L'ECONOMISTA
GAZZETTA. SETTIMANALE
D E I B A N C H I E R I , D E L L E S T R A D E F E R R A T E , D E L C O M M E R C I O , E D E G L I I N T E R E S S I P R I V A T I _ r i - EfT A B B O N A M E N T I Un a n n o . . ^ L. 35 -Sei mesi. 20 • Tre mesi i. JO • Un numero ••• \ r 1 ' Un nuihttró arrètrh'to . 2 -Gli a b b o n a m e n t i d a t a n o d a l 1» d ' o g n i m e s oGLI ABBONAMENTI E LE INSERZIONI
si ricevonoR O M A FIRENZE S. Maria in Via, 51 ! Via del Castellaccio, 6
DAL BANCO D'ANNUNZI COMMISSIONI E RAPPRESENTANZE
I N S E R Z I O N I Avviso por linea.
Una pagina Una colonna
L. 1 — ... 100 ~ ... 60 —
In un bollettino bibliografico si nnnunzieranno tutti quei libri di cui s a r a n n o ' s p e d i t o l e copie alla Direzione.
Anno I - Voi. Il
Giovedì 8 ottobre 1874
N. 28
S O M M A R I O
F a r t e e c o n o m i c a : Sull'intervento al Congresso (lì Milano — L'in-segnamento dell'economia politica negli istituti tecnici — Indebiti inter-venti dello Stato: Scioperi — Il giornalismo italiano o la Società Adamo Smith — Rivista economica — Calmieri a Parma — Il discorso del Mi-nistro Minghetti a Legnngo — Società Adamo Smith.
A t t i ufficiali.
f a r t e f i n a n z i a r l a e c o n i m e r c i a i o : Rivista finanziaria ge-nerale — Rivista politica — Corrispondenze — Notizie commerciali — Listini dolio borse — Prodotti settimanali delle Strade ferrate. G a z z e t t a d e g l i i n t e r e s s i p r i v a t i — E s t r a z i o n i
S i t u a z i o n i d e l l e b a n c h e . - B o l l e t t i n o b i b l i o g r a f i c o —
P A R T E ECONOMICA
SULL'INTERVENTO AL CONGRESSO DI MILANO
Qualcuno ci ha interrogati se non converrebbe per
avventura che i membri della Società Adamo Smith
intervengano al Congresso che i vincolisti promettono
di convocare a Milano. Inoltre, un giornale di Genova
(a cui, come a quasi tutta la stampa genovese,
dob-biamo manifestare la nostra riconoscenza, per il
fa-vore con cui ha accolto la fondazione della nostra
Società) ha mostrato di opinare che i promotori del
Congresso di Milano darebbero prova di voler
proce-dere con serietà ed imparzialità, qualora invitassero
alla loro solenne adunanza i nostri consoci.
Ad evitare ogni malinteso, noi crediamo opportuno
l'affrettarci a dire schiettamente il nostro avviso
so-pra un tal punto, tanto più che, indipendentemente
da ogni consiglio de'nostri amici, i congressisti non
han lasciato finora di adoperare ogni maniera di
se-duzioni per ottenere l'intento che qualcuno della
no-stra parte rimanesse attirato nella loro sfera.
A noi sembra che il consiglio del giornale
geno-vese sia inopportuno e contrario alla costumanza; nò
può essere venuto che da un criterio inesatto sulla
natura delle due associazioni, e sullo scopo cui mirano
con le loro pubblicazioni e con i loro congressi.
Quando i cultori d'una scienza, o d'un , gruppo di
scienze, altro fine non hanno, fuorché quello di c o
-municarsi reciprocamente i resultati de'loro studii e
le verità che abbiano scoperte, è giusto ed utile che
si dieno convegno a tal uopo, e che anche dibattano
insieme il prò ed il contro, sia de'fatti osservati, sia
delle teorie che ne abbian dedotte. Così è che si
as-sembrano i naturalisti, i geografi, gli antiquarii; così
pure si fa per le scienze morali; così han fatto i
giu-reconsulti; così, volendo, potrebbero fare gli
Economi-sti propriamente detti, e lo si fa da molti anni nei
banchetti mensuali della società parigina, e si faceva
in Italia nella, oramai defunta, società italiana. Ala
negli studii che si soglion chiamare operativi.,
ordi-nariamente non si ha l'intento di scrutinare o
raffi-nare le verità pure d'una scienza, si portano bensì
teorie e sistemi belli e compiuti, né ad altro si mira
fuorché a studiare i modi di farli prevalere nel campo
delle applicazioni, private o pubbliche.
Tale è appunto il caso di cui si tratta nella odierna
contestazione economica. Due associazioni avversarie
sono in presenza. Noi siamo partigiani convinti della
massima libertà, compatibile coll'ordine sociale ; i
pro-motori del Congresso di Milano parteggiano
ferma-mente per la massima ingerenza governativa,
compa-tibile con le apparenze della libertà. Siamo dunque
evidentemente in quella specie peculiare di adunanze,
nelle quali la promiscuità delle scuole non si è mai
voluta né consentita: testimonio la stessa Germania,
ove Smitbiani, socialisti plateali, e socialisti
cattedra-tici, tengono adunanze diverse, in tempi e luoghi
di-versi, progredendo ciascuna per la sua via.
prò-L' ECONOMISTA 8 ottobre 1874
posizioni che il Comitato di Padova ha già in petto e
vuol convertire in assiomi, sanciti dagli aderenti alla
sua Circolare, Viceversa, il Congresso di Milano non
potrebbe menomamente sconcertare le convinzioni d'un
liberista; ci vorrebbe una scuola, una cattedra, e un
professore, il quale sedesse per qualche anno di seguito,
e sapesse provare che gli angoli d'un triangolo non
sono eguali a due retti. Quale impulso, dunque, può
muovere un membro della Società Adamo Smith ad
in-tervenire nel Congresso? L'impazienza forse di
cono-scere le idee degli avversarii e le loro deliberazioni
finali? Ma quanto a deliberazioni, esse saranno
pub-blicate all'istante, e non è improbabile che sieno già
sotto i torchi; e quanto a discorsi, noi potremmo
ste-reotiparli sin d'ora. Spererebbe forse di convertire
qualcuno? Ma il liberista non può recare al Congresso
che argomentazioni rigettate a priori da'congressisti;
e tutti i migliori suoi sforzi non avranno altra sorte,
che quella di lasciarsi sopraffare dal numero, rischiando
di far dipendere da un colpo di maggioranza il destino
delle verità più inconcusse.
Nè sarà inutile aggiungere che, nell' interesse
per-sonale d'ogni nostro consocio, avvi qualche altro
ri-guardo da tener presente. L'intendersi in una adunanza
ove il massimo numero degli intervenuti non dividano
le idee dello intruso, è un porsi volontariamente in
una falsa posizione, e forse un po'umiliante. A l
Con-gresso di Milano si ha bisogno di godere una piena
libertà di parola, non si amerà certamente di farsi
ascoltare che da'propri amici, depositarii d'ogni segreto
della società alla quale appartengono; e niente vi può
essere di più noioso, che la presenza d'un individuo
notoriamente venutovi col proposito di sindacare,
tur-bando, fors'anco col suo silenzio, la maestà degli
una-nimi applausi.
In somma, se a Milano non si va per insegnare o
imparare, se è inutile andarvi col proponimento di
di-scutere, perchè mai un membro della Società Adamo
Smith
vi andrebbe ? Potrebbe, è vero, passarsi
l'inno-cente capriccio di andarvi a raccogliere frasi
stupen-damente sonore, e batter le mani', ma poscia? Se il
Congresso deliberi in modo conforme alle nostre
dot-trine, sarebbe crudeltà lo assistere alla disfatta del
Comitato che propose un Congresso. Se deliberi in modo
difforme, l'intruso liberista si troverà trascinato, o ad
una conversione non gloriosa, o ad una infruttuosa e
ridicola protesta. In ambi i casi, il liberista non potrà
venir fuori che ad occhi bassi dalla sala dell'Areopago
economico. Kimorso, o scherno: ecco l'unico frutto
pos-sibile della sua curiosità soddisfatta.
