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La Ricerca in Italia

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Academic year: 2021

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G It Diabetol Metab 2015;35:154-156

Effetti del passaggio da insulina NPH a glargine in pazienti affetti da diabete di tipo 2: uno studio osservazionale retrospettivo condotto in Italia (LAUREL study)

Bellia A1, Babini AC2, Marchetto PE3, Arsenio L4, Lauro D1, Lauro R1

1Dipartimento di Medicina dei Sistemi, Università degli Studi

“Tor Vergata”, Roma; 2Unità di Diabetologia, Ospedale “Infermi”, Rimini; 3Unità di Diabetologia, Ospedale “Franz Tappeiner”, Merano; 4Malattie del Ricambio e Diabetologia, Ospedale Maggiore, Parma

Acta Diabetologica 2014;51:269-75

A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?

Osservare retrospettivamente, in un contesto multicentrico di comune pratica clinica, l’eventuale variazione del compenso glicemico associata al passaggio da insulina NPH (neutral protamine Hagedorn) a glargine in pazienti con diabete di tipo 2.

Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?

I trial clinici registrativi e post-marketing hanno dimostrato sostanziale pari efficacia ipoglicemizzante tra insulina NPH e glargine nel diabete di tipo 2, con vantaggio di quest’ultima nell’incidenza di ipoglicemie.

Sintesi dei risultati ottenuti

Il compenso glicemico era generalmente migliorato dopo sei mesi dal cambio di in- sulina, con meno segnalazioni di ipoglicemie nonostante un lieve incremento delle unità somministrate.

In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscenze riguardo al problema iniziale?

L’insulina glargine ha evidenziato un profilo beneficio/rischio più favorevole di NPH anche nella comune pratica clinica.

Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?

Gli analoghi basali rappresentano un passo avanti sostanziale nell’approccio all’in- sulina del paziente diabetico, in attesa di nuove molecole con evidenze di maggiori efficacia e tollerabilità che ne semplifichino ulteriormente l’implementazione.

Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?

L’insulina glargine, e più in generale gli analoghi basali, si confermano un’opzione preferibile a NPH nella gestione della terapia insulinica.

Viscosità del sangue in soggetti con normoglicemia e con prediabete

Irace C, Carallo C, De Franceschi MS, Esposito T, Gnasso A

Dipartimento di Medicina Sperimentale e Clinica, Università degli Studi Magna Græcia di Catanzaro, Catanzaro Diabetes Care 2014;37:488-92

A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?

La ricerca ha valutato se vi fosse un’associazione tra viscosità del sangue e valori di glicemia normali e normali-alti in soggetti non diabetici. L’ipotesi è che alterazioni della viscosità possano compromettere la perfusione tessutale e quindi il trasporto di insulina e di conseguenza l’utilizzazione periferica del glucosio.

Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?

La viscosità del sangue è aumentata nei soggetti con diabete e con insulino-resistenza.

Si ipotizza che l’iperglicemia cronica possa modificare la viscosità attraverso variazioni della osmolarità. Inoltre, anche la diuresi osmotica indotta dall’iperglicemia contribui- rebbe a modificare l’ematocrito e la viscosità del sangue. Uno studio prospettico, che ha coinvolto un ampio numero di soggetti, ha dimostrato come la viscosità del san- gue calcolata e l’ematocrito siano fattori di rischio per lo sviluppo di diabete.

Sintesi dei risultati ottenuti

I soggetti arruolati nello studio (264) non assumevano alcun farmaco, non erano diabetici, né ipertrigliceridemici, né fumatori. La viscosità è stata misurata con un vi- scosimetro sollecitando il sangue a diversi shear rate. Si ripropone in questo modo, in vitro, quello che accade in vasi di differente calibro e con differente velocità del sangue. Suddivisi in tre gruppi in base al valore di glicemia a digiuno, è risultato che coloro che presentavano un valore compreso tra 90-99 mg/dl e 100-125 mg/dl ave- vano una viscosità del sangue significativamente maggiore rispetto a coloro con gli- cemia < 90 mg/dl a diversi shear rate.

In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscenze riguardo al problema iniziale?

I risultati di questa ricerca per la prima volta hanno dimostrato che esiste una cor- relazione diretta tra viscosità ematica e plasmatica e glicemia in soggetti non dia- betici. Inoltre, già valori di glicemia considerati normali (90-99 mg/dl) si associano ad aumento della viscosità.

