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Effetti indotti da nanoparticelle di biossido di titanio in fibroblasti murini in vitro: citotossicità, genotossicità e potenziale cancerogeno.

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UNIVERSITÀ DI PISA

DIPARTIMENTO DI BIOLOGIA

Corso di Laurea Magistrale

in

Biologia Molecolare e Cellulare

EFFETTI INDOTTI DA NANOPARTICELLE DI BIOSSIDO DI

TITANIO IN FIBROBLASTI MURINI

in vitro

: CITOTOSSICITÀ,

GENOTOSSICITÀ E POTENZIALE CANCEROGENO

Relatori: Laureanda:

Lucia Migliore Teresa Brunetti Isabella Sbrana

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INDICE

RIASSUNTO I

1. INTRODUZIONE 1

1.1. Nanotecnologie e nanomateriali 1

1.2. Localizzazione tissutale delle nanoparticelle (NP) ed interazione NP-cellula

4 1.3. Proprietà chimico-fisiche e loro effetti sulla tossicità delle NP 9

1.3.1. Dimensione ed area di superficie 10

1.3.2. Forma ed aspect ratio 13

1.3.3. Chimica di superficie 14

1.4. Nanoparticelle di biossido di titanio (TiO2 NP) 16

1.5. Modelli in vitro per lo studio della tossicità delle NP 19

1.5.1. Citotossicità basale: test colorimetrici e non colorimetrici 19

1.6. Genotossicità 21

1.6.1. Test del micronucleo con blocco della citodieresi (CBMN-cyt ) 22

1.6.2. Test della cometa 24

1.7. Saggio di trasformazione morfologica 26

2. SCOPO DELLA TESI 28

3. MATERIALI E METODI 30

3.1. Nanoparticelle di biossido di titanio (TiO2 NP): sintesi e caratterizzazione

30 3.2. Coltura in vitro di fibroblasti murini immortalizzati: linea cellulare

Balb/3T3

33 3.3. Analisi di internalizzazione di TiO2 NP in Balb/3T3 34 3.4. Trattamento delle colture di Balb/3T3 con TiO2 NP 34

3.5. Test di Efficienza di Formazione di Colonie (CFE) 35

3.6. Test del micronucleo con blocco della citodieresi (CBMN-cyt) 36

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3.6.2. Criteri di conteggio delle cellule non vitali e citotossicità 38

3.6.3. Criteri di valutazione del danno genotossico 39 3.7. Test della cometa e valutazione del danno primario al DNA 40

3.8. Saggio di trasformazione morfologica (CTA) 42

3.9. Analisi statistica 43

4. RISULTATI 44

4.1. Analisi di internalizzazione di TiO2 NP in Balb/3T3 44 4.2. Test di Efficienza di Formazione delle Colonie (CFE) 45

4.2.1. TiO2 NP non rivestite (TiO2 NP pristine) 45 4.2.2. TiO2 NP rivestite con biossido di silicio (TiO2 NP silicate) 46

4.2.3. TiO2 NP rivestite con sodio citrato (TiO2 NP citrate) 48

4.2.4. TiO2 NP Aeroxide® P25 (P25) 48

4.2.5. Confronto dei dati di CFE dopo esposizione a TiO2 NP e P25 50

4.3. Test del micronucleo con blocco della citodieresi (CBMN-cyt) 52

4.3.1. Citostasi: indice di proliferazione (CBPI) e indice di replicazione (RI) 52

4.3.2. Citotossicità: indice apoptotico e indice necrotico 54

4.3.3. Genotossicità: frequenza di micronuclei (MN), ponti

nucleoplasmatici (NPB) ed evaginazioni nucleari (NBUD) 56 4.3.4. Confronto dei valori di citostasi, citotossicità e genotossicità dopo

esposizione di Balb/3T3 a TiO2 NP e P25 58

4.4. Test della cometa 58

4.4.1. Danno primario al DNA 59

4.5. Test di trasformazione cellulare (CTA) 60

5. DISCUSSIONE 62

6. CONCLUSIONI 69

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RIASSUNTO

Le nanoparticelle (NP) si presentano come strutture semplici o molto elaborate, con almeno una delle tre dimensioni compresa tra 0 e 100 nm. Ad oggi, l’impiego delle NP si è diffuso in molti settori: grazie alle loro proprietà fisico-chimiche, come l’alta resistenza e flessibilità, sono utilizzate nell’industria edile e nell’industria meccanica e metallurgica; per le caratteristiche di resistenza ai raggi UV sono applicate nell’industria cosmetica e biomedica per la produzione di creme solari, creme sbiancanti, protesi dentali; ma un uso sempre maggiore si ha anche nell’industria alimentare.

Negli ultimi anni sono cresciuti gli studi riguardo la sicurezza ambientale e la salute dei fruitori dei nano-materiali e forte è l’interesse nel creare nuove NP più sicure, rivestite con diversi materiali che possano ridurre i possibili effetti negativi delle stesse. Ad oggi in letteratura le informazioni riguardo l’interazione delle nanoparticelle con i sistemi biologici e l’ambiente sono ancora molto limitate e i pareri non sono concordi.

Questa tesi ha come scopo quello di saggiare i possibili effetti tossici e il potenziale cancerogeno delle nanoparticelle di biossido di titanio (TiO2 NP), diversamente rivestite con citrato o silicio, prodotte ad hoc nell’ambito di un Progetto Europeo, utilizzando come materiale di riferimento particelle di titanio prodotte industrialmente (Aeroxide® P25). I saggi in vitro, effettuati sulla linea cellulare di fibroblasti murini immortalizzati, Balb/3T3, sono di tipo non colorimetrico ed elencati qui di seguito:

 Saggio di efficienza di formazione delle colonie (CFE)

 Test del micronucleo con blocco della citodieresi (CBMN-cyt)  Test della cometa

 Test di trasformazione cellulare (CTA)

La vitalità delle cellule Balb/3T3 esposte al TiO2 NP a differenti dosi e tempi di esposizione è stata saggiata attraverso il saggio CFE. Il test del micronucleo,

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nella versione cytome, ha permesso di valutare la citostasi mediante l’indice di replicazione, e la citotossicità con l’indice apoptotico e necrotico; la genotossicità è stata valutata con la frequenza dei micronuclei, dei ponti nucleoplasmatici e delle evaginazioni nucleari. Il test della cometa basato sulla capacità del DNA di migrare, se sottoposto ad un campo elettrico, in maniera differenziale in presenza di rotture a singolo o doppio filamento ha permesso di individuare il danno primario indotto da TiO2 NP. Con il test di trasformazione morfologica (CTA), invece, si è indagato il potenziale cancerogeno delle nanoparticelle valutando la formazione dei foci di tipo-III generati nella linea cellulare usata.

Il confronto dei dati permetterà di valutare se le nostre TiO2 NP e soprattutto la loro funzionalizzazione giochino un ruolo decisivo per i loro possibili effetti tossici.

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1. INTRODUZIONE

1.1 Nanotecnologie e Nanomateriali

La nanotecnologia, intesa come scienza che sviluppa tecnologie basate su materiali di dimensioni inferiori al micrometro (1 nm = 10-9 m), ha trovato vasta applicazione in numerosi ambiti, tra cui la biomedicina. Traendo vantaggio delle più avanzate innovazioni tecnologiche e dall’impiego di nanomateriali (NM), i quali presentano almeno una delle tre dimensioni compresa nell’intervallo 1 - 100 nm (EC, 2011), la nanotecnologia applicata alla biomedicina permette di comprendere maggiormente i processi biologici e fornisce nuovi metodi di trattamento delle patologie, di diagnosi dei tumori, di somministrazione controllata dei farmaci e di terapia genica (Oyewumi et al., 2010; Wong, 2011; Stovbun et al., 2012).

Quello che rende i NM così preziosi per le nanotecnologie sono le proprietà chimico-fisiche che presentano. Caratterizzati da forma e dimensione peculiari, da una elevata duttilità che ne rende la superficie facilmente modificabile e da una grande superficie in rapporto al volume, i NM sono spesso biologicamente più reattivi rispetto ai loro materiali di base (Roduner, 2006; Buzea et al., 2007; Cao e Wang, 2010). Grazie alle loro proprietà chimico-fisiche, i NM possono essere suddivisi principalmente in: (1) nanoparticelle (NP) labili, come liposomi, micelle, polimeri e nanoemulsioni, che si degradano nelle loro componenti molecolari, e (2) nanoparticelle insolubili, quali biossido di titanio (TiO2), diossido di silicio (SiO2), fullereni e nanotubi di carbonio (Liang et al., 2008).

L’utilizzo di reagenti di produzione come solventi, rivestimenti, ma anche pH, temperatura e durata ed intensità di sonicazione possono influenzare la bioreattività, la chimica e le proprietà fisiche ed elettromagnetiche dei NM risultanti (Roduner, 2006; Cao e Wang, 2010; Pandey et al., 2013).

