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Sommario
Riassunto analitico ... 4 L’acromegalia ... 8 Definizione ... 8 Prospettive storiche ... 8 Epidemiologia ... 9 Patogenesi ... 9 Clinica ... 12Approfondimento su complicanze dell’acromegalia di particolare interesse per la tesi: l’ipertensione arteriosa ... 16
Approfondimento su complicanze dell’acromegalia di particolare interesse per la tesi: le alterazioni della tolleranza glicidica ed il diabete mellito. ... 17
Approfondimento su complicanze dell’acromegalia di particolare interesse per la tesi: alterazioni del metabolismo lipidico, l’ipercolesterolemia e l’ipertrigliceridemia. ... 17
Approfondimento su complicanze dell’acromegalia di particolare interesse per la tesi: le alterazioni del metabolismo dell’acido urico. ... 18
Approfondimento su complicanze dell’acromegalia di particolare interesse per la tesi: gli eventi cardiovascolari. ... 18
Diagnosi ... 20
Trattamento ... 23
Terapia chirurgica ... 24
Terapia medica con analoghi della somatostatina (SSA) ... 24
Terapia medica con antagonista recettoriale del GH ... 26
Terapia medica con dopamino-agonisti ... 26
Terapia radiante ... 27
3
Risultati del trattamento ... 29
Lo studio ... 31
Materiali e metodi ... 31
I soggetti ... 31
Gli schemi di terapia considerati e la suddivisione nei gruppi T0, T1 e T2 .. 33
Gli outcome presi in esame ... 35
Il disegno dello studio ... 39
Analisi statistica ... 42
Risultati ... 43
Outcome ipertensione arteriosa ... 43
Outcome diabete mellito e prediabete ... 50
Outcome ipercolesterolemia ... 60
Outcome ipertrigliceridemia ... 66
Outcome iperuricemia ... 73
Considerazioni sugli outcome presi in esame finora ... 79
Outcome eventi cardiovascolari ... 84
Considerazioni sullo sviluppo di eventi cardiovascolari ... 95
Conclusioni ... 97
Bibliografia ... 99
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Riassunto analitico
Background
L’acromegalia è una rara sindrome determinata da un’eccessiva secrezione dell’ormone della crescita (GH) sostenuta, nella quasi totalità dei casi, da un adenoma ipofisario GH-secernente. L’eccesso di GH (e della sua molecola effettrice, IGF-1) è responsabile delle complicanze sistemiche, incluse quelle cardiovascolari, che caratterizzano la malattia e che determinano, in ultima analisi, un incremento della mortalità.
Alcune tra le complicanze sistemiche dell’acromegalia, quali l’ipertensione arteriosa, il diabete mellito, le alterazioni del metabolismo lipidico e purinico, rappresentano fattori di rischio cardiovascolare.
La terapia ideale dell’acromegalia consisterebbe nella rimozione chirurgica dell’adenoma ipofisario (Hx) e nella normalizzazione della secrezione del GH; tuttavia questo obiettivo si raggiunge in circa il 50% dei pazienti operati. La restante parte dei pazienti richiede altre terapie, tra le quali la terapia medica, che è principalmente effettuata con analoghi della somatostatina (SSA) e, più recentemente, anche con l’antagonista del recettore del GH (Pegvisomant, Peg). Gli analoghi della somatostatina, oltre a ridurre la secrezione di GH dalle cellule ipofisarie, hanno complessi effetti metabolici, inclusi quelli a carico del metabolismo glucidico, riducendo ad esempio la secrezione insulinica da parte delle cellule insulari del pancreas; il Pegvisomant, agendo da antagonista del recettore del GH determina alterazioni che potrebbero ritrovarsi nella sindrome di Laron.
Scopo dello studio
Lo scopo principale dello studio è stato quello di confrontare il ruolo di diverse terapie per l’acromegalia riguardo allo sviluppo delle complicanze sistemiche che contribuiscono al rischio cardiovascolare; l’obiettivo secondario è stato quello di valutare l’impatto dei fattori di rischio sullo sviluppo di eventi cardiovascolari acuti.
5 Materiali e metodi
Lo studio è di tipo storico-prospettico: nonostante la sua natura sia di tipo retrospettivo, tutti i pazienti sono stati seguiti sulla base di un protocollo standardizzato adottato da molti anni, e questo significa che i dati sono stati raccolti in maniera prospettica; la valutazione clinica e biochimica dei pazienti acromegalici è stata effettuata ogni sei mesi e la terapia è stata modificata come appropriato nel corso di ogni visita.
Sono stati presi in esame i dati di 200 pazienti seguiti presso la Sezione di Endocrinologia del Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale dell’Università di Pisa e dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana dal 1974 ad oggi, suddivisi in due gruppi:
Primo gruppo: pazienti guariti dopo il solo intervento di Hx
Secondo gruppo: pazienti trattati mediante terapia medica con SSA
I pazienti sono stati valutati per lo sviluppo delle seguenti complicanze sistemiche (outcome): Ipertensione arteriosa
Diabete mellito o prediabete Ipercolesterolemia
Ipertrigliceridemia Iperuricemia
Per ogni singolo outcome sono stati esclusi i pazienti che presentavano la specifica complicanza sistemica già alla diagnosi di acromegalia. La comparsa di ogni outcome è stata valutata durante il periodo di follow-up (max 20 anni); sono stati inoltre valutati i tempi di comparsa, lo schema terapeutico a cui il paziente era stato sottoposto, e la contemporanea presenza di fattori di rischio specifici per la complicanza sistemica presa in esame. È stato effettuato un confronto tra gruppi mediante il test non parametrico di Wilcoxon per le variabili continue e mediante il test del chi quadrato per le variabili categoriche; sono state stimate le curve di sopravvivenza mediante il metodo di Kaplan-Meyer; sono state condotte l’analisi univariata e multivariata utilizzando il modello di regressione di Cox.
6 Risultati
1) Fattori di rischio per lo sviluppo degli outcome a. Fattori di rischio generali
Come atteso, fattori di rischio riconosciuti nella popolazione generale sono risultati significativi anche nella popolazione acromegalica: esempi sono l’età per l’ipertensione arteriosa (HR: 25,870; I.C.95%: 3,580-192,590) e per il diabete mellito (HR: 4,790; I.C.95%: 0,883-27,787), oppure il BMI per l’ipertensione arteriosa (HR: 5,725; I.C.95%: 0,989-29,634), per l’ipertrigliceridemia (HR: 13,160; I.C.95%: 1,450-103,030) e per l’iperuricemia (HR: 19,400; I.C.95%: 2,557-136,21).
b. Fattori di rischio specifici dell’acromegalia
Alcune caratteristiche della malattia acromegalica costituiscono di per sé fattore di rischio: esempi sono l’attività di malattia (definita come IGF1 superiore alla norma per l’età) e la durata di malattia (definita come numero di mesi con IGF1 superiori alla norma), che influenzano sia lo sviluppo di tutti gli outcome considerati ad esclusione dell’ipercolesterolemia (ad esempio per il diabete si ritrova: HR: 1,924; I.C.95%: 0,949-3,715) sia i tempi di sviluppo degli stessi (ad esempio il tempo medio di sviluppo dell’ipertensione arteriosa è di 77,16 ± 59,90 mesi tra i pazienti con malattia attiva e di 120,17 ± 73,77 mesi tra i soggetti con malattia controllata).
c. Ruolo della terapia per l’acromegalia
Si è inoltre visto che la scelta terapeutica ha avuto un ruolo sullo sviluppo degli outcome presi in esame: è emersa una tendenza maggiore allo sviluppo di ipertensione arteriosa, diabete, ipercolesterolemia, ipertrigliceridemia e (in misura più modesta) iperuricemia nel gruppo di pazienti trattati con terapia medica con SSA rispetto al gruppo di pazienti trattati con terapia chirurgica (ad esempio, per l’ipertrigliceridemia: HR: 2,100; I.C.95%: 0,670-9,215); interessanti sono risultati anche i dati riguardanti un confronto sui tempi, che dimostrano come non soltanto i soggetti trattati con terapia medica sviluppino queste alterazioni più frequentemente rispetto ai soggetti trattati con terapia chirurgica, ma come questo sviluppo sia spesso anche più precoce (in particolar modo per l’ipertensione arteriosa, il diabete e l’iperuricemia).
7 Per alcuni outcome (ipertensione arteriosa ed iperuricemia) la differenza tra trattamenti è riconducibile al mancato controllo di malattia durante la terapia con SSA; per altri outcome (diabete, ipertrigliceridemia e, in misura meno netta, ipercolesterolemia), invece, la differenza tra trattamenti è direttamente riconducibile ad un effetto del farmaco: per esempio, nel caso del diabete vi è un HR di 1,450 con I.C. 95% di 0,754-2,932, indipendentemente dal controllo di malattia, che potrebbe essere dovuto ad un ruolo diretto degli SSA sulla secrezione insulinica pancreatica e sulla sensibilità insulinica periferica.