L'INSEGNAMENTO DELL'ECONOMIA POLITICA
NEGLI ISTITUTI TECNICINell'ottobre del 1871 vennero dal ministro di
agri-coltura e commercio, rimaneggiati, come suol dirsi
| con barbaro vocabolo, i già tanto sconvolti programmi
degli Istituti tecnici. Ciò facendo si proclamava ad
un tempo, che gli insegnanti dovevano ad essi
atte-n e r s i , ma che essi avevaatte-no pieatte-na libertà di svolgerli
come meglio entro i limiti prefissi. Come si potesse
conciliare questo problema di libertà e di vincolo,
cre-diamo che verun insegnante sia riuscito sino ad ora a
comprendere.
« Segnando i programmi - diceva il V. P. del
Con-siglio superiore sugli Istituti tecnici nella sua
rela-zione al ministro - come ben si sa i limiti ed i punti
essenziali da trattarsi in ogni disciplina, è opinione
del Consiglio che i professori debbano sempre
svol-gerli per intero con quella ragionevole libertà, (vi ha
forse una libertà irragionevole?) che è loro consentita
dall'art. 81 del Regolamento del 1865. »
Ma chi sarà giudice di questa ragionevole libertà?
Il preside, il ministro ? Questo non si dice e la spada
di Damocle pende sul capo dell'insegnante che usando
della sua libertà trovasse ad esempio poco ragionevoli
certi programmi, che sono veramente tali.
Ma nella circolare del 17 ottobre i nuovi programmi
diventano obbligatorii in ogni lor parte e per alcune
materie i professori sono invitati ad attenersi subito ai
nuovi programmi;
altri che non hanno ancora certi
insegnamenti stabiliti nel riordinamento dovranno
tut-tavia cercare di conformatisi
e così nel periodo di
quattr'anni i nuovi programmi sarannno compiutamente
attuati;
proprio come se si trattasse di norme
disci-plinari.
Ma con lodevole prudenza si soggiunge tosto che
però l'esperienza avrebbe fatto giudicare della bontà
di questi programmi i quali avrebbero avuto una
san-zione definitiva
quando si avesse potuto avere tempo
sufficiente per constatarne i risultati.
Coerentemente quindi a questo savio riserbo ci
per-mettiamo di muovere alcuni appunti al programma
di economia politica cercando dimostrare che esso
tende a sostituire alla scienza, alcune nozioni
atti-nenti a materie più o meno economiche.
A pag. 159 del fascicolo che contiene i nuovi
pro-grammi ed al capo XXVIII sono svolti i criteri coi
quali si è rimpastato il nuovo programma di
econo-mia politica in guisa da togliere al nuovo
insegna-mento ogni aspetto e andainsegna-mento scientifico.
L'insegnamento dell'economia politica, è detto in
questo proemio, deve farsi negli Istituti tecnici rispetto
alle sue applicazioni
, e perciò pure con l'appoggio
continuo dell'osservazione e della esperienza. Il
con-cetto dei riformatori incomincia in questo periodo a
svelarsi, ma comprendendo che la loro recondita mira,
può essere troppo agevolmente scoperta si soggiunge:
« Non bisogna punto omettere i principii più generali
della scienza, ma nemmeno contentarsi esclusivamente
di essi. »
L' ECONOMISTA
( 619
che di teorie ben ordinate non se ne voleva più; che
la divisione fra scienza ed arte la quale ultima da
quella rampolla, non si doveva più seguire, ma
addi-venire invece ad un rimpasto di scienza pratica e di
pratica scientifica
, che si risolveva al postutto in una
aperta negazione della scienza.
S'insisteva, è vero, sui principii medii e sulla
vi-gorosa azione che essi esercitano sulle scienze
appli-cate, ma, di grazia, come si può ad essi discendere,
senza una forte, chiara e ben| ordinata teoria
scien-tifica?
L'autore di quel proemio si perde a criticare
Pel-legrino Rossi e si svia in una questione estranea,
nella quale sfoggia cognizioni geometriche
dinami-che e persino di balistica e viene quindi in tale
con-fusa e tenebrosa maniera ad applicare le sue
elucu-brazioni e le sue critiche all'economia. Qui pure, come
in altre discipline, vi è o vi dev'essere, ragionalmente
parlando,
accordo fra la teoria e la pratica, fra la
soluzione scientifica e la corrispondente applicazione
concreta, come si usa ripetere dagli scrittori (ahi!) però
a patto sia essa'medesima veramente completa; a patto
che la forinola non si limiti a contemplare il caso
unicamente
nella sua più astratta generalità.
Da questo oscuro periodo emerge evidente la poca
fede nei principii e la contraddizione in ordine al loro
svolgimento nella scuola. Fra teoria e pratica non vi
può essere contraddizione, sibbene perturbazioni ed
eccezioni facilmente spiegate. Nessun economista
con-templa il caso nella sua più astratta generalità;
o nella
sua minuta particolarità; o la legge, secondo il vario
metodo, si stabilisce a priori e la si dimostra vera
con numerosissimi esempi, o procedendo coli'analisi si
giunge a stabilire gradatamente il principio astratto
e universale, deducendolo dai fatti. Chi facesse
di-versamente, sarebbe un catechiista e non un
profes-sore. Viene poi in questo proemio una tirata con i
fiocchi contro la possibilità ideale della concorrenza
assoluta, illimitata, senza ostacoli;
questa ipotesi, dice
lo scrittore, se anche opportuna, in qualche caso come
punto di partenza o come artificio di metodo, non è nè
potrebbe essere conforme a realtà. »
Ma di grazia, chi ha mai negato i limiti e gli
osta-coli di tempo, di luogo, di qualità di prodotti e mille
altre consimili circostanze ? Ma rinnegare la massima
perchè patisce ostacoli è norma di buona logica?
« Guai pertanto, esclama l'autore del proemio di
cui è caso, guai a fidarsi senz'altro ciecamente alle
so-luzioni astratte,
ecc., » ed è sgraziatamente per questo
modo che si cimenta di compromettere la scienza nel
concetto degli uomini serii avvezzi a pigliar le cose per
quel che sono o possono essere in realtà.
E lo scrittore scende a particolari di pochissima
importanza
per dimostrare in che modo l'insegnante
dovrà parlare della misura dei valori. L'amore dei
par-ticolari, delle circostanze di fatto di pochissimo
mo-mento più che l'economista, rivelano un diligente
statista che non crede alla filosofia economica e non
comprende la indefinita fecondità dei principii.
Quanto alle quistioni attinenti alla popolazione lo
scrittore confonde assolutamente l'economia con la
sta-tistica e fa un doppio impiego di due corsi alleati ma
diversi.
*
Lo scrittore del Proemio dice ancora che il
pro-gramma comprende un corso pressoché completo
(sem-pre molto guardingo con i (sem-pressoché, i quasi, i forse,
e simili espressioni dubitative). Aggiunge che tale
pro-gramma si distingue pel suo carattere sistematicamente
scientifico
(!!). Più, raccomanda all'insegnante di
con-siderare ciascun caso, ciascun soggetto, in tutti i suoi
aspetti,
il che richiederebbe un corso di cinque anni
almeno; facendo osservare che le quistioni che più
importano sono le quistioni di proporzioni, di limiti,
di massimi, di minimi, di approssimazioni, di
coeffi-cienti, di applicazione
e si prosegue: « per esempio,
nelle quistioni di libertà ciò che rileva non è tanto,
od esclusivamente il punto astratto di massima, quanto
altresì il limite di ragione, le condizioni di pratica
efficacia e le osservanze di applicazione. » 11 che
si-gnifica che si vuol far annegare il principio nel casismo
teologico
e nelle infinite distinzioni dei controversisti.
Il Proemio si chiude con la solita dichiarazione che
il programma deve seguitarsi dall'insegnante, ma che
esso è libero di variarne le parti, pur conservando la
indipendenza scientifica delle sue opinioni. E quelle
circa il metodo, sono o no libere pur esse? Se sì,
questo quadro generale rimaneggiato appunto per far
variar metodo a che approderebbe? Se no, o v ' è la
libertà scientifica?
Ma veniamo ora ad analizzare nei suoi particolari
il programma, di cui è caso. Come vedremo esso è
uno specchio fedele delle idee confuse e nebulose,
ca-sistiche, particolariste ed anti-scientifiche esposte nel
Proemio.
Como vedremo del pari, il germanismo ha
trionfato anche in questi programmi, e la conseguenza
si fu che l'efficacia e la forza scientifica fu
violente-mente abbassata in questo insegnamento.