Anche gli usi dei NM nelle nanotecnologie dipendono dalle loro proprietà chimico-fisiche. Ad esempio, i nanomateriali di ossido di metallo (TiO2, Fe2O3 e

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ZnO) sono utilizzati nella produzione di cosmetici e creme per la cura del corpo (Nowack e Bucheli, 2007); le nanoparticelle di argento (Ag NP), con attività antibatterica, se depositate su nanotubi di carbonio a parete multipla (MWCNT) presentano una minore dispersione e biotossicità (Seo et al., 2014); i nanotubi di carbonio a parete singola (SWCNT) sono, invece, degli ottimi conduttori di elettricità e si prestano alla produzione di batterie ricaricabili (Kumar, 2006). Nell’ambito della farmacologia le NP vengono utilizzate per veicolare o stabilizzare i farmaci, come nel caso di TiO2 NP che fungono da trasportatori per incrementare la fotostabilità di farmaci agendo da filtri di protezione. Tuttavia l’utilizzo di NP può comportare complicazioni dovute, per esempio, alla loro lenta od incompleta dissoluzione post-iniezione, alla precipitazione o alla formazione di complessi con i costituenti del sangue, al rilascio ritardato dei composti ed al legame a componenti tissutali (Li et al., 2006).

L’ampio utilizzo di NP ha però suscitato anche interrogativi relativi alla loro produzione, esposizione e rilascio nell'ambiente poiché, seppur non considerate inquinanti, le NP potrebbero rappresentare una fonte di tossicità con conseguenze sugli ecosistemi e sulla salute umana. Come riportato da Winnik e Maysinger (2013) e da Magaye e coautori (2012), numerosi e recenti studi hanno dimostrato che alte dosi di nanomateriali quali quantum dots, ma anche nanoparticelle di cobalto, nichel e rame sembrano contribuire ad una vasta gamma di malattie e patologie come asma, malattie autoimmuni e cardiovascolari, aterosclerosi e tumori.

Tuttavia altri studi hanno anche dimostrato come le NP possano non essere tossiche. Ad esempio, SiO2 NP amorfe e nanoparticelle di opale non hanno indotto citotossicità, genotossicità e non hanno dimostrato avere potenziale cancerogeno in fibroblasti murini di topo (Hernández-Ortiz et al., 2012; Uboldi et al., 2012). In maniera simile, rispetto a quelle non rivestite, ZnO NP ingegnerizzate con silicio hanno attenuato il danno a carico del DNA in cellule linfoblastoidi umane (Sotiriou et al., 2014).

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Ad oggi, i meccanismi di internalizzazione e di tossicità delle NP, il loro trasporto tra e nei compartimenti cellulari, e le loro interazioni con l’ambiente, non sono completamente compresi, così come non è ancora chiaro quanto la loro forma e dimensione, la superficie o il rivestimento, oppure ancora la durata dell’esposizione o il dosaggio possano influire sulla tossicità delle NP.

Per tale motivo vengono attualmente condotti moltissimi studi riguardo ai possibili meccanismi ed eventuali effetti tossici e cancerogeni indotti dalle NP. Ad esempio, nanoparticelle di oro (Au NP), utilizzate nella regolazione genica intracellulare e per il drug delivery come veicoli per introdurre farmaci e chemioterapici nelle cellule, possono provocare una risposta infiammatoria nel tessuto in cui vengono internalizzate, seppure in vitro non sembrino mostrare citotossicità in cellule umane leucemiche K562 (Connor et al., 2005), così come in macrofagi di topo RAW264 (Shukla et al., 2005) e in cellule di epitelio umane A549 (Uboldi et al., 2009). In disaccordo con questi studi sono presenti in letteratura diverse conferme sulla tossicità indotta da Au sia come elemento (Patra et al., 2007) sia come NP. Infatti, sono stati osservati effetti citotossici indotti da Au NP in cellule A549 (Choi et al., 2012) e in RAW264 (Di Bucchianico et al., 2014). Freese e coautori, attraverso studi di proliferazione e sopravvivenza cellulare, hanno identificato come possibili fattori citotossici non solo la grandezza e la concentrazione delle NP, ma anche la quantità di rivestimento di sodio citrato presente sulla loro superficie, utilizzato per la stabilizzazione delle Au NP (Freese et al., 2012). A livello nucleare, le Au NP inducono rotture e danno ossidativo al DNA ed effetti aneuploidogeni, in maniera differente in base al tipo cellulare saggiato – A549 e RAW264.7 – (Di Bucchianico et al., 2014).

In aggiunta, nanoparticelle di rame (CuO NP) sono risultate citotossiche e genotossiche, inducendo stress ossidativo dose-dipendente in A549 (Ahamed, 2010), e la loro tossicità è risultata dose-dipendente in RAW264.7 ed in linfociti derivati da sangue umano (Di Bucchianico et al., 2013).

Diversi studi hanno dimostrato citotossicità indotta da nanoparticelle di argento (Ag NP) in cellule di mammifero (Shin et al., 2007; Ahamed et al., 2008;

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Hsin et al., 2008). Inoltre, in cellule HeLa di adenocarcinoma umano della cervice, Cai e colleghi hanno rilevato che TiO2 NP foto-eccitate inducono citotossicità e stress ossidativo (Cai, 1992), mentre formazione di micronuclei e presenza di mutazioni e rotture del DNA sono state osservate in seguito ad esposizione di cellule umane intestinali, amniotiche ed epidermiche a TiO2 NP (Shukla et al., 2011; Saquib et al., 2012), ed in cellule di ovaio di criceto cinese (CHO) e in fibroblasti polmonari murini (Di Virgilio et al., 2010; Hamzeh e Sunahara, 2013).

Benché numerosi siano gli studi volti a comprendere il comportamento e i meccanismi di internalizzazione e di tossicità delle NP, non si è ancora raggiunta una completa conoscenza degli effetti tossici associati all’utilizzo, all’esposizione e alla natura chimico-fisica delle NP. Per tale motivo il presente lavoro di tesi risulta attuale e volge ad una migliore comprensione degli effetti citogenotossici indotti da TiO2 NP.

1.2 Localizzazione tissutale e interazione NP-cellula

Le NP possono essere introdotte nell’organismo mediante ingestione, assorbimento cutaneo o iniezione, anche se l’inalazione sembra essere il portale di ingresso principale (Figura 1).

Dato l’aumentato impiego dei nanomateriali in applicazioni di uso quotidiano, risulta necessario conoscere le possibili interazioni tra le NP e le cellule ed i loro compartimenti, ma anche la loro biodistribuzione nell’organismo e nei tessuti.

Principalmente la penetrazione attraverso la barriera cutanea è dipendente dalla dimensione delle NP, ma bisogna considerare che alcune NP possono dissolversi o rompersi in parti più piccole. Nel tratto respiratorio le NP insolubili possono essere trattenute dall’epitelio respiratorio oppure possono essere rimosse mediante l’intervento di cellule ciliate, tosse e deglutizione. Tuttavia, possono anche depositarsi negli alveoli e qui venire in contatto con i macrofagi

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che vi risiedono, i quali possono attuare un’azione di protezione fagocitandole, oppure possono migrare attraverso la barriera alveolo-capillare ed entrare nel circolo sanguigno (Liang et al., 2008).

Figura 1. Vie di internalizzazione e traslocazione delle NP nel corpo umano. Da Buzea et al., 2007.

Le nanoparticelle inalate vengono distribuite dai polmoni al sangue, com'è stato visto per le TiO2 NP ultrafini in ratti (Geiser et al., 2005; Muhlfeld et al., 2007); analogamente nell'uomo, una volta immesse nel circolo sanguigno, le NP sono ridistribuite in siti extrapolmonari (Nemmar et al., 2002) e primariamente in fegato e milza. Studi con TiO2 NP in vivo hanno registrato disfunzione epatica, infiammazione, danno ossidativo, apoptosi ed alterata espressione genica negli epatociti (Liu et al., 2010; Cui et al., 2012).

È stato inoltre dimostrato che Au NP con diametro inferiore a 58 nm possono attraversare la barriera emato-encefalica, più facilmente in presenza di rivestimento con neuropeptidi (Lin et al., 2014); mentre, recentemente, è stato dimostrato, in esperimenti condotti nel coniglio, il superamento della barriera

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emato-testicolare da parte di Ag NP, con seguente compromissione dei gameti maschili (Castellini et al., 2014).

Studiare il modo in cui le NP interagiscono con le cellule è importante non solo per comprenderne gli eventuali effetti tossici, ma anche per poter disegnare nanotrasportatori per farmaci e chemioterapici.

Nelle cellule di mammifero sono state fino ad oggi individuate 5 diverse vie di endocitosi delle NP: fagocitosi, macropinocitosi, endocitosi clatrina-/caveloina-dipendente o inclatrina-/caveloina-dipendente, e traslocazione diretta attraverso la membrana cellulare (Figura 2).