2) Fattori di rischio per gli eventi cardiovascolari
Successivamente è stato ricercato quali fossero i fattori di rischio in grado di influenzare il realizzarsi di eventi acuti cardio e cerebrovascolari di natura ischemica e non:
a. Le complicanze sistemiche prese in esame come outcome nella precedente parte
della analisi hanno un ruolo di fattori di rischio (ad esempio l’ipercolesterolemia ha HR: 4,595; I.C.95%: 1,281-18,411), questo pare tuttavia esser mitigato dai provvedimenti terapeutici che vengono specificamente messi in atto contro di essi.
b. Hanno ruolo di fattore di rischio alcuni fattori specifici dell’acromegalia, come
l’attività di malattia (HR: 2,506; I.C.95%: 0,879-6,321) e l’ipopituitarismo (HR: 6,297; IC95%: 0-0,988).
c. Non si è invece osservato un ruolo diretto della terapia medica rispetto alla
terapia chirurgica come fattore di rischio. Conclusioni
1. La scelta terapeutica per l’acromegalia può influenzare la comparsa di successive complicanze sistemiche.
2. Un moderno approccio terapeutico multidisciplinare dell’acromegalia e delle sue complicanze può ridurre il rischio di eventi cardiovascolari.
8
L’acromegalia
Definizione
L’acromegalia è una condizione patologica caratterizzata da un’eccessiva crescita somatica e da distorte proporzioni corporee imputabile ad una eccessiva secrezione di ormone della crescita (GH), con una conseguente increzione del fattore di crescita insulino-simile di tipo 1 (IGF-1)1. L’acromegalia propriamente detta si ha se l’ipersecrezione di GH si instaura
posteriormente al termine dell’accrescimento scheletrico (ovvero posteriormente alla saldatura delle cartilagini epifisarie), viceversa se questa ipersecrezione si instaura precedentemente si ha una più rara condizione denominata gigantismo ipofisario2.
Prospettive storiche
La letteratura non medica dell’antichità è ricchissima di esempi verosimilmente riconducibili a questa malattia, ma la prima descrizione accurata di un paziente affetto da acromegalia fu fatta solo nel 1567 dall’oculista olandese Johannes Wier sulle Medicarum Observationum; numerose altre descrizioni si susseguirono sporadicamente nei secoli successivi, tuttavia il termine “acromegalia” fu introdotto soltanto sul finire dell’ottocento da Pierre Marie, che nella clinica del professor Charcot all’ospedale Salpêtrière di Parigi descrisse due pazienti affetti da questa condizione3; il grande merito di Marie fu quello di pensare all’acromegalia
come un’entità clinica distinta da altri quadri quali la malattia di Paget o il mixedema, che spesso negli anni precedenti erano stati causa di diagnosi differenziali erronee; le basi fisiopatologiche della malattia rimanevano però ancora ignote4.
FIGURA 1: IMMAGINI DEI PAZIENTI DESCRITTI DA MARIE NEL 1886 (TRATTO DA MAMMIS ET.AL, EARLY DESCRIPTIONS OF ACROMEGALY AND GIGANTISM AND THEIR HISTORICAL EVOLUTION AS CLINICAL ENTITIES)4
9 Soltanto un anno dopo, Minkowski descrisse una relazione tra il quadro clinico descritto da Marie e quelli che definì “allargamenti ipofisari” che aveva osservato nel corso di alcuni esami autoptici5; per mettere in luce una correlazione tra le due cose e pensare ad un nesso
logico, però, occorrerà attendere Harvey Cushing, che nel 1912 dirà: “certainly most of the
circumstantial evidence in our possession points in the direction of an oversecretion, whether normal or pathological; and this is at least the most acceptable present working hypothesis”6:
il termine chiave in questa frase è “oversecretion”, ipersecrezione, che oggi sappiamo esser alla base dell’acromegalia. Lo stesso Cushing dimostrò l’inequivocabile nesso tra la patologia ipofisaria e le modificazioni fenotipiche dei pazienti affetti, descrivendo la remissione dei sintomi clinici dopo parziale ipofisectomia, dando un contributo dunque non soltanto a chiarire l’eziologia della condizione, ma anche a definirne un possibile trattamento7.
Epidemiologia
L’acromegalia ha una incidenza stimata di 3-4 casi annui per milione di abitanti8, 9; riguardo
alla prevalenza i dati in letteratura non sono omogenei, si può tuttavia dire che la prevalenza stimata corrente sia di 40 casi per milione di abitanti, ed in ogni caso sicuramente inferiore ai 70 casi per milione1, 10.
Patogenesi
Alla base della malattia si ha un eccesso di ormone della crescita (GH), con conseguente incremento dei livelli ematici del fattore di crescita insulino-simile di tipo 1 (IGF-1), prodotto prevalentemente a livello epatico.
Nella fisiologia, il GH risulta essere inserito in un asse regolatorio ipotalamo-ipofisi-periferia solo all’apparenza semplice, visto l’alto numero di fattori che vi entrano in gioco: centralmente la sua secrezione è indotta dal releasing hormone ipotalamico GHRH ed inibita dalla somatostatina, la quale agisce dunque come inhibiting factor; dalla periferia si esercitano feedback negativi a lungo raggio mediati dall’IGF-1, dagli acidi grassi liberi e dal glucosio; inoltre il GH stesso esercita un feedback negativo a breve raggio andando ad attivare una popolazione di neuroni secernenti la somatostatina posta nel nucleo periventricolare dell’ipotalamo11. Altri fattori reputati entrare in campo in questo complesso
sistema comprendono: il neuropeptide Y, la leptina, la ghrelina, la galanina, il GABA e la dopamina (figura 2).
10 FIGURA 2: L’ASSE DELL’ORMONE DELLA CRESCITA.DIAGRAMMA SEMPLIFICATO DELL’ASSE ORMONE DELLA CRESCITA-FATTORE DI CRESCITA INSULINO-SIMILE DI TIPO I, COINVOLGENTE LE SOSTANZE IPOTALAMICHE CONTROLLANTI IL RILASCIO IPOFISARIO DI GH, LE PROTEINE LEGANTI IL GH CIRCOLANTI, IL RECETTORE PER IL
GH, LE PROTEINE LEGANTI L’IGF-1 E LA RESPONSIVITÀ CELLULARE A GH ED IGF-1 INTERAGENTI CON I LORO SPECIFICI RECETTORI.GH: ORMONE DELLA CRESCITA;IGF-1: FATTORE DI CRESCITA INSULINO-SIMILE DI TIPO 1;
GHRH: FATTORE DI RILASCIO DEL GH;SRIF: SOMATOSTATINA;GHBP: PROTEINE LEGANTI IL GH;IGFBP: PROTEINE LEGANTI L’IGF; GHR: RECETTORE PER IL GH; IGFR: RECETTORE PER L’IGF. (MODIFICATO DA
ROSENBLOOM A: GROWTH HORMONE INSENSIBILITY: PHYSIOLOGIC AND GENETIC BASIS, PHENOTYPE AND TREATMENT.JPEDIATR.1999;135:280-289)
11 L’ipersecrezione del GH è nella grandissima parte dei casi primitiva, ovvero di provenienza ipofisaria; molto raramente è secondaria ad ipersecrezione di GHRH a livello ipotalamico. Ancor più rare son le situazioni in cui l’ipersecrezione (di GH o di GHRH) è ectopica.
TABELLA 1: LE CAUSE DELL’ACROMEGALIA (MODIFICATO DA S.MELMED ET AL., WILLIAMS TEXTBOOK OF ENDOCRINOLOGY,12TH EDITION,SAUNDERS ELSEVIER)
Causa Prevalenza (%) Prodotto
Ormonale Eccesso di secrezione di GH
1) Adenoma a cellule somatotrope a granuli densi 30 GH
2) Adenoma a cellule somatotrope a granuli sparsi 30 GH
3) Adenoma misto a cellule somatotrope e mammotrope 25 GH e PRL
4) Adenoma a cellule mammosomatotrope 10 GH e PRL
5) Adenoma pluriormonale GH/PRL/TSH/FSH/ LH/ACTH
6) Carcinoma o metastasi a cellule somatotrope GH
7) MEN1 GH o PRL
8) Sindrome di McCune-Albright GH e PRL
9) Adenoma ipofisario ectopico del seno sfenoidale o parafaringeo
GH
10) Acromegalia familiare GH
11) Sindrome di Carney GH
Tumori extraipofisari
1) Tumori a cellule insulari pancreatiche o LNH < 1 GH Eccesso di secrezione di GHRH
1) Centrale: amartoma o ganglioneuroma ipotalamico < 1
2) Periferico: carcinoide bronchiale, tumore a piccole cellule polmonare, tumori a cellule insulari pancreatiche, adenoma surrenalico, carcinoma midollare tiroideo, feocromocitoma
1 GH o PRL
Come evidenziato dalla tabella 1, alla base della malattia ritroviamo nel 98% dei casi la patologia tumorale ipofisaria nelle varie forme anatomopatologiche che essa può assumere1; la quasi totalità dei tumori ipofisari sono tumori benigni (adenomi propriamente
detti) e, nonostante una possibile (e non rara) aggressività locale, la maggior parte di essi non progredisce verso una reale malignità con tanto di metastasi extracraniche12.
Solo il 4-5% degli adenomi ipofisari ricorre in clusters familiari13; in condizioni come la
sindrome MEN1, la sindrome di McCune-Albright ed il complesso di Carney può esservi un coinvolgimento ipofisario in associazione al coinvolgimento di altri organi; invece nella FIPA (familial isolated pituitary adenoma), si ha esclusivamente una ricorrenza familiare nel presentarsi di adenomi ipofisari.
12 Condizioni caratterizzate da ipersecrezione extraipofisaria di GH e da ipersecrezione di GHRH (nelle due forme centrale e periferica) sono nell’insieme responsabili di meno del 2% del totale delle forme di acromegalia, pertanto possono dirsi estremamente rare.
Indipendentemente da quale ne sia la causa, l’eccesso di GH è in grado di causare effetti indesiderati a livello periferico sia direttamente (tramite azione sul suo recettore GH-R), sia indirettamente (inducendo la produzione dell’ IGF-1, elemento proteico appartenente ad un sistema molto complesso che comprende due tipi di IGF, due tipi di recettori, sei tipi di
binding proteins, tre famiglie di proteasi, e nove fattori medianti la crescita14). In passato si
pensava che le azioni periferiche di GH ed IGF1 fossero differenti, sebbene avvenissero in parallelo: questa ipotesi, nota come “dual effector theory” prevedeva che fosse l’IGF1 a spingere verso una espansione clonale, laddove il ruolo del GH fosse quello di spingere verso una differenziazione cellulare15. Oggi questa teoria è parzialmente sorpassata, dal momento
che si son potute osservare delle azioni pro-proliferative anche direttamente attribuibili al GH16, facendo dunque ipotizzare che GH ed IGF-1 avrebbero anche azioni parzialmente
sovrapposte oltre che chiaramente in parallelo.
Clinica
L’acromegalia è nota per il suo esser caratterizzata da progressive modificazioni somatiche (figura 2) e da una costellazione di altre manifestazioni17, riconducibili sia alle azioni
periferiche mediate dall’eccesso di GH ed IGF-1, sia, laddove presente, all’effetto pressorio della massa ipofisaria sullo spazio circostante (tabella 3).
13 TABELLA 2: LE CARATTERISTICHE CLINICHE DELL’ACROMEGALIA (TRATTA DA COLAO A. ET AL., SYSTEMIC COMPLICATIONS OF ACROMEGALY: EPIDEMIOLOGY, PATHOGENESIS, AND MANAGEMENT. ENDOCRINE REVIEWS.2004)14
Effetto diretto del tumore Cefalea
Alterazioni visive Emianopsia bitemporale mono- o bilaterale Quandrantopsia
Iperprolattinemia Per secrezione tumorale mista o sezione del peduncolo ipofisario
Ipopituitarismo Ipotiroidismo/ ipogonadismo/ ipocorticosurrenalismo
Sindrome del seno cavernoso
Effetti sistemici dell’eccesso di GH e di IGF1
Cambiamenti della cute e dei tessuti molli
Allargamento acrale
Aumento spessore cutaneo ed iperplasia dei tessuti molli Aumentata sudorazione
Macchie cutanee ed acanthosis nigricans
Effetti cardiovascolari Ipertrofia biventricolare
Aumento spessore del setto interventricolare (ipertrofia eccentrica)
Disfunzione diastolica a riposo e/o disfunzione sistolica sotto sforzo
Scompenso diastolico Aritmie
Ipertensione
Disfunzione endoteliale ed aumento spessore intima-media carotideo
Effetti metabolici Alterata glicemia a digiuno (IFG) Alterata tolleranza glicidica (IGT)
Riduzione colesterolemia totale ed aumento trigliceridi Aumentata ritenzione di azoto
Effetti respiratori Ostruzione vie aeree superiori Macroglossia
Apnee del sonno Disfunzione ventilatoria
Effetti su ossa e articolazioni Aumento dello spessore della cartilagine articolare Artropatia/osteoartriti
Sindrome del tunnel carpale Osteopenia
Altri effetti endocrinologici Gozzo tiroideo multinodulare Tireotossicosi
Ipercalciuria Iperparatiroidismo
Il problema è che, a causa della natura indolente ed insidiosa di questa malattia, la sua diagnosi è generalmente ritardata di un certo numero di anni (dai 6,6 ai 10,2 con una media di almeno 9 anni) dall’insorgenza delle prime manifestazioni: questo fa sì che, già alla
14 presentazione, il paziente spesso mostri un’alterazione dei tratti facciali, una crescita esagerata delle estremità, ed una ipertrofia dei tessuti molli. Altre caratteristiche possono includere iperidrosi, gozzo, osteoartrite, sindrome del tunnel carpale, fatigue, anormalità visive, poliposi colica, apnee notturne e sonnolenza diurna, disturbi riproduttivi e manifestazioni cardiovascolari, che il più spesso includono ipertrofia cardiaca, ipertensione e aritmie, nonostante lo scompenso cardiaco congestizio insorga più raramente14.
È importante notare come le manifestazioni “centrali” dell’acromegalia (ovvero quelle imputabili all’effetto massa dell’adenoma che il più frequentemente è causa della malattia) siano analoghe a quelle descritte per la totalità delle altre tipologie di adenomi ipofisari, sebbene siano qui ben più frequenti: questo è riconducibile al fatto che la maggior parte (> 65%) degli adenomi GH-secernenti sono macroadenomi, a differenza di quanto accade in altre condizioni (si veda ad esempio l’iperprolattinemia secondaria ad adenoma PRL-secernente), dove la maggior parte dei tumori sono in realtà microadenomi18 (si ricorda che
la distinzione tra macroadenomi e microadenomi è basata su un criterio dimensionale, con cut-off posto ai 10 mm, indipendentemente dalla invasività della lesione, si veda lo schema in figura 3).
Le conseguenze di un così ampio corteo di manifestazioni cliniche sono da ricercarsi in due aspetti importanti: la qualità di vita dei pazienti acromegalici19, 20, ma soprattutto la
mortalità.
15 Gli studi che datano agli anni sessanta riportavano un indice di mortalità standardizzato (SMR) fino a 3,31, il che significa che al tempo il paziente acromegalico aveva un rischio aumentato di mortalità di oltre il 230% rispetto a quello della popolazione generale8; gli studi
più recenti, invece, abbassano significativamente lo SMR a 1,1621, un dato tuttavia ottenuto
escludendo dall’analisi statistica i pazienti più anziani. Per avere una visione più globale del problema mortalità occorre tuttavia citare una relativamente recente metanalisi22 che
prende in considerazione studi pubblicati dal 1970 al 2007: questa riporta un SMR di 1,72, il che significa che il tasso di mortalità globale dell’acromegalico sarebbe aumentato di circa il 70% rispetto alla popolazione generale.
L’analisi dei determinanti di mortalità indica che approssimativamente il 60% dei pazienti muore per cause cardiovascolari, il 25% per cause respiratorie, il 15% per cause neoplastiche (tabella 3)8-10, 23-30.
TABELLA 3: UN CONFRONTO TRA LE CAUSE DI MORTE NELL’ACROMEGALIA RIPORTATE IN STUDI CONDOTTI DAL
1970 AL 2005 Decessi osservati Cause cardio- e cerebro-vascolari
Cause respiratorie Cause neoplastiche Wright (1970) 50/194 38,5 18 18 Alexander (1980) 45/64 60 15,5 15,5 Nabarro (1987) 47/256 35 6 24,5 Bengtsson (1988) 119/166 47 0 24,5 Bates (1993) 28/79 57 25 11 Rajasoorya (1994) 32/151 62,5 0 9 Orme (1998) 366/1362 48,6 12 22 Swearingen (1998) 13/149 38 7 30 Ayuk (2004) 95/419 8,3 3 5 Holdaway (2004) 72/208 61 3 24 Colao (2005) 13/149 38 7 30
Si deve tuttavia tenere in conto che il tasso di mortalità di questa popolazione di pazienti si avvicinerebbe asintoticamente a quello della popolazione generale nel caso in cui si ottenesse un buon controllo di malattia o, ancor meglio, una definitiva guarigione21, 31, 32.
Infatti i più significativi determinanti di mortalità sono: livelli di GH maggiori di 2,5 µg/L, elevati livelli di IGF-1, coesistente ipertensione arteriosa e malattia cardiovascolare, età più avanzata, storia di irraggiamento ipofisario, ed una insufficienza surrenalica ACTH-dipendente compensata inadeguatamente da terapia sostitutiva33.
