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Applicazione dei principi della Lean Production mediante la metodologia delle 5S e Visual Management Systems in un'azienda del luxury fashion context

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Academic year: 2021

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(1)

F

ACOLTÀ DI

I

NGEGNERIA

RELAZIONE PER IL CONSEGUIMENTO DELLA LAUREA MAGISTRALE IN INGEGNERIA GESTIONALE

Applicazione dei principi della Lean

Production mediante la metodologia delle

5S e Visual Management Systems in

un’azienda del luxury fashion context

RELATORI IL CANDIDATO

Prof. Ing. Gionata Carmignani Lorenzo Galardini

Dipartimento di Ingegneria Meccanica, Nucleare e della Produzione

Ing. Giulia Celli

Responsabile della pianificazione della produzione Fendi S.r.l

Sessione di Laurea del 19/02/2014 Anno Accademico 2012/2013 Consultazione NON consentita

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Sommario

Questo elaborato di tesi è basato sul lavoro svolto dal candidato durante l’attività di stage durata dall’Aprile 2013 fino a Novembre 2013 presso l’azienda Fendi S.r.l. (Bagno a Ripoli, Firenze). L’obiettivo dello stage era l’applicazione di semplici metodi come la metodologia delle 5S ed i Visual Management Systems al fine di incrementare le performance dello stabilimento di produzione. L’azienda Fendi S.r.l. compete nel settore dei beni d’alta moda di lusso, caratterizzato da un livello talmente elevato di complessità che l’azienda necessita di sforzi superiori rispetto al passato per rimanere competitiva. L’approccio della Lean Production può rappresentare una buona soluzione ma sono necessari degli adattamenti perché il settore della moda possiede caratteristiche differenti rispetto al settore automotive in cui la Lean Manufacturing è stata sviluppata. In questo elaborato di tesi viene descritta l’implementazione del progetto di miglioramento: la struttura stessa del progetto è diventata a sua volta la base per una semplice metodologia che può essere utilizzata all’interno di altri stabilimenti.

Abstract

This thesis is based on the work done by the candidate during the apprenticeship lasted from April 2013 to November 2013 at Fendi S.r.l. (Bagno a Ripoli, Florence). The target of the work was the application of simple methods such as the 5S Methodology and Visual Management Systems to improve the performance of the production facility. Fendi S.r.l. competes in the luxury fashion market that is characterized by an high level of complexity that needs more effort than in the past to remain competitive. The Lean Production approach can be a good solution but adjustments are necessary because the fashion market has different characteristics than the automotive industry in which the Lean Manufacturing was developed. In this thesis is described the implementation of the improvement project: its framework became the base for a simple methodology that may be used in other facilities.

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Indice

1. Introduzione ... 6

1.1 Luxury fashion context ... 6

1.2 Situazione economica del settore della moda di lusso ... 8

1.3 Storia dell’azienda Fendi S.r.l.. ... 11

2. Lean Production ... 14

2.1 Introduzione ... 14

2.2 La lotta agli sprechi ... 16

2.3 La creazione del valore per il cliente ... 19

2.4 La “casa” del Toyota Production System ... 21

2.4.1 Just in time ... 21

2.4.2 Jidoka ... 22

2.4.3 Gli strumenti della Lean Production ... 22

2.5 La Lean Production nel settore del lusso e dell’alta moda ... 25

3. Il processo produttivo ... 29 3.1 Introduzione ... 29 3.2 Preparazione ... 29 3.3 Colorazione ... 34 3.4 Montaggio ... 36 3.5 Finitura ... 38

4. Pianificazione del progetto ... 41

4.1 Introduzione ... 41

4.2 Identificazione obiettivi del progetto ... 41

4.3 Identificazione dei macro-processi e relative attività progettuali ... 42

4.4 Identificazione strumenti e documenti da produrre ... 43

4.5 Pianificazione temporale delle attività ... 44

4.6 Analisi del rischio del progetto ... 44

5. Analisi dei processi e del personale ... 45

5.1 Introduzione ... 45

5.2 Scelta della linea/famiglia di prodotto da mappare ... 45

5.2.1 Introduzione ... 45

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5.3 Osservazione diretta del processo produttivo ... 49

5.3.1 Area del Magazzino WIP ... 50

5.3.2 Area di Preparazione ... 53

5.3.3 Area di Colorazione I ... 55

5.3.4 Area di Montaggio/Assemblaggio ... 55

5.3.5 Area di Finitura ... 58

5.4 Osservazione ed interviste al personale ... 59

5.5 Definizione dello Stato AS IS ... 66

5.6 Definizione del piano di formazione del personale ... 69

6. Analisi del flusso del valore ... 75

6.1 Introduzione ... 75

6.2 Definizione del Current State Map ... 75

6.3 Analisi del Current State Map e dello Stato AS IS congiunte... 79

6.3 Definizione delle priorità di intervento ... 84

6.4 Definizione del Piano di miglioramento ed applicazione delle 5S ... 91

6.5 Definizione dello Scenario TO BE e Future State Map “ideali” ... 94

7. Implementazione dei miglioramenti ... 96

7.1 Introduzione ... 96

7.2 Implementazione del piano definitivo di miglioramento ... 96

7.2.1 Applicazione della metodologia delle 5S ... 96

7.2.2 Implementazione delle soluzioni (priorità 1) ... 107

8. Definizione indicatori ... 117

8.1 Introduzione ... 117

8.2 Individuazione del set di indicatori ... 127

9. Conclusioni e sviluppi futuri ... 131

Appendice ... 135 Allegato 1.1 ... 135 Allegato 1.2 ... 136 Allegato 1.3 ... 137 Allegato 1.4 ... 139 Allegato 1.5 ... 140 Allegato 1.6 ... 154 Allegato 1.7 ... 157 Allegato 1.8 ... 158

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5 Allegato 1.9 ... 160 Allegato 2.0 ... 161 Allegato 2.1 ... 163 Allegato 2.2 ... 164 Allegato 2.3 ... 166 Allegato 2.4 ... 167 Allegato 2.5 ... 174 Allegato 2.6 ... 175 Allegato 2.7 ... 179 Allegato 2.8 ... 181 Allegato 2.8 ... 185 Allegato 2.9 ... 186 Allegato 3.0 ... 187 Allegato 3.1 ... 189 Bibliografia ... 192 Ringraziamenti ... 195

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6

1. Introduzione

1.1 Luxury fashion context

Il settore Moda è uno dei più importanti all’interno del sistema economico italiano e contribuisce al prestigio stesso del Made in Italy nel mondo. I prodotti a ciclo moda sono il risultato di due distinte componenti. Una componente emozionale che consiste in una serie di percezioni e stati d’animo suscitati negli acquirenti e che i designer cercano di identificare in anticipo ed inserire all’interno del prodotto stesso. Una componente definibile come razionale che consiste nella struttura organizzativa e produttiva che le aziende devono possedere al fine di gestire tutto il ciclo di vita del prodotto assicurando il successo sul mercato. Recentemente quest’ultima componente sta assumendo un ruolo sempre più importante a causa della crisi finanziaria che ha investito tutti i mercati globali compreso il settore moda.

Queste due componenti sono in conflitto perché i designer vorrebbero sfruttare al massimo la loro creatività per creare il miglior prodotto possibile senza considerare alcun parametro economico (costi, ricavi, margini di profitto) e non (lead time di consegna) che invece sono essenziali per la sopravvivenza ed il successo sul mercato di ogni azienda. E’ per questa ragione che la struttura organizzativa e gestionale deve limitare la loro creatività al fine di poter produrre prodotti tecnicamente realizzabili ed economicamente sostenibili oltre che redditizi. Il mix di queste due componenti garantisce margini di profitti elevati e quote di mercato importanti alle aziende.

E’ importante capire come è strutturato il settore moda. In Fig. 1 è riportata una semplice classificazione delle aziende in base al tipo di prodotto commercializzato.

High

fashion

Diffusion

Bridge

Mass market

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7 Il livello più basso (mass market) è costituito dagli oggetti acquistati da una clientela disposta a spendere cifre non elevate per i prodotti che hanno una prezzo ed un contenuto stilistico limitato. Il prodotto non è quindi differenziato ma è possibile distinguere fra due segmenti differenti: il segmento better è riferito a prodotti economici di marchi industriali (Fila, Diesel,…) mentre il segmento moderate offre prodotti a maggior contenuto stilistico ed è caratteristico di marchi commerciali (Gap, Zara, Benetton, H&M,…) ma anche di prodotti unbranded.

