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FOXG1 e la sindrome di Rett. Studio della localizzazione mitocondriale e dell'affinità per la cromatina

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Academic year: 2021

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Università degli studi di Pisa

Facoltà di Scienza Matematiche, Fisiche e Naturali

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN BIOTECNOLOGIE MOLECOLARI E INDUSTRIALI

Titolo della tesi

FOXG1 e la sindrome di Rett.

Studio della localizzazione mitocondriale e dell’affinità

per la cromatina

Candidato Relatore Cristina Pitzalis Dott. Mario Costa

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Sommario

Abstract ... 3 Riassunto ... 4 Introduzione ... 6 Sindrome di Rett ... 6 MeCP2 ... 12 CDKL5 ... 16 FOXG1 ... 18

La sindrome di Rett e i mitocondri ... 25

Scopo della tesi ... 28

Materiali e metodi ... 29 Clonaggio ... 29 Clonaggio in pCR®2.1 ... 30 Clonaggio in pEGFP-N1 ... 36 Metodi in vitro ... 37 Metodi ex vivo ... 45 Vettori utilizzati ... 46 Risultati ... 48

Localizzazione subcellulare di FOXG1... 48

Affinità per la cromatina di FOXG1 ... 50

Analisi biochimiche ... 52

Analisi morfometrica dei mitocondri ... 60

Discussione ... 63

Ringraziamenti ... 66

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Abstract

Rett syndrome is a severe neurodevelopmental disorder that represents one of the most common genetic causes of cognitive impairment in females (1 in 10.000 female births). Girls affected by classical RTT are characterized by an almost normal development in the first 6-18 months of life followed by a regression with loss of speech and physical impairment.

Mutations in the MeCP2 gene are responsible for more than 95% of classic Rett syndrome cases, while a CDKL5 mutation is responsible for the early onset seizures variant. FOXG1 gene has been identified as responsible of an atypical Rett syndrome form, the congenital variant: a form known as Rolando’s .

FOXG1 (forkhead box) is a transcriptional inhibitor, philogenetically conserved. It is composed of three main domains: a DNA binding domain (forkhead domain) and two other ones for binding of Groucho and Jarid, two co-repressors. FOXG1 is the most important gene for telencephalic development. It allows cellular proliferation and inhibits premature neuronal differentiation.

The main purpose of this thesis was to study the pathological protein FOXG1-R244C (mutated in the DNA binding domain) to understand its role in the Rett pathology.

To achieve the purpose, first FOXG1 mutated protein was studied to evaluate its ability to bind chromatin then, FOXG1 subcellular localisation was investigated.

To evaluate the chromatin affinity of the protein, hippocampal neuroblasts of the HN9.10e cells line were transfected with GFP-FOXG1 fusion protein and FRAP studies (Fluorescence Recovery After Photobleaching) was performed. FOXG1 mutated protein showed a lower affinity for chromatin which could lead to a diminished transcription of FOXG1 targets.

Confocal microscopy analysis showed that both the wild type and the mutated protein localize to mitochondria.

To better investigate this aspect, western blot assay were performed on cell fraction extracts both in vitro (on HN9.10e cells) and ex vivo (using cortex extracts from embryonic and adult mice). Results showed that FOXG1 is transported to the mitochondria with a potential-dependent mechanism. Inside mitochondria, FOXG1 undergoes specific processing that generates two smaller isoforms of the full length FOXG1.

TEM (Trasmission Electron Microscopy) analysis of murine cortex sections from a FOXG1 aploinsufficient mice compared with the wild type littermate showed no ultra-structural mitochondrial alterations and no changes in the number or in the areas of these organelles. In conclusion:FRAP analysis on a mutated form of FOXG1 demonstrated that a point mutation itself can diminish chromatin affinity. This notion can be useful to understand the relationship between genotype and pathological phenotype of RTT, not yet clear.The results indicate a specific FOXG1 processing inside the mitochondrial compartment. Moreover, aploinsufficiency does not alter mitochondrial number or mitochondrial ultrastructure.

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Riassunto

La sindrome di Rett (RS) è una grave patologia del neurosviluppo che rappresenta una delle cause più comuni di disabilità intellettuale nelle bambine (1 su 10.000 bambine nate). Nella RS classica le pazienti mostrano un decorso perinatale normale entro i primi 6-18 mesi di vita, cui segue un arresto nello sviluppo psicomotorio e una progressiva regressione, fino a perdita del linguaggio e della deambulazione.

Mutazioni in MeCP2 sono responsabili di più del 95% dei casi di sindrome di Rett in forma classicat. Il gene CDKL5 è responsabile della variante con crisi epilettiche ad insorgenza precoce. Il gene FOXG1 (forkhead box) è stato identificato come responsabile della variante congenita, ad insorgenza precoce, nota anche come variante di Rolando .FOXG1 è un repressore trascrizionale, filogeneticamente conservato, costituito da tre domini principali: Il dominio di legame al DNA (forkhead domain) e i due domini per il legame ai co-repressori Groucho e Jarid.

FOXG1 svolge un ruolo fondamentale nello sviluppo del telencefalo; la proteina agisce durante lo sviluppo embrionale promuovendo la proliferazione cellulare dei precursori neurogenici e inibendone il differenziamento precoce.

Lo scopo della mia tesi è stato quello di studiare la mutazione patologica R244C (collocata nel dominio di legame al DNA di FOXG1) per comprenderne il ruolo nella patogenesi della sindrome di Rett. Per questo, è stata prima valutata l’affinità di legame della proteina mutata, con il DNA; in seguito è stata caratterizzata la localizzazione sub-cellulare della proteina wild type.

Per valutare l’affinità di legame della proteina alla cromatina, sono stati transfettati neuroblasti ippocampali (HN9.10e) con la proteina FOXG1 fusa alla GFP, analizzando poi le cellule mediante la tecnica biofisica FRAP (Fluorescence Recovery After Photobleaching). I risultati hanno dimostrato una riduzione di affinità per la cromatina della proteina mutata rispetto alla forma wild type. Questo dato suggerisce una possibile alterazione della trascrizione dei geni target di FOXG1. L’analisi mediante microscopia confocale ha evidenziato la localizzazione della proteina (sia wild type che mutata) a livello mitocondriale. Per caratterizzarne in dettaglio la localizzazione sub-cellulare sono stati utilizzati estratti cellulari sub-frazionati, ottenuti sia in vitro dalla linea sub-cellulare HN9.10e che ex vivo da corteccia murina sia embrionale che adulta. Gli estratti sono stati analizzati mediante western blot.

I risultati hanno dimostrato che FOXG1 viene trasportato nei mitocondri con un meccanismo potenziale- dipendente. All’interno dei mitocondri la proteina viene processata in due isoforme più piccole rispetto alla forma full length.

L’analisi al TEM (Trasmission Electron Microscopy) di sezioni di corteccia di topi adulti aploinsufficienti per FOXG1 non ha mostrato alterazioni numeriche di questi organelli ne’ della loro ultrastruttura, suggerendo che l’aploinsufficienza di FOXG1 o delle sue isoforme non è un parametro determinante per la struttura dei mitocondri.

In conclusione: L’analisi mediante FRAP ha dimostrato come una singola mutazione puntiforme nel dominio di legame al DNA, possa da solo diminuire l’affinità di legame di FOXG1 per la

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cromatina. Ciò fornisce anche nuove informazioni che cercano di correlare il genotipo con il fenotipo patologico caratteristico della sindrome di Rett.

I risultati conseguiti hanno dimostrato una localizzazione e un succesivo processamento di FOXG1 all’interno del compartimento mitocondriale. È stato inoltre appurato che l’ aploinsufficienza di FOXG1 non influenza l’ultrastruttura dei mitocondri.

Successivi sviluppi di questo studio saranno mirati alla comprensione del ruolo funzionale delle diverse isoforme mitocondriali di FOXG1.

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Introduzione

Sindrome di Rett

Definizione

La sindrome di Rett (RTT, OMIM 312750) è una grave patologia congenita del neurosviluppo. Ha un’incidenza stimata di 1 su 10.000 nati e colpisce prevalentemente le bambine, sebbene siano stati riportati casi in pazienti di sesso maschile. Lo sviluppo appare normale tra i 6-18 mesi di età. Nei mesi successivi, lo sviluppo psicomotorio subisce un arresto e una progressiva regressione, fino alla perdita del linguaggio e della deambulazione con acquisizione di caratteristici movimenti stereotipati delle mani; si osserva microcefalia, ritardo mentale, e una progressiva perdita d’interesse verso l’ambiente esterno. L’insorgenza di questa sindrome è correlata a singole mutazioni del gene MeCP2, CDKL5 o FOXG1 (Moog et al., 2003).

