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L’esperienza ultratrentennale del regime di contingentamento del settore lattiero-caseario fra normativa nazionale,europea ed extraeuropea

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Universit

Facoltà di Giurisprudenza

“L’esperienza ultratrentennale del regime di contingentamento del settore lattiero-caseario fra normativa

Candidato Relatrice Panada Gabriele

Anno accademico 2015/2016

Università degli studi di Pisa

Facoltà di Giurisprudenza

Tesi di laurea

“L’esperienza ultratrentennale del regime di contingentamento caseario fra normativa nazionale,europea ed

extraeuropea”

Candidato Relatrice Panada Gabriele Profe.ssa

Prof. Marco Goldoni

Anno accademico 2015/2016

“L’esperienza ultratrentennale del regime di contingentamento nazionale,europea ed

Candidato Relatrice Profe.ssa Eleonora Sirsi Correlatore

(2)

Ringraziamenti:

Un sentito grazie a tutti

coloro che mi hanno sostenuto e

sopportato in questo lungo lungo lungo

(3)

INDICE - SOMMARIO

Introduzione

pag.7

CAPITOLO I

L’OMC del latte. Il cammino verso l’adozione di un

sistema di quote.

Introduzione pag.15

1.L’istituzione del sistema delle quote latte pag.18

2.La situazione italiana:la legge Alemanno pag.21

2.1.Il secondo intervento: la legge Zaia pag.24

3.Le vicende giudiziarie pag.25

3.1.Il filone piemontese pag.27

3.2.Il filone lombardo pag.28

3.3.La responsabilità erariale e il calcolo dei danni operato dalla

Corte dei Conti pag.29

CAPITOLO II

Profili privatistici del sistema di contingentamento del

settore lattiero-caseario.

(4)

Introduzione pag.34

1.La natura giuridica delle quote latte pag.35

1.1.La tesi pubblicistica pag.36

1.2. La tesi privatistica pag.37

1.3.La posizione della pag.40

giurisprudenza comunitaria pag.41

2.La disponibilità del bene quota latte: i passaggi fondamentali pag.43

2.1.La cessione a titolo provvisorio :l’affitto pag.44

2.2.La cessione a titolo definitivo: la vendita pag.45

2.3.La decadenza della quota pag.46

2.4. Gli obblighi di natura contabile del regime delle quote latte pag.48

3.La giurisprudenza della CGUE pag.50

3.1.Principio di non discriminazione e quote latte pag.51

3.2.Prinicipio di proporzionalità e quote latte pag.53

3.3.Principio di legittimo affidamento e quote latte pag.54

3.4.Bilanciamento fra diritto di proprietà e strumenti di pag.58

regolamentazione del mercato

(5)

Profili Pubblicistici del sistema lattiero nell’ordinamento

italiano.

Introduzione pag.61

1.Dall’AIMA all’AGEA pag.62

L’AGEA :composizione e funzioni pag.63

1.2. Ripartizione di competenze fra Regioni e AGEA pag.65

1.3.Le procedure attraverso il SIAN pag.71

1.4. I controlli pag.72

2.Il prelievo supplementare pag.78

2.1 La riscossione pag.81

CAPITOLO IV

Comparazione fra modelli di gestione del settore

lattiero-caseario.

Introduzione pag.85

1. La Svizzera pag.86

1.1 L’esperienza svizzera: i rapporti fra Europa e Svizzera pag.87

1.2.Il sistema di contingentamento pag.89

(6)

1.4. I controlli pag.93

2. Il modello canadese pag.95

2.1.La ripartizione di competenze fra Stato federale e province pag.97

2.2. Il sistema del contingentamento lattiero fra legislazione federale e

provinciale pag.98

2.3. Esempio di legislazione provinciale: la British Columbia e

l’Ontario pag.101

3. La Nuova Zelanda : un approccio diverso pag.106

Conclusione

pag.108

Bibliografia pag.111

Giurisprudenza e normativa pag.113

(7)

Introduzione

Il regime giuridico delle quote latte ha smesso definitivamente di essere in vigore il 31 marzo del 2015. Le quote latte hanno avuto ,fin dalla loro istituzione nel 1984 e per tutti i trentun anni della loro vigenza,un’esistenza travagliata, fatta di errori e problemi spesso difficilmente risolvibili ,di manipolazioni politiche e mancanza di trasparenza da parte di coloro che le quote avrebbero dovuto applicare. Ora con la fine del sistema, che era nato sotto l’egida di nobili intenzioni , sarà necessario instaurare regole ferme e chiare affinché non si ricaschi nei soliti errori che hanno alla fine portato all’adozione del sistema delle quote latte.

Il settore lattiero caseario è e rimane un campo strategico per l’agroalimentare italiano, un settore che ha subito una crisi dovuta sia al drastico calo del consumo del latte e dei prodotti caseari,vuoi per intolleranze,diete o semplici mode (negli ultimi 5 anni si è passati da un consumo di 52 chili di latte fresco pro capite a 46, con una riduzione del 12 per cento) sia a causa dell’invasione di latte proveniente da paesi esteri. I costi di produzione in Italia sono più alti e non solo perché in alcuni Paesi la manodopera è sottopagata; la questione è anche che la nostra legislazione prevede norme precise nell’alimentazione degli animali e nella garanzia di qualità. Insomma il nostro latte, assicurano quelli che lo fanno, è più sano ma costa un po’ di più. Il risultato però è che molte grandi aziende tagliano gli ordini perché preferiscono acquistare il latte all’estero, spesso e volentieri a discapito della qualità.

(8)

A ben vedere tutto in maniera decisiva ha inciso il fatto che circa il 40% del latte italiano venga destinato a prodotti DOP (il 33% solo a Grana Padano e Parmigiano Reggiano), una situazione che non ha eguali in Europa (la quota DOP della Francia non raggiunge il 20% del latte prodotto) e la quale consente una migliore valorizzazione del latte, anche se in modo inevitabile, la maggior qualità richiesta comporta ,come detto, costi di produzione decisamente più elevati . Siffatta situazione ha fatto sorgere problematiche di non poco conto soprattutto per quanto riguarda la concorrenza della produzione proveniente dall’estero: nel momento in cui il latte per le produzioni DOP può essere reperito solo localmente, il settore dovrebbe essere relativamente più protetto. Se questo fenomeno è sicuramente alla base delle oscillazioni più contenute che si registrerebbero in Italia per effetto della rimozione delle quote, è altrettanto vero che non è corretto prefigurare una sorta di “beato isolamento” del settore lattiero italiano.

La libertà di circolazione delle merci, grazie ai Trattati europei che hanno permesso una crescente integrazione dei mercati, soprattutto per quel che riguarda le importazioni di latte liquido (circa il 12% del latte trasformato in Italia proviene dall’estero) e delle importazioni di trasformati (il saldo commerciale negativo della bilancia lattiero-casearia espresso in latte equivalente è pari a circa il 50% della produzione nazionale) non può non avere effetti rilevanti sulla dinamica dei prezzi alla stalla. Semmai, il problema principale del nostro paese è quello di cercare di mettere in atto formule adeguate di protezione per rafforzare il potenziale vantaggio competitivo derivante dalla trasformazione in prodotti di qualità.

(9)

In molti paesi UE eccedentari, che per anni hanno prodotto burro e LSP da destinare all’intervento comunitario, il riorientamento al mercato del mix produttivo che dovrebbe realizzarsi con la rimozione delle quote (drastica riduzione dei prodotti destinati all’intervento e crescita della produzione di formaggi e derivati freschi, in linea con la crescita della domanda) porterà enormi problemi di ristrutturazione e riconversione della filiera dl latte, in particolare sul versante della trasformazione. Da questo punto di vista, l’Italia si trova in una posizione di assodato vantaggio, grazie proprio alla netta predominanza della trasformazione in prodotti di qualità. Nonostante tutto ciò, è noto come le filiere dei nostri formaggi DOP, e in particolare quelle dei due formaggi grana, soffrano di problemi non di poco conto sul versante struttura ed dell’organizzazione, che sono alla base delle forti oscillazioni dei prezzi all’ingrosso di questi prodotti, che si riflettono poi sul prezzo del latte pagato agli allevatori.