Figura 2. Pathways di internalizzazione delle NP nelle cellule. Da Chou et al., 2010.

L’utilizzo di uno specifico pathway è subordinato al tipo cellulare, alla densità di ligandi sulla membrana e dalla tensione di quest'ultima, ma è anche strettamente dipendente dalla dimensione delle NP (Yue e Zhang, 2012). La carica delle NP riveste un ruolo anch’essa, in quanto è stato dimostrato come

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l’internalizzazione di NP cariche negativamente avvenga attraverso un legame aspecifico con i siti cationici presenti sulla membrana plasmatica (Chithrani et al., 2006; Verma e Stellacci, 2010).

Diversi sono i fattori implicati nel meccanismo di internalizzazione delle NP nella cellula. Ad esempio, il contatto tra la NP e la membrana cellulare è mediato dalle cosiddette “proteine corona”, ossia dal rivestimento proteico che si forma sulla superficie esterna delle NP, e la cui composizione e quantità dipendono dalle proprietà chimico-fisiche delle NP. La formazione di tale corona proteica può aumentare la grandezza della nanoparticella e condizionarne l'internalizzazione. È noto, infatti, che le proteine sono in grado di ridurre l'energia libera della superficie della NP, caratteristica direttamente implicata nell'interazione con la membrana cellulare (Mahmoudi et al., 2014).

Chithrani e co-autori hanno inoltre posto l'attenzione sul fatto che esista una grandezza ottimale delle NP atta a favorirne l’uptake, che è la risultante della forza motrice termodinamica necessaria alla membrana cellulare per avvolgere la NP e della cinetica di diffusione dei recettori. Se la dimensione delle NP è di molto inferiore a quella ottimale, si ha un incremento di energia libera che causa un ridotto grado di assorbimento da parte della cellula (Chithrani et al., 2010).

Milić e collaboratori, e precedentemente anche Chithrani (2006), hanno dimostrato che in cellule renali di suino le proteine del siero legano la superficie di Au NP stabilizzate da rivestimento di citrato, rendendo le NP più capaci di interagire con i recettori di superficie cellulare. In cellule renali di suino il processo di internalizzazione sembra avvenire attraverso macropinocitosi, un metodo differente dal classico meccanismo endocitario mediato da clatrina o caveolina (Milić et al., 2014). In cellule A549, invece, Au NP sono state internalizzate attraverso endocitosi attiva, indipendentemente dalla grandezza o dalla presenza in soluzione di contaminanti quali il sodio citrato (Uboldi et al., 2009; Freese et al. 2012). Molteplici sono gli studi fino ad oggi condotti per studiare l’internalizzazione delle NP nelle cellule. Ad esempio, in A549 e linfociti di sangue periferico umani TiO2 NP sono internalizzate attraverso endocitosi

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clatrina-/caveolina-dipendente e da macropinocitosi (Prasad et al., 2013). Allouni specifica che l'internalizzazione di TiO2 NP in fibroblasti avviene attraverso processi attivi che sono dipendenti dalla polimerizzazione di actina per i grandi agglomerati ma indipendenti per quelli piccoli (Allouni et al., 2012). Confrontando l’uptake e la localizzazione subcellulare di TiO2 NP e di idrossiapatite (HA NP) in cellule epiteliali TR146 della mucosa buccale, è stato visto che HA NP si accumulano preferenzialmente sulla membrana cellulare, mentre TiO2 NP diffondono nel citoplasma (Tay et al., 2014).

Dopo essere state internalizzate le NP possono traslocare dagli endosomi ai lisosomi, per mezzo dei quali possono eventualmente essere estruse dalla cellula. In A549, CuO NP sono state osservate in strutture subcellulari come endosomi/lisosomi, citoplasma e mitocondri (Wang et al., 2012). Poiché l’attività dei lisosomi che accumulano NP all’interno è risultata significativamente bassa, la cellula potrebbe non essere in grado di esocitare le NP favorendone così la traslocazione in altri compartimenti cellulari. In base alla loro dimensione, infatti, le NP possono entrare nel nucleo attraverso il complesso del poro nucleare (Macara, 2001) – e poi aggregarsi – oppure distruggere la membrana cellulare, come avviene peri MWCNT (Mu et al., 2009).

L’interazione delle NP con le cellule è stata dimostrata (Shukla et al., 2013) indurre molteplici effetti tossici quali:

formazione di specie reattive dell’ossigeno (ROS) ed incremento di perossidazione lipidica, che guida la scissione dei doppi legami degli acidi grassi poli-insaturi con la formazione di aldeidi, MDA (malondialdeide), e 4-idrossinonenale, ossia di sostanze che possono modificare l'integrità strutturale e funzionale delle membrane;

riduzione dei livelli di glutatione ed altri enzimi antiossidanti fondamentali per la cellula nel prevenire danni ossidativi;

 il forte stress ossidativo è capace di indurre l'espressione di p53 e proteine pro-apoptotiche dando inizio alla morte cellulare programmata.

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In seguito, pertanto, all’interazione tra NP e cellule si innescano dei meccanismi di tossicità che, ad oggi, sono ancora parzialmente conosciuti. Risulta comunque evidente che le NP inducono effetti tossici che possono portare alla morte cellulare, a danni a carico del DNA e alla cancerogenesi (Kumar et al., 2013; Magdolenova et al., 2014; Prasad et al., 2014; Tay et al., 2014).

1.3 Proprietà chimico-fisiche e loro effetti sulla tossicità delle NP Le proprietà chimico-fisiche rendono uniche le NP e le distinguono in maniera significativa dalle loro controparti macro-dimensionali. Forma, dimensione ed area di superficie possono influenzare l'internalizzazione e il trafficking cellulare delle NP, nonché il loro potenziale cito-genotossico. Assieme a queste caratteristiche fisiche, quelle chimiche, come carica di superficie, presenza rivestimento ed idrofobicità possono variare il comportamento delle NP nei confronti dei sistemi biologici.

Al fine di realizzare NP che siano sicure ed efficienti dal punto di vista clinico, o la cui tossicità risulti mitigata, in questi anni sono stati condotti numerosi studi per comprendere come la funzionalità delle NP varia in funzione delle loro proprietà chimico-fisiche. Dimensione, forma e caratteristiche di superficie (come carica ed idrofobicità) possono influenzare i meccanismi di internalizzazione cellulare (Nativo et al., 2008). In particolare, sembra che le caratteristiche di superficie siano direttamente coinvolte nell'adesione alla membrana e conseguente internalizzazione delle NP (Verma et al., 2008), mentre dimensione e morfologia nella cinetica di trasporto (Zhang et al., 2012; Huang et al., 2010). Inoltre, al pari della composizione chimica, anche la solubilità e la reattività di superficie delle NP influenzano l'internalizzazione, la citotossicità e l'induzione di stress ossidativo (Kenzaioui et al., 2012).

Analizzando la citotossicità e la genotossicità delle NP in funzione delle loro caratteristiche fisico-chimiche, si può osservare come la differente bioreattività

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non sia direttamente attribuibile ad una singola caratteristica della NP. La dimensione, che risulta importante per l'internalizzazione delle NP (Jiang et al., 2008; Coradeghini et al., 2013), e la carica di superficie (Cho et al., 2009) sono entrambe strettamente associate agli effetti tossici indotti sulla cellula. Ad esempio, CuO NP aventi differente area di superficie e lunghezza, ma con lo stesso diametro idrodinamico, sono risultate citotossiche e hanno incrementato la formazione di micronuclei in linfociti umani da sangue periferico e in macrofagi murini in vitro (Di Bucchianico et al., 2013).

È inoltre noto che l'attività biologica delle NP non è dipendente soltanto dalle specifiche caratteristiche chimico-fisiche, ma anche dall'interazione con l'ambiente circostante. Esempio sono le proteine corona, le quali possono far variare importanti parametri chimico-fisici delle NP come il diametro idrodinamico e anche la stabilità colloidale, oltre ad annullarne la carica e favorirne l'aggregazione (Pfeiffer et al., 2014).

Anche la biodistribuzione di NP, specie di quelle metalliche, dipende dalla loro composizione chimica, dalla dimensione, dalla carica di superficie e dall’eventuale presenza di rivestimento o di funzionalizzazione sulla loro superficie, sebbene questi fattori non siano esclusivi, giacché influiscono anche tempo di esposizione, dose, interazione con le proteine e tipo cellulare (Lin et al., 2014).

1.3.1 Dimensione e area di superficie

Per quanto riguarda le nuove tecnologie, esse si avvalgono di nanomateriali perché questi presentano proprietà più attraenti rispetto ai materiali di origine (bulk materials). Infatti, mentre le NP, mantenendo la massa invariata, presentano una area di superficie maggiore che le rende soggette a modificazioni chimico-fisiche specifiche, le loro controparti macro-dimensionali non sono così duttili.

