• Non ci sono risultati.

La cicatrizzazione

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "La cicatrizzazione "

Copied!
43
0
0

Testo completo

(1)

Introduzione

Introduzione

Ogni qualvolta si verifichi la scontinuazione di un tessuto, sia essa con- seguenza di una dieresi chirurgica o ferita accidentale, è necessaria la rico- struzione anatomica della stessa.

Nella pratica chirurgica la maggior parte delle soluzioni di continuo può essere riparata con appropriati punti di sutura, i quali rappresentano il me- todo “classico” per la sutura delle ferite.

Tutti i chirurghi, però, hanno esperienza di ferite che tendono a non guarire, ed è noto che i materiali di sutura possono causare reazioni tissutali, microemorragie e zone di ischemia e necrosi da cui può derivare un’infezione, e quindi la compromissione della riparazione dei tessuti. Proprio per prevenire questi inconvenienti sono stati effettuati numerosi studi per migliorare le tec- niche chirurgiche e perfezionare i fili di sutura. Indubbiamente la sutura ideale sarebbe quella senza alcun punto di sutura, per eliminare la presenza di corpi estranei dai tessuti.

È proprio nel corso di questi studi che è stata realizzata la produzione di particolari collanti istologici, le cui caratteristiche di atossicità, di rapido ed elevato potere di adesione e di praticità di impiego, rappresentano un modo semplice ed ingegnoso di eseguire l’affrontamento dei margini cutanei.

Tali adesivi tissutali rappresentano indubbiamente una valida alternati- va alle suture “classiche” o, per lo meno, un ausilio alle stesse.

Scopo di questa tesi è proprio quello di valutare il possibile impiego in ambito veterinario, nella chiusura delle ferite cutanee, di un particolare adesi- vo tissutale, l’Histoacryl®, un composto acrilico allo stato liquido, che chimi- camente corrisponde alla formula n-butil-2-cianoacrilato.

(2)

Capitolo 1 La ferita

Capitolo 1 La ferita [1]

Per ferita si intende una soluzione di continuo di tessuti molli con foco- laio traumatico aperto e recente.

Le ferite interessano sempre almeno la cute e le mucose. Se sono inte- ressati tessuti molli più o meno profondi, senza interessamento di cute o mu- cosa, non si parla di ferite ma di contusioni, rotture, lacerazioni o distrazioni:

muscoli, tendini, legamenti, fasce, capsule sinoviali, nervi, vasi sanguigni e/o linfatici possono andare incontro a tali patologie.

La lesione, per poter continuare ad essere definita ferita, deve essere re- cente. Se non lo è si parlerà di piaga se ha tendenza a guarire e di ulcera se non ha tendenza a guarire.

Le ferite possono essere:

a- superficiali: cute o mucose in toto o parte di esse (abrasio- ni, escoriazioni, disepitelizzazioni, scorticature);

b- profonde: oltre a cute e mucose interessano organi, musco- li, tendini, ecc.;

c- penetranti: interessano una cavità con o senza interessa- mento di organi e/o visceri;

d- trapassanti: passano da parte a parte un organo o una re- gione;

e- transfosse: oltrepassano una cavità da parte a parte.

Le ferite possono essere accidentali o volontarie e, fra queste ultime, sono quelle operatorie.

(3)

Capitolo 1 La ferita

La gravità della ferita è in stretta relazione a:

- estensione (larghezza, lunghezza, profondità);

- organo interessato.

Vi sono ferite con scarsissima o nulla perdita di sostanza: dieresi.

Vi sono ferite con perdita di sostanza: exeresi.

Nella ferita si riconoscono:

a- margini: le linee di sezione dei tessuti feriti;

b- commessure: i punti di incontro dei margini;

c- lembi: zone cutanee o mucose parzialmente staccate dai piani sottostanti;

d- monconi o capi: parti recise di organi cilindrici quali mu- scoli, tendini, legamenti;

e- orifici: i fori di entrata e di uscita dell’agente feritore;

f- canale: il tragitto scavato nei tessuti dall’agente feritore fra due orifici o tra un orificio ed il fondo;

g- fondo: il piano sottostante alla superficie della ferita ed il limite di questa.

Il fondo può essere: regolare o irregolare, anfrattuoso, ricettacolo di coaguli, di cenci e detriti di tessuti, di corpi estranei, di materiali or- ganici.

Le ferite sono accompagnate sempre da fenomeni locali e generali.

Fenomeni locali sono:

- la soluzione di continuo;

- il divaricamento dei margini;

- la perdita di sostanza;

- l’ingresso e la permanenza di corpi estranei;

(4)

Capitolo 1 La ferita

Fenomeni generali sono:

- il dolore;

- l’emorragia e l’emostasi;

- la cicatrizzazione.

Le ferite possono essere suddivise, in funzione dell’agente feritore, in:

1- ferite lineari o da taglio, che presentano due labbra ben di- stinte;

2- ferite puntiformi o da punta;

3- ferite contuse (contusioni aperte);

4- ferite lacere (pressione e trazione) 5- ferite lacero-contuse;

6- ferite da strappamento (trazione violenta semplice o com- binata a torsione): caduta ad arti divaricati, avulsione dello zoccolo, ecc.;

7- ferite da morso o morsicature;

8- ferite avvelenate;

9- ferite da arma da fuoco.

Ciascun focolaio è caratteristico e l’evoluzione del focolaio traumatico è strettamente legata alla causa.

Il chirurgo è chiamato, di volta in volta, a trattare la parte per ottenere, ove possibile, la guarigione per prima intenzione.

(5)

Capitolo 2 La cicatrizzazione

Capitolo 2

La cicatrizzazione

Per cicatrizzazione si intende il fenomeno riparativo di qualsiasi lesione e soluzione di continuo, tendente a riunire le parti disgiunte e a colmare l’eventuale perdita di sostanza (exeresi).

Per cicatrice si intende il tessuto neoformato per riparare la soluzione di continuo di un tessuto organico danneggiato da qualunque processo morboso, e rappresenta perciò la guarigione anatomica di un episodio patologico tessu- tale.

Il processo cicatriziale avviene a livello non solo cutaneo ma di tutti i tessuti dell’organismo, sebbene con il termine cicatrice ci si riferisca di solito alla riparazione e guarigione di una ferita cutanea.

Tale processo è sostanzialmente uguale in qualsiasi sede si verifichi.

È un sistema di riparazione molto efficiente che, attraverso la deposi- zione di tessuto fibroso da parte di cellule specializzate, la formazione di neo vasi sanguigni ed il lavoro coordinato di numerosi elementi cellulari, permette all’organismo lesionato di sopravvivere “riparando” il danno subito ma “non rigenerando” il tessuto.

Il tessuto cicatriziale è formato esclusivamente da tessuto connettivo, per cui presenta struttura e funzione diversa da quello circostante in cui si è verificata la lesione.

(6)

Capitolo 2 La cicatrizzazione

(1) La cicatrizzazione avviene sempre attraverso gli stessi meccanismi, indipendentemente dal fatto che avvenga per prima, seconda o terza intenzio- ne. I cambiamenti sono solo quantitativi e non qualitativi.

Per prima intenzione avviene quando le pagine o margini della ferita sono fra loro in intimo contatto, stabilizzati, in ambiente asettico.

