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La Ricerca in Italia

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Academic year: 2021

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(1)

G It Diabetol Metab 2012;32:96-99

Glicemia a digiuno e fattori di rischio cardiometabolico in una popolazione pediatrica ambulatoriale

Di Bonito P

1

, Sanguigno E

2

, Forziato C

2

, Saitta F

2

, Iardino MR

3

, Capaldo B

4

1

UO Diabetologia,

2

Dipartimento Pediatria,

3

Dipartimento Patologia Clinica, PO Pozzuoli;

4

Dipartimento Medicina Clinica e Sperimentale, Università Federico II, Napoli Diabetes Care 2011;34:1412-4

A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?

Valutare in una popolazione pediatrica ambulatoriale se la glicemia a digiuno, in un range di normalità, è associata a fattori di rischio cardiometabolici (FRCM).

Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?

Negli adulti la glicemia a digiuno, anche nel range normoglicemico (< 100 mg/dl), è associata allo sviluppo di diabete e di eventi cardiovascolari. Non è noto se una glicemia “alta normale” sia associata a FRCM anche nella popolazione pediatrica.

Sintesi dei risultati ottenuti

Bambini con glicemia “alta normale” (≥ 89 < 100 mg/dl) hanno un elevato rischio di insulino-resistenza, ipertensione e alto numero di globuli bianchi indipendente- mente da età e indice di massa corporea (IMC).

In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscen- ze riguardo al problema iniziale?

In una popolazione pediatrica ambulatoriale, la glicemia “alta normale” si aggrega a un

“cluster” di FRCM che probabilmente condividono un substrato patogenetico comune.

Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?

Seguire nel tempo i bambini con glicemia “alta normale” per valutare il loro reale rischio di sviluppare diabete o eventi cardiovascolari nella vita adulta.

Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?

Nei bambini che presentano una glicemia a digiuno (≥ 89 < 100 mg/dl) è opportu- no ricercare anche gli altri FRCM e, se presenti, attuare opportuni interventi sullo stile di vita.

La qualità dell’assistenza diabetologica predice lo sviluppo di eventi

cardiovascolari: risultati dello studio QUASAR

Rossi MC

1

, Lucisano G

1

, Comaschi M

2

, Coscelli C

3

,

Cucinotta D

4

, Di Blasi P

5

, Bader G

5

, Pellegrini F

1

, Valentini U

6

,

Vespasiani G

7

, Nicolucci A

1

, a nome del Gruppo di Studio AMD-QUASAR (Quality Assessment Score and Cardiovascular

Outcomes in Italian Diabetes Patients)

1

Consorzio Mario Negri Sud, S. Maria Imbaro, CH;

2

Ospedale S. Martino, Genova;

3

AO Parma;

4

Policlinico Universitario, Messina;

5

GlaxoSmithKline S.p.A., Verona;

6

Spedali Civili, Brescia;

7

Ospedale Madonna del Soccorso, San Benedetto del Tronto, AP Diabetes Care 2011;34:347-52

A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?

Lo studio QUASAR aveva lo scopo di valutare se uno score complessivo di quali- tà di cura, dato dalla semplice combinazione di indicatori di processo ed esito intermedio, fosse in grado di predire lo sviluppo di eventi cardiovascolari nei sog- getti con diabete di tipo 2.

Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?

Nonostante infatti fossero in corso numerose iniziative internazionali basate sul monitoraggio e il miglioramento degli indicatori, mancavano dati sulla correlazione tra qualità di cura e conseguenze a lungo termine (outcome finali).

Sintesi dei risultati ottenuti

Dalle cartelle cliniche informatizzate di 67 servizi di diabetologia sono stati estratti i dati di 5181 pazienti per il calcolo dello score (HbA

1c

, pressione arteriosa, coleste- rolo LDL e microalbuminuria). Dopo una mediana di follow-up di 28 mesi, sono stati raccolti dati sugli eventi cardiovascolari maggiori (angina, IMA, TIA, rivascolarizza- zione, complicanze arti inferiori, mortalità). All’analisi multilivello, il rischio di svilup- pare un evento era dell’84% più elevato nei pazienti con score < 15 e del 17% più elevato in quelli con score tra 20 e 25, rispetto a quelli con score > 25.

In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscen- ze riguardo al problema iniziale?

Questi dati sono stati importanti per dimostrare che il miglioramento degli indicato- ri impiegati dai sistemi sanitari può effettivamente tradursi in un miglioramento degli outcome a lungo termine dei pazienti.

Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?

Una nuova raccolta dati sugli eventi sarà ripetuta a distanza di 5 anni.

Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?