(Continua)
^ —
INDEBITI INTERVENTI DELLO STATO
S C I O P E R I
I riformisti, come vengono ormai chiamati i nostri
avversarli, si propongono di ricercare quale sia la
funzione economica dello stato odierno e noi
atten-diamo il Congresso di Milano per conoscere quanto e
fino a qual punto siamo lontani gli uni dagli altri.
620 L' ECONOMISTA
qualunque cosa pensino o dicano in contrario i nostri
avversarli, noi non sosteniamo la immobilità della
scienza e crediamo anzi che ogni nuovo fatto che si
manifesta meriti di essere studiato senza prevenzioni
e senza partiti presi.
Ciò che temiamo si è che la differenza principale
fra i nostri avversarli e noi sia in ciò che è diverso
il principio da cui partiamo.
mEssi cercano la funzione economica dello Stato
nella società odierna, e son tratti naturalmente ad
allargare i confini della sua ingerenza; noi
ammet-tiamo che la libertà sia il solo principio possibile in
materia economica e che lo Stato possa intervenire
soltanto quando si tratta di tutelare i diritti dagli
abu. i di quella e che possa poi compiere quelle opere
d'interesse generale che i privati non possano, non
vogliano o non sappiano fare. Non insistiamo di più
su queste idee generali, perchè avremo campo di
esporre, e speriamo con maggiore profitto, la nostra
opinione sulle questioni particolari. Fedeli però
a'no-stri principii, mentre altri si sforza di accrescere la
ingerenza dello Stato, noi ci domandiamo se, ammesso
pure che in certi ordini di fatti il suo intervento sia
neces-sario, non vi siano altre cose e non poche in cui lo
Stato entra e non dovrebbe entrare. Noi per parte
nostra crediamo di sì e quindi ci accingiamo a
scri-vere una serie di articoli, coi quali ci sforzeremo di
dimostrare l'ingiustizia e il danno di certi interventi.
Nè divagheremo in generalità, ma verremo ai
parti-colari per non essere accusati di stare nelle nuvole
e di essere all'oscuro dei fatti che si svolgono sotto
i nostri occhi. Lo credano i nostri onorevoli
avver-sarli, noi non ci contentiamo degl'inni alla libertà,
nè siamo rimasti alle armonie del Bastiat, sebbene
questo scrittore ci sembri certo degno che il suo nome
non sia condannato all'oblìo, ma al tempo stesso non
sapremmo allietarci se in Italia vi fosse una scuola
di socialisti della Cattedra, come recentemente
affer-*
mava il signor Cusumano. Ora per non essere
socia-listi della cattedra non basta ripudiarli a parole;
bisogna non accettarne le dottrine e quando si
ac-cettano conviene confessarsene seguaci, e noi lodiamo
il Cusumano della sua franchezza, sebbene siamo
lon-tani dal dividere la sua opinione che la nuova scuola
tedesca derivi dallo smithianismo. No, quella è scuola
autoritaria, noi apparteniamo alla scuola che
conti-nueremo a chiamare liberale, per quanto questa
pa-rola possa essere stata sciupata.
E poiché la questione sulla quale si insiste
special-mente è la questione operaia, di questa cominceremo a
trattare, ricercando se nelle nostre leggi vi sia
qual-che disposizione per la quale lo Stato si arroghi un
potere che non gli spetta. E dacché si cita
l'Inghil-terra anco nella questione dei salarii, anzi si porta
quasi ad esempio e a conforto delle dottrine opposte
alle nostre, noi certo non vorre mo dimenticarla. Del
resto non faremo che svolgere, con maggior largezza
le idee da noi manifestate in proposito fino da quando
il nostro periodico venne alla luca..: <: •
:•
Il Codice penale italiano (ex-Sardo) ha le seguenti
disposizioni:
Art. 386. Ogni concerto di operai, che tenda, senza
ragionevole «ausa a sospendere, impedire o rincarare
i lavori, sarà punito col carcere estendibile a tre
mesi, semprechè il concerto abbia avuto un principio
di esecuzione. L'articolo successivo dispone che i
prin-cipali istigatori saranno puniti col carcere per un
tempo non minore di • sei mesi. • * " '
È chiara l'ingiustizia di questa disposizione, la quale
dichiara punibile il concerto degli operai anche senza
violenza, e minaccie, rilasciando all'autorita di
stabi-lire se la causa dello sciopero fu o non fu
ragione-vole. Si può avere intorno ai risultati degli scioperi
una opinione diversa, si può credere che essi abbiano
giovato a migliorare le condizioni delle classi
ope-raie, ovvero che non abbiano prodotto alcun utile
ri-sultato. Quello che è certo si è che lo sciopero di
per sè non è un benefizio, perchè è un'arme di guerra.
Ciò non toglie però che indipendentemente dalle sue
conseguenze lo sciopero segni un progresso. Esso è
l'eguaglianza sostituita alla servitù; è la
manifesta-zione del diritto del lavorante di abbandonare il
la-voro e di lottare col capitale su eguale terreno.
Chi riandasse alquanto la storia, troverebbe che per
più secoli la forza fu impiegata per tener bassa la
mercede e che in Inghilterra e in Francia la legge
e i magistrati intervennero per stabilire il maximum
dei salari. Ora è certo che in quella guisa in cui
niuno contesta fai proprietario o all'industriale di
vendere i proprii prodotti al prezzo che più gli
ta-lenta, non avendo essi altro limite che nella
possi-bilità di avere dei compratori, nel modo istesso non
può negarsi all'operaio il [diritto di domandare una
mercede più o meno alta e perciò stesso il diritto di
abbandonare il lavoro ogni qualvolta gli piaccia. E
quello che è lecito a un operaio, è lecito a dieci, a
cento, a mille. Il punire.il concerto se la causa non
fu ragionevole, è tal cosa che urta contro la
giusti-zia e contro il senso comune. Con qual criterio
l'au-torità può giudicare della ragionevolezza della causa,
e con qual diritto può arrogarsi questo giudizio? Il
concerto di per sè quando non sia accompagnato da
atti lesivi dei diritti altrui e quindi capaci di
turbare l'ordine pubblico, è un fatto assolutamente l e
-cito e che sfugge alla sanzione del Codice penale.
L'Inghilterra, la Germania, la Francia, il Belgio
hanno riconosciuto il diritto di coalizione, il quale è
parimente ammesso dal Codice penale Toscano. Esso
infatti così dispone:
L'ECONOMISTA 621
raccolti per eseguire lavori di proprietà pubblica o
privata.
Art. 203. La medesima pena colpisce quegli operai
o giornalieri che por estorcere patti diversi dai
conve-nuti cessano in tre o più dal lavoro ed usano violenze
per farne cessare i compagni ed impedire ad altri
d'in-traprenderlo.
Questo codice, sebbene redatto da uomini non amici
della libertà politica, è senza dubbio la migliore e più
provvida legge che mai si sia fatta intorno agli
scio-peri e meriterebbe di essere introdotta tal quale nel
progetto del nuovo codice penale. Essa infatti si limita
a punire la violenza, che è un attentato ai diritti altrui.
Il progetto del nuovo codice dichiara punibile chi
per mezzo di violenze o minacce restringe o impedisce
in qualunque maniera la libertà del lavoro e del
com-mercio, nonché chi per mezzo di violenze, minacce o
artifici è riuscito a produrre e mantenere la cessazione
del lavoro allo scopo d'imporre un aumento od una
diminuzione di salarii o patti diversi da quelli stabiliti
Questa proposta potrebbe parere equa se non ci
fosse una parola che guasta tutto, cioè a dire quella
parola artifici, la quale può aprire facilmente il campo
all'arbitrio, come sostennero vari fra i nostra più
in-signi giureconsulti. Un atto perfettamente lecito può
essere chiamato artificio. Anche il Codice del Belgio
e la legislazione inglese lasciano a desiderare. Così
il primo all'art. 210 punisce anche un assembramento
presso gli stabilimenti ove si esercita il lavoro, per
quanto un assembramento scompagnato da violenza
non basti a costituire un delitto. Il secondo bill del
1871 pone fra gli atti di molestia punibili il seguir
qualcuno con insistenza e il sorvegliare le vicinanze
dell'officina, ossia il pickding, e anco questi atti
pur-ché rimangano inoffensivi, non dovrebbero tenersi
come reati e le classi operaie ne chiedono e ne
ot-terranno l'abolizione. Anche gli ultimi congressi delle
Trades
1Unions
l'hanno domandata di nuovo. Ma al
meno quelle legislazioni ci dicono quali sono gli atti
che devono essere puniti, e tutto questo è di gran
lunga preferibile a quella classica parola artifici, che
rende il nuovo progetto a questo proposito illiberale.
