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Detomidina in combinazione con metadone e butorfanolo: confronto tra due protocolli per l'anestesia in standing nell'asino.

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Corso di Laurea Magistrale in Medicina Veterinaria

Detomidina, metadone e butorfanolo: confronto tra due

protocolli per l'anestesia in standing dell'asino

Candidato:

Massimiliano Degani

Relatori:

Dott.ssa Briganti Angela

Dott.ssa Sgorbini Micaela

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Rate yourself, rake yourself

Take the courage you have left.

(Mumford and Sons)

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Riassunto/Abstract Pag.4 Introduzione Pag.5 Capitolo Primo: Anestesia in standing negli equidi Pag.6

1.1 Indicazioni dell’anestesia in standing Pag.6

1.2 Vantaggi e svantaggi dell’anestesia standing Pag.8

Capitolo Secondo: Farmaci impiegati nell’anestesia in standing Pag.10

2.1 Farmaci Pag.10 2.2 Protocolli Pag.29

Capitolo Terzo: Anestesia negli asini Pag.37

3.1 Anatomia e fisiologia Pag.37 3.2 Farmacologia Pag.39 3.3 Protocolli per anestesia in standing Pag.45

Capitolo Quarto: Studio clinico Pag.50

4.1 Introduzione Pag.50 4.2 Scopo del lavoro Pag.50 4.3 Materiali e metodi Pag.50 4.4 Analisi Statistica Pag.56 4.5 Risultati Pag.57 4.6 Discussioni Pag.61 4.7 Limiti dello studio Pag.66 4.8 Conclusioni Pag.67

Bibliografia Pag.68 Ringraziamenti Pag.76

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Parole chiave: asini, anestesia in standing, detomidina, butorfanolo, metadone.

Obiettivo: valutazione e confronto dell’efficacia di due protocolli intramuscolari a base di

detomidina-metadone e detomidina-butorfanolo, nell’anestesia in standing nell’asino.

Materiali e Metodi: sono stati reclutati 14 soggetti appartenenti alla specie Equus Asinus, di razza sorcina crociata dell'Amiata. I pazienti sono stati sedati, per via intramuscolare, con detomidina a 60 μg/kg e metadone a 0,2 mg/kg (gruppo MET), o detomidina a 60 μg/kg e butorfanolo a 0,05 mg/kg (gruppo BUT). Raggiunto un grado di sedazione sufficiente, veniva iniziata la procedura. Eventuali deficit nella sedazione venivano corretti con boli di detomidina (10 μg/kg EV).

Risultati: Il peso medio dei soggetti reclutati è stato di 285 ± 50 kg, mentre l’età media è stata di 35 ± 9 mesi.

Sono state rilevate differenze significative a vari tempi ed in entrambi i gruppi, per quanto riguarda frequenza cardiaca, frequenza respiratoria, temperatura e sedazione.

Discussioni: La riduzione della FC i gruppi è giustificata dagli effetti cardiovascolari indotti dalla combinazione

di detomidina e un oppioide. La significativa riduzione della FR potrebbe essere stata indotta dagli oppioidi. La riduzione significativa della temperatura trova spiegazione sia nella farmacologia che nel comportamento dei soggetti. Nel caso della sedazione, la motivazione delle differenze tra i due gruppi sono da ricercare nella differente attività recettoriale degli agonisti puri rispetto agli agonisti-antagonisti.

Conclusioni: I due protocolli elaborati hanno permesso l’esecuzione di gastroscopie in standing nell’asino, in

modo efficace e sicuro. Il grado di sedazione determinato, in entrambi i casi, nei pazienti reclutati, è risultato soddisfacente. La somministrazione di boli aggiuntivi ha permesso di adeguare il piano sedativo nei soggetti che sono risultati scarsamente sedati. Possiamo affermare che la combinazione di detomidina e butorfanolo, rispetto a quella di detomidina e metadone, permetta un piano sedativo più profondo e stabile.

Abstract

Keywords: donkeys, standing anesthesia, detomidine, butorphanol, methadone.

Aim of the study: evaluating and comparing the effectiveness of two intramuscular protocols based on detomidine in combination with methadone or butorphanol, for standing anesthesia in donkeys.

Materials and Methods: 14 subjects, belonging to the species Equus Asinus (Sorcino Crociato of Amiata) were enrolled. Patients were sedated, by intramuscular route, with detomidine 60 µg/kg and methadone 0.2 mg/kg (MET group), or detomidine 60 µg/kg and butorphanol 0.05 mg/kg (BUT group). Achieved a sufficient degree of sedation, the procedure was started. Any sedation deficits were corrected with boluses of detomidine (10 mg/kg IV)

Results: Mean weight was 285 ± 50 kg, while the mean age was 35 ± 9 months. Significant differences of heart rate, respiratory rate, temperature and sedation at various times and in both groups were detected.

Discussions: The reduction in FC groups is justified by the cardiovascular effects induced by the combination of detomidine and an opioid. The significant reduction of the FR may have been induced by opioids. The significant reduction in temperature is explained both in pharmacology both in behavior of the subjects. For what concerns sedation , the justification for differences between the two groups are to be found in the different activities of the receptor agonists compared to agonist - antagonists

Conclusions: The developed protocols allowed the execution of gastroscopy in standing donkeys, effectively and safely. The sedation level is satisfactory in both groups. The administration of additional boluses allowed to adjust the sedative plan in subjects who were poorly sedated. We can say that the combination of detomidine and butorphanol , compared to that of detomidine and methadone , let a deeper and more stable sedative plane.

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Molte delle procedure cliniche e chirurgiche che interessano “i grossi animali”, ed in particolare gli equidi, possono essere eseguite in standing, senza la necessità, cioè, di ricorrere all’anestesia generale. Il soggetto mantiene la stazione quadrupedale, con minimi gradi di atassia, in uno stato di sedazione tale da consentire al veterinario di compiere procedure di entità diverse, che vanno dalla diagnostica fino alla chirurgia avanzata. E’ ovvio che, per consentire il corretto svolgimento delle suddette procedure, nel rispetto della sicurezza e della salute non solo del paziente, ma anche degli operatori, sia necessario un piano sedativo adeguato. Per questo motivo, l’elaborazione di un protocollo maneggevole, economico, sicuro ed efficace rappresenta un fattore di fondamentale importanza con il quale, il medico veterinario che intenda occuparsi di anestesia equina in standing è tenuto a relazionarsi. Lo scopo di questo studio è confrontare l’efficacia di due protocolli per l’anestesia in standing nell’asino, animale che sta tornando a ricoprire un ruolo sempre più importante nella nostra società, non solo per il lavoro, ma, sempre più spesso, anche semplicemente da compagnia.

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Capitolo Primo: Anestesia in standing negli equidi

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1.1 Indicazioni dell’anestesia in standing

Negli equidi, a differenza dei piccoli animali domestici, è possibile effettuare alcune procedure cliniche, diagnostiche e chirurgiche “in standing”, attraverso cioè, un contenimento farmacologico in grado di determinare un’adeguata sedazione e copertura analgesica, senza pregiudicare l’abilità del paziente a mantenere la stazione quadrupedale. Questo aspetto ha reso la sedazione standing nel cavallo una tecnica routinaria nella pratica veterinaria equina (Wagner et al, 2011).

Le procedure che si possono effettuare su un equide sedato, come detto in precedenza, vanno dalla clinica fino alla chirurgia e diagnostica avanzata: si possono tranquillamente eseguire trattamenti di patologie a carico del cavo orale, degli occhi e della cute. Si possono effettuare radiografie, ecografie, endoscopie del tratto digerente e respiratorio, lavaggi broncoalveolari, fino ad arrivare ai trattamenti chirurgici: orchiectomie (anche in laparoscopia), miectomie, trapanamento dei seni, exeresi neoformazioni cutanee, estrazioni dentali (Wilson et al. 2006).

Dal punto di vista anestesiologico la standing sedation viene considerata una profonda sedazione, in quanto manca l’induzione dell’anestesia generale

(Valverde & Doherty 2006). È una tecnica a cui si ricorre quando il paziente si trova in condizioni tali da rendere controindicata l'anestesia generale, anche se in realtà sarebbe sempre preferibile svolgere determinate procedure sul cavallo in stazione. Infatti questo tipo di sedazione permette un adeguato mantenimento dei

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meccanismi compensatori, depressi durante l’anestesia generale, ed evita l’effetto dannoso del decubito sugli scambi respiratori e sulla perfusione ematica, riducendo l’incidenza delle complicanze legate all’anestesia generale (Johnston et al. 2002; Wagner 2009; Senior 2013; Vigani & Garcia-Pereira 2014). La capacità di effettuare procedure su cavalli in stazione quadrupedale aumenta perciò la sicurezza della paziente (Wagner et al. 2011).