Lo score è oggi utilizzato nell’iniziativa nazionale di benchmarking “Annali AMD”

(250 servizi di diabetologia, 450.000 soggetti) per descrivere la qualità complessi- va della cura e identificare la quota di persone a rischio più elevato.

La Ricerca in Italia

(2)

La Ricerca in Italia 97

Diabete mellito di tipo 1 in lattanti e bambini molto piccoli:

quali complicanze dopo 20 anni di malattia?

Salardi S

1

, Porta M

2

, Maltoni G

1

, Rubbi F

3

, Rovere S

2

, Cerutti F

4

, Iafusco D

5

, Tumini S

6

, Cauvin V

7

per conto del Gruppo di Studio della Società Italiana di Endocrinologia e Diabetologia Pediatrica (SIEDP)

1

Dipartimento di Pediatria, Policlinico “S. Orsola-Malpighi”, Università di Bologna, Bologna;

2

Centro di Retinopatia Diabetica, Dipartimento di Medicina Interna, Università di Torino, Torino;

3

Dipartimento di Oftalmologia, Policlinico “S. Orsola-Malpighi”, Università di Bologna, Bologna;

4

Dipartimento di Pediatria, Università di Torino, Torino;

5

Dipartimento di Pediatria, Seconda Università di Napoli, Napoli;

6

Dipartimento di Pediatria, Università di Chieti, Chieti;

7

Unità di Pediatria, Ospedale S. Chiara, Trento

Diabetes Care 2012;35:829-33

A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?

Allo studio delle complicanze in bambini che hanno avuto il diabete da piccolissimi confrontate, a parità di durata, con quelle di bambini con esordio in età puberale.

Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?

Secondo alcuni autori gli anni di malattia prima della pubertà contribuiscono allo sviluppo delle complicanze, secondo altri no. Nessuno aveva mai esaminato i bam- bini piccolissimi, quelli che rimangono prepuberi per il più alto numero di anni.

Sintesi dei risultati ottenuti

Dopo circa 20 anni di malattia, 53 bambini con età alla diagnosi < 3 anni mostra- vano una prevalenza di retinopatia (diabetic retinopathy, DR), sia in toto sia nelle sue forme più gravi, inferiore a quella di 52 bambini puberi alla diagnosi. Solo nel gruppo delle DR più gravi i valori medi di HbA

1c

dell’intero periodo di malattia erano più alti nei prepuberi che nei puberi.

In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscen- ze riguardo al problema iniziale?

La giovane età all’esordio diventa una fonte di rischio per le complicanze solo se è accompagnata da un controllo metabolico molto cattivo. Se l’esordio avviene, invece, durante la pubertà il rischio è alto di per sé e meno dipendente dal cattivo controllo.

Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?

Identificare ulteriori specifici fattori di rischio nell’ambito delle diverse età.

Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?

Nei bambini con esordio in pubertà il controllo deve essere molto stretto, perché il rischio di DR è presente anche con livelli moderatamente elevati di HbA

1c

. Nei bam- bini più piccoli e più a rischio di danni da ipoglicemia il trattamento può essere un po’ meno aggressivo in quanto il rischio di DR si manifesta solo in presenza di livelli molto elevati di HbA

1c

.

I miR-221 e miR-222 regolando post-trascrizionalmente

p27KIP1 e p57KIP2 inibiscono la crescita vascolare in condizioni di iperglicemia

Togliatto G, Trombetta A, Dentelli P, Rosso A, Brizzi MF

Dipartimento di Medicina Interna, Università di Torino, Torino Diabetologia 2011;54:1930-40

A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?

Lo studio è stato rivolto alla valutazione del ruolo dei miR221 e miR222 nell’indu- zione del danno vascolare associato a elevate concentrazioni di glucosio e/o di prodotti di glicazione avanzata (advanced glycation endproducts, AGE), sia in cel- lule endoteliali umane sia in cellule progenitrici endoteliali.

Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?

L’alterato metabolismo del glucosio e gli AGE sono le cause scatenanti di danno vascolare nei pazienti diabetici. Pertanto è importante identificare le alterazioni molecolari responsabili dell’alterata biodisponibilità delle cellule endoteliali in corso di malattia diabetica.

Sintesi dei risultati ottenuti

La formazione di nuovi vasi e l’inibizione della progressione del ciclo cellulare, media- ta dall’alto glucosio e dagli AGE, sono controllate in vivo dalla regolazione post- trascrizionale di p27

kip1

e p57

kip2

mediata dalle espressioni di miR221 e miR222.

In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscen- ze riguardo al problema iniziale?