Il secondo livello (bridge) è costituito da prodotti di fascia media con prezzo non troppo elevato in modo da poter attrarre sempre un ampio numero di consumatori ma presentano anche un discreto contenuto stilistico. I prodotti appartenenti a tale livello sono destinati per lo più a chi è interessato ad un certo contenuto stilistico senza richiedere tuttavia condizioni di esclusività. E’ un segmento nato nei department store americani con l’obiettivo di fare da ponte fra il livello più basso (mass market) ed i livelli superiori caratterizzati da prodotti con design più ricercati e prezzi superiori.

Il terzo livello (diffusion) è costituito da prodotti di fascia medio-alta destinati a consumatori benestanti disposti a spendere cifre importanti per beni di qualità superiore alla norma. Tali beni possono presentare sia una elevato contenuto innovativo che caratteristiche tradizionali ma pure sempre di qualità elevata. In questo segmento rientrano le seconde e terze linee degli stilisti (Emporio Armani, D&G,…) desinate ad un pubblico giovane ma comunque interessato ad un prodotto di qualità facilmente indossabile. La quarta fascia (high fashion) è costituita dall’alta moda: i prodotti d’alta moda sono capi unici ed esclusivi destinati ad un ristrettissima elite di compratori disposti a spendere cifre molto elevate pur di avere beni unici che attribuiscono un vero e proprio status symbol a chi li possiede. Il contenuto stilistico è elevatissimo così come i materiali impiegati (spesso pregiati) in quanto per questi prodotti la componente emozionale precedente citata predomina ed è essenziale suscitare particolari emozioni nel cliente al fine di convincerlo all’acquisto. Spesso sono beni acquistati senza una vera necessità ma soltanto per soddisfare un bisogno di appartenenza ad una ristretta cerchia di persone in grado di permettersi beni esclusivi. A sua volta questo segmento può essere suddiviso in due categorie. Il segmento couture riguarda la creazione di capi unici su misura per il cliente con prodotti che sono considerati vere e proprie opere d’arte realizzate totalmente in modo artigianale: tali prodotti riguardano però una ristrettissima nicchia di clienti. Di maggiore interesse (non che oggetto di questo lavoro di tesi) sono i prodotti appartenenti al segmento prêt-à-porter (o ready to wear). Tale segmento è nato in Italia a partire dagli anni Settanta con l’unione tra il mondo della moda ed il mondo dell’industria grazie a marchi di prestigio come Fendi, Versace, Armani, Prada. I prodotti posseggono un elevato contenuto stilistico ed elevata qualità ma sono

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8 anche innovativi: inoltre vengono rinnovati continuamente per seguire gli andamenti della moda. Il prezzo è elevato ma rimane accessibile per un certo target di consumatori. In questo segmento il brand riveste un ruolo di primaria importanza.

A questo punto rimane da capire come inquadrare il settore moda all’interno del lussury context. Sebbene molti autori in letteratura tendano ad equiparare lusso ad alta moda, in realtà i due concetti non sono esattamente sovrapponibili. Il settore del lusso riguarda una gamma di prodotti molto ampia che comprende, oltre ai beni del settore moda, prodotti di svariati settori (automobili, imbarcazioni, arredamento vario,…) che non sono solamente ad uso personale. E’ possibile però individuare nell’esclusività, unicità ed eccellenza le caratteristiche fondamentali che caratterizzano i prodotti di lusso. A sua volta poi è possibile distinguere tre diversi livelli di lusso.

Lusso inaccessibile (o super lusso): comprende prodotti dal prezzo elevatissimo ed unici creati da artigiani che seguono più il loro istinto e la propria creatività piuttosto che un’esigenza di mercato. Appartengono a questa categoria i prodotti delle maisons di haute couture (abbigliamento di lusso) ed i gioielli di lusso.

Lusso intermedio: comprende i prodotti che si rifanno ai precedenti per quanto riguarda la qualità, lo stile e la creatività, ma sono prodotti a prezzi più accessibili ed in un maggiore numero di esemplari. Essenziali per questi prodotti sono il marketing e le politiche pubblicitarie. A tale categoria appartengono i capi d’abbigliamento del segmento prêt-à-porter, calzaturiero, pelletteria ed orologi.

Lusso accessibile: comprende i beni prodotti su larga scala, in particolare accessori (occhiali, profumi, cosmetici) di marche note (solitamente le stesse aziende che producono prodotti di super lusso e lusso intermedio). Gli acquirenti non sono disposti a spendere cifre elevatissime come per le due precedenti categorie ma sono disposti a riconoscere un surplus per questi prodotti in quanto di ottima qualità e di “tendenza”. Il marketing ha ancora più importanza rispetto alla categoria precedente.

Questo lavoro di tesi è focalizzato sull’azienda Fendi S.r.l. ed in particolare sullo stabilimento produttivo di Bagno a Ripoli che articoli di pelletteria (principalmente borse) appartenenti al settore dell’alta moda e riconducibili al segmento del lusso intermedio. Nel seguente paragrafo verrà illustrata la situazione del settore moda con particolare attenzione ai beni di lusso.

1.2 Situazione economica del settore della moda di lusso

La crisi finanziaria ha inevitabilmente colpito anche il settore della moda. Nel 2009 erano presenti ben 107.231 imprese attive in Italia operanti

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9 all’interno del settore moda (abbigliamento, calzature, concia, gioielleria, pelletteria, tessile) ripartite come indica la Fig. 2.

Figura 2. Imprese attive nel settore moda.

Nel 2009 la redditività (calcolata dall’indicatore EBITDA/ricavi) è scesa fino al 3.9% (nel 2006 si attestava intorno al 6.7%). Questo valore è una media fra i valori degli indici di redditività dei diversi comparti del settore moda nel quale spiccano grandi differenze all’interno della filiera. Infatti la crisi ha colpito maggiormente le aziende a monte della filiera rispetto alle aziende che operano a valle. Il comparto della pelletteria ha subito minori danni a causa della crisi in quanto può vantare tutt’oggi un elevato indice di redditività (7.8%): altrettanto non si può dire dei comparti della maglieria, filatura e tessile che hanno indici di redditività al di sotto della media del settore moda (rispettivamente 1%, 2.2% e 3.1%).

La situazione è analoga per l’indice di indebitamento (calcolato attraverso il rapporto fra Debito finanziario/EBITDA): la media del settore moda è 3.7% con situazioni problematiche relative ai comparti della filatura (6.9%) e della maglieria (4.5%) mentre la situazione è migliore per i comparti della pelletteria (0.9%) e calzaturiero (2%).

A livello produttivo è stata registrata una contrazione del volume fisico di produzione medio fra il 2008 ed il 2009 dell’11.2% di tutto il settore moda: la riduzione più significativa è stata registrata sempre nel comparto tessile (22.4%), mentre il comparto della pelletteria e calzaturiero hanno avuto un calo intorno al 13.8%.

Questi dati, già di per se negativi, sono ancora più preoccupanti se si considera l’importanza del settore moda all’interno del sistema economico

Abbigliamento 48% Calzature 12% Concia 3% Gioielleria 12% Pelletteria 7% Tessile 18%

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10 italiano. Infatti il valore aggiunto del settore moda è di 27.4 miliardi di Euro pari all’11.1% del valore aggiunto dell’intero sistema manifatturiero italiano, corrispondente all’1.5% del PIL italiano: il contributo in termini di valore aggiunto è ancora più significativo se confrontato con i valori di altri paesi europei come Spagna (4,9%), Francia (3,6%), Regno Unito (2,9%) e Germania (1,7%).

E’ evidente come il settore della moda in Italia abbia subito pesanti danni a causa della crisi finanziaria. Invece il mercato dei beni di lusso evidenzia una tendenza molto differente a quella precedentemente descritta.