Riassumendo, l'obiettivo della standing sedation è quello di ottenere un paziente in grado di rimanere in stazione, con un'atassia minima o quantomeno accettabile, non responsivo a stimoli e manipolazioni diverse, anche di tipo algico (Taylor & Clarke 2007). Per questo motivo risulta fondamentale la scelta del protocollo anestesiologico, il quale dovrebbe essere quindi in grado di determinare sedazione, adeguata analgesia e minimi livelli di atassia (Vigani & Garcia-Pereira 2014). Gli agenti principalmente utilizzati nei protocolli standing sono: fenotiazine, α2-agonisti e oppioidi (Hubbel 2007). L’acepromazina può essere utilizzata per determinare un moderato e duraturo grado di sedazione e può ridurre la dose richiesta di altri sedativi. È doveroso però considerare che le fenotiazine sono sprovviste di proprietà analgesiche (Love et al. 2012; Vigani e Garcia-Pereira 2014). Gli α2-agonisti sono molto apprezzati nei protocolli standing per le proprietà sedative, l’analgesia viscerale e somatica e il miorilassamento. È possibile riscontrare atassia marcata, prevalentemente a elevati dosaggi, complicanza che può ostacolare il mantenimento della stazione quadrupedale (Rohrbach et al. 2009; Vigani & Garcia-Pereira 2014). Gli oppioidi possono essere utilizzati per determinare un adeguato piano analgesico. L’utilizzo di oppioidi in combinazione con α2-agonisti determina un effetto sinergico dei

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farmaci con potenziamento dell’effetto sedativo-analgesico e riduzione delle dosi di entrambi. Tra le complicanze legate agli oppioidi è possibile riscontrare un effetto eccitatorio al livello centrale, in grado di determinare una scarsa qualità della sedazione (Muir 2009; Vigani & Garcia-Pereira 2014). I dissociativi nel paziente in standing vengono utilizzati solo a dosaggi sub-anestetici, sfruttandone l’azione analgesica somatica. La ketamina viene spesso somministrata in infusione, associata ad α2-agonisti e lidocaina, con conseguente riduzione dei dosaggi richiesti (Wagner et al. 2011; Vigani & Garcia-Pereira 2014). L’associazione di ketamina, oppioidi e α2-agonisti determina un adeguato piano analgesico, facilitando la manipolazione del paziente (Fielding et al. 2006; Lankveld et al. 2006; Larenza, et al. 2009; Wagner et al. 2011; Valverde 2013). L’aggiunta di tecniche di anestesia locale o loco regionale (TAP block, blocco a L, epidurale, spinale, ecc.) al protocollo, permette di facilitarne l’esecuzione e di ridurre il dosaggio dei farmaci utilizzati, nonché i relativi effetti indesiderati (Vigani & Garcia-Pereira 2014).

1.2 Vantaggi e svantaggi dell’anestesia in standing

La sedazione “in standing”, rispetto all'anestesia generale, presenta aspetti positivi e parallelamente negativi. Per quanto concerne i vantaggi, innanzitutto va evidenziato, come già accennato in precedenza, che si ottiene, in stazione quadrupedale, un abbassamento del rischio di insorgenza di complicazioni collegate all'anestesia generale: si ottiene una riduzione della morbilità e mortalità, una minor depressione cardiorespiratoria dovuta al decubito e una riduzione dei

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rischi connessi alle fasi di induzione e risveglio.

Esistono poi fattori più tecnici che concorrono a rendere più accessibile la sedazione in standing, come un costo ridotto (non sono necessarie infatti particolari attrezzature e macchinari) ed infine un minor tempo richiesto per il completamento della procedura.

Nonostante quanto detto, esistono contestualmente anche degli svantaggi, legati soprattutto al fatto che la principale difficoltà della standing sedation consiste nel raggiungere e mantenere un corretto piano sedativo e analgesico. In particolare, se il piano risulta troppo leggero, si possono creare condizioni che impediscono il corretto svolgimento della procedura (specie se chirurgica), fino ad arrivare a situazioni di pericolo per il paziente stesso e per gli operatori coinvolti (Valverde & Doherty 2006). Va infatti ricordato come la stazza, il peso, il temperamento e la tendenza al panico sono tutti fattori da tenere in considerazione quando si approccia ad un cavallo. Al contrario, un piano anestesiologico eccessivamente profondo può provocare una grave atassia. Il cavallo, infatti, tende a rimanere in stazione, tuttavia, non è escluso che possa cadere o sdraiarsi, in caso di sedazione eccessiva (Taylor & Clarke, 2007).

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Capitolo Secondo: Farmaci

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2.1 Farmaci impiegati nell’anestesia in standing

Come già accennato in precedenza, è di estrema importanza negli equidi formulare e predisporre un protocollo sicuro ed affidabile, soprattutto nel caso di un contenimento farmacologico con il paziente in stazione, per eseguire procedure cliniche e chirurgiche di breve o media durata.

La grande varietà di farmaci e combinazioni fra questi, somministrabili in un equide, con il fine di ottenere un soggetto calmo e collaborativo, costituisce forte testimonianza del gran numero di opinioni diverse su quale agente o quale protocollo sia il migliore per una particolare situazione clinica (Muir, 2009).

Tradizionalmente, le molecole utilizzate per indurre sedazione o analgesia sono classificate sulla base della loro struttura chimica, dell'effetto farmacologico o del meccanismo d'azione. In particolare, ricordiamo i tranquillanti, i sedativi, gli ipnotici ed i neurolettici. L'azione predominante dei tranquillanti è quella di alleviare l'ansia senza causare maggiore sedazione; i sedativi alleviano la tensione e l'ansia del soggetto, facilitandone il sonno; gli ipnotici sono farmaci che deprimono l'attività del sistema nervoso centrale e inducono il sonno o ne aumentano la profondità; i neurolettici, infine, sono descritti come tranquillanti maggiori, il cui profilo farmacologico include: l'inibizione dell'attività motoria volontaria, l'antagonismo verso il vomito indotto da apomorfina e l'antagonismo

verso l'eccitazione anfetamina-indotta (Valverde & Doherty 2006). Questa

classificazione si effettua soprattutto in farmacologia umana, dove c'è una netta distinzione, ad esempio, tra sedativi e tranquillanti: questa distinzione è basata sui

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diversi siti del Sistema Nervoso Centrale (SNC) dove il farmaco può esercitare la sua azione primaria, ad esempio, se ha attività corticale o subcorticale.

Negli equidi, il sito d'azione spesso non è ben definito e per di più gli effetti farmacologici possono differire molto da quelli descritti in altre specie. Per questo, in farmacologia equina, una tale distinzione non è possibile: tutti i suddetti farmaci vengono definiti sommariamente come sedativi-tranquillanti. (Mason, 2004).

Tra i farmaci generalmente utilizzati nella standing sedation si possono riscontrare: fenotiazine, α2-agonisti, benzodiazepine, oppioidi e anestetici dissociativi, come

la ketamina (a dosaggi sub-anestetici). FENOTIAZINE

Le fenotiazine costituiscono una classe farmacologica prevalentemente conosciuta per le proprietà tranquillanti, grazie alla loro capacità di determinare nel soggetto calma, sedazione, indifferenza all’ambiente circostante e riduzione dell’attività motoria.

Il loro principale meccanismo d'azione è legato, infatti, all’antagonismo nei confronti della dopamina sui recettori D2, a livello dei gangli della base, del sistema limbico e del tronco encefalico (Mason, 2004).

Parallelamente le fenotiazine modificano l'attività di altre catecolamine, come l'epinefrina e la norepinefrina. Per questo motivo hanno la capacità di inibire l’eccitazione indotta dagli oppioidi, che, soprattutto nel caso della morfina, determinano il rilascio di dopamina e norepinefrina nel sistema nervoso centrale, determinando eccitazione ed un aumento dell’attività motoria (Muir 2009).

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proionilpromazina e la prometazina, il cui utilizzo negli equidi è stato abbandonato, a causa della loro imprevedibilità e la marcata insorgenza di effetti collaterali, conseguente alla loro somministrazione. Le uniche molecole ancora utilizzate con successo nell'anestesia equina sono la promazina e l'acepromazina. Quest'ultima in particolare è la più utilizzata in assoluto (Valverde & Doherty, 2006; Taylor & Clarke, 2007; Muir, 2009), in quanto è più potente della cloropromazina e della promazina e, al tempo stesso, non produce con la medesima frequenza gli effetti collaterali (Muir, 2009). Nel caso delle fenotiazine, questi ultimi sono riconducibili in gran parte alla loro capacità di bloccare i recettori α1-adrenergici, responsabili del mantenimento del tono vascolare: la

diretta conseguenza è una riduzione della pressione arteriosa di 15-20 mmHg. Ne consegue tachicardia riflessa, soprattutto in soggetti che hanno in circolo elevate concentrazioni di catecolamine, a causa di paura o stress, iperglicemia e ipotermia. Nel paziente normovolemico, tale evento risulta clinicamente trascurabile, ma in caso di soggetti ipovolemici, può risultare anche molto grave. L’ipovolemia non rappresenta l’unica controindicazione all’uso di acepromazina: alcuni autori ne sconsigliano l’utilizzo nel caso di stalloni di razza a causa del prolasso penieno che essa comporta. Esiste infatti la possibilità, anche se solo occasionale, che il prolasso sfoci in priapismo e/o parafimosi (Taylor & Clarke 2007).

