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CONVENZIONI, DIGITAL TRANSFORMATION E MULTICANALITÀ: IL NUOVO CANALE DI VENDITA DI PIAGGIO & C. S.p.A.

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UNIVERSITÀ DI PISA

DIPARTIMENTO DI SCIENZE POLITICHE

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN

COMUNICAZIONE D’IMPRESA E POLITICA DELLE RISORSE UMANE

TESI DI LAUREA

CONVENZIONI, DIGITAL TRANSFORMATION E

MULTICANALITÀ:

IL NUOVO CANALE DI VENDITA DI

PIAGGIO & C. S.p.A.

ANNO ACCADEMICO 2015-2016

Candidata Chiara Duello

Relatore Chiar. ma Prof. ssa Chiara Franco

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Indice

INTRODUZIONE

CAPITOLO 1INNOVAZIONE E CAMBIAMENTO: INTEGRARE I CANALI DI VENDITA PER COMPETERE

1.1. Innovazione e cambiamento: lo scenario attuale

1.2. Il web come modello di business e la nascita delle politiche multicanale

1.3. Consumatori e tecnologia 1.4. Il modello multicanale

1.4.1.Vantaggi e difficoltà della multicanalità 1.4.2. Il rischio di conflittualità

1.5. Gli scenari cross-channel

CAPITOLO 2 LA NASCITA E LO SVILUPPO DI UN NUOVO CANALE DI VENDITA: IL CASO PIAGGIO &CS.P.A.

2.1. Il Gruppo Piaggio 2.2. La storia del Gruppo 2.3. Le Vendite Dirette

2.4. Digital Transformation e web presence 2.5. Le Convenzioni Piaggio

2.6. Operatività e gestione delle Convenzioni 2.6.1. Il processo di vendita

CAPITOLO 3IL PORTALE WEB CONVENZIONI.PIAGGIO.COM 3.1. Internet e il commercio elettronico

3.2. Portali e imprese

3.3. Il primo portale Convenzioni Piaggio 3.4. Reingegnerizzazione del portale

3.5. Restyling e lancio di una nuova versione: le specifiche tecniche 3.6. Il nuovo portale 5 7 7 11 13 18 24 28 33 37 37 39 41 47 52 58 62 66 66 70 73 77 80 94

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4

CAPITOLO 4I RISULTATI DEL NUOVO CANALE DI VENDITA 4.1. Dal 2013 ad oggi: una panoramica generale

4.2. 2016: analisi e monitoraggio del nuovo portale 4.3. 2015: una comparazione

4.4. Chi acquista e che cosa dal portale Convenzioni? 4.5. Traguardi e obiettivi futuri

CONCLUSIONI

BIBLIOGRAFIA

INDICE DELLE FIGURE

RINGRAZIAMENTI ABSTRACT 96 96 98 102 104 107 112 116 126 128 129

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Introduzione

In un ambiente economico e sociale ormai mutato, dove prevale un eccesso strutturale di offerta, che caratterizza, non solo determinati Paesi, ma molteplici settori economici, si è fatta strada la necessità, per molte imprese, di cercare mezzi sempre più adeguati e diversificati di accesso ai mercati, cogliendo così le opportunità, quanto le sfide, imposte dalla competizione globale dei nostri giorni.

L’utilizzo, più in particolare, delle nuove tecnologie accompagnate dalla “Digital Transformation”, ovvero quel processo che ridisegna le strategie di un’impresa, mediante l’utilizzo dei nuovi mezzi digitali, migliorandone il business, si inserisce in questo contesto. Queste, insieme, più precisamente, hanno fornito, non solo la possibilità per le aziende attuali di avvicinarsi a mercati prima considerati non sufficientemente interessanti o redditizi, ma hanno anche permesso, allo stesso tempo, di affiancare, nei mercati già serviti, nuovi canali comunicativi e distributivi. Si può parlare, a tal proposito, di una vera e propria innovazione e cambiamento nei canali di vendita, dove il consumatore, peraltro, con la sua parola, sono diventati il fulcro delle nuove politiche e logiche di business.

Proprio all’interno di questo scenario, tra i maggiori player mondiali di produzione di scooter e moto, si viene a collocare il più ampio e pionieristico progetto dell’unità operativa Vendite Dirette Italia, di Piaggio & C. S.p.A.

La storica impresa delle due ruote ha cominciato, di fatti, su questa scia, a modificare i propri obiettivi commerciali, commistionandoli strettamente con Internet e il commercio elettronico e, ha dato vita, così, dal 2013, con il supporto dell’unità su menzionata, a un nuovo canale di vendita online: il portale Convenzioni Piaggio, avente la peculiare caratteristica di risiedere nel mercato italiano e trovare la sua essenzialità in una politica e progetto di welfare aziendale. L’impresa, in questo modo, si è aperta alle nuove tecnologie di comunicazione, che hanno permesso la realizzazione di un nuovo processo, il quale, a sua volta, ha condotto a innovative forme di competizione riflesse, sia in

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6 nuovi approcci di marketing e sia nel retail di vendita tradizionale della Società. Si è dato vita, cioè, ad un affiancamento di nuove reti distributive virtuali accanto a quelle fisiche già esistenti: è nata, ed è andata a configurarsi, la multicanalità.

Pertanto, lo scopo generale di questo lavoro è quello di dimostrare e testare l’efficacia di tale nuovo canale di vendita, riscontrando l’utilità e funzione eventuale di driver ideale di crescita innovativa, dell’approccio multicanale adottato dalla Società.

Nel capitolo 1, a questo proposito, si illustra, nei suoi tratti essenziali, come l’innovazione digitale apportata e approdata nella società odierna, mediante un’analisi del mutato comportamento dei consumatori, si è perpetrata nei mercati, e come, di conseguenza, oggigiorno, l’approccio multichannel si è venuto a configurare come assioma delle logiche aziendali di molte imprese, analizzandone i limiti e i vantaggi.

Nel capitolo 2 si prenderà in considerazione, attraverso il caso studio che ha come oggetto il Gruppo Piaggio, come sono nate e come vengono gestite, all’interno del “Mercato 2 Ruote Italia”, le politiche multicanale. Più precisamente, mettendo in evidenza come l’azienda si sia aperta al “mondo online”, verrà analizzato il progetto delle Convenzioni, confluito nel 2013 in un portale web di vendite, sviluppato dall’unità operativa Vendite Dirette.

Nel capitolo 3 verrà esaminato, invece, in ogni sua parte (dal concept fino al suo sviluppo), tale nuova via di distribuzione virtuale:

convenzioni.piaggio.com. Percorrendo, in particolare, le tappe della sua

evoluzione, dalla realtà offline a quella online, verranno approfondite tutte le fasi di progettazione, implementazione, specifiche tecniche e motivi che hanno determinato, nondimeno, un restyling dello stesso nel 2015-2016.

Infine, nel quarto ed ultimo capitolo, si esamineranno, attraverso comparazioni fra gli anni e un’attenta analisi del target che usa e consuma, tramite il portale, i prodotti “due ruote” del Gruppo, i trend e i risultati, di questo nuovo canale di vendita online, in termini di vendite conseguite, soddisfazione dei clienti, aumento del market share e affiliazione verso i marchi del Gruppo, confermando così, come su scritto, la positività o meno dell’approccio multicanale adottato da Piaggio & C. S.p.A.

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7

Capitolo 1

Innovazione e cambiamento: integrare i canali di vendita

per competere

1.1. Innovazione e cambiamento: lo scenario attuale

Oggigiorno le nostre società sono sempre più “liquide” (Bauman, 2011) e, soprattutto, caratterizzate da alta mobilità e minore tempo libero.

L’internazionalizzazione dei gusti e delle esigenze ha fatto sì che il canale d’acquisto via web sia divenuto, in poco tempo, la soluzione più comoda, immediata e realmente aperta, nel mercato globale dei nostri giorni (Prunesti, 2010).

Tutto ciò si può ricondurre alla presenza sempre più costante che ha determinato la tecnologia e, in particolare, lo sviluppo della rete Internet, nelle nostre vite.1 Essa ha cambiato profondamente il modo di pensare e agire dei consumatori, che digitalizzandosi sempre di più, hanno richiesto alle imprese ingenti cambiamenti.