La redditività del mercato dei beni di lusso è molto elevata: nel 2011 le aziende del settore lusso hanno conseguito vendite per 191 miliardi di Euro facendo registrare una crescita superiore al 10% rispetto al 2005. Nel 2006 i brand del lusso italiani hanno rappresentato il 27.5% delle vendite totali del settore, a dimostrazione della grande importanza che questo riveste nel sistema economico italiano. In Italia un ruolo sempre più dominante è rivestito dall’e-commerce che garantisce 6 miliardi di Euro pari al 3.2% delle vendite totali con una crescita prevista del 20% annuo in grado di raggiungere i 15 miliardi di Euro nel 2016. Nel 2012 le esportazioni italiane di beni di lusso è aumentata complessivamente del 4,4%: se si considerano solo i paesi al di fuori della UE l’aumento è pari al 10.8%. Le esportazioni al di fuori dell'Europa rappresentano il 49% delle esportazioni delle imprese italiane con picchi del 52% per i beni di lusso del comparto pelletteria. I beni di lusso italiani dominano il mercato mondiale con una quota di mercato del 12,9% di molto superiore a Francia e Spagna che hanno quote di mercato inferiori (rispettivamente 4,9% e 2,9%).

I fattori che hanno permesso al settore del lusso di reggere l’impatto della risi sono essenzialmente tre.

Nuovi paesi emergenti. La crisi finanziaria ha colpito alcuni paesi che erano "clienti" storici di prodotti di moda italiani come i paesi europei (Francia , Spagna, Regno Unito , ecc.) ma anche gli Stati Uniti d’America. Al contrario, ci sono nazioni che hanno avuto meno problemi economici come la Cina, nazioni del Medio Oriente e la Russia che stanno aumentando la richiesta di beni di lusso, specialmente nel comparto della pelletteria.

Gestione del brand e della comunicazione. I vertici delle aziende di lusso italiano hanno intrapreso una strategia di rafforzamento del marchio; in particolare, queste aziende mirano a creare ed indirizzare la propria clientela verso boutiques mono-marca. Questa strategia ha l' obiettivo di mantenere un alto controllo della sezione a valle della Supply Chain, garantendo a quella parte di clientela più facoltosa la possibilità di personalizzare i propri prodotti. E' altrettanto

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11 importante il fattore comunicazione che garantisce la visibilità del marchio ottenuta attraverso campagne pubblicitarie mirate.

Potere di determinare il prezzo dei beni. E’ una delle caratteristiche specifiche del mercato dei beni di lusso. In Italia non ci sono un elevato numero di imprese di moda di lusso a causa di acquisizioni da parte di marchi internazionali (un trend che si è affermato soprattutto negli ultimi 10 anni): il mercato è oligopolistico e ci sono pochi grandi brand che determinano l’offerta. Il cliente è disposto a pagare molto per questi prodotti perché riconoscono il valore del prodotto stesso ma anche il valore del marchio. Ne consegue che le aziende riescono a proporre sul mercato dei portafogli prodotti molto ampi (per conquistare più clienti possibili) ed il prezzo non costituisce la prima variabile considerata (contano molto di più fattori come qualità, unicità dei materiali, prestigio del marchio,…).

1.3 Storia dell’azienda Fendi S.r.l..

Questo lavoro di tesi è stato sviluppato all’interno del reparto interno dello stabilimento produttivo di Bagno a Ripoli (FI) dell’azienda Fendi S.r.l.. Fendi trova la sua esatta collocazione all’interno del contesto “luxury fashion goods” in quanto la sua produzione è essenzialmente relativa a beni del segmento High fashion (alta moda) e più precisamente al lusso

intermedio (senza dimenticare comunque beni super-lusso prodotti in

esemplari unici), come mostrato in Fig. 3.

Figura 3. Posizionamento del marchio Fendi all'interno del settore moda.

La storia dell’azienda Fendi viene fondata nel 1918 da Adele Casagrande ed assume il nome attuale dopo il matrimonio con Edoardo Fendi. Il piccolo

Moda

Alta

Moda

Lusso intermedio

FENDI

S.r.l.

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12 laboratorio di pellicceria produce borse di qualità così elevata che nel corso degli anni 30 e 40 diventa famoso anche all’estero. E’ proprio nel 1938 che vengono create le borse Selleria, borse cucite a mano secondo l’antica tradizione artigianale.

Nel 1946 la gestione dell’azienda viene lasciata alle cinque figlie di Adele ed Edoardo: Paola, Anna, Franca, Carla ed Alda iniziano un’opera di rinnovamento dell’azienda attraverso la ricerca di nuovi materiali, forme e collaborazioni con nuovi stilisti.

Nel 1965 inizia la collaborazione che porterà il marchio Fendi a livelli di eccellenza ancora superiori: Karl Lagerfeld viene selezionato fra tutti gli stilisti emergenti diventando uno dei pilastri dell’azienda Fendi. Lagerfeld eleva il livello della maison Fendi grazie ad una ricerca costante su colori ed uno stile unico e riconoscibile a livello mondiale: nel 1966 crea il marchio con la doppia F rovesciata.

Negli anni 70 ed 80 il portafoglio prodotti si amplia notevolmente con la creazione di accessori per uomo, occhiali da sole, jeans, profumi ed arredamento per la casa.

Nel 1999 Fendi entra a fare parte della holding LVMH (Louis Vuitton Moët Hennessy S.A.), leader mondiale dei beni di lusso (vini e alcolici, profumi, gioielli, orologi, moda ed altro).

Recentemente i due pilastri dell’azienda, Karl Lagerfeld e Silvia Venturini Fendi coadiuvati dalla sapiente gestione del CEO Pietro Beccari hanno portato nuovi successi e apprezzamenti per il marchio Fendi grazie all’attenzione ai dettagli ed alla qualità straordinaria dei prodotti.

La sede centrale della maison romana è nel centro di Roma mentre la sede del comparto pelletteria (leather goods) è in Toscana con due diverse facilities.

Sesto Fiorentino. E’ la sede dell’Ufficio della Logistica e del Magazzino dal quale vengono inviati i prodotti ai canali distributivi di tutto il mondo.

Bagno a Ripoli. E’ la sede principale del comparto pelletteria. Sono presenti tutti gli uffici che gestiscono l’approvvigionamento, la produzione ed il controllo dei manufatti: la produzione riguarda sia articoli di piccola pelletteria (accessori, portafogli e cinture) sia borse (uomo e donna). Il reparto interno di produzione è situazione in posizione adiacente agli uffici stessi.

In passato il reparto interno era composto soltanto dal reparto di modelleria e da un ristretto gruppo di operatori che svolgevano un’attività prettamente artigianale: la produzione di serie non esisteva e veniva prodotti soltanto

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13 articoli in materiale pregiato (bassissimi volumi) e soprattutto articoli per il campionario, pubblicità e prove.

Nel Luglio 2011 il reparto interno è stato riorganizzato ed è stato creato il

reparto interno di produzione con lo scopo di iniziare una vera e propria

produzione di serie degli articoli (borse) continuativi che solitamente venivano assegnati alle aziende esterne in lavoro conto-terzi. Inoltre nel reparto vengono prodotti anche gli articoli MTO (Make-To-Order) che sono articoli che i clienti hanno personalizzato in fase di acquisto (nelle boutiques Fendi) secondo i propri gusti ed anche gli articoli Selleria cuciti a mano secondo la vecchia tradizione artigianale.

Questo progetto di tesi si inserisce all’interno del secondo step di riorganizzazione/miglioramento deciso dal vertice aziendale al fine di rendere il reparto interno di produzione più organizzato ed efficiente.

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14

2. Lean Production

2.1 Introduzione

La Lean Production (o Lean Manufacturing) costituisce un approccio, ma ancora meglio una filosofia industriale, che mira a ridurre gli sprechi che costituiscono fonti di inefficienza al fine di garantire un miglioramento in azienda. E’ stata utilizzata la parola “filosofia” in quanto molto spesso in maniera erronea la Lean Production viene considerato come un approccio costituito da regole, passi e metodi da applicare rigidamente per ottenere un certo miglioramento. La realtà è molto più complessa di quanto descritta in molti libri ed articoli scientifici e questo lavoro di tesi evidenzierà tali difficoltà.