Pare quindi in modo inequivocabile e dunque assolutamente necessario avviare una riflessione sulle possibili strategie per migliorare l’efficienza di queste filiere, eventualmente mettendo in discussione l’attuale funzionamento delle strutture che le governano, in primis i Consorzi di Tutela.

Senza dimenticare che il vero banco di prova per il successo dei nostri prodotti DOP sarà sempre di più il mercato internazionale, perché è ovviamente impensabile che si possa avere un’esplosione dei consumi nel nostro paese, dove ad esempio i formaggi grana sono consumati praticamente da tutte le famiglie. E’ quindi soprattutto sul versante delle strategie di marketing internazionale che è necessario impostare un progetto di rafforzamento dei nostri principali formaggi DOP.

(10)

Con l’abolizione del sistema delle quote latte si è tornati ad una logica di puro liberismo economico ; in poco meno di un anno la produzione di latte è aumentata di 783mila tonnellate con un inevitabile crollo dei prezzi che ha gettato ancor più nella disperazione gli allevatori italiani. Infatti le polemiche non si sono fatte attendere: l’arrivo sul mercato del latte dei prodotti di paesi, situati soprattutto nella zona Nordorientale , ha causato quella tanto temuta saturazione del mercato italiano che ha fatto crollare a picco il prezzo del latte.

L’esasperazione degli allevatori,non solo italiani, ha raggiunto l’apice con una poderosa protesta ,con tanto di trattori, a Bruxelles di fronte a palazzo Justus Lipsius, dove si erano incontrati i ministri dell’Agricoltura di 28 paesi, per chiedere aiuti e interventi, tanto che la Commissione ha deciso di adottare un pacchetto da 500 milioni di euro che stando alle parole del vicepresidente del Consiglio straordinario dei ministri dell’Agricoltura ,Jyrki Katainen servirà ad "affrontare le difficoltà di liquidità degli agricoltori, stabilizzare i mercati e gestire il funzionamento della catena di distribuzione".

Ciononostante la situazione la situazione non è migliorata: in seguito alla protesta di Bruxelles ,si è registrata la mobilitazione degli agricoltori e degli allevatori alle frontiere del Brennero contro il finto made in Italy ,sostenuta da Coldiretti. La mobilitazione ha riguardato l’arrivo di diversi prodotti: tra succo di frutta, carne di maiale, cereali, latte che vengono spesso venduti come italiani o usati nella produzione di prodotti marchiati come italiani, ma non segnalati sull’etichettatura poiché è prevista solo l’indicazione del luogo del confezionamento.

(11)

Come se non la situazione non fosse sufficientemente drammatica,le grosse imprese,tra le quali la Lactalis, si sono rifiutate di rinnovare i contratti d’acquisto con gli allevatori puntando al ribasso.

La questione ha visto intervenire in prima linea il ministro all’Agricoltura Martina e le associazioni di categoria le quali hanno affermato come la situazione del comparto latte sia divenuta drammatica, le quotazioni all’origine siano in caduta libera da mesi e gli accordi sulla revisione del prezzo non si chiudano.

Nell’ultimo anno si è verificata una vera strage delle stalle e l’Italia rischia di perdere irrimediabilmente la propria produzione di latte che agli allevatori viene sottopagata, su valori che non consentono neanche di compensare i costi di produzione. Molte stalle sono costrette alla chiusura, con effetti irreversibili sull’occupazione, sull’economia, sull’ambiente e sulla qualità dei prodotti.

All’anniversario della fine delle quote la situazione non è cambiata ed emblematico è ciò che è accaduto nell’aprile 2016: dopo l’ennesimo rifiuto di rinnovo a condizioni migliori ,gli allevatori delle valli genovesi hanno versato il loro latte nel letame,provocando un eco enorme fra i consumatori di tutta Italia,i quali hanno minacciato il boicottaggio verso il colosso Parmalat-Lactalis se non verrà fatta chiarezza sull’origine del latte usato per i loro prodotti.

La produzione nazionale si attesta intorno ai 110milioni di quintali,dei quali il 40% viene prodotto in Lombardia venduto a un prezzo medio di 33,7 cent/litro, il più basso in Italia,ma non inferiore al prezzo medio europeo che si attesta sui 29,5 cent/litro ,un ottimo incentivo all’acquisto ma che non può far altro che gettare ancor più ombre sulla “genuinità”dei prodotti marchiati come italiani.

(12)

Al fine di risollevare il mercato del latte, il ministro delle Politiche agricole,Maurizio Martina,ha posto in azione un piano che vale 120 milioni ripartiti in un triennio(2015-2017).

Nello specifico ,il piano di 120 milioni del ministro Martina,prevede 32 milioni per l’aumento della compensazione IVA al 10%per il latte venduto alla stalla,mentre è stato attivato il Fondo latte per ripianare i debiti e potenziare la moratoria dei mutui bancari ottenuta precedentemente grazie ad un accordo con l’Associazione Bancaria Italiana. Inoltre sono stati impiegati altri 25 milioni per il sostegno diretto agli allevatori( integrazione del prezzo alla stalla)e 10milioni sono stati investiti per l’acquisto di latte crudo da trasformare in Uht [1] e destinare ai bisognosi.

Tuttavia uno dei provvedimenti più importanti a sostegno del latte italiano è stato approvato a fine maggio del 2016 : il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali ha reso noto che lo schema di decreto che introduce l'indicazione obbligatoria dell'origine per i prodotti lattiero caseari in Italia è stato inviato per la prima verifica a Bruxelles, avviando così l'iter autorizzativo previsto a livello europeo. In questo modo si tende a rafforzare la tutela dei consumatori i quali potranno così conoscere l’origine del latte comprato e dei suoi derivati;infatti come ha rivelato un'indagine demoscopica commissionata da Ismea (istituto di servizi per il mercato agricolo italiano) emerge che il 67% dei consumatori italiani intervistati si dichiara disposto a pagare dal 5 al 20% in più per un prodotto lattiero caseario che abbia chiara in etichetta la sua origine italiana e a

(1) Ultra High Temperature:un sistema di sterilizzazione che prevede il riscaldamento del fluido a 135 °C per non meno di un secondo con vapore acqueo diretto oppure tramite scambiatori di calore. In questo modo il latte può conservarsi a lungo ,anche fino a sei mesi,a temperatura ambiente

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questo si aggiunge il 95% degli intervistati che ha sostenuto l’importanza di conoscere l’origine delle materie prime per questioni legate al rispetto degli standard di sicurezza alimentare, in particolare per latte fresco e i prodotti lattiero-caseari.

Il decreto in particolare prevede che il latte o i suoi derivati dovranno avere obbligatoriamente indicata l'origine della materia prima in etichetta con le seguenti diciture:

a) "Paese di mungitura: nome del paese nel quale è stato munto il latte"; b) "Paese di confezionamento: nome del paese in cui il prodotto è stato confezionato"

c) "Paese di trasformazione: nome del paese nel quale è stato trasformato il latte”;

Qualora il latte o il latte utilizzato come ingrediente nei prodotti lattiero-caseari, sia stato munto, confezionato e trasformato, nello stesso paese, l'indicazione di origine può essere assolta con l'utilizzo di una sola dicitura: ad esempio "ORIGINE DEL LATTE: ITALIA". In ogni caso sarà obbligatorio indicare espressamente il paese di mungitura del latte. Se le fasi di confezionamento e trasformazione avvengono nel territorio di più paesi, diversi dall'Italia, possono essere utilizzate, a seconda della provenienza, le seguenti diciture:

origine del latte: Paesi UE

origine del latte: Paesi NON UE

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Sono esclusi solo i prodotti DOP e IGP che hanno già disciplinari relativi anche all'origine e il latte fresco già tracciato [2]. Si spera che con questa previsione si possa dare una garanzia e tutela migliore sia al

consumatore,che almeno sa quello che compra,ma soprattutto agli allevatori italiani.

Capitolo Uno

L’OMC del latte. Il cammino verso l’adozione di

un sistema di quote.

Sommario – Introduzione – 1.L’istituzione del sistema delle quote latte. – 2.La situazione italiana:la legge Alemanno – 2.1.Il secondo intervento: la legge Zaia – 3.Le vicende giudiziarie. – 3.1.Il filone piemontese. –

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3.2.Il filone lombardo. – 3.3. La responsabilità erariale e il calcolo dei danni operato dalla Corte dei Conti.

