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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CAGLIARI FACOLTÀ DI INGEGNERIA CORSO DI LAUREA IN INGEGNERIA MECCANICA

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CAGLIARI FACOLTÀ DI INGEGNERIA

CORSO DI LAUREA IN INGEGNERIA MECCANICA

Il raffreddamento delle pale di turbina;

modello di calcolo mediante le funzioni di Bessel

Relatore: Tesi di laurea di:

Prof. Francesco Floris Fabrizio Pau

Anno Accademico 2003-2004

(2)

Si desidera sentitamente ringraziare:

il Prof. Francesco Floris, per aver reso possibile la realizzazione di questa tesi, per il fondamentale apporto, la costante presenza, l’assoluta disponibilità e competenza;

la dottoressa Monica Marras, per i preziosi suggerimenti forniti nella risoluzione del modello matematico e per la fattiva collaborazione;

l’ingegnere Pier Francesco Orrù, per le utili

indicazioni sul lavoro da svolgere.

(3)

INDICE

Premessa

Introduzione

Capitolo 1: Perché refrigerare?

1.1 Introduzione

1.2 Espressione del rendimento reale del ciclo joule della turbina a gas 1.3 Problematiche relative all’aumento della temperatura

1.3.1 Problemi connessi con la resistenza termica e meccanica dei materiali

1.3.2 Scorrimento viscoso 1.3.3 Problemi di natura corrosiva

1.3.4 Materiali utilizzati nelle palettature 1.3.5 Utilizzo di materiali ceramici 1.3.6 Rivestimenti particolari

1.4 Modalità di scambio termico sulla pala 1.4.1 Modalità di scambio termico

1.4.2 Trasmissione del calore per conduzione 1.4.3 Trasmissione del calore per convezione 1.4.4 Irraggiamento

1.4.5 Descrizione dello scambio termico 1.5 Modalità di refrigerazione delle palettature 1.6 Sistemi di refrigerazione a liquido

1.7 Refrigerazione ad aria

1.7.1 Refrigerazione per convezione interna 1.7.2 Impingement

1.7.3 Film cooling

1.7.4 Raffreddamento per traspirazione 1.8 Soluzioni realizzative

(4)

Capitolo 2: Modello matematico quasi 2-D sulla trasmissione del calore su una pala di turbina a gas

2.1 Ipotesi di partenza e condizioni al contorno

Capitolo 3: Soluzione analitica del modello 3.1 Risoluzione

Capitolo 4: soluzione esatta del modello 4.1 Soluzione numerica

4.2 Conclusioni Bibliografia

NOTA REDAZIONALE:

Questa tesi si compone di 108 pagine

(5)

Premessa

Nello studio dei problemi fisici, i modelli matematici garantiscono un’indubbia eleganza formale nella presentazione delle soluzioni. Inoltre danno la possibilità di studiare un fenomeno senza la necessità di avere a disposizione costose apparecchiature sperimentali, con i vantaggi economici che ne conseguono.

D’altro canto, essendo affetti da imprecisioni causate dalle semplificazioni indispensabili, per la risoluzione, e dall’utilizzo di costanti numeriche empiriche, necessitano del supporto della ricerca sperimentale.

Nondimeno, l’utilizzo di tali strumenti, affiancati alla ricerca sperimentale, assume una notevole rilevanza, al fine di una chiara comprensione ed interpretazione dei fenomeni.

Il lavoro di tesi che segue, completato con l’ausilio del software MATLAB, si colloca in quest’ottica, nella speranza di essere utile agli eventuali approfondimenti che seguiranno.

(6)

Introduzione

La turbina a gas riveste attualmente un ruolo sempre più importante nell’ambito della produzione d’energia, mentre nella propulsione aerea il suo impiego perdura incontrastato già da parecchio tempo. Sebbene il principio di funzionamento fosse noto da moltissimo tempo (risale, infatti, al XVII secolo una prima proposta di John Barber), solo in tempi relativamente recenti (si parla degli anni ’20) si sono riuscite ad ottenere installazioni effettivamente funzionanti. Da allora gli sviluppi sono stati continui ed incessanti, sia per le turbine aeronautiche che per gli impianti terrestri per la produzione di energia elettrica (impianti heavy duty), con molteplici innovazioni, dapprima studiate e successivamente introdotte nel campo dell’aeronautica militare per essere poi estese all’aviazione civile ed infine agli impianti per la generazione di potenza e agli altri molteplici settori, quali la trazione navale, in cui si trovano ad operare tali apparecchiature.

Una delle problematiche di maggiore interesse ed al contempo difficile soluzione per i progettisti, nel campo delle turbine a gas è stata e rimane quella inerente al raffreddamento delle pale, in special modo quelle del primo stadio che "vedono" la camera di combustione. La ricerca sempre più esasperata di elevati valori del rendimento del ciclo Joule-Brayton della turbina a gas, ha spinto i costruttori ad innalzare sempre di più i valori di temperatura in camera di combustione e di conseguenza di ingresso in turbina, incrementando cioè la temperatura del gas che viene elaborato dalle palette.

Tali temperature, al giorno d’oggi ormai raggiungono e talvolta superano i 1650÷1700 K, e le moderne superleghe che costituiscono le pale non riescono da sole a resistere al terribile cimento termico e meccanico che si viene a creare all’interno dello stadio di turbina. Sono stati ideati a tal guisa vari metodi di raffreddamento per le pale, più o meno complessi tra i quali possiamo citare il raffreddamento per “film cooling”, per impingement, per traspirazione. Accanto a tali tecniche, le quali adottano l’aria come fluido refrigerante, si possono annoverare anche delle metodologie che fanno uso di vapore o miscele liquide ma il loro impiego non è frequente. Per le moderne turbine a gas è ormai invalso l’uso dei sopraccitati sistemi di raffreddamento in cui il fluido refrigerante è costituito da aria.

(7)

Tali tecniche ne prevedono lo spillamento di una certa portata (nell’ordine del 5÷8%) dal compressore e il conseguente inoltro all’interno delle pale della turbina (che, infatti, presentano una struttura cava), le quali provvedono poi ad espellerla attraverso dei minuscoli fori praticati sul mantello. Al termine del suo utilizzo come refrigerante l’aria stessa viene miscelata con la portata di gas combusti. E’ evidente però che il processo di miscelazione dà luogo a perdite, che tuttavia possono essere ridotte minimizzando il quantitativo d’aria richiesta. Appare chiaro, allora che per ottenere impianti sempre più efficienti occorre realizzare efficaci sistemi di refrigerazione per le turbine. In tal senso diventano essenziali per i progettisti, una previsione accurata dello scambio di calore e del campo di temperatura che vengono ad instaurarsi per i già citati componenti, i quali si trovano ad operare in condizioni di funzionamento estremamente rigide.