Per quanto riguarda l’utilizzo dell’acepromazina per il contenimento in stazione del soggetto, in bibliografia è riportata tale posologia:

0,02 - 0,04 mg/kg, EV (Vigani & Garcia-Pereira 2014)).0,025 - 0,15 mg/kg, EV; 0,05 - 0,3 mg/kg IM (Muir 2009).

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0,02 - 0,05 mg/kg, EV; 0,1 mg/kg IM (Valverde & Doherty 2006).0,03 - 0,04 mg/kg, EV (Taylor & Clarke 2007).

All’aumentare della dose di somministrazione si vedrà aumentare la durata dell’effetto ma non l’intensità della sedazione (Wilson et al. 2006; Vigani & Garcia-Pereira 2014). Elevati dosaggi possono però comportare ripercussioni extrapiramidali quali alterazione comportamentale, moderata rigidità, riluttanza al movimento, tremori muscolari, irrequietezza (Muir 2009). Il picco sedativo può essere apprezzato dopo 15-20 minuti dalla somministrazione endovenosa del farmaco: nel caso di somministrazione intramuscolare, questo effetto si verifica dopo 30-45 minuti (Vigani & Garcia-Pereira 2014). La durata della sedazione è stimata invece intorno alle 3-4 ore (Vigani & Garcia-Pereira 2014); sopra le 6 ore

(Muir 2009); sopra le 3 ore (Wilson et al. 2006). In caso di inserimento dell’acepromazina in un protocollo adibito all’anestesia generale, la posologia presente in letteratura risulta molto simile a quella precedentemente menzionata :

0,02 - 0,04 mg/kg, EV (Vigani & Garcia-Pereira 2014).0,05 mg/kg, EV; 0,1 mg/kg, IM (Muir 2009).

0,02 - 0,05 mg/kg, EV; 0,1 mg/kg IM (Valverde & Doherty 2006).

Clinicamente la molecola può quindi essere utilizzata come sedativo, ai fini di contenimento farmacologico del paziente, oppure può costituire, in associazione o meno ad altre molecole, la premedicazione in protocolli anestesiologici

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finalizzati all’anestesia generale (Valverde & Doherty 2006). Difficilmente però l’acepromazina viene utilizzata come unico agente di premedicazione: viene associata ad altri farmaci dalle proprietà sedative, quali oppioidi e α2-agonisti. La

mancata attività analgesica del farmaco, in assenza di associazione ad analgesici, ne limita l’utilizzo alle procedure non dolorose (Valverde & Doherty 2006).

ALFA2-AGONISTI

Gli α2-agonisti costituiscono una classe di farmaci sedativi-analgesici non oppiodi

(Muir 2009), largamente utilizzata negli equidi, a scopo sedativo e analgesico

(Valverde & Doherty 2006). Gli α2-agonisti interagiscono con i recettori

α-adrenergici, situati a livello del sistema nervoso (centrale e periferico), ma anche a livello di tessuti non nervosi. In particolare, essi agiscono sia a livello presinaptico, dove inibiscono il rilascio di catecolamine, con conseguente riduzione dell’attività nervosa simpatica, sia a livello postsinaptico, dove mimano l’azione delle catecolamine, attivando il sistema simpatico.

I farmaci appartenenti a questa classe determinano effetti clinici simili, ma non identici: questo dipende dalla selettività nei confronti dei recettori. Maggiore è la selettività verso i recettori α2, minore risulta l’affinità nei confronti degli α1, ai

quali è legata, oltretutto, la comparsa degli effetti indesiderati (Valverde 2010).

Per quanto riguarda i recettori α2, ne sono stati individuati tre sottotipi (α2A/D,

α2B, α2C), anche se comunque la loro presenza e/o distribuzione nel cavallo non è stata ancora dimostrata (Mason, 2004).

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Xilazina α1: α2 = 1:160 Romifidina α1: α2 = 1:340 Detomidina α1: α2 = 1:260 Medetomidina α1: α2 = 1:1.620

(Muir 2009)

All’aumentare della selettività relativa ai recettori α2-adrenergici, come già detto,

si riscontra una maggiore potenza d’effetto, soprattutto a livello centrale. La medetomidina, ad esempio, è considerata 10 volte più potente della xilazina e 6 volte più potente della detomidina (Valverde 2010).

Questa classe di farmaci presenta molte delle caratteristiche attribuibili a un preanestetico ideale, tra cui: prevedibilità, ansiolisi, marcata sedazione, indifferenza alle procedure moderatamente dolorose (Muir 2009).

Come accennato in precedenza, la sedazione è dovuta all’inibizione del rilascio di catecolamine nel sistema nervoso centrale. Infatti, dalla stimolazione dei recettori α2-adrenergici del locus ceruleus deriva un’inibizione del rilascio di norepinefrina e dopamina, con conseguente inibizione dei neuroni periferici e centrali, che provocano uno stato di sedazione dose dipendente, nonché analgesia e miorilassamento (Muir 2009). L’azione analgesica deriva invece dall’attività a livello spinale e sovraspinale. Nel primo caso, il sito di azione corrisponde alla lamina superficiale del corno dorsale. Dall’attivazione dei recettori presinaptici deriva l’inibizione al rilascio di sostanza P dalle fibre C e, in misura minore, dalle fibre A∂; l’attivazione dei recettori postsinaptici, invece, determina l’inibizione di un vasto range di neuroni. Il sito d’azione sovraspinale è rappresentato invece dal

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tronco encefalico: qui, l’attivazione dei recettori α2A e αC determina,

rispettivamente, sedazione e variazioni comportamentali che possono contribuire all’effetto analgesico (Valverde 2010).

Correlato al grado di sedazione si riscontra miorilassamento, prevalentemente a carico della testa, collo e orecchie. Altri effetti sono la riduzione della frequenza respiratoria e del volume tidalico, accompagnata da una moderata diminuzione della PaO2 e aumento della PaCO2. La compromessa ossigenazione è la diretta

conseguenza della vasocostrizione e della ridistribuzione del flusso ematico polmonare. Questa depressione respiratoria indotta dall’utilizzo di xilazina o romifidina risulta minore rispetto a quella dovuta all’utilizzo di equipotenti dosi di medetomidina e detomidina (Muir 2009). L’utilizzo di α2-agonisti determina

quindi importanti variazioni emodinamiche: si può apprezzare un aumento iniziale della resistenza vascolare periferica come risposta all’interazione sui recettori post sinaptici, con incremento della pressione arteriosa, soprattutto a seguito di somministrazione endovenosa. Ciò comporta una stimolazione dei barocettori aortici e carotidei che, sommata all’effetto centrale degli agenti utilizzati, ha come risultato una riduzione della frequenza cardiaca fino al 50-60% rispetto al valore basale. Oltre alla bradicardia, si possono riscontrare alterazioni della conduzione atrio-ventricolare, quali blocchi atrioventricolari di I, II e III grado (Wilson et al. 2006).

Sono molteplici le possibilità di utilizzo di questi farmaci: possono essere somministrati, in associazione o meno ad altre molecole, per il contenimento del paziente in stazione quadrupedale (in questo caso è utile ricorrere all'infusione continua), oppure in premedicazione, ai fini dell’anestesia generale. Possono

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essere inoltre somministrati per via epidurale (Muir 2009): l’azione analgesica deriva da un aumento della concentrazione di acetilcolina all’interno del liquido cefalorachidiano, rilasciata a livello del corno dorsale del midollo spinale. Inoltre, come già descritto, il legame con i recettori adrenergici pre e postsinaptici a livello spinale, determina rispettivamente arresto della liberazione di sostanza P e inibizione neuronale. Viene prevalentemente bloccata la conduzione delle fibre C, ma sono interessate anche le A. In questo senso, la xilazina sembra avere un effetto maggiore rispetto agli altri α2-agonisti: dosaggi pari a 0,17-0,25 mg/kg

sono in grado di determinare analgesia chirurgica della regione perineale entro 15-30 minuti dalla somministrazione, per una durata di 3,5 ore. La detomidina viene invece utilizzata a dosaggi maggiori: questo può determinare, a seguito di assorbimento sistemico, atassia e sedazione. A 30-60 μg/kg si evidenzia analgesia chirurgica entro 10-25 minuti dalla somministrazione, per una durata complessiva di 150 minuti.