Cenni storici

Fu riconosciuta per la prima volta dal neurologo austriaco Andreas Rett1. Egli osservò casualmente, nella sua sala d’aspetto, due bambine che mostravano gli stessi movimenti ripetitivi delle mani (oggi noti come hand-washing). Quest’evento lo indusse a riesaminare le schede di alcuni pazienti con la stessa sintomatologia, già visitati in precedenza, individuando così altri casi con caratteristiche comportamentali e anamnesi simili. Nel 1966 il Dr. Rett pubblicò un articolo in cui descriveva questo nuovo aspetto clinico, che tuttavia fu ignorato per anni. Solo nel 1983, quando il Dr. Hangberg e i suoi collaboratori riportarono altri 35 casi, questa condizione

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Curiosità: Il Dott. Rett nel 1963 ha dato vita ad un laboratorio protetto in cui giovani con problemi neurologici potevano lavorare. Rett ha ricevuto numerosi riconoscimenti, ma è anche noto per aver applicato misure di sterilizzazione forzata alle proprie pazienti con handicap mentale. (http://diepresse.com/home/panorama/oesterreich/1291171/Kinderheime_Junge-Frauen-offenbar-zwangssterilisiert)

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7 clinica fu riconosciuta come “simile ad una sindrome già osservata, ma fino ad oggi trascurata, già descritta da Rett nella letteratura tedesca”.

Forme cliniche

La sintomatologia della sindrome di Rett è molto complessa e negli stadi iniziali può essere erroneamente identificata come una forma di autismo o ritardo mentale non correlato allo sviluppo. Per questo la diagnosi deve avvalersi sia di criteri basati sui segni e sintomi osservati, sia di test genetici mirati. Una volta che la sindrome di Rett viene identificata, a seconda della gravità della mutazione del gene coinvolto, può mostrarsi in una forma classica o tipica, oppure in una forma variante, detta anche atipica di cui esistono 5 forme possibili che differiscono tra loro per età d’insorgenza e gravità dei sintomi.

I principali criteri per riconoscere la sindrome di Rett sono:

 parziale o completa perdita delle capacità manuali acquisite;  parziale o completa perdita del linguaggio;

 movimenti stereotipati delle mani come automatismi, sfregamento e contatto con la bocca.

I principali criteri di esclusione sono:

 Danni cerebrali successivi ad un trauma, danni metabolici o gravi infezioni che inducono danni neurologici;

 anormale sviluppo psicomotorio nei primi 6 mesi di vita. Ai precedenti criteri se ne aggiungono altri, facoltativi:

 Disturbi respiratori;  Bruxismo;

 Anormale tono muscolare;  Scoliosi e/o cifosi;

 Minore risposta al dolore;  Intensa comunicazione visiva.

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Forma classica

Le bambine colpite dalla sindrome di Rett appaiono normali alla nascita, e si sviluppano normalmente fino a 6-18 mesi di età. Successivamente inizia un periodo di regressione, che comunemente viene diviso in quattro fasi:

1° fase. Inizia a manifestarsi tra 6-18 mesi di vita, durante questo periodo si osserva un rallentamento psicomotorio, una decelerazione della circonferenza cranica con conseguente microcefalia e perdita d’interesse verso le persone e l’ambiente.

2° fase. Compare tra 18 mesi-4 anni. In questa fase inizia un periodo di regressione con perdita della maggior parte della capacità acquisite fino a quel momento. Compaiono tutti i sintomi, appena descritti, che caratterizzano la malattia.

3° fase. Compare tra 2-10 anni. Si giunge ad una relativa stabilizzazione delle condizioni fisiche, sebbene i problemi permangano avviene un miglioramento nel comportamento. La maggior parte dei pazienti permane in questa fase per il resto della vita.

4° fase. Osservata intorno a 10-15 anni. Caratterizzata da una mobilità ridotta, scoliosi e debolezza muscolare.

Figura 1: Esordio e progressione della sintomatologia dei pazienti affetti da sindrome di Rett (Chahrour e Zoghbi, 2007).

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Varianti

Fino ad oggi oltre alla forma classica della sindrome di Rett, sono state descritte cinque forme atipiche:

La variante a linguaggio conservato, anche detta variante Zappella, con

fenotipo meno grave (Zappella, 1997) caratterizzata da un decorso clinico più favorevole. Le bambine recuperano sia la capacità di esprimersi con alcune parole o frasi brevi (sebbene non necessariamente espresse nel giusto contesto) che in parte l’uso delle mani. I casi osservati presentano una normale circonferenza della testa, sono spesso sovrappeso e cifotici. Questa forma è correlata a mutazioni nel gene MeCP2 (Zappella et al., 2001).

La “forme fruste” conosciuta anche come “worn-down-form” mostra i segni clinici

caratteristici più sfumati ed i sintomi più lievi; l’esordio avviene tardivamente, anche dopo 4 anni, la regressione inizia in un età compresa tra 1- 3 anni. Talvolta si preserva l’uso delle mani con minimi movimenti stereotipati (Hagberg e Rasmussen, 1986).

 La variante a regressione tardiva o variante Hagberg, di rarissima osservazione; dopo un periodo protratto dominato da ritardo mentale di grado medio, in età scolare, può iniziare la regressione e comparire la sintomatologia classica (Hagberg e Skjeldal, 1994; Neul et al., 2010).

 La variante congenita o di Rolando, associata a mutazioni del gene FOXG1, si manifesta attraverso un ritardo psicomotorio evidente sin dai primi mesi di vita con alterazioni elettro-encefaliche senza evidenza di epilessia precoce (Rolando, 1985).  La variante con convulsioni ad esordio precoce o variante di Hanefeld, associata a mutazioni del gene CDKL5, caratterizzata da crisi convulsive o epilettiche che si manifestano prima del periodo di regressione (Hanefeld, 1985; Artuso et al., 2010).

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10 Tabella 1: Criteri clinici necessari per la diagnosi clinica e la valutazione molecolare delle varianti della sindrome di Rett (Neul et al., 2010).

Basi genetiche della sindrome di Rett

La grande maggioranza dei pazienti affetti da sindrome di Rett sono bambine. Quest’osservazione portò a redigere sui primi rapporti, che la RTT potesse essere una malattia dominante correlata al cromosoma X e che non poteva manifestarsi nei maschi a causa delle conseguenze fatali dell’emizigosi (Hagberg e Skjeldal, 1994). Tuttavia, dato che oltre il 99% dei casi di RTT sono sporadici e dovuti a mutazioni de novo, è stato molto difficile riuscire a mappare il locus della malattia da analisi di linkage tradizionale. I pochi casi familiari potrebbero derivare da mosaicismo, oppure da una disomogenea inattivazione del cromosoma X in cui le donne non manifestano la malattia. Utilizzando queste rare informazioni, Journel e colleghi identificarono nel 1990 una traslocazione tra il cromosoma 22 e il braccio corto del cromosoma X che si presentava in una paziente affetta da sindrome di Rett, nella sorella (colpita da un disturbo neurologico) e nella madre, portatrice sana (Journel et al., 1990). Con una mappatura genetica di esclusione sul

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11 cromosoma X si è riusciti ad identificare il locus Xq28, quale origine della sindrome di Rett (Schanen et al., 1997; Sirianni et al., 1998; Xiang et al., 1998). Un ulteriore screening genetico, in pazienti RTT ha rivelato sul cromosoma X, mutazioni nel gene MeCP2 ,che codifica per una proteina affine ai siti metilati CpG (Amir et al., 1999). È stato descritto un ampio spettro di mutazioni possibili: missense, nonsense e frameshift, con oltre 300 singole variazioni nucleotidiche (Christodoulou e Weaving, 2003), così come delezioni anche di interi esoni (Archer et al., 2006) (Ravn et al., 2005). Studi di correlazione fenotipo-genotipo hanno portato ad effettuare alcune conclusioni generali: mutazioni che influenzano la sequenza NLS (nuclear localizzation sequence) di MeCP2 o mutazioni che portano ad una proteina tronca tendono a causare fenotipi più gravi rispetto a mutazioni missense, per esempio la mutazione R270X è associata ad un aumento di mortalità (Bienvenu e Chelly, 2006) mentre delezioni al C-terminale sono associate a fenotipi più lievi (Smeets et al., 2005), (Kerr et al., 2006).

Il secondo gene identificato è CDKL5 (Cyclin-Dependent kinase-like 5) codifica per una serina-treonina chinasi ed è localizzato nel locus Xp22. Mutazioni di CDKL5 sono state identificate in pazienti con rare patologie congenite, con disturbi di crisi epilettiche ad esordio precoce con spasmi e grave ritardo mentale, spesso accompagnato da caratteristiche RTT-like. (Grosso et al., 2007). Ad oggi sappiamo anche che le mutazioni di CDKL5 sono implicate nella variante di Hanefeld ad insorgenza precoce dell’epilessia. L’ultimo gene identificato in ordine di tempo, come responsabile della variante congenita sindrome di Rett è FOXG1 (Forkhead Box). FOXG1 è un inibitore trascrizionale appartenente alla famiglia dei fattori di trascrizione con dominio Forkhead, il gene mappa sul cromosoma 14, nel locus q12. E’ stato dimostrato che la proteina FOXG1 viene espressa nelle fasi precoci della vita embrionale e interagendo con i co-repressori JARID1B e proteine della famiglia Groucho, FOXG1 esercita un ruolo fondamentale nelle prime fasi di sviluppo del telencencefalo. Proprio il tempo di espressione di FOXG1 rappresenta una differenza fondamentale rispetto a MeCP2 che invece raggiunge la sua massima espressione solo dopo la nascita. Tutto questo potrebbe spiegare l’insorgenza precoce dei sintomi nella forma congenita rispetto alla forma classica (Ariani et al., 2008).