Questo mutamento è avvenuto da più di un decennio, quando cioè un elemento nuovo si è affacciato sullo scenario della storia, incidendo sin da subito profondamente nel macroambiente economico, sociale e culturale e, nello specifico, nel modo di intendere il marketing e la gestione dell’impresa: si tratta dell’avvento e diffusione dei sistemi digitali (Mosca, 2014).

Questi hanno completamente stravolto, sul piano operativo e strategico, le attività delle aziende, che, di riflesso, hanno avviato processi, come su accennato, di adattamento delle loro azioni, con l’obiettivo di integrare progressivamente ogni digital innovation (Nylé, Holmström, 2015) nelle loro strutture al fine di sfruttarne tutte le potenzialità.

1

Si pensi al riguardo che tra il 2000 e il 2015 la penetrazione d’Internet è aumentata di quasi 7 volte, dal 6 al 43% della popolazione mondiale (Martelli, 2016).

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8 In particolare, quando nel 1993 il CERN2 decise di rinunciare ai diritti d’autore rendendo disponibile a tutti l’utilizzo della rete, che fino ad allora era privata, iniziò, in breve tempo, una rivoluzione definita “digitale”, di cui Internet è, ed è stata, la mera killer application (Mosca, 2014).

La rete e quanto ne deriva (informazione e comunicazione in tempo reale, digitalizzazione a tutto campo, ecc.), ha di fatti trasformato, da allora in poi, il nostro modo di vivere, proprio come lo sono state altre invenzioni in tempi passati, come ad esempio la macchina a vapore, il motore a scoppio, la radio, il cinema, il telefono, la televisione, dando vita alla odierna e cosiddetta “società digitale dell’informazione”, in cui tutto si caratterizza non più per una produzione di tipo materiale, ma, bensì, per ciò che è prevalentemente immateriale, per l’informazione e per il business virtuale (Foglio, 2014).

Riguardo a quest’ultimo punto Vernuccio, in Mattiacci e Pastore (2014), afferma che nel mercato attuale (inteso come tutto il mercato mondiale di qualsiasi categoria merceologica), sta diventando sempre più importante lo scambio di informazioni, piuttosto che di merci.

«La rivoluzione digitale sta determinando, in particolare nelle società più avanzate, una crescente dipendenza da beni basati sull’informazione [...]. Il cosiddetto mondo digitale si sta diffondendo in quello analogico e confondendo con esso. [...] Stiamo vivendo una sorta di migrazione epocale e senza precedenti dell’umanità dal suo habitat consueto, il “mondo delle cose fisiche”, a un nuovo contesto, definibile come “infosfera” [...]» (Vernuccio, 2014, p. 56).

Secondo i dati di Google (2014) le dimensioni attuali di questa “infosfera” e, quindi, del nuovo mercato e scenario digitale, si possono ricondurre, soltanto nel 2014, a oltre 3 miliardi di persone, contro, invece, i 361 milioni di individui online rilevati alle soglie del 2000.

Grazie a computer, tablet e smartphone, tutti quanti siamo, di fatti, oggigiorno, in grado di connetterci alla rete sempre e ovunque, per ottenere e

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Il CERN è l'organizzazione europea per la ricerca nucleare (in inglese European Organization

for Nuclear Research, in francese Conseil européen pour la recherche nucléaire); è il più grande

laboratorio al mondo di fisica delle particelle. Si trova al confine tra Svizzera e Francia alla periferia ovest della città di Ginevra nel comune di Meyrin.

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9 fornire informazioni, interagire e scambiare beni o servizi o, diffondere opinioni in modo molto più rapido, economico e consapevole di prima.

Il mercato inteso nel senso tradizionale, ovvero di ambiente in cui si scambiano beni fisici, a questo proposito e come asserito in parte da Vernuccio (2014), non scompare ma, ad esso si affianca e con esso si integra (per ora) il mercato elettronico (Guo e Sun, 2004); si pensi, ad esempio, alle imprese “click

and mortar”.3

Il termine “click-and-mortar” indica un sistema distributivo integrato, in cui le strutture di “smistamento” tradizionali (negozi fisici, magazzini, scorte, sistemi informativi di gestione del ciclo distributivo), vengono supportate dagli strumenti resi disponibili dalle nuove tecnologie di telecomunicazione, come shop online, piattaforme informative per la gestione della distribuzione, forme di

partnership per la gestione di magazzini virtuali, ecc. . Tale vocabolo è composto

dalla combinazione dei termini “click”, per sottolineare proprio la dimensione virtuale e “mortar” per indicare, invece, la dimensione fisica, evidenziando così l’inevitabile integrazione tra attività basate su Internet (online) e su strutture tradizionali (onland) (Tesser, 2002).

Dal punto di vista delle attività di distribuzione, infatti, il canale fisico, con i punti vendita disseminati nei mercati internazionali, è venuto progressivamente ad integrarsi con il canale digitale costituito da nuovi intermediari virtuali e vecchi

player, che si sono necessariamente evoluti per non soccombere a questo mutato

contesto (Mosca, 2014; Vargo e Lush, 2004).

Questi nuovi soggetti economici costituiscono una vera e propria minaccia per i tradizionali attori della distribuzione (nei prossimi paragrafi spiegheremo perché e come), per altri rappresentano, invece, un’integrazione piuttosto fruttuosa se ben sviluppata.

Lo studioso Lambin (2012), su questa scia, afferma, dal suo punto di vista, che i cosiddetti “Mercati Globali Elettronici”, i quali producono e distribuiscono a livello mondiale prodotti e servizi digitali, stanno assumendo un ruolo sempre più importante nelle nostre società, perché non fanno altro che collaborare con i

3

L’espressione click and mortar contraddistingue le imprese che operano secondo un modello di business integrato off-line e on-line, differenziandole da quelle con un modello di business tradizionale (brick and mortar, letteralmente “mattoni e malta”) (Business Dictionary, 2017).

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10 “Mercati Globali Tradizionali” per realizzare, in particolare, la fase di consumo o per completare la fase fisica di produzione e distribuzione.

Più radicalmente ancora il ricercatore asserisce, riguardo alla diffusione della rete in generale, che questa non ha, in realtà, cancellato le conquiste e i vecchi paradigmi del business tradizionale, ma, bensì, si è sempre di più integrata con essi dandone un nuovo impulso.

«Per qualche tempo si era diffusa l’opinione che Internet avrebbe cannibalizzato e sostituito tutti i modi tradizionali di fare business, rovesciandone i tradizionali vantaggi. [...] in molti casi Internet integra, piuttosto che cannibalizzare, le attività tradizionali delle imprese e le modalità di competizione. Le attività virtuali non eliminano completamente la necessità di svolgere attività fisiche, ma tendono piuttosto ad amplificarne la crucialità. Inoltre Internet crea nuove opportunità per soddisfare in modo più efficiente i bisogni dei clienti» (Lambin, 2012, p. 66).

Di conseguenza, il commercio elettronico che la rete ha alimentato, oggi non può più essere preso in considerazione dalle imprese come un semplice “optional”, ma, al contrario, deve essere inteso come una realtà con cui confrontarsi, così da coglierne tutte le opportunità, per inserirsi strategicamente nel contesto competitivo contemporaneo (Foglio, 2014).

In questo senso non si rinnegano le modalità tradizionali di operare, che continuano comunque a conservare la loro efficacia ed efficienza nei mercati fisici, ma le aziende hanno attualmente priorità molto diverse rispetto al passato, focalizzate sulle opportunità che derivano dall’innovazione tecnologica, in termini di offerta al cliente, comunicazione con il consumatore e mission aziendale.

Revisionando la lettura scientifica su quest’ultimo argomento, Haller e Siedschalag (2011), suggeriscono che i vantaggi derivanti, da parte delle imprese, nell’adozione e uso delle nuove tecnologie di informazione e comunicazione (ICT), visti i nuovi ed affermati scenari competitivi, dipenderebbero proprio dalla determinazione che queste hanno nell’incrementare la produttività aziendale. Le innovazioni costituirebbero, cioè, dei forti fattori di crescita economica (Fabiani et al., 2005; Jorgenson e Stiroh, 2000; Oliner e Sichel, 2000; Bassanini e Scarpetta, 2002; Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo (OCSE), 2004; Timmer

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11 e van Ark, 2005), in termini di aumento dell’efficienza, riduzione dei costi di produzione e miglior rapporto e presenza dell’impresa nel mercato. Più le imprese sono tendenzialmente soggette a concorrenza e più sarebbero, a questo proposito, incline a innovare e adottare nuove tecnologie (Dasgupta et al., 1999; Kowtha e Choon, 2001; Hollenstein, 2004), al fine di rafforzare, nello specifico, le loro prestazioni e le possibilità di sopravvivenza (Porter, 1990).