Principalmente sono dimensione ed area di superficie a partecipare all’interazione delle NP con le proteine, come nel caso delle proteine corona. In

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questo ambito, è stato dimostrato che il diametro idrodinamico aumenta quando Au NP sono sospese in mezzo di coltura completo, indicando dunque che le proteine del siero interagiscono con la superficie delle NP modificandone le caratteristiche fisiche (Liu et al., 2013). La cellula, in questo caso, prenderà contatto non solo con le NP ma anche con le proteine ad esse adese, per cui le singole proprietà scaturite dal materiale nudo potrebbero variare.

Diversi studi hanno analizzato il ruolo della dimensione nel processo di internalizzazione delle NP, con risultati contrastanti. Varela e co-autori (2012) hanno osservato che NP di polistirene con diametri idrodinamico di 40 nm sono internalizzate più velocemente delle stesse NP di 20 e 100 nm, ipotizzando che 1321N1 (cellule di astrocitoma umano) e A549 attuino una selezione delle NP in base alla grandezza. In maniera analoga, l’internalizzazione di SiO2 NP in un modello ex vivo di cute umana é risultata dimensione-dipendente, con SiO2 NP 40 nm più internalizzate di quelle con dimensione pari a 290 nm; in aggiunta, la presenza di cariche positive sulla superficie di SiO2 NP ne ha incrementato l’uptake (Rancan et al., 2012).

Doherty e Mcmahon (2009) hanno osservato che per NP la cui grandezza superi i 50 nm il meccanismo preferenziale di entrata sembra essere clatrina e caveolina dipendente; contrariamente, il meccanismo di endocitosi per NP <50 nm è clatrina indipendente e, infine, quelle con diametro inferiore a 25 nm sembrano essere internalizzate mediante pinocitosi (Rejman et al., 2004; Johnston et al., 2010). Contrariamente, Brandenberger e co-autori (2010) riportano che, in A549, 15 nm Au NP vengono internalizzate attraverso un processo clatrina e caveolina dipendente, mentre Mironava (2010) sostiene che in fibroblasti dermici umani l'internalizzazione avvenga attraverso fagocitosi. Analisi condotte mediante microscopia elettronica a trasmissione (TEM) hanno evidenziato che in fibroblasti murini Balb/3T3 Au NP di 5 e 15 nm di diametro sono internalizzate e distribuite in maniera tra loro differente (Coradeghini et al., 2013), mentre in cellule HeLa di cervice uterina umana Au NP non sono

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internalizzate in organelli citoplasmatici come mitocondri e Golgi, ma in vescicole endo-lisosomali in base alla dimensione delle NP stesse (Nativo et al., 2008).

Poiché il coefficiente di diffusione delle particelle è inversamente proporzionale al diametro della particella, a causa delle sue dimensioni, le probabilità di internalizzazione nelle cellule e di interazione con organelli cellulari e macromolecole (DNA, RNA e proteine) è molto elevata e, se la clearance è ridotta rispetto alla loro velocità di accumulo, si avrà una maggiore persistenza delle NP all'interno della cellula e, conseguentemente, danni maggiormente estesi (Kumar et al., 2013).

È stato dimostrato che SiO2 NP con dimensioni di 14 - 16 nm mostrano una più elevata tossicità se paragonate alle medesime con dimensioni di 104 e 335 nm, causando anche effetti più pronunciati di danno cellulare e ridotta sopravvivenza cellulare (Napierska et al., 2013). Valutando la citotossicità di Au NP nelle cellule Balb/3T3, Coradeghini e co-autori (2013) hanno individuato che NP di 5 nm sono maggiormente tossiche rispetto a quelle di 15 nm. In particolare, la differenza di comportamento tra le Au NP di 5 e 15 nm risiede nella loro interazione con l’F-actina, che è il perno della struttura del citoscheletro e determina forma, adesione e motilità della cellula, oltre a collaborare al trasporto intracellulare, alla mitosi ed alla meiosi. Precisamente, le Au NP sono in grado di sfavorire la classica formazione di fibre organizzate di F-actina, determinando un’alterata internalizzazione delle Au NPs stesse e danno cellulare. Di Bucchianico e co-autori (2014), invece, hanno dimostrato che se le dimensioni di Au NP (5-15-40 nm) non risultano determinanti per la citotossicità, esse sono il cardine dell'attività genotossica delle NP.

L’analisi della letteratura attuale potrebbe indurre ad affermare che gli effetti tossici possono essere attribuiti alla ampia area di superficie e alla piccola dimensione delle NP, che incrementano la reattività chimica e la penetrazione nelle cellule. Tuttavia l’internalizzazione e la tossicità delle NP dipendono anche da altri fattori come aspect ratio, funzionalizzazione, solubilità e degradazione.

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1.3.2 Forma e aspect ratio

Esperimenti e simulazioni di dinamica molecolare mostrano un ruolo centrale della forma (Decuzzi et al., 2009; Mitragotri et al., 2009; Best et al., 2012), dell'aspect ratio (Gratton et al., 2008; Qiu et al., 1 ) e dell orientamento ( ang et al, 1 ; V cha et al., 2011; Herd et al., 2013; Yang et al., 2013) delle NP, a sottolineare l'importanza di questi parametri geometrici sia nei processi di internalizzazione che nell’induzione degli effetti tossici.

Ad esempio, la forma delle NP influenza la facilità con cui queste sono internalizzate e fagocitate dai macrofagi: è stato visto che la fagocitosi avviene in tempi brevi (pochi minuti) dall’esposizione alle NP se il macrofago incontra la parte appuntita di NP la cui forma corrisponda ad un disco ellittico, al contrario non si verifica se il contatto avviene con la regione piatta (Champion e Mitragotri 2006).

Nello spiegare la differente cinetica di assorbimento cellulare tra NP con carica di superficie e dimensione simile, più rilevante della forma è l'aspect ratio, che definisce la proporzione tra larghezza e altezza. Ad esempio, NP con aspect ratio uguale a 4 vengono meno assorbite rispetto a NP con valori di 1 o 2 (Chitrani et al., 2006; Huang et al., 2010). Infatti, richiede più tempo, per la membrana, avvolgere una NP di forma bastoncellare (aspect ratio = 4) piuttosto che sferica (aspect ratio = 1), proprio perché è richiesto un numero maggiore di NP bastoncellari per indurre il meccanismo di endocitosi (Verma e Stellacci, 2010). Ad esempio, Au NP di forma bastoncellare vengono meno internalizzate rispetto a quelle di forma sferica (Zhang et al., 2012); in cellule di cancro al seno, NP sferiche vengono acquisite maggiormente rispetto a NP di forma allungata e discoidale (Barua et al., 2013).

L'aspect ratio è un importante parametro per caratterizzare particelle di forma allungata. Sperimentalmente un valore elevato è sufficiente a sopprimere l'internalizzazione di particelle sferiche, che normalmente sarebbero facilitate nell'entrata per la loro forma (Chitrani et al., 2006; Gratton et al., 2008).

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Riguardo l'orientamento, invece, studi recenti mostrano come nanorods, inclusi NP ellipsoidali, con aspect ratio basso, orientano il loro asse più lungo parallelamente alla membrana e mantengono tale configurazione finchè almeno metà dell'area di superficie non sia avvolta dalla membrana; durante l'intero processo di invaginazione della membrana, la configurazione delle NP varia e il loro asse più lungo viene poi riallineato perpendicolarmente alla membrana (V cha et al., 2011; Huang et al., 2013).

1.3.3 Chimica di superficie

La chimica di superficie sembra svolgere un ruolo centrale nel processo di assorbimento delle NP e nella loro compartimentalizzazione cellulare, nonché sulla citotossicità delle NP. In particolare, la carica di superficie può essere misurata indirettamente attraverso il potenziale Z (zeta), responsabile della stabilità delle NP nel mezzo in cui sono sospese.

Numerosi studi hanno dimostrato che NP con carica positiva sono più facilmente internalizzate rispetto a quelle cariche negativamente o neutre (Thorek e Tsourkas et al., 2008; Arvizo et al., 2010; Bartneck et al., 2010; Park et al., 2011). Ciò rappresenta un pericolo per le cellule, poiché sembra che l'elevata densità cationica possa indurre danni fisici alle membrane, associati ad un incremento del flusso di calcio e della citotossicità (Xia et al., 2008; Xia et al., 2009). Xia e colleghi (2011) hanno dimostrato che NP con carica negativa e neutra vengono molto meno in contatto con la superficie della membrana cellulare, anch'essa carica negativamente; di conseguenza, a causa delle forze di repulsione si registrano minori livelli di internalizzazione rispetto alla controparte carica positivamente (Fröhlich, 2012). Precedentemente, Harush-Frankel (2007) aveva descritto come NP cariche positivamente sono rapidamente internalizzate attraverso endocitosi mediata da clatrina; in antitesi, NP con carica negativa mostrano bassi livelli di endocitosi, peraltro, cavelolina-dipendente. Anche TiO2

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NP cariche negativamente vengono acquisite in numero minore rispetto alle stesse cariche positivamente e neutre (Vranic et al., 2013).