Introduzione.

Nel 1957 prese il via un progetto molto ambizioso: dare vita ad un mercato comune. I Paesi europei si impegnarono, infatti, con il Trattato di Roma a rimuovere le barriere interne alla libera circolazione dei beni, servizi, capitali e persone (le "quattro libertà fondamentali") per dar vita alla progressiva integrazione delle economie europee. Per ovviare agli obbiettivi di avvicinamento delle politiche economiche degli Stati membri ,così come contemplato dall’art.3 del Trattato di Roma, venne instaurato un percorso graduale chiamato periodo transitorio articolato in tre tappe, di quattro anni ciascuna, che puntava a realizzare l'unione doganale (quindi, abolizione dei dazi doganali all’interno del mercato comune e determinazione di una tariffa esterna comune), la libera circolazione delle merci (eliminando ogni misura restrittiva) e la libera circolazione delle persone, dei servizi e, in una certa misura, dei capitali. All’interno del piano generale di unificazioni delle politiche economiche comunitarie, ha visto prevalere per importanza , dato il ruolo ritenuto centrale per uno sviluppo equo e stabile della Comunità, della Politica Agricola Comune o meglio nota come PAC. [3]. La promozione di una politica strutturale nel

settore agricolo appare quanto mai necessaria dato che la sostituzione a quelle nazionali di una politica agricola comune e l’operare direttamente sulle strutture produttive assicurano una libera circolazione dei prodotti agricoli più di quanto possano fare l’eliminazione delle barriere doganali e

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degli altri ostacoli agli scambi o l’instaurazione di regole comuni in materia di concorrenza , strumenti che sembrano più azzeccati per gli altri settori del mercato comune, perché nel settore agricolo le differenze intracomunitarie dei prezzi sono riconducibili non tanto all’esistenza di dazi doganali quanto alle politiche nazionali di protezione e sostegno della produzione che ciascuno Stato adotta in considerazione della rigidità della domanda dei prodotti essenziali e della irregolarità e stagionalità dell’offerta. Nel caso specifico del settore lattiero-caseario, nell’ottica del raggiungimento degl’obbiettivi della PAC, fu istituito nel 1968 un’apposita OCM (Organizzazione comune del mercato) [4] con il compito di

coordinare i diversi meccanismi di controllo dell’offerta del latte. Il settore agricolo era considerato ,dato il suo dipendere da fattori come il clima e i vincoli geografici, soggetto a squilibri tra la domanda e l’offerta e conseguentemente,vulnerabile a oscillamenti di prezzi e redditi. A tal riguardo, il 27 giugno del 1968, venne adottato il Reg. 804/68 ,che costituisce la normativa base per la regolarizzazione del mercato. Il regolamento infatti attraverso l’adozione di strumenti di protezione alle frontiere e di sostegno all’esportazione su scala mondiale, regola la commercializzazione di un certo numero di prodotti caseari tra i quali il latte fresco e quello conservato, fino a comprendere burro ,formaggi,latticini, lattosio, sciroppo di lattosio e pure mangimi a base di latte per animali. Tuttavia a partire dalla metà degli anni ’70, questo primo tentativo di controllo mostrò i suoi limiti : una normativa più favorevole e l’impiego di tecnologie sempre più sofisticate,portò alla nascita di un elevato numero di imprese, le quali, riversandosi tutte sul mercato,lo

(4). Le OCM sono state progettate per gestire la produzione e il commercio della maggior parte del settore agricolo dell'UE. Il loro scopo era quello di garantire un reddito costante agli agricoltori e un approvvigionamento continuo ai consumatori europei.

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saturavano a tal punto ,da generare l’inevitabile conseguenza della mancata vendita dei prodotti ,data l’impossibilità di assorbimento da parte di una domanda molto più bassa dell’offerta. Anche il successivo intervento normativo , con l’applicazione del Reg.1078/77,non migliorò la situazione . Il nuovo sistema prevedeva per un periodo di cinque anni premi, per la riconversione delle mandrie, la non commercializzazione dei prodotti e la rinuncia a cedere o affittare la propria azienda a terzi; per scoraggiare tali pratiche fu introdotto il pagamento di un “prelievo di corresponsabilità “ per ogni litro di latte prodotto e consegnato all’imprenditore dedito alla trasformazione o al trattamento dello stesso il prelievo avveniva anche nel caso in cui fosse direttamente il produttore a compiere suddette attività;tuttavia gli allevatori non diminuirono affatto la produzione anzi la aumentarono in modo che il prelievo non intaccasse i guadagni.

Negli anni ’80 il mercato lattiero- caseario incontrò una crisi profonda; la sovrapproduzione diviene sistematica e sistemica[5] , si puntò il dito

principalmente verso la politica eccessivamente permissiva e per niente realista della Comunità europea la quale , anche sotto la pressione della maggior parte degli economisti ,incominciò a prospettare l’adozione di un sistema di contingentamento della produzione del latte. Nel ’82, con il reg.1183 CEE, si tentò la strada dell’imposizione di una soglia di garanzia, superata la quale la Comunità Europea sarebbe intervenuta con una riduzione graduale dei prezzi ma, anche tale sistema risultò fallace,dato che la produzione di quel periodo superò di gran lunga la suddetta soglia.

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1.. L’istituzione del regime delle quote-latte.

Venne alla fine approvato, dopo un acceso dibattito sfociato come spesso accade in compromesso politico,un accordo per l’introduzione di un sistema di quotizzazione .

Da questo accordo nacque il Reg.856/84 che istituiva un meccanismo di controllo della produzione basato sul pagamento di un “prelievo supplementare” , calcolato non sulle quantità prodotte, ma su quelle oltre una soglia prefissata (quota o quantitativo di riferimento).

Con questo meccanismo pertanto gli acquirenti all’ingrosso fungono da sostituti d’imposta ,monitorano le consegne di latte dei produttori, e se questi superano le quote assegnategli, trattengono dal prezzo d’acquisto l’importo stabilito dalle norme europee. Il sistema delle quote ha un forte carattere dissuasivo, che trova il suo perno centrale nella ritenuta fiscale dovuta dal produttore al superamento della soglia prefissata. La ritenuta viene intesa quale strumento necessario per l’attuazione del contingentamento della produzione, con il rischio però di essere ridotta a mera sanzione. Con il Regol. 856/1984 fu fissato un sistema congeniato in modo che ad ogni Stato membro venisse attribuito periodicamente un quantitativo globale garantito o quota complessiva (QGG) ripartita in ragione dei quantitativi realizzati sui propri territori in un periodo ,detto poi di riferimento, compreso tra il 1981 e il 1983[6]. Si è avuta, in pratica con

l'anno di riferimento , una sorta di "fotografia" della produzione lattiera della Comunità, con cui si è proceduto alla ricognizione della situazione di

(6)Il regime di prelievo inizialmente fu previsto per un periodo solo di cinque anni ma fu soggetto a diverse proroghe la prima nell’88 che allungò per tre anni.

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ogni allevatore sì da dichiararne il diritto a vendere senza penale quello stesso quantitativo di latte che in quell'anno produceva.

Uno dei punti focali del Reg. 856/84 riguardava la scelta lasciata agli Stati membri di optare fra due modelli di imputazione del prelievo :

o la formula A, che prevedeva che la quota fosse considerata come attribuita al singolo produttore, sicché il prelievo fosse dovuto da ogni produttore per i quantitativi di latte consegnati all'acquirente, quando nel periodo compreso fra il 1 aprile e il 31 marzo avessero superato il quantitativo di riferimento;

o la formula B che prevedeva, invece, che la quota fosse attribuita all’acquirente o latteria, sicché il prelievo fosse dovuto non già dal produttore, bensì da ogni acquirente per i quantitativi di latte consegnatigli e che nel periodo di 12 mesi avessero superato il quantitativo di riferimento, ovviamente con facoltà di rivalersi sui produttori che avevano sforato.