Tradotto alla lettere Lean Production significa Produzione Snella. L’obiettivo di questa filosofia è chiaro già nel suo nome: l’obiettivo è snellire tutto ciò che riguarda il sistema azienda, non solo a livello produttivo ma anche a livello organizzativo, gestionale e persino a livello culturale. Molto spesso quest’ultimo aspetto non è molto considerato ma in realtà costituisce una delle chiavi del successo dei progetti di Lean Production, come vedremo meglio in seguito.

Un errore comune è considerare i concetti della Lean Production e la relativa implementazione in azienda come un progetto in senso stretto con un inizio ed una fine ben precisi. In realtà la ricerca continua degli sprechi è un’attività che non dovrebbe mai cessare ma perdurare nel tempo a qualsiasi livello aziendale. Infatti la filosofia Lean prevede che il cambiamento non debba essere solo a livello operativo più basso, cioè non sono solo gli operatori ad esserne interessati ma tutta l’azienda a partire dal top management: senza la forte convinzione dei vertici aziendali nei è molto difficile ottenere il miglioramento derivante dall’implementazione di tecniche e strumenti di Lean Production.

La Toyota, presente sul mercato automobilistico sino dal 1933, ha rivoluzionato il proprio sistema produttivo dopo la fine della Seconda guerra mondiale, determinando quello che oggi è noto come Modello giapponese e che gli studiosi hanno identificato come Lean Production o Produzione Snella. Gli artefici di questa rivoluzione sono identificabili in Sakichi Toyoda (fondatore dell’industrie Toyota), Kiichiro Toyoda (il figlio di Sakichi artefice dell’affermazione mondiale dell’azienda nipponica a livello mondiale) e Taiichi Ohno (ingegnere meccanico responsabile degli stabilimenti Toyota, considerato il vero padre del Toyota Production System o TPS).

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15 Storicamente la Lean Production è una filosofia nata a metà degli anni ’50 in Giappone all’interno degli stabilimenti produttivi della Toyota grazie all’impegno di Taiichi Ohno che decise di rivoluzionare le produzione di massa caratterizzata da notevoli sprechi di risorse attraverso una riduzione costante degli sprechi nascosti. A partire dagli anni ‘50 i cambiamenti apportati alle fabbriche Toyota in Giappone hanno contribuito a trasformare una piccola azienda artigianale nata 20 anni prima nella prima potenza mondiale nel settore automotive. Inizialmente i cambiamenti sono stati applicati alla sola linea di produzione dei motori, poi negli anni ’60 la filosofia Lean è stata applicata all’intera linea di assemblaggio dei veicoli e infine negli anni ’70 a tutta la catena dei fornitori.

L’inizio di questo percorso di miglioramento è stato un viaggio compiuto da dirigenti ed ingegneri della Toyota guidati da Taiichi Ohno negli USA per visitare gli stabilimenti della Ford nel 1956. Nonostante la Ford fosse il leader mondiale del settore automotive, gli ingegneri nipponici notarono subito una grande quantità di sprechi ed inefficienze:

 elevate quantità di scorte inter-operazionali che richiedevano grandi spazi per stoccare la giacenze;

 difettosità numerosissime a causa delle operazioni svolte indipendentemente da ciascun operatore senza tenere conto di alcun tempo ciclo;

 mancanza di bilanciamento fra le stazioni produttive;

 capitali ingenti necessari per tenere elevati stock in magazzino e per i macchinari di notevoli dimensioni e con grandi tempi di set-up.

Il sistema produttivo Ford era basato su un approccio Push secondo cui l’azienda produceva un prodotto standard ed il mercato era in grado di assorbire tutta l’offerta: non c’era alcun riferimento alle richieste del cliente. Questo approccio può rivelarsi corretto in alcuni periodi storici e sotto particolari condizioni economiche. Inizialmente infatti la Ford non ebbe problemi a vendere il suo modello Ford T a chiunque in quanto il benessere diffuso unito alle crescenti disponibilità economiche anche per i ceti sociali più abbienti resero possibile il completo assorbimento della produzione.

Le condizioni in Giappone alla fine della Seconda guerra mondiale erano l’opposto della situazione precedentemente descritta: le famiglie non avevano denaro e la nazione era in gravi difficoltà economica, oltre al fatto che era stata distrutta dai bombardamenti alleati. La Toyota non aveva quindi i capitali a disposizione della Ford e neanche la domanda era simile a quella del mercato americano.

Ohno aveva intuito che il modello fordista non era applicabile in Giappone e decise di usare un approccio totalmente diverso: tutto ciò che non costituiva esplicita richiesta del mercato (e quindi del cliente) rappresentava spreco

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16 per l’azienda e andava ridotto al minimo o eliminato. Questo approccio è stato in seguito rinominato come Pull: il cliente assume un ruolo centrale ed i prodotti devono soddisfare appieno le richieste dei clienti stessi, in questo modo la produzione è “tirata” dalla clientela e viene prodotto soltanto quello che il mercato richiede evitando la sovrapproduzione tipica dell’approccio

Push.

Il Toyota Production System permise a Toyota di uscire dalla crisi in cui versava e di diventare il leader del settore automotive mentre le aziende americane come Ford che avevano dominato il mercato fino agli anni ’50 entrarono in crisi.

Soltanto verso la fine degli anni ’80 il modello nipponico iniziò a suscitare l’interesse delle case automobilistiche di tutto il mondo. Nel 1990 Womack e Jones descrissero nel libro The Machine that Changed the World i risultati dell’analisi del modello giapponese condotta da loro e altri studiosi del MIT (Massachussets Institute of Technology). E’ proprio in questo libro che Womack conia il termine Lean Production per descrivere l’estrema ricerca dell’essenzialità e l’eliminazione degli sprechi tipici del TPS. Un altro libro del 1996 scritto sempre da Womack e Jones, Lean Thinking: Banish Waste

and Create Wealth in Your Corporation, approfondisce la descrizione dei

concetti fondamentali della Lean Production che saranno trattati nei prossimi paragrafi:

 la lotta agli sprechi;

 la creazione del valore per il cliente.

2.2 La lotta agli sprechi

Gli sprechi (chiamati Muda in giapponese) rappresentano la fonte primaria di inefficienza in qualsiasi azienda e come vedremo nel prossimo paragrafo ostacolano il concetto di creazione di valore per il cliente. La filosofia della Lean Production individua 7 tipologie di sprechi da ridurre al minimo o eliminare riassunti in Fig. 4.

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17

Figura 4. I 7 tipi di sprechi.

i. Defects and repairs. I difetti sono generati da errori occorsi durante il processo e generano scarti, prodotti difettosi o prodotti rilavorati (nel caso sia possibile recuperare il difetto). Le difettosità causano una non corrispondenza dei prodotti finiti con le specifiche di prodotto e questo è inaccettabile per i principi Lean in quanto la capacità di soddisfare le richieste del cliente è fondamentale. In questa categoria di spreco rientra anche il maggior utilizzo di risorse e tempo necessarie per le rilavorazioni. Difettosità e rilavorazioni comportano un aumento del Lead Time, costi operativi, ritorni dai clienti e problemi di gestione degli ordini. Un’analisi dei prodotti e del processo è utile al fine di individuare e ridurre le difettosità e le rilavorazioni.

ii. Over-production. La sovrapproduzione è uno degli sprechi più consistenti ed è caratteristico delle aziende che utilizzano l’approccio

Push. La sovrapproduzione si verifica quando la domanda non viene

attentamente valutata e l’offerta generata è superiore. Over-production è considerata sia l’eccesso (a livello quantitativo) della produzione sia ciò che è prodotto troppo in anticipo (a livello temporale). La soluzione ideale sarebbe produrre solo la quantità necessaria nel momento in cui sorge la necessità (la richiesta del cliente): tale soluzione è molto difficile da implementare, quindi questo tipo di spreco è fra i più difficili da eliminare perché comporta un ripensamento a tutti i livelli aziendali a partire dalle strategie e politiche aziendali fino ad arrivare ai processi