La Ricerca in Italia

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Esiste un modo pratico per predire il successo terapeutico nel diabete di tipo 2 sulla basi di variabili psicologiche? Sviluppo e validazione del questionario PPTD (Psychological Predictors of Therapeutic success in Diabetes)

Rotella F1,2, Dicembrini I2,3, Lazzeretti L1, Bigiarini M3, Ricca V1, Rotella CM3, Mannucci E2

1Psichiatria, 2Diabetologia,

3Obesiologia, Azienda

Ospedaliero-Universitaria Careggi e Università di Firenze, Firenze Acta Diabetologica 2014;51:133-40

A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?

La valutazione di tutte le aree psicologiche potenzialmente connesse con il successo terapeutico nel diabete di tipo 2 non è realizzabile nella pratica clinica. Per questo si è sviluppato un test psicometrico specifico, che consenta una valutazione sintetica.

Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?

Molti disturbi e sintomi psichiatrici sono associati a un inadeguato controllo meta- bolico nel diabete di tipo 2. Altri fattori psicologici come il temperamento e il carat- tere hanno un loro impatto su aderenza e successo terapeutico.

Sintesi dei risultati ottenuti

È stato sviluppato e validato un questionario con 19 item, che ha dimostrato di pre- dire il controllo glicemico a un anno in pazienti con diabete di tipo 2.

In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscenze riguardo al problema iniziale?

Il test è composto da item provenienti da molte aree diverse (psicopatologia, tem- peramento e carattere, qualità della vita, motivazione e prontezza), confermando l’ampiezza delle variabili associate al successo terapeutico.

Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?

Il test è risultato efficace su due popolazioni di pazienti diverse tra loro, ma afferenti a un’unica clinica specialistica. Dovrà quindi essere verificato su popolazioni diverse, possibilmente con studi multicentrici e di popolazione.

Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?

Un test breve e di rapida somministrazione, che predica il successo terapeutico nel diabete di tipo 2, può essere usato in clinica per identificare i pazienti a maggior rischio di fallimento.

Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?

I dati di questo studio contribuiscono alla comprensione dei meccanismi che in- fluenzano la captazione del glucosio a livello periferico, generando o sostenendo una condizione di insulino-resistenza. Studi in popolazioni selezionate e studi di in- tervento, che modifichino le proprietà emoreologiche, sono auspicabili a ulteriore conferma dell’ipotesi iniziale.

Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?

La viscosità ematica non è misurata di routine, ma può essere facilmente calcolata in modo affidabile. Alcuni fattori di rischio e alcuni farmaci sono in grado di aumen- tare la viscosità del sangue, e ciò potrebbe avere importanza nella valutazione glo- bale del paziente. Un valore di glicemia ai limiti alti o normale-alto potrebbe essere già la conseguenza di un’alterata regolazione periferica della perfusione.

Stima quantitativa della sensibilità insulinica in soggetti diabetici di tipo 1 in terapia con sensore di glucosio e pompa di insulina Schiavon M1, Dalla Man C1, Kudva YC2, Basu A2, Cobelli C1

1Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione, Università degli Studi di Padova, Padova; 2Division of Endocrinology, Diabetes, Metabolism and Nutrition, Department of Internal Medicine, Mayo Clinic and Foundation, Rochester, MN

Diabetes Care 2014;37:1216-23

A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?

Lo scopo di questo lavoro consiste nello sviluppo di un metodo per la stima di un indice di sensibilità insulinica utilizzabile nella vita quotidiana di pazienti diabetici di tipo 1 (T1D), sfruttando dati di sensore sottocutaneo per il monitoraggio continuo della glicemia (CGM) e pompa insulinica sottocutanea (CSII).

Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?

Numerosi indici di sensibilità insulinica sono stati pubblicati finora: la maggior parte di essi basati su misure invasive di glucosio e insulina plasmatica, quindi non appli- cabili in un contesto ambulatoriale; oppure basati su lunghi periodi di osservazione, quindi non utilizzabili al fine di tracciare la variabilità giornaliera di questo parametro.