La scelta di un sistema rispetto all’altro non era una cosa da poco perché la formula B dava luogo ad una rilevantissima conseguenza e cioè quella per la quale era possibile che si verificasse, all'interno della latteria acquirente, una "compensazione naturale" o perequazione tra l'allevatore che aveva venduto più della sua quota e l'allevatore che aveva venduto meno della sua quota (art.8).Tale eventualità era esclusa per l’ipotesi A per la quale il prelievo doveva essere pagato da ogni allevatore che avesse sforato la propria quota; in tale secondo caso la compensazione sarebbe avvenuta solo in sede nazionale, cioè quando si sarebbe proceduto a "contare", da un lato, tutto il latte prodotto e, dall'altro, l'ammontare della quota nazionale o

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quantitativo globale garantito (QGG), procedendo ad una sorta di ridistribuzione dei quantitativi di riferimento individuali (QRI) inutilizzati. Tuttavia dopo non molto tempo,la Comunità ha prediletto un sistema di tipo misto basato principalmente sulla figura dell’acquirente che ha il compito di effettuare il pagamento del prelievo e versare l'importo dovuto ,che ha trattenuto sul prezzo del latte pagato ai produttori , all'organismo competente dello Stato come disposto dall’art. 2 par.2 del Reg. CEE 3950/92[7].

Da ciò si deduce il fine prefissatosi dalle istituzione europee : la quota ha un legame strettissimo con il prelievo supplementare poiché esso non è altro che una conseguenza della mancato rispetto della prima ;facendo gravare direttamente sugli operatori economici i costi di gestione del mercato eccedentario li si dissuade a produrre , e conseguentemente vendere,al di fuori dei limiti imposti .Quindi affinché il sistema funzioni è necessario che il rischio del prelievo gravi personalmente sul produttore in base ad una sua produzione individualmente realizzata il quale, quindi, risulterà scoraggiato nel superamento della quota poiché difficilmente riuscirà a vendere all’acquirente il suo prodotto e rientrare del pagamento del prelievo dovuto che in caso di vendita spetta all’acquirente .

(7)L’art.2 poi continua ” Se un acquirente si sostituisce in tutto o in parte a uno o più acquirenti, i quantitativi di riferimento individuali a disposizione dei produttori sono presi in considerazione per il completamento del periodo di dodici mesi in corso, esclusi i quantitativi già consegnati e tenuto conto del loro tenore di grassi. Le stesse disposizioni si applicano in caso di passaggio di un produttore da un acquirente ad un altro. Qualora i quantitativi consegnati da un produttore superino il quantitativo di riferimento a sua disposizione, l'acquirente è autorizzato a trattenere a titolo di anticipo sul prelievo dovuto, secondo modalità determinate dallo Stato membro, un importo del prezzo del latte su ogni consegna di tale produttore che supera il quantitativo di riferimento a sua disposizione “

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2.La situazione italiana. La legge”Alemanno”.

Fin dalla sua nascita, il sistema delle quote però fu oggetto di feroce critica, specialmente riguardo il metodo d’assegnazione dei tetti delle quote. Paesi come Olanda, Germania e Irlanda poterono beneficiare di quote di molto superiore al proprio fabbisogno, mentre ad altri paesi,tra cui l’Italia, vennero assegnate quote molto più basse. Nel caso specifico italiano la quota era pari circa alla metà del consumo interno.

Per l’Italia fu preso quale anno di riferimento il 1983. In quell’anno la vendita di latte venne stimata a 8.823 milioni di tonnellate. Il dato, tuttavia, fu duramente contestato dalle associazioni di categoria, quali Coldiretti e Confagricoltura, che accusarono l’allora ministro dell’Agricoltura, Filippo Maria Pandolfi, negoziatore a Bruxelles per l’Italia ,di aver sottostimato di molto la produzione italiana. L’allora Governo Craxi scaricò la colpa dell’errore riguardo l’ ammontare delle cifre, sull’Istat reo di aver fornito dati non congrui, e nello stesso tempo tentando poi di rasserenare gli animi promise che l’Italia non sarebbe mai incappata in multe e tanto meno i produttori italiani ne avrebbero patito le conseguenze.

Già nel 1987 l’Italia fu condannata dalla Corte di Giustizia con la sentenza del 17 gennaio per la mancata applicazione dei regolamenti comunitari in materia di quote latte[8] e la Commissione liquidò il debito italiano circa il

prelievo supplementare per una cifra di oltre 77,5 miliardi di lire da scontare sui fondi (c.d. rettifica finanziaria) erogati direttamente dall’Europa per il settore agricolo. L’Avvocatura dello Stato sconsigliò una qualsivoglia opposizione dato che la Corte si era già espressa al riguardo in

(8) Per un esauriente argomentazione sulle motivazioni del comportamento passivo del Governo Italiano “Relazione Finale della Commissione Governativa di indagine sulle quote latte” (1997).

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una vicenda analoga e aveva giudicato legittima un’analoga operazione disposta dalla Commissione.

Nel frattempo il governo italiano era riuscito ad ottenere un sistema privilegiato consistente nella gestione centralizzata delle quote attraverso un “bacino unico[9]” nei primi due anni di gestione grazie alla quale si

programmarono forme di incentivo all’abbandono della produzione lattiera e successivamente ,sempre sulla spinta del governo italiano,fu modificato il Reg.857/84 che permise di considerare come “produttori” anche associazioni di categoria le quali così ottenevano la facoltà di gestire le quote per gli iscritti (nel caso italiano l’UNALAT [10]).Nonostante tutto il

regime di contingentamento non fu applicato fino al 1991 quando l‘articolo unico della legge 201/91stabilì che le disposizioni comunitarie sul prelievo sarebbero state applicate a partire dal periodo 1991/1992[11] mentre

l’AIMA si sarebbe sobbarcata i saldi contabili pregressi.

Questa operazione scatenò le dure proteste delle istituzioni comunitarie,le quali lamentavano la violazione sistematica dell’ex art.87 TCE(attuale art.107 TFUE), poiché tale comportamento era assimilabile ad un aiuto di stato e per tanto vietato. Nel 1996 ,dato che i tetti di produzione continuavano ad essere sforati e il malcontento dei produttori divenne sempre più marcato, vennero istituite due apposite commissioni

(9 ) In pratica si autorizzava il governo centrale a gestire direttamente le quote senza che venissero distribuite fra i produttori.

(10)L’UNALAT era titolare al momento della prima assegnazione detta del “produttore unico” (1987-1991) di quasi la totalità delle quote (93,26) da ripartirsi fra i propri consociati.

(11) Da notare che il periodo lattiero non corrisponde all’anno solare ma parte dal 1 aprile fino al 31 marzo dell’anno seguente.

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parlamentari ,con il compito di formalizzare linee guida per una normativa più chiara e precisa e individuare quali comportamenti potessero essere definiti fraudolenti e quali no.

Nel 2000,l’Italia beneficiò di un innalzamento della propria quota che andò quasi a pareggiare la reale produzione interna di latte. Tuttavia i dati si mostravano impietosi: malgrado le aziende agricole fossero calate da 150 mila a 66 mila unità l’ammontare delle multe toccò il miliardo di euro nel 2003. Dato il persistente stato di morosità degli allevatori, il governo italiano procedette all’approvazione della legge 30 maggio 2003 n. 119(c.d. ”Legge Alemanno”) che dispose una forma di rateizzazione quinquennale dei crediti previdenziali agricoli cartolarizzati, ad un tasso al 2,5% ,depurati dalle multe e dagli interessi di mora. I processi al riguardo,pendenti di fronte alle autorità amministrative,furono estinti d’ufficio. Ne beneficiarono oltre 11.000 allevatori. Le disposizioni sono state accolte dall’Europa ,in sede Ecofin (il Consiglio dei ministri dell’economia e delle finanze dell’unione europea), grazie all’astensione di Irlanda e Danimarca, poi concretizzatosi con la decisione 2003/530/CE. Con tale atto il Consiglio, prendendo atto che l’immediato recupero globale degli importi dovuti avrebbe causato ai singoli produttori “insostenibili problemi finanziari causati dall’immediato recupero globale degli importi dovuti [12]” ,valutando positivamente il nuovo quadro normativo disposto

con la legge n. 119 ritenuto idoneo alla corretta applicazione del regime delle quote latte, ha riconosciuto l’esistenza di circostanze eccezionali ed ha approvato l'aiuto che l’Italia concedere ai produttori di latte, così

(12)Il punto 8 della Decisione continua :” quindi allentare le tensioni sociali esistenti” ;il Consiglio si dimostra ben consapevole del forte dissenso che il prelievo ha prodotto nel sistema agricolo italiano che proprio in quel periodo aveva raggiunto gravi forme di protesta.