Il presente lavoro si prefigge di esaminare tali particolari condizioni, ossia si propone di ricavare una forma analitica capace di descrivere, pur con molta approssimazione, il fenomeno di trasmissione del calore nel caso che un flusso termico vada ad investire una singola pala di turbina. Pertanto, esso si articola nella maniera seguente: dapprima nel capitolo 1, vengono analizzate le motivazioni che impongono la refrigerazione nei gruppi turbogas, a cui segue un esame sulle modalità di trasmissione del calore sulle palette, quindi si mostrano e vengono analizzate le più diffuse tecniche di raffreddamento dei gruppi palari. Nel capitolo 2 viene presentata e discussa la proposta di trattazione analitica, relativa al campo di temperatura che viene ad agire su una singola pala di turbina; mentre nei capitoli 3 e 4 si presentano le soluzioni e i grafici ottenuti dallo sviluppo del modello succitato.

(8)

C C AP A PI IT TO OL LO O 1 1

PERCHÉ REFRIGERARE?

1.1 Introduzione

In senso lato viene generalmente chiamato turbina a gas l’intero impianto di produzione d’energia meccanica che utilizza il calore comunicato a masse gassose, impianto di cui fanno parte con funzioni essenziali compressori, camere di combustione, scambiatori di calore, mentre a rigore il nome di turbina a gas dovrebbe competere alla sola motrice. Nelle moderne installazioni di turbine a gas si raggiungono valori del rendimento globale che oscilla tra 0.36÷0.39 (un discorso a parte meritano gli impianti combinati in cui il rendimento si attesta su valori di 0.50÷0.55 ed è ormai prossimo a 0.60). È indubbio che dalla loro introduzione siano stati fatti dei giganteschi passi in avanti, considerando che nei primi esemplari d’impianto tale valore era circa pari al 2%. Ci si chiede ora, quali siano i parametri significativi per il rendimento delle TG. Per poter rispondere al quesito dobbiamo entrare brevemente nel dettaglio sul funzionamento di un impianto, sia esso per uso terrestre, atto cioè alla generazione di potenza, sia nel caso di turbina aeronautica.

Cominciamo con l’esaminare il ciclo termodinamico di un impianto con turbina a gas per applicazioni terrestri, nella sua accezione attualmente più consueta, l’allestimento a combustione interna, vale a dire a circuito aperto. Beninteso, il processo termodinamico analizzato non è ciclico. Onde evitare complicazioni ci limitiamo ad esaminare il circuito elementare (in altre parole privo di dispositivi scambiatori di calore atti alla rigenerazione termica), costituito da un compressore (solitamente assiale, in maniera tale da garantire elevate portate d’aria), da una turbina, sede del processo d’espansione e da una camera di combustione.

Compressore e turbina sono collegati tra loro meccanicamente tramite un albero.

Inoltre la turbina è connessa ad un utilizzatore solitamente preposto alla generazione d’energia elettrica, Ci si interroga ora, su come sia possibile incrementare il valore del rendimento dell’impianto.

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C.C.

1

2

4 3

turbina compressore

Lc Lu

fig. 1.1 schema funzionale del circuito elementare TG.

Facendo riferimento al piano h-s, consideriamo lo pseudociclo termodinamico 1-2- 3-4. Il compressore aspira una certa portata d’aria alla pressione atmosferica dall’esterno (1), e la comprime pressoché adiabaticamente fino alla pressione p2, tale trasformazione viene messa in atto mediante la spesa del lavoro di compressione Lc. L’aria compressa viene quindi inviata alla camera di combustione, in cui viene introdotto del combustibile (in fase liquida, gassosa o solida) in opportuno rapporto con la portata d’aria e dove si realizza un processo di combustione pressoché isobaro (2-3) (in realtà si hanno delle perdite di carico tra ingresso ed uscita). Il prodotto della combustione è gas ad elevata pressione e temperatura, pronto per subire un’espansione adiabatica (3-4) in turbina, da cui verrà infine espulso in atmosfera, con una pressione all’incirca uguale alla pressione iniziale. Durante l’espansione si ha la produzione del lavoro Lt, ovviamente maggiore del lavoro richiesto dal fluido per essere compresso, pertanto avremo del lavoro utile Lu disponibile all’albero dell’utilizzatore.

(10)

1.2 Espressione del rendimento reale del ciclo joule della turbina a gas

Come noto l’espressione del rendimento reale del ciclo TG si può scrivere nella maniera sotto riportata

1

1 Q

L L Q

Lu t c

r

= − η =

se si desiderano, come vorrebbe la logica elevati valori del rendimento, il lavoro fornito dalla turbina dovrà essere di molto superiore al lavoro da spendere in fase di compressione, dovrà altresì valere:

c

t L

L >

h

s

p2

p

1

2

3

4

L

T

L

c

1

4s 2s

fig. 1.2 ciclo Joule sul piano h-s per impianto TG con andamenti reali dei processi di compressione(1-2) ed espansione(3-4).

È utile aver presente che uno dei limiti principali del ciclo turbogas (semplice o rigenerato) è il lavoro specifico relativamente ridotto (difficilmente superiore a 200 kJ/kg di fluido di lavoro). Ciò risulta principalmente dovuto al fatto che (a differenza di quanto avviene nei cicli a vapore nei quali il lavoro specifico supera facilmente i 1200 kJ/kg) il lavoro di compressione costituisce una parte rilevante del lavoro d’espansione della turbina (tipicamente nell’ordine del 30÷60%), di modo che il lavoro utile Lu è ridotto. È per questo che non è stato possibile realizzare un impianto turbogas funzionante, finché non si sono sviluppati compressori dinamici ad elevato

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rendimento (assiali o centrifughi), anche se il principio operativo del ciclo era noto dal 1800.

In ogni modo, vediamo ora come esprimere in maniera più comoda tali quantità.

Siano: ηt rendimento della turbina, ηc rendimento del compressore, ∆ht,is salto entalpico isoentropico in turbina, ∆hc,is salto entalpico isoentropico di compressione.