Le iniezioni endovenose con un dosaggio pari a 0,5-1 mg/kg di xilazina, 0,01-0,02 mg/kg di detomidina e 0,05-0,1 mg/kg di romifidina permettono di avere un grado di sedazione idoneo all’esecuzione di molte procedure cliniche, tra cui radiografie, endoscopie e chirurgie minori, con l’ausilio di anestesia locale (Taylor & Clarke 2007). Nel caso delle somministrazioni intramuscolari, generalmente, si utilizzano dosaggi doppi o tripli (Valverde & Doherty 2006). Ripetendo o aumentando la dose si ottiene un aumento della durata degli effetti ma non del grado di sedazione (Muir 2009).

I farmaci possono essere utilizzati in associazione con oppioidi e anestetici locali, permettendo di ridurre le dosi singole utilizzate e ridurre il rischio di assorbimento

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sistemico degli agenti (Grubb, Riebold & Huber 1992; Skarda & Muir 1996; Valverde 2010). La combinazione con gli oppioidi determina neuroleptoanalgesia e quindi un migliore grado di sedazione e analgesia rispetto all’utilizzo di ciascuno di questi farmaci da solo. Si riscontra una minore incidenza di effetti indesiderati, grazie all’utilizzo di dosaggi minori dei singoli farmaci (Valverde 2010). Molti cavalli, dalla somministrazione per via endovenosa o intramuscolare, diventano clinicamente depressi, divengono indifferenti all’ambiente circostante, la testa si abbassa verso il suolo, il collo esteso e si evidenzia la procidenza del labbro inferiore. Gli arti posteriori possono cedere, alcuni cavalli tendono ad inciampare o risultano marcatamente atassici (Muir 2009). Occorre fare attenzione poiché alcuni cavalli, che possono sembrare molto sedati, riescono comunque a calciare con precisione, se adeguatamente stimolati (Taylor & Clarke 2007).

Importante effetto collaterale da tenere in considerazione, per quanto riguarda l'utilizzo degli α2-agonisti negli equidi, è la riduzione marcata dell'attività

mioelettrica e propulsiva e dei tempi di svuotamento nell'intero tratto gastrointestinale, dall'esofago al colon.

L'utilizzo di queste molecole può quindi portare ad una soppressione dei sintomi clinici della colica e, parallelamente, possono favorirne l'insorgenza. Questi effetti sono da porre in correlazione all'inibizione, operata da questa classe di sedativi, dell'attività colinergica postgangliare nel suddetto distretto (Muir, 2009). In particolare la xilazina, ad un dosaggio di 0,5 mg/kg riduce l'attività mioelettrica a livello duodenale, anche se in modo leggero e con una durata dell'effetto relativamente breve (circa 30 minuti). La detomidina (12,5 μg/kg) induce un'inibizione più significativa, con una durata che può raggiungere anche un'ora

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(Mason 2004). All'auscultazione, i borborigmi risultano significativamente ridotti fino a 3 ore, dopo la somministrazione di detomidina a 20 μg/kg (Jones, 1993).

Addirittura è stata dimostrata la differente sensibilità dei diversi tratti dell'intestino agli α2-agonisti: in particolare, dosaggi di xilazina e medetomidina,

rispettivamente 1 mg/kg EV e 0,0075 mg/kg EV, hanno effetti maggiori sul digiuno, piuttosto che sul colon e sul cieco (Sasaki et al, 2000). Anche se il meccanismo farmacologico alla base di questa differenza rimane sconosciuto, è probabile che esso sia dovuto al diverso controllo nervoso sulla muscolatura del piccolo e grosso intestino. In particolare, a livello del digiuno, i nervi esogeni simpatici e parasimpatici hanno poche connessioni con i nervi del plesso intramurale (Malone, 1996).

Gli effetti determinati dalla somministrazione di α2-agonisti possono essere

antagonizzati da farmaci α2-antagonisti. Nel cavallo è riportato l’utilizzo di

yohimbina, idazoxan e atipamezolo. Tra gli α2-antagonisti, l’atipamezolo è quello

con una maggiore selettività verso i recettori α2-A. Gli altri antagonisti citati sono

in grado di interagire anche con i recettori α1-adrenergici, con la possibilità di

determinare ipotensione in alcuni soggetti (Yamashita et al. 1996; Ramseyer et al. 1998; Hubbel & Muir 2006; Muir 2009).

BENZODIAZEPINE

Diazepam, midazolam e zolazepam sono le benzodiazepine maggiormente in uso nell’anestesia degli equidi (Wilson et al. 2006). Si tratta di farmaci dalle proprietà

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ansiolitiche, miorilassanti ed anticonvulsivanti; inoltre, sono in grado di incrementare l’effetto sedativo ipnotico di anestetici iniettabili e inalatori (Muir 2009).

Le benzodiazepine hanno un’attività “GABA-simile”. Determinano una maggiore affinità dell’acido-α-aminobutirrico (GABA), importante neurotrasmettitore ad attività inibitoria, verso il recettore GABAA, localizzato in vari distretti del sistema nervoso centrale, nei gangli del sistema nervoso autonomo e alcuni organi. Il risultato dell’interazione tra i farmaci e il recettore porta, quindi ad un’inibizione dell’eccitabilità neuronale (Lamont & Mathews 2007).

Raramente vengono impiegate come singolo farmaco nel cavallo: sono spesso associate a tranquillanti, analgesici oppioidi e non-oppioidi, per incrementare sedazione e miorilassamento, oltreché ridurre il quantitativo di anestetico necessario al mantenimento dell’anestesia (Muir 2009). Le benzodiazepine vengono comunemente associate ad anestetici dissociativi, ai fini dell’anestesia generale, per contrastare l’aumentato tono muscolare che essi comportano (Muir et al. 2000; Taylor & Clarke 2007; Muir 2009).

Nel cavallo adulto, frequentemente, per indurre l’anestesia, vengono somministrate dosi pari a 0,02-0,05 mg/kg EV, di diazepam o midazolam, associate a 2-2,5 mg/kg EV, di ketamina, previa premedicazione con α2-agonisti.

L’associazione permette un maggior grado di miorilassamento e una migliore qualità dell’induzione (Valverde & Doherty 2006).

Queste molecole sono utilizzate anche a scopo sedativo, non tanto nel cavallo adulto in cui tale proprietà è minima, quanto nel puledro, in cui risulta, invece,

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molto efficace e permettono di contenere il paziente ed effettuare procedure non dolorose (Wilson et al. 2006). Occasionalmente possono essere utilizzate, in associazione a sedativi-ipnotici o analgesici, per il contenimento chimico del paziente. Tuttavia è necessario considerare che il grado di atassia e miorilassamento determinato possono essere pronunciati.

L’impiego di dosi cliniche (0,05-0,1 mg/kg) di diazepam e midazolam comportano scarse o nulle variazioni cardiorespiratorie nel cavallo adulto. In caso di somministrazione endovenosa di dosi elevate (0,6 mg/kg) si può apprezzare una riduzione della frequenza respiratoria e una riduzione, non significativa, della pressione arteriosa, causate dall’inibizione dell’attività simpatica. Le benzodiazepine sono prive di attività analgesica, considerazione di cui sarebbe opportuno tener conto nella formulazione del protocollo anestesiologico. È possibile antagonizzare gli effetti centrali e periferici delle benzodiazepine mediante la somministrazione di flumazenil (0,01-0,05 mg/kg, EV) o sarmazenil (0,025-0,1 mg/kg, EV) (Muir 2009).

OPPIOIDI

Quelli che comunemente vengono definiti oppioidi sono sostanze esogene, derivanti dall'oppio, che espletano la propria attività grazie all’interazione con recettori dislocati all’interno del sistema nervoso centrale e autonomo ed in organi periferici (Muir 2009). Tali recettori sono principalmente classificati in:

Mu (μ): associati a profonda analgesia ma anche ad effetti indesiderati come

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Kappa (k): la loro attivazione produce analgesia meno intensa rispetto a

quella associata ai recettori μ; allo stesso tempo comporta minori effetti indesiderati.

Delta (∂): si pensa che siano coinvolti principalmente nella modulazione

dell’attività dei recettori μ e nel determinare analgesia.

(Wilson et al. 2006)

Si ritiene che l’azione analgesica degli oppioidi derivi dalla loro capacità di inibire le vie nocicettive ascendenti, del corno dorsale del midollo spinale e nell’attivare le vie inibitorie discendenti. La localizzazione, la densità e la sovrapposizione dei vari tipi recettoriali con altri recettori pertinenti, come gli adrenorecettori, a livello del sistema nervoso centrale e a livello periferico, determina il loro effetto sul comportamento, sul sistema autonomo e sulla modulazione del dolore. In funzione dell’interazione tra il farmaco e i tipi recettoriali è possibile distinguere:

Agonisti puri: ne fanno parte morfina, metadone e fentanyl. Interagiscono

principalmente con il recettore μ. Sono considerati potenti analgesici.