16
Approfondimento su complicanze dell’acromegalia di particolare interesse per la
tesi: l’ipertensione arteriosa
Si considera che l’ipertensione arteriosa interessi circa un terzo del totale dei pazienti acromegalici; tuttavia sono pochi gli studi che hanno dato una stima della prevalenza dell’ipertensione utilizzando un aBPM di 24 ore34-36, e per di più in nessuno di essi è stata
inclusa una popolazione di controllo, fatta eccezione per un solo studio37, che ha rivelato
un’aumentata prevalenza di ipertensione solo in quei pazienti che avevano la familiarità per questa condizione.
Tra i meccanismi ritenuti responsabili dello sviluppo di questa complicanza ritroviamo l’aumento del volume plasmatico, come conseguenza di un aumento del pool totale di sodio scambiabile, che si avrebbe sia nell’acromegalico normoteso38, sia nell’acromegalico
iperteso37. Inizialmente si pensava che l’aumento del sodio scambiabile e del volume
plasmatico seguissero le variazioni della secrezione dell’aldosterone, si è poi visto come questa idea fosse sbagliata: i livelli di aldosterone non sono infatti correlati all’attività di malattia fintanto che non sia presente scompenso cardiaco conclamato39. Si è inoltre visto
che questo aumento del volume plasmatico totale non è imputabile al peptide natriuretico atriale (ANP)39, 40 e nemmeno al sistema renina-angiotensina39, 41. Non è invece chiaro se vi
sia o meno un ruolo del sistema nervoso autonomo42.
Altri meccanismi ipotizzati per spiegare l’ipertensione comprendono l’aumento della portata cardiaca43 e la variazione delle resistenze vascolari periferiche, che potrebbe addirittura
essere conseguenza di un aumentato spessore parietale dei vasi di resistenza44.
Pare esservi una correlazione tra ipertensione arteriosa ed alterazioni della tolleranza glicidica45: si trovano cioè livelli di pressione arteriosa significativamente più alti nei pazienti
acromegalici con prediabete o diabete che nei pazienti con normale tolleranza glicidica14 (è
tuttavia da sottolineare come i dati che hanno portato a questi risultati non tenessero conto del fatto che l’età dei pazienti diabetici fosse in media più alta di quella dei pazienti non diabetici).
Importante infine la correlazione tra ipertensione arteriosa ed un disturbo respiratorio, quello della sindrome delle apnee ostruttive del sonno (OSAS)46, che riguarderebbe, a
17
Approfondimento su complicanze dell’acromegalia di particolare interesse per la
tesi: le alterazioni della tolleranza glicidica ed il diabete mellito.
Le alterazioni della tolleranza glicidica ed il diabete mellito sono reperti frequenti nei pazienti acromegalici, con una prevalenza del secondo variabile tra il 19 ed il 56%1, 14.
La base fisiopatologica di questo sarebbe da ricercarsi nell’effetto contro-insulare proprio del GH: un eccesso di questo ormone provoca insulino-resistenza, un suo deficit può aumentare la sensibilità all’insulina. Questi effetti sono imputabili al fatto che l’ormone della crescita riduce la captazione di glucosio e la sua ossidazione nel muscolo, ed aumenta la gluconeogenesi epatica; contribuiscono ad indurre una condizione di insulino-resistenza periferica anche l’attivazione della lipolisi intracellulare e della ossidazione lipidica48.
Ne deriva che tutti i pazienti acromegalici hanno una riduzione della sensibilità insulinica, e che la possibilità di arrivare fino al diabete mellito partendo da una normale tolleranza glicidica è data dalle possibilità compensatorie delle β-cellule pancreatiche (quindi alla possibilità di far fronte ad una condizione di insulino-resistenza con un iperinsulinismo49, 50):
questo compenso, se efficace, mantiene il paziente in una normale tolleranza glicidica, se invece inefficace lo fa scivolare verso le alterazioni prediabetiche di vario grado (IFG, IGT) fino al diabete franco51. Ci sono una serie di fattori di rischio noti per favorire queste
alterazioni, e cioè: più alti livelli di GH, età più avanzata, più lunga durata di malattia, familiarità, concomitante presenza di ipertensione arteriosa9.
Approfondimento su complicanze dell’acromegalia di particolare interesse per la
tesi:
alterazioni
del
metabolismo
lipidico,
l’ipercolesterolemia
e
l’ipertrigliceridemia.
Studi risalenti agli anni ’70 riportano che i pazienti acromegalici con malattia attiva avessero livelli di colesterolemia totale più bassi e livelli di trigliceridemia più alti rispetto a quelli di una popolazione di controllo parificata per età: nello specifico la trigliceridemia era riportata essere in media di tre volte aumentata rispetto a quella della popolazione generale52. Studi
più recenti hanno confermato i risultati sulla trigliceridemia in maniera sostanzialmente univoca, mentre diverso è il discorso per la colesterolemia totale, che, a seconda dei lavori, si è detto esser aumentata, invariata, ridotta52-55. Un lavoro55 ha evidenziato che nei pazienti
acromegalici le LDL sarebbero non solo quantitativamente, ma proprio qualitativamente diverse da quelle della popolazione generale: sarebbero infatti più piccole e più dense, e
18 dunque con maggiori poteri aterogenici. Anche sulle variazioni delle HDL i lavori in letteratura non sono univoci, essendovi chi vede una sostanziale riduzione delle stesse rispetto ai valori della popolazione generale, ed essendovi chi non vi vede differenze significative56, 57.
Il meccanismo fisiopatologico alla base di queste condizioni è ipotizzato essere la riduzione dell’attività della lipoprotein-lipasi (LPL) direttamente indotta dal GH58.
Approfondimento su complicanze dell’acromegalia di particolare interesse per la
tesi: le alterazioni del metabolismo dell’acido urico.
Due soli sono i lavori ad ora pubblicati in letteratura che guardano alle variazioni dei livelli plasmatici di acido urico nei pazienti affetti da acromegalia: un primo lavoro, che data ai primi anni settanta, riporta un lieve aumento dei livelli di questo metabolita in questa popolazione di pazienti rispetto alla popolazione generale59; un secondo lavoro, ben più
recente, riporta invece livelli di uricemia non dissimili da quelli della popolazione di riferimento60; occorre tuttavia sottolineare il numero estremamente ridotto (18) di pazienti
studiati per la pubblicazione di questo dato.
In definitiva si può dire che la correlazione tra acromegalia e variazioni nei livelli uricemia sia stata studiata in maniera non estensiva.
Approfondimento su complicanze dell’acromegalia di particolare interesse per la
tesi: gli eventi cardiovascolari.
Col termine di “eventi cardiovascolari” si vogliono intendere una serie di eventi avversi a livello cardiaco, cerebrovascolare e vascolare in generale, che abbiano caratteristica di acuzie e che siano potenzialmente in grado di portare il paziente al decesso.
Occorre innanzitutto considerare che il paziente affetto da acromegalia è un soggetto che, come diretta conseguenza dell’eccesso di GH e di IGF-1, ha una serie molto ampia di modificazioni a livello cardiaco61 che, sebbene avvengano in un tempo lungo (e siano dunque
considerabili come modificazioni croniche), sono in grado di costituire un terreno fertile per il realizzarsi di eventi acuti. Le modificazioni che vengono generalmente descritte sono riconducibili ad una ipertrofia biventricolare concentrica61, 62 (che comporta sempre un
aumento dello spessore delle pareti cardiache, ma solo raramente una variazione dimensionale delle camere); si tratta di una condizione che, all’esame autoptico, è presente
19 in oltre il 90% dei pazienti con lunga durata di malattia63, 64. È interessante notare come
queste modificazioni intervengano anche in assenza di ipertensione arteriosa, ma che dalla ipertensione arteriosa (così come dalle alterazioni della tolleranza glicidica) sono ulteriormente aggravate (fino ad una loro rappresentazione del 100% nei pazienti contemporaneamente affetti da ipertensione arteriosa e diabete mellito65).
La cardiopatia acromegalica passa attraverso tre fasi14:
1) Una fase iniziale nella quale c’è una lieve ipertrofia cardiaca, un incremento della frequenza cardiaca ed una gittata sistolica aumentata, a configurare insieme il quadro di una sindrome ipercinetica43.
2) Una fase intermedia nella quale si rende più evidente l’ipertrofia cardiaca, compaiono i segni di disfunzione diastolica, e può essere dimostrata una alterazione della funzionalità sistolica sotto sforzo.
3) Una fase terminale nella quale le anormalità cardiache comprendono una disfunzione sistolica anche a riposo ed uno scompenso cardiaco con i segni di una cardiomiopatia dilatativa61.
In accordo con quanto riportato nello studio Framingham, questa serie di modificazioni a livello cardiaco che vanno nel senso di una ipertrofia si tradurrebbero in un rischio aumentato di eventi acuti, tra cui eventi ischemici ed eventi aritmici66. A questo si aggiunga
che il paziente acromegalico ha, a quanto detto sopra, una serie molto numerosa di fattori di rischio cardiovascolare.
I dati presenti in letteratura riportano stime molto variabili della prevalenza della CAD (coronary artery disease) nei pazienti affetti da acromegalia, dal momento che si evidenziano oscillazioni tra il 3% ed il 37%61, 67, 68. Tutti gli studi sono tuttavia logicamente concordi
nell’individuare un rischio aumentato di morbidità e mortalità cardiovascolare per quei pazienti che all’eccesso di GH aggiungono classici fattori di rischio cardiovascolare come l’ipertensione arteriosa, le alterazioni del metabolismo lipidico, il fumo di sigaretta, la familiarità, ecc.
Le alterazioni del ritmo cardiaco sono inoltre più frequenti in questa popolazione di pazienti che nella popolazione generale, dal momento che si riporta che fino al 40% degli
20 acromegalici soffre di disturbi di conduzione69. Questo potrebbe portare ad un rischio
aumentato di eventi cardiovascolari fino alla morte cardiaca improvvisa70.
Meno numerosi sono invece i dati presenti in letteratura riguardanti il rischio di eventi cerebrovascolari in questi pazienti, se togliamo i molti dati che valutano una correlazione tra questo rischio e l’approccio radioterapico (RT) alla patologia adenomatosa ipofisaria71, che
oggi è utilizzato ben più raramente che in passato, in quanto considerato provvedimento di terzo livello. In definitiva pare esservi un aumento del rischio di eventi cerebrovascolari nel paziente acromegalico72 (anche se non trattato con un approccio RT), dato in accordo con
l’aumento della rappresentazione di molti fattori che, anche nella popolazione sana, sono associati ad un incremento del rischio di questi specifici eventi avversi.
Diagnosi
La diagnosi di malattia si effettua seguendo le indicazioni fornite dalla Consensus Conference per la diagnosi di Acromegalia73, 74.
La malattia viene sospettata tutte le volte che si presenti un paziente con le stigmate cliniche sopra nominate. Come per altre endocrinopatie, la diagnosi non è esclusivamente clinica, ma deve di necessità avvalersi del conforto degli esami di laboratorio.
Prima di parlare di questi bisogna innanzitutto tenere conto dei seguenti aspetti di fisiologia: il GH è un ormone secreto dalle cellule somatotrope adenoipofisarie in maniera non costante, ma secondo un ritmo circadiano, che prevede che i due terzi totali della sua produzione avvengano nel corso delle ore notturne, e che il restante terzo avvenga nel corso delle ore diurne tramite piccoli pulses separati da momenti in cui l’ormone risulta indosabile. FIGURA 5:CIRCADIANITÀ DELLA SECREZIONE DEL GH NEL SOGGETTO NON AFFETTO DA ACROMEGALIA
21 Il paziente acromegalico ha livelli di GH a digiuno e random mediamente ben più alti di quelli del soggetto sano, in esso sono poi aboliti quei nadir di secrezione in cui l’ormone risulta essere indosabile75, ed inoltre ha una più alta frequenza di pulses secretori ormonali76. I livelli
di IGF-1 sono alti e correlano con il logaritmo delle determinazioni di GH sierico.
Altro aspetto importante è che nei soggetti sani i livelli plasmatici di GH inizialmente cadono dopo una somministrazione orale di glucosio, per poi aumentare man mano che la glicemia plasmatica declina; nei pazienti acromegalici, invece, il carico orale di glucosio non riesce a sopprimere l’innalzamento del GH, i cui livelli possono indifferentemente calare lievemente, rimanere costanti o addirittura aumentare.
Arriviamo dunque ai test da fare nel paziente sospettato di acromegalia, che si dividono tra test per uno screening biochimico basale e test per la diagnosi vera e propria.
Lo screening biochimico basale si fa eseguendo un prelievo a digiuno per GH ed IGF-1. Si presentano due possibilità:
1. Se si rilevano valori di GH < 0,4 ng/mL e valori di IGF-1 compresi nel range di normalità per l’età, allora viene esclusa la diagnosi di acromegalia 2. Se si rilevano valori di GH > 0,4 o valori di IGF-1 al di sopra del limite di
normalità per età, allora il paziente deve essere indirizzato all’OGTT per GH, test diagnostico per la malattia.
Il test dirimente per la diagnosi è la curva da carico orale di glucosio (OGTT), che si esegue somministrando 75 g di glucosio per os al tempo 0, e poi eseguendo prelievi venosi ai minuti +30, +60, +90, +120 per la determinazione dei livelli di glicemia, insulinemia e GH. La diagnosi di acromegalia è posta qualora, durante l’esecuzione dell’OGTT, i valori di GH non raggiungano un nadir inferiore a 1ng/mL e i valori di IGF-1 rimangano al di sopra del limite di normalità per età.
C’è la possibilità di una discrepanza tra i valori di GH e di IGF-1, possibilità tra l’altro non remota, in quanto si presenterebbe fin nel 30% dei casi77; la maggior parte delle volte la
discordanza consiste in valori di GH normali a fronte di valori di IGF-1 elevati, più raramente in valori di GH elevati a fronte di valori di IGF-1 normali. In questi casi la prima cosa da fare è escludere che questo risultato sia dovuto ad una delle cause riportate in tabella 4:
22 TABELLA 4: CAUSE DI DISCREPANZA TRA I VALORI DI GH ED IGF-1 NEI PAZIENTI ACROMEGALICI (MODIFICATA DA FREDA P.U.,MONITORING OF ACROMEGALY: WHAT SHOULD BE PERFORMED WHEN GH AND IGF-1 LEVELS ARE DISCREPANT?78)
Soppressione di GH dopo OGTT anormale a fronte di livelli di IGF-1 normali
Paziente in remissione
Disregolazione della secrezione di GH
Alterazione del network nervoso o anatomico di regolazione del GH Lieve o precoce eccesso di GH
Cause di soppressione di GH anormale diverse dall’acromegalia Insufficienza renale cronica
Insufficienza epatica / epatite attiva Anoressia nervosa / malnutrizione Ipertiroidismo
Diabete mellito Adolescenza
Cut off di soppressione del GH inappropriatamente basso per l’assay usato Paziente con malattia attiva
Abbassamento dei livelli sierici di IGF-1 Anoressia nervosa / malnutrizione Malattia epatica
Ipotiroidismo
DM insulino-dipendente scarsamente controllato Utilizzo di estrogeni per os
Range di normalità dell’IGF-1 anomale per il limite superiore troppo alto
Soppressione di GH dopo OGTT normale a fronte di livelli di IGF-1 elevati
Paziente in remissione
IGF-1 falsamente elevato Adolescenza Gravidanza
Ipertiroidismo (elevazione modesta) Problemi nell’assay dell’IGF-1 Periodo postoperatorio precoce Paziente con malattia attiva
Cut off di soppressione del GH inappropriatamente alto per l’assay usato Facile sopprimibilità nell’acromegalia iniziale o lieve
Una volta escluse queste cause di risultati falsamente positivi si seguono le indicazioni suggerite in letteratura78, trattando come acromegalici i pazienti con elevati valori di IGF-1.
Alla diagnosi, tutti i pazienti vengono sottoposti ad una RMN con e senza mezzo di contrasto per valutare la regione ipotalamo-ipofisaria. Si riservano le metodiche medico-nucleari (come la scintigrafia con In-111-pentetreotide) a quei rari pazienti nei quali la RMN non identifica un adenoma ipofisario e si vuole andare alla ricerca di fonti ectopiche di secrezione di GH79, 80. I pazienti nei quali la RMN dimostrasse un macroadenoma ipofisario ad estensione
23 sovrasellare vengono sottoposti ad esame computerizzato del campo visivo per escludere compressioni clinicamente rilevanti del chiasma ottico.
Una volta effettuati questi passaggi, il paziente viene sottoposto alle seguenti valutazioni: Valutazione della funzione ipofisaria basale e dopo test di stimolo
Valutazione finalizzata all’esclusione delle forme familiari di acromegalia: si parte ovviamente dalla anamnesi familiare e si può arrivare fino alla ricerca di mutazioni genetiche dopo estrazione di DNA su prelievo di sangue periferico.
Valutazione delle complicanze d’organo dell’acromegalia, per la quale si potrà ricorrere ad indagini come: ecocardiogramma, holter-ECG, aBPM, polisonnografia, pancolonscopia, DEXA, ecografia tiroidea, AcroQoL.
Trattamento
Le finalità ideali del moderno trattamento dell’acromegalia comprendono:
Restauro della normale secrezione di GH ed IGF-1, con eliminazione degli effetti diretti determinati dall’ipersecrezione di queste sostanze81
Rimozione della neoplasia che nella grandissima parte dei casi ne è alla base, con conseguenze positive sul suo effetto massa e preservazione della normale funzione ipofisaria residua1.
Trattamento di tutte le varie comorbidità, ottenuto sia direttamente (attraverso l’azione frenante l’ipersecrezione ormonale), sia indirettamente (attraverso terapie dirette sulla singola comorbidità, c.d. terapie sintomatiche).
Riconduzione della mortalità del paziente acromegalico ai livelli della popolazione generale82.
Prima di parlare del management dell’acromegalia vanno descritte le diverse possibilità terapeutiche sulle quali al giorno d’oggi si può fare affidamento per correggere l’iperincrezione di GH. Varie combinazioni delle stesse costituiscono, secondo linee guida, diverse possibilità di trattamento del paziente affetto da questa endocrinopatia.
24
Terapia chirurgica
L’adenomectomia, oggi praticata per via transfenoidale rappresenta uno dei trattamenti di scelta per l’acromegalia. L’efficacia dell’intervento è influenzata dalla esperienza del chirurgo che lo pratica83 e dalle dimensioni del tumore: uno studio84 condotto su 224 pazienti
sottoposti ad intervento riporta che la remissione di malattia si aveva nel 72% dei microadenomi, nel 50% dei macroadenomi e solo nel 17% degli adenomi invasivi.
Questo fa sì che il trattamento chirurgico sia di prima scelta per: Microadenoma
Macroadenoma non invasivo (ovvero senza invasione dei seni cavernosi o delle strutture ossee)
Adenomi che diano sintomi compressivi (come alterazioni campimetriche o segni di compressione del III, IV, V, VI nervi cranici)
Può altresì esser previsto un intervento chirurgico in soggetti con malattia invasiva o estesa a scopo di debulking chirurgico della lesione.
I possibili effetti collaterali comprendono: ipopituitarismo (19,4%), diabete insipido (17,8%), rinoliquorrea per fistolizzazione con le cavità nasali (3,9%) e complicanze più rare come danno alle arterie carotidee interne, perdita del visus, meningiti, paralisi dei nervi oculomotori (complicanze più rare che complessivamente ammontano all’1-2%)85; il tasso di
mortalità per l’intervento è anch’esso basso (0,9%)85. In definitiva, la “complicanza” più
frequente dell’intervento chirurgico pare essere proprio la ricorrenza di malattia86, che si ha
fino nel 50% dei soggetti operati per macroadenoma (che si ricorda essere la forma più tipica di presentazione degli adenomi GH-secernenti18).
Terapia medica con analoghi della somatostatina (SSA)
Gli analoghi della somatostatina (SSA) sono, al momento attuale, i farmaci più utilizzati nel trattamento dell’acromegalia. Comprendono sostanze come l’Octreotide, il Lanreotide ed il più recente Pasireotide nelle loro varie formulazioni.
Il principio che esplica la loro azione è il seguente: la somatostatina endogena è una sostanza secreta a più livelli con diverse funzioni, tra cui quella di inibire la secrezione endocrina ed esocrina; si sa inoltre che è in grado di ridurre la proliferazione cellulare dei tumori
25 neuroendocrini86. Queste azioni sono rese possibili grazie al suo legame con cinque tipi
diversi di recettori somatostatinergici87 (SSTR); tra questi cinque, quelli maggiormente
implicati nel regolare la fisiologica secrezione di GH a livello ipofisario sono il tipo 2 ed il tipo 5; negli adenomi GH-secernenti la frequenza di espressione segue quest’ordine: SSTR2>SSTR5>SSTR1>SSTR388.
Gli SSA agiscono prevalentemente attraverso i sottotipi recettoriali 2 e 5 dell’SSTR inducendo una riduzione della secrezione di GH ad opera dell’adenoma ed una riduzione dimensionale della neoplasia (riguardo a quest’ultimo punto le percentuali riportate in letteratura sono molto differenti, tuttavia possiamo dire che una riduzione significativa della massa tumorale si possa osservare nel 50-60% dei trattati con SSA89).
Questo fa sì che il trattamento con SSA sia utilizzato:
In prima linea quando vi è una bassa probabilità di cura chirurgica (es. grandi tumori extrasellari senza evidenza di sintomi compressivi)
In neoadiuvante al trattamento chirurgico per ottenere un controllo biochimico di malattia, ridurre il rischio operatorio legato alle comorbidità sistemiche dell’acromegalia, ridurre le dimensioni della neoplasia.
In adiuvante al trattamento chirurgico se questo non ha permesso un controllo biochimico di malattia
Oggi si sa che una normalizzazione biochimica rigorosa può essere ottenuta nel 25% dei pazienti trattati solo con SSA in prima linea90. Si tratta di una percentuale più bassa di quella
riportata in lavori più datati91, a causa di un bias di selezione dei pazienti presente in questi
ultimi.
Gli effetti collaterali da lievi a moderati si riportano fino nel 50% dei pazienti, ma hanno breve durata e spesso recedono con la continuazione della terapia; essi comprendono: dolore nel punto di iniezione, diarrea o feci molli, dolori addominali, anoressia, nausea, vomito, pancreatite, stasi biliare (che può portare a sludge biliare e calcolosi), colecistite, incremento dei valori glicemici81, 92, 93.
26
Terapia medica con antagonista recettoriale del GH
Al momento attuale l’unico farmaco utilizzato come antagonista recettoriale del GH è il Pegvisomant (Peg): la sua efficacia si basa sul bloccare l’attività del GHR, inibendo di conseguenza la sintesi dell’IGF-1 e gli altri effetti periferici dell’ormone della crescita94,
inducendo di conseguenza una condizione molto simile a quella presente nella sindrome di Laron (malattia genetica autosomica recessiva alla cui base vi è una mutazione con perdita di funzione del GHR che si traduce in una resistenza periferica all’azione del GH).
L’utilizzo di questo farmaco permette di ottenere un controllo biochimico di malattia in una percentuale elevatissima (>90%) di soggetti trattati95.
Indicazioni al suo utilizzo sono:
In pazienti che presentano valori di IGF-1 persistentemente elevati nonostante le altre terapie disponibili
Come monoterapia o come terapia di combinazione con SSA.
Nel corso del trattamento occorre prestare attenzione alle dimensioni del tumore, che nel 2% dei casi si son viste addirittura aumentare96, ed alla funzionalità epatica, che fino nel 25%
dei casi risulta essere anomala97.
La terapia di combinazione tra SSA e Peg si è dimostrata essere efficace per quei pazienti in cui il trattamento con i soli analoghi della somatostatina ha portato ad una riduzione volumetrica del tumore ma non ad un controllo biochimico di malattia98.
Ad oggi la terapia con antagonista recettoriale del GH non è terapia di prima scelta nel paziente affetto da acromegalia, ma è una terapia da embricarsi a quella con SSA nel caso in cui questa da sola non sia stata in grado di portare ad un controllo di malattia. Nel caso in cui la terapia di combinazione sia in grado di portare ad un controllo ottimale, si potrà valutare la possibilità di interrompere la terapia di combinazione per passare ad una terapia con solo Pegvisomant.
Terapia medica con dopamino-agonisti
I dopamino-agonisti (DA), che comprendono sostanze come la bromocriptina e la cabergolina, sono farmaci che troverebbero un razionale per il proprio impiego nella
27 constatazione fisiologica che la dopamina attenua la secrezione di GH fino in un terzo dei pazienti affetti da acromegalia99; sono agonisti selettivi dei recettori D2 dopaminergici,
mimano dunque la azione inibente che la dopamina possiede a livello delle cellule somatotrope adenoipofisarie.
Tuttavia sono sostanze il cui utilizzo nell’acromegalia ha un ruolo abbastanza circoscritto in quanto studi clinici hanno dimostrato un’efficacia nel controllare la malattia inferiore al 10%100. Si è inoltre osservato che questi farmaci permettono di ottenere più frequentemente
un controllo di malattia nel caso di adenomi misti GH/PRL-secernenti piuttosto che negli adenomi secernenti il solo GH, e che permettono più facilmente di ottenere un controllo di malattia nei pazienti con più bassi livelli di GH ed IGF-1 (IGF-1 < 2 volte il limite superiore dell’intervallo di normalità per età101) prima del trattamento, piuttosto che in quelli con
malattia più aggressiva81.
Per questo le indicazioni al loro utilizzo sono:
In associazione agli SSA nei soggetti con evidenza di adenoma cosecernente GH e PRL In associazione agli SSA qualora non si sia ottenuto un controllo ottimale di malattia
con la dose massimale di SSA e non si volesse o non si potesse ricorrere al Peg. Al giorno d’oggi tra le due viene preferita la cabergolina, più potente della bromocriptina oltre che gravata da minori effetti collaterali102.
Terapia radiante
La terapia radiante (RT) è oggi considerabile un trattamento di terza linea dell’acromegalia, da riservarsi a quei pazienti in cui la terapia chirurgica sia stata controindicata oppure sia risultata infruttuosa, ed il trattamento medico abbia fallito nel portare ad un controllo di malattia92.
Gli approcci radianti utilizzabili comunque sono riconducibili a due tipologie:
RT conformazionale frazionata: solitamente suggerita per residui tumorali di grandi dimensioni o per lesioni prossime al chiasma ottico.
RT stereotassica (mediante gamma knife o mediante acceleratore lineare): da preferirsi per lesioni di piccole dimensioni.
28 I maggiori limiti a questo tipo di approccio sono: in primo luogo il tempo di latenza relativamente lungo necessario per ottenere una remissione86; in secondo luogo, aspetto
forse anche di maggiore importanza, l’alto tasso di effetti collaterali: è riportato un rischio di quasi il 50% a 10 anni di sviluppare ipopituitarismo92, 103, e sono anche descritte complicanze
più rare (difficilmente quantificabili) come: deficit visivi, paralisi dei nervi cranici, necrosi cerebrale, danni cerebrovascolari, deficit cognitivi (mnestici in particolar modo); addirittura vi sono studi che dimostrano un rischio (sebbene moderato, 1% con una latenza di 24 anni) di sviluppare una seconda neoplasia intracranica come conseguenza dell’irradiazione ricevuta104.
Scelta dello schema terapeutico
FIGURA 6FLOWCHART DELLE POSSIBILITÀ TERAPEUTICHE PER L’ACROMEGALIA (MODIFICATO DA MELMED ET AL.:GUIDELINES FOR ACROMEGALY MANAGEMENT: AN UPDATE,JCEM2009105)
Nonostante l’intervento chirurgico di adenomectomia per via trans-sfenoidale rimanga da considerarsi il trattamento di prima scelta per la grande maggioranza dei pazienti affetti da acromegalia, le terapie mediche con SSA e Peg son via via diventate sempre più rilevanti, sia
29 come trattamento della malattia residua dopo la neurochirurgia1, sia come terapia primaria
in quei pazienti in cui la chirurgia ipofisaria sia non attuabile o controindicata106.
Nella pratica di questo istituto la terapia con SSA è generalmente proposta come terapia medica di prima linea e la dose è titolata ogni sei mesi fino ad un massimale (30 mg Octreotide LAR o 120 mg Lanreotide Autogel ogni 28 giorni). Se la malattia permane non controllata sotto dose massimale di SSA, allora viene aggiunto il Peg alla dose iniziale di 10 mg/die, con aggiustamenti del dosaggio fintanto che non sia ottenuto un controllo biochimico di malattia, generalmente entro 3-6 mesi. È inoltre frequente interrompere la terapia con SSA e continuare la terapia con Peg da solo quando si sia ottenuto il controllo di malattia107.
Risultati del trattamento
Il concetto di “controllo di attività malattia”, è un concetto più che altro di tipo biochimico, che può essere definito quando82, 108:
Il nadir del GH dopo OGTT sia <0,4 µg/l dopo chirurgia o RT.
Un prelievo di GH eseguito in maniera random sia <1 µg/l sotto terapia con SSA. I valori di IGF-1 siano all’interno del range di normalità per età per tutti i trattamenti
e come unico parametro nella terapia con Peg da solo82.
TABELLA 5:GLI OUTCOME DEL TRATTAMENTO DELL’ACROMEGALIA (MODIFICATO DA GIUSTINA A ET AL.,A
CONSENSUS ON CRITERIA FOR CURE OF ACROMEGALY,JCEM201082)
OUTCOME CRITERI MANAGEMENT
Malattia Attiva
GH random > 1 µg/l e nadir di GH dopo OGTT ≥ 0,4 µg/l
RMN periodica
IGF-1 elevato Monitorare e trattare attivamente le comorbidità
Clinicamente attiva Trattare attivamente o cambiare trattamento
Malattia Controllata
GH random < 1 µg/l e nadir di GH dopo OGTT < 0,4 µg/l
RMN periodica ma meno frequente (ad esempio ogni 2-3 anni)
IGF-1 normalizzato per età e sesso
No cambiamenti al trattamento attuale; anzi, considerare se ridurre la dose di SSA
30 Essendo una valutazione di tipo biochimico, anche in questo caso si presenta il problema della non infrequente discordanza tra i valori di GH e di IGF-1, al quale si è già fatto riferimento nel paragrafo “Diagnosi” e al quale si rimanda. La cosa importante da sottolineare è che alla base delle apparenti discrepanze può esservi il timing della valutazione dopo l’intervento terapeutico: infatti a causa dell’emivita molto lunga dell’IGF-1 possono esser necessari diversi mesi per il suo ritorno nei range di normalità per età109.
FIGURA 7: FLOWCHART DEI POSSIBILI RISULTATI DALLA TERAPIA E DEL CONSEGUENTE MANAGEMENT
(MODIFICATO DA GIUSTINA A ET AL., A CONSENSUS ON CRITERIA FOR CURE OF ACROMEGALY, JCEM
201082)
Occorre inoltre sempre ricordare che il trattamento di una malattia sistemica come l’acromegalia non si esaurisce alla normalizzazione dei livelli ormonali secondo quanto detto sopra: infatti il controllo biochimico di malattia non sempre risulta in un controllo effettivo delle comorbidità110-112; questo dovrà essere ottenuto agendo in parallelo su due linee,
ovvero coordinando i più efficaci trattamenti per l’acromegalia con quelli per la singola comorbidità considerata (nell’ambito cardiovascolare, respiratorio, neurologico, endocrino-metabolico ecc.)25, 113, 114.
31
Lo studio
Lo scopo del seguente lavoro è stato quello di confrontare il ruolo di diverse terapie per l’acromegalia riguardo allo sviluppo di complicanze sistemiche che contribuiscono al rischio cardiovascolare, e di valutare, quindi, l’effettiva influenza di queste sugli eventi cardiovascolari acuti.
I punti fondamentali in cui si articola lo studio sono dunque due:
Il punto principale è valutare il ruolo della terapia dell’acromegalia nello sviluppo di fattori di rischio per la malattia cardiovascolare.
Il punto secondario è valutare l’influenza di questi fattori sull’effettivo sviluppo di eventi cardiovascolari acuti.
Materiali e metodi
I soggetti
I dati sono stati raccolti su 200 pazienti acromegalici afferenti alla Sezione di Endocrinologia del Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale dell’Università di Pisa e dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana dal 1974 al 2014.
La reclutabilità nello studio è stata determinata sulla base della durata del follow-up (che ha portato ad escludere quei pazienti che avessero un follow-up inferiore ai 6 mesi) e sulla base della completezza delle informazioni registrate nel corso del follow-up per gli aspetti di interesse per lo studio.
Le caratteristiche dei pazienti sono riportate nella tabella descrittiva generale dei reperti clinici e biochimici (tabella 6)
La diagnosi di acromegalia attiva è stata stabilita sulla base dei criteri riportati nella parte introduttiva. La malattia è stata definita controllata quando l'IGF-1 index (ossia il rapporto tra la concentrazione sierica di IGF-1 ed il limite superiore dell’intervallo di normalità dell’IGF-1 per l’età del paziente) fosse ≤ 1 grazie alla terapia alla quale il paziente veniva sottoposto. Il vantaggio di utilizzare questo indice (anzi che il range di normalità dell’IGF-1 per età) risiede nel fatto che ci permette in primo luogo di confrontare pazienti in diversi gruppi di età (il cui range di valori normali dell’IGF-1 è dunque diverso), ed in secondo luogo
32 di confrontare i dosaggi ottenuti mediante i metodi di laboratorio differenti che nel corso di circa 40 anni sono stati adottati.
TABELLA 6: TABELLA DESCRITTIVA GENERALE DEI REPERTI CLINICI E BIOCHIMICI DEI PAZIENTI (N=200) AL MOMENTO DELLA DIAGNOSI DI ACROMEGALIA. I DATI QUALITATIVI SONO ESPRESSI COME NUMERO E PERCENTUALE DEL TOTALE [N (%)], I DATI QUANTITATIVI SONO ESPRESSI SIA COME MEDIANA E RANGE INTERQUARTILE [MEDIANA (25-75)], SIA COME MEDIA ± DEVIAZIONE STANDARD [MEDIA ±SD].
Variabile Valore Sesso femminile 117 (58,5%) Macroadenomi 137 (68,5%) Ipopituitarismo 44 (22%) Ipogonadismo 28 (14%) Ipogonadismo + ipotiroidismo 5 (2,5%) Ipotiroidismo 9 (4,5%) Ipotiroidismo, iposurrenalismo 1 (0,5%) Panipopituitarismo 1 (0,5%)
Età alla diagnosi 46 (38-56)
46,84 ± 12,52 Ritardo stimato di diagnosi (in mesi) 60 (24-108)
73,57 ± 68,99
GH (µg/l) 10,6 (4,92-24,35)
19,06 ± 23,77
IGF-1 index 2,17 (1,64-2,94)
2,37 ± 1,02 Familiarità per ipertensione arteriosa 92 (46%) Familiarità per diabete mellito 55 (27,5%) Familiarità per ipercolesterolemia 12 (6%)
Fumatori 48 (26,08%)
Ex-fumatori 41 (22,28%)
Durata anni di fumo 0 (0-15)
8,54 ± 13,15
BMI 27 (24,67-31)
28,07 ± 4,63 Ipertensione arteriosa alla diagnosi 93 (46,5%) Diabete o prediabete alla diagnosi 64 (32%) Ipercolesterolemia alla diagnosi 73 (36,5%)
Iperuricemia alla diagnosi 13 (6,5%)
Ipertrigliceridemia alla diagnosi 15 (7,5%) Eventi cardiovascolari in anamnesi alla diagnosi 17 (8,5%)
33
Gli schemi di terapia considerati e la suddivisione nei gruppi T0, T1 e T2
Stante il discorso fatto nella parte introduttiva sul trattamento dell’acromegalia, occorre considerare che ognuno dei vari schemi di terapia presi in esame si avvale di uno solo o di una combinazione dei seguenti possibili trattamenti:
Ipofisectomia (Hx) Radioterapia (Rt)
Terapia medica con analoghi della somatostatina (SSA) Terapia medica con Pegvisomant (Peg)
La terapia medica con dopamino-agonisti (DA), sebbene sia stata utilizzata in passato, non è stata presa in considerazione in questo studio a fronte del minimo numero di pazienti reclutabili che fossero in trattamento con questi farmaci.
Ne deriva che ciascuno dei pazienti considerati fosse riconducibile ad uno dei numerosi seguenti possibili schemi di trattamento:
Hx da solo Rt da solo SSA da solo Peg da solo Hx e Rt Hx e SSA Hx, Rt e SSA Rt e SSA SSA e Peg Hx, SSA e Peg Hx, Rt, SSA e Peg
Occorre tuttavia subito sottolineare come, comprendendo i due schemi “Rt da solo” e “Peg da solo” numeri troppo bassi di pazienti (rispettivamente 2 e 1), per ragioni di dispersione essi non siano stati presi in considerazione nella suddivisione in gruppi di terapia che è successivamente stata effettuata.
34 A partire dagli schemi di terapia riportati sopra, si è scelto di suddividere i pazienti in 3 gruppi (denominati T0, T1 e T2) che comprendessero al loro interno più schemi terapeutici accomunati da delle caratteristiche in comune, e nello specifico:
In T0 si sono inseriti quegli schemi terapeutici che non prevedessero il ricorso a mezzi di tipo farmacologico, ma esclusivamente a mezzi di tipo chirurgico e radioterapico. In T1 si sono inseriti quegli schemi di terapia che prevedessero il ricorso al
Pegvisomant, indipendentemente da quali altri trattamenti fossero stati precedentemente effettuati.
In T2 si sono inseriti quegli schemi di terapia che prevedessero il ricorso agli analoghi della somatostatina, ma non al Pegvisomant.
Si è tuttavia scelto di inserire un determinato paziente all’interno di uno specifico gruppo di trattamento che comprendesse una sostanza farmacologica esclusivamente nel caso in cui l’assunzione di questa sostanza fosse avvenuta per almeno 12 mesi, in virtù del ragionamento secondo il quale gli effetti (benefici o avversi che siano) del dato farmaco non siano effetti immediati. Viceversa nel caso delle terapie che prevedano mezzi “fisici” (ovvero la terapia chirurgica e la radioterapia) questo criterio di esclusione temporale non è stato preso in considerazione, considerandosi pressochè immediato il loro effetto.
Conseguentemente i tre gruppi terapeutici contengono al loro interno i seguenti schemi: TABELLA 7: AFFERENZE DEI VARI SCHEMI DI TERAPIA PER L'ACROMEGALIA AI TRE GRUPPI T0,T1 E T2
Gruppo di terapia Schemi terapeutici afferenti
T0 Hx da solo
Hx e Rt
Hx, Rt e SSA (con SSA<12 mesi)
T1 SSA e Peg Hx, SSA e Peg Hx, Rt, SSA e Peg T2 Hx e SSA Hx, Rt e SSA Rt e SSA SSA da solo
SSA e Peg (con Peg<12 mesi) Hx, SSA e Peg (con Peg<12 mesi) Hx, Rt, SSA e Peg (con Peg<12 mesi)
35 Nel corso dell’analisi dei dati si è tuttavia dovuto affrontare un problema: al confronto tra i tre gruppi terapeutici si delineava una forte disomogeneità nei tempi di follow-up tra il gruppo T1 e gli altri due gruppi (T0 e T2), ascrivibile al fatto che il Pegvisomant sia un farmaco entrato nella pratica clinica molto recentemente.
Questo ha portato alla scelta di eliminare dall’analisi il gruppo T1 e tutti i pazienti ad esso afferenti per un discorso di omogeneità, riconducendo dunque l’analisi ad un confronto tra il gruppo T2 (al quale si riportano gli schemi terapeutici aventi gli SSA come cardini della terapia) rispetto al gruppo T0 (al quale si riportano gli schemi terapeutici non basati su trattamenti farmacologici), da intendersi quest’ultimo come un basale nei cui confronti valutare T2.
Gli outcome presi in esame
Con il termine “outcome” si indicano delle complicanze sistemiche dell’acromegalia la cui presenza (precedente alla diagnosi di malattia) oppure la cui comparsa (nel corso del periodo di follow-up) viene da questo studio ricercata.
Le complicanze prese in esame comprendono delle condizioni sistemiche che alla malattia acromegalica paiono essere associate e dalla malattia acromegalica si suppongono essere favorite; nello specifico si intendono l’ipertensione arteriosa sistemica, le alterazioni della tolleranza glicidica (nella forma di diabete mellito e prediabete), l’ipercolesterolemia, l’ipertrigliceridemia, l’iperuricemia, gli eventi avversi cardiovascolari.
L’ipertensione arteriosa è definita, secondo linee guida dell’European Society of Hypertension/European Society of Cardiology115, come condizione nella quale la pressione
arteriosa sistemica misurata al braccio sia ≥ 140/90 mmHg nel corso di una misurazione clinica; questo dato è da confermare in almeno due misurazioni nell’arco di una settimana se > 180/110 mmHg, oppure nell’arco del mese se ≥ 140/90 mmHg ma < 180/110 mmHg. Logicamente i valori presi in considerazione sono da riferirsi a pazienti che non stiano ricevendo trattamenti farmacologici a base di farmaci antipertensivi; nel caso contrario è l’anamnesi farmacologica positiva per l’assunzione di queste sostanze ad imporre che il paziente sia considerato positivo per l’outcome ipertensione.
36 Diabete e prediabete meritano un discorso più articolato: il metabolismo glucidico è valutato mediante misurazione della glicemia a digiuno (FPG, fasting plasma glucose), dell’emoglobina glicata (HbA1c, concentrazione espressa in termini %) e mediante test standard di tolleranza orale al glucosio (2h-standard OGTT, 2 hours-standard oral glucose tolerance test, 75 g di glucosio con prelievo di campioni ematici ogni 30 minuti per la valutazione di glicemia ed insulinemia).
La diagnosi dei vari tipi di alterazioni è stata fatta seguendo le linee guida 2014 dell’American Diabetes Association116, che così riportano:
Diagnosi di Diabete Mellito
A) In un paziente con la classica sintomatologia iperglicemica o con crisi iperglicemiche
- Riscontro anche in una singola occasione di un valore glicemico ≥ 200 mg/dl, indipendentemente dal momento dell’assunzione del cibo
B) In un paziente asintomatico, riscontro confermato in almeno due occasioni di:
- HbA1c ≥ 6,5% (con dosaggio standardizzato) Oppure
- FPG ≥ 126 mg/dl con dosaggio su prelievo eseguito al mattino dopo almeno 8 ore di digiuno
Oppure
- Glicemia ≥ 200 mg/dl due ore dopo carico orale di glucosio (75g) secondo la modalità descritta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità
Diagnosi di Prediabete
- FPG compresa tra 100 e 125 mg/dl Oppure
- Glicemia compresa tra 140 e 199 mg/dl due ore dopo carico orale di glucosio (75g) secondo la modalità descritta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità
Oppure - HbA1c compresa tra 5,7 e 6,4%
Quello che, secondo le più recenti linee guida, viene indicato con il termine di “prediabete” fino a poco tempo fa comprendeva due condizioni distinte, l’alterata glicemia a digiuno (impaired fasting glucose, IFG) e la alterata tolleranza glicidica (impaired glucose tolerance, IGT); la prima veniva definita nel momento in cui si avesse un risultato borderline nella FPG (110<FPG<126) ma normale nella 2h-OGTT (OGTT<140),la seconda nel momento in cui si avesse un risultato borderline sia nella FPG (110<FPG<126) sia nella 2h-OGTT (140<OGTT<200).