Riguardo alla citotossicità, Schaeublin e collaboratori (2011) hanno indagato l'impatto di Au NP con grandezza di 1.5 nm, ma con diverse cariche superficiali, in linea cellulare di cheratinociti umani (HaCaT), riscontrando che Au NP cariche inducono morte cellulare attraverso apoptosi, mentre quelle neutre attivano la morte per necrosi.

La tossicità delle NP è anche correlata al loro stato di aggregazione e agglomerazione. Più il potenziale zeta è elevato (Z-pot >+30 mV o Z-pot <-30 mV), maggiore è la stabilità delle particelle; se è basso, la NP tenderà ad essere fortemente instabile e, prevalendo le forze attrattive, si avrà la formazione degli agglomerati in soluzione. Poiché la carica di superficie delle NP ingegnerizzate tende al valore zero, le forze repulsive tra le NP sono ridotte e vengono stabilizzate dalle forze gravitazionali. I fenomeni di agglomerazione comportano l'adesione reciproca di NP, soprattutto a causa delle forze di van der Waals che dominano su nanoscala a causa della maggiore area di superficie in rapporto al volume (Elsaesser e Howard 2012) e modulano, quindi, la biodisponibilità e le risposte tossiche (Kumar et al., 2011). Ad esempio, agglomerati con dimensione minore di 100 nm di TiO2 NP (5 nm di diametro) hanno causato, in polmoni di ratto, un aumento significativo degli effetti citotossici, mentre il danno ossidativo è ridotto rispetto alle stesse particelle, singole oppure aggregate, con grandezze di 10-30-50 nm (Noël et al., 2013).

Per evitare l'agglomerazione dovuta alle forze di van der Waals, è necessario stabilizzare sia la repulsione statica che quella elettrostatica delle NP (Ravikumar et al., 2012; Zhang et al., 2012). L'inserimento di un gruppo funzionale zwitterionico può fornire alla NP una carica complessiva di superficie neutra e renderla maggiormente stabile in mezzi acquosi (Park et al., 2011). È da considerare il fatto che la superficie delle NP è in diretto contatto con l'ambiente circostante, in cui vi sono ioni con i quali le NP potrebbero interagire; in seguito a ciò, le proprietà di superficie potrebbero essere alterate (Pfieffer et al., 2014).

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La carica di superficie è anche implicata nella biodistribuzione e nella clearance delle NP (due caratteristiche fondamentali nella applicazione clinica) poiché permette di avere un'ampia serie di interazioni elettrostatiche non specifiche con diverse biomolecole, che potrebbero però giocare anche un ruolo negativo nell'interazione tra le NP e i target.

1.4 Nanoparticelle di biossido di titanio

Nanoparticelle di biossido di titanio (TiO2 NP), grazie alla loro elevata stabilità ed alle proprietà antimicrobiche e anticorrosive, vengono ampiamente utilizzate in molti prodotti di uso quotidiano, come dentifrici, creme solari, cosmetici e prodotti alimentari. Inoltre, per le loro capacità fotocatalitiche trovano applicazione specialmente nella produzione di materiali auto-pulenti, come piastrelle, vetri, specchi e tessuti; mentre nel campo della nanomedicina TiO2 NP sono utilizzate come carrier di farmaci (Mazzola, 2003; Paull, et al., 2003; Oberdörster et al., 2005; Nowack e Bucheli, 2007).

Benché presenti in numerosi prodotti di uso quotidiano, una significativa esposizione a TiO2 NP nell'uomo si ha soprattutto durante le fasi di produzione industriale o l'uso di prodotti che le contengono.

Nonostante il suo ampio utilizzo, nel 2010 il biossido di titanio è stato classificato dall'Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) come possibile cancerogeno per l’uomo ed inserito nel gruppo 2B.

Gli effetti tossici di TiO2 NP possono essere attribuiti, come per le altre NP, alle proprietà chimico-fisiche che le caratterizzano, più specificamente alla loro grande area superficiale e alle piccole dimensioni, che aumentano la reattività chimica e la penetrazione nelle cellule. Nonostante le molteplici vie per mezzo delle quali l’uomo può venire in contatto con NP, è attraverso inalazione che si verifica il maggior contatto (Aueviriyavit et al. 2012) con le TiO2 NP, per cui sono i polmoni i primi a venirne in contatto e a subirne il danno. Per questo motivo la

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linea cellulare di fibroblasti A549 è uno dei modelli maggiormente utilizzati per chiarire i possibili meccanismi di citotossicità, genotossicità e apoptosi delle TiO2 NP.

Una volta entrate nell'organismo e traslocate dal comparto respiratorio al torrente sanguigno, le TiO2 NP possono indurre danno ad organi come polmoni, fegato, reni, milza e cervello (Oberdörster et al., 2004; Chen et al. 2006; Wang et al. 2007; Gheshlaghi et al. 2008; Li et al. 2010; Meena e Paulraj 2012). Test di esposizione a TiO2 NP attraverso somministrazione orale mostrano che l’assorbimento in fegato, milza, linfonodi mesenterici e piccolo intestino è trascurabile (Lin et al., 2014; Wang et al., 2007). TiO2 NP possono accumularsi nelle ovaie e causare uno squilibrio nella distribuzione degli ormoni sessuali, inducendo danno cellulare e portando alla diminuzione della fertilità o del tasso di gravidanza in topi (Gao et al. 2012).

TiO2 NP mostrano effetti anti-proliferativi sulle cellule A549 in maniera tempo- e concentrazione-dipendente (Wang Y et al., 2014). Wang e co-autori (2007) spiegano che l'inibizione della divisione cellulare può essere indotta per incremento dell'azione di p53, che determina l'aumentata fosforilazione di CHK1 e CHK2, ossia di chinasi importanti nell'attivazione dei checkpoint cellulari.

A livello mitocondriale, TiO2 NP (15 nm) possono causare una significativa perdita di potenziale mitocondriale, che porta a destabilizzazione della membrana lisosomiale ed al rilascio degli enzimi in essa contenuti, inducendo proteolisi o attivazione delle caspasi, nonché morte in cellule di epitelio bronchiale 16HBE14o- (Hussain et al. 2010). TiO2 NP inducono la formazione di ROS e l’attivazione dell'apoptosi in cellule di epitelio bronchiale umano BEAS-2B attraverso un pathway indipendente da BID e caspasi-8 (Shukla et al. 2011), mentre in cellule A549, l'apoptosi sembra essere guidata dall'attivazione di caspasi-9 e caspasi-3, attivate in seguito ad alterato potenziale di membrana mitocondriale (Wang 2014).

Le principali specie reattive dell’ossigeno indotte dalle TiO2 NP sono anione

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provocano citotossicità e genotossicità in diversi tipi cellulari di mammifero (Gurr et al., 2005; Singh et al., 2007; Kang et al., 2008). In generale i radicali liberi possono interagire con le molecole presenti nella cellula e i ROS sono in grado di indurre lesioni nelle basi nucleotidiche portando, ad esempio, alla formazione di 8-oxo-guanina e promuovendo indirettamente mutazioni per errori di appaiamento da cui può originare trasformazione cellulare maligna (Cooke et al. 2003). La produzione di ROS porta, inoltre, a perossidazione lipidica e proteica, disfunzione dei sistemi antiossidanti, attivazione di geni pro-apoptotici, formazione di micronuclei e danno al DNA, inducendo apoptosi e genotossicità (Ghosh et al. 2010; Saquib et al. 2012). Shukla e collaboratori (2013) hanno riscontrato la presenza di micronuclei in seguito a esposizione a TiO2 NP in cellule

di epatocarcinoma umano (HepG2). Kang e collaboratoru nel 2008 hanno evidenziato la formazione di micronuclei in linfociti di sangue periferico in maniera dose-dipendente, con formazione di ponti nucleoplasmatici in cellule binucleate.

In seguito a questi effetti citotossici e genotossici è stato visto che TiO2 NP facilitano la trasformazione neoplastica in fibroblasti embrionali di topo (NIH-3T3) esposti, per lungo periodo, a basso dosaggio (10 mg/ml) (Huang et al., 2009). Infatti, TIO2 NP interferiscono nella proliferazione producendo aberrazioni ed instabilità genomica. Tali effetti sono, comunque, indotti indirettamente dalle NP proprio attraverso la produzione di specie reattive dell'ossigeno. Il blocco della proliferazione si ha in seguito ad un arresto del ciclo cellulare in fase G2/M a causa di segregazione anomala dei cromosomi e problemi nella formazione del fuso mitotico. A queste anomalie la cellula è in grado di rispondere attivando i meccanismi apoptotici, ma è anche vero che l'esposizione prolungata alle TiO2 NP forza le cellule a proliferare nonostante i diversi difetti genetici, accumulandone altri e progredendo verso la trasformazione maligna (Huang et al., 2009).