Allora, come noto potremo scrivere:

t is t

t h

L =∆ , ⋅η e ∆ ⋅

=

c is c c

L h η

,

per cui con semplici passaggi

c is c t is t

h h

η η,

,

> ∆

( )

( )

⎟⎟⎠

⎜⎜ ⎞

⎛ −

⎟⎟⎠

⎜⎜ ⎞

⎛ −

− =

= −

> ∆

3 3 4

1 1 2

4 3

1 2 ,

,

1 1

T T T

T T T

T T c

T T c h h

p p

is t

is c c t η η

ricordando la relazione che lega pressione e temperatura lungo una trasformazione adiabatica (in cui viene indicato con k l’esponente della trasformazione)

βε

⎟⎟ =

⎜⎜ ⎞

=⎛

=

k k

p p T T T T

1

1 2 4 3 1 2

e definendo il rapporto τ tra le temperature estreme del ciclo T1 e T3 , mentre con β viene indicato il rapporto di compressione

τ η β ηtc > ε

Analizziamo ora separatamente i termini a primo e secondo membro: il rendimento di espansione ηt si è ormai da tempo attestato su valori prossimi all’unità, difatti si ha ηt=0.90÷0.95. Inoltre le cadute entalpiche (di modesta entità se confrontate con quelle a cui deve far fronte una turbina a vapore) che devono essere elaborate dalla turbina, consentono di realizzare macchine aventi pochi stadi, talvolta appena due o tre. Si hanno allora delle macchine abbastanza compatte, e ciò contribuisce senz’altro a limitare le perdite. Ben altro discorso si dovrebbe fare per quanto riguarda il rendimento di compressione ηc, che per un lungo periodo è stato il reale freno allo sviluppo delle TG. Come noto la realizzazione di efficienti condotti

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diffusori, che a differenza dei condotti acceleranti presentano elevate perdite di carattere fluidodinamico, è molto complicata, per due principali motivi. Innanzitutto il fenomeno del controrecupero nella compressione ostacola il raggiungimento di elevati valori di ηc, ed inoltre come poco anzi accennato, nei vani palari di un compressore dinamico ha luogo la diffusione del fluido, caratterizzata da strati limite (sedi di rilevanti fenomeni dissipativi) di notevole spessore. D’altra parte i continui progressi tecnologici e scientifici hanno permesso la realizzazione di compressori capaci di garantire rendimenti e portate adeguatamente elevati e al giorno d’oggi il rendimento di compressione raggiunge valori pari a circa ηt=0.90÷0.91.

Da quanto detto si deduce allora che, essendo sia il rendimento di espansione che di compressione ormai prossimi all’unità, ulteriori incrementi del rendimento dell’impianto vanno ricercati attraverso la variazione degli altri parametri che influenzano il rendimento del ciclo, a tal fine si riprende in esame la relazione ricavata in precedenza

τ η β ηtc > ε

Risulta che nel caso del ciclo reale, esiste per il rendimento una condizione di rapporto di compressione ottimale, che andrà determinata caso per caso in funzione degli altri parametri, ed in special modo il rapporto tra le temperature estreme τ.

E' possibile inoltre dimostrare che -nel caso di ciclo semplice- il valore ottimale del rapporto di compressione, βmax(η) per il rendimento risulta superiore al valore βmax(Lu) per il lavoro specifico (Ciò spiega perché oggi i propulsori aeronautici più moderni presentano rapporti di compressione fino a 30, sacrificando il lavoro specifico per ottenere un rendimento più elevato nel funzionamento a ciclo semplice, e quindi consumi più bassi). Si comprende allora che nuovi progressi del rendimento si possono ottenere mediante l’aumento del rapporto tra le temperature estreme del ciclo, di conseguenza spingendosi verso temperature T3 d’ingresso in turbina sempre più elevate. Più precisamente con l'aumento di tale temperatura, il lavoro specifico aumenta in maniera considerevole, in virtù del fatto che le isobare sono curve a pendenza crescente (l'intercetta verticale tra due isobare sul piano h-s aumenta spostandosi verso le alte temperature od entropie; a tale proprietà si fa impropriamente riferimento con il termine "divergenza delle isobare").

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È possibile sviluppare il discorso in maniera analoga per le turbine aeronautiche, tenendo ben presente la differente impostazione concettuale ed il diverso peso che hanno i vari parametri, quali possono essere ad esempio la necessità di minor consumo di carburante e di maggiore leggerezza per i componenti nel caso delle turbine aeronautiche, o un tempo di vita utile dei componenti accettabile per i gruppi turbogas adibiti alla generazione di potenza. Se ci si riferisce per semplicità, come fatto in precedenza ad uno schema funzionale di massima si vede che, a differenza degli impianti terrestri, è presente a monte del compressore un diffusore D che costituisce la presa dinamica dell’apparecchio, sede di una prima compressione dinamica dell’aria. In tale maniera si ottiene uno sgravio di lavoro del compressore e di conseguenza della turbina.

C.C.

1' 2

4*

3

C T 4

D 1 U

fig. 1.3 schema funzionale di un turbogetto.

La turbina aeronautica non possiede un generatore, inoltre essa non porta a termine l’espansione, bensì come viene mostrato nella figura sottostante, l’ammontare rimanente di entalpia viene adoperato ai fini della propulsione del mezzo. In effetti, la caduta entalpica nel tratto dell’espansione adiabatica (3-4*) conferisce alla turbina soltanto la potenza necessaria per azionare il compressore e per sopperire alle perdite meccaniche, mentre la cospicua caduta entalpica del tratto (4*-4) è in grado di accelerare il fluido di scarico ad elevatissima velocità nell’ugello U.

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h

s

p2

p1

1 2

3

4

L

t

L

c

4*

L

c

fig. 1.4 ciclo Joule sul piano h-s per turbogetto, nel tratto 4*-4, il gas espande permettendo la propulsione.

Le turbine per jet lavorano a temperature maggiori di quelle per impieghi terrestri, che al giorno d’oggi operano alla stessa temperatura massima con cui operavano i jet militari vent’anni fa. Un ulteriore aspetto di netta differenziazione, strettamente correlato con quanto appena affermato, per le turbine aeronautiche consiste nella durata: un impianto turbogas per generazione di potenza viene progettato con l’intento di avere una vita utile di 100000 ore, vale a dire circa 11÷15 anni, mentre per una turbina aeronautica è possibile che la vita prevista dei componenti possa essere anche di 100÷500 ore. Inoltre per gli impianti terrestri si opta per un β di massimo lavoro utile, in quanto a parità di potenza è possibile ottenere una macchina avente dimensioni più compatte, come si desume, infatti, dalla relazione

Lu

m P= ⋅

ovvero, se si massimizza il lavoro utile a parità di potenza, è possibile lavorare con portate massiche inferiori. A sua volta, la turbina a gas di tipo aeronautico lavora in condizioni di massimo rendimento, ed essendo

) max(

)

max( β Lu

β η >

si ha quindi un rapporto di compressione di ottimizzazione molto maggiore, nell’ordine di 25÷30, difatti nel caso della turbina aeronautica è conveniente ottimizzare il consumo di carburante.

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1.3 Problematiche relative all’aumento della temperatura

Come ribadito in precedenza, è possibile ottenere un incremento del lavoro specifico, a parità di ogni altra condizione, tramite l’aumento della temperatura di ingresso in turbina (TIT turbine inlet temperature). Per effetto di tale aumento però, si presentano problemi legati alla resistenza dei materiali che vanno a costituire i vari componenti della turbina, in special modo per le palette dei primi stadi. Siffatti problemi possono essere suddivisi in due grandi aree:

• Problemi di natura termica e meccanica, di cui fanno parte i fenomeni di plasticizzazione del materiale, quelli di scorrimento a caldo e di fatica termica del materiale, elevati carichi termici causati da rapidi cambiamenti di temperatura e da elevatissimi gradienti, nonché elevati stress meccanici impatti puntuali, stress da contatto e carichi vibrazionali a bassa ed alta frequenza

• Problemi di natura corrosiva, dovuti soprattutto alle rigide condizioni termiche a cui si trovano ad operare le schiere palari, nonché alle condizioni chimico fisiche dell’ambiente, spesso soggetto a forte presenza di solfuri e nitrati dovuti ai processi che hanno luogo in camera di combustione.

Questa situazione ha indotto progettisti e costruttori del settore a studiare possibili sistemi che consentissero il raggiungimento di elevate prestazioni delle turbine (aumentandone la vita utile e riducendone il consumo di combustibile), a fronte della conservazione delle caratteristiche strutturali dei materiali, ed in tal senso la sfida è considerevole.

1.3.1 Problemi connessi con la resistenza termica e meccanica dei materiali

Le particolarità operative dei gruppi turbogas hanno posto sin dalle loro prime costruzioni una serie di problemi fino ad allora sconosciuti all’ingegneria meccanica, in quanto si trattava di macchine il cui funzionamento era fortemente condizionato dalle caratteristiche del ciclo termico utilizzato, che comportavano sollecitazioni termomeccaniche estremamente elevate in molti dei suoi componenti, nonostante l’utilizzo non presentasse limiti particolari ad ingombri e pesi. Nacque pertanto

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l’esigenza dell’introduzione del concetto di durata, da affiancare a quello di resistenza funzionale degli organi della macchina. L’idea di durata e strettamente connessa con la temperatura alla quale i gas combusti attraversano la turbina, tale valore di temperatura, per esigenze legate al rendimento deve necessariamente superare il limite oltre il quale sia gli acciai legati che le superleghe a base di Ni e Co non sopportano le sollecitazioni connesse alle velocità di rotazione cui sono sottoposti i componenti del rotore, se non per un breve lasso di tempo.

1.3.2 Scorrimento viscoso

Il grosso problema che si presenta nella turbina è il cosiddetto scorrimento viscoso a caldo o creep.

zona di max

sollecitazione ω

fig. 1.5 zona di maggior sforzo, all’attacco della paletta con il disco.

Come esemplificato in maniera drastica nella figura suesposta, all’attacco della pala sussiste uno sforzo dovuto alle forze centrifughe, che si vengono a creare a causa delle elevate velocità di rotazione, inoltre come più volte ribadito il gas elaborato dalla turbina si trova ad una temperatura molto elevata, per cui la deformazione della paletta non è elastica bensì plastica. È opportuno allora ricordare gli aspetti fondamentali riguardo il comportamento dei materiali che vengono a trovarsi nelle condizioni sopraccitate. È noto che un provino di materiale metallico a temperatura ambiente, sottoposto ad un carico di trazione entro i limiti della deformazione elastica dopo un iniziale allungamento, mantiene invariata la propria lunghezza anche con il protrarsi nel tempo del carico. Tuttavia per ogni dato

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materiale esiste una temperatura al di sopra della quale il prolungarsi del tempo di un carico anche non particolarmente elevato, non soltanto provoca una deformazione plastica iniziale, ma comporta un continuo allungamento che inevitabilmente conduce alla rottura del provino. Il fenomeno del creep può essere suddiviso in tre fasi: nella prima (creep primario) la velocità di deformazione inizialmente molto elevata, diminuisce nel tempo, se la temperatura non è eccessivamente alta, la deformazione si arresta e la curva relativa assume un andamento sostanzialmente parallelo con l’asse dei tempi. Se tuttavia la temperatura (o la sollecitazione) supera un certo valore, dipendente dalla natura del materiale in esame, subentra la fase del cosiddetto creep secondario, in cui velocità di incrudimento e velocità di riassetto delle dislocazioni si mantengono in equilibrio, da cui ne consegue una velocità di deformazione costante nel tempo, che si definisce come velocità minima del creep.

La fase di creep secondario può anche protrarsi per un periodo di tempo molto lungo se la velocità minima del creep si mantiene entro un limite sufficientemente basso.

Tuttavia dopo un periodo di tempo più o meno prolungato, dipendente dalla temperatura e dal carico applicato, si ha un forte aumento della velocità di deformazione in cui il materiale giunge rapidamente al punto di rottura (creep terziario).

Il fenomeno è rappresentato qualitativamente nel diagramma che riporta le deformazioni a carico σ costante in funzione del tempo ed al variare della temperatura.

t

l

l

tr T3

vita utile costante σ=

fig. 1.6 andamento della deformazione nello scorrimento viscoso a caldo.

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In sintesi, se ci riferiamo alle condizioni presenti nel primo stadio della turbina, si nota chiaramente che esiste una correlazione tra l’aumento della temperatura T3 di ingresso in turbina e la vita del componente tr, che tende a ridursi, mentre viceversa aumenta la velocità di deformazione. Ciò può essere riassunto dalla relazione seguente:

(

t

)

f

( )

σ T3 log r + 20 =

si comprende che i valori più elevati di T3 come quelli raggiunti in campo aeronautico compromettono la vita dei componenti e richiedono una costosa manutenzione programmata e la sostituzione frequente delle parti calde (anche ogni 500 ore). Alle temperatura massime di funzionamento a regime di un turbogas, i materiali impiegati per la realizzazione delle parti mobili della turbina operano in regime plastico; a differenza di quanto avviene per la progettazione di organi operanti a temperatura ambiente, si deve quindi necessariamente considerare come parametro la deformazione massima compatibile con un regolare funzionamento dell’apparecchiatura in questione. In altre parole si ha la necessità di prevedere una durata della palettatura, equivalente al tempo necessario al recupero dei giochi che ne impediscano l’interferenza con la cassa.

Inoltre, si capisce chiaramente che nasce pure un freno alla potenza massima ottenibile, dovuta alla necessità di limitare gli sforzi σ, e di conseguenza le velocità

r

u=ω . Da ciò risulta quindi una restrizione al diametro della turbina e dunque alla ⋅ portata massica.

1.3.3 Problemi di natura corrosiva

L’altra seria questione per lo sviluppo dei turbogas riguarda la corrosione, difatti le condizioni termiche estremamente rigide in cui si trovano ad operare gli elementi della turbina, in concomitanza con l’ambiente chimicamente molto aggressivo, che viene di conseguenza ad instaurarsi possono comportare un rapido deterioramento dei componenti. Si noti che la resistenza alla corrosione è richiesta in maggiore misura per i distributori perché in essi la temperatura è più elevata, mentre per la palettatura mobile ha prevalente importanza la resistenza meccanica. La corrosione è in primo luogo dovuta al tipo ed alla qualità del combustibile, difatti tra i prodotti

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della combustione, i residui del combustibile sono responsabili delle polverosità che si accumulano sulla superficie degli organi investiti dal flusso dei gas combusti, quale può essere il bordo d’attacco della paletta. L’impatto di tali gas porta alla formazione di depositi corrosivi, in quanto conduttori di correnti galvaniche.

É possibile osservare che, con l’incremento della temperatura varia anche la tipologia dei vari agenti aggressivi per le palettature. Nel momento in cui si raggiungono temperature dell’ordine di 600 °C, cominciano a sorgere i primi problemi. Difatti i combustibili fossili contengono vanadio, presente in termini di concentrazione nell’ordine di 50÷100 ppm (in pratica un tenore tra 0.0005÷0.001%) per i greggi africani, per arrivare nei greggi americani fino a 200 ppm. Durante la reazione di combustione, il vanadio va a reagire con la molecola organica R di combustibile, provocando la formazione dei prodotti della combustione P come segue

P O

R

V + + 2 ⎯⎯→

si ha, in cotale maniera la formazione degli ossidi V2O3 e V2O4, inerti, la cui temperatura di fusione vale 1971 °C. Nell’eventualità in cui, disgraziatamente il vanadio, ossidandosi formi il pentossido V2O5 altresì detto vanadina, emergono i problemi. Trattasi difatti di un composto fortemente corrosivo per i materiali, in quanto si ha la formazione di composti chimici aggressivi in fase liquida, oltretutto i sali vanadil vanadati presenti in fase solida che si vengono a produrre secondo le reazioni

5 2 4 2 2 5

2O / NaO VO V O

V

NaCl+ ⎯⎯→ ⋅ ⋅

5 2 4 2 2 5

2 4

2SO VO / 5Na O VO 11VO

Na + ⎯⎯→ ⋅ ⋅

aventi rispettivamente le temperature di fusione Tf=625 °C e Tf=535 °C, aderiscono alla superficie del materiale delle pale in maniera tale da formare dei depositi incrostanti di natura coibente, e nella pratica non asportabili, che vanno a modificare il profilo della palettatura stessa compromettendo le prestazioni ed in ultima istanza la funzionalità stessa dell’impianto.

La temperatura del pentossido di vanadio vale Tf=690 °C; occorre tenere presente difatti, che l’effetto corrosivo è preponderante quando l’agente si trova in fase liquida (in tale circostanza la vanadina che va ad ossidare i componenti metallici è una “pompa d’ossigeno”), purtuttavia le basi sodio e potassio sempre presenti nelle

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ceneri che contribuiscono alla formazione dei sali doppi succitati, agiscono da fondenti portando di fatto la temperatura di fusione delle ceneri a 600 °C.

Tale temperatura massima ha costituito per anni un limite allo sviluppo dei gruppi turbogas heavy duty, difatti con siffatte condizioni di esercizio non si poteva garantire una vita utile adeguata. Una possibile soluzione consiste nell’impiego di combustibili poveri di vanadio, è inoltre possibile intervenire mediante degli additivi, che abbiano la capacità di neutralizzare i sali di vanadio. Adatti allo scopo sono l’ossido di magnesio MgO e l’ossido di calcio CaO, aggiunti in quantità dell’ordine delle decine di ppm. Per il pentossido di vanadio è possibile adoperare sali a base di idrazina che portano il vanadio ad uno stato di ossidazione inferiore.

Infine si possono alimentare le TG con frazioni bassobollenti del combustibile, quindi naturalmente devanadizzate in fase di distillazione, quali gasolio o kerosene.

È frequente inoltre il ricorso a combustibili più pregiati come il gas naturale.

I meccanismi di corrosione sono in ogni modo molto complessi, solitamente coinvolgono lo zolfo, il sodio ed il potassio, che sono gli elementi più dannosi. Si hanno ad esempio reazioni del tipo

⎯⎯→ +

+SO FeO S

Fe 3 4

3 4

HCl SO

Na O

H O SO

NaCl 2

2

2 + 2+1 2 + 2 ⎯⎯→ 2 4+

Tra i 600 °C e gli 800 °C il fenomeno viene denominato corrosione a bassa temperatura o di tipo 2 e si caratterizza per essere abbastanza uniforme , mentre nell’intervallo tra gli 800 °C ed i 1000 °C, i solfati di sodio e calcio, per effetto della combustione condensano nei componenti della turbina, aggredendo rapidamente il metallo; questo fenomeno viene denominato corrosione a caldo o di tipo 1. Il danno causato da questi sali liquefatti appare sotto forma di cavità ben definite e localizzate. Intorno alla temperatura di 1000 °C lo zolfo evapora con formazione di placche ossidanti che corrodono i materiali. In queste condizioni, lo "sfagliamento"

dovuto all’azione dell’ossigeno aumenta rapidamente, inducendo ulteriori cricche e rotture, aumentando ancor più la fragilità della struttura metallica del componente.

Per limitare la corrosione ad alta temperatura è da evitare la presenza di metalli alcalini, Na e K in quanto responsabili della formazione di ceneri appiccicose.

(21)

1.3.4 Materiali utilizzati nelle palettature

Le pale della parte ad alta pressione della turbina sono gli elementi maggiormente sollecitati dei gruppi turbogas in quanto, come precedentemente asserito, oltre ad essere sottoposte alla temperatura massima del ciclo termico, risentono contemporaneamente di alti carichi centrifughi, di vibrazioni meccaniche, di sollecitazioni a fatica di natura fluidodinamica e di azioni erosive e di corrosione da parte dei gas combusti.

Poiché il carico centrifugo σ agente sulle pale della girante dipende dalla densità ρm del materiale con cui vengono costruite, il confronto tra materiali che possono essere impiegati deve essere attuato a parità del rapporto tra sollecitazione e densità. È difatti possibile esprimere la sollecitazione σ in funzione della densità del materiale, assimilando la paletta ad un corpo prismatico, tramite la relazione

D u l

m

2

σ =

in cui compaiono anche l’altezza della paletta l, la velocità periferica u, il diametro della girante D. Appare di conseguenza chiaro che il parametro densità del materiale assume fondamentale importanza per la scelta del materiale medesimo.

Le superleghe a base di Ni e Co sono tra le più conosciute tipologie di materiali adoperati nella costruzione dei componenti dei turbogas e sono stati tra i primi materiali, in ordine di tempo, ad essere adoperati, invero permane l’interesse della ricerca verso di esse, in quanto permettono la realizzazione di materiali di pregevole fattura e ragguardevole resistenza. Vengono riportate in tabella 1.1 le composizioni di alcune di queste leghe, mentre in tabella 1.2 si riportano i valori di resistenza ad alta temperatura di superleghe ampiamente adoperate.

(22)

C Cr Ti Al Co Mo Fe Ni Zr Nb V B W Ta ρ [kg/dm3]

nimonic 90 0,10 20,0 2,4 1,2 16,0 - - q.b - - - - - - 8,2

nimonic

105 0,20 13,5-16,0 0,9-

1,5 4,2-

4,8 18,22 4,5-5,5 1,0 q.b - - - - - - 8,0 nimonic

115 0,15 15,0 4,0 5,0 15,0 3,5 - q.b - - - - - - 7,9

udimet 700 0,07 15,0 3,2 4,3 17,0 5,3 - q.b 0,04 - - 0,02 - - 7,9

G 70 0,15 13-17 3,4 3,5 17,5-20,5 - q.b - - - tr. - - 8,0

G 64 0,12 11,0 6,0 6,0 - 3,0 - q.b - 2,0 - 0,250 4,0 - 8,1

713 LC 0,05 2,0 5,9 5,9 - 4,5 - q.b 0,100 2,0 - 0,012 - 8,0

IN 100 0,18 10,0 5,5 5,5 15,0 3,0 - q.b 0,06 - 0,9 0,014 - - 7,8

M 228 0,13 5,7 6,3 6,3 - 2,0 - q.b 0,5 - - 0,02 11,0 3,0 8,6

MM 200 0,08 9,0 5,5 5,5 10,0 - - q.b 0,050 1,0 - 0,025 12,5 - 8,5

G 104 0,08 5,0 6,0 6,0 15,0 3,5 - q.b 0,050 - - 0,1 8,0 8,0 9,0

M 313 - 30,0 0,9 0,9 - - - q.b 0,050 - - 0,003 - - 8,1

IN 738 0,17 16,0 3,4 3,4 8,5 1,75 - q.b 0,1 0,9 - 0,01 2,6 1,75 8,1

MM 322 1,0 21,5 - - q.b - - - 2,25 - - - 9,0 4,5 8,9

Tabella 1.1 composizione (% in massa) di leghe per palettature di turbine a gas (da Acton-Caputo).

per forgiatura per fusione

T [°C] tempo [h] Ni 90 Ni 105 Ni 115 713 NC IN 100

1·103 434,5 531,1 - - -

650

1·104 335,2 409,7 - - -

1·103 310,4 424,9 - - -

700

1·104 195,9 300,7 - - -

1·103 205,5 302,1 - - -

750

1·104 111 211,1 - - -

1·103 92,4 180,7 - - 317,3

815

1·104 37,2 93,1 - - -

rottura

1·103 458,7 618 - - -

650

1·104 347,6 471,8 - - -

1·103 333,8 463,5 - - -

700

1·104 206,9 370,4 - - -

1·103 234,5 364,6 448,3 455,2 542,2

750

1·104 134,5 262,8 275,9 372,4 400

1·103 117,3 217,9 293,1 331,1 379,3

815

1·104 52,4 134,5 165,5 248,3 234,5

Tabella 1.2 resistenza alla trazione di superleghe per palettature.

(N/mm2) (da Acton-Caputo).

% 5 .

=0

ll

(23)

Da tempo si sperimentano sulle anzidette leghe a base di nichel nuove tecniche di fabbricazione, in maniera tale da incrementarne la resistenza, tuttavia il fatto che la loro temperatura di fusione sia attorno ai 1200÷1300 °C costituisce in limite obbiettivo al loro utilizzo in costruzioni che raggiungano altissime temperature.

Anche le leghe a base di Co (data l’elevata resistenza alle altissime temperature del cobalto), continuano a rimanere oggetto di ricerca, sebbene le loro caratteristiche non si discostino dai materiali a base di nichel.

Sono inoltre allo studio leghe a base di cromo che potrebbero permettere, almeno in teoria una maggiore resistenza alla corrosione. Oggetto di indagine sono anche le leghe basate sul niobio (che dovrebbero consentire un incremento della temperatura massima tollerabile di circa 150÷200 K rispetto alle leghe a base di Ni e Co), che però presentano il duplice svantaggio di avere la necessita di un adeguato rivestimento che eviti l’azione corrosiva dei gas combusti, e avere una densità maggiore rispetto ai materiali già citati. Per gli elementi che costituiscono gli ugelli distributori della turbina di alta pressione i materiali prescelti devono presentare una più elevate resistenza alla corrosione ad alta temperatura (la quale può superare di 100 K la temperatura di ingresso nel rotore della turbina), a fronte di minori sollecitazioni meccaniche.

La tendenza è di adoperare leghe di Ni e Co, le quali sebbene più costose forniscono prestazioni superiori. È possibile utilizzare allora leghe resistenti anche a 1300 °C, tenendo presente la necessità di appositi rivestimenti atti a proteggere dalla corrosione.

Il campo di utilizzo di tali superleghe viene naturalmente esteso ai componenti strutturali più sollecitati delle macchine in cui il peso è un fattore determinante, quali i propulsori aerei.

Nella tabella che segue si riportano le temperature di fusione e la densità di materiali frequentemente utilizzati nei turbomotori a gas.

(24)

materiale punto di fusione [°C] densità [kg/dm3]

magnesio 850 1,75

allumino 660 2,7

titanio 1668 4,52 berillio 1277 1,86

ferro 1536 7,95 nichel 1455 8,92 nimonic 75 1390 8,1

nimonic 115 1210 7,89

EPK 24 1295 7,79

TD nichel 1455 8,92

cobalto 1492 8,71 cromo 1850 7,2 niobio 2468 8,62

molibdeno 2610 10,42

tantalio 2996 16,7

tungsteno 3410 19,3

fibre

boro 2030 2,59

carburo di silicio 2690 3,19

carbonio 3730 1,99

Si fuso 1660 2,2

vetro 840 2,5

whiskers

allumina - 3,96

nitruro di Si 1900 3,24

Tabella 1.3 temperatura di fusione e densità di materiali e sostanze utilizzati nelle turbine a gas (da Acton-Caputo).

Un altro settore di ricerca è quello relativo ai materiali compositi, per i quali sono oggetto di esperimenti fibre di tungsteno e di molibdeno, che consentono un significativo incremento di resistenza della matrice a base di nichel, mentre fibre di carbonio e carbonato di silicio non sono adatte a causa della loro reattività con il nichel. In sostanza si tenta tramite l’inserimento in una matrice a base di nichel di fibre di tungsteno e molibdeno di ottenere pale resistenti ad una temperatura superiore di 80 K a quella massima tollerabile dalla lega base.

(25)

1.3.5 Utilizzo di materiali ceramici

In prospettiva un'altra tipologia di materiali di notevole interesse fa riferimento ai materiali ceramici anche se storicamente, sin dagli anni '40÷'50, furono oggetto di valutazione per il loro potenziale impiego nei componenti delle turbine. Composti non metallici di varia natura (carburi, nitruri, ossidi) godono infatti di un complesso di favorevoli proprietà alle alte temperature che le rendono atti ad un utilizzo nei gruppi turbogas. Il carburo o il nitruro di silicio, ad esempio, hanno una resistenza alla trazione, alla compressione, allo scorrimento a caldo, all'ossidazione, alla corrosione e all'erosione superiore a quella delle superleghe; hanno costi intrinseci modestissimi, e potrebbero consentire la realizzazione di turbine non raffreddate a temperature massime del ciclo di 1500÷1800 K. Il loro impiego inoltre, scongiurerebbe la paventata carenza di metalli strategici cui si andrà inevitabilmente incontro con la diffusione di turbine in superlega . A fronte di tanti aspetti positivi i materiali ceramici sono caratterizzati da una rottura fragile: non si manifestano in essi quei processi di plasticizzazione localizzata che, nei metalli, attenuano gli effetti negativi dei fenomeni di intaglio. Gli inevitabili difetti interni, a livello microscopico, possono condurre ad una rottura catastrofica molto al di sotto delle sollecitazioni che, mediamente, il materiale è in grado di sopportare. Alcuni ceramici hanno una buona resistenza meccanica e all’ossidazione, ma non resistono agli shock termici imposti dai motori ed in tal senso suscitarono un notevole interesse i nuovi materiali della famiglia dei nitruri e carburi di silicio sviluppati negli anni '60: questi materiali hanno una migliore resistenza agli shock termici dovuta alla combinazione di bassa espansione termica, elevata resistenza meccanica e moderata conducibilità termica. I primi promettenti nitruri e carburi di silicio furono fabbricati mediante il processo di sinterizzazione. Maggiori sforzi sono stati profusi fin dai primi anni '70 per migliorare le proprietà ad alta temperatura del nitruro di silicio. Il primo obiettivo è stato sviluppare un processo che riuscisse a produrre a bassi costi complessi componenti delle turbine con il minimo di lavorazione meccanica in maniera tale da ridurre gli sprechi. I carburi e nitruri di silicio diventarono i principali candidati per le turbine perché hanno delle resistenze intermedie, ma possono essere fabbricati con poche lavorazioni e quindi a costi competitivi. Attualmente la nuova frontiera è costituita dai materiali ceramici

(26)

strutturali avanzati (MCSA), i quali mostrano di avere i requisiti tecnologici fondamentali per essere impiegati in componenti ad alta temperatura. Se l’alto coefficiente di dilatazione termica ed il basso coefficiente di conducibilità termica rendono i ceramici ossidi (allumina e zirconia) inadatti in applicazioni strutturali quali parti calde di turbine a gas, le condizioni di progetto ed operative sono invece soddisfatte dalle caratteristiche dei ceramici non ossidi, quali SiC e Si3N4 pressato a caldo. Infine, se la tenacità e l’affidabilità ad altissime temperature sono i requisiti fondamentali richiesti, bisogna scegliere i costosissimi compositi ceramici-ceramici quali C-C, C-SiC, SiC-SiC.

1.3.6 Rivestimenti particolari

Siffatta metodologia consiste nell’applicare dei sottili strati protettivi costituiti da materiali aventi ridotta conduttività termica, ai componenti soggetti al flusso di gas caldi in maniera tale da proteggere la superficie dei materiali dai fumi aggressivi che si sviluppano per combustione ad alta temperatura. Tali rivestimenti sono a base di metalli nobili, quali cobalto, nickel ed alluminio, tra loro mescolati e ricoperti da uno strato finale ceramico. L’applicazione di questi strati consente di raggiungere temperature più elevate dei gas, senza un contestuale aumento della temperatura superficiale del componente.

Si comprende che tali rivestimenti provocano un aumento dei gradienti di temperatura attorno allo strato di isolante, ed al contempo provocano l’incremento della massa delle pale e delle sollecitazioni agenti su di esse, ed inoltre comportano una maggiore fragilità delle stesse palette.

(27)

1.4 Modalità di scambio termico sulla pala

Nel caso di pseudociclo a combustione interna, lo scambio termico superiore risulta realizzato da una reazione di combustione tra l'aria compressa alla mandata del compressore, ed una opportuna portata di combustibile (tipicamente gas naturale, gasolio, kerosene; ma anche olio pesante, gas d'altoforno). Tale reazione avviene nella camera di combustione, che è al solito un sistema aperto (a pressione costante) ma viene anche considerato approssimativamente adiabatico, in quanto le uniche perdite di calore sono quelle radiative verso l'esterno (che sono molto contenute in virtù delle piccole dimensioni e delle elevate portate coinvolte).

Come noto la reazione di combustione è esotermica, si ha in altre parole una forte generazione di calore. Le particelle che bruciano infatti, vibrano violentemente ed emettono una radiazione molto forte nel campo del visibile. Ogni generica reazione di combustione coinvolge un generico combustibile F e l’ossigeno, dando luogo ai prodotti della combustione P.

ratura alta Tempe

P OX

F

⎯→

⎯ +

Più precisamente un qualsiasi combustibile è costituito da carbonio ed idrogeno, come sotto riportato

4 2 2 n2H2O mCO

n O m H

Cm n ⎟ ⎯⎯→ +

⎜ ⎞

⎝⎛ + +

la combustione tende ad essere completa in quanto i suoi prodotti sono stabili, mentre risulta più difficile trasformare in calore tutta l’energia chimica contenuta nel combustibile, e veicolarla attraverso i gas combusti in modo da ottenere la potenza richiesta. Lo scambio termico nelle turbine risulta dal passaggio dei gas combusti ad elevata pressione e temperatura che abbandonano il bruciatore e attraversano la turbina. La temperatura dei fumi di combustione dipende dal tipo di combustibile adottato. Tali gas sono composti da una miscela di CO2, H2O, CO, NO, N2, O2, particolato solido. Pertanto, a causa dei forti gradienti termici presenti si ha una notevole propagazione del calore per scambio convettivo, ed al contempo si ha passaggio di calore per irraggiamento gassoso. L’irraggiamento delle sostanze succitate è dovuto alle asimmetrie delle molecole, poste in vibrazione. Pertanto la

(28)

distribuzione di temperatura sulla paletta risulta dagli effetti combinati dello scambio termico convettivo, esterno da parte dei gas combusti e interno da parte del fluido refrigerante, dallo scambio di radiazione ad opera della fiamma e dei gas di combustione, ed infine dalla conduzione attraverso il materiale costituente la paletta.

Di seguito vengono presentate le principali prerogative dei suddetti fenomeni.

1.4.1 Modalità di scambio termico

Lo scambio termico può essere definito come la trasmissione di energia da una regione all’altra in seguito ad una differenza di temperatura; tale fenomeno non è regolato da una sola relazione, bensì da una combinazione di diverse leggi fisiche. In letteratura si distingue tra tre modalità di scambio termico

1. conduzione 2. convezione 3. irraggiamento

mentre la conduzione e l’irraggiamento dipendono esclusivamente da una differenza di temperatura, per la conduzione si ha l’influenza del trasporto di materia. Nella maggior parte dei fenomeni naturali, lo scambio termico è frutto della combinazione di tali meccanismi, che agiscono contemporaneamente. Si riporta di seguito la descrizione delle tre modalità di scambio termico.

1.4.2 Trasmissione del calore per conduzione

La conduzione è un processo mediante il quale fluisce da una area a temperatura maggiore verso una superficie a temperatura minore attraverso uno o più mezzi posti a contatto fisico diretto, il quale permette la trasmissione di energia senza che le molecole si spostino sensibilmente. Secondo la teoria cinetica la temperatura di un elemento materiale risulta proporzionale alla propria energia interna. Quando le molecole di una regione acquistano una energia cinetica media maggiore (e quindi una temperatura più elevata) di quella delle molecole di una regione ad essa adiacente, esse cedono parte di tale energia alle molecole della regione a temperatura minore. Lo scambio di energia può avvenire per urto elastico (nei fluidi) o per

(29)

diffusione di elettroni (nei metalli). La conduzione è il solo meccanismo mediante il quale può aversi propagazione del calore nei solidi opachi, mentre nei fluidi è associato alla convezione ed all’irraggiamento. Il fenomeno della conduzione agisce in accordo con la legge di Fourier, la quale indica che se tra due corpi esiste un gradiente di temperatura, si verifica un flusso di calore.

y x

L k A

T0

T1

fig 1.7 conduzione in regime monodimensionale.

Nel caso di conduzione monodimensionale in regime permanente si ha con riferimento alla figura, che la potenza termica per unità di superficie, trasferita dalla parete a temperatura a temperatura T1 maggiore, verso la parete a temperatura T0 <T1, tra cui è interposto un materiale di spessore L e conducibilità termica k, vale:

( )

y k T T

L T q k

− ∂

=

= 0 1

in cui il segno meno sta ad indicare che, in accordo con il secondo principio della termodinamica il flusso termico passa spontaneamente da punti a temperatura maggiore verso punti a temperatura meno elevata, per cui la potenza termica è positiva quando il gradiente termico è negativo. La conducibilità termica è una proprietà del materiale e rappresenta la potenza termica che passa attraverso un superficie di area unitaria con un gradiente di temperatura unitario. Tale grandezza viene espressa in accordo con il SI in [W/m·K]. Di seguito viene riportato l’ordine di grandezza della conducibilità per diversi materiali. I materiali aventi una elevata conducibilità, quali i metalli vengono detti conduttori, viceversa vengono chiamati isolanti quei materiali con basso valore di conducibilità.

(30)

fig 1.8 ordini di grandezza della conducibilità termica per vari materiali.

In generale la conducibilità varia con la temperatura, ma in molti casi di interesse ingegneristico essa può essere considerata, con ragionevole approssimazione, costante. Nella tabella sottostante vengono riportati i valori della conducibilità k per alcune sostanze.

sostanza T [°C] k [W/mK]

Acciaio 20 52

Alluminio 20 220

Argento 20 420

Ghisa 20 50

Oro 40 296

Piombo 20 35

Platino 20 70

Rame 20 380

Mercurio 10 8

Potassio 500 37

Sodio 500 66

Amianto sfuso 0 0,15

Ghiaccio 0 2,2

Lana di vetro 0 0,035

Acqua 0 0,57

Ammoniaca 0 0,57

Aria 0 0,024

Azoto 0 0,024

Idrogeno 0 0,16

Ossigeno 0 0,025

Vapor d'acqua saturo 200 0,034 Tabella 1.4 conducibilità termica per varie sostanze.

(31)

Per molti casi di interesse pratico, quando il contorno di un sistema non è regolare, o la temperatura lungo il contorno non è uniforme, spesso la trattazione monodimensionale non è sufficiente, in tali casi la temperatura risulta funzione di due o più coordinate. Occorre allora fare ricorso ad altri metodi di analisi. Di seguito si riporta un metodo di analisi per un caso semplice.

dx dz dy

x z

y

x dx qx qx

+

qx

z dz qy qy

+ z dz

qz qz

+

qy

qz

fig 1.9 conduzione per un elementino di volume infinitesimo.

Facendo riferimento alla figura suesposta, si consideri un piccolo elementino di materiale appartenente ad un corpo solido, di spigoli infinitesimi, paralleli agli assi coordinati. Per un sistema semplice come quello rappresentato in figura, è possibile dedurre dal bilancio di energia interna e dei flussi termici entranti e uscenti nell’elementino, che vale l’equazione generale della conduzione, nella forma

t T a k q z

T y

T x

T

= ∂

∂ + +∂

∂ +∂

∂ 1

2 2 2 2 2 2

in cui la costante a è chiamata diffusività termica. Tale equazione governa la distribuzione di temperatura ed il flusso termico di conduzione in un solido con proprietà fisiche uniformi. Se nel sistema non sono presenti sorgenti di calore, si ricava l’equazione di Fourier

(32)

t T a z

T y

T x

T

= ∂

∂ +∂

∂ +∂

∂ 1

2 2 2 2 2 2

mentre se il sistema si trova a regime permanente si ottiene l’equazione di Poisson

2 0

2 2 2 2

2 + =

∂ +∂

∂ +∂

k q z

T y

T x

T

se poi valgono entrambe le condizioni, cioè sistema in assenza di sorgenti di calore e regime permanente, si ottiene l’equazione di Laplace

2 0

2 2 2 2

2 =

∂ +∂

∂ +∂

z T y

T x

T

si comprende chiaramente che il caso di conduzione monodimensionale a regime sia un caso particolare di tale equazione.

1.4.3 Trasmissione del calore per convezione

Nella trasmissione del calore per convezione, al contributo della diffusione (movimento casuale delle molecole), che è sempre presente, si sovrappone quello dovuto al movimento macroscopico di aggregati molecolari. Questo ultimo può essere imposto da un agente meccanico esterno (come nel caso dei gas combusti in ingresso nella turbina) o derivare dalle forze di galleggiamento (convezione naturale).

T

w ,

A

dA

fig 1.10 corpo investito da una corrente fluida.

(33)

Si consideri la situazione in figura in cui un fluido a velocità w e temperatura T

investe un corpo (quale può essere una paletta di turbina) di area Ae temperatura T.

Il flusso termico locale unitario qc scambiato per convezione può essere espresso in accordo con la legge di Newton

(

)

=h T T qc

dove h è il coefficiente di convezione locale, il quale dipende da vari fattori, quali le proprietà del fluido scambiante, e come si vedrà meglio in seguito, essenzialmente dalla turbolenza:

(

)

= f L k w T

h , , ,ρ,µ,

Tale grandezza viene espressa in accordo con il SI in [W/m2·K]. Per fissare le idee, di seguito si riporta l’ordine di grandezza del coefficiente di scambio termico convettivo per gas, liquidi e sostanze durante il cambio di fase.

fig 1.11 ordini di grandezza coefficiente di scambio convettivo.

Poiché le condizioni di moto cambiano da punto a punto anche qc e h assumono valori variabili lungo la superficie. Il flusso totale si ottiene integrando sull’intera superficie:

(

)

(

)

− = −

=

=

q dA

h T T dA h AT T

q A c A

con

=

Ah dA h A1

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