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MeCP2

Il gene MeCP2 è situato sul cromosoma X, nel locus q28, in una regione di elevata sintenia con il genoma murino. Il gene si estende per circa 76 kb, ed è costituita da 4 esoni. L’mRNA possiede una regione 3’ UTR particolarmente lunga, di 8.5 kb. Sono stati isolati e identificati 3 trascritti, rispettivamente di 1.8 kb, 7.5 kb e 10 kb circa, derivanti da un differente funzionamento del segnale di poliadenilazione nella regione 3’UTR. I trascritti più rappresentati nei tessuti umani sono il più corto e il più lungo. Esistono due forme di splicing alternativo: MeCP2A e MeCP2B. L’isoforma B è quella più rappresentata, ed è quella a cui ci si riferisce quando si parla in modo generico di MeCP2. Ė espressa in tutti i tessuti, incluso il cervello, sia adulto che fetale, dove la si ritrova dieci volte più espresso rispetto all’isoforma A (Mnatzakanian et al., 2004).

La proteina MeCP2 è formata da un segnale di localizzazione nucleare (NLS) e due domini funzionali: il dominio di legame alle isole CpG metilate (MBD) localizzato nella regione ammino terminale (residui 76-163) (Nan, Meehan e Bird, 1993) il dominio di repressione trascrizionale (TRD) (dall’ aa 205-310). Il dominio MBD possiede un’affinità 2-3 volte maggiore per sequenze metilate, rispetto a quelle non metilate (Boyes e Bird, 1992). L’espressione della proteina è selettiva per alcuni tessuti e finemente regolata: nel topo allo stadio embrionale E10.5, MeCP2 è espressa solamente a livello di poche cellule nella zona marginale dell’encefalo. Allo stadio E11.5, l’espressione di MeCP2 è aumentata nelle cellule della zona marginale come intensità e numero di cellule positive, e si è estesa anche alla spina dorsale, al ponte e alla medulla. Allo stadio E14.5, la proteina è presente anche a livello del talamo, dei nuclei caudato e putamen e nel cervelletto. Tra gli stadi E14.5 e E16.5 si osserva che l’espressione di MeCP2 si concentra negli strati più profondi e maturi della corteccia, ed è invece assente negli strati più superficiali, al di sopra delle cellule di Cajal Retzius, sede primaria di espressione di MeCP2. A partire dallo stadio E16.5 fino a E18.5 e P0, giorno della nascita, l’espressione di MeCP2 compare anche negli strati superficiali, ma rimane sempre ad un livello inferiore rispetto agli strati profondi. L’espressione non è rilevabile nelle cellule gliali a nessuno stadio.

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13 Figura 2: Rappresentazione schematica della distribuzione spazio-temporale di MeCP2 durante A) lo

sviluppo umano e B) quello murino. La presenza di MeCP2 è indicata dai punti rossi. Inizialmente MeCP2 compare nel midollo spinale, nei nuclei del tronco encefalico e nei neuroni

Cajal-Retzius (C-R) della corteccia cerebrale. L’espressione viene successivamente evidenziata nel mesencefalo, nel talamo, nel cervelletto e negli strati più profondi della corteccia. MeCP2 appare successivamente nei gangli della base, nell’ipotalamo, nell’ippocampo ed infine negli strati più superficiali della corteccia (Shahbazian et al., 2002).

Da questo pattern di espressione si capisce che MeCP2 ha una funzione fondamentale nello sviluppo del sistema nervoso centrale, poiché viene espressa dapprima nelle strutture ontogeneticamente più antiche, come il midollo spinale e successivamente nelle strutture più moderne come l’ippocampo e la corteccia (Shahbazian et al., 2002).

MeCP2 reprime la trascrizione interagendo con proteine di varie classi:

 Complesso deacetilasi Sin3A: contiene le istone deacetilasi HDAC1, HDAC2 e due inibitori trascrizionali, la proto-oncoproteina del virus Sloan-Kettering, (c-Ski) e il corepressore recettore nucleare (N-CoR nuclear hormone receptor corepressor). (Jones et al., 1998) (Kokura et al., 2001);

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14  Istone metil-tranferasi MeCP2, funge da ponte tra due modifiche epigenetiche: la metilazione del DNA e quella degli istoni, in particolare la lys 9 sull’istone H3 (H3K9). Questo ruolo, come spiegato da Fuks rinforza lo stato repressivo della cromatina (Fuks et al., 2003);

 Fattore di trascrizione IIB, con cui impedisce la formazione del complesso pre-iniziatore (Kaludov e Wolffe, 2000).

MeCP2 presenta anche ruoli alternativi a quelli appena descritti, cioè risulta attivo nella trascrizione. Uno studio in vitro del 2007 ha dimostrato che nelle cellule SH-SY5Y, MeCP2 si associa a promotori attivi, piuttosto che a quelli inattivi. (Nikitina et al., 2007) Un riscontro in vivo ha individuato MeCP2 legato al promotore del gene Creb1, attivo nell’ipotalamo murino (Yasui et al., 2007). MeCP2 svolge anche funzioni indipendenti dall’istone deacetilasi, infatti la tricostatina A (TSA) che è un repressore delle istone deacetilasi, non blocca completamente l’interazione tra MeCP2 e Sin3A (Yu, Thiesen e Strätling, 2000). Un altro ruolo di MeCP2 è quello di regolatore dello splicing: interagisce in vivo con la proteina Y-box binding protein 1 (Yb-1) in maniera RNA dipendente (Young et

al., 2005). Alla luce di questi dati MeCP2 viene attualmente considerato un regolatore

trascrizionale multifunzionale (Yasui et al., 2007) con ruoli nella regolazione dell’ architettura cromatinica, nella regolazione nello splicing dell'RNA, e nella regolazione attiva della trascrizione. Stimoli extracellulari contribuiscono alla regolazione dinamica di MeCP2 inducendo la fosforilazione di alcuni suoi residui. Ė noto che MeCP2 si lega al promotore del Brain Derived Neurotrophic Factor (BDNF) e ne reprime la trascrizione. Chen e colleghi hanno dimostrato che questa funzione di MeCP2 è dipendente dal suo stato di fosforilazione:

 l’aggiunta di un gruppo fosfato sul residuo di serina in posizione 421 causa un cambiamento dell’affinità di MeCP2 per il promotore di BDNF;

 il distacco del gruppo fosfato in posizione 80 elimina il blocco trascrizionale (Chen

et al., 2003).

Inoltre, la fosforilazione in posizione 421 influenza la capacità di MeCP2 di regolare la crescita dendritica e la maturazione delle spine delle cellule neuronali (Zhou et al., 2006). Le alterazioni patologiche osservate nella Sindrome di Rett potrebbero essere quindi causate da un’alterazione del pathway del BDNF. Infine, l’attività neuronale innesca la

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15 defosforilazione del residuo di serina in posizione 80 di MeCP2, diminuendo l’affinità per alcuni dei suoi promotori target (Tao et al., 2009)

Mutazioni di MeCP2 e la sindrome di Rett

Nel 1999 Amir e colleghi individuarono varie mutazioni in cinque pazienti affetti dalla syndrome di Rett (tre missense, una mutazione de novo frameshift, e una mutazione non-senso) (Amir et al., 1999). Ad oggi sono note più di trecento mutazioni che comprendono sia mutazioni puntiformi, che ampie delezioni (RettBASE, http://mecp2.chw.edu.au).

Figura 3: Nel grafico si riporta la frequenza con cui si riscontrano mutazioni nel gene MeCP2 http://mecp2.chw.edu.au/cgi-bin/mecp2/search/printGraph.cgi

Sin dalla scoperta delle prime mutazioni sono state formulate numerose ipotesi per correlare la perdita di funzione della proteina MeCP2, con il fenotipo osservato nella Sindrome di Rett:

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16 1. La mancata repressione trascrizionale mediata da MeCP2 induce uno stato più permissivo della cromatina e deregolandone la struttura fisica con conseguenti problemi nel packaging del DNA durante la divisione cellulare (Amir et al., 1999). 2. La conseguenza della deregolazione cromatinica si riflette in una alterata

espressione nel tempo e nello spazio dei geni target di MeCP2 (Amir et al., 1999). 3. I difetti nel silenziamento epigenetico ostacolano le normali risposte molecolari delle

cellule nervose, a causa dell’aumento dell’attività trascrizionale aspecifica (Bird et

al., 1995).