L’impresa, oggi, più in particolare, deve dunque diventare concretamente e strategicamente virtuale proprio per rispondere e non perire, a questo odierno, complesso e mutato scenario (Daft, 2014).

1.2. Il web come modello di business e la nascita delle politiche

multicanale

La competizione globale dei nostri giorni, affiancata da un eccesso strutturale di offerta (Brondoni, 2000-2001), ha imposto alle imprese che vogliono rimanere sempre competitive e al passo con i tempi, di ripensare e riprogettare le proprie logiche interne di mercato e di business, andando così a determinare nuovi scenari e modelli di consumo.

L’utilizzo delle nuove tecnologie digitali si inserisce, in particolare, in questo contesto; esse hanno altresì consentito, nel corso degli ultimi anni, di raggiungere sia mercati in precedenza non sufficientemente interessanti o redditizi e sia di affiancare, nei mercati già serviti, nuovi canali comunicativi e distributivi. Le nuove tecnologie di comunicazione hanno permesso, cioè, la realizzazione di quelle forme di ubiquità virtuale (Berquier-Gherold, 2000), che permettono alle imprese di inserire nuovi elementi nel governo degli spazi di mercato e di concorrenza (Tesser, 2002).

Attraverso anche quella che è stata definita “Digital Transformation” (Andal-Ancion, Cartwright, Yip, 2003; Zhu, Dong, Xu, Kraemer, 2006), ovvero quel processo che ridisegna e rende più competitiva l’offerta complessiva del business di un’impresa, tramite l’analisi e l’ascolto delle esigenze del mercato e per mezzo delle tecnologie digitali, si sono realizzate le condizioni per il passaggio dal cosiddetto marketplace al market-space (Rayport e Sviokla, 1995),

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12 annullando di conseguenza le distanze fisiche reali e rendendo possibile l’accesso a prodotti e servizi su scala globale (Tesser, 2002).

Ciò conduce e ha condotto, alla realizzazione di nuove forme di competizione, il cui effetto, nell’ultimo decennio, si è riversato sugli strumenti operativi di marketing delle aziende (Vargo e Lush, 2004), ovvero nell’introduzione e nell’affiancamento di reti distributive virtuali accanto a quelle fisiche, ad opera sia di imprese già presenti nel mercato con negozi fisici e sia di pionieri dell’e-commerce (Tesser, 2002).

Il fenomeno che ne sta alla base è la profonda evoluzione dei comportamenti di acquisto dei consumatori, ormai divenuti “multicanali”.

La diffusione dell’e-commerce nel nostro paese e dei dispositivi mobile, ha imposto, in questo senso, sia ai grandi brand che ai retailer indipendenti, di ripensare il modo di proporre i propri prodotti e di connettersi con il proprio target (Betti, 2015). Si è venuta, così, a ridisegnare l’azienda tradizionale per gestire la conversione digitale.

La tendenza più recente è stata, in virtù di ciò, la gestione di molteplici canali di vendita, mediante cioè l’utilizzo simultaneo, come su già accennato, di più canali distributivi, con i quali si ha l’accesso ai medesimi mercati, attraverso svariate forme di integrazione (a livello comunicativo, promozionale o distributivo), o mediante la fruizione del mezzo elettronico per l’accesso a mercati lontani o non ancora sufficientemente fruttuosi (Tesser, 2002).

Imprese, ad esempio, presenti nel fashion retail, come Zara, OVS, Gucci o aderenti al settore dell’editoria (Feltrinelli, Mondadori), o nella Grande Distribuzione Organizzata (GDO), con l’elettronica di consumo, hanno, su questa scia, dato vita a nuove business strategies basate sul web, dove a modelli classici di consumo e di distribuzione, se ne sono abbracciati e sviluppati di nuovi e di digitali, fino a giungere, in seguito, al vero e proprio commercio elettronico.

Il nuovo contesto digitale ha, quindi, messo a disposizione delle imprese strumenti per migliorare la propria competitività in un quadro internazionale sempre più concorrenziale.

La strada, di conseguenza, verso l’acquisizione del web nelle proprie strategie di mercato è diventata ormai un trending topic per molte aziende e Paesi.

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13 Esso costituisce non solo una grandissima opportunità per innovare, cambiare e competere, ma anche di offrire un reale valore aggiunto ai propri clienti, sia di business che di consumer, attraverso, soprattutto, un approccio integrato e sempre più “multichannel” (Betti, 2015; Stojković et al., 2016; Verhoef et al., 2015).

Nel presente lavoro, per questo motivo, verrà analizzato, in via sperimentale, un nuovo modello di business, fondato, nella fattispecie, proprio sulla costruzione ed affiancamento di una nuova via distributiva digitale, adottata dalla famosa e storica azienda Piaggio & C. S.p.A.

La celebre impresa delle due ruote cogliendo, di fatti, i cambiamenti appena descritti, ha sviluppato, negli ultimi anni, un progetto web, ancora in evoluzione, di vendite online: il portale convenzioni.piaggio.com.

Aprendosi così alle nuove tecnologie di comunicazione, l’impresa ha dato vita ad una nuova forma innovativa di competizione, che si è riflessa sia sui propri strumenti operativi di marketing e, sia, nel cuore del proprio retail di vendita, facendo nascere e sviluppando così la cosiddetta “multicanalità”.

L’indagine effettuata in questo elaborato, vuole mostrare e testare perciò le potenzialità o meno di un approccio multichannel con tutte le conseguenze che esso apporta.

Prima di esaminare ed addentrarci, però, in quello che è il modello multicanale, è necessario fare un piccolo passo indietro e delineare, quanto approfondire, alcuni aspetti del contesto attuale che hanno apportato i cambiamenti appena descritti.

1.3. Consumatori e tecnologia

Alle nuove opportunità offerte dalla su citata “digital revolution”, si affiancano nuovi fattori critici che fanno emergere la necessità di acquisire, da parte delle aziende, innanzitutto, una maggiore consapevolezza nell’uso degli strumenti digitali; una vera e poi propria ristrutturazione di logiche interne di business; e, un ascolto e studio approfonditi di un contesto esterno sempre più difficile da comprendere e assecondare.

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14 Riguardo a quest’ultimo punto, va evidenziato il fatto che oggi, nella coscienza collettiva delle imprese, i clienti sono diventati il loro vero valore patrimoniale da salvaguardare e rafforzare, valorizzando, in virtù di ciò, tutti gli strumenti a disposizione, vecchi e nuovi, in un’ottica principalmente multicanale.

Nello scenario attuale è cioè fondamentale la capacità di analizzare e ripensare l’intera esperienza del cliente, compresi tutti i punti di contatto (i

touchpoint) con azienda, servizi e prodotti (Hitt e Frei, 2002). La customer experience diventa importantissima in questo processo. Questo perché si è

constatato che l’orientamento al consumatore è diventato il punto cardine e di partenza, dal quale si creano benefici economici e vantaggi competitivi proficui.4

In effetti, oggi, i sistemi digitali, hanno modificato fortemente il comportamento d’acquisto dei consumatori e questo ha comportato una revisione degli approcci con essi.

Alcuni studiosi (Venkatesan, Kumar & Ravishanker, 2007) segnalano che il cliente moderno è un compratore molto interessante, anzitutto per le aziende, perché i volumi dei suoi acquisti sono maggiori rispetto a quelli dei consumatori “monolocale”/tradizionali (Rosenblum P., Kilcourse B, 20135

), e che si tratti, anche, di un utente che inizia ad interagire con l’impresa attraverso un unico canale e, successivamente, si rende conto del maggior valore ottenibile da soluzioni di consumo offerte in particolare dalle nuove tecnologie. Secondo Gensler, Dekimpe e Skiera (2007) questo tipo di consumatore lo si può definire così come un “heavy user”, uno sperimentatore caratterizzato cioè da una maggiore frequenza d’acquisto, una forte disponibilità all’interazione e collaborazione con l’impresa e, da un maggior livello di spesa pro-capite; tutte caratteristiche che lo rendono di conseguenza, agli “occhi delle imprese”, un target assolutamente dotato di alta attrattività e, quindi, da assecondare (Bettucci, D’Amato, Perego & Pozzoli, 2016).