I risultati ottenuti forniscono evidenze sul ruolo dei miR221 e miR222 come mar- catori di alterata capacità di rimodellamento vascolare indotta dall’alto glucosio.

Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?

Conoscere i meccanismi molecolari alla base dell’alterata capacità di adattamento vascolare in condizioni patologiche, quali quelle associate ad alterato metabolismo del glucosio, pone le basi per indagini più approfondite sul ruolo svolto dai miRNA su patologie vascolari periferiche quali l’arteriopatia periferica associata alla malat- tia diabetica.

Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?

I risultati ottenuti da questo studio pongono le basi per lo sviluppo di strategie tera-

peutiche innovative che utilizzino come bersaglio i miRNAs.

(3)

La Ricerca in Italia 98

La mancanza di aptoglobina riduce l’epatosteatosi e

l’alterata omeostasi del glucosio che si associano normalmente con l’obesità

Lisi S

1,2

, Gamucci O

2

, Vottari T

1,2

, Scabia G

1,2

, Funicello M

1,2

, Marchi M

1,2

, Galli G

2

, Arisi I

3

, Brandi R

3

, D’Onofrio M

3

,

Pinchera A

2

, Santini F

2

, Maffei M

1,2

1

Istituto Telethon Dulbecco;

2

Dipartimento di Endocrinologia e Rene, Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana, Pisa;

3

European Brain Research Institute, Roma

Diabetes 2011;60:2496-505

A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?

Al ruolo di un marcatore di flogosi, l’aptoglobina (Hp), nel metabolismo e nelle com- plicanze associate all’obesità. Per rispondere a queste domande è stato utilizzato un modello murino mancante dell’aptoglobina (Hp-/-) ed esposto a dieta ad alto contenuto di grassi.

Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?

Il ruolo di questo fattore nel metabolismo e nel tessuto adiposo bianco (white adi- pose tissue, WAT), dove la sua espressione è indotta in condizioni di obesità, non era noto.

Sintesi dei risultati ottenuti

L’obesità induce l’espressione di Hp specificamente nel WAT.

I topi Hp-/- non presentano un fenotipo alterato in condizioni normali. In condizio- ni di obesità i topi Hp-/- mostrano, rispetto ai controlli obesi wild type, una minore epatosteatosi/epatomegalia, un’aumentata insulino-sensibilità, una migliore rispo- sta di secrezione insulinica dopo somministrazione di glucosio, livelli circolanti di adiponectina più elevati. Il WAT di questi animali mostra: una maggiore attivazione dell’effettore Akt in seguito a stimolo insulinico, infiltrazione macrofagica ridotta e maggiore espressione di adiponectina. In linea con l’ultimo dato, il trattamento di adipociti in coltura con Hp inibisce la produzione di adiponectina.

In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscen- ze riguardo al problema iniziale?

Questi risultati hanno dato significato biologico all’osservazione preliminare, ovve- ro l’induzione di Hp nel tessuto adiposo in condizioni di obesità. Inoltre i nostri risul- tati estendono ad Hp il ruolo di fattore in grado di reclutare le cellule infiammatorie nel tessuto adiposo bianco.

Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?

Indagare le relazioni tra Hp, stato infiammatorio sistemico e del tessuto adiposo nell’obesità umana.

Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?

Lo stato infiammatorio che si associa all’obesità contribuisce in maniera importan- te all’insulino-resistenza e alle alterazioni epatiche. I nostri risultati dimostrano che i livelli elevati di aptoglobina che si riscontrano nell’obesità contribuiscono senz’al- tro allo sviluppo delle complicanze. Sviluppare molecole che ne riducano l’azione potrebbe quindi costituire un’interessante strategia terapeutica.

Studio della percezione dell’assistenza in pazienti con diabete di tipo 2 e di tipo 1 seguiti mediante group care o visite tradizionali. Analisi proposizionale

Raballo M

1

, Trevisan M

1

,

Trinetta A

1

, Charrier L

2

, Cavallo F

2

, Porta M

1

, Trento M

1

1

Laboratorio di Pedagogia Clinica, Dipartimento di Medicina Interna,

2

Dipartimento di Salute Pubblica e di Microbiologia, Università degli Studi di Torino, Torino

Diabetes Care 2012;35:242-7

A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?

Lo studio aveva come obiettivo quello di verificare quale sia la reale percezione delle persone con diabete rispetto alle visite tradizionali e quali siano gli ostacoli a una consapevolezza dell’autocura da parte delle persone con diabete.

Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?