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derogando all’articolo 87 del trattato. Tuttavia il Consiglio ha imposto che il periodo di rimborso non superi 14 anni, che il versamento del dovuto avvenga con rate annuali di pari importo, e che il primo versamento sia effettuato entro il 2004.

2.1.Il secondo intervento di rateizzazione: “La legge Zaia “

Nonostante la rateizzazione gli splafonamenti non si arrestarono : anche se ormai gli sforamenti si erano drasticamente ridotti, il governo italiano, tramite il ministro per le Politiche Agricole, Luca Zaia, dovette far di nuovo fronte alle proteste dell’Unione Europea, stanca dell’anomalia italiana. L’Europa però concesse , dietro promessa di un’azione risolutiva da parte dell’allora governo, quote aggiuntive di latte. Tale accordo venne preso sempre in sede di Ecofin.Le richieste italiane,invero,si ero spinte oltre a quelle poi concesse: ci fu infatti un’espressa richiesta del nostro governo di abolire anticipatamente le quote a partire dal 2009,quindi almeno un quinquennio prima rispetto alle previsioni europee,ma ovviamente Bruxelles non accettò.

La legge 33 del 2009(c.d.”legge Zaia”), introdusse il secondo condono “tombale”, privando del potere di riscossione delle multe le autorità tributarie. Per far ciò si” riesumò” addirittura ,per il recupero delle somme dovute,le procedure previste da un regio decreto del 1910[13]. Nonostante

tutto ciò, la questione multe quote latte ancora una volta non venne risolta: a causa di interessi politici e della poca trasparenza della legge nell’individuare le responsabilità tributarie e penali, si finì solo per causare

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la fine economica di molti onesti allevatori e l’impunità di chi invece non aveva mai pagato.

3.Le vicende giudiziarie.

La vicenda dei Cobas del latte (Co.S.P.Lat Comitato Spontaneo Produttori Latte),organizzazione nata per difendere gli interessi degli allevatori italiani contro i provvedimenti imposti dal governo italiano e dall’UE,in primis per la gestione delle multe per gli splafonamenti delle quote latte,è emblematica della ingarbugliata situazione del nostro Paese e della gestione del problema che i governi che si sono succeduti in quegli anni non hanno potuto, o meglio voluto,trovare soluzione .

Nel 1995,le autorità della Finlandia, appena entrata a far parte della CEE,sollevarono di fronte alla Corte di Giustizia Europea la questione che il pagamento delle multe agli allevatori italiani da parte dell’Italia come paese potesse configurarsi come un aiuto di stato, per tanto lesivo degli interessi degli altri paesi membri.

La Corte di Lussemburgo si espresse in tal senso e condannò l’Italia obbligando al pagamento delle multe gli allevatori a partire dal biennio 1995-1996. L’allora Presidente del Consiglio , Romano Prodi si mosse nel senso di dare attuazione alle sentenza ma ciò provocò una forte senso di inquietudine e agitazione nel mondo agricolo italiano , perché per molti allevatori l'entità delle multe erano di una tale portata che per farvi fronte avrebbero dovuto vendere il bestiame e i mezzi di produzione. Iniziarono così a nascere ,sparsi per tutta Italia, dei comitati spontanei di produttori di latte, spesso anche in aperto contrasto coi sindacati nazionali degli

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agricoltori (Coldiretti, Confagricoltura, CIA) di cui denunciavano l'appiattimento sulle posizioni del governo.

I comitati spontanei si coordinarono su base provinciale, regionale e nazionale. Tra i leader più noti comparvero più volte sui mezzi di

comunicazione nazionali il padovano Ruggero Marchioron,

il vicentino Mauro Giaretta e il laziale conte Guido Carandini. Portavoce

nazionale era l'ex senatore della Lega Nord Giovanni Robusti.

In Emilia a sostenere il movimento dei Cobas fu l'allora

consigliere leghista e poi successivamente deputato Fabio Rainieri. In

questo contesto si inserisce tutta l’attività dei Cobas del latte. Si susseguirono ,a cavallo della fine degli anni 90 e l’inizio degli anni duemila, proteste pittoresche e plateali ( emblema del movimento di protesta era diventata la mucca Ercolina ) che alla fine diedero i loro frutti quando venne approvata la legge 119, che garantiva un parziale condono delle multe pregresse.

Ci fu chi però ritenne che l’attività di queste associazioni non fosse così trasparente.

3.1. Il filone piemontese

Nel 2007 a Salluzzo , in Piemonte ,venne infatti aperto il primo processo nei confronti di alcuni Cobas del latte. La magistratura contestò il reato di associazione a delinquere in merito al meccanismo truffaldino delle c.d. “quote di carta”.

Si scoprì che alcune cooperative(in primo piano le coop Savoia e Fgr) di

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eccesso, con la conseguenza che i caseifici non erano più i “primi acquirenti” su cui incombeva l’onere del prelievo extra-quota (da versare all’Agea, e quindi all’Ue). Con un complesso sistema di cessione incrociata di crediti fra cooperative e finanziaria, poi, si faceva in modo che il pagamento del prelievo risultasse solo sulla carta, lasciando in realtà

nelle tasche degli allevatori il prezzo pieno della vendita di tutto il latte[14].

Alla fine la truffa del filone piemontese è costato circa 250 milioni. Molte sono state le associazioni di coltivatori,in primis Coldiretti, e di consumatori che si sono costituite parte civile ma all’appello ,di coloro che avrebbero avuto diritto ad un risarcimento , mancava il soggetto forse più importante , la Regione Piemonte, la quale , probabilmente per motivazioni solo di tipo politico, inspiegabilmente non si costituì generando un mare di polemiche.

3.2.Il filone lombardo

Un altro filone giudiziario venne aperto in Lombardia ,dove la magistratura, da un processo per bancarotta di due cooperative che lamentavano un disavanzo complessivo di oltre 100milioni di euro, è arrivata a ipotizzare un giro di corruzione , perpetrato tramite versamenti di tangenti a funzionari pubblici e politici i quali adottavano atti volti a ritardare il più possibile il pagamento delle multe .

In prima istanza il Tribunale di Milano aveva considerato che il mancato pagamento del prelievo supplementare potesse configurare il reato di peculato sui presupposti che il primo acquirente potesse essere assimilato a un incaricato di pubblico servizio e che il denaro destinato al pagamento

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del prelievo supplementare avesse una natura “pubblica”[15] superando

quindi il diverso orientamento che la giurisprudenza che aveva fino ad allora seguito che configurava l’omesso pagamento come una truffa aggravata ai danni dello stato e dell’Unione Europea.

Anche il giudice d’Appello fece sua la ricostruzione sopra esposta , ma non la Corte di Cassazione ,la quale investita della questione circa la classificazione giuridica dei fatti esposti, ha escluso che il caso di specie possa configurarsi come peculato annullando senza rinvio la sentenza impugnata per insussistenza del fatto.

La Cassazione ha escluso che il primo acquirente possa essere considerato un incaricato di pubblico servizio poiché nessuna norma vi fa riferimento, pertanto la ricostruzione più”normale e immediata”non può essere che quella di un rapporto intercorrente fra un privato che paga ad un ente

pubblico assimilabile a un qualsiasi rapporto fra i cittadini e il Fisco [1613].