L’aspetto più significativo è che la maggior parte degli individui oggi hanno cambiato il proprio modo di relazionarsi con ciò che acquistano (Busacca,

4

Dunnhumby, a questo proposito, con una ricerca basata su una sua metodologia, il Cci (Customer centricity index), dimostra che esiste una strettissima correlazione diretta tra le aziende che adottano e perseguono un modello commerciale orientato al cliente e la crescita di fatturati (Giardini, 2016).

5

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15 1992). Il consumatore è sempre più autonomo e il suo potere consiste nella conoscenza e nella capacità di padroneggiare un mezzo come Internet, che costantemente gli permette di esplicare questa nuova capacità di interazione e attivismo con il mondo (Bennato, 2011), in particolare, dei brand.

Si tratta di un consumatore, rispetto al passato, ormai competente (Carù e Cova 2011; Fabris, 2003), che ha acquisito molte più informazioni sulle sue scelte di consumo, ha sviluppato un adeguato set di conoscenze ed è in grado di valutare e confrontare le offerte disponibili nei mercati di tutto il mondo, in qualsiasi momento. Inoltre, riesce anche a partecipare alla creazione di campagne di marketing e scopre (e fa scoprire), grazie alle tecnologie social disponibili, come blog o piattaforme digitali, tramite commenti o post con altri consumatori (il contemporaneo passaparola), qual è il livello di qualità del servizio offerto, creando un brusio (buzz) di fondo positivo o negativo sia su un singolo prodotto, sia sulla marca o sull’azienda (Mosca, 2014), incidendo, di conseguenza, profondamente su queste.

Il cliente rifiuta in questo modo di essere inserito dalle aziende in un determinato segmento-target e, con questi suoi nuovi atteggiamenti, piuttosto, tende ad autosegmentarsi, formulando soprattutto sotto sua iniziativa, richieste su prodotti e servizi.

Da consumer passivo, il compratore dei nostri giorni, infatti, si è trasformato nel cosiddetto prosumer (Toffler, 1987), partecipando così attivamente alla ricerca di nuove soluzioni per creare una value proposition superiore (Lambin, 2012).

La conseguenza diretta di questo nuovo potere del consumatore (consumer

empowerment), è un mutamento nelle relazioni che intercorrono, come già scritto,

tra le aziende e i loro clienti. Rispetto alle tradizionali dimensioni lineari e unidirezionali top-down di tipo one-to-many, in cui l’impresa prende l’iniziativa sul mercato, mentre i consumatori la subiscono (ma anche rispetto alla relazione

one-to-one6 su cui si basa il marketing cosiddetto diretto), emergono nuove

6

Il marketing one-to-one nasce nell’ambito del relationship marketing, ovvero sulla semplice idea di trattare i clienti diversi in maniera diversa. Un’azienda decide di sviluppare un programma di marketing one-to-one perché riconosce nella forza o nella debolezza delle relazioni con il singolo cliente il fattore determinante per una redditività ed un successo duraturi (Colombini, 2005).

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16 dimensioni prima neppure immaginate, che integrano (senza eliminare) le precedenti, di tipo many-to-many7 e che si fondano su “interconnessioni reticolari non gerarchiche”, interattive e decentralizzate (Vernuccio, 2014), andando così a rispecchiare il mercato virale della rete. Il consumatore, cioè, interagisce oggi con l’impresa e collabora con essa, tramite un approccio comunicativo bidirezionale, alla proposizione dell’offerta sul mercato. Entrambi i soggetti sono così sullo stesso piano e l’azienda ha come obiettivo quello di ascoltare il proprio target di consumo.

Emerge così una nuova dimensione relazionale di tipo sociale, che include entrambe le parte in un rapporto paritario e dove le relazioni di mercato assomigliano sempre più a delle conversazioni (Vernuccio, in Mattiacci e Pastore, 2014).

L’impresa, perciò, è obbligata oggigiorno a dialogare con i propri clienti, rinunciando inevitabilmente alla sua tradizionale posizione di superiorità, diventando così molto più dinamica e collaborativa.

Winer et al. (2013), citando John Deighton, professore alla Harvard Business School, affermano che gli operatori di marketing ora non governano più il mercato, ma sono semplicemente degli “ospiti invitati”, i quali, se riescono a mantenersi stimolanti, pertinenti e divertenti con i propri consumatori, “restano in gioco”, altrimenti, con un atteggiamento inverso di dominio e prevaricazione, ne sono spinti automaticamente fuori.

In quella che, dunque, viene definita epoca del “web 2.08” le aziende sono sempre più indotte a sviluppare le proprie relazioni di marketing in un contesto

7

Con l’arrivo dei più recenti strumenti web, come il file sharing, i blog, i forum, le chat, i Wiki, i

tagging, si è sviluppato un nuovo sistema di applicazione Internet che permette alle persone di

contribuire contemporaneamente alla creazione delle informazioni e alla loro ricezione. Tale approccio consente anche alle informazioni stesse di essere collegate in maniera complessa, condivisa e interconnessa tra le diverse parti del WWW. Questo tipo di applicazione Internet mostra la nascita del nuovo paradigma “many-to-many”. Le persone possono inserire e ricevere informazioni da e verso la Rete; questi individui sono in grado di connettersi e comunicare dinamicamente all’interno di un ambito flessibile; non c’è più alcun confine artificiale tra strumenti di informazione e comunicazione; in più, la stessa definizione di “molti” va ben oltre i singoli individui, andando a comprendere entità di diversa natura, come le organizzazioni, i prodotti, i processi, gli eventi e i concetti in generale. Di conseguenza la comunicazione d’impresa e il marketing si sono adattati a questo contesto (Benvenuti, 2014).

8

Il termine Web 2.0 viene introdotto nel 2004 da O’Reilly Media, un grande editore americano, come titolo per una serie di conferenze aventi per oggetto una nuova generazione di servizi Internet che enfatizzano la collaborazione online e la condivisione tra utenti (Bennato, 2011).

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17 del tutto innovativo rispetto al precedente, dove la centralità del cliente è diventata il nuovo assioma delle strategie di business, in cui «[...] il marketing digitale utilizza le ICT, i device e la rete per innovare la gestione strategica e operativa dell’approccio al mercato, fondandosi su una logica interattiva, che è più vicina all’idea di fondo propugnata da sempre dal marketing: la centralità del cliente» (Vernuccio, in Mattiacci e Pastore, 2014, p. 64).

L’impresa, come ricorda anche Ferrero (1980), quale sistema sociale aperto di tipo economico, esiste, in primo luogo, per soddisfare i bisogni presenti sul mercato, prima e meglio dei concorrenti, e la funzione del marketing assume la responsabilità di presidiare la co-creazione e lo scambio di valore con il consumatore.

Non si è più di fronte, quindi, ad una visione “prodottocentrica” come quella diffusa con la regola delle “4P” da P. Kotler9, ma, oggi, con l’avvento delle nuove tecnologie e l’utilizzo massiccio della rete da parte di milioni di individui, e dunque di potenziali acquirenti, anche il marketing e il business d’impresa si sono evoluti ponendo l’utente, il cliente, al centro delle loro business strategies (Cozzi e Ferrero, 2004).

Quelle che sono sempre di più prese in considerazione, sono proprio le esigenze degli stakeholder. I consumatori sono in cima alla lista delle imprese e le loro priorità stanno evolvendo insieme ai cambiamenti di tecnologia, demografici e dell’economia globale, i quali si intrecciano tra loro.

Non stupisce, a questo proposito, come, ad esempio, dimostra anche l’annual Global Ceo Survey di PwC 2016, che il 77% dei ceo del settore retail e il 73% di quelli del settore consumer good, affermino di essere preoccupati per il cambiamento nel comportamento dei propri clienti, perché ciò presuppone necessariamente un grande sforzo di revisione delle proprie logiche interne e l’introduzione di nuovi meccanismi e competenze all’interno dei loro business (Martelli, 2016).