Ci sono, comunque, evidenze a riportare che, in cellule di neuroblastoma umano SHSY5Y (Valdiglesias et al., 2013), cellule di adenocarcinoma colon rettale (Caco-2) (Gerloff et al., 2012) e in cellule di adenocarcinoma polmonare

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(Toyooka et al., 2012), TiO2 NP sono in grado di indurre effetti tossici anche in assenza di ROS. Ad oggi i meccanismi che portano a tossicità in seguito ad esposizione a TiO2 NP sono ancora da comprendere appieno.

1.5 Modelli in vitro per lo studio della tossicità delle NP

Lo scopo della nanotossicologia è quello di indagare gli effetti tossici delle NP sull’ambiente e sulla salute dell’uomo. Per una valutazione realistica della deposizione delle NP nei tessuti e per gli effetti di assorbimento cellulare e quelli biologici, i modelli in vivo ed in vitro devono essere tra loro integrati per compensare le rispettive limitazioni.

I continui e costanti progressi nel campo della ricerca hanno portato allo sviluppo di modelli in vitro sempre più validi e somiglianti alle rispettive condizioni in vivo. A vantaggio dello sviluppo e dell’utilizzo di modelli in vitro, oltre la ridotta spesa in termini di costo e tempi, vi è l’assenza di questioni etiche che, invece, possono essere mosse contro i test in vivo.

Sebbene i sistemi in vitro manchino della complessità di un intero organismo, risultano comunque importanti per l’identificazione dei meccanismi cellulari scaturiti dalla internalizzazione delle NP. A tal fine, esistono saggi in vitro che consentono di valutare non solo il potenziale citotossico e genotossico di una sostanza o di NP, ma anche il potenziale cancerogeno.

1.5.1 Citotossicità basale: test colorimetrici e non colorimetrici

La valutazione della citotossicità delle NP in vitro richiede una ponderata selezione dei test da adoperare. Infatti, è risaputo che le proprietà chimico-fisiche delle NP, come la capacità di assorbimento o l’attività ottica, possono interferire con alcuni dei test più utilizzati sequestrando substrati o influenzando l’attività enzimatica in maniera dose-dipendente. Dato che le proprietà fisiche delle NP le rendono tra loro diverse, è necessario saggiare ciascuna di esse per

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valutare con precisione ogni possibile interferenza con i saggi in vitro, specie quelli colorimetrici. Ad esempio, nanomateriali di carbonio sono in grado di generare falsi positivi, portando ad una sovrastima della loro tossicità (Guo et al., 2008; Monteiro-Riviere et al., 2009). Test colorimetrici come MTT (Methyl-Thiazole-Tetrazolium Test), che utilizza il bromuro di 3-(4,5-dimetiltiazol-2-il)-2,5-difeniltetrazolio per monitorare l’attività metabolica cellulare, e DCF, che utilizza la 20,70-Diclorofluoresceina, si basano su letture ottiche che possono essere disturbate dell’assorbanza intrinseca delle NP, che é dipendente non solo dalla composizione chimica ma anche da altre proprietà quali dimensione, forma e cristallinità. L’utilizzo di saggi colorimetrici richiede che vengano effettuati dei controlli esclusivamente in presenza delle NP (controlli acellulari) per poterne valutare l’assorbanza effettiva. NP di metallo, come TiO2 NP (Lupu e Popescu, 2013) e Ag NP (Milić et al., 2014) sembrano interferire con i componenti del saggio MTT, mentre Au NP sono state osservate disturbare l’emissione di intensità di fluorofori nel test DCF (Pfaller et al. 2010).

In contrapposizione a questa tipologia di saggi, per valutare la citotossicità delle NP vengono anche utilizzati dei saggi non colorimetrici, come il saggio di formazione delle colonie (CFE – Colony Forming Efficency). Il saggio CFE si basa sulla capacità di una sola cellula di formare una colonia dopo l’esposizione alla sostanza presa in analisi e permette di valutare la vitalità cellulare in base al tempo di esposizione e alla concentrazione utilizzata.

Mediante il saggio CFE Mariani e collaboratori (2012) hanno osservato una maggiore sensibilità del test CFE rispetto ad altri test per lo screening di tossicità di NP di cobalto ferrite. Uboldi e co-autori (2012) hanno osservato dati contrastanti valutando la citotossicità di SiO2 NP in Balb/3T3: mentre il test MTT ha evidenziato un debole effetto citotossico a basse dosi, il test CFE non ha invece mostrato alcuna citotossicità da parte di SiO2 NP.

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1.6 Genotossicità

La genotossicità potenzialmente indotta da un composto o da NP può generare un danno primario di tipo diretto/indiretto, oppure secondario.

La genotossicità primaria è caratterizzata dall’induzione di danno senza attivazione di alcun meccanismo di infiammazione (Schins e Knaapen 2007). In particolare, la genotossicità primaria diretta è causata da una diretta interazione delle NP con la molecola di DNA nucleare o qualsiasi componente coinvolto nella sua integrità, che avviene in seguito ad attraversamento della membrana nucleare, sebbene sia dipendente dalla dimensione della NP (AshaRani et al., 2009), o durante la profase tardiva della divisione cellulare, quando si ha la rottura della membrana nucleare. Le NP possono anche influenzare la disposizione dei microtubuli a formare il fuso mitotico, portando a difetti di segregazione ed eventuale formazione di micronuclei per danno aneuploidogeno.

La genotossicità primaria indiretta, invece, può derivare dall’incremento della produzione di ROS nei mitocondri, organelli deputati al completamento della respirazione cellulare. L’inibizione dei complessi della catena respiratoria mitocondriale induce la formazione spontanea o mediata dalla superossido dismutasi di H2O2. I ROS possono diffondere con facilità attraverso la membrana nucleare e, ad esempio, possono interagire con le basi nucleotidiche favorendo l’ossidazione della guanina, oppure disturbare l’attività di enzimi che partecipano al corretto funzionamento dei macchinari di replicazione, riparazione e traduzione del DNA (Donaldson et al., 2010); inoltre, si può avere interferenza con i diversi checkpoint del ciclo cellulare (Magdolenova et al., 2014).

La genotossicità secondaria prevede l’attivazione di cellule specializzate nell’attività infiammatoria, quali macrofagi, fagociti, plasmacellule, monociti, che presentano un articolato sistema di enzimi antiossidanti che regola i livelli di ROS auto-prodotti, utilizzati durante il burst respiratorio nel fagolisosoma. In base a diversi stimoli si ha un elevato incremento di O2·- e H2O2, i quali possono interagire con altri radicali presenti, come l’ossido nitrico, favorendo la

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produzione di ·OH e ulteriori specie reattive. La combinazione tra elevati livelli di ROS e la riduzione dei meccanismi antiossidanti favorisce il danno ossidativo cellulare e la sua estensione alle cellule vicine, causando infiammazione. In una situazione di infiammazione cronica questo può portare ad uno stress ossidativo persistente e ad insulti ripetuti al DNA, da cui possono derivare difetti genetici e conseguentemente trasformazione neoplastica (Azad et al., 2008). Per studiare e rivelare i danni genotossici indotti dalle NP tra i saggi in vitro più utilizzati spiccano il test del micronucleo e il test della cometa, ma anche il saggio di trasformazione morfologica.

1.6.1 Test del micronucleo con blocco della citodieresi (CBMN-cyt) Il test del micronucleo con blocco della citodieresi (CBMN) consente uno studio rapido e semplice del danno cromosomico indotto in vitro da agenti chimici o da NM. Vantaggio del CBMN è che consente una valutazione del potenziale genotossico mediante l’analisi simultanea della frequenza di formazione di micronuclei (MN), ponti nucleoplasmatici (NPB) ed evaginazioni nucleari (NBUD). Inoltre, nella versione cytome, implementata da Fenech (2007), consente anche di valutare il danno citotossico delle sostanze in esame mediante l’analisi degli indici apoptotico e necrotico, e la citostasi mediante l’indice di proliferazione (CBPI).

I MN, che si formano a livello intracellulare in seguito ad insulto da parte delle NP o di altre sostanze, originano da frammenti cromosomici acentrici o da interi cromosomi che vengono estrusi dal nucleo delle cellule figlie per mancato contatto con i microtubuli del fuso mitotico. Tali frammenti o interi cromosomi vengono quindi racchiusi dalla membrana nucleare a formare un vero e proprio nucleo in miniatura, da cui appunto deriva il termine micronucleo.