Agonisti parziali: la buprenorfina presenta un elevato grado di affinità verso

il recettore μ ma ne determina un’attività limitata.

Agonisti-antagonisti: hanno attività agonista verso i recettori k ma sono

antagonisti dei μ. Il butorfanolo è il farmaco, appartenente a questa categoria, più celebre. L’azione analgesica è mediata dal recettore k1.

Antagonisti: ne sono inclusi il naloxone, nalmenfene e naltrexone. La loro

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maniera minore nei confronti dei k e ∂.

(Valverde & Doherty 2006)

Il cavallo possiede un profilo recettoriale e una densità di recettori unici rispetto alle altre specie. Questo rende la specie equina molto sensibile agli stimoli nervosi indotti dalla somministrazione della classe. Alti dosaggi ed un uso prolungato di oppioidi agonisti o parzialmente agonisti possono portare ad uno stato di eccitazione, iperriflessia, aumento dell’attività motoria, sudorazione profusa, tachicardia e iperventilazione (Gutstein & Huda 2006; Carregaro et al. 2007; Muir 2009). Per questo motivo, spesso sono utilizzati nel cavallo in combinazione con sedativi-ipnotici (fenotiazine e/o α2-agonisti) per ottenere neuroleptoanalgesia

(Bennet & Steffey, 2002; Muir 2009).

In caso di procedure standing sedation, i dosaggi e le vie di somministrazione consigliate sono le seguenti:

Morfina (0,15 mg/kg, EV; 0,25 mg/kg, IM)

Butorfanolo (0,02–0,05 mg/kg, EV; 0,05–0,1 mg/kg, IM) Meperidina IM (1–2 mg/kg)

Metadone (0,1 mg/kg) EV, IM

(Doherty & Valverde, 2006)

Detto questo, gli oppiodi sono in grado di determinare depressione respiratoria in molte specie, ma questo effetto non sembra avere rilevanza clinica nel cavallo, se non in caso di marcata sedazione. Infatti, ad una ridotta frequenza respiratoria, indotta farmacologicamente, corrisponde un aumento del volume tidalico, che

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mantiene inalterato il volume minuto ed il valore dei gas ematici (PaO2, PaCO2).

A seguito della somministrazione di dosaggi clinici, generalmente, non si verificano importanti variazioni emodinamiche. In caso di elevate dosi di morfina o butorfanolo, si può riscontrare un aumento della frequenza cardiaca e della pressione arteriosa, verosimilmente secondario agli effetti eccitatori sul sistema nervoso. Al contrario, la somministrazione di oppioidi, preceduta dalla sedazione del paziente, comporta una lieve riduzione dei parametri precedentemente menzionati, a causa dell’effetto deprimente sul sistema nervoso e l’aumentato tono vagale. Se iniettati in combinazione con sedativi e/o anestetici, gli oppioidi non determinano significative variazioni emodinamiche (Muir 2009). Da tenere in considerazione è l’inoculazione epidurale o spinale, che permettono un’analgesia duratura dell’area innervata grazie all’azione sui recettori a livello del midollo spinale (Valverde & Doherty 2006; Muir 2009; Vigani & Garcia-Pereira 2014)). Come già accennato per quanto riguarda gli α2-agonisti, è doveroso monitorare

la motilità gastrointestinale in modo da riconoscere tempestivamente l’eventuale sviluppo di ileo, soprattutto a seguito di somministrazioni ripetute. Gli oppioidi, infatti, sono in grado di inibire il rilascio di acetilcolina dal plesso mesenterico, determinando un incremento del tono muscolare e una riduzione della contrattilità gastrointestinale (Taguchi et al.2001; Lamont & Mathews 2007; Muir 2009). Causano iperpolarizzazione neuronale, innalzando la soglia di eccitazione, e, indirettamente, inibiscono il rilascio di acetilcolina a livello delle cellule muscolari lisce, causando conseguentemente una ridotta motilità (Wong et al. 2011).

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spiazzati tramite la somministrazione di oppioidi antagonisti, il cui utilizzo dovrebbe essere riservato a situazioni d’emergenza: l’effetto si presenta velocemente, antagonizzando l’azione degli oppioidi, compresa l’analgesia. Naloxone, naltrexone e nalmfene sono oppioidi antagonisti puri in grado di legarsi ai recettori degli oppioidi, occupando il sito recettoriale senza determinarne l’attivazione. Il naloxone è il farmaco antagonista prevalentemente utilizzato nel cavallo (0,002-0,02 mg/kg, EV). L’effetto del farmaco ha una durata minore rispetto a molti oppioidi agonisti, per cui è doveroso monitorare il paziente per individuare tempestivamente la ricomparsa dello stato di narcosi

(Lamont e Mathews 2007). ANESTETICI DISSOCIATIVI

Gli anestetici dissociativi costituiscono una classe farmacologica molto apprezzata per l’induzione dell’anestesia negli equidi, in grado di determinare catalessi, analgesia e amnesia nel paziente, senza provocarne depressione cardiovascolare

(Bettschart-Wolfensberger & Larenza, 2007). La dissociazione viene indicata come uno stato caratterizzato dell’interruzione della trasmissione degli stimoli ascendenti verso le aree encefaliche responsabili delle funzioni consce e non, associata ad una depressione centrale generalizzata.

Il meccanismo d’azione degli anestetici dissociativi risulta complesso e non completamente chiaro. Molti degli effetti psicotropi, anestetici e analgesici si ritiene siano legati all’interazione delle molecole con i recettori N-Metil-DAspartato (NMDA) per il glutammato verso i quali esercita un effetto di antagonismo non competitivo (Lin, 2007). L’interazione tra i farmaci e i recettori

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per gli oppiodi a livello centrale sembra concorrere all’effetto analgesico degli agenti, mediante l’inibizione di neuroni nel corno dorsale del midollo spinale

(Muir 2009). In ragione del mancato miorilassamento che accompagna l’impiego dei dissociativi, questi non dovrebbero essere somministrati senza che sia stato raggiunto un rilassamento adeguato dei muscoli scheletrici. Solitamente la somministrazione di sedativi (α2-agonisti) e miorilassanti ad azione centrale

(benzodiazepine e guaiafenesina) permette di eludere la problematica (Hubbel 2007). Un’idonea premedicazione, inoltre, risulta fondamentale per ridurre l’incidenza di reazioni comportamentali avverse, tra cui incremento dell’attività motoria, iperriflessia, delirio e atassia, dovute alla dismetria e alle alterazioni visive e uditive che seguono la depressione del collicolo inferiore e del nucleo genicolato mediale, indotti dalle molecole (Beck 1976; Wright 1982; Lin 2007).

Tra i farmaci dissociativi, i più utilizzati nell’anestesia equina sono la ketamina e la tiletamina, molecole dalle simili caratteristiche farmacodinamiche (Lin 2007).

La ketamina è il dissociativo comunemente più utilizzato. Come accennato in precedenza, il meccanismo d’azione deriva principalmente dall’antagonismo verso i recettori NMDA, ma la molecola è in grado di interagire con molti neurotrasmettitori ad azione centrale; può determinare un aumento delle concentrazioni encefaliche di serotonina e dopamina che può portare ad eccitazione e ad un aumento dell’attività motoria del soggetto (Muir 2009). La ketamina, a differenza di altri anestetici, come propofol o barbiturici, non determina depressione del sistema cardiovascolare. Nonostante la molecola eserciti un effetto di depressione diretta dell’attività cardiaca, risulta predominante la stimolazione indiretta sul sistema, determinata dall’inibizione del reuptake delle

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catecolamine a livello neuronale con conseguente stimolazione dei recettori α2

-adrenergici. Ne deriva un incremento della frequenza cardiaca, della pressione arteriosa e dell’output cardiaco (Miletich et al. 1973; Muir et al. 1977; Cook, Carton & Housemans 1991; Muir & Sams, 1992; Bettschart-Wolfensberger & Larenza, 2007).

Se non associata ad altri farmaci con attività deprimente l’apparato respiratorio, a dosaggi clinici, non determina una depressione tale da provocare ipossia nel soggetto. In alcuni cavalli, prevalentemente in caso di elevato dosaggio, è possibile riscontrare un‘alterazione del pattern respiratorio, definito apneustico, caratterizzato da lunghe pause inspiratorie. La PaCO2 rimane all’interno del range

fisiologico, mentre si può apprezzare una riduzione della PaO2. È doveroso

considerare che i valori analizzati, presenti in letteratura, si riferiscono al paziente in decubito, in cui, a causa della mole degli organi che gravano sull’apparato respiratorio, si può verificare un’alterazione del rapporto ventilazione - perfusione

(Booth 1988; Lin 2007; Muir 2009).