La letteratura dimostra che le persone con diabete necessitano di un supporto educativo continuo affinché possano prendere consapevolezza della propria con- dizione. In questi anni, mediante trial clinici controllati e randomizzati, abbiamo dimostrato che l’educazione, se fornita in modo costante, aiuta a migliorare la qua- lità di vita e la percezione di sé oltre a migliorare il compenso clinico metabolico.

Sintesi dei risultati ottenuti

L’HbA

1c

era inferiore nei pazienti con diabete di tipo 1 seguiti mediante group care

rispetto ai controlli (p < 0,001), mentre non vi erano differenze significative nei

pazienti con diabete di tipo 2. Il colesterolo HDL era inferiore nei controlli con dia-

bete di tipo 1 (p = 0,002) e anche i trigliceridi erano inferiori nei pazienti con diabe-

te di tipo 1 (p < 0,0001), non vi erano altre differenze tra i pazienti seguiti median-

te il gruppo e la cura tradizionale. Mediante l’analisi multivariata si evidenziava

un’associazione tra atteggiamenti positivi con il modello clinico educativo della

group care (p < 0,0001) indipendentemente dal tipo di diabete; inoltre si evidenzia-

(4)

La Ricerca in Italia 99

va un’associazione tra alti livelli di HbA

1c

con atteggiamenti negativi (p = 0,025) ed empowerment negativo (p = 0,055).

In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscen- ze riguardo al problema iniziale?

I risultati dimostrano che le persone con diabete possono essere aiutate nel loro percorso di autocura e di sviluppo dell’empowerment purché vi siano percorsi edu- cativi strutturati e finalizzati a migliorare il setting terapeutico e di cura.

Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?

Le future ricerche intendono approfondire i meccanismi insiti nel cambiamento delle persone anche rispetto a valenze neuroendrocrine.

Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?

Questo studio ci aiuta a comprendere che in educazione la tensione al cambia- mento è la ragion d’essere del costituirsi dell’esperienza. Nell’insieme delle attività rivolte ad aumentare il benessere e ridurre il malessere delle persone si deve instau- rare una dimensione relazionale tra i soggetti. Mediante attività educative struttura- te è stato dimostrato che è possibile modificare i livelli di empowerment, migliora- re il locus of control della malattia e il compenso clinico-metabolico con un inter- vento costo-efficace.

Massa ventricolare sinistra e glicemia a un’ora durante OGTT in pazienti ipertesi

Sciacqua A, Miceli S, Carullo G, Greco L, Succurro E, Arturi F, Sesti G, Perticone F

Dipartimento di Medicina Sperimentale e Clinica

“G. Salvatore”, Università degli Studi Magna Græcia di Catanzaro, Catanzaro

Diabetes Care 2011;34:1406-11

A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?

L’ipertrofia ventricolare sinistra (IVS) è un predittore indipendente di rischio cardio- vascolare (CV). La glicemia a 1 ora (1-h) ≥ 155 mg/dl durante curva da carico (oral glucose tolerance test, OGTT) identifica soggetti normotolleranti (normal glucose tolerance, NGT) con un rischio aumentato di sviluppare diabete (DM2) e ateroscle- rosi subclinica. Pertanto, si è valutato se la glicemia a 1-h possa influenzare la massa ventricolare sinistra (MVS) e la geometria cardiaca, in un gruppo di ipertesi di prima diagnosi.

Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?

Nei diabetici lo scarso controllo glicometabolico si associa a un aumento di MVS, soprattutto nelle donne. Allo stesso modo, i soggetti con alterata tolleranza al glu- cosio (impaired glucose tolerance, IGT) e/o un’alterata glicemia a digiuno (impaired fasting glucose, IFG) sono a rischio CV elevato.

Sintesi dei risultati ottenuti

Stratificando i soggetti NGT in base alla glicemia a 1-h, si è osservato che gli NGT

≥ 155, presentano valori di MVS e prevalenza di IVS significativamente più elevati rispetto ai NGT < 155. Inoltre, i valori di MVS risultano essere simili a quelli dei pazienti IGT e con DM2.

In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscen- ze riguardo al problema iniziale?

Il dato rilevante è che esiste una correlazione diretta e significativa tra MVS e glice- mia a 1-h. Quest’ultima, inoltre, rappresenta il principale determinante della MVS nell’intera popolazione e nei vari sottogruppi.

Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?

Individuare i meccanismi patogenetici coinvolti nella comparsa del danno d’organo subclinico; in particolare, se gli spike glicemici e/o insulinemici possano interferire con i processi proliferativi del cuore.

Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?

La valutazione della glicemia a 1-h durante OGTT contribuisce a ottimizzare la stra-

tificazione del rischio CV del paziente iperteso, stante la sua stretta correlazione

con il danno d’organo subclinico.

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