Si afferma, quindi, come mezzo per stare nel nuovo scenario, così delineato, la multicanalità, ovvero l’interazione sinergica tra i vari canali (off ed

9

Il noto modello delle “quattro P” del marketing mix, diffuso negli anni ’60 e in seguito rivisto da numerosi esperti del settore, organizza tutte le attività di marketing operativo sotto quattro elementi: Product, Price, Placement, Promotion.

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18 online in particolare), intesa sia in ottica di comunicazione che di vendita e di mercato (Corvi 2007). Questa deve essere il concetto chiave per le imprese che intendono approcciare una strategia di successo nel nuovo ambiente competitivo stabilitosi negli ultimi anni. Tali strategie non vogliono soppiantare la vecchia distribuzione e mercato offline, ma, piuttosto, vogliono affiancarlo per andare incontro ad una domanda di persone sempre più “avanguardiste” dal punto di vista tecnologico (si pensi, a questo proposito, ad esempio, alla “Generazione Y”, ovvero quella dei Millennials10), e protagoniste attive nei processi di produzione.

Sono proprio queste che, digitalizzandosi sempre di più, hanno determinato il successo e implementazione di nuovi business model.

1.4. Il modello multicanale

Tecnologie ICT (Information and Communications Technology), strategie di differenziazione dell’offerta, eterogeneità dei comportamenti di consumo e convergenza competitiva, spingono le aziende a sperimentare oggigiorno nuovi format distributivi. E il risultato di queste sperimentazioni ha imposto al management di progettare e gestire sempre più innovativi processi di marketing (Ricotta, 2009).

«La distribuzione sta diventando, peraltro, irreversibilmente multicanale per ogni genere di impresa; quantomeno con riguardo ai processi di interazione e comunicazione con la domanda. Ed è per questa ragione che il marketing multicanale sta emergendo quale nuova area della gestione aziendale, volta a coordinare e valorizzare i diversi punti di accesso, fisico e virtuale, a intermediari e clienti finali» (Ricotta 2009, p. VII).

Tutto ciò accade, come già asserito, perché le aziende vanno ormai incontro alle esigenze degli individui e questi vogliono interagire, regolarmente, a

10

I Millennials sono la generazione di utenti (denominata anche Generazione Y) nati tra il 1980 ed il 2000, i quali attualmente si trovano nella fascia d’età 15-35 anni. La loro caratteristica più evidente è che sono la prima generazione della storia che, nella propria età adulta, presenta dimestichezza con la tecnologia digitale e conosce spontaneamente i codici della comunicazione digitale (Strauss e Howe, 1991).

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19 loro volta, con le imprese, nelle modalità e sui canali che fanno parte delle loro abitudini e attività quotidiane.

Internet, ha modificato profondamente, in questo senso, le nostre consuetudini. In qualsiasi momento della nostra giornata, di fatti, ci connettiamo e interagiamo con qualsiasi strumento dotato di una rete, sia per lavoro, sia per attività ludiche, sia per informarci, sia per comunicare, ecc. I touchpoint tra azienda e cliente, di conseguenza, si sono modificati e si spostano dove gli utenti sono maggiormente attivi e interagiscono di più.

Sul versante della domanda, inoltre, la diffusione delle nuove tecnologie, e di Internet in particolare, non hanno generato, come qualcuno preconizzava, fenomeni di “sostituzione” di abitudini e routine comportamentali dei consumatori, ma, anzi, queste, hanno contribuito nel tempo alla definizione di un ambiente ibrido nel quale convivono abitudini pre-post digital revolution (Ricotta, 2009). Di fatti, la sempre maggiore penetrazione degli ambienti digitali, nelle loro differenti forme (siti web, virtual community, social network e così via), alimenta la crescita di consumatori che associano ai tradizionali rituali di consumo nuove attività volte a potenziare i processi informativi, valutativi e di acquisto, mediante, soprattutto, il supporto di strumenti digitali, come cercare informazioni su prodotti e marche, comparare i prezzi praticati dai differenti punti di vendita, scegliere lo

store più vicino, e molto altro (Ricotta, 2009).

Per questo motivo, in molti contesti di mercato, la possibilità di raggiungere la domanda e, auspicabilmente, agire per soddisfarne le esigenze, richiede con sempre maggiore frequenza alle imprese il ricorso a una pluralità di canali, i quali, a loro volta, aiutano:

 nella ricerca e sviluppo di un maggior grado di copertura del mercato, tale da poter controllare la concorrenza (Balasubramanian, 1998; Yan, Guo, Wangc & Amrouche, 2011);

 a potenziare processi di differenziazione dell’offerta;

 ottenere un minor costo dell’informazione grazie all’appoggio relativo consentito dal canale introdotto;

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20  avvicinare e migliorare il rapporto con i propri consumatori (Ricotta,

2009).11

La motivazione che quindi spingerebbe le imprese di oggi ad usare nuove vie di sbocco nel mercato, è quella di garantire, sostanzialmente, una seamless

experience al cliente, sfruttando tutte le possibili sinergie tra i diversi canali per

cercare di aumentare, in primis, le occasioni di contatto con questi e, in secundis, le vendite complessive (Bettucci, D’Amato, Perego & Pozzoli, 2016; Lang, 2010; Kauffeld, Hagen, Conrad, 201212; Yu, Niehm, Russel, 2011).

Altri contributi scientifici, come delinea Yan (2011) dichiarano, ad esempio, che il modello multicanale non sarebbe altro che la premessa di un aumento, nel lungo periodo, dei profitti di un’azienda (Levary e Mathieu 2000), o che si possa accostare a una forza importante, quanto di rilievo, nella distribuzione di mercato, in particolare, business-to-business (Sila 2013; Rosenbloom, 2007), ovvero il business costituito da rapporti commerciali tra aziende, come quella tra produttore con il proprio canale distributivo. Sharma e Mehrotra (2007) hanno altresì avvalorato la tesi che le strategie multicanale siano il sinonimo di un aumento del pacchetto clienti di un’impresa; Yan stesso e Bhatnagar (2008), affermano invece che il successo dello sviluppo di un canale, sia online che tradizionale, dipenda molto dalla categoria di appartenenza dei prodotti, cioè dalla loro più o meno digitalizzabilità.

Su questa scia e in coerenza con la maggior parte della letteratura in materia, la multicanalità può essere intesa perciò come la capacità di un’azienda di definire, progettare, implementare e gestire in modo armonico e coerente la

customer experience, dando ai propri clienti la possibilità di muoversi, durante

uno stesso processo d’acquisto, tra i diversi canali messi a disposizione. Ciò non significa che per l’impresa tutti i canali abbiano la stessa importanza, ma che debbano quanto meno essere attentamente gestiti avendo un unico obiettivo: la già

11 Con tale visione si delinea la tanto su citata “multicanalità”, propria degli studiosi Rangaswamy

e Van Bruggen (2005), la quale rappresenta, peraltro, anche il filo conduttore, nonché approccio abbracciato dal presente lavoro. Con questa visione si vuole sottolineare come, più in particolare, il punto di partenza della costruzione di un approccio multicanale risieda, nello specifico, nella figura del consumatore e soddisfazione delle sue esigenze.

12

(21)

21 citata soddisfazione del cliente finale (Bettucci, D’Amato, Perego & Pozzoli, 2016).

Non tutti gli studi concordano però con questa visione; alcuni (Bendoly et al. 2005) suggeriscono un netto distinguo tra canali fisici e quelli digitali, sostenendo che questi ultimi entrano in gioco principalmente per supportare la fase di ricerca, lasciando di conseguenza il ruolo di protagonista ai punti vendita fisici per quanto riguarda la fase di sales.

Altri ancora sostengono (Sousa et al., 2015) che i consumatori preferirebbero i canali fisici per acquisti più “complessi” (si pensi ad esempio alle automobili), per i quali hanno bisogno di ricevere consigli, rassicurazioni e soprattutto avere la possibilità di confrontarsi con un personale qualificato, e utilizzerebbero, invece, i canali digitali per comprare prodotti/servizi standard, caratterizzati da alti volumi e frequenza d’acquisto elevati (Bettucci, D’Amato, Perego, Pozzoli, 2016; Yan, 2001).