7

Muda

Defects and repairs Over-production

Waitings

Transport and handling Inventory Over-processing

Motion

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18 operativi di più basso livello. Inoltre tale cambiamento dipende anche da condizioni esterne all’azienda che possono diventare vincoli non rimovibili che rendono impossibile l’eliminazione della sovrapproduzione. I principali problemi che causa una sovrapproduzione sono l’aumento degli stocks e dei relativi spazi necessari per lo stoccaggio, l’aumento di risorse necessarie per il mantenimento degli stocks a magazzino e la necessità di gestire tale surplus di merce con aumento della complessità gestionale.

iii. Waitings. Le attese possono essere di vario tipo (ritardi, errori, code) ed hanno diverse cause (linee non bilanciate, problemi con i macchinari, stock-out). L’elevata variabilità di questo tipo di spreco lo rende uno dei più ostici da eliminare. Le attese causano aumenti del Lead Time, del work-in-progress e inefficienza delle risorse impiegate. iv. Transport and handling. I trasporti e lo spostamento dei materiali sono

un’altra fonte di spreco: in questa categoria rientrano solo gli spostamenti dei materiali fra le diverse aree di lavoro. Inoltre gli spostamenti dei materiali possono causare danneggiamenti ai materiali stessi ed anche per questo motivo devono essere ridotti al minimo. Tale tipologia di spreco può essere causata da inefficienze dovute al layout delle aree di lavoro oppure dalla metodologia di trasporto che dipende da numerosi parametri (frequenza, distanza, tempo).

v. Inventory. Le scorte rappresentano uno degli sprechi più frequenti in azienda. In questa categoria sono inclusi sia i prodotti finiti che non vengono venduti, il work-in-progress costituito da semi-lavorati all’interno del processo produttivo ma anche le materie prime rimaste inutilizzate. Tutto questo è scorta per le aziende e costituiscono Working Capital “bloccato” nel processo, comportando anche spreco di risorse in termini di spazi occupati ed un’appropriata metodologia di gestione della scorta stessa. La riduzione delle scorte garantisce una riduzione degli spazi e dei costi collegati alla gestione della scorta stessa, liberando risorse per altri processi aziendali.

vi. Over-processing. Tale spreco è collegato al sovra-utilizzo di risorse sia all’interno del processo produttivo, sia a livello di progettazione del prodotto in cui spesso vengono inserite delle specifiche che sono eccessive e non rispecchiano i bisogni reali dei clienti. Queste specifiche rappresentano una spreco perché non aggiungono valore per il cliente. All’interno di questa categoria rientrano anche gli operatori in possesso di competenze superiori a quelle realmente necessarie.

vii. Motion. Questa tipologia di spreco riguarda lo spostamento di materiali e persone all’interno delle stesso ciclo di lavorazione. Questi spostamenti, oltre a costituire spreco di risorse ed inefficienze, sono fonte di danni e pericolo per materiali e persone. E’ molto difficile

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19 ridurre tali spostamenti ma è comunque necessario cercare di analizzare le fonti di tali perdite di tempo per minimizzarli.

2.3 La creazione del valore per il cliente

Uno dei concetti più difficili da spiegare è proprio la creazione di valore. Il concetto di valore non è assoluto ma assume significato in relazione al cliente, ovvero il valore rappresenta solo ciò che il cliente desidera realmente. In termini di prodotto è possibile identificare come “a valore” le sole caratteristiche/requisiti che soddisfano reali esigenze del cliente finale. E’ essenziale identificare ciò che il cliente riconosce come valore, non solo le caratteristiche/requisiti richiesti ma più in generale tutte quelle attività che creano valore aggiunto in azienda. La definizione dei requisiti dei clienti è sempre cruciale al fine di creare un prodotto di successo, per questo la loro definizione dovrebbe avvenire insieme ai clienti stessi. Infatti vengono tralasciate frequentemente caratteristiche importanti per il cliente mentre ne vengono aggiunte altre che non hanno valore per il cliente: spesso tale misunderstanding deriva propria dall’asincronia del processo di definizione dei requisiti del cliente che dovrebbe avvenire di concerto col cliente stesso. Una volta definito cosa rappresenta il valore nell’ottica del cliente è possibile andare ad identificare il flusso del valore ovvero è necessario identificare le attività che aggiungono valore al prodotto finale. In quest’ottica è possibile distinguere fra:

 attività che creano valore aggiunto;

 attività che non creano valore aggiunto ma inevitabili/necessarie nell’ottica di creazione del valore per il cliente;

 attività che non creano valore aggiunto e possono essere eliminate. L’obiettivo primario è eliminare o comunque ridurre il più possibile quest’ultimo tipo di attività. In seguito è auspicabile agire sulle attività che non creano valore aggiunto ma necessarie, cercando di ridurle oppure ottimizzarle.

A questo punto è necessario che il flusso del valore “fluisca” (in inglese

flow) verso il cliente, ovvero che il flusso sia continuo e non subisca

interruzioni (presupponendo che le attività a non valore aggiunto siano state eliminate/ridotte il più possibile). Per ottenere questo occorre seguire una serie di “regole”:

 focalizzazione sull’oggetto reale del valore abbandonando i vecchi limiti aziendali relativi a mansioni, professionalità e funzioni;

 standardizzazione delle attività e redazione di procedure in modo che ogni persona sappia cosa fare;

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 valutare scelte di make/buy per attività non facenti parte del core-business aziendale;

 riduzione dei livelli gerarchici (l’obiettivo è la creazione di una piramide piatta);

 bilanciamento dei carichi di lavoro.

Il passo successivo consiste nell’attivazione di una gestione di tipo Pull che, come è già stato precedentemente accennato, consente di tirare la produzione attraverso la reale richiesta del cliente: è essenziale che venga prodotto cosa richiede il cliente, nel momento giusto, nella quantità giusto ed al giusto prezzo. Infatti è inutile che il valore sia identificato e fluisca correttamente se le richieste del cliente, in termini di prodotto (cosa), quantità, tempo e prezzo, non sono soddisfatte. L’approccio Push ignora questi fattori e “spinge” la produzione verso il cliente con la possibilità che il prodotto non soddisfi i requisiti del cliente stesso.

In quest’ottica la gestione Pull diventa fondamentale in quanto la produzione deve partire soltanto quando c’è l’effettiva richiesta del cliente, non ha senso produrre in anticipo con il rischio che il mercato non assorba anche solo una parte della produzione. Per fare ciò diventano obsoleti i sistemi MRP che supportano la pianificazione della produzione ma si basano su previsioni in modo da iniziare la produzione prima che si manifesti la domanda, con il conseguente accumulo di scorte. La gestione

Pull presuppone che la produzione inizi solo quando si manifesta la

domanda del cliente: dopo di che il sistema produttivo deve essere rapido nel rispondere a tale richiesta nel minor tempo possibile. L’ottica è denominata Just-In-Time (letteralmente “appena in tempo”) e consiste nell’andare a produrre il giusto prodotto, nel momento esatto, l’esatta quantità, al prezzo appropriato. Solo in questo modo è possibile ridurre al minimo le scorte e le risorse necessarie. Una logica Pull è implementabile attraverso la riduzione del tempo di attraversamento del prodotto nel ciclo produttivo, il passaggio da una produzione a lotti ad una produzione unitaria (producendo un manufatto alla volta emergono subito eventuali problemi e la correzione è immediata senza causare difettosità elevate) e la riduzione dei tempi di attrezzaggio.

L’ultimo concetto da perseguire continuamente è il Miglioramento Continuo perché di fatto non è possibile eliminare in una sola volta tutti i problemi in azienda. La lotta agli sprechi ed il miglioramento delle performance deve diventare un obiettivo primario per tutta l’azienda a partire dai vertici aziendali fino al personale operativo. Soltanto in questo modo è possibile raggiungere la perfezione.

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21

2.4 La “casa” del Toyota Production System

Gli strumenti/metodi della filosofia Lean sono innumerevoli. Nella Fig. 5 è riportata la “casa” del TPS. E’ possibile notare una base (Standard Work, Stability e Kaizen) costituita da una serie di strumenti che possono considerarsi come basi da impiegare e due pilastri (Just in Time e Jidoka) necessari a sorreggere il tetto che è composto dagli obiettivi da raggiungere.

Figura 5. La casa del Toyota Production System.

Nei paragrafi seguenti sono descritti a grandi linee i due pilastri della “casa” del TPS.