Per seconda intenzione avviene attraverso la formazione di una piaga e cioè su una superficie aperta ed esposta all’ambiente esterno, quindi in pre- senza di una sepsi di grado variabile.

Per terza intenzione o secondaria per prima è quando le superfici granu- leggianti di una piaga, ad un certo punto della cicatrizzazione, per interventi esterni o per elasticità propria dei tessuti, vengono a trovarsi in intimo contat- to fra loro, stabilizzate ed in ambiente asettico.

Nel processo di cicatrizzazione si possono distinguere tre fasi:

- infiammatoria;

- di rimozione;

- di riparazione.

Fase infiammatoria.

Qualsiasi soluzione di continuo dei tessuti, sia chirurgica che accidenta- le (ferite, ustioni, perfrigerazioni, radiazioni, infezioni batteriche), è seguita da un processo infiammatorio.

La risposta infiammatoria è strettamente legata alla gravità della causa.

L’infiammazione acuta è caratterizzata da una reazione vascolare e cel- lulare volta a proteggere l’organismo da eccessive perdite ematiche e, soprat- tutto, dall’intrusione di sostanze estranee, oltre che all’eliminazione di tessuti avascolari ed in necrosi, dannosi al processo riparativo.

(7)

Capitolo 2 La cicatrizzazione

La durata dell’infiammazione, circa 6 ore, è comunque dipendente dalla gravità del trauma, dalla natura della soluzione di continuo, dalla permanenza di sostanze estranee, dall’eventuale infezione.

Reazioni vascolari e cellulari. Nelle ferite, onde limitare la perdita di sangue, i capillari focali e perifocali si contraggono, presumibilmente per a- zione di catecolamine, ed i leucociti presenti iniziano ad aderire all’endotelio capillare.

Dopo 5-10 minuti sopravviene una vasodilatazione attiva che induce un deflusso di sangue e plasma a livello della soluzione di continuo. La vasodila- tazione è caratterizzata da un allargamento della maglia delle cellule endote- liali per azione di istamina di tipo II, serotonina, chinine e PGE. I leucociti possono così passare per diapedesi attraverso gli spazi creatisi fra le cellule endoteliali dei vasi capillari e si concentrano nella ferita come centri di aggre- gazione cellulare.

Con la trasformazione del fibrinogeno in fibrina e la produzione di una glicoproteina insolubile in acqua, la fibronectina, si forma il coagulo fibrocel- lulare, che riempie e stabilizza i margini della ferita, conferendo una certa ela- sticità. In questo ambiente anossico i leucociti polimorfonucleati muoiono ra- pidamente, liberando enzimi che favoriscono la risposta infiammatoria.

L’occlusione dei vasi linfatici lesionati impedisce la dispersione dei li- quidi e comporta gonfiore, arrossamento, calore e dolore. Il dolore è imputa- bile, oltre che alla pressione locale aumentata, alla stimolazione chimica delle terminazioni nervose.

Il coagulo fibrocellulare fornisce un supporto alla successiva rimargi- nazione e, quando si disidrata, forma la crosta che protegge la soluzione di continuo da contaminazioni esterne. La crosta, comunque, non è indispensabi- le per la rimarginazione. Alcune ferite possono guarire più rapidamente se te-

(8)

Capitolo 2 La cicatrizzazione

Fra le pagine di una ferita suturata il quantitativo di sangue presente deve essere solo sufficiente a garantire l’adesione delle pagine stesse. Sangue in quantità abnorme e/o sierosi provocano ritardi di cicatrizzazione, compro- mettendo la circolazione ematica perifocale per compressione sui tessuti: inol- tre provocano dolore e croste eccessive.

L’ematoma e/o il sierosa sono il pabulum ideale per la crescita batteri- ca.

Fase di rimozione.

Inizia circa 6 ore dopo il trauma e si ritiene che persista per 12 ore. In questa fase i neutrofili ed i monociti, chemiotatticamente stimolati dalla leu- cotraxina, migrano nel focolaio dove iniziano il processo di “pulizia”.

I polimorfonucleati neutrofili ed i monociti arrivano contemporanea- mente in loco ed alla medesima proporzione che si trova nel sangue. I neutro- fili, in ambiente anossico e relativamente acido come il coagulo fibrocellulare, muoiono presto, lasciando un apparente aumento numerico dei monociti.

La funzione primaria del neutrofilo è la fagocitosi batterica: dopo la morte, il neutrofilo libera enzimi lisosomiali favorenti la risposta infiammato- ria e di aiuto alle cellule mononucleate per un’ulteriore eliminazione dei tes- suti disvitali.

In assenza di infezione la guarigione può procedere senza le cellule po- limorfonucleate, mentre i monociti sono sempre necessari per la loro capacità di fagocitare i tessuti disvitali o necrotici.

I monociti, oltre a formare macrofagi, si fondono per formare cellule giganti polinucleate o per trasformarsi in istiociti o in cellule epitelioidi.

Funzione molto importante del monocita è quella di attirare i fibroblasti nel focolaio e, forse, quella di stimolare la sintesi di collagene.

(9)

Capitolo 2 La cicatrizzazione

La durata della fase di rimozione è ovviamente correlata alla gravità della soluzione di continuo, alla presenza di corpi estranei, al grado di infe- zione.

Fase di riparazione.

Essa comprende l’epitelizzazione della soluzione di continuo, la migra- zione dei migrazione dei fibroblasti deputati alla formazione del collagene, la formazione di tessuto di granulazione e la contrazione della ferita. La fase di riparazione inizia normalmente entro le prime 12 ore e prosegue dopo la ri- mozione del coagulo, dei tessuti necrotici o disvitali, l’eliminazione dei corpi estranei e dei detriti, la risoluzione dell’infezione.

Epitelizzazione. Inizia già dopo 12 ore dalla soluzione di continuo con un appiattimento ed assottigliamento dell’epitelio perifocale, che spinge le cellule adiacenti verso i margini della ferita. Contemporaneamente le cellule basali del derma cominciano a separarsi, a duplicarsi, a migrare verso aree povere di cellule. Una sostanza solubile in acqua e sensibile all’epinefrina, chiamata calone, è responsabile del controllo della mitosi delle cellule epite- liali. La funzione primaria del calone è quella di limitare e regolare la mitosi cellulare della pelle sana: una ferita induce la sua diminuzione a livello dei margini, consentendo la duplicazione delle cellule epiteliali.

Se vi è una crosta, le cellule epiteliali devono migrare sotto di essa, staccandola mediante secrezione di enzimi proteolitici. Ad epitelizzazione completata la crosta cade.

Nelle ferite suturate può accadere che le cellule epiteliali migrino lungo i tragitti dei fili, provocando infiammazioni ed a volte anche piccoli ascessi.

Generalmente le cellule epiteliali migrano sulla superficie della ferita finchè cellule simili non si incontrano e si uniscono.

(10)

Capitolo 2 La cicatrizzazione

Una ferita che coinvolga anche gli strati del derma e del sottocute ne- cessita un periodo di 4-5 giorni per la fase di granulazione prima che inizi l’epitelizzazione, cioè la migrazione delle cellule.