Ricotta (2009), constata, poi, in una visione market-driven, che il modello multicanale si innesti e si sviluppi fondamentalmente grazie alla domanda finale e la sua funzione di utilità. Infatti, poiché il canale è parte integrante del processo di creazione di valore, in virtù di quanto scritto, i suoi diversi attori dovranno essere in grado di generare utilità per il consumatore finale, contribuendo a consegnare alla domanda l’insieme dei benefici attesi, nei tempi e nei luoghi che ne rendono massima la percezione di utilità da parte dei clienti. Di conseguenza, la progettazione di un sistema di canale può essere articolata in quattro fasi:

1. analisi dei bisogni del target;

2. definizione degli obiettivi di canale;

3. identificazione delle possibili alternative disponibili; 4. valutazione delle principali alternative.

Nello specifico, poi, per la messa a punto di una strategia multichannel, che prevede l’inserimento di una “via” online, le aziende sono chiamate anche a rispettare alcune condizioni fondamentali:

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22 1. “pensare digitale”. È necessario innescare un processo di evoluzione culturale e di upgrade delle skills che coinvolga l’intera organizzazione e investire nelle Information Technologies (IT) e nel marketing digitale. 2. Riadattare la struttura organizzativa in modo che vi siano più canali di

vendita integrati e con team dedicati ai singoli canali.

3. Progettare una soluzione unica di customer experience, integrando soprattutto il commercio elettronico e i servizi offerti online nei punti vendita e, viceversa, attraverso lo sviluppo di molteplici touchpoint.

4. Dotarsi di adeguati strumenti tecnologici, informatici e di marketing in grado di sfruttare ed assecondare il fenomeno della “cross-canalità” dei processi di acquisto.

5. Avere una presenza online adeguata.

6. Investire in CRM (customer relationship management), analytics e nuovi sistemi di monitoring. L’adozione di questi strumenti è fondamentale per conoscere meglio il proprio target e connettersi con i propri utenti/clienti in maniera efficace (Betti, 2015).

Gli studi teorici, nonché l’osservazione di quanto sta accadendo nell’economia globale, portano per cui a credere che lo sviluppo della multicanalità, in un’ottica realmente integrata all’interno di un’impresa, sia uno dei principali driver di crescita delle aziende nel futuro (Bettucci, D’Amato, Perego, Pozzoli, 2016).

Sempre di più le imprese stanno puntando ad avere sia canali tradizionali/fisici che una presenza sul web, non solo per affiancare il canale

e-commerce e quelli già esistenti, ad esempio ma, per cogliere proprio le sfide e le

opportunità del mondo multichannel (Bettucci, D’Amato, Perego, Pozzoli, 2016; Kauffeld, Hagen, Conrad, 2012; Cascone, Dayton, Ladd, Hillman, Alderman, 201513; Zhang et al., 2010).

Produttori che per anni sono stati molto reticenti a modificare le proprie logiche interne di business, per paura, in particolare, di scontentare e soprattutto

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Report di Deloitte (2015), “Achieving assurance of supply chain in an omni-channel world”, Deloitte & Touche LLP, London.

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23 abbandonare i canali storici, scossi dalla profonda crisi economica degli ultimi tempi, si sono resi conto ormai che la multicanalità non può essere più rimandata o appannaggio di pochi. Oggi le aziende si sottopongono, di conseguenza, a numerosi processi di modernizzazione di varia entità, modificando sistemi, modelli, processi e, anche, architetture.

Si pensi all’introduzione, come già accennato, del digitale in un settore come quello della moda, con aziende tipo Gucci, Zara, OVS, Nike. I loro prodotti si trovano online e la stesse aziende hanno sviluppato piattaforme di acquisti accessibili direttamente dai loro siti ufficiali.

Come sostiene anche Ricotta (2007, p. 4): «Si tratta di un approccio alla gestione delle relazioni con i clienti che tende a superare la logica del singolo canale (tendenzialmente “fisico”) grazie alla progressiva terziarizzazione dell’economia e al diffondersi dell’elettronica e delle reti digitali, che consentono soprattutto per i servizi, ma anche per i beni, di oltrepassare i limiti logistici imposti dai punti di vendita tradizionali». In questo modo le aziende hanno necessità di identificare un corretto grado di sincronizzazione tra canali, tale da consentire al cliente di ottenere maggiori benefici dalla combinazione del mondo fisico con quello digitale (Ricotta, 2009; Lindstrom 2001).

La multicanalità viene a performarsi, così, come la vera sfida che oggigiorno devono affrontare le imprese, al fine di essere competitive (Heckmann, Huisman, Kesteloo, Schmaus, 201214). Essa non è più vista come un semplice mezzo per vendere ulteriormente mettendo in concorrenza i diversi canali, ma è venuta a concepirsi, piuttosto, come un vero e proprio sistema unitario e integrato, utile per gestire al meglio la relazione soprattutto con il cliente, mettendo a sua disposizione il maggior numero possibile di opzioni per accompagnarlo nel suo processo di acquisto, dalla ricerca dell’informazione, fino al servizio postvendita (Liscia, 2012). In quest’ottica, il canale e-commerce è considerato il canale integrativo e il più privilegiato per supportare questo tipo di attività, attraverso il quale il consumatore può informarsi, comprare e condividere.

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Report di Booz & Company (2012), “Cross-channel integration in retail: Creating a seamless customer experience”.

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24 Ma quali sono i reali vantaggi concreti di un simile modello multicanale? E i punti eventuali di debolezza? Nei prossimi paragrafi cercheremo di rispondere a questi interrogativi.

1.4.1. Vantaggi e difficoltà della multicanalità

Si possono delineare una serie di vantaggi, quante difficoltà, derivanti dall’inserimento di una politica o approccio che dir si voglia, multicanale, sia dal punto di vista aziendale che dei consumatori.

Tendenzialmente, si annota (Ricotta, 2009; Yan et al., 2010), la strategia

multichannel favorisce l’interazione con il cliente e aiuta generalmente l’impresa

a percepire tempestivamente i cambiamenti del mercato. La necessità di ricorrere, inoltre, a una pluralità di canali distributivi risulta una decisione vincente qualora il mercato finale manifesti tassi di crescita sostenuti, tali da offrire opportunità di ingresso a nuovi concorrenti. In questo caso la decisione di attivare una pluralità di canali contribuisce alla creazione di una barriera all’entrata in grado di temperare il livello ragionevolmente crescente di concorrenza.

Ma, più precisamente, come delineato da Mosca (2014), dal punto di vista delle imprese, una visione multicanale apporta:

 «un aumento della possibilità di ricevere feedback completi su ciò che il cliente desidera e su ciò che l’impresa può migliorare (tutto ciò è possibile grazie all’uso degli adeguati sistemi di CMR su citati). I brand, di conseguenza, possono ottenere significativi benefici in termini di fedeltà dei clienti in quanto essi, percependo la cura e attenzioni che l’impresa ha nei loro confronti, possono essere disposti a pagare un prezzo maggiore sui prodotti offerti;

 un aumento della produttività. I dipendenti possono trarre beneficio dall’uso di nuove tecnologie in termini di maggior efficienza nel servizio al cliente. Per gestire al meglio la multicanalità occorre concentrare l’attenzione sul concetto di cliente piuttosto che su quello di canale, in quanto oggi il cliente, come su scritto, è considerato parte integrante del processo produttivo.

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25  un aumento delle vendite. La vendita multicanale, offrendo una varietà di punti di contatto con il cliente, accresce di fatti la praticità e la facilità di acquisto, facendo salire, così, il profitto» (Mosca, 2014, pp. 14-15).

Per quanto riguarda i consumatori, invece, si ha:

 un accesso facilitato alle informazioni. La grande disponibilità di notizie circolanti nel mercato sia off che online, offre al consumatore la possibilità di acquisire maggior consapevolezza al momento della compera valutando approfonditamente tutte le possibili alternative in termini di acquisto (Mosca, 2014);

 un maggior desiderio di interazione. Nei contesti virtuali le interazioni (i

buzz a pagina 15 descritti) sono espandibili rispetto a un contesto fisico,

determinando così un coinvolgimento maggiore da parte del consumatore, essendo egli attratto dalle relazioni sociali (Mosca, 2014);

 «un ottimo risparmio di tempo. È una delle variabili più discriminanti rispetto al canale fisico. Avendo a disposizione più canali, il consumatore può effettuare un confronto in modo rapido e costruttivo;

 tempi di consegna ridotti. I punti vendita virtuali e digitali caratterizzati dalla disponibilità immediata del prodotto saranno spesso preferiti dal consumatore» (Mosca, 2014, p. 15).