La formazione di frammenti cromosomici acentrici si può avere per rotture a doppio filamento del DNA riparate in maniera inefficiente, che possono portare a riparazione cromatinica asimmetrica per non homologous end joining repair o per

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difetto nelle proteine che attivano tale meccanismo di riparazione (Fenech, 2010; O’Donovan e Livingston, 2010). O ancora, i frammenti cromosomici acentrici possono formarsi in seguito a danni a singolo filamento del DNA, che, se non corretti durante la replicazione, possono essere convertiti in rotture a doppio filamento. È stato inoltre dimostrato che la frammentazione di cromosomi si verifica anche durante la formazione di ponti nucleoplasmatici, ossia quando i cromosomi vanno incontro ad allungamento e a rottura durante la telofase (Hoffelder et al., 2004). Si può avere perdita di cromosomi dicentrici in conseguenza ad ipometilazione delle citosine in sequenze centromeriche e pericentromeriche ripetute (Pironon et al., 2010), sequenze in cui avviene l’attacco dei microtubuli e delle proteine del cinetocore per una efficiente segregazione (Gisselsson, 2008). La formazione di MN si ha anche per alterazione nell’attività delle proteine del cinetocore o nelle proteine dei checkpoint del ciclo cellulare (Zyss e Gergely, 9); in quest’ultimo caso, sono le proteine del complesso promovente l’anafase che, se mutate oppure inattivate, portano ad una erronea segregazione dei cromosomi.

La formazione di NPB si ha durante l’anafase: quando i microtubuli attraggono ai poli opposti della cellula i cromosomi, può verificarsi la formazione di un ponte, che normalmente viene rotto dividendo distintamente i due nuclei. Tuttavia, se non si ha la rottura del ponte, la membrana plasmatica lo racchiuderà assieme ai due nuclei delle cellule figlie mantenendole in contatto. Anche i cromosomi dicentrici sono in grado di originare NPB attraverso misrepair di rotture cromosomiche o da telomeri troppo corti o fusi tra loro o per disfunzione delle proteine telomeriche (Pampalona et al., 2012).

Un’altra anomalia individuata è la formazione di evaginazioni nucleari (NBUD) associate ad eventi di instabilità cromosomica. Le evaginazioni nucleari sono il risultato di una estrusione di materiale nucleare o di DNA amplificato, e presentano una morfologia molto simile a quella dei MN, anche se ben distinguibili da questi ultimi poiché connessi al nucleo mediante un peduncolo.

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Il saggio del micronucleo con blocco della citodieresi può essere eseguito anche in presenza di citocalasina B (cyt-B), una sostanza in grado di bloccare la polimerizzazione dei filamenti di actina e la citodieresi prima del completamento del ciclo cellulare. Bloccando la mitosi in questa fase, si impedisce la separazione delle cellule figlie a livello citoplasmatico e ciò permette di analizzare MN, NPB e NBUD in cellule binucleate.

Questa variante del classico saggio del micronucleo richiede però alcuni accorgimenti:

- le cellule devono dividersi almeno una volta durante il trattamento o nel periodo di incubazione post-trattamento;

- il periodo di trattamento deve durare il tempo necessario a coprire tutte le fasi del ciclo cellulare, così da garantire una corretta interazione delle cellule e il composto o NP da analizzare;

- è essenziale che la linea cellulare utilizzata sia precedentemente studiata in modo da garantire che la frequenza di MN, nelle cellule poste in coltura dopo lo scongelamento, sia più bassa rispetto alla stessa registrata nei successivi passaggi in coltura.

Il test del micronucleo è stato utilizzato con successo per lo studio dell’attività genotossica di molti agenti fisici e chimici in vitro; di conseguenza, l’Organizzazione per la Cooperazione Economica e lo Sviluppo (OECD) ha emesso, nel 2010, le relative linee guida (Test No. 487: In Vitro Mammalian Cell Micronucleus Test).

1.6.2 Test della cometa

Il test della cometa rientra tra i metodi più utilizzati per analizzare la capacità di mutageni o sostanze chimiche di indurre rotture della molecola di DNA. Essendo semplice, veloce, versatile ed economico, è ampiamente impiegato per lo studio della genotossicità e nel biomonitoraggio dell’uomo e dell’ambiente (Paiva et al., 2011; Collins e Azqueta, 2012; Collins et al. 2014).

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Il test della cometa consiste nell’analizzare il solo DNA, privato degli istoni, dopo aver rimosso membrane, citoplasma e nucleoplasma dalle cellule contenute in gel di agarosio. Al termine della corsa elettroforetica, in presenza di danno clastogeno, il DNA integro, nella sua forma superavvolta, rimarrà intrappolato nella testa della cometa; al contrario, se sono presenti delle rotture, la molecola di DNA si troverà nella sua forma rilassata e sarà in grado di attraversare il gel distribuendovisi a formare la coda della cometa.

I parametri più comunemente adoperati per la valutazione del danno al DNA mediante il test della cometa sono la lunghezza e l’intensità della coda ed il tail moment. Collins ( 4) ritiene che il parametro fondamentale sia l’intensità della coda, poiché è linearmente collegato alla frequenza di rotture. Il tail moment, cioè il prodotto tra la lunghezza della coda e la sua intensità, è un parametro che non rappresenta una unità di misura definita e che dipende largamente dai parametri dei software di analisi usati per l’acquisizione delle immagini; per queste ragioni la percentuale di DNA nella coda (% tail DNA) si conferma come il migliore parametro per comparare i risultati ottenuti da diversi studi, in particolar modo per studi di biomonitoraggio (Collins et al., 2004; Møller 2006). È consigliabile, comunque, affiancare il tail moment alla percentuale di DNA, per avere un’analisi dei dati più completa (Karlsson, 2010).

Il saggio della cometa presenta anche dei limiti, come la ridotta capacità di rilevare nel DNA danni lievi o elevati (McArt et al., 2009). Per quanto riguarda il tempo di esposizione, invece, è consigliato un tempo breve per evitare di ridurre di molto la vitalità cellulare, poiché il danno al DNA può essere associato a morte cellulare. Anche il tempo di incubazione delle cellule, dopo il contatto con la sostanza tossica, è un fattore critico; questo poiché la riparazione delle lesioni del DNA può influire sulla formazione e/o intensità della cometa. Bisogna tener presente, comunque, che l’attività e la stessa efficienza dei sistemi di riparazione della cellula possono essere ridotte dall’agente cui le cellule sono state esposte.

Inoltre, per rendere il saggio più preciso e sensibile possono essere utilizzati degli enzimi per ritrovare particolari danni nel DNA. Ciò, in un certo senso,

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attribuisce al saggio anche un carattere qualitativo, oltre che quantitativo. L’attività di questi enzimi è in grado di convertire tali danni in lesioni, aumentando così la quantità di DNA frammentato e l’intensità della cometa. Ad esempio, tra gli enzimi che riconoscono basi ossidate, ritroviamo l’enzima endonucleasi III, che riconosce pirimidine ossidate (Collins et al., 1993), mentre la formamidopirimidina glicosilasi (Fpg) riconosce specificatamente basi puriniche ossidate (Dusinská e Collins, 1996).

Data la sua versatilità, Møller ha suggerito che il danno ossidativo al DNA saggiato proprio attraverso il test della cometa può essere utilizzato come biomarcatore per valutare la sicurezza dei nanomateriali (Møller et al., 2014).

1.7 Saggio di trasformazione morfologica

Nel 2007, l'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) ha pubblicato una articolo dettagliato "Cell Transformation Assays for Detection of Chemical Carcinogens" in cui il saggio di trasformazione cellulare (CTA) veniva proposto come alternativa agli esperimenti in vivo a lungo termine su animali modello per vagliare il potenziale cancerogeno di sostanze chimiche. Il saggio CTA è stato, tra quelli presi in esame, l’unico a mostrare dati equiparabili a quelli ottenuti sui modelli animali (Landolph et al., 1985; LeBoeuf et al., 1999) e presenta un approccio efficiente, veloce ed economico per la valutazione del potenziale cancerogeno rispetto al saggio in vivo, che richiede un numero elevato di animali, spese onerose e tempi molto lunghi (24 mesi).

Il test di trasformazione cellulare è stato sviluppato su tre diverse linee cellulari: su cellule embrionali di criceto siriano (SHE) e fibroblasti di topo Balb/3T3 e C3H10T1/2. La scelta di queste linee cellulari è stata dettata dai precedenti esperimenti effettuati in vivo, in modo da avere un riscontro per poter saggiare la capacità del test di predire il potenziale cancerogeno di sostanze chimiche (Vasseur e Lasne , 2012).

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Mediante il saggio CTA il potenziale cancerogeno viene testato attraverso la trasformazione cellulare in vitro, definita come risultato delle alterazioni fenotipiche delle cellule in coltura; tali colonie sono capaci di indurre tumori se iniettate in animali immunodepressi. Le colonie trasformanti sono chiamate foci e presentano peculiarità di morfologia e colorazione che ne permettono la distinzione in tre diverse categorie:

- foci di tipo I, non sono indicati come trasformanti, a causa delle loro piccole dimensioni e della mancata capacità invasiva. Presentano una colorazione basofila molto debole;

- foci di tipo II, sono anch’essi non maligni, anche se assumono un aspetto più corposo, con cellule di forma allungata in multistrato;

- i foci di tipo III sono gli unici trasformanti in vivo e presentano una densa colorazione basofila. Le colonie assumono una morfologia peculiare, con cellule fusiformi, disposte in multistrato con orientamento casuale ed eventualmente incrociate nei bordi, e con una caratteristica disposizione ramificata (Sasaki et al., 2012).