Sempre a sostegno di ciò la Suprema Corte ha negato che l’iscrizione degli acquirenti negli appositi albi possa essere comparato all’iscrizione agli albi professionali ,pertanto“il commerciante inserito nelle liste degli acquirenti

autorizzati resta un comune privato”; inoltre circa l’ipotesi che il pagamento del prelievo possa avere una natura “pubblica”,sempre la Suprema Corte ha negato tale costruzione considerandola artificiosa poiché debba

(15)In riferimento al primo profilo il tribunale aveva ritenuto la natura pubblicistica del ruolo assunto dal primo acquirente,nella veste di sostituto d’imposta iscritto in apposito elenco,un soggetto che ha diretta disponibilità della somma destinata al prelievo. Circa il secondo profilo i giudici avevano dato alla somma destinata al prelievo “una connotazione[..] pubblicistica per la destinazione[..] impressa”cioè correlata alla sua destinazione vincolata indipendentemente dall’effettivo pagamento dell’importo. Cfr. Erisa Pirgu La Cassazione sul “caso quote latte”.Rivista di Diritto penale Contemporaneo.

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ritenersi che il primo acquirente sia un privato che ha un obbligo

pecuniario nei confronti dell’ente pubblico ,a cui non adempie[17].

Alla luce di quanto espresso la Corte ha negato che tali comportamenti possano configurare il reato di appropriazione illecita ,non potendosi ritenere altrui la somma di denaro destinata al pagamento del prelievo essendo la stessa mai uscita dalla sfera patrimoniale del soggetto obbligato.

3.3. La responsabilità erariale e il calcolo dei danni operato dalla Corte dei Conti.

Così come in generale la magistratura italiana,anche uno dei supremi organi del nostro Stato ,la Corte dei Conti , ha dovuto esercitare le sue funzioni giurisdizionali in materia di prelievo supplementare per il mercato dei prodotti lattiero caseari, rivolgendo la sua attenzione sia verso coloro che in sede amministrativa, anche ai massimi livelli, hanno spesso e volentieri violato o non rispettato le regole imposte dalla copiosa normativa comunitaria, sia verso coloro che, con ruolo di produttore o di “primo acquirente”, hanno omesso o impedito singoli pagamenti di prelievo supplementare.

Il primo atto di citazione nei confronti dei vertici dell’Amministrazione nazionale da parte della Corte dei Conti risale al 1991 ed era rivolto ai ministri pro-tempore per tutta una serie di ritardi e di inadempienze che avevano determinato la perdita erariale da parte dello Stato Italiano, e dell' allora AIMA in particolare, di circa 77,6 miliardi di lire, ossia delle rettifiche operate dalla Commissione sul conto del FEOGA relativamente ai periodi 1984/85-1986/87.

(17)Se l’acquirente non fosse considerato un privato non si spiegherebbe la possibilità di sostituire il pagamento all’AGEA con una fideiussione bancaria.

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Il supremo organo contabile tuttavia con la sentenza del 15 novembre 1996 n. 11 ( Sezione I centrale ) aveva di per se assolto tutti i convenuti ; infatti era nel frattempo stata approvata una successiva normativa che elideva l'antigiuridicità della condotta. Anche il successivo appello innanzi alle Sezioni Riunite della Corte dei conti optò nella medesima maniera ,cioè per l'assoluzione, ma muovendo la motivazione più che sul piano giuridico da quello politico , riferendosi alle posizioni assunte dai convenuti che facevano giocoforza sulla natura politica delle decisioni da loro poste nella gestione dell’adeguamento dell’Italia al sistema delle quote-latte. [18].

Successivamente è intervenuta sulla faccenda anche la Suprema Corte di Cassazione. In questo caso la Suprema Corte aveva espresso il suo pensiero in ordine ad una presunta responsabilità erariale a carico dell’UNALAT,in quanto la causa verteva sull’esistenza o meno di un rapporto di servizio con le amministrazione competente e quindi di un suo coinvolgimento nei mancati pagamenti e proprio su questo punto la Suprema Corte con la sentenza delle Sezioni unite civili n. 211/01 del 25 gennaio – 19 maggio 2001 a teso negare qualsiasi rapporto di servizio.

Successivamente dalle medesime SS. UU. della Cassazione [19. ], ma in diversa vicenda, fu invece rilevata in capo alla UNALAT la sussistenza di «relazione funzionale» e quindi la giurisdizione della Corte dei conti, specificandosi che restavano fermi i principi fissati con la sentenza delle Sezioni Unite n. 211 del 2001 la quale ”non ha affermato in via generale

l'insussistenza di un rapporto di servizio tra amministrazione dello Stato e

(18) Sentenza SS RR.75/97/A del 22 ottobre 1997.

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UNALAT, ma soltanto la non configurabilità di tale rapporto relativamente alla

gestione delle quote - latte curata da tale associazione”.

Nei confronti poi dei responsabili di mancato pagamento degli importi dovuti a titolo di prelievo supplementare, sono intervenute alcune sentenze di condanna per danno erariale.[ 20]. Interessante è rilevare che i

soggetti chiamati a rispondere erano gli amministratori di una cooperativa che svolgeva la funzione di “primo acquirente” ancorché, come hanno affermato entrambe le decisioni, in modo fittizio e teso ad aggirare la normativa.

La giurisdizione del giudice contabile in tale materia è stata affermata poggiando sulla natura di “riscossione erariale” del prelievo supplementare, con esclusione della configurabilità di una sanzione. L’elemento oggettivo del danno erariale è stato rinvenuto non soltanto nel mancato introito del prelievo supplementare al quale i produttori erano tenuti, ma anche in termini di anticipazione di spesa, posto che gli Stati membri sono considerati debitori principali nei confronti della Comunità Europea per l’importo del prelievo supplementare dovuto a livello nazionale relativamente ai singoli periodi di produzione lattiera presi in considerazione per la regolazione di mercato.

E' vero infatti che l’art. 11 del Reg. CEE n. 1788/2003 dispone che “gli

acquirenti (i “primi” acquirenti) sono responsabili della riscossione presso i produttori dei contributi da essi dovuti a titolo del prelievo e versano all’organismo competente dello Stato membro .... l’importo di tali contributi che trattengono sul

prezzo del latte pagato ai produttori responsabili del superamento ...”.

(20) Fra queste si segnalano Corte dei conti. Sez. giur. reg. Friuli V.G. Sentenze 17 febbraio 2009 n. 54 e 8 luglio 2010 n. 138.

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In pratica parallelamente alle indagini e alle sentenze della magistratura ordinaria, si è inserita con prepotenza la Corte dei Conti ,la quale ha constatato come l’accumulo delle “multe” , dovute ad un intreccio di responsabilità a diversi livelli nell’abito statale e non, abbia provocato ingenti danni alle casse erariali .

La magistratura contabile infatti ha condannato i Cobas del latte,con la sentenza 14/2013, ad effettuare un risarcimento per danno erariale di 203,2 milioni di euro conseguente al mancato pagamento delle multe tra il 1998 e il 2006.

La sanzione più pesante è franata addosso al deus ex macchina della truffa piemontese Giovanni Robusti, chiamato a versare € 4,2 milioni in proprio e ben € 182,4 in solido con altri imputati.

La magistratura contabile è stata più dura (con i portafogli) di quella penale, condannando al risarcimento gli amministratori delle cooperative Savoia e della finanziaria Fgr.

Di fronte al tribunale di Torino 38 imputati erano riusciti a scampare alla condanna penale per prescrizione avvenuta del reato, ma non a quella contabile che ha riguardato anche gli anni 1998-2004.

La Corte sostenne infatti come le coop titolari dell’obbligo di versare le imposte, non avevano riscosso i tributi prescritti e quindi non avevano consentito alcun recupero al fisco delle multe evase.

In sostanza gli amministratori,che avevano usato una sorta di “scudo societario” ,siano da considerare i “reali autori delle condotte dannose per la finanza pubblica” e, in quanto tali, da assoggettare all’azione di recupero.

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Non sono quindi le cooperative fittizie a dover risarcire il danno provocato alle casse dello Stato, ma i direttamente i privati che hanno congegnato il meccanismo e ne hanno tratto benefici illeciti.

La Corte dei Conti ,in una relazione del 2013,ha tentato di calcolare quanto sia costato alle casse pubbliche tutta questa vicenda. I dati sono terrificanti: 4 miliardi 494milioni 433.637euro e 53 centesimi cioè circa 75,62 euro per ogni italiano. Ancor più sconfortante è che difficilmente tutto quel denaro verrà effettivamente recuperato.

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Capitolo Due

Profili privatistici del sistema di contingentamento

del settore lattiero-caseario.

Sommario – Introduzione – 1.La natura giuridica delle quote latte – 1.1.La tesi pubblicistica – 1.2. La tesi privatistica. – 1.3.La posizione della giurisprudenza comunitaria. – 2.La disponibilità del bene quota latte: i passaggi fondamentali – 2.1.La cessione a titolo provvisorio :l’affitto. – 2.2.La cessione a titolo definitivo: la vendita. – 2.3.La decadenza della quota. - 2.4. Gli obblighi di natura contabile del regime delle quote latte. – 3.La giurisprudenza della CGUE – 3.1.Principio di non discriminazione e quote latte. – 3.2.Prinicipio di proporzionalità e quote latte. – 3.3.Principio di legittimo affidamento e quote latte. – 3.4.Bilanciamento fra diritto di proprietà e strumenti di regolamentazione del mercato.

Introduzione

In questo capitolo si analizzerà il carattere privato delle quote latte, dalla loro discussa natura fra il privato e il pubblico, per poi guardare con occhio più critico l’evoluzione della normativa in materia di circolazione delle quote , di decadenza per inutilizzabilità e gl’obblighi documentari che sono imposti a tutti i soggetti coinvolti nella “vita” delle quote.

In ultima istanza si tratterà la lunga giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea la quale ha posto ,con occhio critico, il proprio interesse sulla legittimità dei numerosi atti normativi emanati in materia di

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quote latte alla luce dei principi fondamentali contenuti nei Trattati dell’Unione.

1.La natura giuridica delle quote latte.

La funzione principale della “quota latte” nella sua veste di strumento di regolazione ,è quella di rendere il mercato il più efficiente possibile e per tanto risulta opportuno cercare di capire come essa si inserisca nello schema organizzativo della azienda lattiera, e di come la mobilità della stessa sia stata rimessa , in virtù della logica di una miglior allocazione,completamente alla autonomia dei privati ,anche se comunque sottoposta ad un regime di controllo affidato ad autorità amministrative ad hoc.

La scelta di affidare ai privati la gestione della quota sembra sostenuta

dall’idea che siano proprio i privati, in primis le numerosissime aziende

lattiere della produzione primaria, i soggetti a cui vengono attribuiti i

quantitativi di riferimento e che possano decidere di allocare nel modo più

efficiente possibile i quantitativi inutilizzati , attraverso o cessioni

temporanee o definitive (anche slegatamente alla cessione dell’azienda per

l’intero),senza che ciò possa in alcun modo compromettere gli obbiettivi di

stabilità del mercato comunitario data la presenza di norme entro le quali è

ammessa una circolazione di quote individuali. Inoltre la previsione di una

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effetti della mobilità delle quote abbia un impatto assai limitato rispetto al

controllo del mercato[21].

L’attribuzione della quota ai privati non scioglie però un quesito:quale è la

natura della quota?

Proprio su questo punto la dottrina è dovuta intervenire: gli interpreti si sono trovati ad affrontare il problema della classificazione giuridica delle “quote latte”.

Dato il silenzio del legislatore europeo al riguardo , si sono raffrontate due teorie opposte ,una di natura “pubblicistica “e una di natura”privatistica”.

1.1.La posizione pubblicistica

La teoria pubblicistica sostenuta da una parte della dottrina [22] ha

ipotizzato come la quota possa essere accostata ad una sorta di autorizzazione amministrativa o più precisamente una licenza di commercio indicante il genere di merce che un soggetto può vendere e ,una volta rilasciata,consenta al titolare di accedere al mercato e conseguentemente vendere il prodotto indicato nella suddetta licenza senza incorrere in penalità. In tal modo la quota si configurerebbe come un’autorizzazione a commercializzare, rilasciata dall’ente nazionale competente al produttore sulla base di una situazione giuridica rilevante preesistente connessa con l’attività dell’impresa e la cui operatività è

(21 )I. Canfora La cessione delle quote di produzione in Trattato di diritto agrario pag.335.

(22 ) Germanò Le quote di produzione nel diritto comunitario dell’agricoltura e Carmignani Profili pubblicistici e

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subordinata al potere dell’organo competente a rimuovere i limiti gravanti su di essa [23] .

Ma tale tesi è poco convincente. Infatti se lo schema sopra espresso ha un ragion d’essere per i nuovi produttori per i quali la licenza attributiva del quantitativo di riferimento potrebbe porsi come autorizzazione a produrre e commercializzare latte in esenzione del prelievo supplettivo , poco senso ne ha per coloro che già operano sul mercato poiché ,in questo caso,la quota si configurerebbe più come un ostacolo piuttosto che la rimozione dello stesso. A questo si aggiunge la totale mancanza di riferimenti normativi ,poiché i regolamenti non vietano ne la produzione oltre i limiti fissati dalla quota ,ne tanto meno la produzione in totale assenza di autorizzazione con la conseguenza di rendere tale attività fortemente antieconomica a causa di un prelievo estremamente alto.

1.2.La teoria privatistica

La tesi privatistica invece muove da presupposti totalmente diversi.

Secondo tale opinione la quota si configura come un elemento variabile tra i beni aziendali potendo essere assegnata in misura più o meno ampia e essendo suscettibile a modifiche con il passare del tempo. Conseguentemente, prendendo in esame queste caratteristiche, si ci persuade ad escludere un parallelismo delle quote con le autorizzazioni commerciali poiché ,pur essendo necessarie al fine dell’inizio di una attività economica, non incidono sulla rimuneratività dell’impresa che è invece un connotato della quota. Infatti l’oscillazione dei quantitativi concessi ai produttori determina un aumento o meno del valore delle

(23 ) Carmignani sostiene una necessaria cautela nel ricondurre il sistema di quotizzazione alla categoria delle autorizzazioni ,prefigurando ,piuttosto,l’imposizione di un ordine a chi è già sul mercato (c.d. ordine “omissivo”) di non produrre e commercializzare un quantitativo superiore alla quota assegnata.

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singole aziende produttrici ,più è alta la quota che l’allevatore può commercializzare senza incorrere in penalità tanto più elevata sarà la predisposizione dell’azienda a generare reddito.

In definitiva la quota consiste in un’entità giuridica di notevole valore economico per l’esercizio dell’impresa lattiero - casearia, pressoché imprescindibile nell’organizzazione aziendale, dato che la mancanza risulterebbe antieconomica. Pertanto la parte di dottrina che accoglie l’impostazione privatistica tende ad inquadrare la quota tra i beni dell’azienda: la quota quindi è un bene in senso giuridico,un bene immateriale con uno spiccato valore economico, soggetta alla circolazione, per cui meritevole di tutela da parte dell’ordinamento giuridico. In senso favorevole all’inquadramento delle quote nella categoria beni d’impresa deve essere letta la risoluzione del 04/04/2006 n.51 dell’Agenzia delle Entrate la quale,interrogata circa la disciplina fiscale applicabile ai fini Irpef ed Iva alla cessione di quote latte e diritti di reimpianto vigneti,ha espresso il suo pensiero nel senso di riconoscere il carattere di necessaria connessione che la titolarità del diritto riveste rispetto al legittimo svolgimento delle attività agricole in questione e ciò consente di inquadrare le quote latte tra le componenti dell’azienda ed in particolare nella categoria dei beni immateriali [24]. La scelta del legislatore comunitario di

rimettere all’autonomia dei privati le vicende circa la mobilità della quota (cessione temporanea o definitiva ) sembra ancor più suffragare la tesi che colloca la quota tra i beni giuridici di impresa. Tuttavia tale l’inquadramento non deve trarre in inganno; la “quota latte”è e rimane da

(24) La risoluzione continua : “Ne consegue che il trasferimento temporaneo o definitivo di tali diritti regolamentati ad altri

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allocare in un contesto giuridico ben preciso cioè la regolamentazione delle quote di produzione é quindi non riferibile agli schemi classici del diritto di proprietà: il fatto che sia possibile oggetto di contrattazione fra privati non esclude il fatto che possa condizionare l’esistenza stessa dell’impresa grazie alla determinazione di un ricavo ulteriore e indiretto[25] (la

commercializzazione libera dal prelievo) ed in ogni caso è modificabile dall’ordinamento comunitario a seconda delle diverse esigenze di politica economica.

La quota quindi fa parte di quei nuovi beni immateriali la cui esistenza è legata sul piano temporale ad un periodo limitato di utilizzazione nell’interesse collettivo di governo dell’economia. Un bene, comunque, distinto dai beni immateriali quali brevetti e diritti d’autore ,che ,pur avendo una protezione temporanea ,consistono in situazioni giuridiche meritevoli di tutela da parte dell’ordinamento nell’ottica del diritto dei singoli nello sfruttare il valore economico delle proprie idee,invenzioni o attività intellettuali. In pratica la temporaneità dei brevetti e dei diritti d’autore si configurerebbe in un bilanciamento fra i diritti del singolo e l’interesse della collettività ad ampliare le proprie conoscenze, mentre ,nel caso delle quote latte, la temporaneità dipenderebbe dalle scelte di politica economica e i diritti che ne derivano per i singoli sono solo un riflesso rispetto l’uso di uno strumento di regolamentazione del mercato[26].

1.3La posizione della giurisprudenza comunitaria

(25) A. Tommasini Quote latte,diritti d’impianto e titolo all’aiuto pag.64

(40)

Anche la quota tuttavia ha come fondo il bilanciamento fra due principi che inevitabilmente entrano in conflitto: il diritto di proprietà e d’impresa e la necessità di una politica agricola il più coesa possibile e proprio in questo senso si è mossa per lo più la giurisprudenza comunitaria.

Infatti, la Corte di Giustizia già nel ’79 nella sentenza Hauer ,si è preoccupata di affermare come non sussista un’incompatibilità fra gli strumenti di contingentamento della produzione e la proprietà dei singoli qualora “tali restrizioni perseguano effettivamente scopi di interesse generale propri della comunità e non costituiscano ,rispetto allo scopo perseguito,un intervento sproporzionato e inaccettabile nelle prerogative del proprietario ,tali da

ledere la sostanza stessa del diritto di proprietà”. Nella sentenza Mulligan la

Corte di Giustizia si è pronunciata sull’opportunità da parte degli Stati membri di prevedere come, in caso di vendita o di locazione delle aziende lattiere, i quantitativi di riferimento ad esse corrispondenti non siano trasferiti unitamente con tali aziende, ma che una parte di suddetti quantitativi confluisca nella riserva nazionale attraverso un provvedimento di recupero («clawback») senza la previsione di un indennizzo a favore di quei produttori che si sono visti decurtati di una parte della quota.

La Corte in sostanza ha affermato come la cedibilità della quota ,dalla quale si può trarre la sua considerazione in termini di bene giuridico d’impresa ,sia connessa con le esigenze di politica economica e regolazione del mercato ,esigenze tuttavia che devono essere sostenute senza che vengano sacrificati gli obbiettivi dell’OMC del settore lattiero ,sulla base di criteri oggettivi e in conformità con i principi generali comunitari tra i quali il principio di certezza del diritto e la tutela del legittimo affidamento,di proporzionalità e non discriminazione. Infine un orientamento favorevole

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alla qualificazione giuridica della quota come bene immateriale, modificabile a seconda delle esigenze produttive dell’azienda,si riscontra anche nelle conclusioni finali della sentenza Demand(C-186/96) dell’AG Colomer il quale afferma che le quote sono“ uno strumento d’intervento sul

mercato convertito sul piano giuridico in un bene patrimoniale”:ciò costituisce

una base comune per tutte le legislazioni nazionali che hanno così la facoltà di armonizzare il contenuto di tale diritto con la relativa disciplina interna del diritto civile, per es. regolando in un determinato modo la circolazione o la cessione a terzi.

2. La disponibilità del bene quote latte : i passaggi fondamentali.

Il problema inerente la circolazione della quota latte è strettamente correlata alla sua non univoca natura di bene d’azienda. Come descritto in precedenza anche se la giurisprudenza e la dottrina hanno ampiamente dimostrato come la natura giuridica dei quantitativi di riferimento debba rientrare nel’alveo dei beni immateriali ,la connotazione della quota a strumento di accesso a un mercato per così dire “chiuso” ha fatto si che ,almeno inizialmente, la circolazione non fosse permessa in nome della stabilità della politica agraria. Infatti la mobilità della quota ,originariamente ,è stata frenata dalla Comunità stessa. Venne sostenuto che la creazione di un mercato apposito per le quote avrebbe rischiato di gravare sugli obbiettivi prefissati e generato situazioni difficili come i reiterati tentativi di metter in atto schemi contrattuali in frode alla legge. La cedibilità della quota, così come poteva dedursi dall’art.7 reg.Cee 856/84,era strettamente legata alla circolazione del fondo tanto che si parlò

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di “non negoziabilità “e “indisponibilità” delle stesse [27]. Infatti la quota

poteva circolare solo nel caso di locazione,vendita o trasmissione per via ereditaria dell’azienda[28] e l’art.5 prevedeva che nel caso di

locazione,vendita o trasmissione per via ereditaria della totalità dell’azienda anche la quota veniva ceduta integralmente al subentrante mentre nel caso di locazione,vendita o trasmissione di uno o più parti dell’azienda,la quota veniva suddivisa fra i coloro che rilevavano l’azienda in funzione delle superfici utilizzate per la produzione lattiera o di altri criteri obbiettivi stabiliti dagli Stati membri[29]. Con il reg.590/85 il quale

riformulò l’art.7 del reg.856/84,furono introdotte le prime deroghe circa il vincolo fra il fondo e la quota; per esempio, all’affittuario che non aveva ottenuto il rinnovo dell’affitto a condizioni analoghe a quello appena terminato poteva essere concesso in tutto o in parte il quantitativo di riferimento attribuito all’azienda qualora decidesse di continuare la produzione di latte.

2.1. La cessione a titolo temporaneo: l’affitto

Tuttavia per poter registrare la prima forma di cessione delle quote separatamente dal fondo si dovette aspettare l’approvazione del reg.1234/2007 che ne introdusse l’affitto .Da questo momento parliamo quindi proprio del regime di cessione temporanea delle quote latte.

(27 ) A. Di Lauro L’accesso al mercato lattiero-caseario pag.42

(28) L’art. 12 del regolamento 856/84 chiarisce che per azienda si intende “il complesso delle unità per la

produzione gestite dal produttore e situate nel territorio geografico della Comunità” ; nel 1993 con il reg. CEE 1560 le parole “nel territorio geografico della Comunità” sono state sostituite con “nel territorio geografico di

uno Stato Membro”.

(43)

L’art.73 comma 1 del reg. n. 1234/2007 prevede la possibilità per gli Stati membri di autorizzare “cessioni temporanee di una parte delle quote individuali

che i produttori che ne hanno ancora disponibilità non intendono utilizzare”, Il

secondo comma invece riconosce la facoltà di ”disciplinare le cessioni tenendo

conto delle categorie di produttori o delle strutture della produzione lattiera”e

stabilisce limiti territoriali(per esempio una regione) entro i quali effettuare la cessione; inoltre gli Stati membri possono autorizzare la cessione totale delle suddette quote nei casi previsti dal paragrafo 3 dell’art.72 (forza maggiore o casi giustificati che comportano una temporanea incapacità produttiva)oppure possono altresì escluderla.

A livello di legislazione nazionale, è l’art.10 comma 15,l.119/2003, che recepisce tale previsione comunitaria. L’articolo infatti prevede la cessione temporanea a titolo d’affitto,anche separatamente dall’azienda, partendo dal presupposto che l’allevatore si trovi in una situazione di impossibilità temporanea di utilizzo a pieno regime dei propri impianti; pertanto la cessione è possibile solo per il periodo della singola campagna lattiera. Il contratto deve aver forma scritta ed è soggetto a registrazione;deve essere inoltrato alla regione o provincia autonoma in cui opera il cessionario e, entro 15 giorni dalla comunicazione ,registrato nel SIAN dopo che le autorità competenti hanno verificato:

- l’avvenuta commercializzazione di latte nel periodo di riferimento;

- che il quantitativo oggetto del trasferimento non sia già stato usato;

- il pagamento delle imposte richieste.

Al comma 19 dell’art.10 si enuncia come i contratti d’affitto d’azienda,comodato d’azienda e qualsiasi altro contratto a termine (in

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