamo limitarci alle curve che hanno punto iniziale assegnato. Sia γx : [0, x] → M, dove 0 < x < 1

il cammino dato da γx(t) = t. Per definizione vale L(γx) ≤ L(M), quindi

anche supx∈(0,1)L(γx) ≤ L(M). D’altra parte, fissato ε > 0, sia γ′ tale

che L(γ′) ≥ L(M) − ε. Poich´e S

x∈(0,1)supp(γx) = M esiste x tale che

L(γx) ≥ L(γ′) ≥ L(M) − ε, da cui segue la disuguaglianza inversa alla

precendente e infine supx∈(0,1)L(γx) = L(M).

Sia ora L(M) = L(N) = µ. Vogliamo definire un’isometria h : M → N. Sia f : M \ {0} → (0, µ) l’omeomorfismo e isometria (grazie al teorema 3.12) dato da f (p) = L(γp) dove con γp si intende il cammino [0, p]. Poich´e

tale omeomorfismo si pu`o far partire anzich´e da zero da un qualsiasi punto di M, `e ben definita un’isometria locale ˜f : M → R/µZ, che essendo pure un omeomorfismo `e un’isometria. Seguendo lo stesso ragionamento costruiamo g : N → R/µZ, da cui h = g−1◦ f `e l’isometria cercata.

‘Solo se’. Essendo la lunghezza delle curve definita usando la distanza, il fatto che M e N siano isometriche implica che curve corrispondenti sono lunghe uguali, da cui la tesi.

Per dimostrare l’ultima affermazione, prendiamo la struttura tropicale definita nel teorema 4.1 imponendo che il parametro µ della costruzione sia uguale a quello dell’enunciato di questo teorema. Per misurarne la lunghezza,

(38)

calcoliamo la lunghezza del cammino γ = [ε, 1 − ε]. Esso `e contenuto in una carta quindi utilizzando la suddivisione banale abbiamo che

L(γ) = log(e−µεeµ(1−ε)) = µ − 2ε

Facendo tendere ε → 0 abbiamo che supp(γ) → M \ {0} e L(γ) → µ−da cui

la tesi

Le strutture tropicali sulla circonferenza in definitiva sono parametrizzate da un unico numero reale positivo.

4.3

Grafo colorato

Formalizziamo ora cosa intendiamo per ‘grafo con lunghezze’.

Per costruire un grafo abbiamo bisogno di due insiemi: V , che costi-tuir`a l’insieme dei vertici, ed S, che saranno gli spigoli. Inoltre, ci serve chiaramente sapere ogni spigolo quali vertici ha come estremi, e questa infor-mazione `e racchiusa nella funzione Φ. Notiamo che tali vertici sono o uno o due; infatti ogni spigolo ha al pi`u due estremi, e ne ha almeno uno (nel caso in cui si richiuda su s´e stesso). Infine, ad ogni spigolo viene associata una lunghezza positiva, possibilmente infinita, determinata dalla funzione Ψ.

Questa struttura generale ha bisogno di alcune altre richieste per essere equivalente alla nozione di variet`a tropicale.

Diamo una nozione di valenza di un vertice: `e il numero di archi che partono da tale vertice. Per valutarlo `e sufficiente contare quanti spigoli hanno quel vertice come estremo (tale informazione `e racchiusa nella funzione Φ), con l’avvertenza di contare due volte gli spigoli che ritornano su s´e stessi. Quel che viene richiesto `e che tale valenza sia un numero finito, diverso da zero e due. Escludiamo quindi la possibilit`a di avere vertici isolati, e di avere vertici la cui struttura locale sia uguale a quella di uno spigolo.

Infine la ‘lunghezza’. In analogia con quanto succede con le variet`a tro-picali chiediamo che sia un numero reale positivo. Tale lunghezza `e possi-bilmente infinita, ma tale eventualit`a `e riservata a tutti e soli gli spigoli che sono foglie, dove con questo termine indichiamo quegli spigoli in cui (almeno) un vertice ha valenza uno, e costituiscono quindi la parte ‘esterna’ del grafo. Definizione 4.2 (grafo colorato). Chiamo grafo colorato una quaterna (V, S, Φ, Ψ) dove V ed S sono insiemi non vuoti, Φ : S → P2(V ) e Ψ : S →

R+ (dove indichiamo P2(V ) = {A ⊆ V | 1 ≤ |A| ≤ 2} e R +

= R+∪ {∞})

sono tali che, definendo per ogni v ∈ V : Sv = {s ∈ S | v ∈ Φ(s)}

Figura

Figura 2: Intersezione tra una retta e una conica
Figura 1.1: Esempi di amœbe
Figura 1.2: Spine di amœbe
Figura 1.3: Proiezione di cubiche in campo non archimedeo
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