2.4.1 Just in time

Il Just in Time (JIT) letteralmente significa “appena in tempo” e rappresenta uno dei due pilastri del TPS: “produrre solo quello che è richiesto, quando è

richiesto” è il diktat del JIT e consente di passare da una gestione Push ad

una gestione Pull. Il JIT può essere considerato come una politica di gestione delle scorte tesa a ridurre le scorte superflue, i depositi intermedi di materiali ed i relativi costi di mantenimento e gestione delle scorte stesse. In realtà, il JIT è più di una metodologia di gestione delle scorte a ripristino: come già citato precedentemente, i sistemi Pull considerano essenziale la figura del cliente che attiva con la propria domanda l’intera filiera produttiva. L’obiettivo principale del JIT è rendere più corto possibile il processo produttivo, in particolare le fasi a monte di approvvigionamento dei materiali: coordinando opportunamente le fasi di approvvigionamento con le fasi produttive è possibile ridurre le scorte di materiale ed evitare l’accumulo di materie prime, semilavorati, work-in-process (wip) e prodotti finiti. In questo modo è possibile ridurre gli sprechi a partire dalla causa principale, ovvero la mancanza di coordinamento fra la richiesta del mercato ed il

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22 processo produttivo. L’importanza del cliente è così elevata nel JIT che si parla spesso di sistema produttivo “pulsante” perché la produzione deve pulsare alla cadenza imposta dalla domanda del cliente.

2.4.2 Jidoka

Il termine giapponese Jidoka è traducibile come “autonomazione” e rappresenta il secondo pilastro della “casa” del TPS. L’essenza del Jidoka è concentrato in un proverbio diffuso all’interno della Toyota a partire dagli anni ’50: “ferma la produzione in modo che la produzione non si fermi mai”. L’obiettivo del Jidoka è la qualità, ovvero è essenziale che il processo produttivo garantisca pezzi senza difettosità e senza bisogno di rilavorazioni che costituiscono fonte di spreco. E’ necessario dotare i macchinari di sistemi in grado di bloccare automaticamente ed autonomamente le lavorazioni appena si evidenzia un malfunzionamento o un difetto; oltre a questo è importante formare gli operatori che devono sapere identificare le condizioni anomale e sapere come intervenire.

In termini pratici, questo significa dotare i macchinari di sensori e dispositivi in grado rilevare le anomalie e successivamente di segnalarle agli operatori ed arrestare la produzione stessa. Gli operatori vengono responsabilizzati e diventano responsabili per la qualità del prodotto ed attraverso la formazione vengono istruiti su come individuare le cause delle anomalie occorse.

2.4.3 Gli strumenti della Lean Production

In questo paragrafo vengono descritti i principali strumenti applicabili nell’ambito Lean: successivamente verrà riproposta una loro analisi più approfondita grazie alla quale è stato possibile selezionare un set ridotto di strumenti da inserire nel progetto di miglioramento del reparto interno di produzione di Bagno a Ripoli, successivamente implementati durante lo stage.

I. Cellular manufacturing. La produzione per celle rappresenta uno dei

più importanti strumenti Lean. Si tratta essenzialmente di una metodo di progettazione del layout che consente di ottenere una configurazione produttiva in cui l’unità fondamentale è la cella. La cella è un’unità produttiva in cui vengono svolte molte tipologie di lavorazioni su un’ampia gamma di prodotti simili fra loro, con lo scopo di contenere attrezzature ed operatori (al massimo 12 operatori distribuiti su un massimo di 15 stazioni). Attraverso un’analisi del flusso devono essere identificate le comunanze fra i prodotti per poi passare a riprogettare il flusso ed infine il layout: concetti essenziali sono la standardizzazione e la similarità fra prodotti. I principali benefici ottenibili sono il miglioramento del flusso e la riduzione delle scorte e del lead time di produzione.

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23 II. Concurrent engineering. E’ un insieme di tecniche destinate a

migliorare la fase di progettazione del prodotto e del processo produttivo. La progettazione diventa integrata in quanto vengono coinvolte più funzioni aziendali con notevoli riduzioni di tempi e costi di sviluppo prodotto e miglioramento della qualità del prodotto stesso in quanto eventuali problemi vengono affrontati e discussi da personale con diverse competenze.

III. Kanban system. Il sistema Kanban, che letteralmente significa

“cartellino” è uno dei più conosciuti strumenti Lean in grado di supportare il JIT. Il Kanban è un cartellino che riporta dati importanti riguardanti un prodotto in lavorazione e costituisce il segnale che innesca la produzione (sistema Pull). Se la domanda del cliente non è presente il Kanban non lascia la propria postazione di raccolta: quando una richiesta del cliente si manifesta, il Kanban viene movimentato ed attiva il processo produttivo a monte. La produzione e la movimentazione dei manufatti è regolata dai cartellini Kanban che sostituiscono i sistemi di shop floor control in modo semplice, intuitivo ed a basso costo. Nella Fig. 6 è riportato un semplice schema del sistema Kanban.

Figura 6. Il sistema Kanban.

IV. Mixed model production. E’ un tipo particolare di produzione in linea

che prevede la produzione di differenti tipi di prodotti: presupposti fondamentali sono bassi tempi di attrezzaggio e la riduzione della numerosità del lotto di produzione. Trattandosi di linea produttiva sono essenziali anche i concetti di bilanciamento (equa distribuzione del carico di lavoro fra le postazioni di lavoro) ed il livellamento (equa distribuzione degli ordini di produzione in modo da ottenere un mix livellato in termini di output).

V. Poka-yoke devices. I dispositivi Poka-yoke (letteralmente “a prova di

scimmia” o “a prova di errore”) sono dispositivi che servono ad eliminare gli errori umani. Questi dispositivi riescono a limitare le

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24 operazioni che gli operatori devono compiere in modo da diminuire la probabilità di effettuare errori.

VI. Single Minute Exchange of dies (SMED). Le tecniche SMED si

basano sulla riduzione dei tempi di attrezzaggio dei macchinari: teoricamente gli attrezzaggi dovrebbero avvenire in un lasso di tempo inferiore a 10 minuti (digit). Le regole per ridurre tali tempi a non valore aggiunto sono molteplici, ma grazie ad una loro applicazione razionale è possibile ottenere drastici miglioramenti che consentono di ridurre la numerosità dei lotti e dei costi di produzione oltre che un incremento della flessibilità e della reattività del sistema produttivo stesso.

VII. Takt analysis. Il Takt time rappresenta il ritmo della produzione ed è

calcolabile come rapporto fra il tempo disponibile (al netto delle pause e dei fermi di manutenzione) e la domanda dei clienti. L’analisi del Takt Time è importante perché, oltre a supportare il calcolo di parametri importanti del sistema produttivo, consente di determinare il ritmo produttivo da mantenere per coordinare la richiesta del mercato con le fasi di approvvigionamento e produzione.

VIII. Total productive maintenance (TPM). Il TPM è un sistema che mira a

raggiungere la massima efficienza aziendale attraverso il miglioramento dell’affidabilità degli impianti ed il trasferimento dei compiti di manutenzione a squadre di operatori. I programmi di TPM prevedono l’utilizzo della tecnica Fmeca e la creazione di protocolli per il controllo delle operazioni e piani di manutenzione.

IX. Total quality management (TQM). Il TQM rappresenta il modello di

riferimento per la gestione della qualità. L’obiettivo è estendere il concetto di gestione della qualità ad ogni livello aziendale, in modo da ridurre sprechi ed inefficienze. Il TQM fa ampio uso della statistica e di strumenti come carte di controllo, analisi di Pareto, analisi di causa-effetto, ecc..

X. Value Stream Mapping (VSM). Il VSM è un semplice strumento di

mappatura dei processi aziendali che consente di identificare come si genera il valore in azienda e come si distribuisce/fluisce nell’intero processo produttivo, evidenziando i problemi ed i colli di bottiglia al suo interno. La prima mappatura chiamata Current State Map (CSM) definisce l’attuale situazione dei processi aziendali: in seguito ad un’analisi dei processi vengono stabiliti i miglioramenti da effettuare per far fluire meglio il flusso, dopo di che viene redatto il Future State

Map (FSM) che rappresenta la situazione ideale ottenibile se ogni

azione di miglioramento ha effetto. Spesso il FSM deve essere aggiornato alla fine del progetto in quanto per svariate cause è difficile ottenere il FSM ideale.

XI. Visual management systems (VMS). I VMS sono dispositivi,

strumenti ed attrezzature che servono per facilitare i compiti degli operatori. Questi sistemi sono detti “visuali” perché sfruttano la

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25 rapida identificazione da parte dell’occhio umano nei confronti di elementi colorati o con forme facilmente riconoscibili (es. nastri colorati, poster, lavagne). L’impiego di questi sistemi è di supporto anche alla standardizzazione delle operazioni.

XII. 5S Technique. E’ la tecnica più conosciuta ed utilizzata fra tutti gli

strumenti Lean in quanto consente di ridurre facilmente gli sprechi ma è soprattutto un modo per “abbattere” le barriere culturali e fra le funzioni aziendali. La sigla 5S significa:

- Seiri. Letteralmente significa “separare/dividere” e l’obiettivo del primo step della tecnica è proprio la separazione degli oggetti utili da quelli inutili attraverso una tecnica di segregazione come la Red Tag Strategy. Soltanto gli oggetti utili al processo produttivo devono rimanere nell’area di lavoro, tutti gli altri sono superflui e possono ostacolare gli operatori.

- Seiton. Il termine Seiton significa “riordinare” e spesso questo secondo step è svolto di contemporaneamente al primo in quanto gli oggetti utili, una volta identificati, vengono immediatamente ordinati e messi al loro posto.

- Seiso. Il terzo step prevede la pulizia degli oggetti e dei locali di lavoro, in quanto è stato dimostrato che la sporcizia tende a nascondere difetti oltre che ad esserne una delle cause scatenanti: inoltre un ambiente di lavoro pulito è più gradevole e facile da manutenere.

- Seiketsu. Letteralmente significa “standardizzare” ed è lo step necessario per definire le metodologie che consentono di creare i presupposti per riproporre con continuità le 3 attività precedentemente elencate nell’ottica del miglioramento continuo. - Shitsuke. L’ultimo passo significa “diffondere” o “sostenere”:

l’obiettivo è estendere i precedenti 4 step a tutti i livelli aziendali in modo che diventino attività routinarie svolte da tutto il personale, senza bisogno di utilizzare progetti pilota o simili.

2.5 La Lean Production nel settore del lusso e dell’alta moda

I principi e gli strumenti della Lean Production sono stati ideati ed applicati da Toyota Motor Co. nel settore automotive, un contesto profondamente diverso rispetto a quello dell’alta moda e dei beni di lusso.

Gli acquirenti di beni di lusso attribuiscono grande importanza alla qualità ed unicità dei prodotti, ma allo stesso tempo non sono disposti ad aspettare troppo tempo per ottenere il bene desiderato. Il prezzo non costituisce una variabile fondamentale per tale segmento della clientela, purché siano soddisfatte le loro aspettative sul prodotto in termini di qualità e tempestività.

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26 E’ evidente che non è possibile implementare una produzione basata su una logica Pull pura dati che il Time to market non verrebbe rispettato. L’aspetto che può essere migliorato invece è il Lead Time totale in modo da garantire la disponibilità dei prodotti nei punti vendita nel più breve lasso di tempo possibile, ovviamente senza trascurare elementi fondamentali come qualità e unicità del prodotto.

La grande maggioranza delle aziende che operano nel settore dell’alta moda e del lusso sono ancora legate alla vecchia produzione artigianale. In parte deriva dal fatto che artigianale è comunque sinonimo di qualità, in quanto un prodotto fatto a mano è di per se unico ed il tempo e l’attenzione di cui è stato fatto soggetto sono tali da garantirne il valore. In parte però è innegabile che molte aziende di tale settore sono convinte che una produzione più efficiente è ottenibile soltanto attraverso un’industrializzazione pesante e produzione di grande serie che rimane comunque difficile da implementare a causa dei volumi ridotti di tali beni. Come ultimo fattore di resistenza al cambiamento, le aziende dell’alta moda e del lusso sostengono che il modello artigianale è risultato vincente per decine di anni e che cambiare può essere fonte di pericolo ed insuccesso. Negli ultimi anni lo scenario del settore dell’alta moda è cambiato velocemente (complice anche la crisi economica). I preconcetti legati alla filosofia della Lean Production ed al fatto che fosse stata sviluppata nel contesto automotive, molto diverso dal settore dell’alta moda, sono stati superati e gran parte delle aziende più importanti del settore hanno iniziato ad applicare gli strumenti Lean.

Il leader mondiale dei beni d’alta moda di lusso, Louis Vuitton, ha intrapreso dal 2005 un progetto di miglioramento basato sui principi della Lean Production. I motivi principali del cambiamenti voluti dalla proprietà e dai vertici della holding LVMH di cui Louis Vuitton e Fendi fanno parte, sono la ricerca di una maggiore flessibilità ed i risparmi in termini di costi e tempi (Lead Time). I beni a ciclo moda sono caratterizzati da una domanda in cui la componente di stagionalità è predominante: i beni diventano obsoleti nell’arco di pochi mesi e la tempestività con cui le collezioni vengono presentate è essenziale tanto quanto la rapidità con cui i prodotti vengono resi disponibili nei punti vendita.

Prima dell’implementazione del progetto, Louis Vuitton adottava un modello totalmente artigianale in cui ciascun operatore era in grado di svolgere soltanto determinate operazioni, quindi per completare un manufatto erano necessari numerosi operatori (tra 20 e 30 circa). Naturalmente i fattori di interesse per l’azienda erano (e sono tutt’oggi) la ricerca della perfezione e la qualità dei prodotti e non veniva prestata attenzione ad eventuali inefficienze durante il processo produttivo (compensate anche dagli elevati margini di contribuzione unitari di tali beni).

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27 Una volta individuata la necessità di rendere il processo più flessibile in modo da poter rispondere rapidamente alle richieste dei clienti, e considerando anche l’aumento dei costi di materie prime e manodopera in Francia, i vertici di LVMH hanno deciso di applicare i concetti della Lean Production a partire dall’azienda leader del gruppo (Louis Vuitton) per poi passare alle altre aziende del gruppo come Celine B, Loewe, Fendi.

E’ da sottolineare l’importanza del commitment dei vertici dell’azienda francese al progetto che non hanno mai fatto mancare i dovuti investimenti per portare a termine il progetto.

A livello operativo, il primo passo è stato l’addestramento e la formazione degli operatori, in modo da renderli il più polivalenti possibili: in questo modo è stato possibile ottenere operatori interscambiabili a seconda delle esigenze (assenze, malattie) e capaci di erogare a loro volta una prima formazione sul campo. Il secondo passo è stato la suddivisione delle principali famiglie di prodotti (borse e articoli di piccola pelletteria) su diverse linee di assemblaggio correttamente bilanciate e con mix livellato attraverso la teoria Heijunka: ogni linea risulta avere un carico perfettamente bilanciato e con un massimo di 10-12 operatori. Ogni stazione è stata dotata di tutti i macchinari ed attrezzature necessarie agli operatori.

Inoltre la lotta agli sprechi è stata adottata come vero e propria mission all’interno degli stabilimenti francesi. In realtà, malgrado gli sprechi non fossero poi così eccessivi, è stato deciso di portare avanti comunque un’attività basata sulla tecnica delle 5S al fine di aumentare il coinvolgimento del personale per far comprendere loro l’importanza del progetto: il personale doveva assumersi le proprie responsabilità ed avere la coscienza di essere parte integrante del cambiamento.

A livello gestionale, è stato applicato il concetto di One piece flow per poter ridurre il Lead Time legato al tempo che un singolo bene impiega per “attraversare” il processo produttivo attraverso la numerosità del lotto di produzione che è stato ridotto fino alla condizione ideale di produrre un singolo pezzo alla volta. Un ulteriore vantaggio di tale cambiamento è stato l’aumento della qualità dei manufatti, in quanto eventuali difetti o anomalie vengono notati appena esce il primo prodotto non conforme: il prodotto da scartare o da rilavorare è uno solo mentre in precedenza poteva verificarsi la possibilità di dover scartare un’intera partita già finita (che normalmente era costituita da 100-200 unità complessive). Sono stati raggiunti gli obiettivi di incremento di flessibilità, riduzione del Lead Time e dei costi, senza considerare la riduzione del work-in-process e l’incremento della produttività e dell’efficienza degl’impianti francesi.