Come all’inizio del paragrafo accennato, l’implementazione di un nuovo e diverso canale (soprattutto se questi è di tipo elettronico), può far emergere alcune difficoltà. La delicata fase iniziale di introduzione di una nuova via di sbocco nel mercato, come sottolinea anche Emanuela Tesser (2002), può infatti far sorgere:

1. costi distributivi relativi a canali multipli. «Poche imprese sono in grado di utilizzare Internet sostituendo completamente gli altri canali di vendita, rivoluzionando la struttura di distribuzione. È più diffusa la pratica di un suo utilizzo quale canale addizionale dei sistemi distributivi esistenti. L’uso

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26 della tecnologia presenta, di conseguenza, il potenziale beneficio di ridurre in modo considerevole i costi, anche se inizialmente comporta un aumento nell’impiego delle risorse, consentendo di realizzare benefici soltanto nel medio-lungo termine.

2. Margini di canale differenti. Una politica distributiva multicanale comporta in genere la necessità di adottare prezzi di vendita differenziati; le esigenze espresse dal mercato possono essere diverse a seconda delle modalità con cui prodotti e/o servizi vengono resi disponibili agli acquirenti. Varie motivazioni possono indurre a ridurre così il livello di prezzo dei prodotti venduti attraverso canali distributivi legati ad Internet. Lo sviluppo e il successo del commercio elettronico, come spesso accade per le nuove tecnologie, è frenato dall’atteggiamento prudente e timoroso della domanda. L’abbandono di sistemi di distribuzione collaudati deve essere motivato da benefici immediatamente verificabili. Una riduzione del prezzo è il modo più semplice, in questo senso, per superare le molte diffidenze. La riduzione del prezzo di vendita, d’altro canto, non necessariamente incide negativamente sul reddito netto complessivo, visto che i costi di vendita del canale elettronico possono essere significativamente inferiori rispetto ai sistemi distributivi tradizionali. L’impatto di uno sviluppo di questo genere conduce ad un cambiamento dell’intera struttura di prezzi per un’industria, con un effetto, di riflesso, esteso a tutti i canali di distribuzione» (Tesser, 2002, pp. 126-127).

3. Frammentazione dei canali. «La frammentazione dei canali deriva dall’incapacità delle aziende di modificare la struttura organizzativa e i processi di lavoro per rispondere ai cambiamenti conseguenti all’introduzione di Internet» (Tesser, 2002, p. 127; Gallino e Moreno 2014). «La mancanza di coordinazione può essere fonte di notevoli problemi per l’attività aziendale. Ad esempio, i prezzi lasciati invariati su un sito Internet, laddove questi siano stati modificati offline, possono creare confusione alla clientela con un peggioramento sostanziale dell’immagine di marca» (Tesser, 2002, pp. 127-128).

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27 Alcune ricerche recenti hanno poi messo in evidenza che nella maggior parte dei casi le aziende non sono ancora ben attrezzate, integrate e coordinate per supportare le sfide richieste dalla multicanalità. Uno studio di Chaturvedi, Martich, Ruwadi, Ulker (201315), ha rilevato infatti che una delle principali ragioni degli insuccessi della mancata implementazione di un’adeguata politica

multichannel è proprio la circostanza per cui molte aziende cominciano il viaggio

verso la multicanalità semplicemente aggiungendo il canale di e-commerce online, gestendolo semplicemente come un “add on” rispetto ai canali esistenti, con il risultato di avere a che fare soltanto con due supply chain completamente separate (Mosca, 2014).

Secondo, però, Gulati e Garino (2000) la questione relativa alla possibilità di integrazione non è assolutamente porsi. La conclusione a cui giungono, dopo aver illustrato alcuni esempi di diverse modalità di integrazione tra rete di distribuzione fisica e virtuale (Office Depot ed il proprio sito OfficeDepot.com; KB Toys e la joint venture con BrainPlay.com da cui è nata KBkids.com; Rite Aid e la partner Drugstore.com), confermerebbe di fatti che i benefici dell’integrazione sono quasi sempre troppo grandi per essere totalmente abbandonati. Infatti, sebbene la multicanalità esponga le imprese a un problema di integrazione e coordinamento, la possibilità di utilizzare contemporaneamente più canali diversi rappresenta tendenzialmente per le aziende uno strumento utile per governare la crescente eterogeneità della odierna domanda, consentendo conseguentemente di:

 rivolgersi a segmenti di target diversi in termini di modalità di fruizione e di occasioni di consumo;

 servirsi di differenti canali nell’ambito della relazione con lo stesso cliente in modo di massimizzare i benefici e minimizzare gli svantaggi dell’utilizzo di ciascun canale (Bell, Gallino, Moreno, 2014);

 massimizzare la possibilità di raccogliere e studiare i dati relativi ai clienti, attraverso l’utilizzo di fonti diverse;

15

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28  usufruire delle economie di scala derivanti dalla standardizzazione dei processi operativi duplicati su diversi canali, quali, per esempio, quelli di evasione degli ordini dei clienti (Bettucci, D’Amato, Perego, & Pozzoli, 2016).

1.4.2. Il rischio di conflittualità

Quando un’impresa ha adottato e, quindi, già implementato, un’alternativa multicanale, superando di conseguenza tutte le difficoltà spiegate nelle pagine precedenti, dovrà porre, da questo momento in poi, molta attenzione a gestire le possibili, quanto inevitabili, sovrapposizioni tra canali e i conseguenti potenziali conflitti (Cao, Li, 2015) fra questi.

Nella fattispecie si distinguono i conflitti interni, che si manifestano tra due o più canali dedicati ad uno stesso mercato e, i conflitti esterni, che sono quelli che coinvolgono, invece, terze parti (Ricotta, 2009).

Figura 1.1 – Conflitti di canale

Fonte: propria Conflitti interni Cannibalizzazione tra canali Sotto-utilizzazione di immobili Conflitti di prezzo Canali desincornizzati Conflitti esterni Costituzione di un canale diretto Perdita del controllo sui canali di vendita Spostamento nella catena del

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29 Possono essere evidenziati quattro tipi di conflitti interni, spesso fra loro correlati.

1. «Cannibalizzazione tra canali. La creazione di un nuovo canale distributivo porta quasi inevitabilmente alla redistribuzione del volume totale di vendita tra i diversi canali, il che si traduce automaticamente in fenomeni di cannibalizzazione (Falk et al. 2007) dei canali esistenti da parte dei nuovi formati. Nelle organizzazioni strutturate con un orientamento basato sui canali piuttosto che sul cliente, spesso si determinano attriti tra i responsabili dei diversi canali. Gli incentivi tendono in genere ad essere legati al volume prodotto dal canale di vendita; in tale modo, ogni canale tende a massimizzare il proprio volume di vendita, anche a danno di altri. 2. Sotto-utilizzazione di immobili. I tradizionali canali di vendita necessitano di

strutture fisiche di diverso tipo: magazzini, uffici in filiali, call center, ecc. L’ottimizzazione di numero, dimensione e utilizzazione di queste risorse è cruciale, in quanto esse generano una percentuale elevata dei costi aziendali totali. Di conseguenza, se una parte notevole del volume prodotto fosse trasferito su canali online, risulterebbe modificata la struttura dei costi, con possibili rilevanti effetti negativi sul reddito d’impresa.

3. Conflitti di prezzo. I livelli dei prezzi online tendono ad essere sostanzialmente più bassi di quelli praticati in altri canali, in quanto i primi, di solito riferiti ad aziende pure online player, beneficiano di costi primi inferiori e presentano margini inferiori rispetto a quelli accettati dalle aziende tradizionali. Le aziende operanti con un sistema multicanale sono le prime a dover affrontare questo problema: per restare competitive online, devono accettare i prezzi imposti dai concorrenti in rete» (Bettucci, D’Amato, Perego & Pozzoli, 2016, pp. 9-10). Questa condotta, però, influisce anche sui prezzi applicati negli altri canali. «I clienti ben difficilmente possono accettare prezzi differenziati per gli stessi prodotti venduti in canali diversi. Di conseguenza, l’azienda è costretta ad allineare i prezzi su tutti i canali. Laddove sia pianificata, comunque, una politica di

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30 prezzi differenziati può essere un ottimo strumento per spostare i clienti dai tradizionali e più costosi canali di vendita a quelli online» (Tesser, 2002, pp. 129-130).