Negli equidi la ketamina, secondo la letteratura, risulta essere un elemento fondamentale in molti protocolli anestesiologici: viene somministrata, ad esempio, in associazione a sedativi-ipnotici, miorilassanti e analgesici in corso di anestesie totalmente intravenose di breve durata; può essere utilizzata come agente d’induzione per anestesie gassose, oppure in infusione durante il mantenimento dell’anestesia generale, (Butera et al.1978; Fisher 1984; Luna et al. 1997; Kushiro et al. 2005; Knobloch et al. 2006; Lankveld et al. 2006; Muir 2009); infine può essere anche adottata, a dosaggi sub anestetici, in corso di anestesie in standing. Nel caso di protocolli TIVA per procedure di breve durata, in cui, generalmente,

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oltre agli agenti utilizzati per l’induzione, non vengono somministrati farmaci aggiuntivi per il mantenimento, è possibile affermare che il risveglio dall’anestesia risulta rapido e pacato, con il soggetto che acquista la posizione quadrupedale senza difficoltà (Kaka et al. 1979; Waterman, et al. 1987; Muir 2009).

Nel caso in cui la ketamina sia utilizzata come unico farmaco di mantenimento, oppure sia somministrata in associazione, per un periodo prolungato, è probabile ottenere un risveglio prolungato, di scarsa qualità, caratterizzato da tremori e rigidità muscolare, atassia, eccitazione, sudorazione intensa e comportamento similschizofrenico. Per evitare la manifestazione di effetti indesiderati sarebbe opportuno sospendere la somministrazione di ketamina 15 - 20 minuti prima della fine dell’intervento chirurgico ed eventualmente effettuare una sedazione post operatoria del paziente (Schatzman e Girard 1984; Spadavecchia et al. 2002; Bettschart-Wolfensberger & Larenza 2007). Ai fini di evitare un sovraddosaggio farmacologico o un piano anestesiologico inappropriato per la chirurgia, è necessario basarsi su parametri clinici quali frequenza respiratoria e pattern respiratorio, nistagmo, grado di miorilassamento, anziché sulla posizione del globo oculare e sulla risposta alla stimolazione palpebrale. La valutazione della frequenza cardiaca e della pressione arteriosa in modo strettamente correlato alle eventuali stimolazioni algiche è di estrema utilità per stimare l’idoneità del piano anestesiologico.

Per quanto concerne l'utilizzo della ketamina in procedure di standing sedation, invece, vanno citate le sue proprietà analgesiche, sfruttabili a dosaggi sub anestetici. Come già detto in precedenza, il ruolo nel controllo del dolore perioperatorio si esplica attraverso il suo meccanismo d'azione, quindi mediante

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l'antagonismo verso i recettori NMDA, a livello encefalico e spinale. In particolare, impedisce e/o riduce la sensibilizzazione delle vie nocicettive centrali e periferiche, dando come risultato un'eccellente analgesia somatica, ma scarsa a livello viscerale, sia in fase acuta che cronica. Con questa finalità, può essere quindi somminstrata in infusione continua o in boli ripetuti, da sola o in associazione, con i seguenti dosaggi (Doherty & Valverde 2004).

Infusione endovenosa continua di ketamina: 0,4–0,8 mg/kg/h, con bolo

di carico 1 mg/kg.

Boli di ketamina (0,1–0,2 mg/kg, EV) e xilazina (0,3 mg/kg, EV).

2.2 Protocolli

Come già detto in precedenza, la scelta del protocollo anestesiologico risulta sempre di fondamentale importanza, per tutelare il benessere del paziente e parallelamente garantire la sicurezza necessaria allo svolgimento della procedura. Questi obiettivi sono ovviamente validi anche per l'anestesia degli equidi e ancor di più nel caso di procedure in standing sedation. Un contenimento farmacologico in stazione è tanto più efficace quanto più facilmente si ottengono tre caratteristiche, fortemente correlate fra loro: sedazione, analgesia e minimi livelli di atassia.

I protocolli anestesiologici per le sedazioni in standing sedation si avvalgono di farmaci, vie di somministrazione e tecniche diverse. Per quanto riguarda i farmaci, si ricordano in particolare gli α2-agonisti e gli oppioidi, mentre, parlando delle vie

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di somministrazione, si può ricorrere a iniezioni intramuscolari, boli o infusioni continue endovenose. A seconda poi del tipo di procedura, chirurgica o diagnostica che sia, si possono adottare anche diverse tecniche di anestesia loco-regionale (epidurale, TAP block, blocco a “L” e blocchi periferici sensitivi). Come detto, la gestione di una sedazione in standing sedation si può basare semplicemente sulla somministrazione endovenosa di boli. Questa tecnica, che è anche la più comune, consente di raggiungere rapidamente gli effetti farmacologici propri del farmaco scelto, anche se vi è il rischio reale di provocare una sedazione eccessiva. Ad esempio, per quanto riguarda gli α2-agonisti, le dosi

consigliate in letteratura sono le seguenti (Doherty, Valverde 2004):

Detomidina: 0,005–0,02 mg/kg. Xilazina: 0,3–1,0 mg/kg.

Medetomidina: 0,0035–0,007 mg/kg. Romifidina: 0,03–0,1 mg/kg.

Per elevare il grado di sedazione, spesso, si tende a combinare gli effetti degli α2

-agonisti con quelli dati da altre classi di sedativi: l'esempio più calzante è costituito dalle fenotiazine, in particolare dall'acepromazina. La combinazione è particolarmente utile per approfondire lo stato di sedazione del soggetto, soprattutto se spaventato o stressato, senza però causare i pesanti effetti indotti dagli oppioidi (Taylor & Clarke 2007). Bisogna però ricordare che, mancando gli oppioidi, anche l'analgesia sarà di livello inferiore e, avendo l'acepromazina un onset molto ritardato nel tempo, si suggerisce di somministrare gli α2-agonisti

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circa 15-30 minuti prima (Doherty &Valverde, 2004).

Sono riportati in letteratura i dosaggi endovenosi per tale tipo di combinazione (Taylor & Clarke 2007) :

Acepromazina (0,02–0,05 mg/kg) e xilazina (0,5–0,6 mg/kg) Acepromazina (0,03–0,04 mg/kg) e detomidina (0,01 mg/kg) Acepromazina (0,03–0,04 mg/kg) e romifidina (0,05 mg/kg)

Considerando però la necessità di raggiungere, contestualmente alla sedazione, anche una buona analgesia, soprattutto in caso di procedure chirurgiche, spesso bisogna combinare più classi di farmaci. Gli oppioidi sono spesso associati a sedativi-ipnotici per produrre neuroleptoanalgesia, termine che si riferisce alla combinazione di un neurolettico (tranquillante e/o sedativio) ad un analgesico oppioide (Muir, 2009). In particolare, l'uso di α2-agonisti non solo permette una

riduzione dei dosaggi rispetto a quelli usati in caso di somministrazione dei singoli farmaci, non solo aumenta la potenza e l'effetto sedativo, ma consente anche di prevenire gli effetti eccitatori provocati dall'uso singolo degli oppioidi. Per questo se ne raccomanda la somministrazione solo una volta raggiunto l'effetto indotto dagli α2-agonisti (Valverde, 2006).