Lo Stato che secondo il Codice già sardo si arroga
un potere che non ha nella questione dei salarii,
tor-nerebbe cosi indirettamente ad esercitarlo.
Evidentemente v'è di mezzo una preoccupazione
politica Si teme che lo sciopero sia effetto di
cospi-razioni settarie. Ma qui la questione è chiara. Lo
sciopero è un atto lecito e un'associazione che lo
con-sigli o lo provochi può recare un danno alla società
e alle classi operaie, ma non fa minimamente un
atto che sia illecito; se cospira contro lo Stato, si
en-tra in un altro ordine di fatti e le leggi di pubblica
sicurezza bastano a garantire la comunità ed il g o
-verno. In tal caso si punisca ai termini di legge chi
cospira, ma con questa scusa non si cqjpisca lo
scio-pero, che da qualunque causa derivi è l'esercizio di
un diritto. A questo proposito la legislazione inglese
merita di essere studiata, e noi lo faremo in un
ar-ticolo successivo.
IL GIORNALISMO ITALIANO
E LA
S O C I E T À A D A M O S M I T H
La Società Adamo Smith è sempre sul nascere, il
Congresso di Milano non è peranco adunato, non
una quistione speciale si è fino ad oggi dibattuta fra
i seguaci della scuola liberale e gli apostoli delle
nuove dottrine economiche; eppure, tutta quasi la
nostra stampi periodica, commossa dall'imminente
lotta, ha creduto suo debito di intervenire fino da
ora nella questione.
Questo fatto di tanto buon augurio per il nostro
paese, perchè dimostra come in ogni parte d'Italia
e da tutti si apprezzi al giusto valore la capitale
importanza delle ricerche e delle teorie economiche,
è poi argomento di legittima soddisfazione per noi,
inquantochè è all'onorevole Ferrara, il più strenuo
campione della causa che abbiamo impreso a
difen-dere, che principalmente si deve questo risveglio della
pubblica opinione.
E poiché questa ampia discussione economica alla
quale quasi tutti i nostri giornali politici hanno aperte
le loro colonne, ci offre modo di investigare fino ad
un certo punto le tendenze predominanti nella
mag-gioranza dei nostri concittadini, crediamo quasi
do-veroso per noi il ricercare e rendere noto ai nostri
lettori, quale accoglienza abbia fatto il giornalismo
italiano alla nascente Società Adamo Smith, ed alla
bandiera che questa ha spiegato.
La ricerca che ci siamo imposta non era facile
dav-vero per l'abbondanza della materia che ci fu forza
esaminare. Un semplice cenno intorno a ciascun
pe-riodico che si è occupato dell'odierno dissidio
econo-mico, ci trarrebbe troppo in lungo. Dobbiamo perciò
rinunziarvi e limitarci invece ad esporre in succinto
i vari argomenti che furono addotti contro di noi ed in
nostro favore. Così sfuggiremo più facilmente al pericolo
di mostrarci parziali ed alla taccia di andare in cerca
di una volgare reclame, enumerando quella eletta e
numerosa falange di giornalisti che dimostrarono
aper-tamente le loro simpatie per l'impresa alla quale ci
siamo accinti; poiché ci piace constatarlo fino da ora,
il nostro grido d'allarme in prò delle teorie liberali
che si vorrebbero conculcare e porre in discredito,
ben lungi dall'andare perduto, ha trovato dovunque
larghe e calorose adesioni.
622
Lasciando infatti da parte per un momento quei
periodici che si dichiararono favorevoli a noi e quelli,
eziandio che senza entrare nel merito della disputa,
si limitarono a segnalarne l'esistenza richiamando su
quella la pubblica attenzione, e limitandoci a
pren-dere in esame quelli soltanto che si costituirono
pala-dini ed apostoli della Circolare di Padova troviamo
in essi una tale incertezza e confusione di idee, una
tale contraddizione di argomenti, che davvero riesce
difficile trovare il bandolo per venirne a capo, e
biso-gna deporre il pensiero di procedere di fronte ai
me-desimi con una ordinata confutazione contentandoci di
rilevare e combattere alla spicciolata i singoli obbietti,
nei quali mano a mano ci vien fatto d'incontrarci.
Basti ciò a provarlo: per alcuni giornali la nuova
scuola economica che si va disegnando in Italia, altro
non è che una emanazione diretta, di quella conosciuta
in Germania, sotto la denominazione di Socialismo della
cattedra
, e appunto come riflesso di dottrine
germa-niche, (le quali s'intende sono la quinta essenza del
sapere umano) è meritevole di tutte le simpatie: per
altri invece la scuola suddetta è scuola prettamente
italiana, nel metodo e nei principii, per cui non si
potrebbe combattere senza rinnegare le nostre più
splen-dide tradizioni scientifiche !
Nè questo è tutto; perchè mentre da una parte si
sostiene che i principii che noi professiamo sono
ran-cidumi che ormai hanno fatto il loro tempo, vi sono
altri e non pochi, che si sforzano di dimostrare che
la divergenza fra noi ed i nostri avversarii riposa sopra
un equivoco, non investe le teorie che sono comuni ma
solo qualche applicazione speciale!
Strana confusione d'idee, che dimostra quanto noi
fossimo nel vero, allorché dicevamo, che la circolare
di Padova era fatta apposta per far nascere
incer-tezze e malintesi ; e che ci darebbe troppo buon giuoco
contro i nostri avversarii se il nostro scopo non fosse
invece quello appunto di dissipare gli equivoci e di
provocare la luce sul vero stato della quistione.
Ciò premesso vediamo in che consistano le
princi-pali accuse alle quali siamo fatti segno.
La prima accusa che ci vien mossa ed insieme la
più infondata è quella che noi seguaci della scuola
liberale o classica che dir si voglia neghiamo la
pro-gressività della scienza economica, e crediamo che dopo
quanto fu scritto da Smith e dai suoi più illustri
se-guaci, non sia possibile aggiungere nulla di nuovo.
A sentire i nostri critici la scienza economica ridotta
a 5 o 6 formule astratte assumerebbe per noi la rigida
inflessibilità del dogma, che non è lecito discutere ma
che bisogna accettare colla cieca disciplina del gregario.
Ora nulla è più falso di tutto ciò.
Se noi abbiamo posto a base della pubblica
econo-mia il grande principio della libertà e della libera
con-correnza
(e questo è il nostro capitale delitto), se
rite-niamo che i veri fondamentali della scienza siano
or-mai scoperti e luminosamente dimostrati, non vuol mica
dire che per noi sia stata detta l'ultima parola in fatto
di economia politica.
Ancora noi conosciamo quanto difficile sia il passo
che corre fra la teoria e la pratica, ancora noi
sap-piamo che l'avere scoperto dei veri scientifici, riesce
di ben poco vantaggio all'umanità, se non si apra loro
la via alle pratiche applicazioni, e queste appunto
vo-gliamo studiare noi pure, come tuttodì le studiano
nei loro scritti, e nei loro Congressi, i seguaci della
scuola smithiana. Solamente nella pratica, non vogliamo
procedere con cieco empirismo ma serbarci fedeli alle
teorie che ci vennero dimostrate vere, perchè pratica
e teoria, non sono per noi due termini contraddittori
ma i due elementi fondamentali di un tutto armonico.
E a questo proposito è appena mestieri il rilevare
quanto aberrino dal vero coloro (e ciò avviene per tutti
quasi i giornali che fecero adesione alla Circolare di
Padova), i quali, in buona od in mala fede che sia,
vanno dicendo che la scuola liberale vuole distratta
ogni ingerenza dello Stato, e lasciare libero il campo
alla sfrenatezza dell'azione e dell'egoismo individuale.
Lasciate fare l'ignoranza, lasciate passare la miseria!
ecco le massime di governo che si attribuiscono alla
scuola liberale.