CDKL5

Il gene CDKL5 (Cyclin-Dependent Kinase-like 5) chiamato anche STK9 (Serine-Threonine kinase 9) è stato identificato durante uno studio di mappaggio trascrizionale nella regione 22 del braccio corto del cromosoma X. Montini e colleghi individuarono un esone codificante per una proteina con elevata omologia di sequenza a quelle proteine della famiglia serina-treonina chinasi (Montini et al., 1998). Il gene CDKL5 è situato nel locus p22.13 ed è composto da 24 esoni, 21 dei quali tradotti in proteina, contrariamente ai primi tre (esoni 1, 1a e 1b) che non vengono tradotti, ma portano alla formazione di due varianti di splicing, differenti per la regione 5’-UTR (Kalscheuer et al., 2003). Recentemente sono state identificate altre due forme di splicing alternativo: Fichou e colleghi hanno identificato un nuovo esone, chiamato 16b, situato tra l’esone 16 e 17 (Fichou et al., 2011). Williamson e colleghi hanno invece isolato un nuovo trascritto, più breve dei precedenti, che termina con l’introne 18, il quale viene tradotto e fornisce un codone di stop alternativo (Williamson et al., 2012). Attualmente sono state identificate 4 forme di splicing alternativo, che danno origine a quattro diversi tipi di isoforme (I-IV) che differiscono per numero di residui e localizzazione. A livello di SNC troviamo sopratutto le isoforme III e IV, sono espresse quasi esclusivamente nel cervelletto, nella corteccia, nell’ippocampo e nei bulbi olfattivi, con bassissimi livelli di espressione anche nel fegato, mentre sono assenti negli altri tessuti (Fichou et al., 2011), (Williamson et al., 2012). Lin e colleghi hanno esaminato la localizzazione di CDKL5 a stadi precoci nell’embrione intero di topo. A partire dallo stadio E7.5, fino alla nascita, si osserva una distribuzione diffusa in tutti i tessuti dell’embrione, senza zone di particolare intensità (Lin, Franco e Rosner, 2005).

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CDKL5 e MeCP2

La funzione di CDKL5 non è stata ancora chiarita. Sono state effettuate delle analisi sulla sequenza proteica che suggeriscono l’appartenenza di CDKL5 alla sottofamiglia delle chinasi che fosforilano residui di serina e treonina. CDKL5 ha un’elevata omologia di sequenza sia con i geni per le MAP chinasi, sia con quelli che codificano per le chinasi-ciclina dipendenti (CDK), da cui appunto il nome della proteina (cyclin-dependent

kinase-like 5). A livello cellulare, è stato dimostrato che CDKL5 è una proteina pressoché

ubiquitaria, espressa in numerose linee cellulari ippocampali, gliali ma anche epiteliali e polmonari sia umane che di ratto. CDKL5 si autofosforila e fosforila MeCP2 in vitro. Quest'ultima attività è eliminata nel caso di mutazioni patologiche CDKL5 (Bertani et al., 2006). Mari e colleghi osservarono che l’espressione di CDKL5 ricalca quella di MeCP2 (Mari et al., 2005). L’attività di MeCP2 è dipendente dalla fosforilazione di alcuni dei suoi residui di serina, pertanto CDKL5 potrebbe essere direttamente responsabile della fosforilazione di MeCP2, grazie all’attività del suo dominio serina-treonina chinasico. L’interazione tra MeCP2 e CDKL5 avviene a livello proteico, essendo stato dimostrato da Mari e colleghi che le due proteine non interagiscono a livello trascrizionale. Gli autori dimostrano, attraverso esperimenti di immunoprecipitazione, western blotting e coimmunoprecipitazione in cellule 293T che CDKL5 e MeCP2 interagiscono anche in modelli cellulari, e che tale interazione si verifica a livello del nucleo (Mari et al., 2005). Tale affermazione è stata successivamente smentita da Lin e colleghi, i quali sostengono che la fosforilazione diretta di MeCP2 mediata da CDKL5 rilevata da Mari fosse in realtà causata da un’attività chinasica spuria presente nel’immunoprecipitato e prospettano un modello differente secondo cui MeCP2 recluterebbe CDKL5 a livello di un complesso di legame al DNA, in cui sarebbe presente il vero target di CDKL5 (Lin, Franco e Rosner, 2005). L’ipotesi che le due proteine possano agire in un pathway comune è rafforzata dall’osservazione che CDKL5 e MeCP2 legano, in due siti diversi, il dominio ammino terminale della de novo metil transferasi 1 (DNMT1) (Kameshita et al., 2008) Nonostante sia stata accertata l’interazione tra CDKL5 e MeCP2 a più livelli, rimane ancora molto da chiarire circa il pathway in cui sarebbero coinvolte le due proteine e come le mutazioni osservate potrebbero influire su questo pathway e indurre le alterazioni patologiche osservate nella Sindrome di Rett.

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FOXG1

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FOXG1 (inizialmente denominato Brain Factor 1, BF-1) è un gene filogeneticamente

conservato, svolge il ruolo di repressore trascrizionale e appartiene ai fattori di trascrizione della famiglia forkhead, in cui si ritrova un dominio di legame al DNA altamente conservato, detto forkhead domain (vedi Figura 5), (Weigel et al., 1989); (Tao e Lai, 1992; Hatini, Tao e Lai, 1994).

Figura 4: Cartoon della struttura 3D del dominio di legame del DNA di HNF-3 completato con una sequenza oligonucleotidica di 13bp. Eliche e foglietti β sono identificati rispettivamente con le lettere H e S. I loop corti sono nominati con T’, mentre i due loop lunghi con W1 e W2. (A) si osservano tre foglietti β e 3 α eliche e la porzione ammino- e carbossi- terminale della proteina. (B) Si osserva la stessa immagine di A ruotata di 90° lungo la verticale per mostrare l’a elica H3 legata all’ansa maggiore del DNA (Lai et al., 1993).

Murphy et al. nel 1994 analizzando una libreria di cDNA di encefalo e testicoli umani, isolarono 10 sequenze che cross-ibridavano con il dominio forkhead del ratto. Le analisi di

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Curiosità: il nome forkhead origina dal primo gene di questa classe identificato per la prima volta in Drosophila. Mutazioni in questo locus causano trasformazioni omeotiche di strutture intestinali, con conseguente sostituzione della regionie anteriori dell’intestino con struttureectopiche della testa, che assume forma a forcella da cui il nome forkhead (Weigel et al., 1989); (Lai et al., 1993).

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19 Northern blot rivelarono un trascritto di 3.2 kb nel cervello umano e nell’encefalo di topo sia fetale che adulto che gli autori inizialmente chiamarono Human Forkhead 1 (HFK1). Un’ ibridazione in situ di sezioni di embrione di topo e di cervello fetale umano ha dimostrato che l'espressione HFK1, oggi noto come FOXG1 era limitata alle cellule neuronali nel telencefalo, con forte espressione nel giro dentato e nell'ippocampo (Murphy

et al., 1994).

La sequenza genica di FOXG1 è localizzata sul cromosoma 14, nel locus q12. Il gene è costituito da 5 esoni, di cui uno soltanto contiene la sequenza codificante, che consta di 1470 basi. La proteina FOXG1 è costituita nell’uomo da 489 amminoacidi. Nella porzione N-terminale si osserva una regione ricca di istidine (nell’intervallo di residui 33-57), di proline (da 58-112) e di glicine (da 118-177) (Bredenkamp, Seoighe e Illing, 2007)

http://www.uniprot.org/uniprot/P55316. Nella regione centrale (da aa 181-275) si individua il forkhead domain che è costituito da tre α-eliche, tre foglietti β e due loop, generalmente così organizzati: α1-β1-α2-α3-β2-W1-β3-W2. Il dominio di legame al DNA di FOXG1 riconosce la seguente sequenza consensus: TGTAACAAA (Li et al., 1995). Nella porzione C-terminale della proteina troviamo i domini di interazione per i corepressori Groucho/TLE

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e Jarid (Yao, Lai e Stifani, 2001). Groucho, il cui ortologo umano è TLE -trasducine-like

enhancer of split, regola negativamente il differenziamento neuronale e i componenti della

via del segnale di Notch (Koop, Macdonald e Lobe, 1996; Yao et al., 2000). Nel 2001 Yao e colleghi hanno dimostrato che FOXG1 interagisce con TLE1, che media specificamente l’interazione tra Foxg1 e Hes, un inibitore trascrizionale appartenente alla famiglia Hairy-Enhancer of split. In questo modo FOXG1 potenzia la repressiore trascrizionale di Hes in modo Groucho dipendende (Yao, Lai e Stifani, 2001). JARID1b è una istone demetilasi che agisce sulle lisine e potenzia l’azione repressiva di FOXG1 (Tan et al., 2003). Regad e collaboratori hanno dimostrato che in Xenopus laevis FoxG1 è fosforilata a livello della serina 19 dalla Casein Kinase I (CKI, SSFS*, CKI consenso: SXXS* (Flotow e Roach, 1991), questa modifica promuove la sua importazione nucleare. Al contrario, Fibroblast

Growth Factor induce una fosforilazione mediata da Akt (o PBK protein kinase B) della

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Curiosità: La famiglia genica Groucho (GRO) prende il nome dal fenotipo della prima mutazione identificata nella famiglia di mutanti gro1 in Drosophila melanogaster. L’animale mutato presentava una sovrabbondanza di ciglia sovraorbitali negli adulti; questa caratteristica, ricordando le sopracciglia folte distintive della star del cinema americano e comico Groucho Marx, è stata la fonte del nome assegnato (Jennings e Ish-Horowicz, 2008).