Fra queste combinazioni, le più utilizzate e studiate prevedono l'utilizzo di α2

-agonisti e oppioidi, a cui può essere anche aggiunta l'acepromazina. Oppure quest'ultima può andare a sostituire l'α2-agonista. Di seguito sono riportati cui i

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Xilazina (0,5–1,0 mg/kg) e butorfanolo (0,02 mg/kg-0,05 mg/kg) Xilazina (0,5 mg/kg) e metadone (0,1 mg/kg) Xilazina (0,5–1 mg/kg) e morfina (0,15 mg/kg) Detomidina (0,005–0,015 mg/kg) e butorfanolo (0,02-0,005 mg/kg) Detomidina (0,01–0,015 mg/kg) e metadone (0,1 mg/kg) Detomidina (0,01–0,015 mg/kg) e buprenorfina (0,006 mg/kg) Detomidina (0,005–0,01 mg/kg) e morfina (0,15 mg/kg). Medetomidina (0,0035–0,005 mg/kg) e metadone (0,1 mg/kg). Romifidina (0,05-0,01 mg/kg) e butorfanolo (0,02–0,05 mg/kg) Acepromazina (0,02–0,05 mg/kg) e butorfanolo (0,02–0,04 mg/kg) Acepromazina (0,05–0,1 mg/kg) e metadone (0,1 mg/kg) Acepromazina (0,03–0,06mg/kg), butorfanolo (0,01–0,02 mg/kg) e detomidina (0,01–0,015 mg/kg)  Acepromazina (0,04–0,06 mg/kg), metadone (0,05–0,1 mg/kg), detomidina (0,01–0,015 mg/kg)

Una valida alternativa all'utilizzo di boli è l'infusione continua endovenosa, altrimenti detta CRI (costant rate infusion). Essa consente di ottenere nel paziente uno stato di sedazione più costante ed eventualmente modulabile, una volta somministrato il bolo di carico. Infatti, un'infusione endovenosa comporta la distribuzione della dose un farmaco in una soluzione, direttamente nel sangue, per un tempo prolungato, per ottenere e mantenere una determinata e costante concentrazione. A causa del sua lenta distribuzione, l'onset del farmaco è ritardato senza, appunto, il bolo di carico o “loading dose” (Ld). Quest'ultimo può essere

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calcolato, conoscendo la concentrazione target nel plasma (Ct) e il volume di distribuzione (Vd) del farmaco, con la seguente formula: Ld = Ct x Vd (Muir, 2009). Il tempo richiesto per raggiungere lo stato stazionario della concentrazione del farmaco nel plasma è determinato esclusivamente dalla sua emivita. Senza il bolo di carico, è necessaria un'emivita di 4 o 5 volte superiore per ottenere l'effetto terapeutico (Doherty &Valverde, 2004).

Il vantaggio enorme conferito dall'infusione continua, come già accennato, è quello di poter regolare nel tempo la somministrazione di farmaco al paziente, in base all'evolversi del piano anestesiologico. Inoltre, raggiungere e mantenere nel tempo una concentrazione costante di farmaco, inferiore rispetto a quella di una singola somministrazione, previene l'insorgenza degli effetti collaterali (Sellon et a., 2001). I farmaci impiegabili possono essere α2-agonisti, per regolare lo stato

sedativo, oppure oppioidi o ketamina (a dosaggi subanestetici), in base all'intensità di un eventuale stimolo algico.

Nel caso degli α2-agonisti, la durata d'azione di un bolo alla dose comune d'uso,

è di solito breve e quindi spesso è necessario, somministrarne dei seguenti, se non nel caso delle procedure minori. Questo comporta che gli effetti cardiovascolari siano più severi, ogni volta che viene somministrato un bolo. D'altra parte, una infusione continua endovenosa consente di raggiungere una concentrazione plasmatica costante e una sedazione stabile. Inoltre, gli effetti cardiovascolari osservati dopo un bolo di carico sono minimi durante la conseguente infusione e il livello di sedazione viene contemporaneamente mantenuto (Bettschart-Wolfensberger et al.1999). Perciò una CRI risulta essere più sicura della somministrazione ripetuta di boli, consente di raggiungere un livello di sedazione più

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costante nel tempo e migliora lo svolgimento della procedura. Alcuni esempi di farmaci e dosaggi utilizzabili per un'infusione continua in corso di anestesia standing sedation sono elencati di seguito (Muir, 2009; Doherty & Valverde 2004):

Medetomidina: bolo di carico (0,005 mg/kg); CRI (0,0035 mg/kg/h) Detomidina: bolo di carico (0,8-1 mg/kg); CRI (0,65 mg/kg/h) Butorfanolo: bolo di carico (0,02 mg/kg); CRI (0,024 mg/kg/h)  Morfina: bolo di carico (0,1-0,2 mg/kg); CRI (0,03 mg/kg/h)

La detomidina in CRI, ad esempio, è stata usata sia in via sperimentale (Daunt et al. 1993; Aguiar et al. 2009) che in pratica clinica (Wertz et al. 1994; Wilson et al.2002). Può essere utilizzata in combinazione sia con buprenorfina (Van Dijk et al. 2003) che butorfanolo (Aguiar et al. 2009), oppure con ketamina ed un oppioide, morfina o butorfanolo (Abrahamsen,2007). Per quanto riguarda invece la medetomidina, questa è stata utilizzata in combinazione con la morfina per sedazioni prolungate per laparoscopie esplorative (Solano et al. 2009). Perciò tali farmaci possono essere anche utilizzati contemporaneamente ed in combinazione tra loro, ovviamente regolandone i dosaggi (Muir, 2009; Doherty & Valverde 2004):

Medetomidina e butorfanolo:

-Medetomidina: bolo di carico (0,005 mg/kg); CRI (0,018 mg/kg/h) -Butorfanolo bolo di carico: (0,02 mg/kg); CRI (0,012 mg/kg/h).

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-Detomidina: bolo di carico (0,8-1 mg/kg), CRI (0,02 mg/kg/h) -Butorfanolo: bolo di carico (0,02 mg/kg/h), CRI (0,012 mg/kg/h)

Detomidina e morfina:

-Detomidina: bolo di carico (0,8-1 mg/kg); CRI (0,02 mg/kg/h) -Morfina: bolo di carico (0,1-0,2 mg/kg); CRI (0,015 mg/kg/h)

La ketamina in infusione continua viene inserita nei protocolli per standing sedation per ottenere una copertura analgesica ulteriore, utilizzando però dosaggi subanestetici. In questo caso può essere somministrata ad un dosaggio di 0,4-0,8 mg/kg/h, senza assistere all'insorgenza degli effetti collaterali comportamentali (Fielding et al, 2006.

Farmaco Bolo di carico (μ/kg,

EV)

CRI (μ/kg/h, EV) Se insufficiente

sedazione (μ/kg,

EV)

Riferimenti

Detomidina 7,5 ± 1,87 36 6 Wilson et al, 2002

Detomidina o Detomidina + Butorfanolo 8 8 20 40 20 13 Aguiar et al, 2009 Detomidina + Buprenorfina 10 6

6 ± 0,6 Van Dijik et al, 2009

Detomidina + Ketamina + Morfina o Butorfanolo 11-22 nessuno 100-150 11-16 22 600 25-50 22 2,2-4,4 16.7-34 5-7 Abrahamsen, 2007 Medetomidina 5 3,5 Bettschart-Wolfensberger et al., 1999a Medetomidina + Morfina 5 50 (dopo 10') 5 30 0,6 Solano et al, 2009

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Nel corso di una standing sedation, soprattutto per procedure chirurgiche, è importante quindi garantire una buona copertura analgesica. Come detto, la somministrazione di boli o CRI di α2-agonisti, oppioidi e ketamina, risultano

molto utili. Nonostante questo, per ottenere un risparmio sui volumi di farmaci e parallelamente evitare effetti collaterali dovuti all'accumulo, spesso è indicato ricorrere a tecniche di anestesia loco-regionale. La scelta della tecnica dipende da numerosi fattori, quali il sito interessato, il tipo e la durata prevista della chirurgia, la taglia, il temperamento e lo stato generale del paziente, le conoscenze tecniche e la strumentazione a disposizione dell'anestesista (Muir, 2009).

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Capitolo Terzo: Anestesia negli asini

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3.1 Anatomia e fisiologia

Nella categoria “equidi” vanno inseriti, ovviamente, anche asini e muli, i quali però presentano caratteristiche anatomiche, fisiologiche e comportamentali uniche e differenti rispetto al cavallo.

Gli asini fanno parte della specie Equus asinus, al cui interno, volendo, è possibile stilare un'ulteriore classificazione: negli Stati Uniti, ad esempio, il criterio di suddivisone è la stazza: si definiscono asini “in miniatura” quelli alti meno di 34 pollici al garrese; asini standard variano da 34 a 54 pollici, mentre asini “mammut” risultano alti più di 54 pollici (Matthews, 2009).

I muli nascono invece dall'allevamento e dalla riproduzione tra un asino maschio e ed una cavalla, mentre un bardotto da uno stallone e da un'asina. I muli sono più variabili nel comportamento e nella loro struttura corporea, che infatti dipende dalla madre: ad esempio, cavalle Purosangue Arabe danno alla vita puledri diversi da quelli nati da cavalle da tiro (Matthews, 2009).

Sebbene asini e muli possano apparire indistinguibili, viste, ad esempio, le lunghe orecchie, i secondi hanno caratteristiche che li avvicinano maggiormente ai cavalli, tra cui la coda e la testa più fine. Gli asini hanno invece una coda più simile a quella di un bovino: lunga, sottile e con un ciuffo di peli terminale (Matthews, 2009).