Fortunatamente basta leggere una sola linea di quanto
scrissero coloro che vengono così malamente giudicati,
per trovarvi la più completa confutazione di simili
accuse.
Lo Stato anche per noi è un ente necessario, ed il
suo intervento è in molti casi indispensabile. Solamente
crediamo che l'intervento dello Stato deve restringersi
a quei soli casi in cui lo si richieda per tutelare
l'in-tegrità, la libertà e l'attività individuale di tutti i
con-sociati, mai per sostituirsi a questa o per dirigerla.
Così potrà avvenire che in qualche caso pratico
al-cuno di noi per avventura si possa trovare concorde
coi nostri avversarii. Consigliamo però i fautori delle
nuove teorie a non menar vanto di queste apparenti
dissensioni ed a considerare che la disputa non verte
tanto sull' opportunità o meno di fare intervenire
l'azione dello Stato in questo od in quell'ordine di fatti
quanto sul principio che deve servire di base a tale
intervento. Nè si tratta già di una mera disputa
acca-demica, di una vacua logomachia e nulla più, perchè,
lasciando da parte una dimostrazione che eccederebbe i
limiti di questa modesta rassegna critica, e della quale
l'Economista
si propone fare il soggetto di più ampia
e speciale trattazione, ciò che abbiamo detto basta
a chiarire che mentre per noi l'intervento dello
Stato non può avere altra ragione di essere, tranne che
la tutela del diritto individuale, per i nostri avversari
lo Stato dovrebbe e potrebbe intervenire in virtù di
un asserto diritto proprio, l'interesse della maggioranza
dei consociati, cosicché tale intervento non troverebbe
altro limite che il beneplacito dei più: il despotismo
delle maggioranze!
es-8 ottobre 1es-874 L' E C O N O M I S T A
sere astratta e metafisica, e di non tenere conto degli
ammaestramenti dell'esperienza che l'hanno
dimo-strata insufficiente.
Questa accusa che per la sua stranezza ci sorprende,
non prova che una cosa cioè : che coloro che sono sorti
a combatterci non hanno compreso e non hanno
vo-luto comprendere il vero spirito, e il metodo della
scuola liberale. Come si possa dire metafisica una
scuola, che è sempre partita dall'osservazione dei fatti
per risalire poi alla ricerca delle leggi, che si è
sem-pre guardata di accettar per giusta la dimostrazione
di un teorema scientifico, se numerosi esempii pratici
non sono venuti a comprovarlo vero, è ciò che noi non
intendiamo davvero. E tanto meno poi possiamo
tolle-rare che si dica essere la teoria liberale condannata
dall'esperienza, mentre una applicazione completa e
leale della medesima, è sempre fra noi, allo stato di
un pio desiderio.
È bensì vero che in appoggio di questa strana
as-serzione, si porta innanzi l'esempio dell'Inghilterra,
prendendo per oro colato alcune frasi abilmente
insi-nuate dall'onorevole Luzzatti nel suo recente articolo
sulla Nuova Antologia; ma quale sia il valore da
at-tribuirsi a queste asserzioni, ed a questi vantati
pre-cedenti, confidiamo dimostrarlo in breve ai nostri
let-tori, e per oggi basti su ciò.
Alle mere asserzioni ingiuriose, agli epiteti
offen-sivi e sprezzanti, che ci vennero lanciati contro da
periodici d'ogni colore e d'ogni risma, che cercavano
forse larvare la scarsità del numero e la vacuità delle
loro argomentazioni, colla virulenza dei loro attacchi,
j non ci degnamo rivolgere veruna risposta.
Ci chiamino pure, puritani, dogmatici, sognatori di
armonie chimeriche,
se ciò può riuscir loro grato, noi
non ci scuoteremo per ciò. Solamente non sappiamo
astenerci dal riferire un'accusa non sapremmo dire
se più ingiusta od assurda lanciata contro l'onorevole
Ferrara, e contro quanti fecero adesione al suo invito,
di avere cioè intrapresa l'attuale polemica, per un
senti-mento di dispetto. E sapete per cosa questo dispetto?
Perchè il vedere sconvolti gli antichi sistemi
econo-mici per l'importazione delle nuove teorie tedesche, fu
uno sgomento, per coloro che speravano aver trovata la
meta della teoria, e di non dovere oramai che piegarsi
le braccia e guardare mano a mano gli effetti.
Se
ab-biamo voluto rilevare una simile accusa, non è già per
confutarla, che davvero non ne varrebbe la pena, ma
soltanto perchè avendola trovata in uno dei più
auto-revoli organi del giornalismo italiano (ci sia lecito
il nominarlo), La Perseveranza, bisogna pur dire che
se i più valenti campioni ricorrono ad arti di guerra
così meschine, la causa dei corifei delle nuove teorie
economiche, è condannata sino da ora.
E strano poi che i nostri avversarii che ci furon
larghi di appellativi così poco benevoli, montino su
tutte le furie per quell'innocuo e benevolo epiteto di
Lombardo-Veneta
dato dall'onor. Ferrara alla nuova
scuola, epiteto del resto che coi giornali delle varie
Provincie alla mano, ci sarebbe agevole provare, non
si discosti di troppo dal vero.
Dovremmo dire ora qualcosa degli argomenti
ad-dotti in nostro favore, ma oltreché questo ci
porte-rebbe troppo in lungo, saremmo costretti a ripetere
molte delle cose dette per confutare i nostri
avver-sarii. Ci piace di costatare soltanto che fra i giornali
che si schierarono all'ombra della bandiera delle libertà
economiche, è ben lungi dall'esistere quella confusione
d'idee che regna nel campo avversario.
Fortunata-mente sembra che la libertà sia qualche cosa molto
più facile ad intendersi del nebuloso Vangelo della
nuova sapienza economica tedesca!
E certo se l'odierna disputa economica in Italia
do-vesse risolversi col solo criterio del numero e della
au-torità degli scrittori che sui varii giornali d'Italia
fe-cero adesione ai principii della Società Adamo Smith,
noi potremo fino da ora innalzare il grido della
vit-toria.
Ma noi, che per quanto scolastici, siamo usi a
giudi-care dalla bontà di una tesi scientifica con altri criterii,
non meniamo vanto di ciò, e solo ci confortiamo col
pensiero di trovare in tanti eletti pubblicisti valido
aiuto all'ardua impresa a cui si siamo accinti.
Frattanto come conclusione delle cose fin qui dette
vogliamo solo osservare che, se da un lato è un bene
che tutta la stampa italiana si sia preoccupata fino da
ora di una questione che si mantiene tuttavia nel
campo scientifico, dall'altro lato è da deplorarsi che
per parte di alcuno siasi mostrata una così grande
confusione di idee e di principii quale e quella che
abbiamo dovuto più volte segnalare.
Forse, lo ripetiamo, questo è dovuto in gran parte
al modo poco esplicito col quale i termini della
qui-stione furono posti dagli onorevoli firmatari della
Cir-colare di Padova, e perciò appunto attendiamo con
una certa impazienza che il Congresso di Milano, dove,
abbiamo luogo di crederlo, non tutti gli intervenuti si
troveranno concordi nelle nuove teorie, porterà i
so-stenitori delle medesime a delle dichiarazioni esplicite,
a delle professioni di fede scientifica, che noi siamo i
primi a desiderare.
RIVISTA ECONOMICA
Il discorso dell'on. Hinglietti— Le rendite del tesoro inglese — Le spese e gl'incassi dell'Impero tedesco durante l'esercizio 1873 — Le diminuzioni del debito pubblico americano — Il Congresso postale internazionale — 11 Congresso delle Scienze Sociali a Glascow — Scioglimento di associa-zioni operaje bavaresi — Congresso degli operai tipografi a Milano — Scioperi a Cremona e a Benevento.
624
gabinetto alla vigilia di nuove elezioni (e tale è stato effettivamente il discorso dell' onorevole ministro) fosse pur rimasto esclusivamente circoscritto nel campo della politica estera ed interna, non avrebbe potuto mancare di avere una influenza sul movimento economico del paese. Già, fino da quando fu annunziata la probabilità di una visita del Presidente del Consiglio ai suoi elet-tori, un senso di impaziente aspettativa si propagò nei circoli finanziari, commerciali ed industriali, ansiosi di ascoltare parole che valessero ad incoraggiare il com-mercio ad assicurare il credito, ad animare la specula-zione moderata. Il ministro delle finanze doveva natu-ralmente parlare a lungo di quella che è in Italia, una delle più urgenti questioni, forse la più vitale per il suo assetto definitivo, la questione finanziaria e la parte più importante del discorso dell'onor. Minghetti, è stata infatti quella dove egli ha presentato ai suoi elettori una specie di esposizione finanziaria che a nostro avviso non può non soddisfare il paese.