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20 treonina 226 (nel contesto RRRSTT*S, sequenza consenso di Akt: RXRXXS*/T*X (Alessi

et al., 1996) che promuove l’esportazione di FoxG1 nel citoplasma. Da tali evidenze gli

autori proposero anche un modello secondo cui la regolazione della localizzazione intracellulare di FOXG1 contribuisce alla regolazione delle funzioni proteiche.

Figura 5 : L’allineamento del forkhead domain murino, mostra l’elevato grado di conservazione degli amminoacidi. Sopra l'allineamento, sono raffigurate le posizioni approssimative delle caratteristiche strutturali, calcolate sulla base di quelle del fattore umano FOXK2 (Liu, Chen et al. 2002). Il codice dei colori si riferisce alla relativa somiglianza tra i residui amminoacidici in base alle loro proprietà fisico-chimiche (ad esempio i residui aromatici fenilalanina, tirosina e triptofano sono raffigurati in rosso). Sotto l'allineamento, i punti indicano i residui che sono altamente conservati (simili in > 75% dei casi). Si noti l'elevato grado di conservazione nella terza α-elica (α3), noto anche come elica di riconoscimento. Tratto da (Wijchers, Burbach e Smidt, 2006)

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FOXG1 durante lo sviluppo embrionale

Durante lo sviluppo embrionale del topo, è stato osservato che Foxg1 viene espresso principalmente nel telencefalo (Tao e Lai, 1992). Nel 1995 Shimamura e colleghi, indagando quali fossero i geni che contribuivano allo sviluppo dell’asse antero-posteriore del sistema nervoso centrale, individuarono una serie di geni come Nkx-2, Shh, Otx-1,

Emx e appunto Foxg1 (noto a quei tempi come BF-1). L’espressione di Foxg1 inizia allo

stadio di 5 somiti a livello ectopico, nel margine rostrale della placca neurale, per continuare a 10.5 day post coitum (dpc) nell’area preottica, nella regione adiacente al peduncolo ottico e nella maggior parte del telencefalo, eccetto la regione caudomediale del pallio (Shimamura et al., 1995).

Figura 6: Espressione di BF-1,Otx-1, Emx-2, Nkx-2.2, Nkx-2.1 e Shh. Lo schema suggerisce un organizzazione longitudinale e trasversale nel tubo neurale. Il disegno schematico mostra il pattern di espressione dei geni a 10.5 day post coitum (Shimamura et al., 1995).

Xuan e colleghi nel ’95 indagando sul ruolo di BF-1 (Foxg1) nello sviluppo dell’encefalo, hanno generato topi privi di entrambe le copie di BF-1; questa alterazione genetica causa

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22 la morte post-parto della prole e una marcata riduzione delle dimensioni degli emisferi. In particolare, il telencefalo ventrale è pressoché assente e si ha un ampliamento in senso ventrale dei marcatori telencefalici dorsali, come se quelli ventrali non fossero stati specificati. Foxg1 infatti, è un target di Sonic Hedgehog (Shh); durante la specificazione del telencefalo ventrale, Shh inibisce l'identità dorsale reprimendo la trascrizione di ligandi dorsalizzanti della via di Wnt (Danesin et al., 2009) Le cause della ridotta dimensione degli emisferi sono da ricondurre ad una riduzione nel tasso di proliferazione nel neuroepitelio sia dorsale che ventrale nonché ad alterazioni nella tempistica di differenziamento neuronale. Le cellule del neuroepitelio dei topi knock-out (KO) per Foxg1 infatti escono precocemente dal ciclo cellulare e vanno incontro ad un differenziamento prematuro (Hanashima et al., 2002). Mantenendo in uno stato proliferativo i precursori neuronali, FOXG1 sopprime il differenziamento precoce delle cellule corticali. I mutanti Foxg1 -/-, presentano un eccesso di produzione di cellule Cajal Retzius nella corteccia. I neuroni Cajal-Retzius risiedono nel primo livello della corteccia e sono i primi tipi neuronali ad essere generati durante corticogenesi. L’inattivazione condizionale di Foxg1 nei progenitori corticali che normalmente andrebbero a produrre gli strati più profondi della corteccia fa sì che i progenitori generino cellule Cajal-Retzius (Hanashima et al., 2004). Foxg1 ha dunque un duplice ruolo, essenziale nello sviluppo del forebrain: controlla la proliferazione del neuroepitelio telencefalico e ne inibisce il prematuro differenziamento (Xuan et al., 1995). Hanashima e colleghi rimpiazzando la proteina endogena Foxg1 con una forma mutante, incapace di legarsi al DNA (Foxg1NHAA), hanno dimostrato che queste due funzioni sono svolte attraverso meccanismi indipendenti: i topi Foxg1NHAA mostrano infatti un aumento della proliferazione del neuroepitelio ma non mostrano effetti nel differenziamento nervoso prematuro associato alla perdita di Foxg1 (Hanashima et al., 2002) .

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FOXG1 nella sindrome di Rett

Nel 2005 Shoichet et al riportarono il caso di una ragazza con grave disabilità cognitiva, associata ad agenesia completa del corpo calloso e microcefalia. Gli studi molecolari rivelarono anormalità cromosomiche: una traslocazione de novo bilanciata t (2; 14) (p22; q12), insieme ad una vicina inversione di 720 kb nel locus 14q12 (Shoichet et al., 2005). Queste mutazioni interessavano la porzione 3’ di FOXG1.

Negli anni successivi sono stati riportati altri casi clinici in cui è coinvolto FOXG1:

 Bisgaard et al. nel 2006 studiarono 6 casi di anomalie cromosomiche in pazienti con ritardo mentale; l’analisi citogenetica in piastra metafasica, validata con RT-PCR individuò in un paziente una delezione nel locus 14q12 (Bisgaard et al., 2006).  Papa et al. descrissero una delezione de novo di 3 Mb sul braccio lungo del cromosoma 14, che comprendeva la banda q12. La delezione aveva coinvolto una regione che comprendeva solo 5 geni, tra cui FOXG1. Quest’ultimo gene risultava essere un buon candidato, a causa del ruolo che FOXG1 svolge nella proliferazione e nel differenziamento cellulare durante lo sviluppo del telencefalo (Papa et al., 2008).

 Sempre nel 2008 Ariani et al. riportarono due casi di variante congenita di RTT negativi per mutazioni nel gene MeCP2 e recanti mutazioni puntiformi in FOXG1. Una mutazione nonsense e una frameshift, portano alla formazione di una proteina tronca (Ariani et al., 2008). Negli anni successivi sono state descritte altre mutazioni o delezioni/duplicazioni di FOXG1 associate a sindrome di Rett (Yeung et al., 2009; Mencarelli et al., 2010; Brunetti-Pierri et al., 2011; Le Guen et al., 2011)

Amor et al. nel 2012 hanno riportato sull’European Journal of Human Genetics il caso di una coppia padre-figlio che mostravano una duplicazione di 88 kb nel locus 14q12 associata a microsomia emifacciale e ad un normale fenotipo neurocognitivo. La duplicazione contiene solo due geni che codificano per proteine: FOXG1 e C14orf23. L’assenza della manifestazione della sindrome di Rett, nonostante la duplicazione che interessava FOXG1, può essere spiegata da una incompleta penetranza, da un mosaicismo genetico, oppure dal fatto che duplicazioni di FOXG1 possano essere benigne. Le alterazioni neuro cognitive riportate in letteratura potrebbero essere causate da duplicazioni di altri geni in prossimità di FOXG1. Le conseguenze funzionali delle microduplicazioni o microdelezioni sono collegate al dosaggio finale, che è fortemente