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2. SCOPO DELLA TESI

Lo scopo del presente lavoro di tesi è quello di studiare il potenziale citotossico, genotossico e/o cancerogeno di diverse nanoparticelle di biossido di titanio (TiO2 NP), utilizzando come modello cellulare i fibroblasti murini immortalizzati, Balb/3T3.

Poiché questo studio si colloca all’interno del progetto SANOWORK, nell’ambito del settimo programma quadro dell’Unione Europea, il cui obiettivo è quello di identificare nanoparticelle che siano più sicure per i lavoratori, fruitori e per l’ambiente, le TiO2 NP prese in esame consistono in particelle non rivestite e in NP funzionalizzate con sodio citrato e biossido di silicio. Quindi, in questo lavoro si è inteso verificare se, e in quale misura, i rivestimenti di superficie applicati alle TiO2 NP siano in grado di variare la reattività biologica rispetto al nanomateriale non rivestito. Alle TiO2 NP è stato, inoltre, affiancato il materiale di riferimento Aeroxide® P25 che, avendo composizione chimica e caratteristiche fisiche simili alle NP sopraccitate, ha consentito di effettuare una valutazione comparativa degli effetti tossici di TiO2 NP.

La valutazione della potenzialità tossica di TiO2 NP in fibroblasti murini Balb/3T3 è stata determinata mediante saggi in vitro non colorimetrici. Il potenziale citotossico è stato valutato mediante il saggio di efficienza di formazione delle colonie (CFE), eseguito ai tempi di 24 - 48 - 72 ore di esposizione a concentrazioni di NP crescenti comprese tra 1.25 e 80 µg/cm2.

L’effetto genotossico, invece, è stato misurato sia tramite il test della cometa sia mediante il test del micronucleo con blocco della citodieresi nella versione cytome. Per il saggio della cometa, le cellule Balb/3T3 sono state esposte a TiO2 NP per 48 ore per il test del danno primario al DNA. Il test del micronucleo con blocco della citodieresi nella versione cytome (CBMN-cyt) ha permesso di stimare non solo la genotossicità indotta da TiO2 NP, ma anche la citotossicità e la citostasi.

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Infine, il potenziale cancerogeno è stato saggiato attraverso il test di trasformazione morfologica (CTA), che offre una valutazione del potenziale delle TiO2 NP mediante l’analisi della formazione di foci in vitro.

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3. MATERIALI E METODI

3.1 Nanoparticelle di biossido di titanio (TiO2 NP): sintesi e caratterizzazione

Le nanoparticelle di biossido di titanio (TiO2 NP) utilizzate in questo lavoro di tesi sperimentale, facente parte del progetto SANOWORK (Safe nano worker exposure scenarios), finanziato dal 7° programma quadro dell’Unione Europea, sono state sintetizzate presso l’Istituto di Scienza e Tecnologia dei Materiali Ceramici (ISTEC) del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), con sede a Faenza, Italia.

Poiché, tra le numerose loro applicazioni, le TiO2 NP vengono utilizzate come additivi fotocatalitici per la realizzazione delle ceramiche, il progetto SANOWORK si è posto come obiettivo lo sviluppo e l’identificazione di scenari non tossici di esposizione occupazionale a nanomateriali mediante lo studio del loro potenziale effetto tossico.

TiO2 NP commerciali (Colorobbia; Firenze, Italia) sono state trattate in modo da riprodurre le condizioni cui sono esposti i fruitori di tali nanomateriali in ambiente lavorativo. Questo tipo di TiO2 NP, definite come “nanoparticelle pristine”, sono state trattate chimicamente per potenziarne l’adesione ai substrati ceramici: le suddette sono state rivestite con nanoparticelle inorganiche di biossido di silicio (SiO2 NP; W. R. Grace Italiana S.p.A.; Milano, Italia) o con trisodio citrato diidrato (Sigma Aldrich; Milano, Italia).

In particolare, le TiO2 NP rivestite con silicio sono state sintetizzate mediante etero-coagulazione (Figura 3): SiO2 NP e TiO2 NP aventi carica superficiale opposta sono state miscelate in modo da ottenere un rapporto SiO2:TiO2 pari a 1:3 ed un peso solido finale del 3% (w/w). Al termine della reazione le TiO2 NP silicate sono state macinate per 24 ore con sfere di zirconio (diametro 5 mm) fino ad ottenere una soluzione lievemente opaca.

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Per modificare la superficie di TiO2 NP con sodio citrato è stato, invece, applicato un protocollo di auto-assemblaggio (Figura 3): una soluzione di trisodio citrato diidrato è stata aggiunta ad una sospensione di TiO2 NP pristine in modo da ottenere un rapporto di Citrato:TiO2 NP pari a 1:0,83 e un peso solido finale del 3% (w/w). La reazione è stata infine completata mantenendo la soluzione in agitazione per 12 ore fino ad ottenere una sospensione stabile e cristallina.

Figura 3. Schema esemplificativo della funzionalizzazione di TiO2 NP con biossido di silicio e con sodio citrato diidrato. Mediante interazioni elettrostatiche, SiO2 NP cariche

negativamente (-23 mV a pH 3.0) si distribuiscono attorno a TiO2 NP che posseggono, invece, carica

positiva (+149 mV a pH 1.5). La funzionalizzazione di TiO2 NP con sodio citrato è invece avvenuta

mediante auto-assemblaggio.

Per quanto concerne il materiale di riferimento, le nanoparticelle di biossido di titanio Aeroxide® P25 (rapporto anatasio:rutilo pari a 70:30) sono state acquistate da Evonik (Essen, Germania).

La caratterizzazione chimico-fisica delle TiO2 NP (Tabella 1) è stata eseguita misurando, mediante la tecnica DLS (Dynamic Light Scattering), il diametro idrodinamico e il potenziale Z delle NP disperse in acqua deionizzata (soluzione nativa) e in mezzo completo di coltura (MEM supplementato con 10% siero bovino fetale e 1% antibiotico). Le misurazioni sono state eseguite utilizzando uno Zetasizer nano (ZSP model ZEN5600; Malvern Instruments, UK). Al tempo zero (t= 0 ore) ogni soluzione madre di TiO2 NP è stata sonicata per 15 minuti e aliquote di NP sono state aggiunte a soluzioni 0.05% di albumina di siero bovino (BSA; Sigma-Aldrich, Italia) in phospate buffered solution (PBS; Invitrogen, Italia) per ottenere intermedi che, in mezzo completo di coltura, risultassero

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avere una concentrazione di 1.25 μg/cm2. Per valutare la stabilità colloidale delle TiO2 NP, le analisi in mezzo di coltura sono state eseguite anche a tempi crescenti di esposizione (t= 24 - 48 - 72 ore); a tal fine le sospensioni di TiO2 NP sono state mantenute termostatate a 37°C fino al momento della loro analisi.

Utilizzando una tecnica elettroacustica (AcoustoSizer II equippaggiato con un sistema automatico di calibrazione, Colloidal Dynamics, Australia), che ha permesso di identificare il punto di zero Z-potential (punto isolelettrico) delle sospensioni di TiO2 NP, le misure di potenziale Z in funzione del pH sono state eseguite in acqua deionizzata, alla concentrazione finale di 100 µg/cm2 (Tabella 1).

Tabella 1. Determinazione del potenziale Z e della dimensione media di TiO2 NP (1.25

µg/cm3) in acqua deionizzata ed in mezzo completo di coltura.

Acqua deionizzata

TiO2 NP pH Z-pot (mV) Diametro (nm)

Pristine 2.33 41.20 ± 0.53 83.54 ± 10.45

Silicate 2.84 32.20 ±4.07 155.60 ± 22.09

Citrate 5.47 -34.20 ± 1.20 57.52 ± 2.63

P25 4.13 37.40 ± 0.86 489.50 ± 130.50

Mezzo completo di coltura

Pristine pH Z-pot (mV) Diametro (nm)

0 ore 7.25 -10.60 ± 1.02 1608.00 ± 211.90 24 ore -11.40 ± 0.57 1829.00 ± 99.89 48 ore -10.90 ± 0.57 1962.00 ± 147.00 72 ore -10.80 ± 0.40 1318.00 ± 85.15

Silicate pH Z-pot (mV) Diametro (nm)

0 ore 7.56 -10.60 ± 0.39 563.22 ± 84.01 24 ore -10.80 ± 0.60 478.56 ± 44.16 48 ore -11.00 ± 0.41 619.10 ± 60.15 72 ore -11.60 ± 0.06 501.60 ± 81.62

Riferimenti

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