Sintesi dei risultati ottenuti

Il metodo proposto è stato analizzato su 12 pazienti T1D studiati in clinica in 3 occa- sioni (colazione, pranzo e cena), a partire dai dati di CGM e CSII, ed è stato validato confrontandolo con un noto indice di sensibilità insulinica di riferimento, basato sul- l’identificazione di un modello minimo orale del glucosio a partire da dati plasmatici di

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Alterazione dell’andamento dell’effetto incretinico, valutato tramite approccio modellistico, in soggetti con tolleranza al glucosio in un intervallo dalla normalità al diabete

Tura A1, Muscelli E2, Gastaldelli A3, Ferrannini E2,3, Mari A1

1Istituto di Ingegneria Biomedica, Consiglio Nazionale delle Ricerche, Padova; 2Dipartimento di Medicina Clinica & Sperimentale, Università di Pisa, Pisa; 3Istituto di Fisiologia Clinica, Consiglio Nazionale delle Ricerche, Pisa

Diabetologia 2014;57:1199-203

A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?

È stato esteso un nostro precedente modello della secrezione insulinica e funzionalità della beta-cellula al fine di descrivere l’andamento temporale dell’effetto incretinico tramite la simultanea analisi del test orale di tolleranza glicemica e del relativo test intravenoso isoglicemico. Si è quindi utilizzato il modello per studiare soggetti con diversa tolleranza al glucosio (da normotolleranza a diabete).

Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?

Nessuno studio precedente aveva presentato un modello matematico che inclu- desse una descrizione dei meccanismi dell’effetto incretinico sulla secrezione di in- sulina. In particolare, nessun modello era in grado di effettuare la simultanea analisi del test di carico orale e del relativo test intravenoso isoglicemico.

Sintesi dei risultati ottenuti

Abbiamo potuto chiarire alcuni aspetti sull’andamento temporale dell’effetto incre- tinico. In particolare, si è visto che nei soggetti con normale tolleranza glicemica l’ef- fetto incretinico ha una salita rapida, e rimane sostenuto durante tutto il periodo del test glicemico, mentre nei soggetti diabetici l’effetto è virtualmente assente. Nei sog- getti con intolleranza al glucosio si presenta una situazione intermedia. Abbiamo anche verificato che il profilo temporale dell’effetto incretinico sembra relativamente poco correlato con quello degli ormoni incretinici.

In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscenze riguardo al problema iniziale?

Il fatto che il profilo temporale dell’effetto incretinico paia poco correlato con quello delle incretine suggerisce l’esistenza di altri meccanismi modulanti l’effetto increti- nico stesso, quali per esempio fattori neurali, peptidi intestinali non conosciuti o neu- ropeptidi.

Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?

Un’ulteriore attività di ricerca potrebbe chiarire l’esistenza di altri meccanismi in grado di influenzare l’effetto incretinico, come indicato sopra.

Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?

Non vi sono ricadute immediate sulla pratica clinica, ma una più approfondita com- prensione dell’effetto incretinico potrà determinare ricadute sullo sviluppo o sull’uti- lizzo dei farmaci che agiscono sull’effetto incretinico stesso.

glucosio e insulina. L’indice di sensibilità insulinica proposto si è dimostrato ben cor- relato a quello di riferimento, mostrando inoltre un pattern simile di sensibilità insulinica.

In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscenze riguardo al problema iniziale?

Il metodo proposto ha dimostrato la possibilità di valutare lo stato metabolico di pa- zienti T1D in un contesto di vita quotidiana mediante l’uso di strumenti minimamente invasivi utilizzati nella pratica clinica. Inoltre questo parametro potrebbe essere uti- lizzato per definire un pattern giornaliero di sensibilità insulinica per l’ottimizzazione della terapia del diabete.

Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?

Gli obiettivi futuri consistono nel ricavare, a partire da questo nuovo indice, altri pa- rametri fondamentali della pratica clinica come il rapporto insulina-carboidrati e/o il fattore di correzione. Un ulteriore obiettivo consiste nello sviluppo di un metodo per l’identificazione dei pattern giornalieri di sensibilità insulinica e la loro variabilità in re- lazione alle normali attività di vita quotidiana del paziente.

Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?

La conoscenza della sensibilità insulinica e la sua variabilità giornaliera, nella vita quoti- diana del paziente, possono essere utilizzate per l’ottimizzazione della terapia insulinica e il miglioramento degli algoritmi di controllo in catena chiusa nel diabete di tipo 1.

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