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24 influenzato dal punto di rottura nel locus 14q12 (Yeung et al., 2009; Falace et al., 2013; Bertossi et al., 2014) Grazie al progetto ENCODE sono state analizzate le sequenze regolatorie a monte di FOXG1 identificando a 130 kb dal gene una regione tra 28 188 kb e 28 217 kb che contiene modificazioni istoniche tipiche di un enhancer (monometilazione a livello dell’istone H3 e della lisina 4, UCSC genome browser, NCBI Build 36/hg18, (Falace

et al., 2013). Duplicazioni, che comprendano anche la regione regolatoria potrebbero

dunque portare ad una efficiente trascrizione della copia soprannumeraria di FOXG1, altrimenti, come nel caso riportato da Amor et al., la copia soprannumeraria potrebbe essere tradotta poco efficacemente e ciò spiegherebbe l’assenza di grosse alterazioni fenotipiche. Non tutte le variazioni nel gene FOXG1 sono da ricollegare alla sindrome di Rett. In generale i disturbi riconducibili alle mutazioni di FOXG1, sono associati ad una normale crescita perinatale, ipotonia, rallentamento dello sviluppo o regressione a partire da 3 a 6 mesi di età, grave compromissione intellettuale, linguaggio assente, epilessia, e scarso uso volontario delle mani. Tuttavia, in contrasto con le mutazioni puntiformi di

FOXG1 e delezioni del locus 14q12, un paziente con microduplicazione 14q12 era in

grado di camminare autonomamente da 2 anni età, non ha sviluppato microcefalia, e non ha evidenziato movimenti delle mani stereotipati. Alla luce di queste differenze, il fenotipo risultante da una microduplicazione 14q12 non può essere confuso con la sindrome di Rett. (Yeung et al., 2009). Sulla base di quanto riportato in letteratura, anche considerando le mutazioni puntiformi del gene, la correlazione genotipo-fenotipo risulta poco chiara. La mutazione missense R244C riportata da Le Guen et al. presenta i tratti distintivi della variante congenita della sindrome di Rett (Le Guen et al., 2011). Le mutazioni non senso W255X o S323fsX325 (Ariani et al., 2008) sviluppano un quadro clinico più grave, suggerendo che l’integrità della proteina possa giocare un ruolo importante nella patogenesi della Sindrome di Rett. Tuttavia la mutazione nonsenso nella regione N-terminale (Q46X)della proteina, porta ad un suo troncamento precoce ma è associata ad un fenotipo mite (De Filippis et al., 2012), mentre una mutazione nonsenso nella regione C-terminale (Tyr416X o Tyr400X) causa un fenotipo grave riconducibile alla forma classica della sindrome di Rett (Bahi-Buisson et al., 2010; Philippe et al., 2010). In aggiunta, la stessa mutazione Tyr400X è stata identificata in un paziente con un fenotipo mite, che non rientra nel quadro clinico delle forme classiche o nelle varianti della sindrome di Rett. (De Filippis et al., 2012). In conclusione, tutta la letteratura recente suggerisce che mutazioni

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25 in FOXG1 non sono predittive riguardo la gravità del fenotipo; probabilmente sussistono fattori addizionali che contribuiscono a modulare la gravità del quadro clinico.

La sindrome di Rett e i mitocondri

Prima della scoperta delle mutazioni nel gene MeCP2, era stata ipotizzata come causa della sindrome di Rett, un’origine mitocondriale. L’ipotesi si basava sul fatto che i mitocondri di pazienti RTT presentavano anomalie strutturali e difetti nella catena di trasporto degli elettroni (Eeg-Olofsson et al., 1989), (Ruch, Kurczynski e Velasco, 1989) (Armstrong, 1992) (Dotti et al., 1993), ma con la scoperta di MeCP2 come gene-malattia questa ipotesi fu abbandonata.

La disfunzione mitocondriale e lo stress ossidativo stanno diventando nuovamente fattori patogenici sempre più accreditati (Zoghbi, 2009);(De Filippis et al., 2012). Le analisi cliniche dei pazienti affetti da RTT riportano una presenza di ipotonia (Heilstedt, Shahbazian e Lee, 2002) e disfunzioni del miocardio, che correlano con alterazioni mitocondriali e fenomeni di stress ossidativo (De Felice et al., 2012). Le biopsie muscolari e del lobo frontale di pazienti mostrano inoltre alterazioni morfologiche dei mitocondri che appaiono rigonfi, con alterazioni nella membrana, elevata vacuolizzazione e inclusioni granulari (Cornford et al., 1994); (Eeg-Olofsson et al., 1990; Dotti et al., 1993). Dai prelievi ematici dei pazienti affetti da sindrome di Rett è stata osservata una ridotta attività dell’ enzima superossido dismutasi (Sierra et al., 2001), una diminuzione dei livelli di vitamina E (Formichi et al., 1998) ed un aumento di marker dello stress ossidativo quali la perossidazione lipidica (De Felice et al., 2012). Inoltre i geni codificanti per una subunità dei complessi I e III della catena respiratoria sembrano indirettamente controllati da MeCP2 (Kriaucionis et al, 2006 (Kriaucionis et al., 2006);. Gibson et al, 2010a.), il traslocatore mitocondriale dell’ adenina ANT1 che è up-regolato sia in un topo MeCP2 -/-che nei fibroblasti di pazienti RTT (Forlani et al., 2010).

Anche se questi dati sono indicativi di una diffusa disfunzione mitocondriale, la causa dei danni non è ancora chiara e resta da capire se e come alterazioni nei pathway mitocondriali siano coinvolti nella patogenesi della sindrome di Rett.

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I mitocondri

I mitocondri, dal greco Mitos (filiforme) e khondros (grano o granuli), sono organelli delle dimensioni di un batterio (circa 1 micron), e si trovano in tutte le cellule nucleate. I mitocondri contengono un proprio DNA detto mitocondriale (mtDNA), il cui genoma, piccolo e circolare (circa 16,6 kb), contiene solo 37 geni; 13 di questi codificano per proteine componenti una singola entità metabolica del sistema OXPHOS (Oxidative phosphorylation) , i restanti 24 codificano per 2 RNA ribosomiali (rRNA) e 22 RNA transfer (tRNA) utilizzati per la traduzione delle 13 proteine del sistema OXPHOS. Tutte le altre proteine necessarie al mitocondrio vengono importate dal citoplasma cellulare. A differenza del DNA nucleare (nDNA), i mtDNA sono ereditati dalla madre e sono presenti in più copie per cellula; il numero varia a seconda delle esigenze bioenergetiche di ogni tessuto e del tipo di cellula. I mitocondri hanno una struttura complessa, sono dinamici e biochimicamente attivi, presentano un'ampia gamma di funzioni, tra cui la produzione di ATP, la biosintesi degli aminoacidi, la gestione delle specie reattive dell'ossigeno e la regolazione del calcio intracellulare (Mcbride, Neuspiel e Wasiak, 2006);(Shetty, Galeffi e Turner, 2012).

Dinamica-mitocondriale

All'interno della cellula i mitocondri esistono come una popolazione in un continuum morfologico dinamico. La loro biosintesi e funzionalità vengono continuamente rimodulate in relazione alle richieste energetiche della cellula. I mitocondri possono variare in numero e dimensione grazie alla crescita, alla fissione e alla fusione (Berman, Pineda e Hardwick, 2008). La fusione mitocondriale richiede un elevato gradiente protonico, che viene generato dalla catena di respirazione mitocondriale (Mitochondrial Respiratory Chain, MRC); dunque i mitocondri metabolicamente compromessi sono incapaci di effettuare la fusione. La fissione, invece genera variabilità genetica. Oltre alla dinamica descritta, nella cellula si assiste a fenomeni di biogenesi mitocondriale stimolata da diverse molecole di segnalazione, quali ossido nitrico, estrogeni e fattori di crescita, che sono noti per regolare anche la neurogenesi, la plasticità nervosa, l’apprendimento e la memoria (Barsoum et al., 2006) (Gutsaeva et al., 2008; Klinge, 2008);(Renton et al., 2010).

Trasporto mitocondriale

L’importazione post-traduzionale delle proteine nel mitocondrio avviene con un iniziale riconoscimento tra i recettori di membrana mitocondriali e una sequenza segnale del

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27 polipeptide che usualmente è localizzata all’N-terminale, se la destinazione finale della proteina è la matrice mitocondriale. Nel caso, invece, in cui il target finale è la membrana interna, la sequenza di localizzazione si trova internamente al polipeptide. In breve il meccanismo di importo mitocondriale prevede :1) il legame del polipeptide ad una Hsp70, che ne mantiene la conformazione lineare e ne favorisce il trasporto. 2) il riconoscimento della sequenza segnale da parte dei recettori e 3) il trasporto del polipeptide attraverso i pori presenti nel complesso TOM (Transporter of Outer Membrane) della membrana mitocondriale esterna (Outer Mitochondrial Membrane, OMM). Le molecole che dovranno diventare proteine integrali della membrana interna sono poi dirette verso il complesso TIM (Transporter of Inner Membrane) della membrana mitocondriale interna (Inner MItochondrial Membrane, IMM), che le guida verso il doppio strato lipidico della IMM. Le proteine che invece hanno come target la matrice mitocondriale, sono trasportate attraverso TIM 22 sfruttando la differenza di potenziale tra l’interno e l’esterno della IMM. Una volta che la proteina raggiunge la destinazione, interagisce con uno chaperon molecolare per assumere la sua conformazione nativa, mentre la sequenza di localizzazione viene eventualmente rimossa da una peptidasi mitocondriale.

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Scopo della tesi

L’obiettivo della tesi è comprendere la funzione di FOXG1 nella genesi della sindrome di Rett. Si è cercato innanzi tutto di chiarire se/quanto una mutazione nel dominio di legame al DNA (R244C) diminuisca l’affinità di FOXG1 per la cromatina. Per questo scopo è stata utilizzata la metodica biofisica strip-FRAP. Inoltre, le analisi di microscopia confocale hanno mostrato per la prima volta una localizzazione di FOXG1 anche nei compartimenti mitocondriali. Considerando che, i pazienti affetti da sindrome di Rett mostrano alterazioni riconducibili proprio ad un malfunzionamento dei mitocondri, è stato intrapreso uno studio sia biochimico che morfologico di questi organuli.

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Materiali e metodi

Clonaggio

Il cDNA di Foxg1, contenente la mutazione patologica R244C4 è stato ottenuto attraverso una serie di clonaggi. In breve, è stata amplificata per PCR la regione del cDNA di Foxg1

full length, dal nucleotide 703 al 1443, utilizzando un primer forward mutagenico

contenente la sequenza di riconoscimento per l’enzima di restrizione Kpn ed un primer reverse contenente il sito di restrizione di BamHI. La suddetta sequenza è stata clonata prima nel multiple cloning site (MCS) del vettore pCR®2.1 (T.A cloning kit, Invitrogen) per essere amplificata e sequenziata. Infine il cDNA completo è stato clonato nel MCS del vettore di espressione pEGFP-N1.

Figura 7: Schema del clonaggio. La sequenza delle lettere indica il MCS del vettore pEGFP-N1 in cui si trova Foxg1 (basi 1-702). Sottolineati in rosso gli enzimi Kpn e Bam H1 con cui è stato digerito il vettore. In basso la regione 3’ del gene (basi 703-1443), l’asterisco indica la mutazione R244C. Il prodotto di ligazione dà origine al gene full length nel vettore di espressione pEGFP-N1.

4

Confontando il gene FOXG1 umano e murino, con il programma bioinformatico (Serial Cloner) si è osservato che la mutazione umana R244C ha il suo ortologo , in posizione 236. Per riprodurre fedelmemte la mutazione nel cDNA murino è stato mutata la base in posizione c. 706 C>T. Tuttavia, per chiarezza nella nomenclatura, in questa tesi indicherò la mutazione sempre con la sigla R244C.

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Clonaggio in pCR

®

2.1

Primer e PCR

Il cDNA di Foxg1 è stato amplificato dalla base 703 alla 1443 utilizzando come stampo il vettore pEGFP contenente Foxg1 full length. La sequenza d’interesse è compresa tra i siti di restrizione Kpn (interno alla sequenza codificante di Foxg1) e BamHI (nel MCS del vettore e a valle della codificante di Foxg1), non contiene codoni di stop. I primer, vedi Tabella 2, sono stati progettati tramite il Primer Express® Software, Applied biosystem. Il primer forward (F) è un primer mutagenico, in esso si osservano I) la mutazione c.730 C>T, evidenziata in grassetto (Le Guen et al., 2011) e II) la sequenza di riconoscimento per l’enzima di restrizione Kpn I (sottolineata).Il primer reverse (R) contiene un sito di riconoscimento protruding per l’enzima BamHI (sottolineata).

Forward: 5’-AAG GTA CCG TGC CAC TAC GAC GAC C -3’ Reverse: 5’-GGA TCC CCA TGT ATT AAA GGG TTG GAA G -3’ Tabella 2: Sequenza dei primer progettati per amplificare il cDNA di FoxG1.

La PCR è stata eseguita nel termociclatore (GeneAmpPCRsystem 2400, Applied Biosystem) utilizzando 50 ng del DNA stampo, buffer 10x, enzima proofreading (AccuPrime Pfx DNA polimerasi, Invitrogen 20 U.E.), dNTP 10 µM, primer 30 µM ciascuno. L’enzima Go-Taq (Promega) polimerasi è stato aggiunto al termine dei 30 cicli (Tabella 3), per consentire successivamente il clonaggio nel vettore commerciale pCR®2.1 che si presenta in una forma linearizzata con delle tirosine protrudenti. La Go-Taq polimerasi infatti mostra un' attività terminal transferasica e aggiunge una coda di adenine alle due estremità del prodotto di PCR, che può così essere ligato al vettore pCR®2.1

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31 Tabella 3: Rappresentazione schematica dei cicli di PCR

Il prodotto di amplificazione, ottenuto dalla PCR, è stato visualizzato e quantificato attraverso una corsa elettroforetica su gel d’agarosio all’1% preparato con una soluzione di Tris-Borato EDTA (TBE). Successivamente la banda d’interesse è stata estratta e purificata dal gel, utilizzando il QIAquick Gel Extraction Kit (Quiagen) seguendo il protocollo suggerito dal produttore.

La corsa elettroforetica

La corsa elettroforetica su gel d’agarosio è una tecnica analitica basata su proprietà elettrocinetiche, che dà informazioni sulla lunghezza dei frammenti di DNA analizati e una stima della loro concentrazione. Per effettuarla si prepara un gel d’agarosio (

Tabella 4) che viene sciolto ad alta temperatura e fatto solidificare nell’apposito supporto, per poi collocarlo nell’apparato di corsa orizzontale, immerso in una soluzione di Tris-Borato EDTA (TBE) allo 0,5%. Il gel d’agarosio viene utilizzato in percentuale compresa tra 0,8-1,0 % (peso/volume) per bande comprese tra 500-1000 bp.

Durante la preparazione del gel di agarosio viene aggiunto del Bromuro di Etidio (EtBr), una sostanza visibile agli ultravioletti (assorbe negli ultravioletti e riemette nel visibile) che si intercala nel DNA. L’aggiunta di EtBr durante la preparazione del gel di agarosio rende possibile la rivelazione delle bande di DNA con un trans illuminatore ad ultravioletti; i frammenti di DNA così evidenziati vengono confrontati con le bande del marker di peso molecolare a concentrazione nota (NEB 100 bp e 1Kb) caricato in un pozzetto del gel .Prima del caricamento nel gel, i campioni da analizzare sono addizionati con un buffer di caricamento 6x (Loading dye, Fermentas) contenente I) glicerolo: appesantisce il

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32 campione, portandolo sul fondo del pozzetto II) EDTA che inibisce eventuali nucleasi metallo-dipendenti III) blu di bromofenolo, tramite il quale è possibile seguire il fronte della migrazione dei frammenti di DNA. All’apparato di corsa si applica una differenza di potenziale che varia tra 90-120 mV per consentire la migrazione del DNA verso il polo positivo, con una velocità inversamente proporzionale alla lunghezza del frammento amplificato.

Concentrazioni/fattori di diluizione Es: 1%, Vtot 200mL

H2O distillata a volume 180 mL

TBE ( stock5x ) 0,5x / 1:10 20 mL

Agarosio (g) % : 100 = g : VTOT 2 g

EtBr 1:10000 20µL

Tabella 4: Preparazione di un gel d’agarosio.

Estrazione della banda da gel

La banda d’interesse viene estratta dal gel e purificata per consentire il clonaggio dell’inserto in un altro vettore, in questo caso in un vettore di espressione pEGFP-N1. Una volta separata a sufficienza, la banda d’interesse è stata tagliata dal gel e purificata con il kit QIAgen MinElute Gel Extraction kit. Seguendo il protocollo consigliato dal produttore, la banda tagliata è stata posta in un tubo da 2 ml e pesata. Al frammento ottenuto sono stati aggiunti 3 volumi di Buffer QG (considerando approssimativamente la corrispondenza tra 100 mg di gel e 100 μl di buffer). Il buffer QG solubilizza l’agarosio e rende ottimali le condizioni di legame del DNA alla membrana. L’eppendorf è stata posta a 50°C per circa 10’ per sciogliere l’agarosio. Una volta disciolto il gel, alla soluzione è stato aggiunto un volume di isopropanolo corrispondente al peso del gel iniziale, per far precipitare il DNA. La miscela è stata trasferita nelle apposite colonnine, fornite insieme al kit e centrifugata 1’ alla massima velocità. Le colonnine purificano il DNA seguendo i principi di una cromatografia per affinità: grazie alla membrana in gel di silice e all’elevata concentrazione di sali caotropici il DNA, con legami a idrogeno, viene trattenuto alla membrana, mentre eluiscono i contaminanti come le proteine e gli altri componenti del gel. L’eluato è stato

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33 scartato e alle colonnine sono stati aggiunti 500 μl di Buffer QG. Le colonnine sono state nuovamente centrifugate per 1’ e l’eluato di nuova scartato. Per lavare le colonnine, si è aggiunto 750 μl di Buffer PE addizionato con etanolo e le colonnine sono state centrifugate ad alta velocità per 1’. Dopo aver gettato l’eluato, le colonnine sono state di nuovo centrifugate per 1’ a vuoto per eliminare eventuali residui di etanolo, infine dopo un lavaggio in bassa concentrazione di sali o come nel nostro caso 10 μl di H2O bidistillata, il

DNA viene risospeso. Sono lasciati riposare i campioni per circa 1’ affinché l’acqua venga completamente assorbita. Le colonnine sono state centrifugate per 1’ ed è stato raccolto l’eluato contenente il DNA. Il DNA così estratto e purificato è stato sottoposto a corsa elettroforetica per verificare la qualità del processo .

Ligation

Per clonare il prodotto di PCR all’interno del vettore pCR®2.1 è stata allestita una reazione di ligation (in cui il rapporto vettore/inserto=1) utilizzando la quantità di prodotto di PCR calcolata mediante la formula consigliata, indicata sotto:

x ng prodotto PCR =(755 bp del prodotto di PCR)(50 ng di vettore pCR2.1) bp vettore pCR®2.1~3900 bp

Nel caso specifico si rendono quindi necessari 9,6 ng di DNA (cDNA Foxg1 R244C bp 703-1443), al quale vengono aggiunti: buffer ligasi 10X ; 50 ng di vettore, enzima T4 ligasi 20 U.E/µL e H20; in parallelo è stato allestito un controllo negativo in cui è stato omesso il

prodotto di PCR. La soluzione è stata lasciata 14°C per tutta la notte.

Trasformazione batterica

Le cellule di E. Coli DH5α vengono rese competenti da un trattamento chimico con CaCl2 tale da facilitare l’acquisizione di DNA esogeno. Per eseguire la trasformazione si scongelano in ghiaccio le vials contenenti le cellule DH5α conservate a -80°C . Una volta scongelate, a queste si aggiunge la metà della miscela di ligation. Le vials vengono lasciate in ghiaccio per 30’. In questa fase il DNA plasmidico aderisce al versante esterno

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34 della membrana plasmatica. Si prosegue ad effettuare uno shock termico, in un bagnetto precedentemente riscaldato, a 42°C per 30’’, durante i quali si creano dei pori nella membrana plasmatica che consentono l’ingresso del DNA nella cellula. Le vials vengono immediatamente rimesse in ghiaccio per qualche minuto. A questo punto, vengono aggiunti 900 μl del mezzo di crescita LB (Luria Bertani:NaCl 1%, Bacto-tryptone 1%, Bacto-yeast extract 0,5%) a temperatura ambiente e si lasciano crescere i batteri per 1 h in un incubatore rotante a 37°C. In questa fase i batteri che hanno acquisito il plasmide pCR®2.1 esprimono i gene per la resistenza agli antibiotici codificati nel vettore, in questo caso i geni per la resistenza all’ampicillina e alla kanamicina. Nel frattempo, si lasciano asciugare le piastre con il terreno selettivo contenente l’antibiotico kanamicina e successivamente si piastrano 40 µL di IPTG (100 mg/mL) e 40 μl (20 mg/mL) di X-Gal rispettivamente, su ciascuna piastra, avendo cura di procedere velocemente con quest’ultimo data la sua volatilità. Trascorsa l’ora di precrescita, si piastra un volume pari a 200 μl di campione in concentrazioni diverse. Si lasciano crescere i batteri O/N a 37°C. In presenza dell’enzima β-galattosidasi il substrato X-Gal viene idrolizzato e le colonie batteriche piastrate assumono una colorazione blu. Nel plasmide pCR2.1 è contenuta la sequenza codificante la porzione α di questo enzima e qualora l’inserzione del frammento clonato avvenga con successo si ottiene un’ interruzione della sequenza stessa. Di conseguenza l’enzima perde la sua attività e non si ha più l’idrolisi dell’ X-Gal per cui le colonie appaiono bianche.

Mini prep

Questa metodica di estrazione del DNA plasmidico sfrutta i principi di una cromatografia per adsorbimento su una membrana in gel di silice. La miniprep consente di purificare fino a 20µg di DNA plasmidico. La tecnica è basata su una semplice procedura legame-lavaggio-eluizione. Gli acidi nucleici sono adsorbiti alla membrana, mentre polisaccaridi e proteine non si adsorbono e vengono rimossi. Dopo una fase di lavaggio, gli acidi nucleici puri sono eluiti sfruttando soluzioni che non contengano sali.

 La sera precedente si inocula una delle colonie di interesse stemperandola in 3,5 mL di LB e aggiungendo ampicillina 1000x (100mg/mL) e kanamicina 1000x (25mg/mL). Si pone l’inoculo in agitazione a 37°C O/N;

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35  La mattina successiva vengono prelevati 2 ml della crescita e centrifugati per 5’ a

10000 rpm;

 il pellet viene risospeso in 250μl del Buffer P1 (50 mM Tris-HCl, pH 8.0, 10 mM EDTA, RNAse A 100 µg/ml, Lyse blue);

 250μl del buffer di lisi alcalino: P2 (200 mM NaOH, 1% SDS), e si agita per inversione 4-6 volte. In questa fase avviene la lisi delle membrane batteriche, evidenziata dal reagente LyseBlue presente nel Buffer P1, che dà una colorazione blu alla miscela. Si lascia ad incubare per non più di cinque minuti;

 350μl di Buffer N3 (4.2 M, guanidine hydrochloride GuHCl ,0.9 M KAc, pH 4.8). L’aggiunta di guanidina idrocloride, in qualità di sale caotropico, serve a rompere i legami a idrogeno, favorendo la denaturazione delle proteine e la desolvatazione del DNA. Queste ed altre componenti cellulari, come le membrane, precipitano durante la centrifugazione mentre il DNA plasmidico, superavvolto, rimarrà in soluzione. Il sovranatante viene trasferito nelle colonnine cromatografiche fornite dal kit, che vengono poi centrifugate per 1’ a 12000 rpm. Le colonnine trattengono il DNA e l’eluato viene gettato

 750μl di Buffer PE addizionato ad alcool; gli agenti aspecifici vengono allontanati dalla membrana. Si getta l’eluato.

 10μl di acqua bidistillata; si centrifuga 1’ alla massima velocità. Si raccoglie l’eluato contenente il DNA plasmidico purificato

II restante volume dell’inoculo viene preservato a -80 °C addizionando glicerolo al 20%.

Digestione enzimatica

Il plasmide pCR®2.1 contenente la regione terminale di Foxg1 R244C (basi 703-1443) è stato sottoposto a digestione di controllo. La mix di reazione contiene l’enzima EcoRI (20 U.E), buffer EcoRI 10X, DNA 500 ng. Il vettore pCR®2.1 presenta due siti di riconoscimento per EcoRI a monte e a valle del MCS, mentre non ci sono siti di riconoscimento per EcoRI all’interno della codificante di Foxg1. Il prodotto della digestione è quindi una banda all’altezza corrispondente al numero di basi dell’inserto amplificato per

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36 PCR: 740 bp. Una conferma si ottiene dopo il sequenziamento del DNA estratto dai cloni risultati positivi. Il sequenziamento è avvenuto tramite il laboratorio Genechron (Roma).

Clonaggio in pEGFP-N1

Il pEGFP-N1 rappresenta il vettore di espressione in cui è stato clonato il prodotto di PCR

Foxg1 R244C (basi 703-1443). In laboratorio era già presente un vettore pEGFP-N1

contenente la porzione 5’ della codificante di Foxg1 (basi 1-703), che era stata clonata in pEGFP-N1 utilizzando gli enzimi di restrizione XhoI e BamHI. Come primo step questo costrutto è stato incubato, per una digestione di controllo, con XhoI (20 U.E) e BamHI (20 U.E); buffer3 10X; BSA 10X; DNA 400 ng .

Figura 8: Porzione del MCS di pEGFP-N1 in cui è stata ligata la porzione 5’ di Foxg1. I numeri in alto si riferiscono alle basi nucleotidiche della sequenza. Le frecce indicano gli enzimi con cui si è digerito per effettuare un controllo del plasmide.

Dopo aver controllato l’esattezza del plasmide, il vettore pEGFP-N1-Foxg1(1-703 bp) è stato utilizzato come accettore del segmento 3’ di Foxg1, che è stato subclonato da pCR®2.1-Foxg1 R244C (703-1443bp) a pEGFP-N1-Foxg1(1-703 bp) utilizzando gli enzimi KpnI e BamHI. I due costrutti sono stati digeriti come riportato in

Tabella 5. La digestione è stata incubata per 1h 30’ a 37°C. Alla digestione del vettore accettore si è aggiunto buffer 4 10X, BSA 10X e 20 U.E di CIP (Calf Intestinal Phosphatase) che elimina i gruppi fosfato al 5’ e al 3’ per impedire una chiusura del plasmide su se stesso e per facilitare il clonaggio nel nuovo vettore.

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