Il disavanzo previsto pel 1875 non è che di 54 mi-lioni comprendendovi tutte quante le spese anco straor-dinarie, e questa cifra è davvero assai consolante, se si rivolge il pensiero ai disavanzi presunti degli esercizi precedenti.
Il disavanzo del 1875 viene dal ministro ridotto a 22 mi-lioni mediante un risparmio di 20 mimi-lioni, prodotto delle convenzioni ferroviarie che verranno presentate alla san-zione del Parlamento, e mediante 12 milioni ch'egli cal-cola ricavare dalle imposte già votate; ed i 22 milioni rimanenti, il ministro crede poter cuoprire per mezzo delle modificazioni alla tassa sul Dazio consumo ed alle tariffe doganali. Confida così che non vi sarà bisogno di aggravare il paese con nuove tasse; ma in pari tempo si mostra risoluto nel proposito di non lasciar votare nuove spese, se contemporaneamente non si prendono i provvedimenti per farvi fronte. Le idee del ministro ci sembrano giuste ed assennate, e se anco non daranno tutto il frutto eh' egli spera conseguirne, ci pongono sott'occhio una situazione netta e bene ordinata che era da lungo tempo nelle aspirazioni di tutti gli italiani
erat in votis. E se ci andremo persuadendo che un paese non può far tutto ad un tratto ; che il progresso civile ed economico deve essere 1' opera lenta e gradata del tempo, e che l'Italia spende già in opere pubbliche una somma egregia pari a quella che vi consacrano altre na-zioni più ricche e più avanzate di lei, sicché, non che follia l'aumentarla, sarebbe anzi savio e prudente il ri-durla in qualche parte; non dubitiamo che non tarde-remo a veder realizzate le speranze di pareggio che da tanto tempo andiamo vagheggiando.
La fiducia che abbiamo nei calcoli ministeriali è tanto più ferma in quanto essi son fatti in un anno in cui anco fuori d'Italia i resultati finanziari hanno pochis-simo corrisposto alle previsioni fatte in antecedenza, il nostro ministro deve esser quindi andato più cauto nel fare prognostici sopra i redditi nazionali, e la cessazione della crisi attuale permetterà che si verifichino appieno nell'anno venturo gl'incassi che ora si preveggono.
Anco in Inghilterra le rendite dello Stato nell' anno in corso sono assai inferiori alla somma ehe si era
cal-colata, e il Daily News constata ehe il reddito nazionale dell' Inghilterra è entrato in un periodo decrescente, ma quésto forse non è che l'effetto delle circostanze ecce zionali di cui ancora risentono l'influenza tutti i paesi di Europa.
E noto che in Inghilterra si fa cominciare l'anno finanziario con la fine del mese di marzo. E stato adesso pubblicato il prospetto del reddito del Tesoro per il se-condo trimestre dell'annata in corso che finisce a tutto il mese di settembre.
L'anno scorso questo trimestre aveva portato 17,342,439, quest'anno non da che 15,981,594, vi è quindi una di-minuzione di L. 1,360,845.
Questo resultato accusa una situazione molto differente da quel che aveva previsto il cancelliere dello scacchiere quando presentò il bilancio. Si sa infatti che a quell'e-poca il ministro contava non solo sopra un reddito eguale, ma sopra un reddito superiore a quello dell' anno pre-cedente. Il Daily News crede che il deficit dei due primi trimestri aumenterà a misura che ci avvicineremo al ter-mino dell'esercizio finanziario annuale. Sotto verun rap-porto le probabilità dell'avvenire non gli sembrano ras-sicuranti. L'eccedenza presunta sopra l'anno precedente, in ciò ebe concerne Vexcise e per tutto l'anno finanzia-rio supera le 800,000 Ls. (20,000,000 fr.) cioè 200,000 Ls. per trimestre. Ma il trimestre di settembre presenta una diminuzione di 62,000,000 Ls., il deficit consiste della somma di queste due cifre, cioè 262,000 Ls. Così pure l'eccedenza presunta dell' anno per il bollo era portata a 330,000 Ls. ossia 80,000 per trimestre, ma la dimi-nuzione pel trimestre di settembre essendo di 158,000 Ls. il deficit sopra le previsioni di questo trimestre è di 238,000 Ls. Queste due cifre (262,000 e 238,000 Ls.) fanno sommate per 1' appunto un mezzo milione di lire che deve essere aggiunto al deficit di circa 200,000 Ls. ve-rificatosi nel trimestre finito a giugno, donde resulta per questi due principali rami d'entrata pubblica soltanto, un deficit di circa 700,000 lire.
Se i calcoli del cancelliere dello scacchiere al mese di marzo devono tenersi fermi, dice il Daily News, non so-lamente i due trimestri prossimi dell'annata finanziaria dovranno fornire l'aumento eh' egli ha previsto sopra i prodotti dell'anno precedente, ma dovranno dare inol-tre 700,000 Ls. per compensare il deficit che si è già accumulato.
Fino a qual punto si possa ragionevolmente contare su questa buona fortuna a vantaggio del cancelliere dello scacchiere, è ciò che non abbiamo bisogno d'esaminare. I periodi di prosperità come le epoche di stagnazione hanno la loro lunga durata.
Anco il cancelliere dell'impero germanico ha trasmesso al Consiglio federale lo stato delle spese e degli incassi dell'impero per l'esercizio 1873. Eccone i capitoli prin-cipali.
Spese. Ufficio della cancelleria e Consiglio federale 1,642,407 tal., dieta 71,447 tal., affari esteri 1,595,386 tal., esercito 94,656,616 tal., marina 4,696,687 tal. pensione in seguito alla guerra 1870-71, 8,636,090 tal.
Totale delle spese 130,607,231 talleri.
L' E C O N O M I S T A ( 625
poste e trasporto dei giornali 3,455,935 tal., ferrovie dell'impero 731,468 tal., indennità di guerra della Fran-cia 10,522,253 tal., residuo del 1872, 6,836,429 tal., con-tingente matricolare dei diversi stati 24,647,867 tal., prodotto del fondo degli invalidi 8,636,090 tal.
Totale degli incassi 143,113,353 talleri. Eccedente de-gli incassi, per il 1873 12,516,677 talleri.
Dalla relazione sulla situazione del debito pubblico americano pubblicato dal segretario della Tesoreria re-sulta che durante il mese di agosto il debito della Con-federazione è diminuito di 1,626,760 doli. Questa somma è assai lieve, paragonata a quella dell'agosto 1873 in cui la diminuzione del debito pubblico ascese a 6,752,929 doli. ; in quell'epoca per altro le riscossioni delle dogane che formano forse il più importante fra i cespiti d'entrata della Confederazione, avevano sorpassato di 1,400,000 doli, i prodotti dell'agosto 1874. La situazione del Tesoro al 1° settembre decorso, presentava un incasso di 146,393,160 doli. (731,965,800 fr.) di cui 71,083,928 doli., in nume-rario 58,690,000 doli, rappresentanti i depositi d'oro e 16,619,232 in currency (carta moneta). Il segretario della Tesoreria sembra risoluto a non più accumulare nelle sue casse tanta carta moneta come per 1' addietro ; invece di 5 milioni di dollari d'oro che furono venduti in ago-sto, egli aveva disposto che non ne fossero venduti che soli 3 nel mese di settembre.
La prima settimana del mese di ottobre ha visto strin-gere un nuovo vincolo di fratellanza e di progresso fra le più eulte nazioni del globo, che ci auguriamo di ve-der tosto sanzionato e posto in vigore, essendo inclinati a considerarlo come uno dei mezzi più potenti che potes-sero porsi in essere, per moltiplicare lo scambio di re-lazioni e d'idee fra i diversi popoli, da cui deve neces-sariamente scaturire la comunanza di vedute e d'inte-ressi. Salutiamo con giubbilo il lavoro compiuto dal Congresso internazionale postale di Berna, di cui ab-biamo altra volta parlato ai nostri lettori.