4. «Canali desincronizzati. L’utilizzo di una brand come versione dot.com dell’azienda, senza alcun legame con la realtà aziendale “tradizionale”, può ostacolare il successo del canale online. I clienti infatti tendono a percepire l’azienda come un tutt’uno, indipendentemente dai canali distributivi; essi si limitano a scegliere quello più conveniente, senza considerare che i diversi canali distributivi possano essere governati da aziende gestite in modo autonomo l’una dall’altra. Al contrario, si aspettano un certo grado di integrazione tra il canale online e quello offline» (Bettucci, D’Amato, Perego & Pozzoli, 2016, p. 10). La netta separazione del canale online dagli altri canali può inoltre creare problemi nella gestione delle informazioni ottenibili dai clienti. Uno dei vantaggi principali derivanti dall’utilizzo di Internet nel commercio elettronico è la capacità di ottenere dai navigatori del sito e dagli acquirenti un vasto spettro di informazioni, utili per una gestione più mirata di promozioni o di comunicazioni. La creazione di un canale online che operi in modo completamente autonomo dalla tradizionale attività, impedisce invece una completa utilizzazione delle opportunità offerte dalle nuove tecnologie (Zhang et al. 2010; Tesser, 2002).

Per quanto riguarda i conflitti esterni, ovvero tra attori all’interno della stessa filiera commerciale, si possono individuare tre principali tipologie di conflitti:

1. «costituzione di un canale diretto di vendita da parte dei produttori. I produttori che si servono di canali indiretti per raggiungere il mercato, possono, con l’utilizzo di Internet, scavalcare gli intermediari; la costituzione di un canale diretto di vendita troverebbe quindi l’opposizione delle strutture indirette di vendita. Nella maggior parte dei settori industriali, le vendite si realizzano prevalentemente attraverso i canali tradizionali; le

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31 imprese si trovano di fronte alla difficile scelta legata al rischio di perdita di ricavi e di deterioramento delle relazioni con i collaboratori esterni, per la costituzione di canali diretti di vendita incentrati sulle tecnologie offerte dal commercio elettronico» (Bettucci, D’Amato, Perego & Pozzoli, 2016, p. 10).

2. «Perdita del controllo sui canali di vendita. Nonostante spesso non gestiscano le relazioni con i clienti in modo diretto, le aziende tentano di controllare i propri canali di vendita, mediante la formazione di aree vendite pianificate, la distribuzione di procedure guida ai rivenditori, la presentazione di prodotti e di promozioni. Queste forme di controllo risultano tuttavia molto difficili da applicare se i propri rivenditori scelgono di utilizzare il canale online come strumento di distribuzione. Ad esempio, diventa quasi impossibile controllare se i rivenditori autorizzati vendano online al di fuori dell’area assegnata» (Bettucci, D’Amato, Perego & Pozzoli, 2016, pp. 10-11; Tesser, 2002).

3. «Spostamenti nella catena del valore. Anche se i produttori decidessero di non vendere i propri prodotti online in modo diretto, la presenza di siti Internet induce a modificare le posizioni di forza con i partner operanti nella rete di distribuzione. Funzioni molto importanti, come le informazioni rese ai clienti dagli intermediari presenti nel canale distributivo, possono essere fornite direttamente dal website del produttore, modificando in questo modo la catena del valore e ridefinendo in modo molto rilevante il ruolo dei rivenditori e il loro rapporto di forza con il produttore» (Bettucci, D’Amato, Perego & Pozzoli, 2016, p. 11). L’industria automobilistica offre un importante esempio in proposito. «La ricerca online di informazioni dettagliate su autoveicoli, è divenuta una fase consolidata nel processo di acquisto di automobili. Una funzione tradizionalmente importante del concessionario viene quindi meno, diminuendone l’importanza e di conseguenza il potere contrattuale nei confronti della casa madre» (Tesser, 2002, p. 131).

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32 L’entità dei conflitti di canale dipende in larga misura dal ruolo assegnato al canale online. «Se quest’ultimo rappresentasse un canale complementare alla tradizionale struttura distributiva, l’impatto negativo di eventuali conflitti potrebbe essere minimo; se, al contrario, minacciasse di sostituire altri canali, si potrebbero creare attriti con i partner commerciali. Inoltre, situazioni differenti si determinano quando si offrono gli stessi prodotti tramite Internet e attraverso i canali tradizionali, magari con la stessa marca, oppure si vendono nuovi prodotti a nuovi clienti con nuove marche» (Tesser, 2002, p. 131)

I contrasti su elencati minacciano l’impresa di raggiungere due obiettivi importanti dell’integrazione dei canali di vendita già abbondantemente descritti: rendere consistente l’esperienza d’interazione del consumatore con differenti canali riconducibili alla medesima impresa e centralizzare tutte le informazioni provenienti dai canali per approfondire la conoscenza dei clienti e del loro abitudini di acquisto, in modo da sviluppare e rafforzare la relazione nel tempo con questi (Bettucci, D’Amato, Perego & Pozzoli, 2016, Ricotta, 2009).

Per evitare che i conflitti di canale impediscano il raggiungimento di questi obiettivi, sono state individuate tre possibili soluzioni.

Le aziende devono, prima di tutto, valutare i canali esistenti, identificare, poi, i potenziali conflitti tra i canali e progettare, infine, quelli nuovi online, minimizzando le eventuali ostilità cercando di realizzare un’integrazione. Gli studi sul tema hanno individuato, a questo proposito, due modalità di integrazione (Bettucci, D’Amato, Perego, Pozzoli, 2016):

1. sincronia totale (Degeratu, Rangaswamy, Wu, 2000; Bettucci, D’Amato, Perego, Pozzoli, 2016), dove ogni canale presenta la medesima offerta con format analoghi o tra loro collegabili. Non vengono cioè proposte versioni di prodotti diverse per canale e i prezzi, sia online che off, sono omogenei; 2. asincronia totale, ovvero una politica che tende a conseguire un basso

livello di integrazione in termini di assortimento prodotti nei vari canali. La separazione netta tra le linee di prodotto, politiche di prezzo e di

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33 comunicazione è, quindi, la modalità previlegiata di questo approccio (Bettucci, D’Amato, Perego, Pozzoli, 2016; Ricotta, 2009).

Si tratta di due livelli di integrazione che l’azienda può innestare, sia in base ai benefici attesi e ai vincoli emergenti dalla domanda, sia dal tipo di prodotto e dal livello di competizione del business e, infine, sia struttura organizzativa dell’impresa stessa.

Bendoly et al. (2005) hanno messo in evidenza come crescenti gradi di sincronia tra canali si traducono in una maggiore rassicurazione e soddisfazione dei consumatori (Bettucci, D’Amato, Perego & Pozzoli, 2016). Altri studi confermano altresì come una maggiore integrazione e un maggior coordinamento tra canali permetterebbero redditività (Caveney, Jones, Phillips, 201516; Lewis et al. 2014) e fidelizzazione del cliente (Huseby, Lala et al. 201217) rispetto ad imprese che usano un approccio prettamente asincrono (Bettucci, D’Amato, Perego, Pozzoli, 2016).

1.5. Gli scenari cross-channel

Diversi contributi scientifici discutono molto sulle effettive potenzialità o meno degli scenari cross-channel.

L’assioma di partenza, secondo alcuni studi (Patridge, 2012), è che certamente non è più sufficiente per un’impresa collocare il proprio prodotto al momento giusto e nel posto giusto, ma, lo sviluppo e possibile integrazione tra i canali offline con quelli online, risulta essere la risposta più ad hoc al contesto competitivo stabilitosi oggigiorno.

Aziende come le su descritte click and mortar o servizi come quello del

click and collect sono le soluzioni ibride che, a questo proposito, stanno meglio emergendo negli ultimi anni (Herhausen et al., 2015).

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Report di Ernst&Young (2015), “Re-engineering the supply chain for the omni-channel of tomorrow”, Ernst & Young, London.

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