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Parere sullo schema di regolamento concernente:

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Parere sullo schema di regolamento concernente:

“Gli incarichi extragiudiziari ai magistrati ordinari.”

Il Consiglio Superiore della Magistratura, nella seduta del 19 luglio 1995, ha deliberato di approvare il parere allegato.

PARTE PRIMA

1. - La legge n. 421 del 1992 delega il governo ad emanare uno o più decreti legislativi diretti ... "per il settore del pubblico impiego, al miglioramento dell'efficienza e della produttività, nonché alla sua organizzazione". E' questa la clausola, sia pure molto generica, che (forse acriticamente) si ritiene abbia abilitato la potestà delegata del Governo nella materia degli incarichi extragiudiziari, ivi compresi, probabilmente, anche quelli dei magistrati ordinari.

Rilevante è anche quanto specificato dal 1° comma e dalla lettera e) del suddetto art. 2 dove si afferma che "Il Governo è autorizzato ... a mantenere la normativa vigente, prevista dai rispettivi ordinamenti, per quanto attiene ai magistrati ordinari e amministrativi ...", etc.. Il fatto che il Governo sia "autorizzato a mantenere" sembra significare che il Governo ha la discrezionalità se mantenere o meno: tale discrezionalità verrebbe meno solo nel caso che per altre ragioni, riguardo agli incarichi dei magistrati ordinari, valga una riserva di legge, specificamente di carattere assoluto: questo però è altro problema, di per sé indipendente dall'interpretazione delle suddette norme: si tratta quindi di un problema che deve essere considerato distintamente.

In base alla delega suddetta il Governo ha emanato il decreto legislativo n.

29 del 1993 che, nel suo art. 58, 3° comma, senza disporre nel merito della materia in questione, ha attribuito a regolamenti governativi, aventi le caratteristiche previste dal II co. art. 17 della L. n. 400 del 1988, il potere di "emanare norme dirette a determinare gli incarichi consentiti e quelli vietati ai magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari ... sentiti, per le diverse magistrature, i rispettivi istituti".

Il Ministero per la Giustizia ha predisposto uno schema di tale regolamento per i magistrati ordinari (schema che comunque dovrà essere sottoposto alla

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deliberazione del Consiglio dei Ministri, a norma del suddetto art. 17 L. 400 del 1988).

Su tale schema di regolamento è stato richiesto il parere del Consiglio Superiore della Magistratura.

Il Consiglio Superiore della Magistratura ha espresso tale parere con delibera del 17.3.1994: in tale occasione il Consiglio ha ritenuto di "non affrontare neppure l'esame dello schema di regolamento" ritenendo che "la facoltà prevista dall'art. 58 n. 3 del d. legislativo n. 29 del 1993, non debba essere esercitata". A tale conclusione il Consiglio è pervenuto sottolineando una serie di questioni pregiudiziali che tutte, sia pure sotto diversi profili, eccepiscono l'illegittimità costituzionale della - o comunque sollevano rilevanti dubbi quanto a tale illegittimità sulla - disciplina degli incarichi extragiudiziari così come è stata predisposta per il combinato intervento del suddetto decreto legislativo e dello schema del particolare tipo di regolamento emanato ai sensi del 2° comma, art. 17 L. n. 400 del 1988.

Da ultimo, ed in rapporto al contenuto del suddetto parere del Consiglio Superiore della Magistratura, è intervenuta la determinazione della 3^ sezione del Consiglio di Stato relativa allo schema di Regolamento in oggetto: in essa il Consiglio di Stato pur sembrando ammettere "un ragionevole dubbio di legittimità costituzionale della norma attributiva della potestà regolamentare in discorso", ha sottolineato che il Consiglio Superiore della Magistratura non poteva esimersi dal dovere istituzionale - derivante anche dal principio di collaborazione "che vincola gli organi di rilevanza costituzionale" - di esprimere un parere nel merito del contenuto della disciplina degli incarichi extragiudiziali quale è formulata nello schema di regolamento in oggetto. Di conseguenza il Consiglio di Stato, non avendo acquisito un parere di simile tipo, ha sospeso l'emissione del preavviso per l'Adunanza generale, in attesa di poter prendere in considerazione un parere del Consiglio Superiore della Magistratura che corrisponda a quanto ritenuto doveroso. Prima ancora, il Consiglio di Stato afferma che l'amministrazione non può restare inerte di fronte al diniego del Consiglio Superiore della Magistratura di esprimersi nel merito, e accenna addirittura alla possibilità che, per intervento del Presidente della Repubblica, venga stimolata la discussione sul merito dell'affare da parte del Consiglio Superiore della Magistratura.

Tale orientamento del Consiglio di Stato sembra fatto proprio dal Ministro di Grazia e Giustizia che, con nota del 7 aprile del 1995, ritiene "del tutto (anzi

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incontestabilmente) fondata; e quindi non legittimamente eludibile", la richiesta del Consiglio di Stato a che il Consiglio Superiore della Magistratura esprima un parere nel merito dello schema di regolamento in oggetto.

2. - Così delineati gli aspetti ed i momenti salienti della questione, bisogna notare come essa dia luogo a due diversi ordini di problemi. Il primo ordine di problemi riguarda la consistenza dei rilievi di illegittimità costituzionale in base ai quali il Consiglio Superiore della Magistratura, considerandoli del tutto pregiudiziali, ha ritenuto di non dover esprimere un parere nel merito dello schema di regolamento. Il secondo ordine di problemi riguarda il se i rilievi di costituzionalità, a parte la loro intrinseca consistenza, possano legittimare il rifiuto, da parte del Consiglio Superiore della Magistratura, ad esprimere un parere sul merito dello schema di regolamento. Certo, se la consistenza dei suddetti rilievi fosse del tutto evidente ed indubitabile, il rifiuto di esprimere un parere del tipo suddetto potrebbe assumere una maggiore giustificazione.

Bisogna peraltro preliminarmente rilevare che il parere che il Consiglio Superiore della Magistratura è chiamato a esprimere nel caso in esame non rientra tra quelli previsti in via generale dall'art. 10 L. n. 195 del 1958, ma invece si tratta di un parere specificamente previsto nella parte finale del 3° co. art. 58 D.Lgs. n. 29 del 1993.

3. - I rilievi di incostituzionalità sottolineati nel parere del Consiglio Superiore della Magistratura del 17.3.1994 possono essere riassunti nel modo che segue.

Prima di tutto può rilevarsi un eccesso di delega, imputabile all'art. 58 D.Lgs. n. 29/1993 (e specialmente al suo comma 3°) rispetto all'art. 2 c. 1°, e spec.

alla sua lettera f), della legge di delega n. 257 del 1992. Tale eccesso consiste nel fatto che il D.Lgs. non ha "mantenuto la normativa vigente prevista dai rispettivi ordinamenti" con riferimento anche agli incarichi extragiudiziari: in particolare, prevedendo un regolamento "delegato" (sui caratteri del quale poi si dirà), il Governo è stato autorizzato ad emanare norme capaci di provocare la deroga e/o l'abrogazione della normativa vigente (in particolare, sembra, dell'art. 16, 2° co. R.D. n. 12 del 1941).

Non ha valore il rilievo della nota 21 ottobre 1994 del Ministro di Grazia e Giustizia secondo cui l'eccesso di delega sarebbe stato "superato dal Consiglio dei

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Ministri che non ha bloccato l'iter di emanazione dei regolamenti relativi agli incarichi dei magistrati contabili ed amministrativi": il Consiglio dei Ministri, infatti, non è legittimato a superare alcun dubbio di costituzionalità. Dato e non concesso che la legge di delega non abbia disposto in via tassativa, o almeno come principio univocamente vincolante, di mantenere la normativa vigente, e che abbia soltanto

"autorizzato" il Governo a mantenerla, lasciando quindi al Governo un margine di discrezionalità al riguardo, in tal caso il difetto sarebbe comunque addebitabile alla legge di delega, in quanto essa non ha fissato e precisato principi e criteri direttivi sufficientemente vincolanti nei confronti del legislatore delegato.

4. - Altro rilievo d'incostituzionalità è quello per cui l'art. 58 del D. Lgs. ha previsto un regolamento cosiddetto "delegato". Tale tipo di regolamento, in materie non coperte da riserva assoluta di legge, può implicare l'abrogazione delle norme vigenti (in conseguenza dell'entrata in vigore delle norme regolamentari) purchè la legge abilitante simile regolamento determini le norme generali regolatrici della materia e disponga l'abrogazione delle norme vigenti.