Per quanto riguarda l'anestesia, però, vale la pena ricordare altre differenze anatomiche importanti. Una prima peculiarità è riferibile alle vie aeree: se comparati a cavalli di pari taglia, asini e muli presentano narici, laringe e trachea

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più strette: questo si traduce nella necessità di un tubo endotracheale di dimensioni minori rispetto ad un cavallo di peso simile (Doherty & Valverde, 2006). Altra caratteristica interessante è legata invece alla vena giugulare, sede elettiva per la cateterizzazione venosa negli equidi. Questa, pur non collocandosi in una posizione diversa rispetto al cavallo, è coperta da una fascia muscolare e da uno strato cutaneo molto più spesso (Herman, 2009), il che rende la vena meno visibile. Per questo motivo, il catetere dovrebbe essere abbastanza lungo (almeno 9 cm, secondo alcuni autori), in quanto si riduce il rischio di una dislocazione durante le varie fasi della procedura (Matthews & Van Loon, 2013) e bisogna inserirlo con un'angolazione quasi perpendicolare (Matthews, 2009). È inoltre consigliato un buon contenimento durante questa procedura: si può ricorrere ad esempio ad un'iniezione di lidocaina in sede transdermica per anestetizzare la zona. Parlando invece di cateterizzazione arteriosa, il decorso delle branche dell'arteria facciale, collocate sotto la cresta temporale, rendono più difficile tale procedura (Matthews, 2009).

Passando agli aspetti prettamente fisiologici, nell'asino, i valori basali di temperatura, frequenza cardiaca e respiratoria sembrano essere leggermente diversi rispetto al cavallo.

L'asino è un animale termolabile: per questo la temperatura può aumentare con un grado maggiore rispetto a quanto si pensi, soprattutto in condizioni climatiche calde ed in seguito ad esercizio prolungato (Matthews, 2009).

La frequenza cardiaca risponde in modo simile al cavallo e per questo motivo risulta essere un buon indicatore di dolore o stress, mentre altri parametri in apparenza risultano normali (Matthews, 2009): gli asini, infatti, nel loro essere

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stoici di fronte al dolore, assomigliano molto di più ad un bovino, piuttosto che ad un cavallo (Matthews & Taylor, 2002). La frequenza respiratoria a riposo è invece più altra rispetto al cavallo: 20-30 atti al minuto sono considerati normali

(Matthews, 2009).

Sempre secondo Matthews, leggere differenze rispetto al cavallo si presentano anche per quanto riguarda i valori ematologici e biochimici e risulta di estrema importanza conoscerli (Svedsen, 2008a). Ad esempio, essendo, l'asino, un animale adattato alla vita in zone aride e desertiche, non si rileva un aumento dell'ematocrito finché non si raggiunga un grado di disidratazione di circa il 30%

(Matthews, 2009), in quanto presentano un sistema di bilancio idrico diverso rispetto al cavallo (Matthews & Taylor, 2002). La produzione urinaria è inferiore, anche quando l'acqua è disponibile; ogni qualvolta questa non sia accessibile e le temperature aumentino, la perdita idrica fecale viene ridotta (Maloiy 1970): il tratto terminale dell'intestino, quindi, funge da riserva d'acqua, come nei ruminanti (Kasirer-Izraely et al. 1994).

Altre differenze si rilevano nei valori basali di ACTH e trigliceridi, i quali risultano più alti anche in soggetti sani, mentre quelli di l'insulina sono significativamente inferiori (Dugat et al. 2010). Sebbene generalmente siano resistenti alle malattie, gli asini sembrano essere particolarmente suscettibili all'iperlipidemia in corso di anoressia (Watson et al. 1990).

3.2 Farmacologia

Pochissimi farmaci sono approvati e registrati per l'uso sull'asino, quindi la maggior parte deve essere somministrata “off-label”. I dosaggi sono spesso

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estrapolati da quelli determinati per il cavallo, anche se diversi autori affermano quanto questa usanza sia errata (Grosenbaugh et al. 2011). Sono state, infatti, documentate differenze nel metabolismo e nella risposta a determinati anestetici e analgesici: in generale, sono richieste dosi maggiori di circa il 30% per l'asino

(Doherty & Valverde 2004).

L'impatto delle differenze fisiologiche deve essere considerato alla luce del loro

effetto sulla farmacologia: ad esempio, nell'asino il volume plasmatico è

mantenuto anche in soggetti disidratati, come già accennato, mentre il cavallo è notoriamente meno resistente. Sembra inoltre che gli asini possiedano un’aumentata capacità metabolica per determinate molecole, fattore forse correlabile a differenti isoenzimi nel citocromo P450 (Peck et al. 1997).

Le principali fonti di variabilità interspecie rispetto al farmaco, comunque, devono essere spiegate attraverso l'applicazione di nozioni di farmacocinetica e farmacodinamica. Partendo dalla farmacocinetica, è necessario prendere in considerazione tre parametri, utilizzati generalmente per determinare i regimi di dosaggio di un farmaco: biodisponibilità, distribuzione ed escrezione, o clearance. Con biodisponibilità si intende la velocità e il grado con cui un farmaco viene assorbito, a partire dal sito di somministrazione, ed entra nella circolazione sistemica. È determinata da tre parametri che insieme descrivono il tasso e l'entità della distribuzione della molecola: la concentrazione plasmatica di picco, il momento di picco della concentrazione plasmatica e la superficie totale sotto il tempo di curva della concentrazione (AUC).

Il volume di distribuzione (Vd) è definito come l'apparente volume in cui un farmaco viene disciolto e dipende dalla natura dei compartimenti corporei, che

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ovviamente differiscono notevolmente tra le specie. Il Vd dipende da proprietà del farmaco come il pKa, la liposolubilità, le dimensioni molecolari e il tipo di legame con le proteine. Farmaci fortemente legati alle proteine, infatti, rimangono nello spazio vascolare, mentre farmaci liposolubili possono diffondersi con facilità in altri compartimenti come, ad esempio, il colon negli equidi. Il volume di distribuzione deve essere noto, per calcolare la dose da somministrare, al fine di raggiungere una certa concentrazione del farmaco nel plasma. Il tratto intestinale distale dell'asino funge da serbatoio d'acqua, come già detto, il che potrebbe spiegare alcune differenze nella distribuzione e nella biodisponibilità dei farmaci.

La clearance è definita come il volume di plasma depurato da un farmaco per l'unità di tempo, mentre la clearance corporea totale è calcolata sulla base di tutti i sistemi coinvolti nell'eliminazione del farmaco, sia a livello epatico che renale. Poiché essa costituisce un parametro utile per calcolare la dose, per unità di tempo, necessaria per raggiungere una data concentrazione nel plasma, queste differenze devono essere prese in considerazione durante la preparazione di un protocollo farmacologico. Il metabolismo epatico dell'asino ha dimostrato di essere più

rapido rispetto al cavallo per vari farmaci, come il fenilbutazone (Mealey et al.

1997) e guaifenesina (Matthews et al. 1997a). Per quanto riguarda quest'ultima, è stato dimostrato, in particolare, che la somministrazione endovenosa alla dose di 131 mg/kg provoca il decubito di un asino in circa 11 minuti, mentre sono

necessari 211 mg/kg e 39 minuti nel cavallo (Matthews et al. 1997b). Questa

caratteristica può però essere più una conseguenza comportamentale, piuttosto

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Allo stesso modo, l'escrezione tubulare renale del sulfametoxasolo è maggiore nell'asino (Peck et al. 2002).

L'emivita di eliminazione è invece il tempo richiesto perché un farmaco raggiunga il 50% della concentrazione plasmatica di partenza. Si differenzia dalla clearence in quanto non separa il tasso di eliminazione di un farmaco dalla sua disponibilità. È utile per determinare gli intervalli di dosaggio, per ottenere i quali è indispensabile la conoscenza delle differenze farmacocinetiche tra cavallo e asino. Per i farmaci in cui l'escrezione tende ad essere più rapida rispetto al cavallo, ad esempio, potrebbe essere necessario aumentare il numero di somministrazioni, per mantenere una specifica concentrazione plasmatica, piuttosto che aumentarne

il dosaggio (Doherty & Valverde, 2004).

Parallelamente, l'aumento della biodisponibilità e il più piccolo volume di distribuzione dell'asino, per alcuni farmaci, possono predisporre all'insorgenza di effetti tossici (Grosenbaugh et al. 2011).

È invece competenza della farmacodinamica interessarsi dei processi che portano un farmaco a raggiungere il sito d'azione e ad esercitare il proprio effetto, dopo il legame con il corrispondente recettore di membrana. Questo legame provoca un cambiamento conformazionale che, una volta trasmesso attraverso la membrana cellulare, innesca eventi intracellulari. Se il recettore-bersaglio non è presente, non si ha l'effetto: questo spiega ad esempio la dimostrata e significativa variabilità inter-specie tra cavallo e cane, rispetto alla localizzazione e alla densità dei recettori per oppioidi e α2-agonisti nel sistema nervoso centrale (Hellyeret al. 2003). Queste differenze determinano altrettante differenti reazioni comportamentali tra le due specie in seguito alla somministrazione di oppioidi. È

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