I fattori che possono bloccare prematuramente l’epitelizzazione sono l’infezione, la formazione eccessiva di tessuto di granulazione, ripetuti trau- matismi anche per il cambiamento troppo frequente della medicazione protet- tiva, l’ipotermia locale, l’essicazione della superficie della ferita, la riduzione della tensione di ossigeno.

Quando molto strati di cellule epiteliali coprono quello che era la ferita, inizia la differenziazione cellulare e la cheratinizzazione.

La superficie è priva delle strutture normalmente annesse alla cute (peli, ghiandole sebacee, etc.) e questo epitelio è detto epitelio cicatriziale.

Fibroplasia. I fibroblasti, originati da cellule mesenchimali indifferen- ziate nel tessuto connettivo attiguo, si spostano nel focolaio procedendo su quel lattice fibrinoso formatosi in precedenza nel coagulo. Essi si muovono grazie ad estroflessioni citoplasmatiche che, espandendosi dal fibroblasto ed attaccandosi al substrato solido, permettono il trascinamento della cellula ver- so l’estensione citoplasmatica.

Il movimento del fibroblasto è regolato dal contatto e termina quando cellule simili sono collegate.

I fibroblasti compaiono verso il 3°-4° giorno dall’evento traumatico che ha causato la ferita e sono molto attivi fino al 21° giorno.

Appena giunti nella soluzione di continuo, i fibroblasti secernono un polisaccaride proteico ed una glicoproteina, componenti necessari per la so- stanza di base. Tali sostanze raggiungono il loro massimo sviluppo a 3-5 giorni e servono alla stratificazione del collagene.

Il collagene è sintetizzato dai fibroblasti soprattutto dall’idrossiprolene e dalla idrossilina. La formazione del collagene comincia al 4°-5° giorno e

(11)

Capitolo 2 La cicatrizzazione

consegue alla espulsione di protocollagene negli spazi extracellulari. Non ap- pena queste fibrille immature sono prodotte, cominciano a legarsi per formare una fibra di collagene maturo.

L’elasticità della cicatrice aumenta tra il 5° ed il 15° giorno, raggiun- gendo al massimo l’80% dell’elasticità originaria del tessuto ad un anno;

l’elasticità è legata alla quantità di collagene prodotta.

All’inizio della fase fibroplastica il lattice fibrinico, i fibroblasti ed il protocollagene sono orientati in modo pressoché verticale, mentre successi- vamente le fibre collagene mature si dispongono parallelamente alla superfi- cie della epidermide. Questo riallineamento delle fibre collagene sembra do- vuto alle forze tensionali prodotte in loco.

Tessuto di granulazione. Il tessuto di granulazione comincia ad apparire dopo 3-6 giorni. È di aspetto granulare per i capillari proliferanti che formano delle anse vascolari. Le anse vascolari crescono insieme ai fibroblasti e for- mano molte anastomosi.

Le cellule endoteliali delle anse vascolari migrano nella ferita e libera- no attivatori del plasminogeno, con conseguente lisi della rete di fibrina. In- sieme alla neovascolarizzazione ematica si ha la neoformazione di vasi linfa- tici, tuttavia meno attiva.

Il tessuto di granulazione è benefico perché:

1) fornisce una superficie su cui possono migrare le cellule epiteliali;

2) è barriera invalicabile ai batteri, impedendo così infezioni;

3) è di supporto al fibroblasto che produce collagene;

4) rivascolarizza la parte;

5) il processo di contrazione della soluzione di continuo è le- gato al suo sviluppo.

(12)

Capitolo 2 La cicatrizzazione

Contrazione della soluzione di continuo. La contrazione della soluzione di continuo è il processo attraverso il quale un’ampia exeresi cutanea, lasciata aperta, si riduce per movimento centripeto dei tessuti perilocali in tutto il loro spessore. Questo movimento inizia il 3°-4° giorno e sembra indipendente dal- la contemporanea epitelizzazione. Si pensa che il movimento della cute sia dovuto alle proprietà contrattili di un fibroblasto modificato, detto miofibro- blasto, trovato nel tessuto di granulazione. Il miofibroblasto è dotato di buone proprietà di contatto intercellulare e cellulostromale, possedendo doti simili al muscolo liscio, compresa la contrattilità.

Queste cellule, contraendosi, spostano la cute verso il centro della per- dita di sostanza, determinandone un assottigliamento temporaneo.

Contemporaneamente nuovo collagene si aggiunge al derma e nuove cellule si aggiungono all’epitelio, ristabilendo così lo spessore cutaneo.

La contrazione della soluzione di continuo è migliore in quelle zone in cui la cute è relativamente più elastica, abbondante e dove non vi sono note- voli tensioni.

Dove la cute è tesa la contrazione è molto compromessa e relativa.

La contrazione della soluzione di continuo termina quando si raggiunge il contatto inibitorio fra cellule simili, quando la tensione della cute circostan- te si equilibra con le forze traenti, quando il tessuto di granulazione è tanto da diventare un ostacolo meccanico.

Fase di maturazione. È caratterizzata da una riduzione del numero di fibroblasti con un riequilibrio fra produzione e lisi del collagene. Le fibre di collagene funzionalmente orientate cominciano a predominare e quelle non funzionali sono dissolte.

Nonostante la riduzione dei fibroblasti, dei vasi ematici e delle fibrille di collagene, la resistenza tensile della cicatrice aumenta. Tale aumento è do- vuto all’allineamento del collagene alle linee di tensione, dall’incrocio intra-

(13)

Capitolo 2 La cicatrizzazione

molecolare favorito dalla lisinoossidasi e dalla formazione di maggiori colle- gamenti.

La congiunzione fra collegamenti di collagene attigui diventa meno di- stinta quando le fibre si uniscono. Nonostante la cicatrice aumenti progressi- vamente la propria forza tensile per lunghi periodi, rimane sempre inferiore del 15-20% a quella del tessuto adiacente. La cicatrice, quindi, è un punto di relativa minor resistenza.

Importante precisare che in chirurgia il problema della cicatrizzazione non rappresenta soltanto un aspetto isolato ed esclusivo di fisiopatologia, ma si trova strettamente correlato all’esecuzione tecnica della incisione chirurgica e della successiva sutura cutanea, ciò perché la qualità della cicatrice che si va formando è particolarmente sensibile ad una serie di fattori interdipendenti quali la sede e l’orientamento dell’incisione, il grado di tensione dei margini della ferita, il materiale di sutura usato, la delicatezza nel serrare i nodi e nel pinzare i bordi cutanei, le condizioni di mobilità della ferita nel periodo di guarigione e la prevenzione dei processi infettivi.

Se tutto ciò è eseguito correttamente, è possibile prevenire la nascita di una cicatrice viziata, a meno ché non intervengano fattori patologici intrinseci al processo di cicatrizzazione. (11).

(14)

Capitolo 3 Adesivi tissutali

Capitolo 3

Adesivi tissutali

L’adesivo tissutale può essere generalmente definito come qualsiasi so- stanza con caratteristiche che permettono la polimerizzazione. Questa polime- rizzazione deve o tenere i tessuti insieme o servire come barriera alla disper- sione. (15)

Le caratteristiche di una colla biologica debbono essere essenzialmente:

1) capacità reale di coalescenza dei tessuti;

2) inerzia biologica e totale biocompatibilità;

3) meccanismo di attivazione del processo privo di effetti tos- sici;

4) riassorbimento graduale senza residui di materiale e possi- bile reazione da corpo estraneo.

Un adesivo tissutale ideale dovrebbe essere in grado di mantenere il tessuto a posto per permettere la cicatrizzazione della soluzione di continuo. Il ravvicinamento dovrebbe durare fino a quando la ferita non riesca a reggersi senza ulteriori supporti.

L’aderenza, però, da sola non è sufficiente. Come minimo, non deve o- stacolare l’andamento del normale processo di guarigione.

L’adesivo perfetto dovrebbe degradare affinché non rimanga alcun cor- po estraneo; per esser più precisi prima dovrebbe favorire il naturale meccani- smo della cicatrizzazione e subito dopo degradare.

Dovrebbe agire localmente.

Dovrebbe essere innocuo.

(15)

Capitolo 3 Adesivi tissutali

In definitiva un adesivo tissutale ideale non dovrebbe creare più danni di quelli che risolve. (15)

Gli adesivi tissutali chirurgici possono semplificare complesse procedu- re chirurgiche stabilizzando la superficie del tessuto attraverso emostasi, chiudendo ferite e fissando tessuti in aree inaccessibili a collocare suture. (9)

Tra i vari componenti ad uso clinico occorre citare in primo luogo la colla di fibrina umana, originariamente autologa, il cui potere adesivo è assai limitato in termini di forza tensile e durata dell’effetto a favore invece dell’azione coagulante, che nel processo di cicatrizzazione esprime il primo e fondamentale momento.

Affascinante è l’idea di utilizzare la proteina fibrinogeno per l’adesività tissutale. Sfortunatamente, anche usando elevate concentrazioni di questa pro- teina e dei fattori di coagulazione, il risultato sulla tenuta dei tessuti (200g/cm2 dopo 10 min. dalla coagulazione) non aumenta proporzionalmente.

Ciò ha portato alla ricerca di prodotti a base chimica che dimostrassero mag- giore attitudine all’azione collante propria.

Tralasciando la colla G.R.F. (a base di gelatina, resorcina e formaldei- de), ormai abbandonata a causa della forte concentrazione di formaldeide, ci si è orientati verso prodotti a base chimica o siliconica o cianoacrilica, mentre i terpeni e la tintura di benzoino sono composti utilizzabili semplicemente per via epicutanea come adesivi per sacche, elettrodi od altro materiale di superfi- cie.

Anche i collanti siliconici non sono a tutt’oggi utilizzati se non per im- pieghi superficiali, mentre i cianoacrilati hanno ottenuto validazione anche per uso viscerale.

La produzione dei collanti di sintesi ad uso biologico ha avuto notevole sviluppo a partire dagli anni ’50, realizzandosi una graduale selezione in sede

(16)

Capitolo 3 Adesivi tissutali

impiego, inizialmente e preferibilmente cutaneo (come alternativa alla sutura), indi più profondo (per la sintesi tissutale). (13)

Tabella I

COMPOSTI COLLANTI IN USO CLINICO.

Composto collante Composizione

Colla di fibrina umana Proteina autologa ed omologa

G. R. F. Gelatina,resorcina, formaldeide

Cianoacrilati N-isobutil-2- cianoacrilato N-etil-2-cianoacrilato

Terpeni (Mastisol®) Uso esclusivamente epicutaneo

Collanti siliconici (Silastic®) Silicone per uso esclusivamente epi- cutaneo

Tintura di benzoino

Revocata dal commercio per eccessi- va concentrazione di benzolo (tossico)

(17)

Capitolo 3 Adesivi tissutali

Classicamente gli adesivi si distinguono in 4 gruppi in base al meccani- smo d’azione:

1) per evaporazione del solvente;

2) per effetto termico;

3) per azione pressoria;

4) per azione chimica vera e propria.

Al primo gruppo, che solidifica per evaporazione del solvente, appar- tengono le gomme sintetiche ed i composti vinilici. Le caratteristiche di essic- camento e di viscosità dei prodotti sono agevoli ma labile è la loro tenacia a- desiva, che può essere facilmente indebolita o distrutta dall’applicazione del solvente o dalla sua mancata totale evaporazione. Il tempo di solidificazione di questi composti è inoltre alquanto lungo ed occorre mantenerli in sede con una certa pressione in attesa che si realizzi l’effetto collante.

Gli adesivi termosensibili si sciolgono con il calore, rapprendono con l’abbassamento della temperatura, con un meccanismo del tutto reversibile.

I composti presso-sensibili sono quelli comunemente usati nei cerotti:

la loro forza tensile è scarsa, pur essendo rapido il meccanismo d’applicazione.

Gli adesivi su base chimica, che rapprendono a seguito di ben precise reazioni irreversibili, sono resistenti alle temperature ed ai solventi e quindi persistono per lungo tempo nell’organismo. Questo gruppo è ulteriormente suddiviso in composti che si attivano per evaporazione del solvente e quelli che non richiedono tale meccanismo ed a quest’ultimo tipo appartengono le resine epossidiche ed i cianoacrilati. (13)

(18)

Capitolo 4 I cianoacrilati

Capitolo 4 I Cianoacrilati

I requisiti di un collante istologico ideale possono essere così suddivisi:

- forte capacità adesiva del tessuto;

- rapido tempo di adesione;

- scarsa termogenicità;

- assenza di tossicità;

- scarsa reazione da corpo estraneo;

- essere sterile o autosterilizzante;

- avere un certo modulo di elasticità per conformarsi a superfici con- vesse e concave;

- agire anche in presenza di liquidi;

- essere scarsamente trombogenico.

I cianoacrilati possiedono il maggior numero di queste caratteristiche, in particolar modo quelle che concernono le capacità di aderire ai tessuti vitali, anche umidi, e di mantenere tenacemente la proprietà adesiva nel tempo. (13) Sono facili da applicare e si comportano molto bene come le suture tradizio- nali ed oltre tutto semplificano la cura delle ferite. (21)

Rappresentano il gruppo di sostanze che più ampiamente è stato utilizzato come adesivo per tessuti.

Sono liquidi trasparenti che polimerizzano all’istante a contatto con l’acqua e quindi con i tessuti umidi, per formare una dura, flessibile e insolu- bile “plastica” che aderisce fortemente alla superficie bagnata. La forza di questa adesione è tale che se la sostanza cade tra due dita bagnate è impossibi- le separarle senza strappare la pelle. (16)

(19)

Capitolo 4 I cianoacrilati

Polimerizzazione dei cianoacrilati (13)

Essenzialmente i monomeri di alchil-alfacianoacrilato costituiscono la ba- se elementare del processo di polimerizzazione: ad essi è aggiunta una piccola quantità di alcool poliatomico allo scopo di conferire una certa fluidità ed un polimero solubile per incrementare la viscosità.

Il monomero di alfa-cianoacrilato polimerizza sulla base di una reazione innescata dalla presenza, nell’ambiente, di ossidrilioni (-OH-) che possono es- sere originati da una base forte oppure anche da una base debolissima come l’acqua (pKw = 14). L’ossidrilione rompe il doppio legame tra il carbonio in posizione alfa ed il carbonio adiacente: si costituisce un composto intermedio, altamente instabile, nel quale il carbonio in alfa ha un elettrone libero; questo composto inizia, agendo su una molecola di cianoacrilato vicina, la reazione a catena di polimerizzazione (i polimeri che si formano hanno un numero di monomeri come minimo di 100), rompendone, come l’ossidrilione iniziale, il doppio legame vinilico.

(20)

Capitolo 4 I cianoacrilati

POLIMERIZZAZIONE DEI CIANOACRILATI

C=N C=N

| | H2C=C + HOH → HO―CH2―C·

| | O=C―O—R O=C—O—R

Monomero Acqua Radicale intermedio del cianoacrilato (dissociata) altamente instabile

C=N C=N CN CN

| | | | H2C=C + HO―CH2―C· → ≈≈≈ CH2―C―CH2―C·

| | | | O=C—O—R O=C—O—R C=O C=O

| | O O | |

R R

Monomero CA Radicale Polimero (N>100)

―R :

C2H5 Etil C4H9 Butil

(21)

Capitolo 4 I cianoacrilati

Le famiglie dei diversi cianoacrilati differiscono in base al numero di atomi di carbonio presenti nel radicale (gruppo –R) ed anche, per quanto riguarda l’etilcianocrilato, per la modestissima concentrazione di composto stabilizzan- te e viscosizzante (inferiore al 2%).

La polimerizzazione di alchil-alfacianoacrilati con gruppi –R più lunghi (eptil-2-alfacianoacrilato, decil-2-alfacianoacrilato) è più lenta di quella pro- dotta da alfacianoacrilati con gruppo –R più breve (metil-2-alfacianoacrilato, etil-2-alfacianoacrilato, butil-2-alfacianoacrilato) e questo perché i gruppi –R più lunghi conferiscono un maggior ingombro sterico e ritardano l’avvicinamento dei monomeri nella reazione di polimerizzazione.

I tentativi di modificare le catene laterali dei cianoacrilati allo scopo di mi- gliorarne il riassorbimento, mitigare al massimo gli effetti citotossici, ha por- tato alla sintesi di diversi prodotti tra cui il 3-metossibutil-cianoacrilato, che per proprietà fisiche non differisce significativamente, in specie riguardo all’effetto collante, dall’isobutil da cui è derivato.

(22)

Capitolo 4 I cianoacrilati

Tossicità dei cianoacrilati

I primi cianoacrilati vennero sintetizzati nel 1949, ma vennero impiega- ti nell’ambiente clinico solo verso la fine degli anni ’50.

I primi derivati, metil-2 ed etil-2-cianoacrilati, mostrarono di funziona- re molto bene nella chiusura delle ferite. Potevano essere applicati con relati- va facilità, polimerizzavano rapidamente e dimostravano eccellenti caratteri- stiche di adesione. Tuttavia, poiché le catene di alchile erano brevi, questi composti degradavano rapidamente in cianoacetato e formaldeide.

La rapida degradazione fa si che tali sottoprodotti si accumulino nei tessuti portando ad una significativa istotossicità, caratterizzata da infiamma- zione sia acuta che cronica.

Fu solo quando furono sintetizzati cianoacrilati con catene di alchile più lunghe che l’istotossicità venne ridotta significativamente.

La catena di alchile più lunga riduce la velocità di degradazione, limi- tando il rilascio e l’accumulo di sottoprodotti a quantità che possono essere effettivamente eliminate dai tessuti.

Riguardo l’n-butil-cianoacrilato, la sua lieve istotossicità è strettamente dipendente dalla vascolarizzazione dei tessuti.

Non è mai stato dimostrato alcun danno a tessuti avascolari come carti- lagine e ossa.

Nei tessuti molli ben vascolarizzati una lieve infiammazione acuta e cronica può svilupparsi. (21)

(23)

Capitolo 4 I cianoacrilati

Sono molte le sperimentazioni che sono state effettuate per valutare l’istotossicità del cianoacrilato in rapporto alla vascolarizzazione dei tessuti.

Tra i molti studi possono essere ricordati quelli compiuti da Toriumi ed altri.

Questi, in un articolo pubblicato nel 1990 (19), riferiscono di un loro esperimento in cui confrontano le capacità leganti e l’istotossicità di due di- verse colle cianoacrilate: un etil-2-cianoacrilato (Krazy Glue®) e un butil-2- cianoacrilato (Histoacryl®).

Per questo esperimento gli autori utilizzarono dei conigli. Da questi vennero prelevati dei frammenti ossei dalla parte anteriore del seno mascella- re per essere poi incollati alla cartilagine auricolare. In ogni coniglio le due colle furono utilizzate in orecchie opposte. Campioni furono poi raccolti e a- nalizzati a 1, 2, 4, 12, 24 e 48 settimane. Le analisi istologiche rilevarono che la colla Krazy Glue® aveva provocato un’infiammazione acuta, tessuto necro- tico e una reazione cronica da cellule giganti da corpo estraneo. Viceversa, nelle orecchie trattate con Histoacryl® si era rilevata solo una lieve infiamma- zione acuta ed una moderata reazione da cellule giganti da corpo estraneo.

In un successivo articolo, sempre pubblicato da Toriumi et al. (20), gli autori riferiscono di un altro esperimento effettuato su un coniglio. In questo caso l’Histoacryl® venne applicato tra l’innesto d’osso e la cartilagine aurico- lare di un solo orecchio, con nessun innesto nell’orecchio controlaterale.

L’analisi istologica rilevava una minima o nulla infiammazione quando una piccola quantità di colla veniva applicata nella regione non vascolarizzata tra innesto d’osso e cartilagine. Se però la colla veniva in contatto con il tessuto molle vascolarizzato vicino, si rilevava un incremento dell’infiammazione a- cuta e una prolungata risposta di cellule giganti da corpo estraneo.

Nella bibliografia si trovano altri articoli di Toriumi et al. (9) (19) (20) in cui gli autori riferiscono dei risultati ottenuti con le colle cianoacrilate nel

(24)

Capitolo 4 I cianoacrilati

Riguardo l’utilizzo del cianoacrilato per la chiusura di ferite sulla cute, se i clinici usano un’adeguata tecnica l’istotossicità dovrebbe essere irrilevan- te.

L’adesivo deve essere applicato sulla pelle intatta, mentre i margini del- la ferita vengono tenuti insieme mediante pinze o con le dita. A queste condi- zioni, l’adesivo si sfalda completamente entro 1 o 2 settimane senza causare reazioni al tessuto oltre a quella normale di cicatrizzazione.

Se un po’ di adesivo è ritenuto dentro la ferita potrebbe causare una leggera reazione cellulare da corpo estraneo. (21)

Sulla tossicità dei cianoacrilati sono stati effettuati anche degli studi in vitro. A tal proposito va ricordata l’opera di Palmieri (13), in cui viene riferito di un originale metodo semiquantitativo proposto da Papatheofanis (14).

Quest’ultimo autore ha utilizzato una sospensione di PMN (leucociti polimorfonucleati neutrofili) per osservare il ritmo di degranulazione lisoso- miale e l’inibizione della migrazione, a seguito della progressiva aggiunta al medium di concentrazioni crescenti di cianoacrilati, rispettivamente metil-2 ed isobutil-2- cianoacrilato.

È stato in tal modo quantificato che per identiche concentrazioni di 10 microlitri di metil-cianoacrilato si ha il 35% di danno lisosomiale in più (e- spresso come liberazione di enzima lisosomiale nel medium) rispetto ad una identica dose di isobutil-cianoacrilato.

Valutando, per contro, la vitalità dei PMN con la colorazione vitale al trypan bleu, si è osservato che 10 microlitri di metil-cianoacrilato provocano la morte dell’89% delle cellule.

Tale fenomeno viene ampiamente neutralizzato qualora vi sia pretrat- tamento delle cellule con acido acetilsalicilico od indometacina (un minuto prima dell’aggiunta di cianoacrilato o di superossido dismutasi).

(25)

Capitolo 4 I cianoacrilati

Il fenomeno citotossico, in base alle esperienze dell’Autore, sarebbe da imputarsi all’attivazione della biosintesi di prostaglandina e trombossano da parte di idroperossidi lipidici, formatisi sulla parete e nel citoplasma cellulare.

Tali lipoperossidi avrebbero origine dall’interazione tra acidi grassi poliinsa- turi ed O2 ed H2O. Questa cascata di eventi tende a generare concentrazioni sempre crescenti di idroperossidi lipidici e ad alterare stabilmente ed in modo sempre più grave la membrana cellulare.

Anche l’evento trombotico, osservato in relazione all’uso clinico dei cianoacrilati, è verosimilmente da porsi in relazione con la generazione di trombosano.

L’uso preventivo di antiossidanti e di antinfiammatori nella sede di uti- lizzazione dei cianoacrilati può fungere da attenuatore degli effetti tossici os- servati.

Lo stesso Papatheofanis, sempre in base a quanto riferito nella sua ope- ra da Palmieri, avrebbe esaminato più approfonditamente l’aspetto tromboge- nico della tossicità dei cianoacrilati, investigando direttamente la reazione del- le cellule endoteliali esposte all’azione dell’isobutil-2-cianoacrilato.

Il composto ha provocato un’induzione dose-dipendente del trombos- sano misurato per mezzo dell’aggregazione piastrinica.

Pretrattando le piastrine con I-carbossimetil imidazolo, si osservò una diminuzione di aggregazione piastrinica dell’ordine dell’80%.

Utilizzando i due composti contemporaneamente, però, non si osservò alcuna diretta inibizione del fenomeno di aggregazione.

Secondo Papatheofanis, quindi, il mancato controllo del fenomeno di trombosi da parte dei farmaci attivi nell’inibire la sintesi di prostaglandine dall’endotelio, lascia supporre un meccanismo extracellulare, probabilmente endoluminale, a causare il fenomeno.

(26)

Capitolo 4 I cianoacrilati

Ancora Palmieri ci riferisce di un altro interessante contributo, sulla tossicità in vitro dei polimeri 2-cianoacrilici, proveniente da Chao Tseng e Coll. (22), il quale ha ideato un modello sperimentale originale, consistente nell’aggiungere microsfere di diversi metacrilati (poliethossietil-2- cianoacrilato e polimetil-2-cianoacrilato al confronto con poli-isobutil- cianoacrilato e polietil-2-cianoacrilato) ad un sistema cellulare del tipo SWISS 3T3.

In questo modello si è osservato entro le 24 ore dalla deposizione di microsfere nel medium, l’insorgenza di un fenomeno citotossico proporziona- le alla liberazione di formaldeide e perfettamente riproducibile con la sommi- nistrazione esogena di formaldeide alle stesse concentrazioni rilasciate duran- te il catabolismo dei cianoacrilati, nel mezzo di coltura.

Con tale metodo la degradazione delle microsfere utilizzate avveniva spontaneamente, entro 24 ore, per il semplice contatto con il mezzo di coltura, in funzione diretta del minor peso molecolare e della brevità della brevità del- la catena. L’isobutili-cianoacrilato ha dimostrato minor rilascio e minima tos- sicità, in forza della sua maggior integrità durante la coltura cellulare.

(27)

Capitolo 4 I cianoacrilati

MECCANISMO DI FORMAZIONE DELLA FORMALDEIDE IN AMBIENTE ACQUOSO.

CN CN CN CN

| | | |

≈≈ CH2—C—CH2—CH + H2O → ≈≈ HC—CH + HCHO + CH2

| | | |

C=O C=O C=O C=O

| | | |

O O O O

| | | |

R R R R

Polimero (N>100) CA Polimero Monomero [N>(100-1)] stabilizzato

Formaldeide

(28)

Capitolo 4 I cianoacrilati

Proprietà batteriostatiche e battericide dei

cianoacrilati

.

Ricerche microbiologiche sui cianoacrilati sono state compiute da B. Pal- mieri e Coll. (13). Questi ha condotto un’indagine su ceppi di B. subtilis e S.

aureus, dimostrando come il collante cianoacrilico inibisca la crescita di en- trambi i germi. Per effettuare tale studio il collante è stato semplicemente gocciolato su terreno solido Agar-sangue in piastra di Petri, precedentemente insemenzato per spatolamento con ognuno dei due germi (i batteri provengo- no da colture ATCC); a distanza di 24 ore di incubazione a 37°C si osserva la presenza di un alone di inibizione della crescita batterica, evidenziato da un’assenza di colonie batteriche nella zona che circonda la goccia di cianoa- crilato.

Nel suo studio B. Palmieri pone un dubbio sul reale meccanismo d’inibizione, che potrebbe essere dovuto sia al fenomeno di disidratazione dell’Agar, nella zona trattata, causato dalla polimerizzazione della colla, sia ad un effetto diretto batteriostatico-battericida della colla. Quest’ultima ipote- si pare essere confermata dal fatto che anche la capsula di Petri insemenzata con B. subtilis, organismo notoriamente resistente (in grado di attecchire in un terreno parzialmente disidratato) e fortemente sporigeno, a distanza di 48 ore di incubazione a 37°C continua a mostrare un eguale alone di inibizione della crescita batterica.

Interessanti risultati sono stati riportati da Eiferman R. A. ed altri (7) sui suoi studi riguardanti l’effetto antibatterico della colla cianoacrilata.

Tale autore ha effettuato esperimenti su diversi batteri coltivati su ter- reni Agar BHI.

Per valutare se la polimerizzazione determina delle variazioni nell’attività antibatterica del cianoacrilato,per ogni agente patogeno sono state

(29)

Capitolo 4 I cianoacrilati

inoculate separatamente due piastre, una immediatamente e l’altra dopo 30 minuti dall’addizione di 0.1 ml di enbrulicato.

L’incubazione è stata eseguita a 35°C per 18-24 ore.

A seconda della presenza o meno di zone di inibizione nelle varie colture batteriche l’attività del cianoacrilato è stata classificata come inefficace, batte- riostatica o battericida. Per determinare le ultime due categorie sono state ef- fettuate delle subculture, prelevando dei campioni dalle zone di inibizione e riseminandoli poi su terreno Agar-sangue. La crescite in questo caso è stata interpretata come indicativa di attività batteriostatica, la non crescita come in- dicativa di attività battericida.

In pratica, da questi esperimenti si è rilevato che l’enbrulicato è completa- mente inefficace contro i microrganismi Gram-. Nessuna zona di inibizione è stata osservata nel 100% degli esperimenti riguardanti Pseudomonas aerugi- nosa, Serratia marcascens, Klebsiella pneumoniae e Enterobacter aerogenes.

Al contrario i composti mostravano attività batteriostatica contro i Gram+.

Isobutil cianoacrilato ha effetti inibitori su Streptococchi, Neisseria catar- rhalis, Gaffkya e S. aureus; n-butil cianoacrilato ha effetti batteriostatici per i soli Gram+.

Si è rilevato poi come l’enbrulicato mostri maggior attività quando l’inoculum viene inseminato immediatamente dopo l’addizione della colla.

Viceversa, quando l’inoculum viene inseminato 30 minuti dopo l’applicazione della colla le zone di inibizione che si osservavano sono molto più piccole.

Secondo l’autore il cianoacrilato sarebbe in grado di legarsi a gruppi ami- nici liberi e/o gruppi idrossilici presenti sulla parete cellulare batterica. Il mo- tivo per il quale l’attività antibatterica non si avrebbe nei confronti dei Gram- è che in questi la capsula lipopolisaccaride esterna, che avvolge completa-

(30)

Capitolo 4 I cianoacrilati

Sempre secondo l’autore la causa per cui l’attività antibatterica decresce dopo 30 minuti sarebbe da ricondurre al fatto che, man mano che prosegue la polimerizzazione, la quantità di cianoacrilato libero per legarsi con gruppi amminici e/o idrossilici è sempre meno.

In definitiva, l’attività antibatterica del cianoacrilato sarebbe a breve ter- mine.

(31)

Capitolo 4 I cianoacrilati

Resistenza

alla tensione.

Indubbiamente un aspetto molto importante riguardo la chiusura di ferite con adesivi tissutali cianoacrilati è la loro resistenza alla tensione.

La pelle è distensibile ed elastica; la tensione della cute a riposo non è u- guale in tutte le direzioni, ma dipende dall’organizzazione delle fibre collage- ne ed elastiche nel derma ed è maggiore in una direzione e minore in quella ad essa perpendicolare; di ciò va tenuto conto nel praticare incisioni chirurgi- che, che vanno orientate, per quanto possibile, lungo l’asse di maggiore ten- sione, ciò per prevenire diastasi delle cicatrici.

Una incisione fatta in modo parallelo alle fibre elastiche determina uno spostamento minimo dei margini della ferita, spostamento che diventa più e- vidente quando la soluzione di continuo avviene trasversalmente alla direzio- ne delle fibre suddette. (5)

Queste fibre hanno una direzione costante che varia da regione a regione;

la disposizione nelle varie regioni corporee varia poi nelle diverse specie ani- mali.

Nella pagina successiva vengono riportate alcune immagini sulla disposi- zione delle fibre elastiche in alcuni dei nostri animali domestici. Queste im-

(32)

Capitolo 4 I cianoacrilati

Linee di fendibilità cutanee nel cavallo, bovino e cane.

(33)

Capitolo 4 I cianoacrilati

Come già detto, un’ incisione effettuata in parallelo a quelle che vengono chiamate linee di rottura della cute o anche linee direttrici di fendibilità, de- termina uno spostamento minimo dei margini della ferita, spostamento che diventa più marcato se l’incisione avviene trasversalmente.

Di ciò bisogna tenere conto non soltanto durante la dieresi ma anche du- rante la sintesi del tessuto scontinuato.

Nel caso delle colle cianoacrilate un loro utilizzo per chiudere ferite dai margini troppo distanti non solo può essere molto difficoltoso, ma può anche esser causa anche di una precoce deiscenza della ferita.

È assolutamente sconsigliato utilizzare la colla in aree in cui si ha un’elevata tensione, tensione che in gran parte dipende dalla componente fi- brillare elastica della cute, oltre che, ovviamente, dalla quantità di tessuto adi- poso depositato sottocute.

Riguardo la resistenza alla tensione sono stati effettuati studi da diversi au- tori, studi tendenti soprattutto a confrontare la resistenza alla trazione di ferite chiuse con cianoacrilato , rispetto a ferite chiuse con metodi tradizionali.

Fra le prime sperimentazioni vanno ricordate quelle compiute dai medici della divisione di chirurgia delle Forze Armate Americane, che si sono inte- ressati alle proprietà biologiche e fisiche dei cianoacrilati in previsione di un loro possibile impiego come emostatici da utilizzare nei campi di battaglia, cosa che poi effettivamente avvenne durante la guerra del Vietnam.

In una di queste ricerche (12), effettuata alla fine degli anni ’60 del secolo scorso, vennero confrontate ferite eseguite su cute di ratto e poi chiuse con colle cianoacrilate, con ferite, sempre eseguite su cute di ratto, che erano state chiuse con filo da sutura.

(34)

Capitolo 4 I cianoacrilati

Su ogni ratto vennero eseguite due incisioni, una per lato. Una di tali inci- sioni venne chiusa con seta intrecciata 4-0, l’altra invece con 4-5 gocce di cianoacrilato.

Si confrontò la diversa resistenza alla tensione in 6 diversi tempi: 1°, 4°, 7°

giorno post-operatorio; 4a, 8a, 16a settimana post-operatoria.

Questi studi mostrarono che sino al 4° - 6° giorno post-operatorio le ferite incollate risultavano essere più forti rispetto a quelle suturate, mentre dopo e- rano le ferite suturate a risultare più resistenti rispetto a quelle incollate; entro l’8a settimana la differenza diveniva insignificante.

Un altro studio simile, ma più recente, è quello che è stato compiuto da Bresnahan K. A. ed altri (2) . Gli autori mettono a confronto la forza di chiu- sure di ferite eseguite solo con adesivi tissutali rispetto a chiusure di ferite e- seguite con adesivi tissutali più suture sottocutanee, chiusure di ferite eseguite con suture cutanee più suture sottocutanee e chiusure di ferite eseguite con so- le suture cutanee .

Per la sperimentazione vennero impiegate cavie sul cui dorso, previa ane- stesia, vennero eseguite 4 incisioni di 2 cm di lunghezza. Ogni incisione ven- ne poi chiusa con uno dei quattro differenti metodi sopra menzionati.

Come adesivo è stato utilizzato una colla a base di n-butil-cianoacrilato.

Nelle ferite riceventi suture sottocutanee è stata piazzata, a metà dell’incisione, una singola sutura con Vicryl 4-0.

Le suture cutanee con filo sono state effettuate a punti staccati semplici con Ethilon 5-0.

Test di resistenza alla rottura furono eseguiti a 96 ore con appositi stru- menti misuratori di tensione.

I risultati ottenuti con questi esperimenti hanno mostrato come chiusure di ferite eseguite con solo adesivo tissutale abbiano una minor forza di resistenza

(35)

Capitolo 4 I cianoacrilati

alla tensione a 96 ore, in confronto agli altri 3 metodi di chiusura. La resisten- za maggiore si aveva con suture cutanee più suture sottocutanee.

Yaron et al. (23) hanno confrontato l’efficacia dell’n-butil-cianoacrilato nel trattamento di incisioni effettuate sulla cute della regione dorsale di ratti, rispetto alla chiusura effettuata con sutura a punti staccati con filo polipropi- lene 5-0. Per la sperimentazione vennero utilizzati 8 ratti.

Il 20° giorno post-operatorio, previa eutanasia degli animali, vennero effet- tuate analisi microscopiche e tensiometriche dalle quali risultò che tra i due metodi non vi erano differenze riguardo alle caratteristiche istologiche ed alla resistenza della cicatrice.

Sebbene la sperimentazione in laboratorio mostri che le chiusure con cia- noacrilato siano meno resistenti alla tensione rispetto a quelle con suture clas- siche, nell’ambito clinico molti autori hanno riportato dei risultati estrema- mente soddisfacenti con pochissimi casi di deiscenze.

Dal punto di vista tecnico si deve precisare che il collante istologico pos- siede una capacità di adesione potente, ma che si esercita in superficie, perciò non deve essere trascurata la sutura del tessuto sottocutaneo, effettuata con i metodi tradizionali.

La sutura sottocutanea, oltretutto, svolge l’importante funzione di elimina- re lo spazio morto tra cute e fascia sottocutanea, possibile fonte di raccolta di essudato, diminuisce la tensione della ferita e facilita il riavvicinamento dei margini cutanei.

Da sottolineare come tutti gli autori degli articoli da me esaminati siano concordi nell’affermare che gli adesivi tissutali cianoacrilati debbano essere

(36)

Capitolo 4 I cianoacrilati

utilizzati per la chiusura di ferite lineari di pochi cm, da 3 a 5 cm in base alla tensione cutanea dell’area anatomica, e non più larghe di 0.5 cm.

Tutti quanti escludono categoricamente l’utilizzo del cianoacrilato per la stura di ferite cutanee sopra articolazioni, ciò potrebbe avere come risultato la deiscenza della ferita durante il movimento.

(37)

Capitolo 5 L’Histoacryl®

Capitolo 5 L’Histoacryl

®

Il collante istologico, commercialmente noto con il nome “Histoacryl”, è un composto acrilico allo stato liquido che chimicamente corrisponde alla formula butil-2-cianoacrilato.

C=N O | //

CH2 = C — C \

O — CH2 — CH2 — CH2 — CH3

Per facilitarne la visione durante l’applicazione e per meglio dosarne la quantità di utilizzo, è colorato in blu con il colorante D εt C viola n°2, ma è disponibile anche in forma incolore senza pigmenti.

La sua caratteristica peculiare consiste nella proprietà di autopolimeriz- zarsi in un tempo di circa dieci secondi, dopo essere venuto a contatto del tes- suto cutaneo, passando dallo stato liquido al solido e mantenendo per circa una settimana un elevato potere di adesione. Dopo tale periodo perde progres- sivamente aderenza con la cute e può essere facilmente rimosso con l’ausilio di una pinzetta.

Viene fornito in piccole fiale di plastica sterili, contenute a loro volta all’interno di tubetti cilindrici di plastica. Dopo l’apertura di tali confezioni ci- lindriche , la fiala di adesivo può essere prelevata in situazione di sterilità.

Le fialette contenenti l’adesivo terminano con un tubicino capillare per consentire una più facile, controllata ed uniforme applicazione del materiale,

(38)

Capitolo 5 L’Histoacryl®

introdurlo entro i margini stessi, poiché in tal caso costituirebbe un ostacolo meccanico alla cicatrizzazione e, soprattutto, potrebbe provocare una seppur lieve reazione infiammatoria.

Va detto che l’estremità del tubicino capillare è chiusa, di conseguenza per poter utilizzare l’adesivo bisogna prima tagliare la punta sottile con un paio di forbici. Nel far questo è consigliabile afferrare con le dita la parte sot- tile e tenerla verticalmente, questo per evitare che, durante la fase di taglio, un po’ di colla schizzi via.

L’Histoacryl® viene venduto con l’avvertenza di destinarlo esclusiva- mente all’impiego monouso e di utilizzarlo immediatamente dopo l’apertura della fiala. Se la fiala è stata aperta, ma non usata, dovrebbe essere gettata.

In realtà una fiala di 0,2 ml contiene abbastanza Histoacryl da poter chiudere 12-15 piccole ferite. Utilizzata una prima volta, la fiala aperta può benissimo essere riutilizzata se conservata in maniera appropriata, piegando la punta del tubicino capillare, per evitare che fuoriesca la colla rimasta, e con- servando poi il tutto in una soluzione disinfettante.

A tale proposito va ricordato lo studio compiuto da Gerrard et al. ( ), che hanno analizzato la resistenza e la contaminazione microbica di una colla n-butil-cianoacrilata 28 giorni dopo l’apertura della fiala. Le loro analisi han- no rilevato che col tempo non si aveva alcuna diminuzione nella forza tensile della colla, così come non si aveva contaminazione microbica.

Da ricordare che l’Histoacryl® deve essere conservato al buio e a una temperatura inferiore a +5° C.

(39)

Capitolo 6 Metodo per l’applicazione dell’Histoacryl®

Capitolo 6

Metodo per l’applicazione dell’Histoacryl

®

Prima dell’applicazione della colla bisogna a- sciugare bene l’area con un tampone sterile.

L’area da unire deve essere il più possibile a- sciutta.

Successivamente bisogna accertarsi che i lembi della ferita combacino perfettamente. Per far ciò possiamo utilizzare esclusivamente le dita o possiamo anche far uso di pinze. Da notare che quando si trattano piccole soluzioni di continuo,

questo procedimento risulta essere più semplice se si usano solo le dita.

Va detto che proprio nel ravvicinamento dei margini della ferita alcune volte si riscontra una delle maggiori complicazioni nell’uso dell’Histoacryl®. A seconda dell’area anatomica e delle caratteristiche della ferita tale procedu- ra può risultare piuttosto difficoltosa, ciò in relazione alla tensione dell’area, alla lunghezza della ferita, allo spessore della cute e alla quantità di adipe presente nel sottocute (in un soggetto grasso i depositi adiposi sottocutanei determinano un aumento della tensione cutanea).

Un metodo che può venirci in aiuto consiste nel provocare un allungamento della ferita tirando con due pinze applicate sulle commessure; in tale modo lo stiramento provoca un avvicinamento dei lembi, che poi vengono ben accostati e chiusi

Riferimenti

Documenti correlati

L’invasività tumorale e lo sviluppo di metastasi sono processi molto complessi che avvengono mediante vari steps e coinvolgono la degradazione proteolitica

Istologia 03 – Epitelio di rivestimento semplice 4 particolare disposizione delle cellule di questo epitelio; infatti, a differenza di un epitelio composto, non

Il leucocita espone ICAM-1 e VCAM-1 (proteine che legano le integrine) e forma un legame forte con le

 Strato spinoso, costituito da cellule di forma poliedrica che tendono ad appiattirsi gradualmente, man mano che si sale verso la superficie.. Le cellule

Quindi è come se tante ghiandole unicellulari si riunissero a formare una lamina epiteliale (cilindrico semplice) in cui ogni cellula riversa alla superficie libera

ormoni vanno in parte nei capillari sanguigni ed in parte interagiscono con le cellule bersaglio disposte nella sede di secrezione..  A secrezione autocrina, in cui

Quando il detergente che non necessita risciacquo Clinisan è stato raffrontato con un trattamento di acqua e sapone, è stato valutato che fossero di più i pazienti trattati

Nella cavia di sesso maschile è piuttosto frequente che all’interno della piega genitale si raccolgano secreto delle ghiandole sebacee, feci essiccate, detriti cutanei, peli e