Il precedente parere del Consiglio Superiore della Magistratura ha rilevato che nell'art. 58 del D.Lgs. mancano, più o meno integralmente, le norme regolatrici della materia relativa agli incarichi extragiudiziari. Si può aggiungere che la norma legislativa in questione non precisa neppure quali siano le norme dell'ordinamento giudiziario da considerare derogate od abrogate in seguito all'entrata in vigore del regolamento.

Il primo aspetto di tale rilievo è fondato. Infatti è difficile ritenere che le norme generali regolatrici della materia, tanto più identificabili - al massimo - solo implicitamente, e senza un necessario specifico riferimento alle particolarità del caso degli incarichi extragiudiziari dei magistrati ordinari, possano essere rappresentate (secondo quanto sembra ritenere la nota del Ministro di Grazia e Giustizia del 21 ottobre 1994): dal fatto che l'incarico conferibile non sia compreso nei compiti e doveri di ufficio, sia espressamente previsto e disciplinato dalla legge o da altra fonte normativa; sia - infine - espressamente autorizzato dai rispettivi organi di autogoverno. Tutto ciò sembra risolversi in criteri del tutto generici, e non in vere e proprie "norme regolatrici", sia pure generali; inoltre implica larghi rinvii ad ulteriori scelte discrezionali operate in altra sede normativa o in provvedimenti concreti del C.S.M..

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Anche l'individuazione delle norme da ritenersi abrogate in conseguenza del regolamento "delegato" può avvenire, nel migliore dei casi e con rilevanti incertezze, solo in modo del tutto implicito, il che ha indubbiamente conseguenze negative, sulla ulteriore vigenza o meno, di norme fondamentali dell'ordinamento giudiziario, quali quelle dell'art. 16 e dell'art. 276, 3° co. R.D. del 1941.

Sempre per sottolineare i profili di incostituzionalità sotto il profilo dell'eccesso di delega, si può rilevare che, dato il carattere per un verso del tutto generico e per l'altro quasi solamente implicito dei principi e dei criteri direttivi contenuti nella citata legge di delegazione, in essa non risulta il alcun modo previsto che il conseguente decreto legislativo possa - e per di più in una materia non specificamente indicata, come quella degli incarichi extragiudiziari, perchè ciò non risulta dalla formulazione dell'art. 2 lett. e) della legge di delegazione - istituire un'ulteriore fonte di disciplina avente natura e caratteri del tutto particolari come quelli che sono propri dei c.d. regolamenti "delegati", in quanto capaci addirittura di implicare l'abrogazione o la deroga di norme di rango legislativo . Quanto meno, la possibilità di ricorrere ad un tipo di regolamento così particolare e delicato avrebbe dovuto chiaramente essere presa in considerazione dalla legge di delegazione, e non essere - invece - lasciata al totale arbitrio del legislatore delegato. Il altri termini, perchè il suddetto tipo di regolamento esige sempre e comunque un' "autorizzazione"

legislativa espressa e specifica, e poichè neppure la corrispondente eventualità al riguardo è considerata dalla legge di delegazione, può dirsi che l'art. 58 del decreto legislativo si sia appropriato di un potere (autorizzatorio del suddetto regolamento) in alcun modo non previsto, e quindi assolutamente non riconducibile alla delega sulla quale il decreto in questione deve esclusivamente fondarsi.

5. - Sotto i punti di vista ora detti, quindi i dubbi di conformità (del suddetto art. 58 comma 2° del D. Lgs., rispetto all'art. 17 l. n. 400 del 1988) hanno una specifica consistenza. Potrebbe obiettarsi che, sia la Legge n. 400 del 1988, che il D.Lgs. n.

29 del 1993, sono atti legislativi ordinari dello stesso livello gerarchico, cosicché potrebbe pensarsi che l'art. 58 in questione, nel caso di specie, abbia previsto un tipo di regolamento delegato che si discosta dalla figura prescritta in via generale dall'art.

17 della L. n. 400. Ci troveremo quindi di fronte alla difformità tra norme legislative derivanti da fonti di pari livello, il che (configurandolo come rapporto tra norma generale e norma speciale) non implicherebbe profili di incostituzionalità.

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Si può rispondere che il profilo di incostituzionalità sussiste egualmente perchè il suddetto art. 58, nel momento stesso in cui afferma di intervenire "ai sensi dell'art. 17 comma secondo" della legge n. 400 del 1988, invece in effetti dispone in difformità di tale norma sotto i profili in precedenza accennati. A carico dell'art. 58 del D.Lgs. deve quindi ipotizzarsi un vizio di incostituzionalità per intrinseca contraddizione, o almeno per palese irragionevolezza.

6. - L'ultimo e fondamentale rilievo di incostituzionalità, contro il più volte citato art. 58 D.Lgs. n. 29 del 1993 riguarda il fatto che esso non rispetterebbe il principio della riserva assoluta di legge che sarebbe disposto dagli artt. 107 e segg. della Costituzione, e quindi anche dall'art. 108 per quanto riguarda l'ordinamento giudiziario: appunto una materia (o una "sub-materia") compresa in quelle riguardanti l'ordinamento giudiziario sarebbe quella concernente gli incarichi extragiudiziari.

Certo, se anche nell'art. 108 Cost. fosse da ravvisare una riserva sicuramente assoluta, il citato art. 58 del D.Lgs. sarebbe incostituzionale perchè prevede un regolamento delegato in una materia ad esso preclusa perchè coperta dal suddetto tipo di riserva.

Il problema però, è meno semplice di quanto non possa sembrare a prima vista. Infatti, se è sufficientemente pacifica l'assolutezza della riserva per tutto ciò che attiene alle garanzie di indipendenza e di inamovibilità dei magistrati, e quindi in particolare (anche se non esclusivamente) per tutto quanto attiene alle materie direttamente concernenti lo status dei magistrati stessi, meno pacifica è invece l'assolutezza della riserva per tutti i settori di materie che possono essere fatti rientrare nella più generale (e forse generica) materia dell'ordinamento giudiziario.

Da parte di vari autori, infatti la regola dell'assolutezza della riserva per i settori di materie riguardanti l'ordinamento giudiziario sarebbe in un certo senso invertita:

sarebbero relative tutte le riserve in rapporto alle quali la legge sarebbe finalizzata ad assicurare principalmente il buon andamento o la funzionalità dell'amministrazione della giustizia. In questa logica risulterebbe solo relativa la riserva riguardante il settore di materia rappresentato dagli incarichi extragiudiziari.

7. - Se l'opinione favorevole al carattere solo relativo della riserva in tutte le materie che non riguardino direttamente lo status dei magistrati (specie sotto il profilo della loro indipendenza e inamovibilità) fosse da intendere nel senso più stretto e

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tradizionale del termine, il regolamento "delegato" previsto dall'art. 58 del D. Lgs.

sfuggirebbe al principale dubbio di legittimità costituzionale. In realtà però le cose debbono essere prospettate in maniera che conferma i dubbi di costituzionalità se si considera che la questione dell'assolutezza o invece della relatività della riserva è suscettibile di una soluzione diversa in tutti i casi in cui il corrispondente principio riguardi enti od organi oggetto di specifica garanzia costituzionale in connessione con la posizione di autonomia ad essi riconosciuta.

Vale infatti il criterio per cui una data riserva deve considerarsi assoluta per ciò che riguarda gli atti (normativi o concreti) posti in essere dal potere esecutivo (cioè dal c.d. "Governo - pubblica amministrazione"), mentre invece essa deve considerarsi solo relativa , almeno in determinati settori di materia, per ciò che riguarda gli atti posti in essere dai suddetti enti od organi dotati di autonomia costituzionalmente garantita. Nel secondo caso, infatti, la relatività della riserva sembra essere la caratteristica necessaria per corrispondere a, ed armonizzarsi con, il suddetto principio di autonomia; invece l'assolutezza della stessa riserva, volta ad escludere interventi del potere esecutivo, è giustificata proprio dalla necessità di salvaguardare, di fronte a simile potere, l'autonomia in questione.

Il criterio sopra accennato sembra che debba valere per le riserve in materia di autonomia comunale e provinciale ex art. 128 Cost., nonché in materia di autonomia universitaria ex u.c. art. 33 Cost.. Non si vede come non debba egualmente valere per la magistratura ordinaria, per la quale l'art. 104 Cost. proclama il fondamentale principio di autonomia e indipendenza, per di più sottolineando che esso è un "ordine" (quindi un "potere dello stato") rispetto a "ogni altro potere".

Poiché il Consiglio Superiore della Magistratura è organo di "auto-governo"

finalizzato a realizzare l'autonomia della magistratura ordinaria nel suo complesso, sembra possa trovare dunque adeguato fondamento l'opinione per cui la riserva nei vari settori di materie ricomprese nell'ordinamento giudiziario deve considerarsi sempre assoluta nei confronti degli atti del potere esecutivo (ovviamente quando non abbiano forza di legge), ed invece possa considerarsi solo relativa - almeno in una serie di casi - nei confronti degli atti del C.S.M.. Appunto il settore di materia concernente gli incarichi extragiudiziari dei magistrati ordinari può essere ricompreso in uno di quei casi nei quali la riserva assume valenza relativa solo per quanto riguarda gli spazi d'intervento che la legge può lasciare o affidare al C.S.M.,

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mentre invece mantiene valenza assoluta riguardo a qualsiasi tipo di intervento regolamentare del potere esecutivo.

8. - La suddetta duplice valenza della riserva - nel senso e nei casi sopra accennati - sembra in definitiva confermata anche da una più attenta analisi della dottrina che (sia pure con varie sfumature) sembra orientata verso la relatività della riserva per taluni settori di materie ricompresi in quella dell'ordinamento giudiziario. Tale dottrina infatti sottolinea la "flessibilità della riserva ex art. 108 c. 1° Cost. (in tal senso, ad esempio, Crisafulli - Paladin, Commentario; Volpe, Ordin. giud. in Enc.

Dir.; in senso analogo anche Bartole). Appunto tale "flessibilità" sembra significare che la valenza della riserva passa da assoluta a relativa quando non riguarda più gli interventi regolamentari dell'esecutivo, bensì gli interventi prescrittivi del C.S.M.:

non a caso tale dottrina sostiene tale "flessibilità" nel caso di delibere in materia di tirocinio degli uditori giudiziari, di conferimento degli incarichi, etc..

Simile "flessibilità" della riserva in taluni settori dell'ordinamento giudiziario sembra trovare significativi spunti di conferma. In primo luogo nel caso della disciplina del tirocinio giudiziario: in tal caso, infatti, la riserva sembra risultare notevolmente relativizzata a favore dell'intervento del C.S.M.. La normazione in materia, pur relativamente oscillante e forse non del tutto coerente, mantiene inalterato il fatto che la determinazione del contenuto della suddetta disciplina risulti comunque affidata al C.S.M.; al riguardo vedi in particolare, quale norma originaria, l'art. 48 del D.P.R. n. 916 del 1958, e da ultimo il D.P.R. n. 116 del 1988 che recepisce integralmente (quanto alla "nuova disciplina per il tirocinio degli uditori giudiziari") il testo della delibera adottata dal C.S.M. nella seduta dell'8 luglio 1987.

Sempre nel senso di una relativizzante flessibilità della riserva a favore dello spazio di intervento lasciato al C.S.M., altro esempio può essere indicato nel D. Lgs. n. 449 del 1988 (sull'"adeguamento dell'ordinamento giudiziario al nuovo processo penale") che affida al C.S.M. il compito di fissare "criteri obiettivi e predeterminati, indicati in via generale" quanto all'assegnazione degli affari penali, nonché alla sostituzione del giudice astenuto, ricusato od impedito.

9. - Le considerazioni svolte e gli esempi accennati possono dunque essere addotti come argomenti per ritenere che, ogni qualvolta ci si trovi a casi inerenti

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all'ordinamento giudiziario i quali non chiamino direttamente in causa i valori costituzionali dell'indipendenza e dell'inamovibilità dei magistrati, pur sussistendo la riserva stabilita dall'art. 108 Cost., essa non ha valore assoluto nei confronti degli interventi del C.S.M. in quanto si collega al principio costituzionale di autonomia.

Proprio per soddisfare tale principio essa assume una natura "flessibile", tale che il legislatore può rinunciare ad intervenire integralmente, lasciando così adeguati spazi di intervento al C.S.M. quale organo che tale autonomia contribuisce a realizzare in modo decisivo.

Nei casi suddetti la riserva mantiene, invece, il suo carattere assoluto nel senso di escludere gli interventi (non legislativi) dell'esecutivo: al riguardo, infatti, non solo non può essere invocato il suddetto principio di autonomia costituzionalmente garantita, ma anzi esso gioca in senso decisamente contrario.

Simili conclusioni servono a chiarire in che senso, in che limiti e con quali implicazioni può considerarsi relativa (o meglio ancora: "flessibile") la riserva concernente la disciplina degli incarichi extragiudiziari: ciò sembra possa valere solo riguardo agli interventi, in materia, del C.S.M., non già riguardo agli interventi (con qualsiasi tipo di regolamento) del potere esecutivo. La conclusione non può non valere anche nei confronti dei regolamenti c.d. "delegati" perché neppure essi, secondo il pacifico orientamento della giurisprudenza e della dottrina, hanno "forza di legge".

I dubbi sulla conformità costituzionale del regolamento previsto dall'art. 58 D. Lgs n. 29 del 1993 trovano quindi fondamento nel contrasto risultante con quell'assolutezza della riserva che deve valere nei confronti degli interventi del potere esecutivo. Solo un atto legislativo che intervenisse esso stesso integralmente nel merito della disciplina degli incarichi extragiudiziari - atto per molti versi auspicabile - corrisponderebbe a simile assolutezza e risolverebbe i problemi di cui si è finora parlato.

10. - Riassumendo tutto quanto finora si è detto, riguardo al più volte ricordato art.

58 D. Lgs, i dubbi di costituzionalità nei suoi confronti sussistono, ma con le seguenti precisazioni. Prima di tutto essi sussistono quanto all'eccesso di delega, anche se, sotto i profili accennati, essi in realtà sono addebitabili alla stessa legge di delega, per carenza di adeguati principi e criteri direttivi riguardo alla disciplina degli incarichi extragiudiziari.

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In secondo luogo altri dubbi sussistono nei confronti del citato art. 58, specie sotto il profilo della intrinseca contraddittorietà e della palese irragionevolezza: per un vizio, dunque, che - indipendentemente dal fatto che possa essere definito come di "eccesso di potere legislativo", tuttavia è spesso sindacato nella giurisprudenza della Corte Costituzionale appunto per contrasto col criterio della "ragionevolezza"

In terzo luogo, dubbi di rilievo sussistono sotto il profilo della violazione della riserva assoluta di legge: la consistenza di tali dubbi dipende dalla fondatezza dell'opinione secondo cui una stessa riserva può essere configurata per un verso come assoluta, e per l'altro verso invece come solo relativa: assoluta nei confronti degli interventi del Governo - pubblica amministrazione; solo relativa (o "flessibile") nei confronti del C.S.M. quale organo nel quale in gran parte si concretizza il principio di autonomia dell'ordine giudiziario. Tale opinione è senz'altro sostenibile, anche se sarebbe auspicabile una sua più articolata argomentazione non effettuabile in questa sede.

11. - Il tipo, la natura e la consistenza dei dubbi di costituzionalità prima riassunti servono da presupposto per decidere sulla questione se il C.S.M. possa esprimersi sullo schema di regolamento limitandosi a opporre l'esistenza dei dubbi in questione; od invece, pur sottolineando tali dubbi in via principale, in via subordinata debba aderire ai rilievi della 3^ Sezione del Consiglio di Stato esprimendo il proprio parere sul merito della disciplina così come risulta dallo schema di regolamento in oggetto.

Tutto sommato, sembra che sia preferibile la seconda alternativa, e ciò per le seguenti ragioni. In primo luogo perchè l'unica sede appropriata e legittimata a far valere dubbi di legittimità costituzionale è quella del giudice di costituzionalità; ma è dubbio che in questa fase esso possa essere investito della questione (in particolare sotto il profilo del conflitto di attribuzione) perchè la richiesta che il C.S.M.

esprima un parere anche nel merito difficilmente può essere considerata una interferenza "reale" ed "attuale" nella sfera di attribuzioni del "potere dello Stato"

impersonato dal C.S.M..

In secondo luogo perchè la natura e la consistenza dei dubbi di legittimità costituzionale sembrano meritevoli - come più volte si è accennato - di ulteriore approfondimento e di più stringente articolazione argomentativa; ciò vale

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specialmente per quanto dipende dalla prospettazione della doppia valenza di una stessa riserva di legge riguardante una serie di settori di materie dell'ordinamento giudiziario (tra cui quello degli incarichi extragiudiziari): riserva che contemporaneamente dovrebbe considerarsi per un verso assoluta e per l'altro verso solo relativa (o "flessibile") nel senso prima indicato.

L'opportunità di simile approfondimento risulta particolarmente evidente per contrastare efficacemente la tesi sostenuta nella nota del Ministro di Grazia e Giustizia del 21 ottobre 1994, dove (spec. alle sue pp. 3 - 4) tra l'altro si rileva essere "lecito dubitare che la materia degli incarichi giudiziari rientri tra gli aspetti assistiti e coperti da riserva assoluta di legge, se non altro per la considerazione che, al riguardo, si è avuto nel tempo un continuo stratificarsi di circolari, note, istruzioni emanate dal Consiglio Superiore della Magistratura ...".

In terzo ed ultimo luogo la scelta dell'alternativa a che il C.S.M. esprima un parere sul merito dello schema di regolamento sembra essere giustificata da una corretta interpretazione dell'ultima parte del co. 3°, art. 58 D.Lgs. n. 29 el 1993, norma che comunque è vigente e cogente fino a che non ne sia stata formalmente accertata la non legittimità costituzionale. Tale disposizione sembra prevedere ("sentiti ... i rispettivi istituti") da parte del C.S.M. un parere "obbligatorio" avente per oggetto le "norme dirette a determinare gli incarichi consentiti e quelli vietati".

Essa sembra dunque richi edere un parere (appunto "obbligatorio") sulle scelte di contenuto operate da tali norme. Limitare il parere in questione alle pregiudiziali di costituzionalità potrebbe forse configurare una elusione (quanto meno sostanziale) dell'obbligatorietà del parere.

12. - La scelta, da parte del C.S.M., di esprimere un parere anche nel merito sullo schema di regolamento, non pregiudica comunque la possibilità che, una volta che sia configurabile una lesione "reale" ed "attuale" (e non meramente "virtuale") di quell'autonomia del C.S.M. garantita anche e specificamente dalla riserva di legge intesa nel senso prima indicato, (lesione che si realizzerebbe con l'emanazione del regolamento "delegato"), venga sollevato uno specifico conflitto d'attribuzioni contro l'intervento di tale potere regolamentare. Nel corso di tale conflitto, inoltre, è ormai sufficientemente pacifico che la stessa Corte Costituzionale possa essere considerata quale "giudice a quo" (v. ad es. decisioni n. 43, 136 e 258 del 1983), al fine di consentire di sollevare le questioni di legittimità costituzionale delle norme

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legislative (quelle della legge di delega in questione, e specialmente quella del D.Lgs. n. 29 del 1993) in vario modo incidenti sulla disciplina degli incarichi extragiudiziari. Ciò consentirebbe una valutazione della legittimità costituzionale specie sotto il profilo della violazione di una riserva di legge da considerare assoluta nei confronti del Governo, e quindi tale da escludere l'ammissibilità dell'intervento dell'atto regolamentare di cui si è trattato.

PARTE SECONDA

1. - Ferme restando tutte le riserve, a giudizio di questo Consiglio pressoché insuperabili, espresse in ordine alle costituzionalità dello schema di decreto legislativo delegato in esame, si rende necessaria qualche ulteriore considerazione preliminare.

Occorre, infatti, evidenziare che l'esame del merito dello schema di regolamento è stato effettuato sul presupposto che il riferimento effettuato dall'art.

58 D.L.G.S. 3.2.1993 n° 29 all'art. 17 della L. 400/88 costituisce implicito richiamo agli effetti riconosciuti dal nostro ordinamento ai regolamenti di delegificazione.

Ciò significa, in primo luogo, che è stato riconosciuto alla nuova regolamentazione l'effetto di modificare od abrogare la precedente normativa - con essa incompatibile - in materia di ordinamento giudiziario e segnatamente di incari- chi extragiudiziari.

Siffatta impostazione è, infatti, l'unica che, prendendo le mosse dell'esatto inquadramento dei regolamenti di delegificazione tra gli atti aventi efficacia normativa sub-primaria in senso lato , consente di risolvere correttamente tutti i problemi di compatibilità tra la vigente normativa in materia di incarichi extragiudiziari (ed in particolare , ma non esclusivamente , quella di cui all'art. 16 ord. giud.) e le disposizioni dello schema di regolamento.

La profonda diversità tra i due assetti normativi, con riferimento all'art. 16 ord.giud. , dipende innanzitutto da una diversa impostazione di base.

Infatti, mentre l'art. 16 Ord. Giud. è stato sempre interpretato nel senso che tutte le attività che non sono espressamente vietate devono ritenersi consentite (criterio di atipicità), il nuovo indirizzo tracciato dall'art. 58 D. Lgs. n° 29/93 è nel senso di prevedere la tipicità degli incarichi extragiudiziari: incarichi che intanto

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possono essere assunti dai magistrati, in quanto espressamente previsti dalla legge o da altre fonti normative

La nuova impostazione è in linea con quanto ritenuto dalla Commissione bicamerale parlamentare per le riforme (nella seduta del 27 novembre 1992);

Commissione che aveva previsto il varo di una nuova norma di ordinamento giudiziario che avrebbe dovuto sancire il principio secondo cui deve essere una legge dello Stato a prevedere espressamente i casi in cui l'incarico deve o può essere assunto da un magistrato.

E, altresì, conforme a quanto auspicato dalla Commissione ministeriale per la riforma dell'ordinamento giudiziario istituita, con decreto 8.2.93 dal Ministro di Grazia e Giustizia Conso.

E', infine, in line a con l'orientamento espresso da questo Consiglio nel contesto della "risoluzione in tema di incarichi extragiudiziari per i magistrati"

approvata nella seduta del 17 dicembre 1992 (orientamento costantemente ribadito nelle successive delibere in materia).

In quella occasione il C.S.M. aveva affermato, infatti, che nel mutato quadro normativo -istituzionale che tende ad esaltare i valori di indipendenza , autonomia ed imparzialità della magistratura , era necessario valorizzare vieppiù il principio dell'assoluta prevalenza dell'impegno per l'assolvimento delle funzioni di istituto e ridurre l'area degli incarichi autorizzabili (con espresso divieto per gli arbitrati in materia di opere pubbliche), essendo noto che essi “impongono un notevole impegno e sottraggono i magistrati all'esercizio delle attività proprie”.

In occasione della espressione del richiesto parere, questo Consiglio ritiene di non doversi discostare dal riferito orientamento e manifesta, pertanto, pieno apprezzamento nei riguardi della scelta del criterio della "tipicizzazione" degli incarichi extragiudiziari effettuata dal Legislatore con l'art. 58 DLGS n° 29/93.

Si tratta, infatti, di una strada che conduce in direzione dell'auspicato contenimento del fenomeno degli incarichi extragiudiziari.

Diversa è, invece, la valutazione inerente il merito delle schema di regolamento delegato la cui normativa , come meglio si chiarirà in prosieguo , non sembra essere del tutto conforme alle indicazioni del Legislatore autorizzante.

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2. - Passando all'esame del merito si osserva innanzitutto che lo schema di regolamento non fornisce la definizione del concetto di incarico extragiudiziario se non in negativo .

La nozione di incarico, infatti, viene ritenuta riferibile esclusivamente a tutte quelle attività che, per un verso, non sono comprese "nei compiti e nei doveri d'ufficio dei magistrati" e che , per altro verso , non rientrano tra le attività "che costituiscono espressione delle libertà e dei diritti fondamentali garantiti dalla costituzione".

Poichè non è sempre agevole stabilire, in concreto, quando una prestazione resa dal magistrato ricade nell'area predetta, sarebbe opportuno inserire nel primo comma una locuzione che meglio definisca il concetto di attività riconducibile alla espressione dei diritti fondamentali della persona, in modo che sia chiaro:

a) che si tratta delle attività ricreative e/o sportive ovvero della produzione librario artistica e scientifica ed in genere di quelle attività in cui si manifesta la libertà di associazione o di manifestazione del pensiero che, per la esiguità ed occasionalità del numero delle prestazioni siano riconducibili all'esercizio dei predetti diritti . b) Che le collaborazioni e le attività sopra elencate, per essere sottratte al regime della autorizzabilità, devono necessariamente essere caratterizzate da un comune denominatore: deve trattarsi di attività svolte non professionalmente e neppure con le modalità proprie del rapporto di lavoro subordinato sicché possa escludersi ogni possibile inserimento del magistrato nell'organizzazione dell'ente conferente (a prescindere dalla gratuità od onerosità dell'incarico).

Ciò consentirebbe di evidenziare che vanno esclusi dalla nozione di incarico tutte le attività correlate alla partecipazione a conferenze, dibattiti, seminari di studi, pubblicazione di articoli, saggi, opere o prodotti dell'ingegno nonché la collaborazione o direzione di riviste giuridiche, la partecipazione a trasmissioni radio-televisive e via dicendo.

Per non dire delle attività di dottorato di ricerca, di cultore di materie varie ovvero di componente di comitati di bioetica che, salvo casi particolari, costituiscono in genere manifestazione del diritto alla ricerca scientifica ed allo studio.

Sembra, infine, necessario prevedere espressamente che il magistrato abbia l'obbligo di comunicare al Consiglio Superiore della Magistratura se per lo

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svolgimento delle attività "libere" ha percepito un compenso, precisandone l'ammontare.

In tal modo verrebbe riconosciuta al C.S.M. , oltre alla possibilità di svolgere un'utile attività di monitoraggio, di esplicare una attività di controllo (sia pure esercitato ex post) che potrebbe costituire un valido deterrente rispetto a possibili abusi che potrebbero compromettere i valori della indipendenza e della autonomia della funzione giudiziaria.

Per il resto nulla v'è da osservare in merito all'art.1.

3. - L'articolo 2 individua innanzitutto le fonti dalle quali discende l'astratta autorizzabilità degli incarichi.

Si tratta di una norma che , a sua volta , trae origine dalla previsione contenuta nell'art. 58 del D.Legsvo n°29/93 secondo cui: “l'attribuzione degli incarichi è consentita nei soli casi espressamente previsti dalla legge e da altre fonti normative”.

Tre sono le fattispecie alternative di incarichi ext ragiudiziari previste dallo schema di regolamento :

1) i casi espressamente previsti da leggi;

2) i casi espressamente previsti dal presente regolamento;

3) le ipotesi ritenute dal Consiglio Superiore della Magistratura coerenti con i compiti propri della magistratura ordinaria.

Nulla v'è da osservare in ordine alla prima previsione in quanto ricalca pedissequamente la dizione di cui al citato art. 58 D.L. n. 29/93.

Quanto alla seconda previsione, deve osservarsi che, ad un primo esame, sembra che l'ambito delle "altre fonti normative" di cui all'art. 58 del DLgs n° 23/93 sia stato riduttivamente circoscritto alle ipotesi previste dal “presente regolamento”;

mentre è noto che vi sono altre fonti normative - comunque denominate regolamenti - che probabilmente meriterebbero di essere menzionate espressamente, quanto meno in considerazione della frequenza con la quale vengono applicate dal Consiglio (ad es. i regolamenti del C.S.M.; della Corte Costituzionale e delle Camere ex art.

67 Cost.).

In realtà dall'esame del comma quarto dell'art. 58 D.L.vo n° 29/93 sembra doversi arguire che, in ogni caso, è fatta salva l'autorizzabilità degli incarichi attualmente previsti da leggi ed altre fonti normative non menzionate dal presente

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schema di decreto; infatti la citata norma ammette la possibilità dell'affidamento degli incarichi extragiudiziari in questione anche dopo l'eventuale inutile decorso del termine per l'adozione del regolamento .

Sicchè sembra scongiurato il pericolo che una mancata espressa indicazione delle fonti normative sopraindicate possa significare una loro esclusione dall'ambito delle fonti dalle quali discende l'autorizzabilità degli incarichi.

Tuttavia, quantomeno al fine di un migliore coordinamento tra le due norme e per valorizzare una frequente prassi consiliare, si potrebbe valutare positivamente l'opportunità di effettuare, nel contesto dell'art. 2, un espresso riferimento ai regolamenti emanati da Camera e Senato ex art. 64 Cost., ai regolamenti della Corte Costituzionale ed ai regolamenti emanati dal Consiglio Superiore della Magistratura sulla base di una espressa previsione di legge (Regolamento Interno e Regolamento di Amministrazione e Contabilità).

Sotto altro, più rilevante, aspetto si osserva che il quadro delle fonti normative degli incarichi subisce una anomala distorsione in relazione alla connessa previsione contenuta nel successivo articolo 3; norma, quest'ultima, che, alla fine dell'elenco degli incarichi consentiti, inserisce, alla lettera i), la autonoma fattispecie degli " incarichi che sono previsti dalla legge o da altra fonte normativa con specifico riferimento ai magistrati, salvo quanto previsto dall'art. 2".

E' di tutta evidenza la superfluità di quest'ultima previsione che, per un verso, riprende inutilmente l'argomento delle "fonti degli incarichi" (che invece trova la sua esatta collocazione sistematica all'art. 2 nel contesto delle "disposizioni generali") e, per altro verso, ripete pleonasticamente il contenuto dell'art. 58 D.L. n° 29/93 .

Ma non può essere sottaciut o un ulteriore profilo ermeneutico che preoccupa questo Consiglio.

Ed invero occorre considerare che il generico riferimento alle "altre fonti normative" contenuto al II° comma dell'art. 58 D.L. n° 29/93 viene opportunamente delimitato dal Legislatore al successivo terzo comma là dove si precisa che "ai fini previsti dal comma 2" vengono emanati appositi regolamenti ex art. 17 co. II° legge n° 400/88 (il 1° comma dell'art. 2 dello schema di regolamento in esame, infatti, è stato previsto in applicazione del citato terzo comma dell'art. 58 D.L. n.29/93).

Invece il " generico " riferimento alle altre "fonti normative" contenuto alla lettera i) del I° comma dell'art. 3 dello schema di regolamento, in mancanza di

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ulteriori specificazioni, potrebbe indurre a ritenere che qualsivoglia norma regolamentare possa divenire fonte di incarichi autorizzabili.

Si profilerebbe, il tal caso, il rischio concreto che gli Enti pubblici più disparati (per non parlare delle Regioni) possano con propri regolamenti prevedere incarichi (e quindi anche arbitrati) da assegnare ai magistrati, con conseguente abnorme dilatazione del fenomeno in esame.

Per tali motivi si esprime il parere che l'argomento delle fonti degli incarichi extragiudiziari debba essere trattato esclusivamente tra le disposizioni generali e segnatamente nel contesto del primo comma dell'art. 2 e che debba essere eliminata la previsione di cui alla lettera i) dell'art. 3 .

Un netto dissenso deve essere espresso nei riguardi della scelta di prevedere una terza categoria di incarichi autorizzabili sulla base di una individuazione effettuata discrezionalmente dal Consiglio Superiore della Magistratura.

Vero è che " formalmente " si tratta di una previ sione contenuta nel regolamento e come tale riconducibile alla fattispecie delle "altre fonti normative"

richiamate dall'art. 58 del D.L. n.29/93, sicchè potrebbe ritenersi per ciò solo, la legittimità della previsione .

Ma non può dimenticarsi che, con l'introduzione di questa fattispecie, che in sostanza reintroduce a sorpresa la categoria degli incarichi c.d. atipici, viene disatteso l'orientamento espresso dal Legislatore col medesimo art. 58 D.Legs.vo n.

29/93, che al comma tre prevede testualmente "sono emanate norme dirette a determinare gli incarichi consentiti e quelli vietati ai magistrati ordinari" (il che significa, come si è anticipato in premessa, che il Legislatore ha optato per il criterio della c.d. tipizzazione degli incarichi extragiudiziari).

E' appena il caso di precisare, ad evitare, sul punto in esame, equivoci interpretativi, che l'ultima locuzione di cui al comma 2 del D.L. n.29/93 " o che non siano espressamente autorizzati "non individua una terza categoria di incarichi, bensì un comune denominatore di tutti gli incarichi: i quali oltre ad essere previsti da una espressa fonte normativa devono essere in ogni caso autorizzati dal C.S.M. al quale compete, nell'esercizio del potere - dovere di autogoverno della magistratura, il concreto accertamento della sussistenza dei presupposti e requisiti perchè un determinato incarico possa essere svolto da un magistrato.

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Il che significa che la citata locuzione non può essere ritenuta "la fonte " di questa terza categoria di incarichi.

Occorre, inoltre, considerare che il pericolo di una abnorme dilatazione del fenomeno degli incarichi derivante da questa previsione - c.d. atipica - viene ulteriormente amplificato se si tiene conto della successiva disposizione contenuta nell'art. 6 dello schema di regolamento la cui applicazione alla fattispecie in esame determinerebbe un grave allargamento dell'area del collocamento fuori ruolo.

Invero il citato art. 6 autorizza il Consiglio Superiore della Magistratura a collocare fuori ruolo i magistrati quando l'incarico che devono ricoprire non è compatibile, a giudizio del C.S.M., con la prosecuzione della propria attività .

Altro motivo di perplessità è determinato dal riferimento al concetto di

"carica" contenuto nella prima parte dell'art. 2 n. 1 e successivamente richiamato dall'art. 3/B.

Si tratta di una fattispecie che non è richiamata dall'art. 16 ord. giud., nè dall'art. 58 del citato D.Legs.vo del '93, nè dalla citata Commissione ministeriale per le riforme dell'ordinamento giudiziario; di una ipotesi di cui non vi è traccia nella proposta di legge sulla abolizione degli incarichi extragiudiziari ai magistrati presentata alla Camera dei deputati il 19/12/94.

Neppure la vigente circolare del C.S.M. fa, peraltro, riferimento alla nozione di carica.

La fattispecie della carica potrebbe essere identificata in quegli uffici pubblici o privati che i Magistrati, in forza delle prescrizioni di cui al primo comma dell'art. 16 ord. giud., possono assumere solo nei casi previsti dalla legge.

Se così è, non si comprende la necessità di dovere individuare una species del genere incarico di difficile definizione; il criterio di tipizzazione degli incarichi autorizzabili è infatti sufficiente a segnare una linea di demarcazione tra ciò che può essere autorizzato o meno.

Questa ipotesi potrebbe, pertanto, essere eliminata.

Altra osserva zione riguardante il medesimo articolo 2 (punti 2 e 3) riguarda la assenza di alcun riferimento alla fattispecie della "designazione" da parte del C.S.M. (ma anche da parte dei dirigenti degli Uffici Giudiziari) di magistrati la cui collaborazione venga richiesta (senza indicazione nominativa ovvero tra un numero circoscritto di magistrati) dagli enti conferenti l'incarico.

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Per ovviare a ciò si potrebbe aggiungere al punto 2, dopo la frase "Gli incarichi non possono essere conferiti", quella "o comunque non può procedersi a designazione per l'eventuale conferimento ...".

Sempre in tema di articolo 2 (comma 4) non può essere assolutamente condiviso l'invito a tenere conto, ai fini del rilascio dell'autorizzazione, del requisito di "speciali situazioni di necessità personale o familiare".

Se ciò significa che si dovrebbe tenere conto delle situazioni di difficoltà economica dei magistrati onde privilegiare "i più bisognosi" allora siffatto requisito deve essere espunto.

Si finirebbe, infatti, con l'introdurre un criterio di valutazione lesivo della immagine e del prestigio della magistratura; per non dire del rischio che siffatto criterio , di tipo puramente economico, possa interferire negativamente sulla applicazione di altri - più rilevanti - parametri quali quelli inerenti le esigenze del servizio e la capacità professionale del magistrato.

Concludendo la disamina dell'art. 2 appare opportuno segnalare, tenuto conto della concreta esperienza consiliare, che sarebbe auspicabile venisse dettata una apposita disciplina con riferimento:

- alla rotazione degli incarichi (nel caso di designazione da parte dei capi degli uffici giudiziari);

- alla temporaneità dell'autorizzazione nel caso di incarichi di durata indeterminata (per i quali non sia, ovviamente, previsto il collocamento fuori ruolo);

- alla adozione di criteri più restrittivi ai fini del rilascio dell'autorizzazioni ai magistrati titolari di uffici direttivi (fermo restando il divieto di cui all'art. 17 R.D.

30/1/41 n° 12 riguardante i Presidenti di Corte d'Appello ed i Procuratori Generali della Repubblica).

In proposito questo Consiglio suggerisce di tenere conto dei criteri adottati dalla vigente circolare (che si allega - all. n.1) n° 152027 ai punti 17 e 18.

4. - L'art. 3 dello schema di regolamento elenca, al primo comma, gli incarichi consentiti, opportunamente limitando l'ambito della funzione autorizzatoria del C.S.M. alla valutazione, caso per caso, dei criteri indicati ai commi 2, 3 e 4 dell'art.

2.

Con riferimento alle singole ipotesi si osserva:

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- lett. a) - Con riferimento ai Ministeri, la norma prevede la possibilità di autorizzare i magistrati a svolgere incarichi esclusivamente nell'ambito dei relativi uffici legislativi.

Poichè nessuna eccezione è prevista per il Ministero di Grazia e Giustizia, deve ritenersi che quest'ultimo Ministero debba essere assoggettato al medesimo regime; con la conseguenza che importanti uffici dove vengono svolte attività strettamente connesse all'esercizio della giurisdizione verrebbero ad essere privati dall'indispensabile apporto della esperienza professionale dei magistrati.

L'irragionevolezza di siffatta conclusione porterebbe ad escludere che questo possa essere stato l'intendimento di chi ha predisposto lo schema di regolamento .

Ma poichè l'espressione usata dalla norma sembra imporre l'interpretazione restrittiva sopra evidenziata, sarebbe opportuno sottrarre il Ministero di Grazia e Giustizia al regime di "parificazione" con gli altri Ministeri (a tal fine basterebbe menzionare espressamente il Ministero di Grazia e Giustizia dopo l'indicazione relativa alla Corte Costituzionale).

- lett. b) - Si è già anticipato che sarebbe opportuno togliere il riferimento alle

"Cariche"; per il resto si osserva che la formulazione appare un pò troppo generica e si presta ad interpretazioni eccessivamente estensive con riferimento alla tipologia degli incarichi autorizzabili: il che non sembra rispettare, nella sostanza, il criterio della tassativa indicazione per legge degli incarichi sancito dall'art. 58 D.Leg.vo n.

29/93.

- lett. c ) - Nulla da osservare.

- lett. d) - Manca il riferimento alla ipotesi (prevista al punto 12 dalla vigente circolare del Consiglio) degli " incarichi non espressamente previsti da disposizioni di legge, conferiti da enti destinati ad operare entro l'ambito di una determinata circoscrizione territoriale, aventi ad oggetto attività di insegnamento di materie attinenti le funzioni giudiziarie".

Trattasi di una fattispecie in ordine alla quale pervengono al Consiglio numerose richieste di rilascio di autorizzazioni da parte di Regioni, Provincie, Comuni, consorzi di enti pubblici (in genere per addestrare del loro personale che svolge funzioni di Polizia giudiziaria).

Il Consiglio in genere ha manifestato, con le dovute eccezioni, disponibilità a concedere siffatto tipo di autorizzazione, ritenendo non facilmente sostituibile l'apporto che può essere fornito dai magistrati specie per elevare il livello di

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professionalità del personale del P.G. degli enti locali di cui l'autorità giudiziaria dispone direttamente.

Nella prassi applicativa si è cercato di bilanciare l'interesse della amministrazione della Giustizia ad avere un personale di P.G. professionalmente aggiornato con l'interesse della medesima amministrazione a non vedere compromessi i valori di indipendenza ed imparzialità della funzione giudiziaria.

Si ritiene che siffatto bilanciamento possa essere attuato acquisendo sempre il parere del Consiglio giudiziario e valutando con maggiore favore il rilascio delle chieste autorizzazioni allorchè la scelta dei magistrati destinati a svolgere l'incarico non sia avvenuta direttamente da parte dell'Ente conferente bensì su designazione del dirigente dell'ufficio giudiziario di appartenenza.

Si auspica, pertanto, una revisione della lettera d) nei termini sopra descritti.

Lett. E. - nulla da osservare.

Lett. F. - nulla da osservare.

Lett. G. - Il tema della partecipazione dei magistrati od organi di giustizia sportiva è certamente assai spinoso trattandosi di incarichi per i quali vi è una notevole richiesta da parte della varie federazioni sportive.

Ma ciò che più preoccupa è la consapevolezza che, sopratutto con riferimento a determinati sport, sono in gioco interessi economici di grande rilevanza.

Si pensi, ad esempio, agli effetti che sul piano economico può determinare per una società sportiva la decisione di squalificare un campo di gara, infliggere una sanzione disciplinare ad un giocatore e via dicendo.

D'altro canto è pur vero che le varie federazioni sportive ambiscono assicurarsi la presenza di magistrati nei loro organi di giustizia, proprio per garantire maggiore affidabilità nei confronti delle decisioni che vengono adottate e delle investigazioni che vengono svolte in una materia dove sono in gioco rilevanti interessi patrimoniali delle società sportive.

Il numero dei magistrati che è stato autorizzato a svolgere incarichi di questo tipo dal primo gennaio 1994 al 16 giugno 1995 è di 162 .

In considerazione della delicatezza della questione (si tratta, peraltro, dell'unica fattispecie di inc arico conferito da enti aventi natura giuridica privata) è da registrare che, specie durante la decorsa consiliatura, all'interno del Consiglio

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Superiore della Magistratura si è svolto in materia un ampio dibattito a seguito del quale non si è pervenuti ad una valutazione comune o almeno prevalente.

Questo Consiglio ha finora applicato la vigente circolare (aggiornata al 21.4.1994) che, al punto 16, prevede: "i magistrati possono essere autorizzati ad assumere funzioni giudicanti (di giudice unico collegiale) nonché funzioni inquirenti e requirenti nell'ambito della giustizia sportiva.

Per gli incarichi predetti il Consiglio può definire, sentite le federazioni interessate, il numero massimo di magistrati autorizzabili, l'ampiezza del loro impegno ed il divi eto di trattare vicende o questioni suscettibili di interferenza con l'esercizio delle specifiche funzioni giudiziarie di ciascuno".

Fatte queste premesse, si osserva che, al fine della espressione del chiesto parere, non può prescindersi dalla considerazione che il D.P.R. 6.10.93 n. 418, con riferimento ai magistrati amministrativi, considera autorizzabili solamente "le funzioni di giudice unico o di componente di collegi giudicanti nell'ambito della giustizia sportiva".

Orbene l'esclusione degli incarichi comportanti lo svolgimento delle funzioni inquirenti o requirenti è sicuramente da condividere in quanto la più restrittiva previsione privilegia maggiormente, rispetto alla disciplina attuale, le garanzie di autonomia ed indipendenza proprie della funzione giurisdizionale.

Peraltro non vi sono apprezzabili ragioni per differenziare il trattamento riservato ai magistrati ordinari rispetto a quello previsto per i magistrati amministrativi.

Si ritiene, pertanto, opportuno che sia aggiunta alla lettera g) la locuzione

"con funzioni di giudice unico o di componente di collegi giudicanti".

- lett. h - Questa previsione dovrebbe essere eliminata.

E' ormai noto che il C.S.M. ha sempre sostenuto il principio che la qualità di appartenente all'Ordine giudiziario è assolutamente incompatibile con la funzione di componente dei collegi arbitrali.

La partecipazione da parte dei magistrati ad organi di giustizia privata è infatti oggettivamente idonea ad appannare i valori di indipendenza ed imparzialità della magistratura con pregiudizio di un altro valore che il Consiglio ritiene essenziale (tenuto anche conto dell'attuale crisi di funzionalità del sistema giudiziario): "quello dell'assoluta prevalenza dell'impegno per l'assolvimento delle funzioni di istituto".

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Da tempo il Consiglio segnala a Governo e Parlamento l'opportunità di sancire per legge il divieto generalizzato per i magistrati di assumere incarichi arbitrali e su questa linea si era posta la Commissione bicamerale parlamentare per le riforme nella seduta del 27.11.1992.

Nella recente proposta di legge intitolata "Abolizione degli incarichi extragiudiziari per i magistrati", presentata il 19.12.1994 alla Camera dei Deputati, viene criticato il fatto che nei due regolamenti riguardanti i magistrati amministrativi e gli avvocati e procuratori dello Stato sia stato consentito lo svolgimento degli arbitrati.

Nella citata proposta di legge vengono riprese e condivise le risoluzioni adottate in materia da parte del C.S.M. e viene proposta l'introduzione del divieto di assunzione di incarichi arbitrali da parte dei magistrati.

In questa occasione, dunque, il Consiglio non può che ribadire il proprio netto dissenso nei riguardi della previsione di cui alla lettera H e proporne la eliminazione. Conseguentemente si suggerisce di introdurre al successivo comma 2 dell'art. 3 in esame una esplicita ed autonoma previsione di divieto assoluto di espletamento di incarichi arbitrali da parte dei magistrati, quale che sia la natura giuridica dell'Ente conferente.

- lett. i. Come si è osservato in precedenza (in occasione dell'esame dell'art. 2 I comma dello schema di regolamento) questa previsione dovrebbe essere eliminata.

5. - L'art. 3 dello schema di regolamento elenca al comma n.2 gli incarichi espressamente vietati (che quindi si aggiungono alla categoria atipica degli incarichi vietati in quanto non espressamente previsti come autorizzabili dal precedente primo comma).

Non vi sono rilievi di sorta da effettuare con riferimento alle previsione di cui alle lettere a) c) d) e) f) h).

- lett. b. Con riferimento alla previsione di cui alla lettera b) si esprime il parere che dovrebbe essere espressamente previsto il divieto per i magistrati di partecipare ad organi societari non soltanto nei casi di Società a capitale prevalentemente privato, ma anche nei casi di partecipazione con capitale prevalentemente pubblico.

Anche in quest'ultima ipotesi, infatti, si ravvisa l'esistenza di quelle evidenti ragioni di inopportunità che presiedono il divieto previsto con riferimento alle Società a capitale prevalentemente privato.

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- lett. g. Con riferimento alla previsione di cui alla lettera g) si propone l'eliminazione dell'inciso "esclusa la partecipazione ad organi di enti con finalità culturali, scientifiche, sportive, di beneficenza, di volontariato o di altri organismi con finalità non di lucro" (In questi casi per lo schema di regolamento sarebbe possibile per i magistrati partecipare ai consigli di amministrazione o ad organi con potere di gestione).

Invero, al fine di assicurare la completa imparzialità dei magistrati, è opportuno che gli stessi non abbiano ad interessarsi della gestione di organi di Enti che, per quanto aventi fini non di lucro, sono comunque costretti ad amministrare un patrimonio ed anche a richiedere finanziamenti o sovvenzioni varie a privati ovvero ad enti pubblici.

Si suggerisce, infine, di aggiungere dopo la lettera h) altre due previsioni ( lettere i) ed L) ):

La prima (lett. i ), come si è detto in precedenza, per evitare espressamente ai magistrati la possibilità di far parte dei collegi arbitrali.

La seconda previsione (lett. L), onde sancire, per evidente completezza sistematica, un generale divieto per i magistrati di assumere incarichi che non siano espressamente indicati al comma 1 dell'art. 3.

6. - L'art. 4 disciplina l'ipotesi del cumulo di incarichi con criteri in ordine ai quali può essere espresso parere favorevole.

7. - L'art. 5 delinea la procedura da seguire per il conferimento degli incarichi prevedendo che le richieste al C.S.M. di autorizzazione all'espletamento di incarichi extragiudiziari vengano inoltrate per il tramite del Ministero di Grazia e Giustizia.

Siffatta procedura difficilmente potrà consentire il rilascio delle autorizzazioni in tempo utile; occorre, infatti, considerare che già ade sso (in un contesto procedurale in cui le istanze vengono inoltrate direttamente al C.S.M.) non è agevole raggiungere il risultato - da ritenersi doveroso ai fini del corretto svolgersi del procedimento amministrativo - di rilasciare o negare la chiesta autorizzazione in data anteriore a quella in cui dovrebbe essere espletato l'incarico extragiudiziario.

Nè il magistrato potrebbe iniziare, di fatto, lo svolgimento dell'incarico, anche perchè il comma 3 dell'articolo in esame contiene un espresso divieto in tal senso.

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Per scongiurare il pericolo di una procedura farraginosa ed inefficace si propone di eliminare del tutto la previsione dell'intervento del Ministro di Grazia e Giustizia anche perchè quest'ultimo ha sempre il potere di intervenire nell'iter formativo delle deliberazioni del C.S.M. formulando osservazioni e richieste delle quali il Consiglio deve tenere conto (cfr. art. 14 L.n. 195/58), o comunque, al fine di rendere agevole al Ministro di esprimere le proprie valutazioni, prevedere che allo stesso siano inviate per conoscenza a cura dei richiedenti le istanze di autorizzazione.

Il quarto comma dell'art. 5 prevede delle situazioni in relazione alle quali l'incarico può essere espletato dal magistrato senza necessità di autorizzazione da parte del C.S.M.

Si tratta degli incarichi previsti per legge su conferimento del Ministero di Grazia e Giustizia o su sua designazione se la richiesta riguarda magistrati in servizio presso il medesimo Ministero.

In questa fattispecie, dunque, non vale - e deve considerarsi implicitamente abrogato - il principio contenuto nella vigente normativa in materia di ordinamento giudiziario secondo cui occorre l'autorizzazione per l'espletamento degli incarichi anche con riguardo ai magistrati fuori ruolo in servizio presso il Ministero di Grazia e Giustizia.

Si tratta di una previsione che induce notevoli perplessità, in quanto incide su un potere-dovere che il nostro ordinamento ha sempre riconosciuto in via esclusiva al C.S.M. in veste di garante dei valori di autonomia ed indipendenza della magistratura sanciti nell'art. 104 della Costituzione.

Per non dire del contrasto che si verrebbe a determinare con quanto prescritto dall'art. 58 D.L. n. 29/93 (al punto 2) secondo cui "tutti gli incarichi devono essere autorizzati".

Pertanto questo Consiglio non può che auspicare l'eliminazione della previsione in questione.

8. - L'art. 6 disciplina il collocamento fuori ruolo dei magistrati destinati a svolgere un incarico extragiudiziario incompatibile con la prosecuzione dell'attività giurisdizionale.

Come si è anticipato , esaminando il primo comma dell'art.2, deve essere preliminarmente segnalato il rischio oggettivo che, ove venisse mantenuta la

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previsione degli incarichi "atipici" autorizzabili dal C.S.M. ,si verrebbe a determinare una dilatazione ingiustificata del fenomeno del collocamento fuori ruolo.

E' appena il caso di evidenziare , altresì , che la disciplina in esame non può riguardare la materia del collocamento fuori ruolo dei magistrati destinati al Ministero di Grazia e Giustizia , in quanto la destinazione di costoro al predetto Ministero non può essere ricondotta alla nozione di autorizzazione all'espletamento di un incarico extragiudiziario .

Se così è - e non sembra possa revocarsi in dubbio - deve essere correlativamente rilevato, con qualche preoccupazione, che la materia del collocamento fuori ruolo dei magistrati destinati al Ministero di Grazia e Giustizia, a seguito dell'entrata in vigore del regolamento in esame, continuerebbe ad essere regolata dalla attuale disciplina che è piuttosto carente (in particolare con riferimento ai tempi di permanenza fuori ruolo dei magistrati in questione), tanto da avere richiesto un intervento paranormativo da parte del C.S.M. nel contesto della allegata circolare del 30/11/94. (all. n.2)

Il quadro complessivo della disciplina del collocamento fuori ruolo dei magistrati sarebbe ,pertanto, ulteriormente "complicato" dalla contemporanea vigenza di due diversi assetti normativi nel contesto di un sistema dove , invece, da più parti si auspica un riordino complessivo della materia possibilmente con il varo di un nuovo ordinamento giudiziario.

Fatte queste premesse, si osserva che il primo comma dell'art. 6 dello schema di regolamento in esame ancora la valutazione in ordine alla

"incompatibilità" con la prosecuzione dell'attività giurisdizionale a due criteri alternativi: la natura dell'attività o l'impegno del lavoro richiesto.

Ciò significa che è possibile il collocamento fuori ruolo dei magistrati anche al di fuori di una espressa previsione di legge o di altra fonte primaria .

Trattasi di una impostazione normativa diametralmente opposta a quella in atto vigente che è fondata sulla applicazione dell'articolo 15 terzo comma della L.

24/3/58 n°195; norma, quest'ultima, che autorizza il C.S.M. a collocare i magistrati fuori ruolo - ai fini del conferimento di un incarico extragiudiziario - soltanto in presenza di una espressa previsione di legge e sempre che non vi ostino gravi esigenze di servizio (criterio, quest'ultimo, di cui non v'è traccia nello schema di regolamento in esame).

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L'impostazione adottata dallo schema di regolamento non può essere condivisa perchè comporterebbe una inevitabile estensione delle ipotesi di collocamento fuori ruolo peraltro dipendente da decisioni del Consiglio Superiore della Magistratura di tipo ampiamente discrezionale che potrebbero oggettivamente determinare disparità di trattamento o rapporti conflittuali con altri poteri dello Stato.

Pertanto sarebbe preferibile prevedere che il collocamento fuori ruolo può essere effettuato, sempre che non vi ostino gravi esigenze di servizio, soltanto nei casi previsti dalla legge .

- Il secondo comma dell'art. 6 fissa il principio secondo cui "la durata dell'incarico e del connesso collocamento fuori ruolo" non può superare cinque anni tranne che non si tratti degli incarichi presso :

- a) la Presidenza della Repubblica;

- b) la Corte Costituzionale;

- c) incarichi la cui durata sia stabilita da espressa norma di legge.

La previsione inerente la durata quinquennale del collocamento fuori ruolo merita apprezzamento in quanto recepisce un orientamento che (oltre ad essere rinvenibile nella richiamata proposta di legge in materia incarichi extra giudiziari presentata il 19/12/94 alla Camera dei Deputati) è stato fatto proprio da questo Consiglio nel contesto della vigente circolare in materia di fuori ruolo.

Suscita, invece, perplessità la circostanza che la norma in esame non preveda un tetto massimo di permanenza fuori ruolo nell'arco della carriera di ciascun magistrato e si limiti a stabilire la durata massima del collocamento fuori ruolo con riferimento al "singolo incarico" soggetto ad autorizzazione (la vigente circolare del C.S.M. prevede che il magistrato, nell'arco del suo servizio,non possa essere collocato fuori ruolo per più di dieci anni).

In mancanza di ciò l'art. 6 potrebbe essere legittimamente interpretato nel senso che per "ogni incarico" sarebbe possibile un collocamento fuori ruolo fino a 5 anni, con la conseguenza che potrebbero essere svolte (come in pratica si è verificato in alcuni casi) da parte di taluni magistrati intere carriere "fuori ruolo"

transitando da un incarico all'altro.

Si ritiene pertanto opportuno che questa lacuna vada colmata mediante inserimento di apposita previsione che tenga, altresì, conto del fatto che deve essere escluso dal computo del tetto massimo di possibile collocamento fuori ruolo il

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periodo di quattro anni connesso alla attività svolta dai componenti del C.S.M. (per la evidente impossibilità di assimilare questa funzione, di rilievo costituzionale, alla nozione di incarico extragiudiziario).

Merita, inoltre, di essere segnalato che in forza della attuale disciplina paranormativa adottata dal Consiglio non è possibile collocare fuori ruolo un magistrato se non abbia esercitato funzioni giudiziarie per almeno cinque anni.

Trattasi di una disposizione finalizzata ad evitare una precoce sottrazione dei magistrati all'esercizio delle funzioni giudiziarie, sottrazione che costituirebbe un ostacolo all'acquisizione di una media esperienza professionale senza una reale necessità in capo all'ente che richiede l'autorizzazione al C.S.M. (il quale ente, semmai, avrebbe interesse ad avvalersi della collaborazione di magistrati che abbiano già acquisito attraverso un congruo esercizio delle funzioni giudiziarie una adeguata esperienza professionale).

Anche questa lacuna, pertanto, andrebbe colmata mediante inserimento di apposita previsione normativa che recepisca il riferito orientamento consiliare.

Qualche perplessità suscita la individuazione degli incarichi presso la Presidenza della Repubblica e la Corte Costituzionale quali "esclusive" ipotesi in cui il collocamento fuori ruolo, in relazione al singolo incarico, può superare i cinque anni.

Un primo ordine di perplessità riguarda la mancata fissazione, anche in questo caso, del termine massimo di permanenza fuori ruolo in relazione al singolo incarico; omissione, questa, che potrebbe dare luogo nella pratica ad incertezze interpretative .

In merito a questo problema si rimanda, per brevità, ai criteri fissati ai punti 8 e 9 della allegata circolare consiliare in materia di fuori ruolo; criteri da ritenersi in questa sede integralmente ripetuti e trascritti.

In secondo luogo si osserva, tenuto conto della concreta esperienza consiliare, che l'esclusivo riferimento alle ipotesi di cui alle lettere a), b) e c) che precedono (quali eccezioni alla regola del limite ordinario dei cinque anni) appare essere riduttivo .

Dovrebbe, infatti, essere valutata l'opportunità di prevedere qualche altra deroga con riferimento alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, al Ministero degli Esteri nonchè ad Enti od Organismi comunitari, internazionali o sovranazionali limitatamente, però, a quelle funzioni che sono da considerare, sotto il profilo

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istituzionale, strettamente connesse con l'esercizio della giurisdizione ovvero a questa strumentali.

9. - Nulla da osservare con riferimento agli artt. 7 ed 8 dello schema di regolamento sulla cui impostazione si può esprimere parere favorevole.

10. - Conclusivamente si osserva che lo schema di regolamento in esame, oltre che ad operare una discutibile interferenza in una materia coperta da riserva di legge, contiene nel merito una disciplina che pone delle limitazioni più formali che sostanziali; dato che, come si è evidenziato , oltre a consentire lo svolgimento degli arbitrati, prevede la autorizzabilità di numerosi altri incarichi extragiudiziari (ivi compresi quelli di cui all'art. 2, 1° comma ultima parte) sostanzialmente dilatando, rispetto all'attuale assetto ordinamentale, il fenomeno degli incarichi extragiudiziari.

Appaiono, conseguentemente, sacrificati i principi costituzionali dell'autonomia e della indipendenza della magistratura, la cui tutela, nella materia in esame, può essere realizzata soltanto attraverso la limitazione della possibilità di svolgere incarichi extragiudiziari.

Rimane ferma, pertanto, l'esigenza di un nuovo ordinamento giudiziario che affronti più approfonditamente la materia in esame nel quadro di una piena legittimazione che può avere soltanto una legge varata dai due rami del Parlamento.

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