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28 Una volta applicati i concetti della filosofia Lean, i vertici di Louis Vuitton dovevano vedere se i cambiamenti attuati a livello produttivo (ed in generale a livello di cultura e mentalità aziendale) sarebbero stati accettati dalla clientela della maison francese, da sempre interessata al prodotto artigianale fatto a mano. La risposta del mercato si è rivelata ottima e nel corso degli ultimi anni l’azienda ha raggiunto il fatturato record di 3.2 miliardi di euro (2012) affermandosi come azienda leader del lusso d’alta moda. Il passaggio da una produzione artigianale ad una più industrializzata ed efficiente non ha peggiorato la qualità dei manufatti, in quanto fattori come perfezione, unicità e ricercatezza rimangono obiettivi fondamentali per la maison francese. Il successo ottenuto da Louis Vuitton ha convinto i vertici del gruppo LVMH ad investire pesantemente sulla Lean Production, tanto che altre aziende della holding hanno già iniziato a seguire la filosofia giapponese di Toyoda e Ohno.

In questo contesto si inserisce il progetto di miglioramento basato sui concetti della Lean Production nel reparto di produzione interno presso Fendi S.r.l..

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29

3. Il processo produttivo

3.1 Introduzione

All’interno del reparto interno di produzione di Bagno a Ripoli vengono prodotte alcune delle borse presenti nel portafoglio prodotti dell’azienda: come avremo modo di vedere in seguito, la grande maggioranza della produzione totale è svolta all’esterno da aziende che lavorano conto terzi per Fendi S.r.l.. Il processo produttivo delle borse presenta una forte componente di lavoro artigianale di tipo manuale ed è ormai consolidato nel tempo: non ci sono quindi differenze a livello operativo fra il modus

operandi del reparto interno e quello delle aziende conto terziste.

Di seguito viene illustrato a grandi linee il processo produttivo delle borse destinate alla clientela femminile, che può essere diviso inizialmente in quattro sotto-processi principali:

- Preparazione - Colorazione - Montaggio - Finitura

E’ da notare che le quattro tipologie di lavorazioni sopra elencate non costituiscono una sequenza di sotto-processi lineare: a seconda del componente è possibile iniziare e terminare con una diversa operazione ed anche il ciclo di lavorazione può variare da componente a componente.

3.2 Preparazione

La preparazione o “soppannatura” è una fase preliminare al montaggio vero e proprio della forma. L’obiettivo di questa fase è preparare i materiali per le successive lavorazioni. I materiali principali che vengono lavorati in questa fase sono:

- pelli: con il termine pelli si intendono sia la vera e propria pelle di derivazione bovina, ma anche il cuoio (in particolare Fendi produce borse con una tipologia di cuoio detto cuoio romano) ed i pellami pregiati di derivazione animale come la pelle di struzzo, coccodrillo, pitone, cavallo, visone, volpe (acquistati da allevamenti selezionati e certificati);

- fodere: sono la parte interna della borsa che serve a rivestire la parte non pregiata della pelle: solitamente le fodere sono di tessuto;

- infustiture: le infustiture sono dei rinforzi che vengono aggiunti tramite operazioni di incollaggio alle pelli per conferire rigidità e

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30 resistenza alla borsa che altrimenti tenderebbe a piegarsi su se stessa. Sono prodotte in un particolare materiale plastico chiamato

talyn.

Le principali operazioni elementari svolte durante il sotto-processo della preparazione sono:

- Spaccatura. Il materiale in input a tale lavorazione è la pelle tagliata e con un certo spessore che risulta maggiore di quello finale che deve possedere la cosiddetta “pelle spaccata”. Attraverso la macchina spaccatrice viene regolato lo spessore che deve raggiungere la pelle ed una lama tenuta sempre affilata da una mola diamantata riduce lo spessore della pelle stessa. Per le lavorazioni delle pelle pregiate viene aggiunto un componente che presenta due rulli che servono a guidare in maniera ottimale la pelle verso la lama (anche se viene ridotta la velocità del taglio).

Figura 7. Macchina spaccatrice.

- Scarnitura. Mentre la spaccatura ha come obiettivo quello di ridurre lo spessore su tutta la superficie della pelle, la scarnitura serve a ridurre lo spessore di pelli, fodere ed infustiture in punti ben definiti dai modelli elaborati nel reparto di Modelleria. Le scarniture sono effettuate nei punti in cui sarà effettuato il rimbocco della pelle (punto in cui la pelle viene piegata): altre scarniture sono effettuate invece per alleggerire le pelli e/o ridurre ulteriormente lo spessore della stessa. Alcuni componenti vengono scarniti in seguito anche all’operazione di tranciatura che vedremo in seguito.

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Figura 8. Macchina scarnitrice.

- Masticiatura. Tale operazione consiste nel depositare una sostanza con funzione di collante (lattice) sulla superficie delle pelle e delle infustiture al fine di poterle accoppiare insieme (da notare che il mastice in questione va spruzzato su entrambe le superfici da incollare altrimenti non avviene il successivo fissaggio). La masticiatura può avvenire attraverso due macchine differenti.

o Macchina latticiatrice: è un macchinario che presenta due rulli attraverso cui viene depositato il mastice posto in una vasca di raccolta inferiore. Modificando l’altezza del rullo inferiore si modifica la quantità di mastice che viene spalmato dallo stesso. Tale macchinario può masticiare tutta la superficie di un semilavorato oppure solo una sua parte utilizzando un meccanismo supplementare che serve per ridurre l’area di deposito del mastice.

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Figura 9. Macchina spruzzatrice.

o Macchina spruzzatrice. E’ un macchinario che presenta una pistola attraverso cui spruzzare il mastice. A differenza della latticiatrice viene impiegata nei casi in cui va distribuito il lattice soltanto in una zona molto limitata (solitamente una striscia spessa pochi millimetri). Il mastice spruzzato ha tempi di asciugamento inferiori rispetto a quello depositato tramite latticiatrice.

Figura 10. Macchina latticiatrice.

- Stiratura. è l’operazione utilizzata per unire in modo permanente (ma senza mastice) una pelle con un materiale termo-adesivo (un tipo di infustitura) attraverso l’utilizzo di calore. A seconda del tipo di pelle la macchina stiratrice viene regolata con la temperatura ottimale per effettuare il corretto incollaggio dei due componenti; successivamente si posiziona su una superficie mobile della carta velina sulla quale adagiare sopra le pelli e le termo-adesive una

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33 sopra l’altra. Una volta ricoperta la superficie mobile viene chiusa con il coperchio e inserita all’interno del forno e grazie al calore sprigionato si incolleranno i due componenti.

- Attaccatura (o accoppiatura). E’ un’operazione svolta al banco e consiste nell’accoppiare due o più componenti masticiati fra di loro. Può essere svolta a mano o con l’ausilio di piccoli martelli.

- Schiacciatura. La macchina schiacciatrice è utilizzata per comprimere il semilavorato ottenuto dopo l’operazione di attaccatura. I componenti attaccati vengono fatti passare fra due rulli che fanno diminuire lo spessore del semilavorato stesso e ne aumenta la compattezza.

- Fustellatura (o tranciatura). E’ l’operazione che consente di portare alla misura netta i semilavorati ottenuti con le precedenti operazioni: i semilavorati sono sbozzi da cui poi viene ricavato il componente con le esatte dimensioni che verrà fatto avanzare nelle fasi successive di produzione. La macchina tranciatrice consiste in una pressa oleodinamica che comprime lo sbozzo: fra lo sbozzo stesso e la pressa viene interposta una fustella che è una forma sagomata di materiale metallico con i bordi taglienti che riporta la forma al netto che il componente dovrà possedere alla fine del processo di preparazione. Una variante alla macchina tranciatrice (o fustellatrice) è la macchina tagliastrisce che serve a tagliare i semilavorati attraverso un rullo che riporta della lame: facendo passare il semilavorato sotto tale rullo vengono ricavati i componenti attraverso semplici tagli longitudinali.

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