L'Inghilterra che aveva riservato la propria adesione ha consentito di far parte dell'Unione postale stabilita dal Congresso e lo stesso sembra disposta a fare la Francia che finora aveva rifiutato per ragioni specialmente finanzia-rie ; per tal modo l'istituzione verrebbe allora ad ab-bracciare tutto il continente europeo. Le circostanze principali che hanno contribuito al compimento di que-sto accordo sono lo aver stabilito il principio dell'inden-nità in materia di transito, e l'adesione prestata al Con-gresso dagli Stati Uniti di America.
Ecco le principali determinazioni prese dall'assemblea di Berna: 1° Tasse uniformi in tutto il territorio del-l'Unione; 2° Unità di peso stabilita in 15 gr. per le lettere, 50 gr. pei campioni e gli stampati; 3° Tasse di 25 centesimi per le prime e di 7 pei secondi. Tuttavia ogni amministrazione può dentro certi limiti accomodare queste tasse al suo particolare sistema monetario ; 4° Li-bertà di transito garantita in tutlo il territorio dell' U-nione. I dispacci chiusi e le corrispondenze saranno sem-pre dirette per le vie le più brevi di cui dispongono le amministrazioni postali; 5" L'amministrazione del terri-torio di transito godrà di un'indennità di 2 franchi al
chilogrammo per le lettere e di 25 centesimi al chilo-grammo pei giornali, stampati e campioni. Questa in-dennità potrà esser portata a 4 franchi ed a 50 cente-simi respettivamente quando il transito si effettui per più di 750 chilometri sopra il territorio di una stessa amministrazione. Nel caso che il transito debba aver luogo per mare sopra un percorso di più di 300 miglia marittime, l'amministrazione a cura della quale questo servizio marittimo è organizzato, avrà diritto ad un'in-dennità la quale però non potrà in nessun caso oltre-passare 6 fr. e 50 al chilogrammo per le lettere e 50 centesimi per gli stampati.
Questa clausola era vivamente reclamata da quegli stati i quali per ottenere mezzi celeri e regolari di tra-sporti marittimi sovvenzionano con grave dispendio le compagnie che effettuano il servizio postale. 6. La de-terminazione del peso delle corrispondenze in transito sarà fatta mediante un taccio da misurarsi sulla base del passaggio constatato durante un mese di cui la scelta verrà fatta di comune accordo fra le amministrazioni in-teressate e che potrà esser riveduta quando si verifi-chino modificazioni importanti nei servizio delle cor-rispondenze. 7. Ogni amministrazione riterrà per sò le tasse percette nel proprio territorio. 8. È vietata l'impo-sizione di tasse speciali non ammesse nella convenziono e specialmente di diritto di distribuzione a domicilio. 9. Sarà costituito sotto il nome di Ufficio internazio-nale delle Amministrazioni postali un Comitato (resi-dente probabilmente a Bruxelles) destinato a servire di organo centràlfi alle varie amministrazioni dell' Unione, simile a quello che già esiste pei telegrafi. L'Unione postale terrà ogni tre anni una conferenza per discutere le questioni d'interesse generale.
Oltre ai congressi aventi uno scopo politico e desti-nati a stipulare convenzioni che rendano migliori i rap-porti fra nazione e nazione, l'anno presente è stato fe-condo di congressi scientifici e di quelli specialmente il cui scopo si è di promuovere il benessere delle classi meno agiate. E la famosa questione cui si è oramai con-venuto di dare il nome di questione sociale, che com-muove dappertutto gli animi, toccando le corde del sen-timento presso i più compassionevoli, e del timore presso i meno generosi e sollecitando tutti a studiare il modo di alleviare le sofferenze di coloro che non hanno altro patrimonio che il laverò delle loro braccia.
E questa grave questione che ha formato oggetto prin-cipale dei lavori del congresso della scienza sociale riu-nitosi a Glascow mercoledì della scorsa settimana, ed al quale prendono parte le più spiccate notabilità dell'In-ghilterra.
626 L' E C O N O M I S T A Il Congresso è presieduto da lord Eosebery il quale !
in un lungo ed elaborato discorso di apertura si è mo-strato alquanto allarmato dell'uso ehe gl'inglesi fanno delle loro risorse delle quali, sembrano a lui, troppo pro-dighi. Notò che la prosperità del commercio inglese è minacciata da competitori stranieri che si mostrano più diligenti e più esperti nel loro lavoro. Segnalò con ap-prensione il pericolo e le difficoltà a cui va incontro l'Inghilterra, di una popolazione crescente, e di un com-mercio stazionario o in diminuzione. L'emigrazione nel-l'America che presentava finora una via di uscita all'ec-cedente della popolazione, offre a suo credere di giorno in giorno un campo più ristretto. E necessario abituare le classi lavoratrici ad impiegare le risorse di cui pos-sono disporre nel rialzare il livello delle loro abitudini di esistenza, pensando al bisogno morale di assicurarsi un migliore avvenire piuttostochò soddisfare l'istinto natu-rale che spinge l'uno verso l'altro i due sessi A tale uopo insistette lungamente sopra la necessità dell'educazione specialmente di quella tecnica che rende più produttivo il lavoro dell'operaio e meno esposto al pericolo della concorrenza estera. L'operaio ignorante non è solo una cattiva macchina in mano del suo padrone, ma è un cattivo membro del consorzio umano un inutile scia-lacquatore ed un pericolo sociale. Lord Rosebery non esitò a dichiarare ch'egli vedrebbe volentieri assicurato l'intento mediante un sistema di universale compulsione. Il congresso è diviso in tre sezioni ciascuna delle quali si occupa delle questioni relative ad una delle seguenti materie. Pubblica igiene: educazione: industria e com-mercio. Tali soggetti non hanno a dir vero importanza esclusiva alle sole classi lavoratrici giacché concernono i consumatori non meno che i produttori, e gl'intrapren-ditori non meno ohe i lavoranti; ma sono le classi lavo-ratrici le più direttamente interessate, ed è a loro riguardo che un'adeguata trattazione è più imperiosamente ri-chiesta. Potremo forse in seguito ragguagliare partico-larmente i nostri lettori intorno alle risoluzioni prese dal Congresso il quale nella sezione cui sono riserbate le questioni di economia e commercio, presieduta da sir George Campbell si è lungamente occupato delle Trades
Unions manifestandosi esplicitamente in loro favore.
A Monaco in Baviera l'autorità politica ha disciolto varie associazioni operaie accusate di tendenze socialiste, ma l'opinione pubblica ha accolto assai sfavorevolmente questa misura ed anco gli organi della stampa i meno sospetti di tendenze rivoluzionarie, hanno mostrato la loro disapprovazione per un atto ch'essi dicono precipi-tato. Si vorrebbe veder rispettata la libertà di associa-zione e si deplora che essa sia posta in balìa delle au-torità di polizia. Un'inchiesta giudiziaria deciderà se lo scopo delle associazioni disciolte sia quello ehe esse con-fessano, di combattere cioè, con mezzi legali il caro prezzo delle derrate alimentari e le manovre degli incettatori, oppure nasconda come pretende la polizia agitazioni po-litiche tendenti ad influire sulle elezioni.
Nella cronaca del fatti più rilevanti, concernenti la vita economica in Ital •, notiamo i seguenti :
Il 20 settembre ebbe luogo a Milano un Congresso di operai tipografi, rappresentanti di 11 Società tipografiche, di Roma, Napoli, Firenze, Torino, Brescia, ecc. Un tipo-grafo, il signor Alippi Archelao, ha letto un lungo stu-dio sopra la condizione degli operai impiegati alle stampe • rie, dal quale risulta che la media del salario per 1000 lettere non supera i 25 centesimi e che i tipografi di molte fra le principali città d'Italia, come Napoli e Milano, non guadagnano più di lire 2, 50 al giorno, mentre a Vienna, a Parigi e Berlino guadagnerebbero fino a 5 franchi.
In Cremona vi è da alcuni giorni uno sciopero fra le filatrici, in seguito a una diminuzione di prezzo che i fila-tori intendono mettere sulle ore serali, per compenso della illuminazione.
A Benevento succedono pel caro delle carni fatti de-gni di nota.
I beccai già da 15 giorni avevano avvertito l'autorità municipale con un atto autenticato da notaio, che non avrebbero potuto esercitare il loro negozio alle condizioni imposte loro dal Municipio.
Postisi quindi in isciopero, l'autorità giudiziaria ne fece eseguire l'arresto, ed il Municipio fece vendere la carne per proprio conto nel cortile del palazzo civico.
In seguito i beccai hanno ottenuto la libertà provviso-ria, venendo ad un accordo col Municipio, obbligan-dosi cioè a vendere la carne ad un prezzo determinato.
Crediamo che la misura presa dal Municipio di Be-nevento non saprebbe incontrare l'approvazione di molti,
ancorché non caldi smithiani.
CALMIERI A PARMA
Il Consiglio comunale di Parma ha discusso e deli-berato sulla quistione dei calmieri, nell'adunanza del 2 corrente. Dopo vivo contrasto il calmiere, che viveva da oltre un secolo in quella provincia, fu condannato alla abolizione. Il prof. Torrigiani che l'ha da tanto tempo e strenuamente domandata, dev'esser ben lieto del trionfo che i suoi sforzi hanno ottenuto a'buoni principii della Scienza. Speriamo che il Germanismo vi si rassegni.
Il discorso elei Ministro Minuetti a Legnagli
Prima di tutto, o signori, lasciate ch'io vi ringrazi! della vostra cordiale e festosa accoglienza e che anch' io faccia nn brindisi con tntto il cuore alla prosperità di Legnago. (Evviva prolungati a Minghetti.)
ban-L' E C O N O M I S T A ( 627 dirono sin da un anno che io sarei venuto a Legnago
a esporre tutto un programma. Cha cosa è un programma?
Se per ciò s'intende una professione di principii poli-tici, io, senza orgoglio, oso presentarvi come programma la mia intera vita. (Bene, è vero, è vero, applausi.)
Ma non è ciò che si vuol significare. Si desidera co-noscere 1» opinione di un uomo distato, o di un mi-nistro sopra tutti i soggetti principali che si attengoro al governo del paese. Credete voi che debba allargarsi il suffragio elettorale e in quali medi? Il nostro Co-dice ha esso delle imperfezioni e come emendarle? Quale è il vostro sistema ideale di una buona amministrazione? Come intendete di ravvivare la scienza, e diffonderla? Come redimere le plebi? Quali mezzi porrete in opera per favorire l'agricoltura, l'industria, il commercio? E così via dicendo.
Codesti programmi appartengono alla prima età poli-tica d'una nazione, quando tatto sembra possibile e fa-cile, quando si corro dal pensiero all'azione senza por mente agli ostacoli, (benissimo) e 1* esperienza della vita non hadimostrato ancora le difficoltà che ogni muta-mento necessariamente trae seco ; sono dei temibellissimi di discussione sui libri, piuttostochè atti politici. La qua-lità caratteristica delle nazioni che esercitano da maggior tempo e meglio la libertà, è quella di proporsi uno scopo preciso e chiaro, e di fare una cosa alla volta(benissimo). Invece di sparpagliare in minnti rivoli la fonte della attività, la raccolgono in potente vena che dia impulso a efficace produzione (bene). Così, per usare un proverbio toscano, ogni giorno ha il suo affare.
L'Italia ebbe un compito eroico e glorioso quando fondò la sua unità. Ne avrà altri in avvenire nella scienza, nelle arti, nella civiltà Io non rinuncio a nessun progresso nò politico, nè sociale pel bene dei popoli. (Vivi applausi.) Anzi, dico che bisogna progredire sempre e che la sosta è principio di decadenza. Ma la contem-plazione dell' avvenire non ci deve distrarre dal còmpito evidente dell' oggi, eh' è quello di raggiungere l'equili-brio delle entrate colle spese dello Stato. (Bene, bravo!)
E singolare l'istinto dei popoli nelle grandicose. Il popolo italiano sentì che senza unità l'indipendenza e la libertà non potevano nò con inistarsi nè conservarsi ; oppresso vide che al suo assetto definitivo occorreva tc-gliere il Governo temporale al Pontefice e portare a Roma la sua (capitale. Benissimo) Oggi giudica,e giu-dica rettamente, che la base dell' ordinamento interno, della grandezza e dell'influenza al di fuori sta nel-1' equilibrio delle finanze. Sente che la breccia ivi an-cora aperta è quella per la quale entrano le rivoluzioni
colcodazzo dell'anarchia^e del dispotismo. (Bene) Lasciatemi dire, o signori, di nuovo che i popoli scrii fanno una cosa alla volta, e nella vita loro i mo-menti operosi si succedono e non si confondono. (Benis-simo.) Così la praticavano i nostri antichi, e Roma ebbe il suo deltnda Carthago, l'Inghilterra moderna ha avuto a volta a volta per iscopo l'abolizione della schiavitù, la riforma elettorale. Ma quando per alcuni anni le spese s-overchiarono le .entrate; quando nel 1842 essa vide che l'equilibrio era perturbato, allora, deposto ogni altro intento, po e in cima del pensiero le finanze, e venne il glorioso periodo di Roberto Ptel. (Bravo.)
Possiamo noi egualmente e in breve tempo stabilir8
questo equilibrio ? E con quali mezzi?
Qui subito olo levarsi un grido : Riforma del stema tributario e amministrativo, ecco il rimedio si-curo, ecco ciò che toglierà prontamente ogni di avanzo fra le entrate e le speso.
Che il nostro sistema tributario e amministrativo ab-bia mestieri di revisione e di riferma, io l'ho procla-mato più volte. Non mi dissimu'o le gravezze, gl' incon-venienti del sistema attuale. Credo che il malcontento, di che tanto si parla, 'fa capo, il più. delle volt-, ad nn tributo o a qualche ordinamento di finanza, e bene spesso è effetto delle sue forme complicate ed iacerte. Nò ciò deve far meraviglia quando si pensi che qu sto sistema tributario fu una specie di comprome.so fra i sist mi che prevalevano in sette Stati diversi, e che le necessità politiche ne affrettarono 1' attuazione. Strgeva la penuria del Tesoro, la guerra rumoreggiava in-torno. E come si poteva pretendere che gli ordinamenti fossero bene studiati e perfetti?
In quella guisa che l'ardito pioniere americano, quando va a diss odare le incolte terre dell' Occidente, inco-mincia dal fabbricarsi un abituro e gli strumenti più necessarii per combattere la lotta cogli elementi della natura e per vincerli, e solo più tardi porterà ivi i c n-forti della vita e i progressi della scienza così abbiamo fatto noi. E se vuoisi avere la confessione che in questa lunga e difficile opera si sono commessi degli errori, io non esito a farla per conto mio,^purché non ci si con-trasti la vittoria finale. (Vivi applausi.)
Ma, o signori, una parte notevole di queste riforme non ha bisogno di nuove leggi per essere attuata. Il Go-verno con cure quotidiane ed assidue, può emendare, correggere, semplificare molto. Questo ccncetto fu sem-pre sem-presente all'animo mio e potrei citarvi parecchi miglioramenti e se nplificazioni introdotte in quest'anno nell'amministrazione delle finanze. Ho presentato ezian-dio al Parlamento tutti gli organici prr essere riesami-nati. Però vi assicuro che, tanto io, che i miei colleghi, non verremo meno all'opera paziente ed accurata, per-suasi, come siamo, che nella soverchia complicazione dei congegni ammiaistrativi st'a una forte cagione dei guai che si lamentano. (Vivissimi applausi)
Un'altra parte, e la più rilevante delle riforme, ap-partiene al potere legislativo. Io, vi ripeto, non ho bi-sogno di prendere ad accatto da altri questa bandiera (Ilarità), perchè è già tempo che proclamai essere venuto il periodo di riprendere in esame i nostri ordinamenti, di co? reggerli e di rinnovarli ove occorra.
Ma intendiamoci chiaramente. Questa frase riforma
tributaria ed amministrativa è così vaga e così generici», che di essa può dirsi col poeta;
E nu'la stringo e tutto il mondo abbraccio (L'oratore ò interrotto da vivi applausi).
Sotto questa bandiera possono adagiarsi i più dispa-rati disegni: ma, appeEa si cominciasse a determinarli, si troverebbero a cozzo fra loro.
Io prego adunque coloro che della riforma tributaria e ammin'strativa parlano ad ogni momento, li prego a dire in modo categorico e chiaro: